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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 11 aprile 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la bocciatura referendaria del progetto di riforma costituzionale ha confermato l'attuale assetto di competenze legislative concorrenti in materia di politiche attive del lavoro, fondato sul principio di leale collaborazione istituzionale tra Stato, regioni e province autonome, riconoscendo alle regioni la competenza nella legislazione dell'organizzazione del mercato del lavoro locale, fermo restando il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere fissati dallo Stato;
    i livelli essenziali delle prestazioni individuati a livello statale devono trovare la necessaria copertura finanziaria a carico della fiscalità generale;
    il decreto legislativo n. 150 del 2015 ha riorganizzato il sistema dei servizi per il lavoro, prevedendo una rete nazionale per le politiche attive del lavoro composta da diversi soggetti, tra cui i centri per l'impiego e coordinata dall'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal), che avrebbe dovuto essere istituita dal 1o gennaio 2016 e che invece ha scontato molte difficoltà e ritardi in fase attuativa;
    per l'attuazione del dettato del decreto legislativo n. 150 del 2015 manca ancora l'emanazione di numerosi atti sia di competenza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che di Anpal;
    la presenza di nuovo soggetto quale l'Anpal nelle dinamiche istituzionali rende ancora più complessa la governance dell'intero sistema dei servizi per il lavoro e le politiche attive, confermando i dubbi più volte sollevati da Forza Italia dell'effettiva necessità di un nuovo ente pubblico per l'implementazione di politiche di inserimento lavorativo efficaci;
    la mancanza di numerosi provvedimenti attuativi e le difficoltà di implementazione del nuovo modello del mercato del lavoro rischiano di compromettere l'efficacia del sistema delle politiche attive dei prossimi anni, come ha più volte sottolineato anche il neo presidente dell'Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche (Inapp) in queste ultime settimane;
    già il libro bianco sul mercato del lavoro coordinato da Marco Biagi aveva indicato come necessario per ridurre la disoccupazione introdurre «un modello che contempli la cooperazione e competizione tra strutture pubbliche, convenzionate e private. Pertanto, vanno individuate e sistematizzate le attività riconducibili ad una residua funzione pubblica ... da assicurare mediante i servizi pubblici all'impiego e strutture convenzionate (pubbliche e private); mentre vanno affidate al libero mercato le attività di servizio, in un regime di competizione e concorrenza tra i servizi pubblici e gli operatori privati autorizzati»;
    il riordino delle province disposto dalla legge n. 56 del 2014 ha comportato un'ulteriore difficoltà gestionale dei centri per l'impiego, la cui competenza era prima assegnata alle province e poi assegnata alle regioni dal decreto legislativo n. 150 del 2015 approvato successivamente alle normative regionali di riassegnazione delle soppresse funzioni delle province;
    questo ha comportato una fuga dai centri per l'impiego del personale che ha potuto utilizzare la mobilità provinciale per ricollocarsi e l'indeterminazione di quello che è rimasto, senza bene avere presente cosa fare e in alcuni casi, riportati dalla stampa, senza ricevere neppure gli stipendi;
    attraverso un accordo con le regioni si è potuto provvedere a garantire il funzionamento dei centri per l'impiego, ponendo a carico delle stesse regioni un terzo degli oneri stimati;
    queste difficoltà hanno indebolito ancora di più il sistema dei centri per l'impiego mentre il decreto legislativo n. 150 del 2015 affida loro un ruolo centrale, assegnandogli funzioni esclusive di presa in carico e sottoscrizione del patto di servizio personalizzato con i disoccupati, rendendoli la porta di accesso al mercato del lavoro;
    l'esempio delle regioni Lombardia e Veneto dimostra l'efficacia di un forte sistema di competizione/collaborazione tra attori privati e centri per l'impiego, basato su indicatori di efficacia amministrativa, attento alle esigenze delle imprese e capace di rispondere ai bisogni dei cittadini;
    il modello di mercato del lavoro previsto dal decreto legislativo n. 150 del 2015 rischia di determinare il fallimento delle politiche attive del lavoro in assenza di un piano di rafforzamento dei servizi per il lavoro, della semplificazione delle attività burocratiche assegnate ai centri per l'impiego e del concorso degli operatori privati accreditati ai servizi per il lavoro;
    il programma «Garanzia giovani», promosso dall'Unione europea per l'inserimento dei neet nonostante le ingenti risorse stanziate tra Commissione europea e Governo italiano, pari a circa 1,5 miliardi di euro, ha prodotto risultati insoddisfacenti, soprattutto in quei territori che hanno concentrato la maggior parte delle attività sui centri per l'impiego: in un momento di difficoltà gestionale, i centri per l'impiego hanno dovuto realizzare anche le procedure burocratiche legate al programma con un numero elevato di giovani che si sono riservati agli sportelli per fruire dei servizi offerti dal programma;
    occorre ripensare a un moderno sistema di welfare che superi le logiche assistenziali e si inserisca in un concetto più ampio di accompagnamento della persona verso l'indipendenza per consentire a chi è abile al lavoro di non cadere nella povertà o di uscire. Per realizzare queste politiche è necessaria una rete di attori diffusa sul territorio capace di fornire servizi multilivello e integrati in base alle specifiche esigenze e difficoltà;
    il nostro Paese, nonostante le promesse del Governo, continua a dedicare risorse alle politiche del lavoro molto inferiori a quelle destinate da altri Paesi europei: annualmente circa 500 milioni di euro, a fronte dei 9 miliardi di euro spesi dalla Germania e dei 5 miliardi di euro spesi dalla Francia; ed offre un servizio molto inferiore: il rapporto tra il numero dei disoccupati e il numero di addetti ai centri per l'impiego è di oltre 300 unità nel nostro Paese (un addetto per 300 disoccupati) mentre è di 21 in Germania, di 57 in Francia e di 32 nel Regno Unito;
    l'unica misura di politica attiva nazionale, l'assegno di ricollocazione, destinata ai percettori della indennità di disoccupazione (Naspi), disoccupati da oltre 4 mesi, non è ancora stata implementata. A giorni è partita solo una sperimentazione circoscritta a un numero ridotto di destinatari: 30.000 persone a fronte di circa 700.000 potenziali beneficiari, per cui sono stati stanziati 32 milioni di euro;
    la sperimentazione avrebbe dovuto rappresentare l'occasione per testare il modello di politiche attive del lavoro disegnato dal decreto legislativo n. 150 del 2015 e valutare l'efficacia del sistema informativo che avrebbe dovuto connettere tutti gli attori della rete dei servizi per il lavoro, compreso i centri per l'impiego e gli altri operatori privati. Tuttavia, la sperimentazione prevede molte deroghe alla disciplina a regime e viene avviata in assenza di molti tasselli procedurali impedendo così di effettuare una effettiva verifica del modello a regime,

impegna il Governo:

1) a rivedere con la massima urgenza l'impianto del decreto legislativo n. 150 del 2015 al fine di riportare al Ministero del lavoro e delle politiche sociali la responsabilità di fornire gli indirizzi per l'attuazione delle politiche attive del lavoro e di ridefinire le competenze con l'Anpal in coerenza con l'attuale quadro legislativo;
2) ad adottare tutti i provvedimenti attuativi che mancano per la completa implementazione del decreto legislativo n. 150 del 2015, a partire dal decreto di definizione delle linee di indirizzo triennali e degli obiettivi annuali dell'azione in materia di politiche attive e di determinazione dei tempi entro i quali debbono essere convocate le diverse categorie di utenti, ivi compresi i disoccupati che non siano beneficiari di prestazioni a sostegno del reddito collegate allo stato di disoccupazione;
3) a definire i livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti a tutti i cittadini sul territorio e a provvedere alla loro copertura finanziaria con sufficienti risorse;
4) ad incrementare, nei prossimi documenti di bilancio, le risorse per il fondo per le politiche attive del lavoro, con l'obiettivo di aumentare e rendere l'offerta di tali politiche coerente alla platea potenziale dei beneficiari, nonché a restituire la competenza della spesa di questi fondi e di quelli comunitari al Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
5) ad adottare il piano di rafforzamento dei servizi per il lavoro previsto dal 2015 finalizzato al reale miglioramento non solo delle strutture, ma anche e soprattutto dei servizi erogati nei confronti dei disoccupati;
6) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, volte ad implementare il rapporto tra centri per l'impiego, agenzie private per il lavoro e servizi di orientamento e placement delle scuole e delle università, verificando che l'annunciato piano per l'assunzione di 1000 tutor da parte di Anpal risponda a criteri di professionalità e competenza e non si configuri come un ennesimo piano di assunzione a carattere elettoralistico;
7) ad assumere le iniziative di competenza a sviluppare in maniera efficiente il sistema informativo per le politiche del lavoro per connettere tutti gli attori della rete garantendo il trasferimento dei dati e delle informazioni necessari a gestire le politiche attive del lavoro e le sanzioni connesse alla condizionalità evitando l'aggravio burocratico dei centri per l'impiego;
8) a garantire l'operatività della sperimentazione dell'assegno di ricollocazione, identificando un termine di conclusione;
9) a comunicare al Parlamento gli esiti della sperimentazione a sei mesi dal suo avvio e a provvedere all'attuazione dell'assegno di ricollocazione a regime, secondo quanto previsto dall'articolo 23 del decreto legislativo n. 150 del 2015.
(1-01590) «Gelmini, Occhiuto».


   La Camera,
   premesso che:
    con la legge delega 10 dicembre 2014, n. 183, il Governo è stato delegato ad adottare uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e delle politiche attive allo scopo di garantire la fruizione dei livelli essenziali in materia di politica attiva del lavoro su tutto il territorio nazionale, nonché di assicurare l'esercizio unitario delle relative funzioni amministrative;
    il decreto-legislativo n. 150 del 2015 ha introdotto, quindi, sulla base della predetta delega, importanti novità nel mondo del lavoro. Infatti è stata in primo luogo istituita una rete nazionale dei servizi per le politiche del lavoro, coordinata dalla nuova Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal) e formata da strutture regionali per le politiche attive del lavoro, dall'Inps, dall'Inail, dalle Agenzie per il lavoro e dagli altri soggetti autorizzati all'attività di intermediazione;
    all'Anpal spettano le funzioni di coordinamento su scala nazionale della rete degli enti attuatori delle politiche attive, il monitoraggio delle stesse, la sostituzione in caso di malfunzionamento e lo sviluppo del sistema informativo unitario delle politiche attive;
    il citato decreto legislativo n. 150 del 2015, ridisegna pertanto il ruolo dei centri per l'impiego che devono erogare una serie di servizi obbligatori. I centri per l'impiego, che rientrano nel novero dei livelli essenziali delle prestazioni, sono obbligati per legge a fornire una serie di servizi che possono essere erogati anche dai soggetti privati accreditati a livello regionale. La nuova governance dei servizi è pertanto caratterizzata dal sistema misto pubblico-privato;
    i centri per l'impiego dovevano rappresentare uno dei «perni» del Jobs Act con il decollo delle politiche attive per assicurare l'occupabilità di chi ha perso il lavoro;
    secondo i dati Istat alla fine del 2016 in Italia si è registrato un tasso di disoccupazione pari al 39,4 per cento tra i giovani, mentre si registra un aumento dell'occupazione nella fascia di età intorno a 50 anni, oltre che tra le donne;
    nel nostro Paese continua ad attivarsi un sistema di servizi per l'impiego che presenta ancora alcune criticità rispetto alle reali esigenze del mercato del lavoro. Infatti in alcune regioni i centri per l'impiego hanno raggiunto dei risultati ottimi, mentre in altre regioni risulta ancora critica la situazione sotto il profilo dell'occupabilità determinata dai centri per l'impiego;
    secondo i dati Istat infatti nel 2015 solo 1,4 per cento degli occupati hanno trovato lavoro attraverso i centri per l'impiego;
    è necessario, comunque proprio per migliorare e rendere più efficace la sinergia pubblico-privato nel mercato del lavoro potenziare gli enti privati come elemento fondamentale per attivare politiche attive del lavoro più efficienti,

impegna il Governo:

1) a valutare l'opportunità di monitorare la situazione attuale dei centri per l'impiego individuando le eventuali carenze e criticità presenti all'interno di essi al fine di sviluppare politiche attive del lavoro più efficienti e più efficaci;
2) a valutare l'opportunità di stabilire un rapporto migliore e proficuo tra i centri per l'impiego, le agenzie private per il lavoro ed i servizi di orientamento delle università per rendere migliore e maggiormente efficace l'attività di intermediazione tra domanda ed offerta di lavoro.
(1-01591) «Mottola, Pizzolante, Bosco».


   La Camera,
   premesso che:
    per attività libero-professionale intramuraria (Alpi) si intende l'attività che la dirigenza del ruolo sanitario medica e non medica, individualmente o in équipe, esercita fuori dell'orario di lavoro, in favore e su libera scelta dell'assistito pagante, ad integrazione e supporto dell'attività istituzionalmente dovuta. L'Alpi viene esercitata in strutture ambulatoriali interne o esterne all'azienda sanitaria, pubbliche o private non accreditate, con le quali l'azienda stipula apposita convenzione. Sono comprese anche le attività di diagnostica strumentale e di laboratorio, di day hospital, di day surgery e di ricovero, nonché le prestazioni farmaceutiche ad esso collegate, sia nelle strutture ospedaliere che territoriali, con oneri a carico dell'assistito, di assicurazioni o dei fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale di cui all'articolo 9 del decreto legislativo n. 502 del 1992. Si considera Alpi tutti gli effetti, anche oggetto di specifico accordo, l'attività del professionista o dell’équipe svolta, su richiesta dell'azienda/istituto in situazioni eccezionali, ovvero quando sia necessario ridurre le liste di attesa per il rispetto degli standard prefissati dalla regione. L'Alpi è autorizzata a condizione che: non comporti un incremento delle liste di attesa per l'attività istituzionale; non contrasti o pregiudichi i fini istituzionali del Servizio sanitario nazionale e regionale; non contrasti o pregiudichi gli obiettivi aziendali; non comporti, per ciascun dirigente, un volume di prestazioni o un volume orario superiore, a quello assicurato per i compiti istituzionali. Per l'attività di ricovero la valutazione è riferita anche alla tipologia e complessità delle prestazioni;
    l'articolo 2 del decreto-legge n. 158 del 2012 (cosiddetto decreto sanità) ha novellato le disposizioni sull'attività professionale intramuraria (Alpi) contenute nella legge n. 120 del 2007, ultimo sostanziale intervento legislativo volto a regolamentare l'Alpi;
    secondo l'ultima relazione sull'esercizio dell'attività libero professionale intramuraria, a norma dell'articolo 1, comma 4, lettera g) della legge 3 agosto 2007, n. 120 presentata alle Camere in data 29 settembre 2016 dal Ministro della salute e riferita ai dati del 2014, tale attività vale un miliardo e 143 milioni di euro e, secondo l'analisi storica dei ricavi complessivi della libera professione intramoenia, si conferma un trend in diminuzione a decorrere dal 2010;
    sempre secondo la relazione, il numero di medici che esercitano l'attività libero professionale intramuraria, è passato da 59.000 unità (2012), pari al 48 per cento del totale dei dirigenti medici del Servizio sanitario nazionale, a 53.000 unità (2014), pari al 44 per cento circa del totale dei dirigenti medici stessi. In media, nel Servizio sanitario nazionale, il 48,7 per cento dei dirigenti medici, operanti a tempo determinato e a tempo indeterminato con rapporto esclusivo, esercita la libera professione intramuraria e, per Ministero della salute ciò è miglioramento dello stato di attuazione, anche se l'indagine complessiva «ha confermato una disomogeneità attuativa, nelle diverse regioni/province autonome, con contesti sicuramente più avanzati e altri in corso di progressivo adeguamento»;
    dall'analisi condotta dal Ministero della salute emerge che:
     13 regioni (Abruzzo, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Toscana, Umbria, Valle D'Aosta e Veneto) hanno provveduto ad emanare/aggiornare le linee guida regionali, evidenziandosi un miglioramento rispetto ai risultati della rilevazione 2013;
     in 10 regioni/province autonome (Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, provincia autonoma Trento, Puglia, Toscana, Umbria, Valle D'Aosta e Veneto) tutte le aziende presenti hanno dichiarato di aver attivato l'infrastruttura di rete;
     in 5 regioni/province autonome (Abruzzo, Friuli Venezia Giulia, provincia autonoma Trento e provincia autonoma Bolzano e Valle d'Aosta) tutte le aziende garantiscono ai dirigenti medici spazi idonei e sufficienti per esercitare la libera professione. Nelle restanti regioni, accertata la carenza più o meno marcata di spazi aziendali, è stato necessario ricorrere all'acquisizione di spazi esterni tramite acquisto, locazione e stipula di convenzioni e/o all'attivazione del programma sperimentale per lo svolgimento dell'attività libero-professionale, in via residuale, presso gli studi privati dei professionisti collegati in rete;
     10 regioni (Sardegna, Sicilia, Calabria, Puglia, Basilicata, Campania, Umbria, Lombardia, Liguria, Piemonte) hanno scelto di autorizzare l'attivazione del programma sperimentale;
    la rilevazione, spiega il Ministero della salute, «evidenzia un'estrema variabilità del fenomeno tra le regioni, sia in termini generali di esercizio dell'attività libero-professionale intramoenia, sia in termini specifici di tipologia di svolgimento della stessa con punte che superano quota 58 per cento in Piemonte, Lazio, Liguria, Valle d'Aosta e Marche, viceversa, toccano valori minimi in regioni come la Sardegna (29 per cento), il Molise (30 per cento) e la provincia autonoma di Bolzano (18 per cento)»;
    in generale, quindi, nessuna regione e provincia autonoma risulta adempiente su tutti i 12 indicatori che sono stati considerati (3 regionali e 9 aziendali). Veneto e Valle d'Aosta si avvicinano all’«en plein» con valori compresi tra il 90 e il 99 per cento, mentre le altre regioni sono sulla fascia performance intermedia, tra il 51 e l'89 per cento. Maglia nera al Molise, con una percentuale di adempienza del 41,7 per cento. Distinguendo tra livello regionale e aziendale, emerge invece come sei regioni (Abruzzo, Emilia Romagna, Liguria, Sardegna, Toscana e Veneto) risultano adempienti su tutti gli indicatori regionali. Mentre la sola Valle d'Aosta raggiunge la piena adempienza su tutti i 9 indicatori aziendali;
    sempre in media, con riferimento al 2014, il 76 per cento dei dirigenti medici esercita l'Alpi esclusivamente all'interno degli spazi aziendali, il 15 per cento circa esercita al di fuori della struttura ed il 9 per cento svolge attività libero professionale sia all'interno, che all'esterno delle mura aziendali (ad esempio attività in regime ambulatoriale svolta presso il proprio studio professionale ed attività in regime di ricovero svolta all'interno degli spazi aziendali);
    la quota di medici che esercita la libera professione esclusivamente all'interno degli spazi aziendali è progressivamente cresciuta nell'ultimo triennio (da 59 per cento dell'anno 2012 a 76 per cento dell'anno 2014) e, di contro, la percentuale di intramoenia esercitata «esclusivamente» o «anche» al di fuori delle mura si è ridotta considerevolmente passando dal 40 per cento (somma di «Alpi solo esterno» e «Alpi interno e esterno»), dato relativo all'anno 2012, al 24 per cento nell'anno 2014;
    sempre secondo i dati della relazione, mediamente, il compenso annuo percepito del professionista che eroga prestazioni Alpi è pari a circa 17.500 euro, ma si conferma, anche in questo caso, una forte variabilità tra le regioni. In particolare i guadagni maggiori si registrano in Emilia Romagna, Lombardia, Veneto, Marche e Toscana. Sopra la media nazionale sono, inoltre, gli introiti percepiti dai medici delle provincia autonoma di Trento e delle regioni Piemonte e Lazio; mentre nettamente sotto la media nazionale risultano i guadagni registrati in Calabria, Basilicata, Campania, Sardegna, Puglia, Sicilia e Abruzzo e, oltre che nella provincia autonoma di Bolzano nella quale però, la libera professione non è molto diffusa (la quota dei dirigenti medici che esercitano Alpi pari solo al 18 per cento;
    per ciò che attiene alle liste di attesa, i ricoveri in regime di libera professione sono stati, nel 2014, circa 28.000 a fronte di 8,630 milioni in regime ordinario o di day hospital. Pertanto, in libera professione è stato effettuato lo 0,32 per cento di tutti i ricoveri in strutture pubbliche nel 2014, mentre, sul versante delle attività ambulatoriali, il rapporto tra regime libero-professionale e istituzionale è dell'8 per cento, con circa 60 milioni di prestazioni in regime istituzionale a fronte di 4,8 milioni in libera professione per le 34 tipologie oggetto di monitoraggio e la visita più richiesta in Lpi è quella ginecologica con 592.307 prestazioni;
    i dati illustrati dimostrano come l'attività istituzionale sia ampiamente prevalente su quella libero-professionale, con rapporti molto lontani dai limiti massimi Lpi=100 per cento dei volumi prestazionali istituzionali) indicati dalle leggi e dai contratti;
    non solo, quindi, la Lpi rappresenta per le aziende sanitarie una delle possibilità per acquisire, con il proprio personale, prestazioni aggiuntive a quelle istituzionali, anche in regime di ricovero, intercettando e introitando denaro che altrimenti andrebbe ad alimentare il settore privato e offrendo agli utenti la possibilità di accedere a prestazioni diagnostiche e terapeutiche sicure e di qualità, poiché garantite dal Servizio sanitario nazionale,

impegna il Governo:

1) ad approvare, in tempi brevi e certi, previo parere delle commissioni parlamentari competenti, il nuovo Piano nazionale per il governo dei tempi d'attesa;

2) ad attivarsi, in accordo con le regioni, affinché in ciascuna di esse venga previsto un tavolo di monitoraggio che, con cadenza almeno trimestrale, si occupi del controllo e del monitoraggio del rispetto dei livelli essenziali di assistenza, della riduzione dei tempi di attesa, tale da consentire il rientro del fenomeno nel più breve tempo possibile, della verifica continua della qualità dei servizi e delle prestazioni diagnostiche ambulatoriali erogate, nonché della garanzia di ricoveri appropriati;

3) a verificare l'adeguamento delle regioni che non hanno ancora provveduto ad emanare/aggiornare le linee guida regionali per l'esercizio dell'attività libero-professionale per garantire omogeneità attuative in tutto il territorio nazionale, nonché ad assumere iniziative per prevedere sanzioni nel caso del perdurare del mancato rispetto della normativa vigente;

4) a predispone in tempi brevi e certi i decreti di cui all'articolo 1, commi 526 e 536, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, tenendo conto dell'articolo 1, comma 4, lettera g) della legge 3 agosto 2007 n. 120 «Disposizioni in materia di attività libero professionale intramuraria e altre norme in materia sanitaria» nonché dell'attuazione della determina dell'Anac 28 ottobre 2015, n. 12, Piano nazionale anticorruzione-aggiornamento 2015 (Gazzetta Ufficiale 16 novembre 2015, n. 267);

5) ad assumere iniziative per inserire urgentemente misure volte al raggiungimento completo degli obiettivi già prefissati dalla riforma introdotta dall'articolo 2 del decreto-legge n. 158 del 2012 (cosiddetto decreto sanità) e tutt'ora largamente disattesi;

6) a predisporre uno studio volto a mettere in evidenza il rapporto tra il numero dei dirigenti che svolgo attività libero-professionali e le liste di attesa in quella specifica azienda e nelle specialità a più alta densità di attività libero-professionali, nonché la correlazione tra l'inerzia organizzativa delle singole regioni nell'attuazione della riforma e la situazione di maggiori criticità nell'allineamento dei tempi di erogazione delle prestazioni istituzionali e libero-professionali.
(1-01592) «Lenzi, Miotto, D'Incecco, Amato, Argentin, Beni, Paola Boldrini, Paola Bragantini, Burtone, Capone, Carnevali, Casati, Gelli, Grassi, Mariano, Patriarca, Piazzoni, Piccione, Giuditta Pini, Sbrollini».


   La Camera,
   premesso che:
    il legislatore nazionale riconosce che l'attività libero-professionale intramoenia è una modalità di erogazione delle prestazioni del Servizio sanitario nazionale e rappresenta una possibilità per il cittadino di poter scegliere il professionista di sua fiducia in alternativa ai servizi offerti in regime istituzionale;
    potenzialmente, questo sistema può determinare, ove correttamente gestito, indubbi vantaggi sia per il Servizio sanitario nazionale nel suo complesso, sia ai singoli utenti, sia, ancora, ai professionisti sanitari, i quali sono ulteriormente motivati ad investire nella loro professionalità;
    la complessità di tale istituto ha reso necessari molteplici interventi normativi al fine di garantire il corretto esercizio di tale attività, attraverso specifiche misure volte a garantire la piena tracciabilità di tutte le prestazioni e di tutti i pagamenti e, allo stesso tempo, ad assicurare un controllo e monitoraggio costante sul suo esercizio;
    nel corso degli anni è emersa la forte difficoltà, da parte delle regioni, di attuare le disposizioni succedutesi in materia;
    la disciplina attualmente vigente (legge n. 189 del 2012) ha, pertanto, inteso assicurare, innanzitutto, la piena tracciabilità delle prestazioni, adottando, in particolare, norme più incisive per regolamentare la cosiddetta « intramoenia allargata», ossia quella svolta presso gli studi dei professionisti;
    allo stato attuale, le regioni/province autonome devono garantire, anche attraverso l'adozione di proprie linee guida, che gli enti e/o le aziende del Servizio sanitario regionale gestiscano, con integrale responsabilità propria ed in modo corretto, l'attività libero-professionale intramuraria;
    le criticità che continuano a registrarsi per effetto della mancata piena efficienza dell'attuale sistema dell'attività libero-professionale intramuraria si riverbera sulle inefficienze del Servizio sanitario nazionale e, in particolare, sulla mancata riduzione, entro gli obiettivi auspicati, delle liste di attesa per l'effettuazione di prestazioni assistenziali;
    la materia delle liste di attesa è destinataria di una specifica regolamentazione, dettata dal «Piano nazionale di governo delle liste di attesa 2010-2012» oggetto dell'intesa Stato-regioni del 28 ottobre 2010, tutt'ora vigente, e dai piani regionali di governo delle liste di attesa, che hanno dato attuazione allo stesso;
    occorre, tuttavia, che venga presto definito il nuovo Piano nazionale 2017-2019 e che esso possa contenere le necessaria misure correttive ed integrative finalizzate ad abbreviare i tempi delle liste d'attesa, le quali, soprattutto in alcuni contesti regionali, sono arrivate al punto da mettere in dubbio la garanzia della dignità dell'assistenza sanitaria;
    a parte le misure contenute nel piano, il legislatore ha comunque previsto già misure che regolano la quantità delle prestazioni effettuabili in libera professione, disponendo che esse non debbano superare quelle dovute durante l'attività istituzionale e che i tempi di erogazione delle prestazioni in regime ordinario debbano essere progressivamente allineati a quelli in regime libero-professionale, al fine di assicurare che il ricorso a quest'ultima attività sia conseguenza di una libera scelta del cittadino e non di carenze nell'organizzazione dei servizi resi nell'ambito dell'attività istituzionale. L'obiettivo di tali norme, infatti, è quello di evitare che la discrepanza tra attività istituzionale e libero-professionale si traduca in un fattore in grado di favorire il ricorso a quest'ultima, con pregiudizio per l'accesso ai servizi assistenziali da parte dei cittadini;
    al fine di assicurare la corretta applicazione dell'istituto della libera professione occorre, innanzitutto, un attento monitoraggio sull'attività delle regioni e province autonome volte ad assicurare che tale istituto si traduca in un reale servizio aggiuntivo per i cittadini garantendo che il suo svolgimento non vada, al contrario, a detrimento dell'attività istituzionale;
    ai sensi dell'articolo 1, comma 7, della legge n. 120 del 2007, le regioni e le province autonome sono, in particolare, chiamate ad assicurare il rispetto delle disposizioni dettate in materia anche mediante l'esercizio di poteri sostitutivi, prevedendo la decurtazione della retribuzione di risultato pari ad almeno il 20 per cento ovvero la destituzione, nell'ipotesi di grave inadempienza, dei direttori generali delle aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale;
    anche il Ministero della salute è chiamato a contribuire a tale monitoraggio attraverso l'azione dell'apposita sezione denominata «Osservatorio nazionale sullo stato di attuazione dei programmi di adeguamento degli ospedali e sul funzionamento dei meccanismi di controllo a livello regionale e aziendale» del Comitato tecnico sanitario di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 44 del 2013;
    in particolare, il prefetto organismo, effettua uno specifico monitoraggio annuale sullo stato di attuazione dell'Alpi le cui risultanze sono, poi, riportate nella Relazione da presentare al Parlamento ai sensi dell'articolo 1, comma 8, della citata legge n. 120 del 2007. Tale monitoraggio è effettuato sia a livello regionale, che a livello aziendale, tenendo conto delle rispettive competenze e responsabilità ed ha l'obiettivo di verificare il livello di adeguamento alle norme di riferimento, analizzare le strategie di governance adottate dalle regioni e dalle province autonome, incluse le iniziative ed i correttivi assunti per eliminare eventuali anomalie e/o disfunzioni al fine di approfondire le dimensioni del fenomeno;
    l'impegno del Governo risulta dunque necessario affinché, attraverso una sempre più puntuale vigilanza, sia possibile raggiungere una migliore efficienza del complesso sistema, a beneficio complessivo dei servizi assistenziali resi ai cittadini,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per assicurare il monitoraggio e controllo dell'attività libero-professionale, in modo da garantire che il suo svolgimento non vada a detrimento dell'attività istituzionale;
2) ad assumere le opportune iniziative affinché, nell'ambito dell'accordo Stato-regioni, nel quale sono definiti ai sensi dell'articolo 2, comma 3 del decreto legislativo n. 171 del 2016, i criteri e le procedure per valutare e verificare l'attività dei direttori generali delle aziende del Servizio sanitario nazionale, si faccia riferimento anche al rispetto dell'equilibrio tra le prestazioni intramoenia e l'attività istituzionale;
3) a monitorare che il programma sperimentale adottato dalle regioni e dalle province autonome per l'esercizio dell’intramoenia presso gli studi professionali collegati in rete sia effettivamente verificato dalle regioni e dalle province autonome;
4) ad aggiornare il Piano nazionale di governo delle liste di attesa;
5) a promuovere l'implementazione di flussi informativi utili alla raccolta esaustiva dei dati sui tempi di attesa;
6) a promuovere, per quanto di competenza e in raccordo con le regioni un maggior coinvolgimento delle direzioni aziendali nel contenimento dei tempi di attesa;
7) a promuovere la definizione, per quanto di competenza in raccordo con le regioni, di modalità alternative di accesso alla prestazione nel caso in cui, con l'ordinaria offerta aziendale, non siano garantite le prestazioni nei tempi definiti come previsto dallo stesso Piano nazionale vigente;
8) a promuovere la trasparenza in ordine ai tempi di attesa a livello aziendale;
9) a promuovere il pieno sviluppo del sistema del Centro unico di prenotazione in tutte le regioni e province autonome.
(1-01593) «Bosco, Scopelliti».


   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni i contratti derivati stipulati dal Ministero dell'economia e delle finanze con molteplici controparti bancarie hanno generato cospicue perdite effettive e potenziali per lo Stato;
    in base a dati pubblicati ad aprile 2016 dall'ISTAT nel 2015 i contratti derivati hanno generato perdite per complessivi 6,8 miliardi di euro;
    nella risposta all'interrogazione a risposta immediata n. 3-02802 del 21 febbraio 2017, il Ministro interrogato ha reso noto, tra l'altro, che:
     a) il valore di mercato della posizione complessiva dello Stato in contratti derivati al 31 dicembre 2016 è di circa 37,8 miliardi di euro con segno negativo;
     b) nel corso del 2016 il saldo tra pagamenti e incassi del portafoglio swap è stato pari a circa 4,2 miliardi di euro;
     c) nel 2016 le banche-controparti hanno esercitato quattro swaptions con effetto complessivo sul debito contabile dello Stato pari a circa 3,2 miliardi di euro;
     d) nel 2016 lo Stato ha subìto altresì l'esercizio di una clausola di early termination inserita in un contratto di interest rate swap e, per effetto dell'estinzione anticipata del contratto, ha dovuto corrispondere alla banca-controparte un importo di un miliardo di euro circa;
    da alcuni articoli di stampa pubblicati lo scorso mese di febbraio e non smentiti dal Ministero, si è appreso che i contratti derivati chiusi anticipatamente da Morgan Stanley tra fine 2011 e inizio 2012 contenessero delle clausole di riservatezza (confidentiality) a beneficio della Banca, ma, derogabili da parte del «Tesoro» se a chiedere di conoscere i contratti siano alcune istituzioni, tra cui è compreso un ordine di un legislative body cioè un'entità legislativa tra cui – ad avviso degli scriventi – rientrano senza dubbio le Camere e le relative Commissioni,

impegna il Governo

al fine di innalzare il livello di trasparenza sull'operato in materia di derivati dello Stato – valendosi delle suddette deroghe contrattuali – a rendere pubblici i contratti derivati estinti anticipatamente da Morgan Stanley ed a rendere noti tutti i contratti derivati in essere o quanto meno estinti, anche con altre controparti bancarie, che non presentino clausole di riservatezza o che presentino clausole derogabili come quelle di Morgan Stanley.
(1-01594) «Ruocco, Sibilia, Alberti, D'Uva, Pesco, Pisano, Villarosa».


   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni il sistema sanitario italiano ha subito un notevole taglio delle risorse: spesso si è trattato di tagli lineari che hanno determinato risparmi sul personale, provocando il blocco del turnover e il mancato sviluppo tecnologico delle infrastrutture;
    per il 2017, il Fondo sanitario nazionale (FSN) ammonterà a 113 miliardi di euro per il 2017, da cui poi sono stati tolti 422 milioni di euro;
    i tagli hanno determinato altresì l'aumento delle liste d'attesa, con la conseguente negazione del diritto alle prestazioni sanitarie e con livelli essenziali di assistenza che non vengono garantiti in tutte le regioni italiane;
    il fenomeno delle liste di attesa, presente in realtà in tutti gli Stati dove insiste un sistema sanitario universalistico e che offre un livello di assistenza avanzato, è infatti particolarmente sentito in Italia. I dati del «Rapporto Italia 2017» di Eurispes evidenziano un giudizio della popolazione assolutamente negativo verso il sistema sanitario nazionale, segnalando che il disagio più frequente è rappresentato proprio dalle lunghe liste di attesa per visite ed esami medici (75,5 per cento);
    secondo il Censis, principalmente, a causa delle lunghissime liste d'attesa, nell'anno 2016, sono stati 10 milioni gli italiani che hanno fatto ricorso al privato e 7,1 all’intramoenia; e circa 11 milioni i cittadini che hanno scelto di rinviare o rinunciare a prestazioni sanitarie a causa di difficoltà economiche, con un aumento della spesa sanitaria privata che ammonta a 34,5 miliardi di euro (+3,2 per cento negli ultimi due anni);
    si è assistito, infatti, ad un costante e progressivo aumento dei tempi di attesa per le prestazioni specialistiche primarie e per quelle in regime di ricovero che ha favorito lo spostamento della richiesta delle cure dal Servizio sanitario nazionale (Ssn) verso strutture sanitarie private ed il ricorso all’intramoenia;
    in particolare, chi è costretto ad aspettare tempi superiori rispetto a quelli stabiliti in base alla normativa vigente per una visita medica specialistica o un esame diagnostico, può chiedere che la stessa prestazione medica gli venga fornita, dietro pagamento del ticket, nell'ambito dell'attività libero-professionale intramuraria;
    nonostante gli interventi normativi in materia, volti a garantire un miglioramento della qualità e dell'efficienza dei servizi sanitari e a realizzare anche un abbattimento delle liste d'attesa per le prestazioni sanitarie, il sistema della libera professione intramoenia non ha assicurato i risultati sperati;
    l'ultima relazione annuale al Parlamento sull'esercizio dell'attività libero-professionale intramuraria, relativa all'anno 2014, e presentata nel settembre 2016, ha messo in evidenza le diffuse criticità del sistema intramoenia, confermando, infatti, che, sia a livello nazionale, che a livello regionale, gli standard qualitativi e di miglioramento del servizio sanitario offerto al cittadino, che ci si era prefissati con l'istituzione del servizio intramoenia, non risultano di fatto raggiunti;
    i medici non sono stati messi nella condizione di svolgere adeguatamente sia il normale servizio, che quello intramoenia: non sono stati resi disponibili spazi pubblici adeguati per questa attività, sono stati creati ostacoli burocratici, e non è stato riorganizzato il sistema sanità alla luce dell'introduzione del sistema intramoenia;
    le prestazioni intramoenia producono, peraltro, un volume d'affari di oltre un miliardo di euro, che viene suddiviso tra medici e, in parte, Stato;
    il rapporto 2016 della Corte dei conti sul coordinamento della finanza pubblica ha segnalato, inoltre, che la flessione della spesa pubblica nel settore sanitario ha determinato importanti effetti negativi tra i quali l'aumento dei ticket per farmaceutica, prestazioni specialistiche e pronto soccorso, la crescita dei casi di rinuncia alle cure per gli alti costi delle prestazioni e l'ulteriore allungamento delle liste d'attesa;
    dall'attuale situazione consegue che i cittadini si trovano nella condizione di spendere maggiori cifre, poiché i tempi d'attesa del servizio pubblico non sono compatibili con una normale azione diretta alla tutela della salute oppure, visti i costi più elevati di questa rispetto al Servizio sanitario nazionale, sono costretti a rinunciare o rinviare le cure;
    a fronte di liste di attesa irragionevolmente lunghe, quindi, chi ha un reddito sufficiente sceglie di rivolgersi alle strutture sanitarie private, viceversa, chi non può sopportare le spese delle cure private è costretto ad aspettare l'erogazione delle prestazioni del Servizio sanitario nazionale con gravi rischi per la sua salute;
    tale situazione contribuisce a rendere il sistema sanitario pubblico spesso inefficiente e inadeguato e sempre più inaccessibile, a fronte di un rafforzamento dell'offerta del privato e di una proliferazione delle assicurazioni, cosiddette integrative, che assicurano prestazioni spesso migliori ma destinate ai cittadini con redditi più alti;
    qualche regione sta provando a ridurre le liste d'attesa, stabilendo l'apertura degli ambulatori anche sabato e domenica per smaltire le liste d'attesa, prevedendo anche percorsi di garanzia per i malati cronici, e creando un sistema informatizzato di prenotazioni regionale;
    nel nostro Paese dovrebbe essere prioritario ridurre i tempi di attesa delle prestazioni sanitarie nel rispetto dell'appropriatezza clinica e organizzativa;
    la razionalizzazione delle liste di attesa rappresenta, infatti, un obiettivo fondamentale per un sistema sanitario mirato all'efficienza e all'equità delle cure;
    a tale scopo sono state siglate negli anni diverse intese Stato-regioni e, da ultimo, è stato condiviso il Piano nazionale di governo delle liste di attesa (Pngla) per il triennio 2010-2012, ma non risulta ancora pubblicato il nuovo Piano 2016-2018;
    le misure poste in essere negli anni per far fronte a tale fenomeno si sono rivelate inadeguate ed insufficienti,

impegna il Governo:

1) a realizzare interventi più efficaci per ridefinire il sistema delle prenotazioni e delle liste di attesa attraverso l'assunzione di iniziative per l'impiego di adeguate risorse economiche ed umane, in grado di soddisfare i bisogni e le priorità assistenziali dell'utenza e le caratteristiche dell'offerta fornita;
2) ad assumere ogni utile iniziativa di competenza affinché si renda effettivo il diritto alla salute e si ottenga un più alto livello di tutela della salute del cittadino;
3) a predisporre ogni opportuna iniziativa di competenza, anche normativa, affinché siano assicurati i livelli essenziali di assistenza di cui il Servizio sanitario nazionale è garante;
4) ad assumere ogni opportuna iniziativa affinché, entro il più breve tempo possibile, sia adottato il nuovo Piano nazionale per il governo dei tempi di attesa;
5) a prevedere ogni opportuna iniziativa di competenza volta ad agevolare l'attività intramoenia, attraverso misure di riduzione dei costi, interventi di sburocratizzazione, garanzie dell'effettiva disponibilità degli spazi, al fine di consentire a medici e pazienti la realizzazione di un sistema intramoenia efficace ed efficiente per meglio tutelare la salute degli italiani.
(1-01595) «Gullo, Crimi, Occhiuto».


   La Camera,
   premesso che:
    l'anatocismo, ovverosia la così detta applicazione degli interessi composti, è vietata dall'articolo 1283 del Codice Civile. Le banche da decenni, nonostante i vincoli normativi, hanno applicato l'anatocismo – in sede di erogazione del credito – in modo molto diffuso. Numerose sono state le iniziative giudiziarie poste in essere dalle associazioni dei consumatori – tra cui l'Adusbef – che hanno condotto a clamorose condanne degli istituti di credito;
    l'articolo 1, comma 629, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, ha provveduto alla modifica dell'articolo 120 del testo unico di cui al decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385 (Testo unico bancario) rendendo illegittima ogni prassi anatocistica a decorrere al 1o gennaio 2014;
    l'articolo 17-bis, comma 1, del decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 aprile 2016, n. 49 ha modificato nuovamente la formulazione del suddetto articolo 120 del testo unico bancario. Con il combinato disposto della nuova formulazione dell'articolo 120 ed il decreto ministeriale 3 agosto del 2016 emanato dal Ministro dell'economia e delle finanze in qualità di presidente del Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio è stato consentito l'addebito di ulteriori interessi passivi a decorrere dal 1o ottobre 2016;
    nell'intervallo temporale tra il 1o gennaio 2014 ed il 30 settembre 2016 diverse banche puntualmente condannate in sede giudiziaria – nonostante il divieto normativo hanno continuato ad applicare interessi anatocistici. Il volume di interessi composti applicati nel suddetto intervallo di tempo è stimato tra i 6,7 miliardi di euro ed i 7,8 miliardi di euro. La Banca d'Italia, doverosamente informata dalle associazioni dei consumatori presenti nel Consiglio nazionale consumatori ed utenti (CNCU) invece di esercitare la potestà prevista dall'articolo 128-ter del Testo Unico Bancario «inibire ai soggetti che prestano le operazioni e i servizi disciplinati dal presente titolo la continuazione dell'attività, anche di singole aree o sedi secondarie, e ordinare la restituzione delle somme indebitamente percepite e altri comportamenti conseguenti» non è intervenuta assumendo una posizione che potrebbe configurare, a parere dei firmatari del presente atto una eventuale omissione di atti di ufficio e condurre anche alla revoca del governatore della Banca d'Italia ai sensi del comma 8 dell'articolo 19 della legge n. 262 del 2005;
    da fonti stampa si apprende che l'Adusbef abbia presentato un esposto alle Procure della Repubblica competenti territorialmente al fine di accertare:
     se sotto il profilo degli omessi controlli e della mancata vigilanza non si configuri il reato ex articolo 328 c.p. (Rifiuto d'atti d'ufficio. Omissione);
     se dal tenore letterale delle notifiche ed istanze formalizzate dagli istituti di credito non si configurino i reati ex articolo 640 c.p. e seguenti nonché ex articolo 646 c.p. (appropriazione indebita);
     se la responsabilità penale eventualmente accertata non possa essere stata di ostacolo alle funzioni di vigilanza della Banca d'Italia e della Consob configurando, altresì, il reato ex articolo 170-bis decreto legislativo n. 58/98, nonché altri eventuali illeciti penali come rubricati nel decreto legislativo n. 58 del 1998;
    da fonti stampa si apprende che l'Adusbef abbia evinto un indebito lucro – per i fidi alle imprese – di 2.410 miliardi di euro dal 1o gennaio 2014 al 31 ottobre 2016 (ossia 811,830 mld di euro nel 2014; 808,338 nel 2015; 790,085 miliardi di euro tra il 1o gennaio ed il 30 settembre 2016), di 34,33 euro ogni 1.000 euro di scoperto, quindi una somma da rimborsare o compensare, approssimata per difetto, tra 6,7 e 7,8 miliardi di euro,

impegna il Governo:

1) ad assumere ogni iniziativa di competenza, anche di carattere normativo, al fine di:
   a) rendere improcedibile l'iscrizione nel sistema della centrale dei rischi del debitore che abbia presentato un'istanza di mediazione finalizzata al risarcimento dei danni per usura ed anatocismo ovvero finalizzata alla compensazione dei danni da usura ed anatocismo con il debito residuo;
   b) introdurre sanzioni amministrative per gli istituti di credito che in sede giudiziaria siano stati condannati per anatocismo pari al triplo dell'interesse anatocistico addebitato al cliente;
   c) rafforzare il regime sanzionatorio penale in materia di usura da applicarsi anche ai componenti degli organi di amministrazione e controllo degli istituti di credito, prevedendo l'estensione della rilevanza penale anche ai casi di anatocismo;
   d) disporre che gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, potranno essere calcolati esclusivamente sulla sorte capitale.
(1-01596) «Sibilia, D'Uva».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VEZZALI e D'ALESSANDRO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per lo sport. — Per sapere – premesso che:
   la regione Campania è proprietaria dell'impianto sportivo «Arturo Collana» per il quale è scaduto (nel 2014) il contratto di comodato d'uso gratuito (anni 6+6) con il quale il comune di Napoli lo gestiva e per il quale ha dichiarato di non voler rinnovare il contratto;
   la regione Campania con bando n. 338 del 24 luglio 2014 indice un «Avviso Pubblico» per l'affidamento della concessione d'uso e gestione dell'impianto sportivo; riservato al Coni, Cip, Federazioni, associazioni sportive o gruppi di associazioni sportive (legge regionale n. 18 del 2013, (articolo 20));
   all'Avviso partecipa l'Ati Cesport, associazione sportiva dilettantistica, per sé, ma anche quale capofila del raggruppamento temporaneo di 8 associazioni sportive operanti sul territorio;
   il comune contesta l'avviso pubblico; ritiene più corretto l'affidamento in base alla legge n. 147 del 2013; la regione accoglie l'istanza e sospende il bando per ragioni tecniche;
   settemila atleti e quaranta associazioni, in attesa di decisioni, sono, di fatto, senza casa;
   il bando viene riaperto e il comune indice una conferenza di servizi invitando la società Giano srl a presentare il progetto di rivalutazione dello «Stadio Collana» in base alla legge n. 147 del 2013;
   la fatiscenza della struttura richiede l'intervento della regione che chiude precauzionalmente l'impianto per inagibilità, stanzia 200.000 euro per lavori straordinari;
   all'inizio del 2017 la Giano srl presenta la domanda di partecipazione; l'esame delle proposte dei tre partecipanti alla gara si conclude con l'affidamento e la concessione dell'impianto ad Ati Cesport che si aggiudica la gara col massimo del punteggio (100/100) (decreto dirigenziale n. 110);
   il secondo classificato (la società Giano srl) presenta ricorso al Tar. Il ricorso viene respinto, la regione conferma l'aggiudicazione definitiva all'Ati Cesport e comunica al comune che il passaggio di consegne dovrà avvenire entro il 30 giugno;
   il comune ricorre al Tar impugnando la procedura insistendo sull'applicazione della legge 147;
   la regione contesta il ricorso al Tar e ribadisce la richiesta di voler rientrare nel possesso dell'impianto per poterlo consegnare all'affidatario e cominciare i lavori di messa in sicurezza e ammodernamento, visto che una commissione tecnica della regione, dopo un attento e circostanziato sopralluogo, ha determinato l'inagibilità dell'intera struttura;
   al Consiglio di Stato, la Giano srl rinuncia alla sospensiva; la regione firma il contratto alla Ati Cesport; la Giano srl, ci ripensa, rinuncia alla sospensiva e ricorre ancora al Consiglio di Stato che accoglie il ricorso e annulla l'assegnazione;
   il Tar sentenzia su avviso pubblico di concessione; il Consiglio di Stato, invece, applica la legge n. 163 che disciplina le gare di appalto pubbliche;
   alla luce della sentenza del Consiglio di Stato, la regione inoltra ricorso interpretativo prima di annullare l'avviso pubblico e procedere alla stesura di un nuovo bando;
   questa situazione di stallo appare lesiva degli interessi prima di tutto della collettività locale, dei giovani e delle associazioni sportive che per perfezionare l'aggiudicazione si sono esposte economicamente;
   appare inoltre inutilmente capziosa questa disputa tra amministrazioni e onerosa la scelta di affidare l'impianto Collana con procedura di appalto, invece di utilizzare l'avviso pubblico che trasferisce i costi sull'aggiudicatario;
   tale precedente appare pericoloso posto che insidierà tutte le associazioni sportive che per il futuro volessero provare a chiedere alle amministrazioni pubbliche la gestione degli impianti con finalità non lucrative, ma per concorrere all'integrazione e lavorare in realtà difficili, in periferie degradate allo scopo di impedire a tanti giovani di perdersi in percorsi di disagio –:
   se non intenda assumere iniziative di competenza, anche normative, dirette ad evitare che si verifichino situazioni come quella descritta in premessa. (5-11116)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SALTAMARTINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dai media che è in corso un'operazione di trasferimento degli sfollati del terremoto del Centro-Italia, dalle strutture alberghiere della costa adriatica ove sono sistemati, in altre strutture; sembra che si siano registrate tensioni, in quanto alcuni funzionari pubblici avrebbero cercato di convincere gli sfollati a spostarsi altrove, anche facendo «terrorismo psicologico» sulle persone anziane;
   i giornali riportano anche la versione della regione Marche, secondo cui, il trasferimento di un certo numero di sfollati dai campeggi e hotel della costa marchigiana verso altre strutture ricettive «avviene in modo volontario e secondo un percorso condiviso con gli operatori alberghieri e i sindaci», mettendo a disposizione nuove strutture e potenziando i servizi di trasporto per lavoratori e studenti che devono spostarsi giornalmente;
   i cittadini vivono quotidianamente con il terrore delle scosse che ancora continuano e si sentono esasperati e disorientati tra gli avvisi della regione, le ragioni degli albergatori e le difficoltà dello sballottamento da una struttura all'altra, nell'attesa della costruzione delle «casette provvisorie», promesse dal Governo, e la loro sistemazione definitiva nella propria abitazione ricostruita;
   la realizzazione delle «casette» registra un cospicuo ritardo e, nonostante l'accelerazione degli affidamenti dei lavori disposti con il decreto-legge 9 febbraio 2017, n. 8, non si intravedono ancora tempi certi per le assegnazioni;
   i comitati spontanei dei cittadini puntualizzano le difficoltà per le persone anziane di spostarsi, avendo appena ricostituito una piccola comunità, la necessità per gli studenti di terminare le scuole, e lo stress psicologico cui sono sottoposti tutti per l'incertezza della loro collocazione dopo la data del 30 aprile in cui si sarebbe concluso il contratto con gli albergatori; fanno inoltre presente la possibilità della proroga dello stesso in virtù del prolungamento dello stato di emergenza fino alla fine dell'anno e comunque fino alla ultimazione delle «casette»;
   è stata organizzata anche una manifestazione a Roma ed è stata inviata una lettera di diffida alla regione Marche per chiedere di non spostare gli sfollati dalle strutture di Porto Recanati, Porto Potenza e Porto Sant'Elpidio;
   un'agenzia ANSA testimonia che ottantasette sfollati hanno lasciato il camping Medusa di Porto Recanati tra lacrime, abbracci e qualche protesta, per essere trasferiti al camping Green Garden di Sirolo, che li accoglierà fino al 31 dicembre, facendo sapere di non aver nulla da rimproverare al titolare di Medusa, che dovrà ospitare i clienti di sempre per la stagione estiva, e osservando che «a livello statale avrebbero potuto gestire meglio questa situazione»;
   l'avvicinarsi dell'estate rende obbligatoria la pianificazione della stagione da parte degli operatori turistici, e gli albergatori chiedono certezza sul numero delle presenze e sui contributi governativi, e la maggior parte di loro hanno dato la propria disponibilità a prolungare l'ospitalità degli sfollati fino alla fine dell'anno; il numero delle persone alloggiate nelle strutture turistiche è sceso da 12.103 a circa 5.000 ma sembra che non tutti gli albergatori abbiano ancora ricevuto quanto pattuito; inoltre, occorrerebbe valutare se il prezzo dei 40 euro a persona possa restare inalterato anche per la stagione estiva, evitando comunque di far ricadere sugli imprenditori privati i costi della protezione civile –:
   quali iniziative abbia in corso il Governo, nell'ambito dell'amministrazione dello stato di emergenza, per garantire la chiarezza della gestione della delicatissima situazione che si è creata e la certezza alla sistemazione degli sfollati, evitando gli spostamenti continui da una struttura all'altra, nonché per rispettare gli accordi con gli albergatori che, per la quasi totalità dei casi, mantengono gli impegni assunti per l'ospitalità degli sfollati fino all'ultimazione delle «casette», ben oltre l'estate. (4-16244)


   RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nella puntata della trasmissione televisiva «Le Iene», andata in onda il 9 aprile 2017 ci si è occupati del caso dell'azienda K-Flex, il colosso brianzolo degli isolanti che ha deciso di chiudere i battenti per delocalizzare in Polonia;
   le persone in stato di sciopero permanente da ormai 63 giorni per opporsi allo spegnimento degli impianti, e che rischiano il licenziamento sono ben 187;
   secondo quanto riportato nelle testimonianze, tale chiusura risulterebbe ingiustificata visto che l'azienda non solo non è in stato di crisi, ma addirittura produce utili;
   l'imprenditore prima di decidere di trasferirsi nell'Europa dell'Est – presumibilmente per risparmiare sul costo della manodopera – era riuscito a ottenere dallo Stato 45 milioni di euro di finanziamenti pubblici;
   nel corso di un incontro con il sindacato risulta come registrazione mandata in onda durante la trasmissione in oggetto (http://www.iene.mediaset.it) che i vertici dell'azienda abbiano dichiarato che i fondi pubblici ricevuti sono stati dirottati all'estero, nonostante i decreti ministeriali di erogazione finanziamenti vi sia scritto chiaramente che il progetto dovesse essere svolto in località Roncello –:
   in che modo il Governo intenda intervenire rispetto a quanto risulta dichiarato dall'azienda e se ritenga di assumere iniziative per rivedere gli accordi, scongiurando così la chiusura dello stabilimento italiano. (4-16249)


   ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, SEGONI e TURCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata di venerdì 17 marzo 2017 il quotidiano l'Adige di Trento pubblicava l'articolo: «Porfido: scontro duro sulla gestione» in cui erano riportati stralci di una dettagliatissima relazione del marzo 2017, redatta dal segretario comunale dottor Marco Galvagni, in cui si evidenziavano fenomeni di infiltrazione della ‘ndrangheta calabrese nel settore estrattivo del porfido, nella provincia di Trento;
   tale relazione era stata preventivamente inviata in data 6 marzo 2017 dal redigente dottor Marco Galvagni sia ai sindaci dei quattro comuni interessati: Lona Lases, Albiano, Segonzano, Sover, sia all'Autorità nazionale anti corruzione;
   nella relazione si tratta del fallimento dell'azienda estrattiva Marmirolo Porfidi srl, già attenzionata dall'autorità giudiziaria, e di alcuni personaggi politici della zona;
   tra le persone richiamate nella predetta relazione risulta, tra gli altri, il signor Michele Pugliese, nato a Crotone nel 1976 e condannato dal tribunale di Bologna nel settembre 2016 — processo operazione «Zarina Aurora» – alla pena detentiva di sette anni e otto mesi di reclusione in quanto membro della cosca Arena-Nicosìa;
   nella medesima relazione figura il signor Antonio Muto (nato Catanzaro 18 novembre 1971), già arrestato a Trento con l'accusa di bancarotta fraudolenta e comunque tra i soci della immobiliare «San Francisco srl», assieme a Pugliese Michele, Giglio Giulio, Grande Aracri Salvatore;
   il mondo del porfido trentino, nell'agosto 2014, è stato interessato, tra l'altro, da indagini internazionali sul traffico di droga: nei carichi di porfido veniva occultata cocaina (inchiesta «Piedras Blancas», Spagna (in: quotidiano il manifesto 19 agosto 2014);
   il Testo Unico delle leggi regionali sull'ordinamento dei comuni della regione autonoma Trentino-Alto Adige pone in capo al presidente della giunta provinciale di Trento poteri di ispezione, ma questi non sembrano essere stati attivati;
   la provincia autonoma di Trento aveva precedentemente nominato quale commissario straordinario del comune di Lona Lases il commercialista Mauro Dallapiccola, che risulta avere svolto attività professionale per alcune della ditte del porfido richiamate nella relazione informativa;
   gli elementi sopra esposti appaiono di per sé gravi e tali da ritenere necessaria anche una tutela del segretario denunciante dottor Marco Galvagni, che ad oggi parrebbe essere stato inspiegabilmente rimosso dall'incarico ricoperto, così come risulta dall'articolo del quotidiano l'Adige «Comuni del porfido e anticorruzione» del 27 marzo 2017 –:
   di quali elementi dispongano sulle vicende sopra richiamate, anche per il tramite del Commissario del Governo, in particolare in ordine al mancato esercizio di poteri ispettivi di cui in premessa, e quali eventuali iniziative di competenza si intendano adottare al riguardo. (4-16253)


   REALACCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   sempre più spesso si verificano in varie zone d'Italia situazioni anomale connesse all'alternarsi di eventi meteorologici estremi di grande intensità e violenza con periodi di forte siccità. Tali eventi sono legati ai mutamenti climatici in corso e sollecitano politiche più efficaci e credibili sia sul fronte della mitigazione dei processi in atto che sul fronte dell'adattamento agli stessi;
   come si evince dall'allarme lanciato da Coldiretti e da alcuni articoli apparsi sui quotidiani nazionali, come quello su La Stampa del 9 aprile 2017, in Italia, specie nel Settentrione, è attualmente segnalata una gravissima siccità, con temperature massime superiori di 2,5 gradi la media e il calo del 53 per cento stagionali delle precipitazioni che, a marzo, hanno fatto scendere insolitamente il fiume Po in magra allo stesso livello di inizio estate del 2016. In Veneto non piove dal 5 gennaio 2017;
   il più grande fiume italiano al Ponte della Becca, dove le anomalie sono particolarmente evidenti, registra un livello idrometrico di appena -1,91 metri, quasi un metro in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Le precipitazioni in Italia sono risultate sotto la media lungo tutto l'inverno con un picco negativo a dicembre in cui è caduta addirittura il 67 per cento di acqua in meno sulla Penisola;
   anche il fiume Adige è in secca: dovrebbe avere una portata media di almeno 80 metri cubi d'acqua al secondo, ma questa è scesa fino a 37 e il mare Adriatico alla foce risale con suo il cuneo salino in senso inverso per cinque chilometri, spinge con l'alta marea, entra nella terra portando anche le seppie in mezzo alle campagne. E con l'acqua del mare, questa natura al contrario semina il sale che brucia le coltivazioni;
   gli effetti dei cambiamenti climatici producono pesanti conseguenze sull'agricoltura italiana perché si moltiplicano sfasamenti stagionali ed eventi estremi con precipitazioni brevi, ma intense e con repentino passaggio dal maltempo al sereno. I cambiamenti climatici impongono una nuova sfida per le imprese agricole e per l'insieme delle attività umane che devono interpretare le novità segnalate dalla meteorologia e gli effetti sui cicli delle colture, sulla gestione delle acque e sulla sicurezza dei territorio. È questo quanto anche emerge da una analisi dei dati Ucea Unità di ricerca per la climatologia e la meteorologia applicate all'agricoltura;
   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intenda mettere in campo il Governo per far fronte, assieme alle regioni più coinvolte, alla grave siccità dei primi mesi del corrente anno al fine di garantire equilibrio di prelievo e consumo d'acqua dolce, anche in riferimento al livello idrico dei bacini idrografici dei laghi alpini e subalpini, tutelando così anche il loro valore ambientale e turistico relativamente alle utenze domestiche, agricole e industriali, se non si intendano altresì mettere in campo iniziative per la tutela della produzione agroalimentare nazionale. (4-16254)


   RUSSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende dalla lettera aperta inviata al Governo italiano dalla dottoressa Marinella Colombo – Responsabile dello Sportello Jugendamt del Centro servizi interdisciplinari C.S.IN. Onlus – nonché da altri documenti (articoli giornalistici ed istanze del comune di Nola), i coniugi Gallucci Leonardo e Guadagno Carmela, nati e residenti nella regione Campania, avevano deciso di trasferirsi nella città di Stoccarda (Germania) per motivi lavorativi. Durante il soggiorno in Germania, il 14 novembre 2015 nasce il loro primo figlio, C. che, a seguito di un incidente domestico, viene sottratto loro in ospedale, luogo in cui si erano recati;
   consecutivamente, con decreto del 7 luglio 2016, il tribunale tedesco sottrae ai coniugi Gallucci, in qualità di genitori, alcuni diritti sul loro figlio (salute, cura del patrimonio e diritto di chiedere provvedimento di aiuto), poi trasferiti allo Jugendamt, l'Amministrazione per la gioventù tedesca che è prevista dalla legge come parte in causa in tutti i procedimenti relativi ai minori;
   con successiva istanza lo Jugendamt, ritenendo che i coniugi Gallucci non fossero in grado di prendersi cura del minore, anche per via dell'insufficiente livello di lingua tedesca, ha stabilito che il piccolo C. fosse dato in affidamento ad una famiglia affidataria a lungo termine;
   nel mese di agosto 2016 la signora Guadagno Carmela ha lasciato la Germania, in avanzato stato di gravidanza, decisa a far nascere in Italia il suo secondo figlio, Alessandro, che, secondo quanto testimoniato dai Servizi sociali di Nola, ad oggi appare «in buono stato di salute, bene accudito e con normale sviluppo psico-fisico»;
   dopo la seconda nascita, i genitori di C. decidono, quindi, di non ritornare più a Stoccarda ma di rimanere in Italia e vivere stabilmente nella città di Nola, attendendo invano di ricongiungersi con il loro primogenito che, oramai da dieci mesi, continua a vivere lontano da loro;
   nonostante i numerosi contatti, intercorsi negli ultimi mesi, tra i Servizi sociali del comune di Nola ed il Consolato generale d'Italia a Stoccarda, a seguito dei quali è stato deciso che la famiglia avrebbe ricevuto aiuto e sostegno e che il comune di Nola si sarebbe impegnato nel prendersi cura di C. al suo rientro trasferendo, al contempo, la responsabilità di quest'ultimo ai suddetti servizi sociali, nonché i diversi colloqui tra questi e lo Jugendamt, nell'ambito dell'udienza del 10 febbraio 2017, la giudice di Stoccarda ha ritenuto che neppure i servizi sociali italiani ed il console sarebbero in grado di occuparsi del bambino –:
   se il Ministro interrogato, per quanto di sua specifica competenza, intenda intraprendere ogni opportuna e tempestiva iniziativa volta a chiarire la vicenda esposta in premessa nonché a richiedere l'immediato rientro in Italia del piccolo C. per essere affidato ai genitori ed il rispetto effettivo della fiducia reciproca, fondamento delle convenzioni e dei regolamenti. (4-16258)

AFFARI REGIONALI

Interrogazione a risposta immediata:


   LOCATELLI, PASTORELLI e LO MONTE. – Al Ministro per gli affari regionali. – Per sapere – premesso che:
   il 14 febbraio 2017 il consiglio regionale del Veneto ha approvato la legge regionale che prevede modifiche ed integrazioni alla legge regionale 23 aprile 1990, n. 32, «Disciplina degli interventi regionali per i servizi educativi alla prima infanzia: asili nido e servizi innovativi», promulgata il 21 febbraio 2017 (legge regionale 21 febbraio 2017, n. 6);
   la modifica, al novellato comma 4 dell'articolo 8, prevede testualmente che: «Hanno titolo di precedenza per l'ammissione all'asilo nido nel seguente ordine: i bambini portatori di disabilità e i figli di genitori residenti in Veneto anche in modo non continuativo da almeno quindici anni o che prestino attività lavorativa in Veneto ininterrottamente da almeno quindici anni, compresi periodi intermedi di cassa integrazione, o di mobilità o di disoccupazione»;
   da un lato, si dà giustamente priorità a tutti quei bambini portatori di disabilità; dall'altro lato, è questa la ratio della proposta, essa «(...) è volta a favorire i cittadini che siano residenti o svolgano attività lavorativa in Veneto da un certo lasso di tempo: in particolare mira a far sì che nell'accesso ai servizi di asilo nido abbiano titolo di precedenza (...) i figli di cittadini che abbiano la residenza in Veneto ininterrottamente da almeno quindici anni o che svolgano la loro attività lavorativa in Veneto ininterrottamente da almeno quindici anni»;
   la nuova previsione regionale vuole, dunque, privilegiare quei cittadini che dimostrino di avere un legame con il territorio della regione per un determinato periodo di tempo, una previsione a giudizio degli interroganti oggettivamente discriminatoria –:
   se il Governo non ritenga di valutare, con urgenza, se sussistano i presupposti per promuovere la questione di legittimità costituzionale, ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione, avverso l'articolo 8, comma 4, della legge regionale del Veneto n. 6 del 2017. (3-02952)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ROMANINI, FRAGOMELI, PATRIZIA MAESTRI, DALLAI, GASPARINI, D'INCECCO, RIBAUDO, CARELLA, PRINA, TERROSI, LODOLINI, BRUNO BOSSIO, PAOLO ROSSI, GUERRA, MALISANI, COMINELLI, MONTRONI, TIDEI, CAPOZZOLO, AMATO, SGAMBATO, ARLOTTI, SENALDI, NARDUOLO, PETRINI, PATRIARCA, MARCHI, CAMANI, GIUDITTA PINI, BENI, BONOMO, CAPONE, GIUSEPPE GUERINI, LA MARCA, FABBRI, BECATTINI, COVA, IORI, INCERTI, PIAZZONI e CRIVELLARI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge 11 dicembre 2016, n. 232 (legge di bilancio 2017) ha prorogato al 31 dicembre 2017 le disposizioni concernenti le detrazioni fiscali per ristrutturazione edilizia, riqualificazione antisismica ed energetica di cui al decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 90;
   sin dall'origine, della normativa sul cosiddetto «ecobonus», trattandosi di detrazione fiscale, non hanno potuto beneficiare quei soggetti che non sono tenuti al versamento dell'Irpef o dell'Ires perché esenti o incapienti;
   tra i soggetti esclusi rientrano, quindi, anche le associazioni di volontariato e le onlus le quali, anche in ragione delle scarse risorse di cui dispongono, spesso si vedono costrette a procrastinare interventi di ristrutturazione o efficientamento energetico delle proprie sedi, non potendo nemmeno beneficiare dell'incentivo fiscale;
   la legge di bilancio 2017 ha parzialmente affrontato il problema ammettendo, per gli interventi di riqualificazione energetica di parti comuni degli edifici condominiali, che, in luogo della detrazione, i soggetti beneficiari possano optare per la cessione del corrispondente credito ai fornitori che hanno effettuato gli interventi ovvero ad altri soggetti privati (ad esclusione degli istituti di credito e ad intermediari finanziari);
   la cessione dell’«ecobonus» al fornitore, in luogo della detrazione potrebbe rappresentare una valida modalità applicativa che consentirebbe di estendere anche ai soggetti esenti Irpef e Ires l'incentivo fiscale –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative normative volte ad estendere anche ai soggetti esenti Irpef o Ires, quali ad esempio le associazioni di volontariato e le onlus, la possibilità di aver accesso all’«ecobonus» per interventi di ristrutturazione edilizia, riqualificazione antisismica ed energetica per i beni immobili di proprietà.
   (5-11102)


   DELL'ORCO e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 2 agosto 2013 il primo firmatario del presente atto depositava la risoluzione in commissione n. 7-00081 sull'inopportunità della realizzazione del raccordo autostradale Campogalliano-Sassuolo di collegamento tra la A22 e la S.S. 467 Pedemontana. In quell'atto si enumeravano i motivi per i quali si proponeva di abbandonare il progetto tra cui il rischio intaccare aree di protezione di pozzi ad uso acquedottistico idropotabile. Si evidenziava infatti l'altissimo rischio di inquinamento del progetto che inciderebbe ancora su aree attraversate da tratti di falda affiorante a causa di aree di escavazione degli ultimi 30 anni previsti dai PAE;
   nella discussione con il Governo in Commissione questo elemento non è però stato attentamente valutato e le considerazioni del Governo si sono concentrate soprattutto sugli aspetti trasportistici e finanziari dell'opera con un breve cenno agli interventi di mitigazione ambientale che terrebbero conto del valore ambientale e paesaggistico della zona e accorgimenti tecnici riservati al trattamento e smaltimento delle acque, al contenimento delle emissioni acustiche;
   il 19 luglio 2016 insieme al collega Zolezzi, primo firmatario, il sottoscritto depositava un'interrogazione (4-13850), che attende ancora risposta, in cui si evidenziavano in particolare il rischio alluvione e il rischio per la potabilità delle acque che alimentano Modena considerato che tracciato previsto dell'arteria scorre in gran parte sulla conoide del Secchia nel tratto Sassuolo-Formigine che alimenta gli acquiferi di Marzaglia, in una zona molto vulnerabile, a monte della quale vi sono nuove cave estrattive;
   il 4 agosto 2016 il Governo risponde in Senato all'interrogazione Blundo 4-06068 sull'opera e, ancora una volta, non vengono affrontati gli aspetti del rischio inquinamento della falda e si afferma piuttosto genericamente che il progetto ha ottenuto tutte le autorizzazioni previste per legge compresa la Via e che dunque sono state già attentamente valutate tutte le questioni idrogeologiche, ambientali e paesaggistiche. Il Governo continua dunque a far riferimento ad una VIA, datata 2004, che al tempo in cui fu attivata la procedura di valutazione dell'opera, non prevedeva alcuna valutazione dell'impatto ambientale cumulativo dei diversi impatti prodotti nella medesima area, e cosa ben più grave, fotografa una situazione del territorio ben diversa da quella attuale;
   secondo quanto dichiarato sulla stampa locale dai comitati locali che si battono per bloccare la realizzazione dell'opera ed in particolare dall'ingegner Messora, la VIA ometterebbe in particolare di valutare compiutamente il rischio inquinamento della falda legato al polo estrattivo 5.1, già esistente all'epoca della VIA e che oggi è una delle cave inerti più grandi della Regione per concentrazione impianti (8), volume di scavo (circa 16 milioni di metri cubi) ed estensione (circa 440 ettari), peraltro ancora suscettibile di ampliamento e rinnovo alla prossima scadenza;
   la realizzazione del suddetto Polo, seppur non attraversato dalla Bretella, per la vicinanza e posizione di fronte ai sottostanti campi acquiferi nella cui direzione defluiscono le acque, a causa della perdita di copertura per la grande estensione e profondità strati ghiaia e terreno sottratti, oltre ad aver giù alterato la prima falda, avrebbe reso la zona più vulnerabile a qualsiasi ricaduta inquinante –:
   se corrisponda al vero quanto esposto in premessa ed, in particolare, se né nella documentazione depositata dal proponente Anas, né nel parere e nel provvedimento di VIA venga adeguatamente analizzato il rischio di inquinamento idrico del progetto legato alla vicinanza del polo estrattivo 5.1;
   se l'eventuale omissione nella valutazione di VIA del rischio legato al Polo estrattivo 5.1 non possa costituire oggettivo pregiudizio nella valutazione del rischio idrogeologico e non si ritenga pertanto necessario procedere ad una nuova valutazione d'impatto ambientale. (5-11115)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZOLEZZI, VIGNAROLI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO e TERZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Cartiere Villa Lagarina s.p.a. ha presentato domanda di voltura dell'AIA rilasciata precedentemente dalla Società Burgo group, precedente gestore della cartiera di Mantova; tale AIA comprende il revamping dell'inceneritore di rifiuti speciali (fanghi) con la possibilità di bruciare anche rifiuti da altri stabilimenti;
   a tale atto si sono opposti numerosi enti locali (comune di Mantova, San Giorgio e Borgo Virgilio) e comitati locali mediante ricorso al Tar Lombardia;
   in sostanza l'acceso dibattito locale riguarda il grave stato di inquinamento di tutte le matrici ambientali in provincia di Mantova, con particolare riferimento all'aria, che sarebbe peggiorato dalla combustione dei fanghi di cartiera e scarti di pulper ricchi di residui plastici. Il peggioramento sarà dovuto dalle polveri sottili emesse e agli interferenti endocrini, in particolare diossine;
   lo stabilimento fra l'altro, avrebbe un'espansione e una modifica produttiva, producendo in particolare cartoncino ondulato rispetto alla carta da quotidiano prodotta in precedenza;
   il favorevole momento di mercato per questo prodotto e la grave carenza occupazionale stanno conducendo a una situazione di contrapposizione importante fra i vari attori coinvolti; da notizie di stampa esiste un'inchiesta in corso della procura di Mantova in relazione alle fasi autorizzative;
   la sperimentazione «ecopulplast», che risulta in atto in Lucchesia, inserita in un progetto europeo «life», LIFE14 ENV/IT/001050 – http://life-ecopulplast.eu/ –, richiede ancora un po’ di tempo di sviluppo prima di raggiungere una scala industriale. Al momento quindi non rappresenta ancora una concreta alternativa all'attuale smaltimento dello scarto di pulper. Nel corso dei prossimi mesi, grazie all'installazione di una prima linea prototipo di stampaggio pallet, ci saranno maggiori elementi per valutare le reali prospettive del progetto; è stata anche proposto l'utilizzo di « pulper fertile» a fine di compostaggio;
   le metodiche di gestione sostenibile dei fanghi di cartiera e degli scarti del pulper potrebbero consentire un migliore recupero di materia e ridurre le conseguenze ambientali dell'incenerimento;
   il recente decreto «milleproroghe» ha prorogato fino a fine 2017 la possibilità di avere sconti energetici non captando energia dalla rete ma autoproducendola, provvedimento che riguarda qualsiasi metodica produttiva energetica anche da fonte fossile o ad alto tasso inquinante come nel caso dell'incenerimento; questo provvedimento non virtuoso potrebbe cessare in breve tempo –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente dell'efficacia delle metodiche proposte e se intendano implementarle.
(4-16259)


   ZOLEZZI, VIGNAROLI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO e TERZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è in atto una «guerra dei rifiuti» in Italia per cui nel giugno 2015 erano documentati 35 roghi di impianti di riciclo (articolo di Jacopo Giliberto sul « Sole 24 ore»), tale che fino ad oggi questi gravi episodi risultano allo scrivente innumerevoli;
   la provincia di Mantova era stata colpita con un incendio presso la discarica di Mariana Mantovana nel luglio 2015; questa è la discarica con le maggiori volumetrie residue della regione Lombardia, oltre 1,8 milioni di tonnellate, con un'autorizzazione che secondo gli interroganti appare non conforme alla legge regionale sugli indici di pressione e in una zona caratterizzata da precarie condizioni ambientali (stato chimico delle acque superficiali pessimo);
   nella giornata del 4 aprile è andato a fuoco lo stabilimento di Novagli di Montichiari (Brescia) di Angelo Scaroni, legato alla Palwood srl, società di Siracusa che si occupa di recupero imballaggi ed ha svariate connessioni societarie e diversi problemi di bilancio;
   l'incendio è stato caratterizzato da estrema violenza e da fiamme alte decine di metri, tale da costringere l'intervento di mezzi eccezionali di spegnimento incendi, come il «Dragon» che ha applicazioni aeroportuali. Il fumo ha probabilmente causato impatti ambientali e sanitari nella popolazione di Montichiari e della limitrofa Castiglione Delle Stiviere (Mantova) a poche decine di metri;
   la recente inchiesta «Piramidi» ha messo in luce una verosimile pesante infiltrazione da parte della criminalità organizzata della filiera dei rifiuti nazionale –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente delle cause di quest'ultimo incendio e dell'eventuale matrice che connota comunemente questi gravi episodi nel settore della gestione dei rifiuti;
   quali azioni intendano avviare i Ministri interrogati, ognuno per le proprie competenze, per mettere in sicurezza la filiera dei rifiuti sempre più infiltrata dalla criminalità organizzata con possibili rischi ambientali e sanitari per i cittadini.
(4-16260)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FANTINATI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con la sentenza n. 3467/2017, il Tar del Lazio (sezione seconda Quater), ha condannato l'Enit «a risarcire il danno subito dalla Gamma Eventi srl nella misura complessiva di euro 6.760,00, oltre al computo della rivalutazione monetaria e degli interessi legali»;
   a questo va aggiunto il pagamento delle spese legali per complessivi 4.000,00 euro, «oltre accessori come per legge, nonché alla restituzione dell'importo dovuto per il contributo unificato, se effettivamente versato»;
   per quanto consta all'interrogante, il cumulo delle spese a carico dell'Agenzia nazionale del turismo sarà di circa 20 mila euro;
   all'origine della vicenda che ha portato alla citata sentenza, c’è il ricorso presentato dalla Gamma Eventi srl contro Enit per la mancata aggiudicazione di un bando di gara per il servizio di progettazione esecutiva, allestimento e funzionamento dello stand Enit Italia Mice per la fiera Ibtm World di Barcellona (29 novembre-10 dicembre 2016) con il valore d'importo a base d'asta di 150.000 euro;
   ad aggiudicarsi la selezione erano state la Rti Colorcom allestimenti fieristici srl/Ab Comunicazioni srl;
   Gamma Eventi srl aveva chiesto, e ottenuto, l'annullamento dell'atto di aggiudicazione ritenuto illegittimo, oltre alla richiesta di subentro nel contratto stipulato e il risarcimento dei danni subiti;
   secondo i giudici amministrativi è stato provato «documentalmente come Enit – e per essa la commissione nominata – non ha correttamente operato, violando le prescrizioni del Codice dei contratti pubblici che escludono recisamente il potere della commissione di definire, per la prima volta rispetto alla lex specialis di gara, i criteri di valutazione delle offerte»;
   forti polemiche avevano suscitato anche le modalità seguite da Enit che non aveva assicurato le corrette forme di evidenza e pubblicità degli atti di gara, così come previsto dall'articolo 29 del decreto legislativo n. 50 del 2016;
   la Colorcom, «allestitore di fiducia» dell'Agenzia turistica del Lazio (il cui presidente era Gianni Bastianelli, attualmente direttore generale di Enit) e di altre regioni, attualmente è coinvolta in un'inchiesta a Milano su Expo e sugli appalti dell'Ente Fiera, come pubblicato dal Corriere della Sera in un articolo del 31 dicembre 2016;
   l'Enit, Agenzia nazionale del turismo, è sottoposto alla vigilanza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo –:
   di quali informazioni disponga il Ministro interrogato in merito alla vicenda descritta in premessa;
   quali iniziative s'intendono assumere per prevenire sprechi di risorse pubbliche, dato che esistono concrete possibilità, secondo l'interrogante, che si configuri un danno erariale. (5-11101)

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a quanto si apprende dagli organi di stampa il Ministro interrogato starebbe affidando la direzione ad interim del Parco del Colosseo, che comprende oltre all'anfiteatro Flavio anche il Foro Romano e la Domus Aurea, all'architetto Federica Galloni;
   l'architetto Galloni ha già la direzione ad interim del Museo nazionale romano, dove però in questi sette mesi non ha mostrato un apporto positivo sensibile;
   anzi, si è addirittura rifiutata di prendere in consegna gli spazi museali e gli uffici, salvo poi concedere, senza titolo, quegli stessi spazi per iniziative di dubbia qualità;
   l'architetto Galloni era salita agli onori della cronaca nel 2010 per essere apparsa nella lista Anemone, in quanto aveva curato la ristrutturazione di un appartamento di Propaganda Fide vicino a piazza Navona per cui era stata pagata da Anemone stesso;
   in quel periodo (2005) ella era funzionaria della Soprintendenza di Roma e dunque non avrebbe dovuto effettuare lavori da libero professionista, tanto meno nel territorio di competenza;
   l'architetto Galloni risulta dunque aver ignorato gli obblighi di esclusività del dipendente pubblico, eppure sorprendentemente per questa grave infrazione non ha subito alcuna conseguenza, né ha avuto provvedimenti disciplinari;
   nel 2013, come se ciò non bastasse, l'architetto Galloni è stata coinvolta nella polemica riguardo al bando di gara della direzione regionale del Lazio di cui era direttore per gli spazi espositivi del Vittoriano, bloccato dal Tar per clausole anticoncorrenziali;
   il bando, infatti, secondo il ricorso accolto dal Tar sarebbe stato fatto su misura per la società che già gestiva il sito;
   peraltro, ella è stata anche processata e assolta in merito alla rimozione del vincolo di una commode del XVIII secolo, poi esportata;
   nonostante tutte queste vicende, che desterebbero enormi perplessità su chiunque, l'architetto Galloni è tuttora alla testa della direzione per il contemporaneo e le periferie urbane, dirige ad interim il Museo nazionale romano e potrebbe ora vedersi affidato anche il sito archeologico più visitato del mondo –:
   se quanto riportato dalle agenzie di stampa riguardo la possibile nomina ad interim dell'architetto Galloni corrisponda a verità;
   se non ritenga del tutto inopportuno affidare la direzione, e dunque anche il controllo amministrativo, di luoghi così importanti e dagli incassi così rilevanti ad una figura con trascorsi che destano così evidenti perplessità. (4-16257)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   ZARATTI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   circa un mese fa attraverso un'intervista rilasciata al quotidiano la Repubblica, il Ministro della difesa onorevole Roberta Pinotti ha annunciato che nell'area del parco archeologico di Centocelle, sito nel territorio nel municipio V di Roma Capitale, troverà sede il nuovo comando interforze denominato «PENTAGONO»;
   a Centocelle sarebbero in fase di trasferimento dal centro storico circa 2000 persone della Direzione generale degli armamenti che si andrebbero ad aggiungere al personale del comando operativo che gestisce tutte le missioni all'estero e in Italia;
   per la realizzazione del nuovo comando, sarebbero utilizzati parte degli spazi e cubature già disponibili, ma anche nuove strade e infrastrutture che andrebbero ad interferire con le attuali progettazioni ed opere in corso di realizzazione riguardanti il parco archeologico di Centocelle;
   con deliberazione n. 676 del 20 ottobre 2006 la giunta regionale ha approvato il «Piano Particolareggiato in variante al P.R.G. per l'attuazione del Comprensorio Direzionale Orientale di Centocelle, sub comprensorio “Parco di Centocelle” avente destinazione “I” articolo 4 – Legge regionale 36/87»;
   con deliberazione del consiglio comunale n. 220 del 5 novembre 2007 «articolo 2 Legge 15 dicembre 1990, n. 396 recante interventi per Roma Capitale della Repubblica» sono stati impegnati fondi per un importo pari a circa 6 milioni di euro per «la progettazione e realizzazione degli interventi previsti nei comprensori direzionali di Pietralata, Tiburtino e Centocelle – Quadraro, in attuazione degli strumenti esecutivi approvati – Parco di Centocelle» e per «la valorizzazione delle Ville romane» presenti nel parco;
   il parco archeologico di Centocelle rappresenta un ulteriore polmone verde all'interno del sistema ambientale di Roma Capitale, la cui valorizzazione è iniziata con la delimitazione dei primi 33 ettari dell'area, la realizzazione di un'importante zona boscata lungo la via Casilina, (500 alberi), la costruzione di una rete di percorsi ciclabili e di servizio, la sistemazione di oggetti di arredo come lampioni, panchine di legno, rastrelliere per biciclette, cestini portarifiuti, giochi per bambini, nel tempo oggetto di atti di vandalismo che ne hanno comportato una progressiva devastazione e distruzione;
   sull'area insistono vincoli archeologici – paesaggistici (legge n. 1497 del 1939) e di interesse storico-archeologico (legge n. 1089 del 1939) per le importanti preesistenze storiche rinvenute nel corso degli scavi guidati dalla (sovraintendenza comunale risalenti all'VIII, VII sec. a.C. fino al V, VI sec. d.C che fanno di questa aerea un importante punto di attrazione archeologica e storica della periferia est di Roma –:
   se risultino fondate le notizie apprese a mezzo stampa della prossima localizzazione nell'area del parco archeologico di Centocelle, sito nel territorio del municipio V di Roma Capitale, del comando interforze denominato «PENTAGONO» e se opere ed infrastrutture ad esso connesse non possano pregiudicare i vincoli archeologici e paesaggistici gravanti sull'area, a tutela del suo fondamentale valore storico e culturale che la realizzazione del parco archeologico di Centocelle intende preservare e rendere fruibile. (4-16245)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   SOTTANELLI e ZANETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta dal servizio della trasmissione televisiva « Striscia la notizia» del 27 febbraio 2017, l'immobile sito in Roma, Viale Ciamarra, 139, appartiene ad un fondo immobiliare che fa capo al Ministero dell'economia e delle finanze, la cui intestazione risulterebbe avvenuta a seguito di operazioni di cartolarizzazione relative ad immobili pubblici, introdotte negli anni passati;
   dalle informazioni reperibili dal sito dell'Agenzia delle entrate, l'Agenzia sembrerebbe corrispondere un canone annuo per la locazione di tale immobile di 3.659.291,82 euro;
   l'Agenzia delle entrate, che paga un canone mensile di 304.940,983 euro, risulterebbe aver stipulato un rapporto contrattuale di locazione la cui durata è prevista sino al 2022;
   attualmente, sembrerebbe che l'immobile richiamato sia parzialmente inagibile, in quanto è in corso un'operazione di ristrutturazione e di bonifica dei locali dovuta al ritrovamento di fibre di amianto all'interno dell'impianto di aerazione –:
   se il canone di affitto mensile dell'immobile sia congruo con i valori di mercato e più in generale, quale sia lo stato economico e patrimoniale dell'immobile, nonché quali chiarimenti possa fornire in ordine alla situazione riferita all'immobile stesso, con particolare riferimento ai costi di ristrutturazione e bonifica in corso. (5-11104)


   GIACOMONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge di bilancio 2017 ha introdotto due nuove forme di agevolazioni fiscali dirette a incentivare gli investimenti a lungo termine, specialmente nel capitale delle piccole e medie imprese italiane ed europee;
   in particolare, si prevede, a favore di casse previdenziali e fondi pensione, la detassazione per i redditi derivanti dagli investimenti a lungo termine (almeno 5 anni) nel capitale delle imprese, nel limite del 5 per cento del loro patrimonio;
   inoltre, si prevede, a favore delle persone fisiche residenti in Italia, al di fuori dello svolgimento di imprese commerciali, un'esenzione fiscale per i redditi di capitale e i redditi diversi derivanti dagli investimenti effettuati in piani individuali di risparmio a lungo termine (cosiddetti PIR); per beneficiare delle esenzioni tali strumenti finanziari devono essere detenuti per almeno 5 anni e devono investire nel capitale di imprese italiane e europee, con una riserva per le piccole e medie imprese, nei limiti di 30.000 euro all'anno e, comunque, di complessivi 150.000 euro;
   in ciascun anno solare di durata dei PIR, per almeno i due terzi dell'anno stesso, le somme o i valori nel piano di risparmio devono essere investiti per almeno il 70 per cento in strumenti finanziari, emessi o stipulati con imprese che svolgono attività diverse da quella immobiliare, fiscalmente residenti in Italia o in Stati membri dell'Unione europea o aderenti all'accordo sullo spazio economico europeo con stabili organizzazioni in Italia; la restante quota del 30 per cento può essere investita in qualsiasi strumento finanziario; la predetta quota del 70 per cento deve essere investita per almeno il 30 per cento in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle inserite nell'indice FTSE MIB di Borsa italiana o in indici equivalenti;
   nelle ultime settimane, molte società di gestione hanno lanciato strumenti PIR e il mercato sembra aver reagito positivamente, veicolando abbastanza celermente discreti patrimoni su questi strumenti;
   al contrario, le agevolazioni per investimenti a lungo termine da parte di enti previdenziali e fondi pensioni non sembrano ancora utilizzabili, mentre sarebbe quanto mai opportuno consentire a tali soggetti di investire una parte della loro raccolta nei PIR, come strumento di investimento diretto –:
   attraverso quali iniziative il Ministro interrogato intenda consentire l'investimento nei PIR anche agli investitori istituzionali, come enti previdenziali e fondi pensioni, e se intenda includere tra gli investimenti agevolabili a favore di enti previdenziali e fondi pensioni quelli in private equity, nel venture capital e in titoli di debito delle imprese. (5-11105)


   GEBHARD. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998 prevede l'utilizzo del collegamento telematico con l'Agenzia delle entrate per una serie di soggetti autorizzati che, nello specifico, sono:
    a) gli iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e dei periti commerciali e dei consulenti del lavoro;
    b) i soggetti iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la sub-categoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o diploma di ragioneria;
    c) le associazioni sindacali di categoria tra imprenditori indicate nell'articolo 32, comma 1, lettere a), b) e c), del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, nonché quelle che associano soggetti appartenenti a minoranze etnico-linguistiche;
    d) i centri di assistenza fiscale per le imprese e per i lavoratori dipendenti e pensionati;
    e) gli altri incaricati individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze;
   tutti questi soggetti sono abilitati anche all'invio telematico delle dichiarazioni di successione;
   ultimamente, l'Agenzia delle entrate, con il provvedimento del 1o marzo 2017, emanato ai sensi dell'articolo 3, comma 3, lettera e), del decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998, ha esteso ulteriormente la platea dei soggetti incaricati alla trasmissione telematica, seppure limitatamente alla trasmissione delle dichiarazioni di successione telematica e alla domanda di volture catastali, abilitando anche gli iscritti all'albo professionale dei geometri e dei geometri laureati e gli iscritti all'albo professionale dei periti industriali e dei periti industriali laureati, in possesso di specializzazione in edilizia, anche riuniti in forma associativa, con la motivazione che «i soggetti in esame, oltre a possedere i necessari requisiti tecnici ed organizzativi, svolgono un ruolo significativo nei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione» –:
   se il Ministro interrogato ritenga opportuno considerare l'opportunità di includere, tra i soggetti incaricati della trasmissione in via telematica delle dichiarazioni di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998, anche gli iscritti all'albo professionale degli avvocati che, oltre a possedere i necessari requisiti tecnici e organizzativi, svolgono indubbiamente un ruolo significativo nei rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione e di fatto, ad oggi, restano gli unici esclusi tra le categorie dei professionisti.
(5-11106)


   ZOGGIA, BERSANI e RAGOSTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Banca popolare di Vicenza è attualmente controllata dal «Fondo Atlante» e ha chiuso l'offerta pubblica di transazione (Opt) con i soci «azzerati» raccogliendo adesioni pari al 70,3 per cento delle azioni incluse nel perimetro della proposta, al netto dei soci irreperibili e delle posizioni già oggetto di specifica analisi;
   l'esercizio 2016 si è chiuso con una perdita di 1,9 miliardi di euro, dopo gli 1,4 miliardi di euro di rosso accumulati nel 2015. Sul risultato, si legge in una nota della banca, hanno pesato accantonamenti e rettifiche per 1,72 miliardi di euro;
   per risollevarsi, la Banca popolare di Vicenza ha chiesto alla Banca centrale europea di autorizzare l'ingresso dello Stato nel capitale; il ricorso agli aiuti di Stato «è un processo articolato e complesso, che richiede la preventiva decisione della Direzione Generale della Concorrenza (DG Comp) della Commissione europea sulla compatibilità dell'intervento con la normativa in materia di aiuti di Stato i cui esiti sono allo stato incerti»; «Il rafforzamento patrimoniale rappresenta un presupposto per la continuità aziendale e per il positivo completamento dell'operazione di fusione»;
   il peggioramento degli indici di liquidità, invece, ha spinto la banca a chiedere alla Banca d'Italia e al Ministero dell'economia e delle finanze di poter emettere altri titoli con garanzia dello Stato fino a un massimo di 2,2 miliardi di euro, con una durata di 3 anni;
   nel mese di marzo la situazione della liquidità «è peggiorata quale conseguenza della significativa uscita di raccolta commerciale a seguito dei timori di bail-in connessi alle incertezze sul processo di ricapitalizzazione»;
   nel 2016, la raccolta diretta era già scesa del 14,4 per cento, a 18,8 miliardi di euro, per via degli «impatti reputazionali» sul Gruppo –:
   quali iniziative urgenti di competenza il Governo intenda intraprendere al fine di scongiurare il precipitare della crisi che la Banca popolare di Vicenza sta attraversando. (5-11107)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 59 del 2016 stabilisce la possibilità di ottenere un rimborso automatico parziale per alcune categorie di risparmiatori-investitori colpiti da una perdita patrimoniale a seguito della procedura di risoluzione adottata per le banche Banca Popolare dell'Etruria spa, Banca Marche spa, Carife spa, Carichieti spa;
   il 31 maggio 2017 scadrà il termine per presentare domanda per accedere al rimborso forfetario dei bond, attraverso una procedura automatica che riconosce fino all'80 per cento dell'importo a chi risponda al requisito di percepire un reddito annuo non oltre i 35 mila euro o aver effettuato un investimento non superiore ai 100 mila euro; si tratta, pertanto, di rimborsi che coprono meno della metà delle perdite subite dai piccoli risparmiatori, e, pertanto, rappresentano un fallimento del Governo e non soddisfano minimamente gli investitori;
   il Codacons ha calcolato che, quando sarà completato l'intero processo e tutte le richieste di rimborso saranno espletate, gli indennizzi raggiungeranno quota 190 milioni di euro, appena il 44 per cento di quanto perso dagli obbligazionisti; il valore delle obbligazioni azzerate per i 12.500 risparmiatori retail dei quattro istituti di credito ammonta, infatti, a 431 milioni di euro, ma non potranno beneficiare dei rimborsi parziali, in quanto la procedura è riservata, come si è visto ai patrimoni mobiliari inferiori ai 100.000 euro e reddito al di sotto dei 35.000 euro;
   fino al 3 gennaio 2017, le liquidazioni assicurate dal fondo interbancario ammontavano a 37,5 milioni di euro, ed hanno coinvolto 2.854 pratiche, a fronte delle circa 14.000 pratiche pervenute; per le rimanenti vi sarebbe tempo fino al 31 luglio, cioè sessanta giorni dopo la scadenza del termine per presentare le domande;
   risulta all'interrogante che il tempo medio di rimborso si aggiri intorno ai 150 giorni, mentre per conoscere l'esito dell'accoglimento delle istanze occorrerebbero mediamente alcune settimane –:
   quali siano le ragioni del rallentamento del processo di rimborso e come il Ministro interrogato intenda affrontare, per quanto di competenza, la situazione, al fine di dare risposte certe e definitive agli ignari ed inconsapevoli risparmiatori danneggiati. (5-11108)


   RUOCCO, SIBILIA, ALBERTI, PISANO, PESCO, FICO e VILLAROSA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ai fini dell'applicazione dell'aliquota agevolata per gli atti di acquisto delle abitazioni non di lusso, ovvero altro diritto reale relativo sulle stesse, è necessario, unitamente alle altre condizioni previste dalla legge, che l'immobile oggetto del beneficio «sia ubicato nel territorio del comune in cui l'acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall'acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l'acquirente svolge la propria attività... La dichiarazione di voler stabilire la residenza nel comune ove è ubicato l'immobile acquistato deve essere resa, a pena di decadenza, dall'acquirente nell'atto di acquisto» (Nota II-bis, articolo 1, comma 1, tariffa, parte prima del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131);
   secondo il testo della norma, quindi, la dichiarazione nell'atto di acquisto è obbligatoria esclusivamente nell'ipotesi in cui i benefici siano richiesti in prospettiva dello spostamento della residenza nei successivi 18 mesi;
   nella pratica delle compravendite immobiliari, è invalsa la prassi di inserire la promessa di spostamento della residenza in tutte le ipotesi di acquisto agevolato, anche in quelle in cui il contribuente avrebbe potuto farne a meno, essendo, sovente, l'abitazione già situata nel comune ove il medesimo lavora, e quindi destinataria ipso facto del beneficio; tale inconveniente è stato favorito anche dall'assenza di un paritetico obbligo dichiarativo nell'ipotesi de quo che non ne ha stimolato la ricezione nei formulari professionali in uso;
   tuttavia, la Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 3457 del 2016, ha stabilito l'obbligatorietà di dichiarare nell'atto di acquisto, a pena di decadenza, la volontà di trasferirsi nel luogo di lavoro: un orientamento che fa certamente chiarezza, parificando le due ipotesi agevolative, ma che non risolve, purtroppo, la situazione di quanti, negli anni precedenti, hanno escluso l'obbligatorietà confidando nel tenore letterale della legge;
   si deve rammentare, infine, che decorsi 18 mesi dall'acquisto, senza il trasferimento della residenza nel comune ove l'immobile è ubicato, l'Agenzia recupera l'imposta ordinaria oltre la sanzione del 30 per cento sull'imposta dovuta –:
   quali iniziative intenda intraprendere affinché gli acquirenti delle abitazioni, che hanno dichiarato l'intenzione di spostare la residenza nei comuni ove esse sono ubicate, conservino il diritto alle agevolazioni fiscali anche nel caso di mancato trasferimento della stessa nei successivi diciotto mesi, purché all'atto dell'acquisto risulti inequivocabilmente dimostrato che ivi svolgevano la propria attività lavorativa, autonoma o dipendente. (5-11109)


   MORETTO, CRIVELLARI e PELILLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 7, comma 9-septiesdecies, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, stabilisce che in previsione dell'adozione della disciplina relativa alle concessioni demaniali marittime, le regioni, operino una ricognizione delle rispettive fasce costiere, finalizzata anche alla proposta di revisione organica delle zone di demanio marittimo ricadenti nei propri territori;
   la proposta di delimitazione è inoltrata al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e all'Agenzia del demanio, che attivano, per gli aspetti di rispettiva competenza, i procedimenti previsti dagli articoli 32 e 35 del codice della navigazione, anche convocando apposite conferenze di servizi;
   il citato articolo 32 del codice della navigazione prevede, tra l'altro, che il capo del compartimento, quando sia necessario o se comunque ritenga opportuno promuovere la delimitazione di determinate zone del demanio marittimo, invita, nei modi stabiliti dal regolamento, le pubbliche amministrazioni e i privati che possono avervi interesse a presentare le loro deduzioni e ad assistere alle relative operazioni;
   tali procedimenti di delimitazione risultano avviati in alcune zone del delta del Po, in particolare nei comuni di Rosolina, Porto Tolle e Porto Viro ove aree che le pubbliche amministrazioni ritengono appartenenti al demanio marittimo sono ancora intestate a privati, con conseguenti contenziosi su cui si è espressa la giurisprudenza di merito e di legittimità (Cassazione penale, sezione III, sentenza 18 gennaio 2006 n. 9644, in termini analoghi Cassazione penale, sezione III, sentenza 10 febbraio 2004);
   con riferimento alla laguna di Caleri, nel comune di Rosolina, il tribunale di Rovigo ha condannato per occupazione abusiva di area demaniale alcuni privati che avevano avuto in locazione tali aree da chi risultava proprietario-intestatario catastale;
   questa situazione di incertezza è particolarmente sentita anche a Porto Tolte ove è pendente un contenzioso avanti il tribunale amministrativo regionale e varie iniziative sono bloccate in tratti di territorio che l'amministrazione ritiene abbiano acquisito le caratteristiche della demanialità;
   la giunta regionale del veneto, con delibera n. 2031 del 23 dicembre 2015, ha preso atto della ricognizione effettuata in alcuni comuni, in merito alla questione, inviandola ai citati Ministeri per gli adempimenti di competenza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione di ritardo venutasi a creare e come intenda procedere, per quanto di competenza, per la necessaria soluzione volta a dirimere il contenzioso in essere. (5-11110)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta immediata:


   ANDREA MAESTRI, DANIELE FARINA, CIVATI, BRIGNONE, PASTORINO e MARCON. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   con nota del 7 febbraio 2017, il Ministro interrogato ha rivolto al Consiglio di Stato un quesito in ordine a uno specifico profilo attuativo della legge 28 aprile 2016, n. 57, recante «Delega al Governo per la riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace»;
   in particolare, il Ministro interrogato chiedeva:
    a) se, in sede di attuazione dei criteri di delega in materia di disciplina transitoria, si possano predisporre misure di stabilizzazione con attribuzione dello statuto del pubblico impiegato, quanto meno relativamente ai magistrati onorari i quali, alla scadenza dei quattro quadrienni previsti dal citato comma 17 dell'articolo 2 della legge, raggiungeranno un'età «effettivamente incompatibile con un nuovo inserimento nel mercato del lavoro»;
    b) se siffatte misure siano, per un verso, compatibili con le finalità e la ratio della legge e, per l'altro, se e in quali limiti siano conciliabili con il complessivo assetto dell'ordinamento interno, delineato, in primo luogo, dai principi costituzionali dell'onorarietà della magistratura non professionale e dell'accesso alla magistratura ordinaria e, più in generale, ai pubblici uffici per concorso, a norma degli articoli 106, primo comma, e 97, ultimo comma, della Costituzione;
   il parere si esprime su tre forme di stabilizzazione;
   la prima è la stabilizzazione come pubblici impiegati («assunzione a tempo indeterminato dei giudici onorari prorogati»), in ipotesi nel comparto giustizia. Il Consiglio di Stato non conclude nel senso che sia inattuabile, ma nel senso che debba essere attentamente verificata. Esclude che sia realizzabile con la qualifica di dirigenti;
   la seconda è la stabilizzazione con la qualifica di magistrati: «attraverso l'incardinamento nei ruoli della magistratura “togata”, ovvero con l'istituzione di un contingente (sia pure straordinario) di magistrati “onorari” assunti a tempo indeterminato», ipotesi che il Consiglio di Stato esclude;
   la terza è la stabilizzazione limitata, non si dice in quali termini e secondo quali criteri, a «una parte dei giudici onorari in servizio» e consisterebbe nella «mera “conservazione dell'incarico in corso”  sino al conseguimento dell'età pensionabile»;
   il parere del Consiglio di Stato, pur con diverse precisazioni, afferma la possibilità che si proceda alla stabilizzazione secondo la prima e la terza ipotesi –:
   come intenda il Ministro interrogato dare seguito e in che tempi al parere espresso dal Consiglio di Stato in ordine alla stabilizzazione della magistratura onoraria. (3-02943)


   MENORELLO. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   la legge n. 193 del 2000, cosiddetta legge Smuraglia, prevede, come noto, sgravi contributivi e fiscali per le imprese o cooperative che assumano detenuti;
   i risultati del lavoro nelle carceri sono fra gli esempi più evidenti della positività di una rieducazione che punti sul lavoro, attraverso il quale la persona percepisce nuovamente un'utilità per sé, per la propria famiglia, per l'intera società, peraltro potendo tessere nuovamente rapporti umani virtuosi;
   molti sono i casi in Italia di splendide esperienze in tal senso, di professionalità acquisite, di commoventi percorsi di vera e propria «risurrezione» umana, ma anche per la società il vantaggio è inconfutabile;
   infatti, per i detenuti che abbiano iniziato un percorso lavorativo la recidiva, una volta terminata la pena, si riduce a percentuali trascurabili, mentre di norma essa rappresenta un'eventualità purtroppo fisiologica;
   in più occasioni anche i più alti vertici dello Stato hanno richiamato l'esigenza di un profondo rinnovamento del modello di detenzione che sappia, da un lato, garantire la sicurezza della comunità e, dall'altro, consentire l'opportunità dell'istruzione, del lavoro, l'apertura alla società esterna, per offrire ai detenuti la scelta del recupero e dell'integrazione;
   d'altronde, che in questo senso si diriga il legislatore è dimostrato dal decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, nel quale, all'articolo 8, si individua il lavoro come strumento privilegiato per l'integrazione anche delle persone immigrate che arrivano in Italia;
   tuttavia, con provvedimento dell'amministrazione penitenziaria del 6 dicembre 2016, ben il 50 per cento delle somme richieste per il corrente anno 2017 non è stato accolto, così dimostrandosi il fondo gravemente insufficiente rispetto alle esigenze delle imprese e delle cooperative che occupano i detenuti –:
   quali opportune ed efficaci iniziative intenda adottare, al fine di rendere congrue le disponibilità per promuovere il lavoro dei detenuti presso realtà imprenditoriali e cooperativistiche, secondo le indicazioni del Parlamento. (3-02944)


   MAROTTA. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   recenti sondaggi concordano nel confermare che tra i cittadini italiani cresce la sensazione di insicurezza;
   quasi due terzi dei cittadini ritiene legittimo difendersi con qualsiasi mezzo dalle aggressioni in casa, una percentuale che nel 2016 superava appena il 50 per cento;
   oggi meno del 30 per cento dei cittadini (una percentuale significativa, ma decisamente minoritaria) si dichiara contrario ad una reazione eventualmente eccessiva; una convinzione che si è ridotta nel tempo riguardando nel 2016 il 43 per cento dei medesimi;
   particolarmente invisa ai cittadini è la decisione contenuta in diverse sentenze, che prevede un risarcimento del danno prodotto dalla persona offesa all'aggressore, nei casi in cui viene stabilito l'eccesso di legittima difesa;
   gli interroganti ritengono dovere del Governo e della maggioranza individuare una linea comune in grado di rassicurare i cittadini, dare voce al sentire popolare ed evitare di alimentare il populismo che reclama il diritto di esercitare una risposta anche violenta rispetto alle violazioni di domicilio ed ai crimini correlati –:
   se non ritenga opportuno adottare iniziative normative urgenti al fine di ampliare la sfera applicativa della legittima difesa e di escludere qualsiasi ipotesi di risarcibilità per i danni prodotti all'aggressore dai soggetti oggetto di aggressione. (3-02945)

Interrogazione a risposta scritta:


   CATANOSO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il mestiere di medico penitenziario, come sostiene l'ex-direttore sanitario di Rebibbia, «è una professione non conosciuta e poco riconosciuta, ricchissima di competenze, equiparata sbrigativamente al medico di medicina generale. Molti ne ignorano le norme, le procedure, le convenzioni, l'autonomia professionale stabilita discrezionalmente dall'autorità penitenziaria»;
   si rivolge a detenuti pazienti con forti disagi psichici e fisici, amplificati dagli spazi costretti di una comunità confinata, dall'alimentazione incontrollata e dalla forte carenza di movimento fisico;
   inoltre, i medici penitenziari sono pochi e soprattutto non distribuiti secondo i carichi di lavoro;
   da quanto risulta all'interrogante che la norma dettata dal dipartimento della amministrazione penitenziaria di programmazione del servizio con eventuale potere di ridistribuzione delle risorse economiche ed umane per lungo tempo non è stata applicata;
   parimenti, per lungo tempo non è stata recepita, inoltre, la legge n. 230 del 1999 che sanciva il trasferimento dell'assistenza sanitaria carceraria dall'amministrazione della giustizia a quella della salute, quindi alle Associazioni sanitarie locali;
   l'amministrazione della giustizia, e di conseguenza l'autorità giudiziaria, tendevano a conservare lo status quo fino a quando i nuovi soggetti del servizio sanitario pubblico non si sarebbero dimostrati entusiasti di acquisire, insieme alla sanità penitenziaria, anche tutti quei problemi carcerari che ruotano sulla socialità finalizzata al recupero umano, ma con poche risorse adeguate;
   il medico penitenziario in Italia è subordinato al direttore amministrativo del carcere e può esprimere solo dei pareri consultivi. Nella realtà, il medico penitenziario, oltre alle visite mediche, è obbligato ad assolvere alla tutela dell'igiene della persona fisica, all'igiene ambientale, alla medicina legale, alla certificazione della compatibilità della persona con il regime penitenziario, a controllare la situazione sanitaria fisica e psichica del detenuto, a occuparsi di medicina del lavoro, a provvedere all'acquisto di farmaci e sostanze stupefacenti, a coordinare i servizi dei medici di guardia e dei medici specialisti, a rispettare il budget senza nemmeno essere stato consultato sull'adeguatezza: insomma è la figura professionale di un capo-dipartimento di una struttura pubblica;
   con un ruolo richiesto, senza lo status professionale riconosciuto;
   da sempre e fino al 2015, i medici di guardia penitenziaria hanno prestato il loro servizio con contratto libero professionale, biennale e rinnovo a scadenza, in regime di compatibilità con gli altri incarichi lavorativi come previsto dalla legge n. 740 del 1970;
   dal 2008 nelle altre regioni e dal 2015 in Sicilia sono transitati alle dipendenze delle sanità regionali con cui non sono mai stati firmati contratti collettivi e tantomeno convocati dalle singole asp competenti territorialmente. Solo una comunicazione sommaria all'amministrazione penitenziaria di continuare ad operare in attesa della nuova organizzazione;
   questi medici lavorano senza contratto collettivo, forse neanche un contratto libero/professionale, e sono pagati dalle asl/asp provinciali;
   il rischio concreto è che questa categoria di medici vengano rimpiazzati, al momento della definizione delle piante organiche penitenziarie regionali e dei relativi fabbisogni, attingendo dalle graduatorie della continuità assistenziale (guardia medica) con un trattamento economico e di tutela normativa differente e migliore, con i relativi e maggiori oneri a carico dei bilanci regionali;
   per gli psichiatri penitenziari la situazione è quasi analoga, ma in peius: per rimanere in organico dovrebbero essere assunti tramite concorso pubblico e senza alcuna priorità o riserva dovuta all'esperienza, a volte più che decennale all'interno dello stesso istituto;
   così come per gli infermieri, ancora più in peius, la cui sostituzione con personale proveniente dalle graduatorie asl/asp, è in corso;
   non è dato sapere, ad oggi, la sorte che i vari assessori regionali alla sanità hanno assegnato alle professioni sanitarie operanti nelle strutture carcerarie e nemmeno quali iniziative sta assumendo il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria per questo personale –:
   quali iniziative di competenza intendano adottare i Ministri interrogati al fine di risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-16252)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta immediata:


   PRESTIGIACOMO. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 169 del 2016 ha provveduto ad una riorganizzazione della disciplina delle autorità portuali, mediante l'istituzione di quindici autorità di sistema portuale (AdSP), in sostituzione delle precedenti ventiquattro;
   nell'ambito della riforma, all'interno della Regione siciliana sono state istituite due autorità di sistema portuale: quella del Mare di Sicilia occidentale, comprendente i porti di Palermo, Termini Imerese, Porto Empedocle e Trapani, e quella orientale, di cui fanno parte i porti di Augusta e Catania;
   risulta che con successivo decreto ministeriale del 25 gennaio 2017 la sede dell'autorità di sistema portuale del Mar di Sicilia orientale è stata individuata nel porto di Catania, in accoglimento dell'istanza del presidente della regione, che ha individuato per due anni, in via transitoria, quale sede dell'autorità del Mare di Sicilia orientale proprio Catania e non Augusta, unico porto «core» della Sicilia orientale;
   su questo tema e sul decreto ministeriale in oggetto, nei mesi di febbraio e marzo 2017 l'interrogante ha svolto un'interrogazione a risposta immediata in Assemblea e due interrogazioni a risposta immediata in Commissione, sottolineando come il porto di Augusta rappresentasse il più grande porto naturale del basso Mediterraneo, nonché la sede di un importante porto commerciale e polo industriale. Nelle risposte ottenute dal Governo non è mai stata messa in discussione l'esistenza del decreto ministeriale citato;
   nelle scorse settimane l'associazione Assoporto Augusta ha depositato presso il tribunale amministrativo regionale di Catania il ricorso contro il citato decreto ministeriale del 25 gennaio 2017. Secondo i ricorrenti, nello specifico, il decreto sarebbe illegittimo «sia per vizi propri che in via derivata, essendo illegittimi gli atti presupposti costituiti anche dalle due note con cui il presidente della regione, con dati non veritieri, ha chiesto lo spostamento della sede», inoltre, sarebbero state disattese anche «le prescrizioni del regolamento europeo, che non comprende Catania nella rete globale Ten-T»;
   con ordinanza n. 236 del 5 aprile 2017, il tribunale amministrativo regionale di Catania ha respinto il ricorso di Assoporto in quanto «non risulta che il decreto impugnato sia stato pubblicato o in qualsiasi modo reso conoscibile all'esterno» e, di conseguenza, «non è stato dimostrato che l'avversato provvedimento abbia iniziato a produrre i suoi effetti» –:
   se intenda fornire chiarimenti sulla vicenda esposta in premessa fornendo informazioni precise ed univoche in merito all'esistenza o meno del citato decreto ministeriale del 25 gennaio 2017, ovvero se si sia proceduto ad un suo ritiro. (3-02953)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IX Commissione:


   GREGORI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   ogni giorno sono quasi 5,5 milioni le persone che prendono i treni per spostarsi per ragioni di lavoro o di studio. Di questi, sono 2 milioni e 832 mila i passeggeri che usufruiscono del servizio ferroviario regionale, divisi tra 1,37 milioni che utilizzano i convogli di Trenitalia e 1,46 milioni che utilizzano quelli degli altri 20 concessionari;
   i pendolari, ciclicamente, subiscono l'amara sorpresa di un rincaro delle tariffe; a detta di Trenitalia Spa, i rincari derivano dal mancato rifinanziamento da parte delle regioni della Carta Tutto Treno che consente prezzi agevolati;
   a seguito delle proteste dei pendolari, per quanto a conoscenza dell'interrogante, solo in alcune regioni sono stati raggiunti accordi con Trenitalia Spa per il rifinanziamento dei programmi di Carta Tutto Treno;
   i disagi dei pendolari derivano anche dalla cancellazione di alcuni treni e dalla scarsa frequenza dei convogli per raggiungere le aree metropolitane, in sintesi da una scarsa qualità del trasporto;
   è necessario invertire radicalmente la modalità del trasporto pubblico, creando le condizioni di un servizio di trasporto su ferro qualitativamente adeguato, in particolare, alle esigenze dei lavoratori e studenti pendolari;
   è necessario quindi aumentare e stabilizzare la dotazione del Fondo nazionale per il trasporto pubblico locale al quale da anni vengono assegnate risorse insufficienti che hanno causato riduzione dei servizi ferroviari per pendolari, aumento delle tariffe e peggioramento del servizio;
   anche le regioni hanno le loro responsabilità con una media dello 0,29 per cento di stanziamenti sui bilanci regionali; le situazioni più gravi risultano essere in Piemonte, nel Lazio dove i fondi stanziati non arrivano allo 0,1 per cento della spesa di bilancio, o nelle Marche, in Sicilia, in Puglia e in Calabria, dove le risorse sono pari a zero;
   è improrogabile definire un Piano strategico nazionale del trasporto ferroviario pendolare e della mobilità sostenibile, garantendo adeguati investimenti alla rete pubblica affidata a Rete ferroviaria italiana, nuovi treni per pendolari, regolarità del servizio e tariffe agevolate;
   appare necessario prevedere, fin dalla prossima legge di bilancio, l'aumento e la stabilizzazione delle risorse per il trasporto ferroviario di pendolari al fine di offrire un servizio di mobilità di qualità uniforme sull'intero territorio nazionale –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato, a partire dal prossimo disegno di legge di bilancio, al fine stanziare risorse adeguate per il Fondo nazionale per il trasporto pubblico locale, finalizzate all'aumento di nuovi treni per i pendolari, a garantire la regolarità di servizio e tariffe agevolate. (5-11117)


   CATALANO e OLIARO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con lettera del 29 marzo 2017, l'Autorità di garanzia per la concorrenza e il mercato ha inoltrato a Governo e Parlamento una segnalazione, ai sensi degli articoli 21 e 22 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, in merito ai servizi automobilistici interregionali di competenza statale;
   con tale atto l'Agcm ha manifestato la propria preoccupazione per il contenuto dell'articolo 9, comma 2-bis, del decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244, convertito con modificazioni dalla legge 27 febbraio 2017, n. 19, laddove modifica il comma 3 dell'articolo 3 del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 285;
   a tale modifica consegue che, nel caso di autorizzazioni per l'esercizio di servizi di linea su strada su tratte interregionali di competenza statale rilasciate a raggruppamenti di imprese, ove si tratti di raggruppamenti verticali, il mandatario debba essere un operatore economico la cui attività principale è «il trasporto di passeggeri su strada»;
   a causa di tale nuovo requisito, aziende già pienamente operanti nel settore si sono trovate dal 28 febbraio 2017, data di pubblicazione della legge di conversione, a difettare dei criteri richiesti per svolgere servizi di trasporto su strada interregionali, e dovranno quindi interrompere l'attività, salvo che riescano ad adeguarsi alle nuove disposizioni, ma in un termine che appare estremamente esiguo;
   in ogni caso, la previsione di un tale requisito al settore in questione appare di dubbia proporzionalità e, secondo l'Autorità, in grado di determinare effetti fortemente anticoncorrenziali, con danni diretti e tangibili per i consumatori;
   l'Agcm ha quindi chiesto che venga abrogata in toto, la disposizione sopra richiamata;
   ha chiesto, inoltre, che si provveda in breve tempo a una revisione organica della disciplina dei trasporti di passeggeri su strada, uniformandola a criteri di trasparenza, certezza del diritto, tutela della concorrenza e libertà di mercato, coerentemente con i princìpi ispiratori del regolamento (CE) n. 1071/2009 –:
   quali eventuali iniziative intenda il Governo adottare per conformarsi alle specifiche richieste avanzate dall'Autorità di garanzia per la concorrenza e il mercato nella segnalazione richiamata in premessa. (5-11118)


   SPESSOTTO, PAOLO NICOLÒ ROMANO, DELL'ORCO, DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI e CARINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Ferrovie dello Stato SpA è la principale società operante nel trasporto ferroviario italiano, con un fatturato di 8,4 miliardi di euro, le cui azioni appartengono interamente allo Stato per il tramite del socio unico Ministero dell'economia e delle finanze;
   secondo alcune recenti indiscrezioni giornalistiche, il gruppo FS avrebbe pronto un progetto, illustrato nei mesi scorsi dall'amministratore delegato Mazzoncini e che avrebbe già ricevuto un primo via libera da parte del Governo, che prevede, oltre a un'offerta per rilevare l'azienda di trasporti autoferrotranviari del comune di Roma, Atac, anche l'acquisizione da parte del gruppo di Anas spa, il gestore della rete stradale ed autostradale italiana;
   in particolare, il maxi-piano di acquisizione, per cui esiste un tavolo tecnico interministeriale, partirebbe dalla volontà del Governo di privatizzare l'Anas tramite la vendita diretta o la quotazione in borsa della società, senza più trasferimenti diretti da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, ma attraverso il ricorso ad una forma di finanziamento che prevedrebbe il prelievo percentuale sulle accise che già gravano su benzina e gasolio;
   sia il Ministro interrogato, sia l'amministratore delegato delle Ferrovie Mazzoncini, hanno più volte creato un nesso implicito fra la fusione Anas-Fs e la quotazione in borsa delle Frecce di Fs, considerando le due operazioni come prioritarie;
   uno dei motivi dell'operazione, che secondo gli interroganti non sembra rispondere ad una precisa logica economica, potrebbe essere quello, già tentato da molti governi precedenti, di far uscire l'Anas dal consolidato della pubblica amministrazione, così da ridurre, sulla carta, il disavanzo pubblico;
   secondo la teoria economica dominante, le imprese non esposte alla concorrenza, pubbliche o private che siano, dovrebbero avere «le minime dimensioni efficienti», affinché non finiscano per acquisire troppo potere rispetto al regolatore pubblico, e dovrebbe essere altresì sconsigliabile consentire ad una impresa che già dispone di un forte potere di mercato di diventare ancora più potente;
   il Ministro interrogato avrebbe affermato, a quanto consta agli interroganti, che ci sono dei ragionamenti complessivi da parte del Governo per potenziali investimenti, senza però entrare nel merito delle ipotesi progettuali attualmente al vaglio dell'Esecutivo –:
   se il Ministro, qualora fosse confermata l'ipotesi di prossima acquisizione da parte del gruppo FS di Anas spa, possa fornire ulteriori dettagli in merito alla eventuale conseguente definizione dei corrispettivi previsti dal contratto di servizio con lo Stato e delle future modalità di finanziamento dei servizi per la gestione delle strade statali. (5-11119)


   BIASOTTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la nota ministeriale del 27 febbraio 2017 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha introdotto nuove disposizioni di revisione dei mezzi pesanti, con obbligo di quello che viene ormai comunemente definito pre-collaudo, presso officine di autoriparazione autorizzate, allungando in questo modo i tempi delle revisioni stesse;
   le categorie rappresentative degli autotrasportatori hanno rilevato come si stesse di fatto impedendo alle imprese di autotrasporto di organizzarsi, considerato che la circolare non era stata pubblicata sul sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, né trasmessa in tempo utile alle associazioni dell'autotrasporto, e ne hanno quindi chiesto la sospensione;
   il 10 marzo 2017 il direttore della divisione 7 (CED) della motorizzazione ha diramato l'avviso n. 7, con il quale ha prorogato al 4 aprile 2017 l'entrata in vigore delle nuove procedure di revisione dei mezzi pesanti per ragioni tecniche connesse all'adeguamento delle procedure informatiche, rendendo pertanto possibile, fino a tale data, continuare a prenotare le sedute di revisione con le vecchie procedure;
   il 31 marzo 2017 un ulteriore avviso del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha annunciato che l'entrata in vigore delle nuove procedure per la revisione di tali veicoli sono rinviate alla data del 3 maggio 2017;
   la nuova direttiva europea, relativa ai controlli tecnici periodici dei veicoli a motore e dei loro rimorchi – direttiva 2014/45 – deve essere recepita entro il 20 maggio 2017: all'articolo 12, si dispone che i centri di controllo, nei quali gli ispettori effettuano i controlli tecnici, siano autorizzati da uno Stato membro o dalla sua autorità competente, senza quindi escludere gli operatori privati –:
   se il Governo non ritenga opportuno sospendere l'efficacia della nota del 27 febbraio 2017, nelle more del recepimento della direttiva europea di cui in premessa, accelerando nel contempo l’iter di terziarizzazione delle revisioni ad operatori privati, come già succede per gli altri veicoli, lasciando alle imprese la facoltà di scegliere dove effettuare le sedute di revisione nei tempi più consoni, tenuto conto che quelle che operano nei trasporti internazionali devono revisionare i veicoli entro una data di scadenza certa. (5-11120)


   MOGNATO, FRANCO BORDO, MURER, ZOGGIA e FOLINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il cosiddetto decreto «Clini-Passera» del 2 marzo 2012 prevede una deroga al divieto di transito delle grandi navi presso il bacino di san Marco e il canale della Giudecca fino alla «disponibilità di vie di navigazione praticabili alternative a quelle vietate»;
   in questo torno di tempo si sono succedute diverse ipotesi alternative per l'estromissione delle grandi navi dai canali di San Marco e della Giudecca;
   in particolare, sono stati presentati alla commissione per la valutazione di impatto ambientale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare alcuni progetti, tesi da un lato alla creazione di un avamporto e di un nuovo terminal crociere alla bocca di porto del lido di Venezia, dall'altro, a garantire l'accessibilità alla stazione marittima esistente attraverso l'ingresso in laguna dalla bocca di porto di Malamocco e lo scavo del cosiddetto canale delle «Tresse»;
   il progetto di avamporto alla bocca di Lido denominato «Venice Cruise 2.0» ha ottenuto parere favorevole con prescrizioni da parte della commissione tecnica del Ministero per l'ambiente e della tutela del territorio e del mare risulta in trasmissione al Ministero per le infrastrutture e i trasporti;
   il Ministro interrogato, in data 21 dicembre 2016, rispondendo ad un question time alla Camera dei deputati, affermava che esistevano «soluzioni potenzialmente già pronte» per risolvere l'attraversamento delle grandi navi e tra queste si citava in particolare l'area di porto Marghera, «dove abbiamo già approvato 120 milioni in sede Cipe per la bonifica di alcune aree per determinare lì approdi stabili»;
   nella stessa occasione, il Ministro interrogato aveva dichiarato di avere chiesto la convocazione del comitato per la salvaguardia di Venezia, assicurando che quest'ultimo si sarebbe tenuto entro febbraio 2017 –:
   quale sia la soluzione tecnica verso cui il Ministro interrogato si sta orientando per garantire l'estromissione delle grandi navi dal bacino di San Marco e dal canale della Giudecca a Venezia. (5-11121)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LATRONICO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, dopo un sopralluogo degli operai, è stato chiuso al traffico dall'Anas, in entrambe le direzioni, il Raccordo autostradale «Sicignano-Potenza», compreso tra lo svincolo di Balvano (chilometro 25,500) e lo svincolo di Vietri di Potenza (chilometro 20,800) per alcune lesioni al Viadotto Marmo;
   la strada statale n. 407 Basentana, che congiunge il raccordo autostradale Sicignano-Potenza alla strada statale 106 Jonica rappresenta una delle principali arterie stradali dell'intero Mezzogiorno. Nonostante la sua strategicità, per anni, non è stata adeguatamente tenuta in sicurezza e il combinato disposto della peculiarità del tracciato, con numerosi viadotti e gallerie, e delle condizioni climatiche l'hanno resa fragile;
   è da oltre 8 anni che sul tratto autostradale Sicignano — Potenza, si riscontrano problemi strutturali sui viadotti e sono in corso diversi lavori di manutenzione straordinaria che interessano alcuni tratti per i quali è già prevista la demolizione degli impalcati;
   tutto il traffico anche dei mezzi pesanti viene deviato attraverso il percorso alternativo sulla ex strada provinciale n. 94 e nelle contrade comunali di Vietri di Potenza che presenta, purtroppo, un tracciato irregolare e la segnaletica non è indicata visibilmente;
   gli interventi sono assolutamente necessari ed evidenziano oggettive difficoltà che riguardano l'intero comprensorio in relazione alla sostenibilità del traffico di un importante raccordo autostradale –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo per assicurare il ripristino della viabilità nei collegamenti per consentire la riapertura del tratto autostradale al fine di evitare situazioni di criticità e rischi per l'incolumità degli automobilisti. (5-11113)

Interrogazione a risposta scritta:


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sul sito web istituzionale di ANAS S.p.A. è stato pubblicato un avviso di selezione per l'assunzione a tempo determinato di 3 avvocati dirigenti che dovranno occuparsi delle gestione del contenzioso;
   l'avviso è stato promosso ai sensi dell'articolo 13 del regolamento per il reclutamento del personale (presupposti e modalità di selezione dei profili dirigenziali) che al comma 1 così recita: «Il Direttore Risorse Umane e Organizzazione può ravvisare la necessità di avviare un iter selettivo per profili dirigenziali qualora risultino posizioni manageriali vacanti oppure riscontri l'esigenza di istituire una nuova posizione e non risultino presenti all'interno della Società professionalità adeguate alla copertura del ruolo.»;
   tuttavia, Anas può contare al suo interno oltre 100 avvocati che curano contenziosi per circa 2,5 miliardi di euro e molti di questi sono specializzati nelle materie richieste dal bando;
   ad avviso degli interroganti in contrasto con il regolamento, non sono stati avviati processi selettivi interni intesi all'individuazione dei profili dirigenziali da assumere;
   i costi da sostenere per le nuove assunzioni ammontano a circa 1 milione di euro/anno;
   l'iscrizione all'Albo speciale, diversamente da quanto richiesto dal bando, è espressamente vietata dall'articolo 23 della legge forense, recentemente confermata dal CNF con sentenza n. 188/2015;
   pertanto si corre il rischio di assumere persone che non potranno svolgere la funzione prevista dal bando;
   l'Anas, inoltre, si avvale abitualmente anche del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato;
   dalla lettura del bandi si evince, inoltre, che i tre assunti non avranno alcun ufficio da coordinare;
   Anas ha già assunto, secondo gli interroganti, in violazione delle norme, 14 dirigenti tra cui un avvocato a tempo determinato;
   si fa presente che il decreto Madia pone limiti alle assunzioni, recentemente sospesi dal decreto milleproroghe per Anas esclusivamente per personale da destinarsi all'esercizio delle strade –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suesposti e quali iniziative intende assumere per riportare l'attività di Anas nel solco del dettato normativo vigente. (4-16247)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che nel Cie (ora Cpr – Centro permanente per il rimpatrio) di corso Brunelleschi, a Torino, la notte del 4 aprile 2017 i migranti reclusi hanno dato inizio a uno sciopero della fame per protestare contro la propria situazione di detenzione e le pessime condizioni in cui versa la struttura. La protesta sarebbe stata avvertita anche all'esterno del centro grazie alle grida e le battiture sulle inferriate dell'edificio;
   non è la prima volta che la struttura di Torino, unica ancora attiva nel Nord Italia, diventa teatro della rabbia dei migranti: negli ultimi anni si sono susseguite diverse proteste e rivolte che, nel 2014, riuscirono a danneggiare e rendere inagibili porzioni consistenti del Cpr;
   aperto nel 1999, il centro è passato da 90 a 180 posti, con un ampliamento costato 13 milioni di euro nel 2011. Nel 2014, l'associazione temporanea di imprese composta dalla società francese Gepsa, leader nella gestione dei penitenziari e dei servizi ausiliari, in cordata con l'associazione Acuarinto di Agrigento, si è aggiudicata al massimo ribasso e senza alcuna concorrenza l'appalto triennale avviato nel 2015;
   nel giugno 2016, in seguito alla sua visita nel centro di identificazione ed espulsione di corso Brunelleschi, il Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della regione Piemonte, aveva duramente denunciato una situazione preoccupante per il mancato rispetto dei diritti umani, riferendo di sovraffollamento, unità abitative fatiscenti, nessuna forma di ricreazione o impegno culturale, carenza di assistenza sanitaria, nessuna assistenza psicologica per le persone che hanno subito tortura o violenze –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto recentemente avvenuto nel Centro permanente per il rimpatrio di corso Brunelleschi a Torino e come intenda intervenire affinché le condizioni di reclusione dei migranti migliorino;
   se non ritenga urgente, anche alla luce delle segnalazioni ormai datate del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della regione Piemonte, effettuare accertamenti e monitoraggi costanti sul centro e verificare che le attività dei gestori siano svolte nel pieno rispetto dei diritti umani. (4-16250)


   FRATOIANNI, MARCON, CIVATI, FASSINA e DANIELE FARINA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ogni mattina del 25 aprile dal 2013, varie associazioni neofasciste e neonaziste da Lealtà e Azione a Casapound organizzano una parata nazifascista al campo 10 del cimitero Musocco di Milano. Un appuntamento diventato ormai rituale, per l'estrema destra milanese e lombarda;
   secondo le organizzazioni dei partigiani e altre forze democratiche: «L'anno scorso in 300 marciarono in formazione militare, con tanto di saluti romani, e furono denunciati dalla Digos per apologia di fascismo. (...) I cortei dei naziskin coi saluti romani, il tricolore, le aquile della Rsi. Le parate per ricordare i caduti repubblichini e i drappi di Salò issati illegalmente sulle tombe»;
   a nulla sono servite le denunce di questi anni: per questo, in occasione della prossima giornata della Liberazione, il fronte delle associazioni antifasciste oltre a chiedere formalmente a questore e Prefetto di vietare il corteo dei neofascisti ha organizzato una mobilitazione al cimitero Maggiore;
   Anpi e Municipio, Cgil, Aned (l'Associazione ex deportati campi nazisti), Arci, Memoria antifascista, Rete della conoscenza Milano, Csoa Lambretta, Zam e Cs Cantiere invitano i milanesi a portare un fiore ai partigiani sepolti al campo della Gloria;
   nei giorni scorsi un esposto, con tanto di dossier fotografico, è stato presentato in questura e prefettura dal presidente dell'Anpi provinciale, Roberto Cenati;
   poiché a nulla sono servite le denunce pubbliche di questi anni è necessario un atto chiaro da parte del Governo, delle istituzioni democratiche e dell'apparato dello Stato per impedire fatti di tali gravità –:
   quale sia l'orientamento del Governo rispetto a quanto avviene da alcuni anni nel giorno della Festa nazionale di Liberazione al cimitero di Milano da parte di organizzazioni neofasciste;
   se abbia intenzione, nell'ambito delle proprie competenze, di dare adeguate istruzioni al questore e al prefetto di Milano per evitare ed impedire che anche quest'anno per il giorno della Festa della Liberazione ci siano cortei e manifestazioni che rendono omaggio al nazifascismo. (4-16256)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 aprile 2017 il consigliere regionale toscano Donzelli comunicava via mail al prefetto di Firenze Alessio Giuffrida che il giorno successivo avrebbe effettuato un sopralluogo nel centro di accoglienza sito in via San Giovanni Gualberto 3, all'interno dell'ex albergo Abetina, sito in località Saltino (Firenze), accompagnato da un collaboratore, dalla giornalista Susanna Bonfanti e dall'operatore Paolo Del Bianco;
   la finalità del sopralluogo, da effettuarsi ai sensi delle disposizioni di cui all'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica 12 gennaio 2015, n. 21, recante «Regolamento relativo alle procedure per il riconoscimento e la revoca della protezione internazionale a norma dell'articolo 38, comma 1, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25» che disciplina «l'accoglienza e l'accesso ai CARA», sarebbe stata, in qualità di consigliere regionale, la verifica delle condizioni igienico-sanitarie del centro di accoglienza;
   in data 5 aprile 2017, tuttavia, al consigliere Donzelli, recatosi in loco, sarebbe stato impedito a quanto consta all'interrogante l'accesso alla struttura da parte dei gestori, e la prefettura di Firenze, rintracciata telefonicamente, avrebbe confermato di aver negato l'autorizzazione –:
   quali elementi di chiarimento possa fornire il Ministro interrogato, per quanto di competenza, in merito ai fatti esposti, e quali siano le sue valutazioni in proposito. (4-16261)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta immediata:


   CHIMIENTI, DI BENEDETTO, VACCA, LUIGI GALLO, MARZANA, SIMONE VALENTE, BRESCIA e D'UVA. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:
   la legge 11 dicembre 2016, n. 232, pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 297 del 21 dicembre 2016, all'articolo 366, stabilisce che: «Per il concorso alle finalità di cui al comma 364 del presente articolo, nello stato di previsione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, è iscritto un fondo con un'autonoma dotazione di 140 milioni di euro per l'anno 2017 e 400 milioni di euro a decorrere dall'anno 2018, da destinare all'incremento dell'organico dell'autonomia di cui all'articolo 1, comma 201, della legge 13 luglio 2015, n. 107. Al riparto del fondo si provvede con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze»;
   il Ministro interrogato ha scritto al Ministro dell'economia e delle finanze Pier Carlo Padoan e al Presidente del Consiglio dei ministri Paolo Gentiloni due lettere, così come riportato da Il Corriere della Sera in un articolo pubblicato in data 27 marzo 2017, facendo presente al Ministro Padoan che il ritardo è inaccettabile e che in gioco ci sono 25 mila stabilizzazioni di docenti da finanziare attraverso i suddetti fondi stanziati mediante la legge di bilancio;
   il Ministero dell'economia e delle finanze, come riportato nel sopra citato articolo, risponde che la Ragioneria generale dello Stato si starebbe orientando per autorizzare solo 8-10 mila nuove assunzioni;
   il Ministro interrogato, nel medesimo articolo, afferma che la trasformazione dei 25 mila posti da organico di fatto a quello di diritto consentirebbe di partire per tempo con le assunzioni, evitando di iniziare anche il prossimo anno scolastico con un numero eccessivo di cattedre vuote;
   nel suddetto articolo si paventa il rischio che i 400 milioni destinati a decorrere dal 2018 per l'incremento dell'organico dell'autonomia, «finiscano invece tra le poste dei tagli ai ministeri, finora solo genericamente annunciati per evitare la procedura d'infrazione» –:
   se il Governo intenda utilizzare, ai fini della trasformazione dei posti di organico di fatto in organico di diritto, tutte le risorse stanziate in legge di bilancio per il 2017 e ammontanti a 400 milioni di euro, evitando che una parte di queste risorse possano essere disperse, e in che proporzioni tali risorse verranno ripartite per le assunzioni tra i diversi gradi scolastici. (3-02946)


   GIGLI. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:
   in occasione dell'approvazione definitiva da parte della Camera dei deputati della legge 13 luglio 2015, n. 107, cosiddetta «Buona scuola», il Governo ha accolto in data 8 luglio 2015 ben due ordini del giorno in cui si impegna, «ad escludere ogni interpretazione che apra alle cosiddette teorie del gender, a prevedere che le disposizioni applicative del comma 16 del provvedimento in esame e delle parti del suddetto piano destinato alla scuola siano adottate con il concorso di tutti gli attori del mondo scolastico e sociale» (n. 9/02994-B/005), nonché «a promuovere il contrasto alla violenza e ad ogni forma di discriminazione evitando strumentalizzazioni dell'approccio di genere nella pratica educativa e didattica» (n. 9/2994-B/88);
   con la circolare del 15 settembre 2015, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha dato direttive ai responsabili delle istituzioni scolastiche, affermando che tra le conoscenze che la scuola deve trasmettere «non rientrano in alcun modo né «ideologie gender», né l'insegnamento di pratiche estranee al mondo della scuola»;
   nell'atto di sindacato ispettivo n. 3/01794 del 28 ottobre 2015, si segnalava il finanziamento da parte della giunta regionale del Friuli Venezia Giulia, con delibera n. 2182 del 22 novembre 2013, del progetto «A scuola per conoscerci», promosso dalle associazioni lgbt, con espliciti riferimenti alla teoria gender;
   per l'anno scolastico in corso il progetto, rifinanziato dalla regione Friuli Venezia Giulia con 15.000 euro, viene giustificato con il riferimento al comma 16 della citata legge n. 107 del 2015, come documentato, ad esempio, dalla circolare emanata nel liceo statale «Francesco Petrarca» di Trieste;
   in risposta al citato atto n. 3/01794, l'allora Ministro Giannini aveva affermato che alle famiglie spettava il diritto «di accedere a queste iniziative in maniera facoltativa», intendendo ovviamente con ciò che il progetto avesse carattere extracurriculare;
   nel frattempo si sono aggiunte altre iniziative curricolari che fanno esplicito riferimento alla teoria gender, come lo spettacolo «Fa'afafine. Mi chiamo Alex e sono un dinosauro», svoltosi il 24 gennaio 2017 nel Teatro «Verdi» di Pordenone, e successivamente in altre città italiane –:
   quali tempestive iniziative intenda adottare, a fronte della situazione rappresentata in premessa, per garantire il rispetto di quanto stabilito a livello statale nel campo dell'educazione e dell'insegnamento, con particolare riferimento alle citate direttive, confermando, quantomeno, l'orientamento del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sulla facoltatività di tali progetti in ambito scolastico. (3-02947)


   RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, GIORGIA MELONI, MURGIA, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:
   il 6 marzo 2017 in un liceo di Pescara si è tenuta una giornata di «formazione» condotta da due psicologhe entrambe referenti per la formazione e i progetti nelle scuole per conto dell'associazione «Arcilesbica nazionale»;
   sul registro elettronico delle classi coinvolte è stata pubblicata la circolare n. 197 che presentava il progetto come lotta alla discriminazione, del bullismo e del cyberbullismo, mentre sul sito internet dell'istituto scolastico la giornata era, invece, presentata come progetto sulle differenze di genere;
   la circolare 197 si concludeva con la richiesta di «liberatoria fotografica e di adesione», da esprimere su appositi modelli allegati alla stessa circolare, «per rendere le famiglie consapevoli e partecipi dell'iniziativa»;
   la nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca 6 luglio 2015, n. 4321, stabilisce con chiarezza che «La partecipazione a tutte le attività extracurricolari, anch'esse inserite nel P.O.F., è per sua natura facoltativa e prevede la richiesta del consenso dei genitori adeguatamente informati per gli studenti minorenni o degli stessi se maggiorenni che, in caso di non accettazione, possono astenersi dalla frequenza»;
   da notizie in possesso degli interroganti risulta, tuttavia, che molti genitori non avessero firmato la liberatoria, e quindi non fossero informati dei contenuti dell'iniziativa, e che, comunque, anche quelli che avevano firmato la liberatoria non fossero «adeguatamente informati», posto che quasi nessuno era a conoscenza della specificità dei temi trattati, né tantomeno del fatto che i relatori appartenessero alla citata associazione «Arcilesbica nazionale»;
   in seguito alle rimostranze fatte quello stesso giorno da alcuni genitori, consta agli interroganti che una delle insegnanti della scuola abbia informato le due referenti che non avrebbero dovuto trattare il «modulo gender»;
   la circolare n. 1972 del Ministero dell'istruzione afferma, infatti, che «tra i diritti e i doveri e tra le conoscenze da trasmettere non rientrano in nessun modo né «ideologie gender», né l'insegnamento di pratiche estranee al mondo educativo»;
   l'educazione sessuale spetta ai genitori, come sancito sia dalla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, sia dalla Costituzione, sia da numerosi atti normativi e regolamentari –:
   se sia informato dei fatti esposti in premessa, quali chiarimenti intenda fornire in merito e quali urgenti iniziative intenda assumere affinché nelle scuole di tutto il territorio nazionale siano rispettate pienamente le scelte educative effettuate dai genitori degli alunni. (3-02948)


   VEZZALI. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:
   per l'Osservatorio nazionale amianto (Ona) l'amianto è un cancerogeno completo, provoca mesotelioma (un tumore sentinella della presenza di amianto), tumori polmonari, alla laringe e alle ovaie. Provoca asbestosi, placche pleuriche e ispessimenti pleurici;
   secondo l'Osservatorio nazionale amianto, in Italia, ci sono 1.900 nuovi casi di mesotelioma ogni anno;
   dalla pubblicazione «I numeri del cancro 2016 di Aiom/Airtum» emerge un numero importante: circa 6000 decessi ogni anno solo in Italia;
   in Italia ci sono 2.400 scuole che presentano amianto e materiali di amianto;
   scuole, ancora oggi da bonificare, nonostante la legge n. 257 del 1992 che ne vieta l'uso –:
   in che stato di conservazione sia l'amianto presente nelle 2.400 scuole ancora da bonificare, se ritenga che i 7 miliardi di euro destinati alla sicurezza delle scuole possano coprire anche i costi di rimozione e smaltimento di amianto e materiali di amianto per i quali occorrono imprese specializzate, se sia stato fissato un termine entro il quale poter dichiarare le scuole prive di amianto e, quindi, sicure per la salute dei ragazzi. (3-02949)


   COSCIA, D'OTTAVIO, GHIZZONI, CAROCCI, MALPEZZI, ROCCHI, SGAMBATO, ASCANI, BONACCORSI, BLAZINA, COCCIA, CRIMÌ, DALLAI, MALISANI, MANZI, NARDUOLO, PES, RAMPI, VENTRICELLI, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:
   il Governo ha stanziato negli ultimi tre anni ingenti risorse per la riqualificazione e la messa in sicurezza del patrimonio immobiliare scolastico italiano;
   in particolare, con l'articolo 10 del decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, sono stati stanziati 40 milioni di euro annui a decorrere dal 2014 e fino al 2044, quali contributi pluriennali per la stipula di contratti di mutuo per il finanziamento di interventi di ristrutturazione e messa in sicurezza degli edifici pubblici adibiti ad uso scolastico;
   inoltre, con la legge 13 luglio 2015, n. 107, le risorse di cui all'articolo 10 del citato decreto-legge n. 104 del 2013, sono state incrementate di 10 milioni di euro annui per la realizzazione di un ulteriore piano di edilizia scolastica;
   a seguito di tali stanziamenti lo Stato ha contratto mutui per il tramite delle regioni con la Banca europea per gli investimenti per un ricavo netto stimato di circa 1,3 miliardi di euro;
   dai dati reperibili sul sito internet del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il piano 2015 risulta avviato, mentre non risulta allo stato concluso l’iter di approvazione del piano 2016 –:
   quale sia lo stato di attuazione del predetto «Piano Bei» per gli anni 2015 e 2016, anche con riferimento al numero di interventi avviati, conclusi o in corso di esecuzione e se sia intervenuta l'autorizzazione in favore degli enti locali per l'avvio dei relativi appalti. (3-02950)


   BORGHESI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PAGANO, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. – Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. – Per sapere – premesso che:
   la tanto decantata riforma della «Buona scuola», che avrebbe dovuto rivoluzionare in meglio il sistema scolastico italiano, modificando anche le regole per il reclutamento e la formazione del personale docente, ha prodotto, in questo primo anno, un risultato a dir poco deludente;
   gli studenti hanno dovuto subire pesanti ripercussioni organizzative, con supplenti che si sono avvicendati di continuo a discapito dell'efficacia della didattica, che ha contornato l'anno scolastico in corso come «La cattiva scuola»;
   per gli insegnanti precari, che da anni ricoprono il ruolo di supplenti, è stato previsto solo la possibilità di partecipare a un concorso nazionale, senza tenere in debita considerazione tutta l'esperienza maturata nell'insegnamento e le abilitazioni conseguite, pagate di tasca propria, nella speranza di una stabilizzazione mai arrivata;
   il paradosso della riforma è che i precari, per continuare ad insegnare, nonostante lo facciano da anni, devono fare un concorso, mentre accedono alle cattedre chi negli ultimi anni si è dedicato a ben altro;
   fortunatamente, grazie anche a ripetute mozioni della Lega Nord, si è conseguito il traguardo di una «graduazione» della stabilizzazione dei docenti abilitati di seconda fascia nella fase transitoria, ma è rimasta dimenticata la richiesta di un percorso abilitante per gli insegnanti di terza fascia con esperienza;
   il concorso si è svolto nel 2016 per la selezione di circa 63.000 insegnanti, la cui assunzione si sarebbe definita nel corso di tre anni, ma nemmeno la metà dei concorrenti è arrivata agli orali e questo ha impedito di coprire i posti a concorso, anche perché numerosi candidati, abilitati e spesso già insegnanti nelle scuole, sono stati esclusi; insegnanti che, da anni, consentono ai nostri figli di poter avere un'istruzione scolastica, coprendo l'organico mancante;
   prima di cambiare profondamente il sistema di reclutamento degli insegnanti, il Governo avrebbe dovuto sistemare tutto il precariato, non considerando soltanto le graduatorie ad esaurimento, che sono solo una delle tipologie di precariato esistenti, lasciando indietro le graduatorie di istituto;
   il riordino del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria, interviene, peraltro, sul problema nientemeno dall'anno scolastico 2020-2021, così come stabilito dallo schema di decreto legislativo n. 377 –:
   come intenda garantire agli studenti, a settembre 2017, un inizio di anno scolastico regolare e un'organizzazione efficiente della didattica e ai docenti ancora in situazione di precariato quel futuro lavorativo finora negato, a conferma di un'effettiva e reale «Buona scuola».
(3-02951)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, NICCHI, SCOTTO, FONTANELLI, PIRAS, QUARANTA, MELILLA, DURANTI, SANNICANDRO, KRONBICHLER, ZARATTI e FRANCO BORDO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il sistema scolastico della regione Marche è in grave difficoltà per la significativa carenza di organico, attualmente in numero assolutamente non adeguato a garantire i livelli essenziali per un servizio scolastico di qualità;
   lo scorso anno sono stati assegnati 992 posti in organico a fronte di un fabbisogno che richiederebbe una integrazione dell'organico dell'autonomia di almeno 1.200 posti;
   per far fronte alla carenza di organico è stato necessario ricorrere a 112 posti sottratti al potenziamento, peraltro in via temporanea;
   la situazione di carenza di organico è aggravata dalla particolare situazione che alcune aree della regione stanno affrontando a seguito degli eventi sismici del 2016 e che richiederebbero risorse umane aggiuntive per garantire – come ha avuto modo di sottolineare anche l'assessore della giunta regionale con delega all'istruzione – il mantenimento dell'autonomia nei comuni colpiti dal terremoto, indipendentemente dal numero delle iscrizioni, e consentire un grado di flessibilità del sistema scolastico compatibile con la situazione di mobilità ai quali i cittadini che hanno perso la propria abitazione a causa del sisma sono, loro malgrado, costretti;
   la situazione è stata più volte denunciata al Ministro interrogato anche dalle organizzazioni sindacali che, all'inizio dell'anno scolastico in corso, avevano sollevato l'allarme per la grave carenza di organico, al punto da essere a rischio il regolare svolgimento dell'anno scolastico;
   tali criticità sono state più volte segnalate all'Ufficio scolastico regionale delle Marche che si è tuttavia dimostrato poco sensibile alle esigenze di integrazione dell'organico da più parti sollevate;
   nell'inerzia della struttura periferica preposta, e citata, sarebbe opportuno un intervento diretto del Ministero, al fine di integrare la dotazione organica nella regione in numero idoneo alle necessità rappresentate –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per far fronte alle difficoltà del sistema scolastico della regione Marche, causate da una significativa carenza di organico;
   se non intenda assumere iniziative ad hoc volte a sostenere le esigenze straordinarie emerse dopo gli eventi sismici del 2016, che hanno interessato in modo particolare la regione Marche. (5-11100)

Interrogazione a risposta scritta:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il sindacato FLC-CGIL, CISL Scuola, UIL Scuola, SNALS, delle Marche, comunicava mediante stampa regionale, di aver abbandonano, il giorno sette aprile 2017, il tavolo di confronto tra sindacati comparto scuola e ufficio scolastico regionale, a fronte dell'impossibilità di intrattenere corrette e costruttive relazioni sindacali che in passato avevano contraddistinto la regione, poiché, a loro dire, nella regione mancherebbero oltre a docenti e personale Ata, anche i dati reali relativi alla scuola pubblica;
   sempre secondo i sindacati, nelle Marche servirebbe un'integrazione dell'organico dell'autonomia di almeno 1200 posti;
   sembrerebbe che l'ufficio scolastico regionale, sia privo d'informazioni su nuove iscrizioni di studenti, dati organico docenti e personale Ata;
   inoltre, per quanto attiene alle procedure concorsuali in atto, l'ufficio scolastico – sempre secondo i sindacati –, convocherebbe le parti interessate solo dopo l'avvenuta pubblicazione sul sito istituzionale, in mancata ottemperanza della normativa vigente;
   a seguito della situazione venutasi a creare, i sindacati hanno scritto al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca denunciando tale situazione perché fortemente preoccupati per l'imminente fase di distribuzione degli organici e per l'inappropriata gestione della scuola nelle zone colpite dal sisma da parte del direttore scolastico regionale;
   come rilevato dalla stessa regione Marche, nella persona dell'assessore alla pubblica istruzione, che con lettera del sette aprile 2017, segnalava al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Presidente del Consiglio, alle Commissioni competenti di Camera e Senato, informando dell'assoluta necessità dell'integrazione d'incremento dell'organico di autonomia al fine di garantire la copertura dell'organico ordinamentale adeguato ai fabbisogni essenziali;
   la regione Marche, inoltre, si è trovata nella condizione di dover richiedere al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca un rapporto diretto con gli uffici ministeriali o la nomina di un responsabile nazionale con cui affrontare le problematiche esposte, data la resistenza dell'attuale direttore scolastico regionale a collaborare con gli enti preposti al fine di trovare soluzioni alle necessarie scelte per l'efficienza della scuola delle Marche;
   si segnala che lì direttore scolastico regionale Marche è stato già oggetto di alcune interrogazioni presentate dall'interrogante al quale non è mai pervenuta nessuna, risposta –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se non ritenga di dover assumere urgenti iniziative al fine di verificare quanto denunciato dai sindacati comparto scuola delle Marche;
   quali siano le azioni che intende assumere affinché sia incrementato il corpo docenti e personale Ata, come richiesto dalla regione Marche e dai sindacati, necessario a garantire una buona gestione della scuola e il diritto di studio degli studenti;
   quali siano le azioni che intende mettere in campo per garantire dall'anno scolastico 2017-2018 scuole adeguate e sicure per gli studenti e i docenti presenti nei territori colpiti duramente dal sisma di agosto 2016 e gennaio 2017;
   se non ritenga di dover convocare tutte le parti interessate, affinché sia fatta chiarezza sulle modalità di gestione dell'ufficio scolastico regionale Marche, in particolare dal direttore regionale.
(4-16251)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BECATTINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a quanto consta all'interrogante, ogni anno, diversi bambini residenti a Firenze ed affetti da sordità congenita, sono costretti a sottoporsi presso l'Inps del territorio a visita di conferma della permanenza dello stato invalidante ai fini della corresponsione dell'indennità di comunicazione ai sensi della legge 26 maggio 1970, n. 381, e successive modificazioni;
   il decreto del Ministero della salute del 5 febbraio 1992 definisce le modalità per la valutazione dell'invalidità civile, della cecità civile e del sordomutismo ed indica le percentuali di riferimento a seconda dei diversi gradi di invalidità;
   l'articolo 25, comma 8, della legge 11 agosto 2014, n. 114, manteneva in vigore la parte dell'articolo 97 del comma 2 della legge 23 dicembre 2000, n. 388, che così recita: «Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, sono individuate, senza ulteriori oneri per lo Stato, le patologie e le menomazioni rispetto alle quali sono esclusi gli accertamenti di controllo e di revisione ed è indicata la documentazione sanitaria, da richiedere agli interessati o alle commissioni mediche delle aziende sanitarie locali qualora non acquisita agli atti, idonea a comprovare la minorazione»;
   conseguentemente, l'esonero può essere concesso soltanto in base alle patologie individuate con il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 2 agosto 2007, previsto dall'articolo 97, comma 2, della legge n. 388 del 2000 così come modificato dall'articolo 25, comma 8, della legge n. 114 del 2014 e precedentemente dall'articolo 6 del decreto-legge n. 4 del 2006, convertito con modificazioni dalla legge n. 80 del 2006;
   nel summenzionato decreto ministeriale, tra le patologie rispetto alle quali sono escluse visite sulla permanenza dello stato invalidante, è compreso il «deficit totale dell'udito, congenito o insorto nella prima infanzia»;
   sembrerebbe evidente come sia la stessa legge ad escludere tale tipo di visita per il soggetto affetto da sordità;
   successivamente a quanto esposto con l'interrogazione parlamentare del 18 novembre 2015 numero 5-07032, si sono registrati ulteriori casi, sempre nel territorio di Firenze, di richiami a visita per soggetti rientranti nella casistica di esclusione sopra menzionata;
   il richiamo di tali soggetti alla verifica del loro acclarato stato invalidante suscita imbarazzo ed umiliazione nel soggetto che vi è sottoposto, oltre che nella famiglia –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario ed urgente accertare i fatti di cui in premessa e, ove risulti confermato quanto sopra riportato, porre in essere iniziative volte ad assicurare che sia pienamente applicata la normativa di cui in premessa da parte dell'Inps in relazione alle visite sulla permanenza dello stato invalidante ai fini della corresponsione dell'indennità di comunicazione. (5-11098)


   QUARANTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 26 marzo 2017 si è verificato un terribile incidente sulla A10 tra i caselli di Albisola e Celle Ligure che ha portato alla morte di 2 operai e al ferimento di altri 9, di cui uno in condizioni gravissime;
   pur essendo ancora da accertare l'esatta dinamica dell'incidente la FILLEA CGIL ha denunciato la pericolosità connessa a queste tipologie di lavori e come dovrebbero essere rispettate con più rigore le norme di sicurezza;
   in particolare i sindacati evidenziano i rischi collegati al nuovo codice degli appalti che prevede ulteriori liberalizzazioni;
   sempre i sindacati evidenziano come il ricorso al dumping, attraverso contratti non regolari sia per personale viaggiante che per gli addetti alle manutenzioni stradali, porti a situazioni rischiose e all'assenza di garanzie e tutele per i lavoratori;
   in merito l'interrogante ha già presentato un'interrogazione nel 2014, n. 4-05658 a cui non è mai stata data risposta, che chiedeva al Ministro di riferire sulla concorrenza sleale nell'ambito del trasporto su gomma attraverso il ricorso a contratti non regolari;
   stiamo parlando di un settore che, nel solo trasporto su gomma, vede impegnati 400 mila addetti –:
   quali iniziative intenda assumere per garantire un rigoroso rispetto dei diritti dei lavoratori e della sicurezza di chi lavora in questo settore, in particolare al fine di attuare un effettivo contrasto al dumping e se non intenda chiarire come si concili il nuovo codice degli appalti con queste necessità. (5-11099)


   GNECCHI e PLANGGER. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   lavorare in un villaggio turistico può rappresentare una possibilità di guadagnare, stando a contatto con la gente. Le strutture che si dedicano all'organizzazione di vacanze e soggiorni cominciano all'inizio di ogni anno a ricercare diverse figure professionali da impegnare in villaggi turistici o strutture alberghiere, in Italia e all'estero;
   il ruolo più richiesto è quello dell'animatore turistico. Il rapporto di lavoro degli animatori è regolato dal contratto nazionale di categoria dei lavoratori dello spettacolo. Per poter lavorare nel settore, ai fini contributivi, è necessaria l'iscrizione all'Inps – ex-Enpals;
   gli sportelli Informa – giovani presenti nei servizi per l'impiego raccomandano ai giovani di informarsi bene sul rapporto di lavoro e sul tipo di trattamento economico che s'instaura tra lavoratore e agenzia;
   è presente un preoccupante fenomeno di assunzioni di lavoratori residenti in Italia e destinati a lavorare in strutture turistiche in Italia, tramite società di intermediazione lavoro svizzere, con contratto di lavoro svizzero e con oneri previdenziali versati al fondo di previdenza svizzero, che sono di molto inferiori a quelli vigente nel nostro Paese;
   questo risparmio, al cospetto di un regolare inquadramento italiano presso l'Ex-Enpals, crea, secondo gli interroganti, una concorrenza sleale e molte strutture turistiche in Italia, tra villaggi e alberghi, ne approfittano ottenendo il servizio di intrattenimento a costi più bassi;
   della problematica, da quanto è dato sapere, si sono occupate anche alcune direzioni regionali del lavoro, segnalando il suddetto fenomeno alla direzione generale competente del Ministero del lavoro e delle politiche sociali –:
   quali iniziative intenda promuovere il Ministro interrogato rispetto al fenomeno segnalato, che oltre ad ascriversi secondo gli interroganti come una pratica di concorrenza sleale, penalizza fortemente i lavoratori non sempre consapevoli delle conseguenze sulla propria situazione previdenziale. (5-11103)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COSTANTINO e FRATOIANNI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   La Teknoservice è un'azienda che si occupa di raccolta e trasporto rifiuti solidi urbani e ingombranti, spazzamento stradale e raccolte differenziate di Piossasco, in provincia di Torino;
   a metà marzo 2017 il dipendente della Teknoservice, Franco Minutiello, cinquantanovenne di Cuorgné, in provincia di Torino, riceve la notifica di licenziamento in seguito alla sua comunicazione di essere affetto dal morbo di Parkinson, malattia che fino ad allora non gli aveva comunque impedito di svolgere regolarmente le sue mansioni professionali alla guida dei camion;
   oltre che valutarlo «inabile al lavoro», la Teknoservice non individua un'altra possibile mansione per la ricollocazione di Minutiello, che lavora per l'azienda dal 2013;
   l'operaio dichiara, dopo aver trovato una cura che sembra stabilizzarlo, «Mi stabilizzo e sono pronto a tornare al lavoro, mia unica fonte di reddito e di vita e di stimolo a non arrendermi – conferma l'uomo –. A quel punto chiamo l'azienda, comunico che sono disponibile a rientrare e che, per agevolarli, ho attivato la legge 104 per avere il part time, cioè due ore pagate dall'Inps e altre 4 dal datore di lavoro [...] Da una parte mi tranquillizzano, dicendo che stanno trovando la soluzione per ricollocarmi, e dall'altra, dopo avermi mandato a visita medica interna – due ore dopo – mi inviano il telegramma per licenziarmi [...] Io però continuo a guidare la mia macchina e potrei proseguire a fare il mio lavoro. Tra poco più di un anno potrei andare in pensione proprio per la mia malattia, ma mi darebbero poco più di 500 euro, non mi bastano per vivere e poi io voglio continuare a lavorare. Quella che mi è capitata è una grande ingiustizia, secondo me per la mancanza di una legge sulla salvaguardia delle categorie protette, seria ed efficace» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intenda assumere iniziative ispettive presso l'azienda in questione e per tutelare il lavoratore. (4-16243)


   COSTANTINO e FRATOIANNI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   LEDHA, la Lega per la difesa dei diritti delle persone con disabilità, in una lettera inviata alle delegazioni lombarde di senatori e deputati inviata il 15 febbraio 2017, espone la denuncia della Federazione Lombarda delle Associazioni di Persone con disabilità rispetto al decreto legislativo n. 378 sottoposto al parere delle Commissioni Parlamentari e come abbia invocato in premessa e nelle finalità i riferimenti legislativi e i principi che hanno ispirato negli ultimi decenni le migliori esperienze di integrazione scolastica delle persone con disabilità in Italia, disattendendoli invece nel testo della norma;
   nella parte iniziale dello «Schema di decreto legislativo recante norme per la promozione dell'inclusione scolastica degli studenti con disabilità» (378), sul quale le Commissioni VII Cultura e XII Affari Sociali hanno espresso il proprio parere nella seduta del 16 marzo 2017 e la Commissione V Bilancio ha espresso il proprio parere nella seduta del 23 marzo 2017, si legge il richiamo all'articolo 3 della Costituzione, a due leggi fondamentali (la 104 del 1992 e la 328 del 2000) e alla classificazione «ICF» dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, ma anche riferimenti alla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, richiamandosi all'articolo 24, dedicato a Educazione e Istruzione, prendendo spunto dagli oltre quarant'anni anni di integrazione scolastica italiana: un'esperienza unica al mondo, prima vera eccellenza della nostra scuola;
   all'articolo 1, che declina i principi e le finalità del decreto si legge: «l'inclusione scolastica riguarda tutti gli studenti (...), si realizza (...) attraverso la condivisione del progetto inclusivo fra scuole e famiglie (...). È impegno fondamentale di tutte le componenti della comunità scolastica (...)»;
   lo schema di decreto però presenta secondo gli interroganti una serie di elementi che stravolgono e tradiscono le premesse, oltre che le aspettative di tutte le persone con disabilità, dei loro familiari e delle loro associazioni, poiché i sostegni che fino a oggi hanno garantito l'integrazione scolastica (insegnanti di sostegno, assistenti alla comunicazione, educatori, trasporti, ausili...) sono tutti confermati ma «nei limiti delle risorse disponibili» senza che venga specificato, soprattutto per le competenze attribuite agli Enti Locali (articolo 3, comma 5), quali e quante risorse saranno messe a loro disposizione per renderne effettivo l'esercizio, in pratica rendendo i sostegni all'inclusione diritti non più esigibili;
   laddove già negli ultimi anni la didattica sembra assumere tratti sempre meno inclusivi, vista la scarsità delle risorse destinate alla formazione dei docenti, in base al decreto sopra citato, la continuità educativa verrebbe perciò assicurata solo da un articolo del decreto privo di risorse economiche tangibili atte ad assicurarne la sussistenza, e le decisioni saranno in capo a commissioni mediche che scorporeranno l'esito della fattibilità economica del sostegno in tre momenti in cui in nessun caso sarà riconosciuta alle famiglie possibilità di testimonianza o audizione;
   secondo la Corte Costituzionale (sentenza n. 275 del 2016) «è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l'equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione» –:
   come intendano i Ministri interrogati tenere conto delle valutazioni e delle memorie delle associazioni che si occupano di disabilità, garantendo l'accesso e la piena fruibilità didattica a tutti i bambini e gli adolescenti in età scolastica al di là della loro condizione di disabilità. (4-16246)


   RAMPELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   dopo i soccorsi alle persone e la conta dei danni, all'emergenza e al dramma umano si aggiunge oggi la grande preoccupazione per le sorti dei lavoratori e delle imprese delle aree colpite dagli eventi sismici del 2016;
   non si parla solo di imprese industriali, artigianali, commerciali, turistiche e agrituristiche, ma anche di servizi, quali ospedali e case di riposo;
   in particolare, la residenza protetta «A. Paparelli», sita in Castelsantangelo Sul Nera, è tra le strutture risultate da subito inagibili dopo la scossa del 24 agosto scorso;
   gli anziani ospiti, tutti fortunatamente tratti in salvo, sono stati da subito dislocati presso altre strutture, opportunamente individuate dall'amministrazione comunale;
   il personale della residenza, invece, in seguito ad un accordo sindacale, è stato posto in cassa integrazione in deroga, firmata a settembre e prorogata per ben tre volte, a dicembre e marzo;
   secondo quando denunciato dai lavoratori coinvolti, a dicembre la cassa integrazione concordata non sarebbe stata ancora versata, neppure in minima parte, né la situazione si sarebbe sbloccata a fronte dell'approvazione del terzo decreto terremoto varato dal Governo;
   tale provvedimento, infatti, ha previsto nuovi interventi urgenti a sostegno delle popolazioni e delle attività produttive colpite dagli eventi sismici del 2016 e, dal punto di vista fiscale, ha prorogato la cassa integrazione ai lavoratori occupati nelle imprese danneggiate dal terremoto –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, accertata la veridicità e gravità degli stessi, per quali motivi la cassa integrazione concordata per il personale della residenza protetta «A. Paparelli» di Castelsantangelo Sul Nera non sia stata ancora liquidata, e se si tratti di una situazione isolata o coinvolga anche altre realtà colpite dagli eventi sismici del 2016;
   quali misure straordinarie intendano assumere per garantire il mantenimento dei livelli occupazionali di tutti i lavoratori delle zone così pesantemente penalizzate dagli eventi sismici dello scorso anno. (4-16248)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LOREFICE, DADONE, SILVIA GIORDANO, MANTERO, GRILLO, DI VITA, COLONNESE e NESCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 27-bis del decreto-legge n. 90 del 2014 per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari prevede la corresponsione di euro 100.000 a persona a titolo di «equa riparazione» per i danni subiti dall'essere stati danneggiati da sangue infetto o dalla somministrazione di emoderivati infetti;
   l'accesso a tale emolumento è sottoposto ai requisiti dell'aver un contenzioso risarcitorio contro il Ministero della salute pendente alla data del 31 dicembre 2007 e dell'aver presentato manifestazione di adesione alle transazioni entro il 19 gennaio 2010 attraverso il sistema informatizzato ministeriale Ribad;
   conseguentemente, le migliaia di persone che hanno intrapreso un'azione risarcitoria dal 1o gennaio 2008, pur essendo in possesso di tutti i requisiti di merito, non hanno la possibilità di accedere alla procedura dell'equa riparazione ex articolo 27-bis –:
   se il Ministro interrogato abbia assunto o intenda assumere iniziative volte ad introdurre nuove procedure per l'accesso all'indennizzo di cui in premessa, alternative al giudizio civile, al fine di transigere le controversie instauratesi a partire dal 1o gennaio 2008 e ancora pendenti. (5-11097)


   PAOLA BOLDRINI, D'INCECCO, PATRIARCA, AMATO, CURRÒ, D'ARIENZO, PIAZZONI, PICCIONE, CARNEVALI e PARRINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   come già evidenziato negli atti di sindacato ispettivo n. 5-04761, a prima firma dell'onorevole Lenzi e n. 5-07313, a prima firma del primo firmatario del presente atto, la fibromialgia o sindrome fibromialgica è una malattia complessa, debilitante e invalidante, caratterizzata da dolore muscolare cronico diffuso ed astenia, associato a rigidità, che rendono difficoltosi movimenti ordinari, e ad una vasta gamma di disturbi funzionali che compromettono e riducono la qualità di vita di chi ne è affetto e colpisce approssimativamente 1,5-2 milioni di italiani, circa il 2-4 per cento, con punte segnalate fino al 10 per cento della popolazione e prevalentemente le persone di sesso femminile in età adulta;
   i sintomi della fibromialgia sono riscontrabili in altre malattie (reumatologiche, neurologiche ed altro) ed è spesso necessario, nella fase di studio e diagnosi, eseguire accertamenti clinici e di laboratorio e strumentali per escludere altre patologie e non vi è alcun esame di laboratorio o radiologico che possa diagnosticare la fibromialgia;
   negli ultimi anni, la fibromialgia è stata meglio definita e caratterizzata attraverso studi che hanno stabilito anche le linee guida per la diagnosi e la terapia;
   già in risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 5-04761 in cui si chiedeva il perché questa malattia non fosse stata ancora riconosciuta né come malattia invalidante, né inserita nei livelli essenziali di assistenza, il Governo rispondeva che gli assistiti potevano già usufruire di tutte le prestazioni contenute nei livelli essenziali di assistenza, erogabili attraverso le strutture del Servizio sanitario nazionale e che, allo stato attuale, esisteva una oggettiva difficoltà ad identificare correttamente, sia in termini di prevalenza che di definizione clinica, le forme di fibromialgia da prendere in considerazione per un possibile inserimento tra le patologie croniche esenti, nel rispetto dei criteri previsti dalla vigente normativa;
   nella risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 5-07313 il Governo affermava che aveva presentato, già nel 2011, al Consiglio superiore di sanità una richiesta di parere sulla fibromialgia e che tale richiesta era poi stata reiterata e che il Consiglio superiore di sanità aveva reso un parere nel settembre del 2015, ove la sezione i del Consiglio aveva proposto che lo studio della definizione dei cut-off potesse essere svolto dal gruppo di lavoro sulla «fibromialgia» della stessa sezione I, integrato con ulteriori esperti delle principali e maggiormente rappresentative associazioni dei pazienti, ed aveva auspicato l'attribuzione del codice identificativo di malattia, perché questo avrebbe consentito un'incisiva riduzione di consulenze, esami e prestazioni inappropriate da parte di altre figure professionali, nonché prospettato il riconoscimento di un'esenzione minima di almeno 24 mesi;
   inoltre, sempre nella risposta, il Governo affermava che poiché il citato parere considerava la fibromialgia come cronica, invalidante solo in alcuni casi, non necessariamente permanente, e che era necessario attendere che fossero definiti i cut-off attraverso studi idonei, il Ministero della salute riteneva che non vi erano, al momento, le condizioni per l'inserimento della fibromialgia nell'elenco delle malattie croniche allegato al decreto ministeriale n. 329 del 1999 –:
   alla luce dei fatti sopra esposti ed in particolare della risposta all'atto di sindacato ispettivo 5-07313, quale sia, allo stato attuale, la definizione dei cut-off e se il Ministro interrogato non ritenga doveroso adottare iniziative affinché tale definizione avvenga il prima possibile per poter poi inserire tale malattia nell'elenco delle malattie croniche di cui al decreto ministeriale n. 329 del 1999 così come da ultimo modificato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sui nuovi livelli essenziali di assistenza del 12 gennaio 2017. (5-11114)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   DIENI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto emerge da notizie di stampa locale come nell'articolo «Ci sono consulenze da eliminare», apparso sul Quotidiano del sud a firma di Caterina Tripodi, la provincia di Reggio Calabria avrebbe attribuito una consulenza a Carlo Alberto Porcino, già presidente del consiglio di amministrazione di Sogas;
   Sogas è stata fino a pochi mesi fa società di gestione dell'Aeroporto Tito Minniti di Reggio Calabria, ora posta in liquidazione a seguito di una gestione fallimentare protrattasi per anni sotto la guida di Carlo Alberto Porcino;
   è talmente grave la situazione lasciata dal suddetto che, in questi giorni, l'aeroporto è al centro di trattative con Alitalia, principale vettore operante nello scalo, affinché lasciando lo stesso non ne determini la sostanziale chiusura;
   è per questo paradossale che la città metropolitana di Reggio Calabria si trovi oggi a ricevere dallo stesso una consulenza di natura amministrativo/contabile –:
   se non ritenga di assumere iniziative, per quanto di competenza, anche di carattere normativo, per limitare la possibilità, per soggetti pubblici, di attribuire consulenze a soggetti che abbiano portato risultati negativi nella gestione di società pubbliche. (4-16255)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta immediata:


   SPERANZA, LAFORGIA, SCOTTO, ROBERTA AGOSTINI, ALBINI, BERSANI, FRANCO BORDO, BOSSA, CAPODICASA, CIMBRO, D'ATTORRE, DURANTI, EPIFANI, FAVA, FERRARA, FOLINO, FONTANELLI, FORMISANO, FOSSATI, CARLO GALLI, KRONBICHLER, LEVA, MARTELLI, MATARRELLI, MELILLA, MOGNATO, MURER, NICCHI, GIORGIO PICCOLO, PIRAS, QUARANTA, RAGOSTA, RICCIATTI, ROSTAN, SANNICANDRO, STUMPO, ZACCAGNINI, ZAPPULLA, ZARATTI e ZOGGIA. – Al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   l'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo n. 152 del 2006 (cosiddetto codice ambientale), come modificato dall'articolo 1, comma 239, della legge n. 208 del 2015, sancisce il divieto delle attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, nonché nelle zone di mare poste entro dodici miglia. Sono comunque fatti salvi i titoli abilitativi già rilasciati, per la durata di vita utile del giacimento;
   nella Gazzetta ufficiale n. 78 del 3 aprile 2017 è stato pubblicato il decreto del Ministero dello sviluppo economico del 7 dicembre 2016, nel quale, tra l'altro, all'articolo 15 si interviene sulle attività consentite nelle suddette aree oggetto dei divieti di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi;
   in virtù del citato articolo 15 del decreto, le società petrolifere titolari di concessioni entro le 12 miglia dalla costa potranno ora modificare, e quindi di fatto anche ampliare in corso d'opera, il loro programma lavori originariamente approvato (in virtù del quale avevano ottenuto l'autorizzazione), e questo anche per recuperare altre riserve esistenti, magari aumentando a tal fine i pozzi e le piattaforme per tutta la durata di vita utile del giacimento. Finora le concessioni esistenti, potevano continuare a estrarre entro le 12 miglia, sempre però nel rispetto del progetto originariamente autorizzato;
   è evidente come dette previsioni derogano dalla normativa vigente, a giudizio degli interroganti contraddicono e aggirano di fatto il divieto di «trivellazioni» entro le 12 miglia e vanno in direzione opposta alla volontà espressa chiaramente da oltre l'85 per cento dei votanti al referendum (che non raggiunse il quorum) contro il rinnovo delle attività di estrazione alla scadenza delle concessioni –:
   se non intenda ritirare l'atto di cui in premessa, in quanto di fatto derogatorio rispetto alla normativa vigente in materia di divieto di nuove e ulteriori attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi, entro le 12 miglia, o emanare norme correttive del citato decreto, volte a specificare che in ogni caso le possibili modifiche al programma lavori originariamente approvato possono essere autorizzate solo per finalità di manutenzione e di maggiore tutela ambientale e non devono comportare in alcun modo aumenti delle suddette attività e della capacità estrattiva. (3-02942)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

X Commissione:


   CIVATI, PELLEGRINO, MARCON, AIRAUDO, FRATOIANNI, FASSINA, GIANCARLO GIORDANO, PANNARALE, ANDREA MAESTRI e PLACIDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 3 aprile 2017, in Gazzetta Ufficiale è stato pubblicato il decreto del Ministro dello sviluppo economico che stabilisce, nell'ambito delle competenze del Ministero, le modalità di conferimento dei titoli concessori unici, dei permessi di prospezione, di ricerca e delle concessioni di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi nella terraferma, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale;
   al capo III, l'articolo 15, del decreto recita: «Fermo restando il divieto di conferimento di nuovi titoli minerari nelle aree marine e costiere protette e nelle 12 miglia dal perimetro esterno di tali aree e dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale sono consentite, nelle predette aree, le attività da svolgere nell'ambito dei titoli abilitativi già rilasciati, anche apportando modifiche al programma dei lavori originariamente approvato»;
   la lettera a), comma 3, dell'articolo 15 recita «possono essere inoltre autorizzate: a) le attività funzionali alla coltivazione, fino ad esaurimento del giacimento, e all'esecuzione dei programmi di lavoro approvati in sede di conferimento o di proroga del titolo minerario, compresa la costruzione di infrastrutture e di opere di sviluppo e coltivazione necessarie all'esercizio»;
   in questo modo, si garantisce alle compagnie petrolifere di portare a compimento tutte le attività ma si consente la possibilità di «varianti», attraverso le quali si permette alle compagnie petrolifere la possibilità di installazione di nuove piattaforme «funzionali a garantire l'esercizio dei lavori, nonché consentire il recupero delle riserve accertate»;
   stando al testo, dunque, nuove trivellazioni saranno possibili anche nelle aree ricadenti entro le 12 miglia marine, consentendo così, non solo di portare a termine un progetto, ma persino di modificarlo, eludendo così il divieto di legge;
   la pubblicazione del decreto del Ministro dello sviluppo economico smentisce le roboanti e bugiarde dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore Renzi che dichiarava il referendum inutile in quanto non ci sarebbero state mai più trivellazioni entro le 12 miglia;
   con la pubblicazione del suddetto decreto ministeriale, il Governo, a giudizio degli interroganti, con arroganza, intende escludere ed eludere un confronto in Parlamento su tali temi; questo in piena continuità con il Governo pro tempore Renzi; si tratta di un decreto che per gli interroganti rappresenta uno schiaffo nei confronti di 14 milioni di italiani che parteciparono al referendum e delle regioni;
   alcune regioni stanno valutando la possibilità di impugnare il suddetto decreto 7 dicembre 2016 –:
   se non intenda procedere al ritiro del decreto 7 dicembre 2016 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 78 del 3 aprile 2017. (5-11111)


   CRIPPA, PAOLO NICOLÒ ROMANO, VALLASCAS, LOMBARDI, FANTINATI, DELLA VALLE, CANCELLERI e DA VILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   giovedì 13 aprile 2017 è il termine ultimo deciso dal Governo affinché vertici aziendali e sindacali addivengano ad un accordo in merito al nuovo piano industriale di Alitalia, poiché esso è precondizione imposta dalle banche azioniste per una ricapitalizzazione della ex compagnia di bandiera e un ulteriore slittamento dei tempi causerebbe il default societario, aprendo di fatto la strada al suo commissariamento;
   da quanto si apprende dalla stampa il nuovo piano industriale è l'ennesima riproposizione di quelle che appaiono agli interroganti come stantie e fallimentari strategie di ridimensionamento aziendale tutte focalizzate al solo contenimento dei costi, senza un lungimirante rilancio della compagnia nei nuovi mercati fortemente in espansione. Il nuovo piano industriale, infatti, prevede, a distanza di soli due anni dal precedente, nuovi rilevanti tagli ai livelli occupazionali e retributivi;
   Alitalia è un'azienda strategica per il Paese e in un mercato del trasporto aereo in forte crescita è da stigmatizzare per gli interroganti la scelta delle banche azioniste non solo di scaricare nuovamente costi umani e sociali sull'intera collettività ma di richiedere garanzie pubbliche per la ricapitalizzazione dell'azienda;
   è ampiamente dimostrato che il costo del lavoro non è la causa principale del forte indebitamento di Alitalia poiché sono all'opposto: i costi fuori controllo nella manutenzione, leasing, handling, catering e altro; un management, a giudizio degli interroganti inadeguato, residuo dell'era pubblica, un modello di business (non è una low cost, non è un grande vettore intercontinentale) che l'hanno progressivamente marginalizzata nei mercati più redditizi;
   recentemente è stato presentato dal comune di Fiumicino un appello al Governo affinché favorisca l'ingresso, nel capitale azionario di Alitalia, di aziende a controllo pubblico – quali il Gruppo Ferrovie dello Stato Spa, Eni Spa e Leonardo Spa – che con la ex compagnia di bandiera possono creare in vari modi rilevanti sinergie;
   dai giornali si apprende anche di una soluzione allo studio che prevederebbe che gli attuali soci di Alitalia (Cai al 51 per cento e Etihad al 49 per cento) creino una nuova società ad hoc per rilevare i 300 milioni di bond in mano a Generali, dando in cambio al Leone delle obbligazioni della nuova società –:
   di quali informazioni disponga il Governo in merito alle proposte descritte in premessa, quale sia il suo orientamento e quali iniziative di competenza intenda adottare per salvaguardare l'operatività della compagnia di bandiera, tutelando gli aspetti occupazionali. (5-11112)

Interrogazione a risposta scritta:


   DE MENECH. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la Val Visdende – candidata a patrimonio dell'UNESCO – è una valle alpina del Comelico situata nell'area dei comuni di San Pietro e Santo Stefano di Cadore, in provincia di Belluno;
   l'etimologia del nome Val Visdende può essere ricondotta a diverse interpretazioni: dal latino vallis videnda «valle che merita di essere vista» oppure, sempre dal latino, vices ossia dall'avvicendamento nella custodia del bestiame qui praticato nei secoli passati;
   l'economia della valle si basa esclusivamente sul turismo estivo e sull'allevamento di bestiame da latte e la conseguente produzione di prodotti caseari di malga. Sono presenti diverse malghe ad alta quota ed alpeggi al confine con l'Austria;
   storiche, per i valligiani, sono state le visite di papa Giovanni Paolo II e dei Presidenti della Repubblica Sandro Pertini e, per più volte, Francesco Cossiga. La valle ospitò anche, nel 1906, alcuni allenamenti che il principe Scipione Borghese effettuò con la sua vettura in vista del raid Pechino-Parigi, essendo stata giudicata simile, per la sua morfologia, a certi territori che si prevedeva di attraversare in Cina (all'evento è stata dedicata una lapide commemorativa nel settembre 2007);
   la Val Visdende è una valle in cui la sua natura è stata preservata da uno sfruttamento turistico intensivo, le poche attività turistiche e l'ambiente incontaminato intercettano gli appassionati del turismo semplice vissuto a contatto con la natura. È denominata «Tempio di Dio – Inno al Creatore»;
   nella valle sono presenti 140 abitazioni di autoctoni, un'area sosta per camper, diverse strutture adibite a ristoranti agrituristici e/o alberghi;
   la rete delle mulattiere e dei sentieri permette grandi passeggiate e magnifici percorsi in mountain bike;
   interrotta da chiare radure pascolive, la Val Visdende è frequentata da escursionisti e naturalisti per la dolce morfologia del terreno che consente lunghe attraversate senza notevoli dislivelli; ed è sicuramente tra le più belle e amate aree alpine;
   le peculiarità morfologiche fanno sì che, nei mesi estivi, la valle sia massivamente frequentata dai turisti, divenendo un volano per lo sviluppo del territorio;
   in questa zona è, però, difficile, se non talvolta impossibile, fruire di una connessione telefonica e di un accesso ad internet;
   la possibilità di godere di una connessione alla rete è ormai irrinunciabile, anche quando si gode di un periodo di ferie;
   è inoltre assolutamente necessario poter comunicare telefonicamente con qualunque soggetto ed in qualunque momento, soprattutto quando si è in difficoltà: la vastità della valle ha più volte favorito situazioni di difficoltà; prima della mobilitazione dei soccorsi, può essere sufficiente la telefonata ad un familiare;
   il problema è stato ripetutamente segnalato a «Telecom Italia S.p.a.», proprietaria di un ripetitore in località Prà Marino. L'ultima segnalazione, firmata da 50 abitanti stanziali, risale all'11 agosto 2015. In risposta, Telecom afferma: «Le verifiche effettuate dal nostro personale territoriale, hanno evidenziato che la copertura della zona indicata non garantisce a pieno il funzionamento del servizio. Non sono previsti interventi dedicati a breve termine»;
   una soluzione potrebbe prevedere l'installazione di un ripetitore, individuando nella zona denominata Forcella Zovo – già dotata di elettricità fornita da Enel ed in collegamento visivo con due ripetitori situati rispettivamente sul monte Zovo e sul monte Tudaio – il sito ideale. L'impatto ambientale sarebbe nullo –:
   quali iniziative il Governo possa attuare, per quanto di competenza, al fine di sollecitare una soluzione dell'increscioso e deleterio problema sopra segnalato.
(4-16262)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Dell'Aringa e altri n. 1-01319, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Oliaro.

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Grillo n. 1-01563, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 769 del 29 marzo 2017.

   La Camera,
   premesso che:
    i dirigenti dell'area medica e sanitaria del Servizio sanitario nazionale, in deroga al generale divieto posto per i pubblici dipendenti, hanno la possibilità di esercitare l'attività libero professionale medica in due diverse forme:
     a) intramoenia o intramuraria, se in rapporto esclusivo con il Servizio sanitario nazionale;
     b) extramoenia o extramuraria se in rapporto non esclusivo con il Servizio sanitario nazionale;
    l'attività libero-professionale intramuraria di tali dirigenti è rappresentata dall'attività che detto personale, individualmente o in équipe esercita fuori dall'orario di lavoro e dall'impegno di servizio istituzionale sia in regime ambulatoriale (comprese le attività di diagnostica strumentale e di laboratorio, di day hospital, di day surgery) che di ricovero, nonché dalle prestazioni farmaceutiche ad esso collegate. Tale attività può essere esercitata nelle strutture ospedaliere o territoriali, in favore e su libera scelta dell'assistito e con oneri a carico dello stesso, su richiesta di assicurazioni o di fondi sanitari integrativi del Servizio sanitario nazionale ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 502 del 1992;
    l'esclusività del rapporto con il Servizio sanitario nazionale, da una parte, comporta un trattamento economico aggiuntivo per la rinuncia all'esercizio di attività libero professionale extramoenia e, dall'altra, consente al professionista dipendente del Servizio sanitario nazionale di esercitare la propria attività libero professionale intramoenia, con oneri a carico del cittadino che lo richieda liberamente, al di fuori dell'orario di lavoro, in misura non superiore all'attività che il professionista sanitario è tenuto ad erogare in ragione del suo ruolo di dipendente pubblico della medesima struttura;
    l'attività libero-professionale e aggiuntiva può essere svolta, sia individualmente che in équipe, all'interno o all'esterno delle strutture sanitarie ospedaliere o territoriali, sia pubbliche che private convenzionate e concerne ogni tipo di prestazione (ambulatoriale, diagnostica strumentale e di laboratorio, di ricovero sia diurno che ordinario, farmaceutiche);
    l’intramoenia può essere anche richiesta dalla direzione strategica della stessa struttura di appartenenza del dipendente per esigenze specifiche connesse alla necessità di ridurre le liste di attesa e rispondere alla domanda degli utenti ed è utilizzata a patto che non incrementi le liste di attesa, non contrasti con gli interessi o le finalità pubbliche e con gli obiettivi della struttura sanitaria;
    l'esercizio dell'attività libero professionale intramuraria non deve contrastare con le finalità istituzionali dell'azienda e il suo svolgimento deve essere organizzato al di fuori dell'orario di lavoro, in modo da garantire l'integrale assolvimento dei compiti di istituto e assicurando la piena funzionalità dei servizi: per questo l'attività libero professionale intramuraria non può globalmente comportare un volume di prestazioni superiore a quello assicurato per i compiti istituzionali;
    l’intramoenia può essere effettuata nel rispetto dell'equilibrio tra attività istituzionali e libero-professionali e compete alle regioni il controllo sulle modalità di svolgimento dell'attività intramoenia e sul rispetto del limite quantitativo consentito. Ogni struttura sanitaria deve quindi regolamentare l'attività intramoenia nell'ambito del piano aziendale, con l'indicazione dei volumi consentiti, della rilevazione oraria, del monitoraggio, del controllo e della verifica tramite appositi organismi paritetici con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e le organizzazioni degli utenti e di tutela dei diritti;
    le tipologie di attività libero professionale consentite sono così sintetizzabili:
    a) libera professione individuale, caratterizzata dalla scelta diretta del professionista da parte dell'utente;
    b) attività libero professionale a pagamento svolta in équipe, caratterizzata dalla richiesta di prestazioni da parte dell'utente, singolo o associato, all’équipe;
    c) partecipazione ai proventi di attività richiesta a pagamento da singoli utenti, svolta individualmente o in équipe, in strutture di altra azienda del Servizio sanitario nazionale o di altra struttura sanitaria non accreditata, previa convenzione con le stesse;
    d) partecipazione ai proventi di attività professionali a pagamento richiesta da terzi all'azienda anche al fine di consentire la riduzione dei tempi di attesa. Sono considerate tali anche le prestazioni richieste, in via eccezionale e temporanea, ad integrazione dell'attività istituzionale, dalle aziende ai propri dirigenti allo scopo o di ridurre le liste di attesa o di acquisire prestazioni aggiuntive, specie nei casi di carenza di organico o di impossibilità anche momentanea di coprire i posti con personale in possesso dei requisiti di legge;
    sono, altresì, consentite altre forme di attività a pagamento dei dirigenti sanitari ai sensi dell'articolo 58 del contratto collettivo nazionale di lavoro dell'8 giugno 2000 – quadriennio normativo 1998-2001 – biennio economico 1998-1999;
    infine, per attività libero-professionale, cosiddetta «allargata», si intende l'attività svolta in studi privati professionali;
    le aziende sanitarie locali, le aziende ospedaliere, le aziende ospedaliero-universitarie, i policlinici universitari a gestione diretta e gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) di diritto pubblico gestiscono, con integrale responsabilità propria, l'attività libero-professionale intramuraria, al fine di assicurarne il corretto esercizio;
    l'attività intramoenia è consentita anche presso il proprio studio professionale, secondo precise modalità ed in via transitoria ed eccezionale, solo in caso di carenza di strutture e spazi aziendali idonei e a riguardo le regioni, per superare la carenza degli spazi, devono programmare interventi di ristrutturazione edilizia o la realizzazione e/o acquisizione di strutture sanitarie per l'attività libero-professionale intramuraria, utilizzando i fondi destinati all'edilizia sanitaria e comunque nei limiti introdotti dalle misure sulla spending review e sulla riorganizzazione della rete ospedaliera e territoriale; in tali casi si configura la tipologia di attività intramoenia «allargata» che può essere svolta, previa autorizzazione dell'azienda e nel rispetto di apposito regolamento emanato dalla stessa azienda comprendente anche le tariffe e le quote di distribuzione, in studi privati professionali non accreditati/convenzionati con il Servizio sanitario nazionale;
    il decreto-legge n. 158 del 2012 (cosiddetto «decreto Balduzzi») ha proceduto ad un riordino dell'attività intramoenia nell'intento di garantire, entro il mese di febbraio 2015, il passaggio di tale istituto da un regime transitorio ad un regime ordinario e, in tal senso, ha previsto la necessità di procedere ad una ricognizione degli spazi, prevedendo anche un programma sperimentale per consentire l’intramoenia negli studi privati dei professionisti collegati in rete anche con le aziende sanitarie e a condizione che nello studio non vi siano medici che svolgano attività privata o non in regime di esclusività o, qualora vi siano, che assicurino anch'essi la tracciabilità delle prestazioni;
    il sopra citato decreto ha previsto anche la necessità di realizzare la tracciabilità dei pagamenti e la rideterminazione delle tariffe per gli assistiti, a copertura sia del compenso del professionista e degli eventuali componenti dell’équipe sia dei costi diretti ed indiretti sostenuti dalle aziende; nell'ambito delle tariffe, una quota pari al 5 per cento del compenso del professionista è trattenuta per essere vincolata ad interventi di prevenzione ovvero volti alla riduzione delle liste d'attesa, ai fini del progressivo allineamento dei tempi di erogazione delle prestazioni nell'ambito dell'attività istituzionale ai tempi medi di quelle rese in regime di libera professione intramoenia. Il sistema sanzionatorio prevede, nell'ipotesi di gravità, il potere sostituivo o la destituzione del direttore generale o la decurtazione del 20 per cento sulla retribuzione di risultato;
    la legge 3 agosto 2007, n. 120, «Disposizioni in materia di attività libero-professionale intramuraria e altre norme in materia sanitaria», all'articolo 1, comma 4, lettera g), recita «progressivo allineamento dei tempi di erogazione delle prestazioni nell'ambito dell'attività istituzionale ai tempi medi di quelle rese in regime di libera professione intramuraria, al fine di assicurare che il ricorso a quest'ultima sia conseguenza di libera scelta del cittadino e non di carenza nell'organizzazione dei servizi resi nell'ambito dell'attività istituzionale. A tal fine, il Ministro della salute presenta annualmente al Parlamento una relazione sull'esercizio della libera professione medica intramuraria, ai sensi dell'articolo 15-quaterdecies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, con particolare riferimento alle implicazioni sulle liste di attesa e alle disparità nell'accesso ai servizi sanitari pubblici»;
    la determina dell'Anac 28 ottobre 2015, n. 12, sul Piano nazionale anticorruzione – aggiornamento 2015 (Gazzetta Ufficiale 16 novembre 2015, n. 267) recita: «Fra gli eventi rischiosi della fase di esercizio dell'attività libero professionale intramuraria possono configurarsi l'errata indicazione al paziente delle modalità e dei tempi di accesso alle prestazioni in regime assistenziale, la violazione del limite dei volumi di attività previsti nell'autorizzazione, lo svolgimento della libera professione in orario di servizio, il trattamento più favorevole dei pazienti trattati in libera professione. Misure di contrasto possono individuarsi, ad esempio, nell'informatizzazione delle liste di attesa; nell'obbligo di prenotazione di tutte le prestazioni attraverso il cup aziendale o sovra-aziendale con gestione delle agende dei professionisti in relazione alla gravità della patologia; nell'aggiornamento periodico delle liste di attesa istituzionali; nella verifica periodica del rispetto dei volumi concordati in sede di autorizzazione; nell'adozione di un sistema di gestione informatica dell'attività libero professionale intramuraria dalla prenotazione alla fatturazione; nel prevedere nel regolamento aziendale una disciplina dei ricoveri in regime di libera professione e specifiche sanzioni»;
    per quanto concerne l'attività libero professionale intramuraria espletata presso «studi professionali in rete», al fine di evitare la violazione degli obblighi di fatturazione e la mancata prenotazione tramite il servizio aziendale, occorre rafforzare i controlli e le verifiche periodiche sul rispetto della normativa nazionale e degli atti regolamentari in materia;
    non risulta ancora pubblicato il nuovo piano nazionale per il Governo delle liste di attesa 2016-2018 e l'ultimo piano nazionale di Governo delle liste di attesa (Pngla) 2010-2012 è del 28 ottobre 2010;
    l'ultima relazione annuale al Parlamento sull'esercizio dell'attività libero professionale intramuraria, relativa all'anno 2014 e presentata nel settembre 2016, ha messo in evidenza diffuse criticità attuative di tutte le condizioni che consentono l'intramoenia; infatti, rispetto alle novità introdotte dal cosiddetto «decreto Balduzzi», solo 13 regioni hanno provveduto ad emanare/aggiornare le linee guida regionali, mentre sono solo 10 le regioni in cui tutte le aziende presenti hanno dichiarato di aver attivato l'infrastruttura di rete e solo in 5 regioni si garantiscono spazi idonei e sufficienti per esercitare la libera professione e pertanto la maggior parte delle regioni ha proceduto all'acquisizione di spazi tramite acquisto, locazione e stipula di convenzioni e/o all'attivazione del programma sperimentale per lo svolgimento dell'attività libero-professionale, in via residuale, presso gli studi privati dei professionisti collegati in rete;
    la relazione, citando il conto annuale della Ragioneria generale dello Stato, ha evidenziato che, mediamente, circa il 94 per cento dei dirigenti medici e sanitari non medici è legato alla propria azienda da un rapporto di esclusività, seppur con percentuali diverse per le singole figure professionali, e ha altresì rilevato che il numero dei medici che hanno optato per l'attività libero professionale intramuraria è passato da 59.000 unità relative all'anno 2012, pari al 48 per cento del totale dei dirigenti medici del Servizio sanitario nazionale, a 53.000 unità nel 2014, pari al 44 per cento circa del totale dei dirigenti medici stessi. In media, dunque, nel Servizio sanitario nazionale il 48,7 per cento dei dirigenti medici, con rapporto esclusivo, esercita la libera professione intramuraria;
    la medesima relazione ha però precisato che il riscontro sul numero dei medici che hanno optato per l'attività libero professionale intramuraria non tiene conto degli universitari, ossia i medici che pur fornendo prestazioni assistenziali nelle strutture del servizio sanitario regionale, sono dipendenti dell'università, gli specialisti ambulatoriali convenzionati, i cosiddetti «sumaisti» ed altre tipologie di personale non legate al Servizio sanitario nazionale da un rapporto di lavoro dipendente;
    il ricorso all’intramoenia è sempre più spesso una conseguenza obbligata per il cittadino dinanzi alle lunghe liste di attesa e alle inefficienze del Servizio sanitario nazionale, in netto contrasto con quanto previsto dalle norme che avevano introdotto tale istituto;
    è necessario dunque garantire che, nella valutazione dei parametri di riferimento relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure, si tenga conto del rispetto del progressivo allineamento dei tempi di erogazione delle prestazioni nell'ambito dell'attività istituzionale ai tempi medi di quelle rese in regime di libera professione intramuraria, come previsto dalla sopra citata legge 3 agosto 2007, n. 120;
    è altresì necessario dare concreta attuazione alla determina Anac 28 ottobre 2015, n. 12, prevedendo che, in caso di mancato rispetto di tutte le disposizioni e condizioni che consentono l'esercizio dell'attività libero-professionale intramoenia, la stessa non sia in alcun modo autorizzata, prospettando reali conseguenze penalizzanti per le strutture sanitarie e per i soggetti responsabili;
    la giunta della regione Emilia-Romagna, in data 27 luglio 2015 (progr. num. 1056/2015), ha deliberato la proposta di deliberazione ad oggetto: «Riduzione delle liste di attesa per l'accesso alle prestazioni sanitarie». L'assessore alla sanità della regione Emilia-Romagna, Sergio Venturi, ha recentemente dichiarato che: «il nostro piano regionale contro le liste di attesa è partito a luglio del 2015. Dopo poco più di un anno a regime possiamo dire di riuscire a garantire le prestazioni sanitarie entro i tempi stabiliti in circa il 98 per cento dei casi»,

impegna il Governo:

1) ad emanare i decreti del Ministro della salute per la definizione della metodologia di valutazione dei parametri di riferimento relativi a volumi, qualità ed esiti delle cure, previsti all'articolo 1, commi 526 e 536, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, tenendo conto dell'articolo 1, comma 4, lettera g), della legge 3 agosto 2007, n. 120, «Disposizioni in materia di attività libero professionale intramuraria e altre norme in materia sanitaria», nonché dell'attuazione della determina Anac 28 ottobre 2015, n. 12, Piano nazionale anticorruzione – aggiornamento 2015 (Gazzetta Ufficiale 16 novembre 2015, n. 267);

2) ad assumere iniziative normative affinché il mancato rispetto delle indicazioni previste dalla legge 3 agosto 2007, n. 120, «Disposizioni in materia di attività libero professionale intramuraria e altre norme in materia sanitaria», nonché della determina dell'Anac 28 ottobre 2015, n. 12, Piano nazionale anticorruzione – aggiornamento 2015 (Gazzetta Ufficiale 16 novembre 2015 n. 267), determini reali conseguenze penalizzanti per le strutture sanitarie e per i soggetti responsabili delle strutture sanitarie, prevedendo che il sistema sanzionatorio di cui al comma 7 dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 120, specificatamente la destituzione del direttore generale e la decurtazione, pari ad almeno il 20 per cento, della sua retribuzione di risultato, nonché l'automatismo dei poteri sostitutivi susseguenti alla mera rilevazione dell'inadempienza, come certificata dall'attività di monitoraggio prodromica alla relazione che il Ministro della salute invia annualmente al Parlamento sullo stato di attuazione dell'esercizio dell'attività libero-professionale intramuraria, secondo quanto disposto dalla medesima legge n. 120 del 2007;

3) ad assumere iniziative, anche normative, affinché le regioni e le province autonome provvedano a non autorizzare e comunque a sospendere l'attività libero-professionale, laddove non si siano realizzate, ai sensi di quanto previsto dal comma 4 dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 120, le seguenti condizioni:
   a) avvenuta attivazione dell'infrastruttura di rete per il collegamento in voce o in dati, in condizioni di sicurezza, tra l'ente o l'azienda e lo studio del professionista con le modalità tecniche di realizzazione individuate dal decreto del Ministro della salute del 21 febbraio 2013, «Modalità tecniche per la realizzazione della infrastruttura di rete per il supporto all'organizzazione dell'attività libero professionale intramuraria, ai sensi dell'articolo 1, comma 4, lettera a-bis), della legge 3 agosto 2007, n. 120, e successive modifiche ed integrazioni»;
   b) avvenuta attivazione del servizio di prenotazione esclusivamente mediante l'infrastruttura di rete per il collegamento in voce o in dati e che, attraverso la medesima, siano inseriti e comunicati in tempo reale i dati tra l'ente o l'azienda e le singole strutture, interne o esterne, e/o gli studi professionali in rete, ossia i dati concernenti l'impegno orario del sanitario, i pazienti visitati, le prescrizioni e gli estremi dei pagamenti, escludendo in ogni caso che l'agenda dell'attività libero professionale sia tenuta dal professionista;
   c) avvenuta attivazione dei sistemi e dei moduli organizzativi e tecnologici che consentono il controllo dei volumi delle prestazioni libero professionali e accertamento che gli stessi, globalmente considerati, non abbiano superato quelli eseguiti nell'orario di lavoro;
   d) avvenuta adozione della strumentazione necessaria ad assicurare la tracciabilità della corresponsione di qualsiasi importo per il pagamento di prestazioni direttamente all'ente o azienda del Servizio sanitario nazionale;

4) ad assumere iniziative, anche normative, affinché gli obblighi di pubblicazione di cui all'articolo 41 del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, che impone agli enti, alle aziende e alle strutture pubbliche e private che erogano prestazioni per conto del servizio sanitario di indicare nel proprio sito, in una apposita sezione denominata «liste di attesa», i criteri di formazione delle liste di attesa, i tempi di attesa previsti e i tempi medi effettivi di attesa per ciascuna tipologia di prestazione erogata, siano assolti prevedendo che tale sezione sia ben visibile anche nella home page del sito web aziendale e che includa anche i dati relativi ai tempi di attesa stabiliti dalla normativa nazionale e regionale, in maniera tale che l'utente del servizio possa facilmente raffrontare il tempo di attesa previsto con il tempo stabilito dalle legislazione vigente;

5) ad assumere iniziative, anche normative, affinché assuma carattere permanente e/o vigente la disposizione transitoria di cui all'articolo 3, comma 13, del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124, che consente all'assistito, nel caso in cui l'attesa si prolunghi oltre il limite massimo stabilito dalla legislazione regionale o nazionale, di accedere alla prestazione resa nell'ambito dell'attività libero professionale intramuraria, con costi a carico dell'azienda, prevedendo quindi che la struttura sanitaria, anche tramite il rilascio all'utente di un bonus, assicuri la prestazione anche attraverso l'attività libero professionale intramoenia;

6) ad assumere iniziative affinché lo specifico monitoraggio, finalizzato a presentare una relazione al Parlamento concernente un quadro complessivo del fenomeno attività libero professionale intramuraria, il grado di adeguamento alla norma nazionale, le disomogeneità presenti e le criticità che impediscono o rallentano il percorso attuativo della legge nazionale sull'attività libero professionale intramuraria, includa anche l'attività libero professionale svolta da tutto il personale medico, ivi inclusi i medici universitari, ossia quei medici che, pur essendo dipendenti dell'università, forniscono prestazioni assistenziali al Servizio sanitario nazionale in regime di convenzione, nonché i medici specialisti ambulatoriali convenzionati, i cosiddetti «sumaisti», anch'essi operanti in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale e qualsiasi altra tipologia di personale non legato all'azienda da un rapporto di lavoro dipendente;

7) ad assumere iniziative affinché il monitoraggio periodico sullo stato di attuazione dell'esercizio dell'attività libero professionale intra ed extramuraria e la susseguente relazione al Parlamento rispettino le tempistiche previste dalla legislazione vigente, prevedendo che, in caso di inadempienza nella partecipazione alle rilevazioni da parte delle aziende o strutture sanitarie, sia inibita o sospesa la possibilità di svolgere attività libero professionale nell'azienda o struttura sanitaria inadempiente;

8) ad assumere iniziative normative affinché, entro il più breve tempo possibile, venga presentato alle Commissioni competenti di Camera e Senato una bozza del «nuovo» piano nazionale per il governo dei tempi di attesa che contempli l'implementazione, a livello nazionale, delle iniziative approvate dalla regione Emilia-Romagna, tra cui l'analisi e le conseguenze rispetto alla possibilità di interruzione dell'attività libero professionale intramuraria, prevedendo, altresì, che l'approvazione definitiva del nuovo piano nazionale per il governo dei tempi di attesa, attraverso un parere obbligatorio delle Commissioni competenti di Camera e Senato, avvenga entro e non oltre il 30 settembre 2017;

9) ad assumere iniziative normative affinché il piano nazionale 2016-2018 per il governo dei tempi di attesa includa anche la possibilità di accesso alle prestazioni nei giorni festivi e nelle ore serali, soprattutto per quelle prestazioni che presentano tempi di attesa eccessivamente critici, prevedendo che gli ambulatori delle cure primarie siano specificatamente finalizzati anche all'abbattimento delle liste di attesa, oltre che a regolare in maniera più efficace l'accesso ai pronto soccorso e a garantire la continuità dell'assistenza;

10) ad assumere iniziative affinché il piano nazionale per il governo dei tempi di attesa sia adeguato al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017 che, in attuazione del combinato disposto degli articoli 32 e 117 della Costituzione, definisce i nuovi livelli essenziali di assistenza e dunque le prestazioni che il Servizio sanitario nazionale deve garantire, gratuitamente o tramite compartecipazione, a tutela della salute individuale e collettiva, attraverso le strutture pubbliche o private accreditate, che quindi devono garantire un accesso adeguato all'elenco delle prestazioni diagnostiche, terapeutiche e riabilitative di assistenza specialistica ambulatoriale e di assistenza ospedaliera per le quali il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri si è limitato, invece, solo a definirne l'appropriatezza ma non anche l'adeguata accessibilità;

11) ad assumere iniziative affinché il «nuovo» piano nazionale per il Governo dei tempi di attesa contempli, con il supporto dell'Agenzia per l'Italia digitale, la realizzazione di una piattaforma tecnologica, sul modello del Programma nazionale esiti, per il monitoraggio e l'implementazione del rispetto dei tempi di attesa delle prestazioni di tutti gli enti del sistema sanitario nazionale, considerato che i dati forniti da questi ultimi, a livello di singolo professionista o équipe professionale, devono rappresentare un importante indicatore da inserire nella griglia di monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza per gli anni a partire dal 2018, facendo in modo tale che l'accesso alla piattaforma tecnologica sia di facile fruizione e garantito a tutti i cittadini e che l'aggiornamento dei dati sia a cadenza massimo mensile;

12) ad assumere iniziative affinché il piano nazionale per il Governo dei tempi di attesa e il suo monitoraggio siano debitamente inseriti in una relazione annuale al Parlamento e contempli che, in caso di mancata informatizzazione del sistema di prenotazione e in caso di mancata realizzazione delle misure indicate nel «Piano e-government 2012 obiettivo 4 – progetto «Rete centri di prenotazione», finalizzato a realizzare il centro unico di prenotazione, siano previste forme di penalizzazione sulla possibilità di realizzare l'attività libero professionale intramoenia per quelle regioni che non abbiano realizzato l'informatizzazione completa del sistema di prenotazione, partitamente separato per le prestazioni istituzionali e per le prestazioni libero professionali e accessibile on line nei siti istituzionali della regione e delle aziende sanitarie pubbliche e private accreditate, a garanzia della trasparenza e dell'accesso alle informazioni su liste e tempi di attesa, garantendo, altresì, funzionalità automatizzate per la gestione del processo di prescrizione, prenotazione e refertazione digitale, sistemi per l'accesso informatizzato ai referti e uso della telemedicina;

13) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché presso tutti gli enti del Servizio sanitario nazionale le visite specialistiche, le prestazioni diagnostiche ambulatoriali, nonché i ricoveri di elezione siano garantiti secondo le normative in vigore, assicurando, se necessario anche attraverso nuove iniziative normative, che in caso di inadempienza, il direttore generale dell'ente del Servizio sanitario nazionale provveda tempestivamente alla sospensione di tutte le prestazioni rese in regime libero professionale sino al rientro di queste nei tempi di attesa previsti dalle normative e prevedendo, altresì, che il mancato intervento da parte del direttore generale sia da intendersi grave inadempienza con automatica decadenza dell'incarico;

14) ad assumere iniziative affinché il monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza contempli il coinvolgimento delle associazioni dei cittadini e pazienti;

15) a prevedere già nel prossimo documento di economia e finanze una valutazione di investimento, da approvare d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, su reti digitali dei centri unici di prenotazione per raggiungere, ove ancora non sia avvenuto, la completa applicazione delle linee guida per i sistemi dei centri unici di prenotazione stessi;

16) ad assumere iniziative di competenza, nell'ambito dell'esercizio dei poteri di indirizzo nei confronti dell'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (Aran), affinché siano disposte regole più stringenti ai fini del rinnovo contrattuale dell'area della dirigenza medica e sanitaria, in linea con quanto espresso nella presente mozione per l'esercizio dell'attività libero professionale intramuraria.
(1-01563)
(Ulteriore nuova formulazione) «Grillo, Nesci, Cecconi, Mantero, Silvia Giordano, Lorefice, Colonnese, Di Vita, Baroni, Dall'Osso».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Galgano n. 5-10867 del 20 marzo 2017;
   interrogazione a risposta in Commissione Zoggia n. 5-11028 del 31 marzo 2017;
   interrogazione a risposta in Commissione Giacomoni n. 5-11051 del 5 aprile 2017;
   interrogazione a risposta in Commissione Vezzali n. 5-11084 del 7 aprile 2017.