Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Venerdì 21 aprile 2017

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 21 aprile 2017.

  Gioacchino Alfano, Alli, Amendola, Amici, Baldelli, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Bueno, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Antimo Cesaro, Cicchitto, Colonnese, Coppola, Costa, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Laforgia, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Marcon, Migliore, Mucci, Orlando, Pannarale, Pes, Pisicchio, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Francesco Saverio Romano, Rosato, Domenico Rossi, Rostan, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Tabacci, Terzoni, Valeria Valente, Velo.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 20 aprile 2017 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di legge d'iniziativa dei deputati:
   PELILLO e BERNARDO: «Istituzione degli indici sintetici di affidabilità fiscale per gli esercenti attività d'impresa, arti o professioni» (4440).

  Sarà stampata e distribuita.

Adesione di deputati a proposte di legge.

  La proposta di legge PAGLIA ed altri: «Disposizioni per l'estinzione agevolata dei debiti pregressi insoluti delle persone fisiche e delle piccole e medie imprese verso gli istituti di credito» (4352) è stata successivamente sottoscritta dal deputato Andrea Maestri.

Adesione di deputati a proposte di inchiesta parlamentare.

  La proposta di inchiesta parlamentare SANDRA SAVINO ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sullo stato dei servizi di assistenza sanitaria di emergenza e urgenza» (Doc XXII, n. 74) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Bergamini, Centemero, Garnero Santanchè, Gelmini e Sisto.

Assegnazione di un progetto di legge a Commissione in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, il seguente progetto di legge è assegnato, in sede referente, alla sottoindicata Commissione permanente:

   II Commissione (Giustizia):
  S. 2473. – Senatori FALANGA ed altri: «Disposizioni sulla elezione dei componenti dei consigli degli ordini circondariali forensi» (Approvata dalla 2a Commissione permanente del Senato) (4439) Parere delle Commissioni I e V.

Trasmissione dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri per le politiche e gli affari europei.

  Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri per le politiche e gli affari europei, con lettera in data 18 aprile 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 14, comma 1, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, l'elenco delle procedure giurisdizionali e di precontenzioso con l'Unione europea, riferito al primo trimestre del 2017 (Doc. LXXIII-bis, n. 17).

  Questo documento è trasmesso a tutte le Commissioni permanenti e alla Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Trasmissione dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.

  Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha trasmesso decreti ministeriali recanti variazioni di bilancio tra capitoli dello stato di previsione del medesimo Ministero, autorizzate, in data 10 e 24 febbraio e 13 marzo 2017, ai sensi dell'articolo 23, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, dell'articolo 3, comma 159, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e dell'articolo 33, comma 4-quinquies, della legge 31 dicembre 2009, n. 196.

  Questi decreti sono trasmessi alla III Commissione (Affari esteri) e alla V Commissione (Bilancio).

Trasmissione dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

  Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha trasmesso decreti ministeriali recanti variazioni di bilancio tra capitoli dello stato di previsione del medesimo Ministero, di pertinenza del centro di responsabilità «Dipartimento per i trasporti, la navigazione, gli affari generali ed il personale», autorizzate, in data 3 marzo, 19 e 21 aprile e 8 novembre 2016, ai sensi dell'articolo 3, comma 5, del decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279.

  Questi decreti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla IX Commissione (Trasporti).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 20 aprile 2017, ha trasmesso un nuovo testo della proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica (Rifusione) (COM(2016) 864 final/2), che sostituisce il documento COM(2016) 864 final, già assegnato, in data 27 febbraio 2017, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla X Commissione (Attività produttive), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), nonché, in data 14 marzo 2017, alla medesima XIV Commissione ai fini della verifica della conformità al principio di sussidiarietà.

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 20 aprile 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.

  Questi atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Annunzio di provvedimenti concernenti amministrazioni locali.

  Il Ministero dell'interno, con lettere in data 13 aprile 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 141, comma 6, del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, i decreti del Presidente della Repubblica di scioglimento dei consigli comunali di Ardea (Roma), Borgosesia (Vercelli), Camerota (Salerno), Forenza (Potenza), Muro Lucano (Potenza), Pietrapaola (Cosenza), San Gennaro Vesuviano (Napoli) e Villa Latina (Frosinone).

  Questa documentazione è depositata presso il Servizio per i Testi normativi a disposizione degli onorevoli deputati.

Trasmissione dal Consiglio regionale dell'Emilia-Romagna.

  La Presidente del Consiglio regionale dell'Emilia-Romagna, con lettera pervenuta in data 18 aprile 2017, ha trasmesso un voto, approvato dal medesimo Consiglio il 12 aprile 2017, concernente l'auspicio che le Camere intervengano per garantire colui che si trova nelle condizioni previste dall'articolo 52 del codice penale e che le relative spese legali siano rimborsate dallo Stato alla vittima assolta.

  Questo documento è trasmesso alla II Commissione (Giustizia).

Trasmissione dal Difensore civico della regione Marche.

  Il Difensore civico della regione Marche, con lettera in data 21 aprile 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 16, comma 2, della legge 15 maggio 1997, n. 127, la relazione sull'attività svolta dallo stesso Difensore civico nell'anno 2016 (Doc. CXXVIII, n. 51).

  Questa relazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali).

Comunicazione di nomina ministeriale.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 18 aprile 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 19, comma 9, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la comunicazione concernente il conferimento al dottor Fabio Italia, ai sensi del comma 4 del medesimo articolo 19, dell'incarico di livello dirigenziale generale di direttore della Direzione centrale per le risorse finanziarie, nell'ambito del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile del Ministero dell'interno.

  Questa comunicazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

MOZIONI BRESCIA ED ALTRI N. 1-01439, PALESE ED ALTRI N. 1-01603, BINETTI ED ALTRI N. 1-01606, ANDREA MAESTRI ED ALTRI N. 1-01611, CARNEVALI ED ALTRI N. 1-01612 E RONDINI ED ALTRI N. 1-01613 RELATIVE AL FUNZIONAMENTO DEI COSIDDETTI CENTRI HOTSPOT PER I MIGRANTI

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    il regolamento (UE) n. 604/2013 del 26 giugno 2013, conosciuto come regolamento Dublino III, stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide;
    tra i criteri introdotti dal regolamento (UE) n. 604/2013 vi è quello del primo Paese membro di arrivo che, sebbene non sia tra i primi in ordine gerarchico, riveste certamente un ruolo principale per l'Italia per via della posizione geografica e dell'andamento delle rotte e dei flussi migratori;
    il regolamento (UE) n. 603/2013 istituisce il sistema «Eurodac» che è funzionale alle procedure di identificazione di ogni richiedente protezione internazionale e dei cittadini di Paesi terzi intercettati in relazione all'attraversamento irregolare della frontiera per il confronto delle impronte digitali in applicazione del Regolamento (UE) n. 604/2013;
    a seguito del naufragio del 18 aprile 2015 dove hanno perso la vita nel Canale di Sicilia circa 700 migranti, a maggio 2015 la Commissione europea ha adottato l'Agenda europea sulla migrazione con lo scopo di raggiungere una gestione più efficace e condivisa del fenomeno;
    l'Agenda europea sulla migrazione introduce, tra gli altri, due nuovi strumenti di gestione ovvero la ricollocazione ed il reinsediamento dei richiedenti protezione internazionale;
    a norma della decisione (UE) 2015/1523 del Consiglio del 15 settembre 2015 e della decisione (UE) 2015/1601 del Consiglio del 22 settembre 2015, in deroga al regolamento (UE) n. 604/2013, vengono introdotte misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell'Italia e della Grecia per far fronte alla pressione migratoria presente sui due Paesi;
    le decisioni (UE) 2015/1523 e 2015/1601 prevedono la possibilità di ricollocare, ovvero trasferire verso altri Paesi membri secondo quote prestabilite, richiedenti protezione internazionale che in base ai dati disponibili ottengono nel Paesi dell'Unione un riconoscimento della loro domanda non inferiore al 75 per cento, definiti in clear need of protection, per un numero totale pari a 160.000 richiedenti; in attuazione dell'Agenda europea sulla migrazione e a norma delle decisioni (UE) 2015/1523 e 2015/1601, il Governo ha presentato un documento di attuazione degli impegni assunti dall'Italia chiamato Road map che introduce i centri cosiddetti hotspot;
    la Road map è pertanto un documento programmatico e non costituisce in alcun modo una fonte normativa, infatti in audizione presso la «Commissione di inchiesta parlamentare sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate» tenuta il 29 luglio 2015, il Ministro dell'interno Alfano già affermava come i centri cosiddetti hotspot risultassero al momento della loro istituzione privi di copertura giuridica;
    in una nota di maggio 2016 lo stesso Ministero dell'interno cercava di rassicurare circa la presenza di base normativa paventando un sistema di accoglienza suddiviso in tre fasi di cui la prima da attuarsi proprio negli hotspot presupponendone la disciplina all'interno del decreto legislativo n. 142 del 2015 e tentando di equipararli a centri di primo soccorso e assistenza, invero già legittimati dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563, cosiddetta legge Puglia, che consta di soli due articoli, è legata ad un territorio e ad un momento storico preciso, e pertanto risulta già fortemente lacunosa;
    il capo del dipartimento libertà civili e immigrazione del Ministero dell'interno, prefetto Morcone, in audizione presso la «Commissione di inchiesta parlamentare sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate» in data 19 luglio 2016 conferma nuovamente l'assenza di una chiara base giuridica che legittimi gli hotspot;
    il richiamato decreto legislativo n. 142 del 2015, entrato in vigore prima dell'attivazione degli hotspot, non distingue il sistema di accoglienza in tre fasi bensì in due, prima e seconda accoglienza, ed in alcun modo menziona centri cosiddetti hotspot come facenti parte del sistema di accoglienza;
    nel mese di giugno 2016 il Ministero dell'interno ha reso pubbliche le «procedure operative standard» (SOP) applicabili agli hotspot, dove vengono illustrate le modalità operative per le attività da svolgere al loro interno;
    nelle SOP viene palesato come l’hotspot debba essere inteso, oltre che come luogo fisico, anche come approccio, tanto da prevedere un team mobile operativo anche al di fuori dei luoghi individuati come hotspot, con un evidente ulteriore aggravio di illegittimità;
    i centri hotspot attualmente operativi risultano essere quelli istituiti nei porti di Taranto, Trapani, Pozzallo e Lampedusa, ma a questi vanno ad aggiungersi il porto di Augusta che, nonostante le rassicurazioni manifestate del Governo rispetto al fatto che non sarebbe divenuto un hotspot, essendo attualmente il primo porto interessato dagli sbarchi di migranti in Italia, svolge nei fatti le funzioni di hotspot, ed ogni altro luogo ritenuto all'occorrenza utile in virtù della possibilità di utilizzare team mobile come dalle richiamate SOP;
    il Governo ha dichiarato apertamente la necessità di provvedere all'istituzione di ulteriori centri da destinarsi ad hotspot; è infatti di giugno 2016 la scadenza di una procedura di gara indetta da Invitalia, centrale di committenza per il Ministero dell'interno, aperta ai sensi dell'articolo 60, comma 1, del decreto legislativo n. 50 del 2016, per un importo complessivo pari ad euro 1.147.712,04, oltre I.V.A. per l'affidamento della «Fornitura e posa in opera della recinzione modulare all'interno dell'area da destinarsi ad hotspot per migranti presso il «Residence degli Aranci di Mineo», centro noto per tutte le vicende legate ai fatti di «mafia capitale» e sul quale la «Commissione di inchiesta parlamentare sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate» si è già espressa chiaramente a seguito dell'ultima visita ispettiva di luglio 2016 chiedendone la chiusura;
    i centri hotspot risulterebbero dunque strumentali alle procedure di identificazione, di selezione tra richiedenti protezione internazionale e migranti irregolari comunemente chiamati migranti economici effettuata attraverso la somministrazione di un «foglio notizie», ed al ricollocamento degli aventi diritto;
    non vi è alcuna norma di diritto interno e comunitario che definisca la categoria di migrante economico che risulta pertanto del tutto arbitraria;
    a partire dalla loro istituzione e a seguito delle segnalazioni di organizzazioni non governative ed enti di tutela dei diritti dei migranti, sono state denunciate numerose gravi violazioni di diritto in atto all'interno dei centri hotspot o comunque riconducibili al metodo hotspot;
    la stessa «Commissione di inchiesta parlamentare sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate» ha potuto appurare, nel corso delle audizioni tenute sul tema e delle visite ispettive effettuate, numerose gravi violazioni in atto tra cui trattenimento al di fuori delle previsioni normative, trattenimento di minori stranieri non accompagnati anche in situazioni di promiscuità con adulti, procedure di identificazione illegittime, grave sovraffollamento, gestione dei centri poco trasparente e gravi carenze nell'erogazione dei servizi;
    la Costituzione italiana non prevede in alcun modo il trattenimento dei migranti per soli fini identificativi ed inoltre la Corte europea dei diritti dell'uomo ha già condannato l'Italia, con la sentenza Khlaifia e altri c. Italia, per il trattenimento illegittimo a Lampedusa nel 2011 di alcuni cittadini tunisini, in seguito raggiunti anche da provvedimento di respingimento del questore;
    la normativa italiana non consente in alcun modo che venga utilizzata la forza, o altra forma di coercizione, nei confronti dei migranti che rifiutino, ponendo una resistenza passiva, di farsi identificare;
    il sindacato UGL polizia di Stato ha ritenuto di esprimersi con la nota del 10 febbraio 2016 n. 88/S.N. per denunciare le criticità rispetto al «vuoto normativo» circa l'uso della forza nelle operazioni di foto-segnalamento e nella rilevazione delle impronte digitali di cittadini stranieri, ed italiani, contestando quanto espresso dalla circolare del Ministero dell'interno n. 400/A//2014/1.308, e circa il rischio di esporre il personale di polizia a conseguenze di rilevanza penale;
    a seguito di un accordo (Memorandum of Understanding) siglato in data 3 agosto 2016 dal Capo della polizia italiana Franco Gabrielli con il Governo del Sudan, in data 24 agosto 2016, 40 cittadini sudanesi fermati dalla polizia presso il comune di Ventimiglia e facenti parte di un gruppo più ampio di 48 cittadini sudanesi, sono stati forzatamente trasferiti presso il centro hotspot di Taranto per essere sottoposti a procedure di identificazione prima di essere espulsi attraverso l'aeroporto individuato per il volo di rimpatrio verso il Sudan;
    non esiste alcuna disposizione di legge che permetta di effettuare quella selezione che pure avviene all'interno degli hotspot ad opera dei funzionari di polizia tra richiedenti protezione internazionale e migranti cosiddetti economici per il tramite del «foglio notizie» sulla base della nazionalità o, peggio, in virtù di accordi di cooperazione bilaterale con Paesi di origine dei migranti, specialmente se si tratta di Paesi che non si conformano alle norme di diritto internazionale e di tutela dei diritti umani riconosciute dall'Italia per il rischio, inter alia, di violazione del principio di non-refoulement;
    nella seduta della Camera dei deputati del 21 ottobre 2016 n. 696 il Sottosegretario di Stato alla difesa, Domenico Rossi, in risposta all'interpellanza n. 2-01486 sull'utilizzo delle risorse economiche a sostegno del sistema di accoglienza migranti ha confermato che sono regolarmente in atto trasferimenti dai valichi di frontiera del nord verso l’hotspot di Taranto sulle direttrici principali di Como-Taranto e Imperia-Taranto per un costo dei soli trasferimenti che al momento ammonta a 770 mila euro, con il duplice scopo di «prevenire turbative dell'ordine e della sicurezza pubblica e di evitare che l'alta concentrazione di migranti potesse dare luogo ad emergenze igienico-sanitarie», configurando di conseguenza un nuovo ruolo, anch'esso non normato, dell’hotspot;
    stando ai dati disponibili aggiornati al 27 ottobre 2016 il numero dei richiedenti ricollocati dall'Italia verso altri Paesi membri risulta essere di sole 1.411 persone con la totale esclusione, tra gli altri, dell'Austria, destinataria di un provvedimento di esenzione da parte della Commissione europea, e di Danimarca, Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Irlanda, Polonia, Regno Unito;
    la decisione (UE) 2016/1754 del Consiglio del 29 settembre 2016 che modifica la decisione (UE) 2015/1601 che istituisce misure temporanee nel settore della protezione internazionale a beneficio dell'Italia e della Grecia, prevede la possibilità per gli Stati membri, in base a quanto previsto dall'accordo Unione europea-Turchia del 16 marzo 2016, di ammettere volontariamente sul proprio territorio cittadini siriani in clear need of protection provenienti dalla Turchia, detraendo il numero dei cittadini così eventualmente accolti dal totale previsto in base alla ripartizione per il ricollocamento in favore di Italia e Grecia,

impegna il Governo

1) ad assumere iniziative per dismettere immediatamente i centri hotspot attualmente operativi in quanto estremamente costosi ed inefficaci tanto sul piano economico quanto sul piano della tutela dei diritti fondamentali costituzionalmente riconosciuti ai migranti e, di conseguenza, a non proseguire oltre nella creazione di nuovi centri cosiddetti hotspot o in generale nel mettere in pratica l'approccio hotspot prima che questo abbia una chiara ed approfondita base giuridica, che vi siano garanzie certe che al loro interno non avvengano violazioni di diritto, che sia realmente effettivo il meccanismo di ricollocazione e che sia avviata una seria, concreta ed equa modifica normativa al regolamento (UE) n. 604/2013, in applicazione delle previsioni dell'articolo 80 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea sul principio di solidarietà tra gli Stati membri.
(1-01439) «Brescia, Lorefice, Colonnese, Grillo, Cecconi, Dadone».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Agenda europea sulla migrazione, presentata il 13 maggio 2015 dalla Commissione europea, per fronteggiare e migliorare la gestione dei migranti, prefigura l'istituzione di un nuovo metodo basato sui punti di crisi (gli hotspot) collocati nei luoghi dello sbarco;
    gli hotspot costituiscono il fulcro della nuova strategia europea sui flussi migratori e sono strutture in cui le forze dell'ordine nazionali, coadiuvate da funzionari delle agenzie europee Frontex, Europei, Eurojust e Easo, sottopongono il migrante alle operazioni di rilevamento foto dattiloscopico e segnaletico e, al contempo, forniscono informazioni sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell'Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito;
    l'accordo sulla creazione dei punti di crisi è stato raggiunto in occasione del Consiglio europeo del 25 e 26 giugno 2015 e, a settembre 2015, il Governo italiano ha presentato una roadmap, individuando 6 distinte sedi di hotspot: Lampedusa, Pozzallo, Porto Empedocle, Trapani, Augusta e Taranto (quattro quelle attive alla data odierna, ossia Lampedusa con 500 posti di capienza, Taranto, Trapani e Pozzallo, con 400 posti);
    in base alla circolare n. 14106 del 6 ottobre 2015 del Ministero dell'interno si è puntualizzato che gli sbarchi dei migranti avvengano in uno dei siti hotspot individuati, affinché possano essere garantite nell'arco di 24/48 ore le operazioni di screening sanitario, pre-identificazione (con accertamento di eventuali vulnerabilità), registrazione e fotosegnalamento e i rilievi dattiloscopici degli stranieri;
    sempre secondo quanto specificato nella roadmap del settembre 2015, redatta dal Ministero dell'interno in attuazione dell'Agenda, dopo l'identificazione negli hotspot, le persone richiedenti la protezione internazionale vengono trasferite nei vari regional hub presenti sul territorio nazionale; le persone, invece, rientranti nella procedura di ricollocazione devono essere trasferite nei regional hub dedicati; le persone in posizione irregolare, e che non richiedono protezione internazionale devono, infine, essere trasferite nei Centri di identificazione ed espulsione;
    a giugno 2016, il Ministero dell'interno ha, inoltre, emanato le «Procedure operative standard» (SOP - Standard Operating Procedures) applicabili agli hotspot in cui vengono spiegate le modalità operative per le attività da svolgere all'interno dei centri;
    le impronte digitali sono l'unico strumento che le forze dell'ordine hanno per effettuare controlli incrociati sull'identità degli stranieri, perché, a fronte delle notorie carenze dei sistemi anagrafici di molti Paesi di origine degli stranieri, le impronte digitali costituiscono l'unico dato univoco ed individualizzante che, una volta inserito nella banca dati nazionale (casellario centrale di identità) e in quella europea (Eurodac), permette di fissare il dato storico del passaggio di un soggetto in un determinato luogo;
    nello specifico, il regolamento Eurodac distingue i migranti presenti sul territorio europeo in tre categorie: richiedenti asilo (categoria 1), persone fermate in relazione all'attraversamento irregolare di una frontiera esterna dell'Unione europea (categoria 2) e persone fermate perché illegalmente soggiornanti sul territorio di un paese dell'UE (categoria 3);
    Eurodac, istituita nel 2003, è una banca dati dell'Unione europea per le impronte digitali dei richiedenti asilo per agevolare l'applicazione del regolamento di Dublino, che determina lo Stato membro competente per l'esame di una domanda di asilo presentata nell'Unione europea;
    gli hotspot hanno quindi due finalità strettamente connesse: procedere all'immediata identificazione di tutti i migranti che giungono via mare nell'area di Schengen e definirne la posizione giuridica. In passato, invece, si procedeva ai trasferimenti in maniera indifferenziata – addirittura si procedeva ai trasferimenti anche di soggetti non fotosegnalati – rimandando a un momento successivo, nelle sedi di destinazione, il fotosegnalamento e l'ulteriore perfezionamento di un'eventuale manifestazione di volontà di richiedere la protezione internazionale;
    gli hotspot altro non sono, quindi, che centri, per forza di cose chiusi, finalizzati esclusivamente all'identificazione dei migranti. Dopodiché, una volta presentata la domanda di asilo, si passa immediatamente alle altre fasi dell'accoglienza e, quindi, senza alcuna ulteriore possibilità di trattenimento coatto;
    l'Italia è il Paese europeo che assorbe il maggior numero di migranti che giungono via mare; infatti, nel 2013, erano stati circa 43.000, nel 2016, sono stati oltre 181.000 e, nel 2017, si stimano circa 250.000 arrivi. L'utilizzo della via del mare aumenta di pari passo con la chiusura delle frontiere degli altri Stati europei a seguito dell'adozione di un regime di visti e ingressi particolarmente restrittivo verso i Paesi di quelle zone;
    il rischio di questa impressionante ondata migratoria è quello che il nostro Paese si trasformi in un'area della disperazione con ovvie conseguenze: delinquenza e assistenzialismo cronico, senza tuttavia dimenticare quello che costituisce un pericolo di questo esodo e cioè il terrorismo;
    nella Relazione sulla politica dell'informazione per la sicurezza 2015, presentata in Parlamento a marzo 2016, si legge che «La massa di persone in movimento verso lo spazio comunitario, oltre a costituire un'emergenza di carattere umanitario, sanitario e di ordine pubblico, può presentare insidie sul piano della sicurezza»;
    l'Europol, che supporta gli Stati membri nella prevenzione di tutte le forme gravi di criminalità e di terrorismo internazionali, riconosce il ruolo fondamentale di tali centri;
    negli hotspot particolare attenzione viene, oltretutto, assicurata anche all'identificazione di possibili vittime di tratta di esseri umani, inclusi i minori;
    il Ministro dell'interno ha annunciato la realizzazione di ulteriori cinque strutture post sbarco destinate al controllo dei migranti soccorsi, individuando le sedi a: Crotone, Reggio Calabria, Palermo, Messina e Corigliano Calabro,

impegna il Governo:

1) a valutare l'opportunità di assumere iniziative per fornire un quadro normativo di riferimento per le strutture di hotspot, tenendo conto delle esigenze logistico-operative e in coerenza con gli specifici indirizzi normativi europei;
2) al fine di fronteggiare potenziali situazioni particolarmente critiche ed emergenziali del fenomeno migratorio, a valutare l'opportunità di implementare il numero degli hotspot da dislocare sul territorio nazionale;
3) in coerenza con quanto previsto dalle «Procedure operative standard» (SOP – Standard Operating Procedures), a valutare l'opportunità di assumere iniziative normative per prevedere che l’hotspot possa essere non solo «fisso», inteso come luogo fisico stabile, ma anche «mobile», cioè costituito da team specializzato che, lavorando in mobilità, garantisca il funzionamento dell’hotspot approach anche nei casi di sbarchi avvenuti in porti distanti dagli specifici centri già operativi.
(1-01603) «Palese, Altieri, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».


   La Camera,
   premesso che:
    nel maggio 2015, la Commissione europea nella cosiddetta «Agenda europea sulla migrazione», aveva disegnato un nuovo modello di accoglienza per la gestione dei migranti, puntando sulla creazione di hotspot nei luoghi stessi del loro sbarco;
    gli hotspot avrebbero dovuto essere strutture allestite per identificare rapidamente, registrare, foto-segnalare e raccogliere le impronte digitali dei migranti e che dovevano essere create per sostenere i Paesi più esposti ai nuovi arrivi, quindi Italia e Grecia, ma anche Ungheria, per esempio;
    i migranti avrebbero dovuto essere trattenuti negli hotspot, in molti casi allocati in centri già esistenti e attrezzati, fino alla conclusione di tutte le operazioni di identificazione;
    due anni fa non era chiaro come sarebbero state impostate queste strutture: se sarebbero state aree di accoglienza con l'obiettivo di trasferire chi aveva diritto di asilo in altri Paesi, oppure di luoghi di detenzione per gli immigrati irregolari in attesa di un rimpatrio;
    nel settembre 2015 a Bruxelles, i Ministri dell'interno si sono riuniti per definire questa nuova linea straordinaria di accoglienza per una migrazione che vede ogni giorno numeri più elevati di arrivi, soprattutto nelle coste italiane, cominciando con il definire chi avrebbe gestito queste nuove strutture: autorità nazionali e agenti della polizia di frontiera, insieme a tecnici e esperti di agenzie europee come Europol (l'ufficio di polizia europeo), Easo (l'Agenzia europea per il diritto d'asilo), Eurojust (per la cooperazione giudiziaria tra varie autorità nazionali contro la criminalità), Frontex (l'Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea); il 23 settembre 2016 il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha comunicato al vertice dei capi di Stato e di Governo l'inizio delle operazioni per attivare gli hotspot;
    la collaborazione tra autorità europee e nazionali avrebbe dovuto essere volta più che altro alla distinzione dei migranti che vogliono presentare richiesta d'asilo, dai migranti cosiddetti «economici», cioè che fuggono dalla povertà e non dalla guerra e dalla violenza, ricordando che il coinvolgimento di Europol e Eurojust ha esclusivamente lo scopo di esercitare un controllo sul terrorismo;
    si convenne che la maggior parte di questi nuovi centri hotspot sarebbe stata creata in Italia, dove gli esperti delle agenzie dell'Unione europea Frontex, Easo, Europol e Eurojust erano già operativi, soprattutto in Sicilia per gestire, assieme ai funzionari italiani, le attività di registrazione dei migranti in arrivo sulle coste italiane. Concretamente, tre sarebbero stati creati in Sicilia (Trapani, Pozzallo, Porto Empedocle) e uno sull'isola di Lampedusa. Mentre, dall'inizio del 2016, avrebbero dovuto aprire anche i centri di Taranto e Augusta;
    ogni centro, secondo le ipotesi in circolazione, avrebbe potuto ospitare fino a 1.500 persone. Il Ministro dell'interno italiano pro tempore Angelino Alfano, aveva indicato in due mesi il tempo necessario a far partire il meccanismo, precisando però che, prima dell'avvio del progetto, sarebbero state necessarie garanzie su rimpatri e ricollocazioni;
    a livello internazionale si pensava di creare un hotspot in Grecia, al porto del Pireo, ad Atene, mentre il problema principale era e resta l'Ungheria, che da mesi si oppone alla redistribuzione dei profughi;
    in realtà, sull'isola siciliana, quasi nulla è cambiato nelle procedure usate per registrare i migranti: sono identificati grazie al foto-segnalamento e alla rilevazione delle impronte. Inoltre, sono sottoposti a un controllo sanitario, come succedeva in precedenza, il tutto entro quarantotto ore dall'arrivo. Queste operazioni sono ancora svolte da personale italiano, con la differenza che, ora, sono controllate da funzionari dell'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (Easo) e dell'Europol presenti sul posto, che però non hanno autorità di intervento;
    l'Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr) fornisce supporto ai funzionari Easo nel dare le informazioni legali ai migranti in arrivo. Il personale dell'Unhcr è presente a Lampedusa già dal 2006 e, con l'attuazione delle nuove regole, l'agenzia lavora anche negli altri hotspot e nei centri di accoglienza dove i richiedenti asilo saranno ospitati in attesa di ricevere una risposta alla loro domanda. Si tratterà di personale con formazione giuridica, che spiegherà ai migranti il funzionamento del piano di ricollocamento nei Paesi dell'Unione europea, oltre ai loro diritti e ai loro obblighi di richiedenti asilo;
    l'Unhcr ha detto che il programma italiano di ricollocamento è «un primo passo positivo» per risolvere la crisi attuale. Tuttavia, è fondamentale che le informazioni ai migranti siano fornite in modo chiaro, grazie al lavoro di mediatori culturali e a materiale stampato in varie lingue, affinché le nuove misure abbiano successo. Inoltre, è necessario che le condizioni di prima accoglienza siano appropriate in modo da incentivare le persone ad aderire al programma di ricollocamento;
    ma registrare tutti i migranti, di fatto, è molto complicato proprio per i numeri che non accennano a diminuire, anche in queste ultime giornate; le forze dell'ordine italiane non riescono ad avere gli strumenti sufficienti per gestire la situazione, come ha dichiarato il prefetto di Trapani, Leopoldo Falco, secondo cui la maggior parte dei migranti che arrivano in Italia, rifiuta di farsi identificare perché vuole raggiungere altri Paesi dell'Unione europea e le autorità italiane non possono fare altro che lasciarli andare dopo quarantott'ore dall'arrivo, perché questo prevede la legge. Inoltre non ci sono abbastanza strumenti per la detenzione e la conseguente espulsione di chi rifiuta di farsi registrare. Il processo d'identificazione, per Falco, è molto lungo, «in un'ora si riescono a registrare sei o sette persone», anche per questo gestire la registrazione di centinaia di persone arrivate sul territorio italiano non sarà un processo semplice,

impegna il Governo:

1) a valutare l'opportunità di aumentare il numero del personale impegnato nel servizio di identificazione e riconoscimento dei migranti che sbarcano in Italia, promuovendo anche l'utilizzo di strumenti più moderni degli attuali, con un esplicito riferimento a mezzi di natura telematica;
2) a valutare l'opportunità di avvalersi anche di personale con un profilo culturale più vicino a quello dell'educatore professionale, con esperienze interculturali e non solo di personale con profili più simili a quelli delle forze dell'ordine, per favorire il dialogo e la collaborazione;
3) ad assumere iniziative per innestare negli hotspot modalità di lavoro più flessibili che consentano ai funzionari di spostarsi ne luoghi di sbarco, senza attendere che siano i migranti a spostarsi per recarsi nell’hotspot.
(1-01606) «Binetti, Buttiglione, Cera, De Mita, Pisicchio».


   La Camera,
   premesso che:
    il capo della polizia, intervenendo il 7 marzo 2017 in audizione presso la commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate, ha evidenziato che il fenomeno migratorio non può più essere considerato come transitorio e passeggero, trattandosi invece di un fattore strutturale della nostra fase storica, aperta dalla caduta del muro di Berlino, che ha visto raddoppiare – secondo i dati di una rilevazione Onu del 2015 – le correnti migratorie provenienti dai Paesi meno sviluppati, fino a superare il tetto complessivo degli 80 milioni di persone. È la stessa rilevazione a sottolineare come la popolazione in movimento a livello mondiale possa essere stimata in 240 milioni di persone, circa un terzo delle quali, oltre 76 milioni, ospitato in Europa;
    le crisi e i conflitti di questi ultimi anni hanno amplificato quest'onda lunga, riportando il bacino del Mediterraneo al centro di una rinnovata via di fuga dai Paesi in crisi, aprendo nuove rotte ai flussi dei migranti;
    nel rapporto sul sistema Hotspot italiano, pubblicato nel mese di novembre 2016 da Amnesty International, si ricorda che centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini in fuga da conflitti, violazioni dei diritti umani e povertà, negli ultimi tre anni, hanno attraversato il Mediterraneo in cerca di un luogo sicuro o di una vita migliore. In assenza di canali sicuri e legali di accesso all'Europa, hanno viaggiato in maniera irregolare, con un considerevole rischio per le loro vite;
    infatti, nonostante i flussi migratori siano oramai un fenomeno strutturale e che i conflitti, le carestie e la violazione di diritti umani presenti in molti Paesi costituiscano notori fattori di aumento dei flussi, gli Stati dei Paesi più sviluppati, non sono in grado di approntare risposte adeguate, strutturali e attente a garantire la dignità delle persone migranti;
    l'approccio Hotspot, presentato a metà del 2015 dall'Unione europea come la principale risposta dell'Unione all'alto numero di arrivi nei Paesi membri del sud Europa, è la prova di quanto i leader europei incapaci di pianificare nel tempo a disposizione, e tanto meno di concordare, una necessaria riforma del sistema d'asilo in crisi dell'Unione europea, abbiano prodotto sostanzialmente «un rattoppo»;
    il rapporto di Amnesty International sull'approccio Hotspot ha un titolo eloquente ed emblematico: «Come le politiche dell'Unione europea portano a violazioni dei diritti di rifugiati e migranti»;
    la premessa fondamentale di tale approccio era quella di associare maggiori controlli sui rifugiati e migranti all'arrivo, con la distribuzione di una parte dei richiedenti asilo in altri Stati membri per un esame successivo delle loro domande di asilo. Controllo e condivisione delle responsabilità erano allora le parole chiave. Ad oggi, è chiaro che solo il controllo è stato messo effettivamente in atto, e a caro prezzo per i diritti di rifugiati e migranti, mentre molti pochi progressi sono stati fatti in materia di condivisione delle responsabilità; e, anzi, questo principio sta incontrando una crescente resistenza a livello politico;
    l'allestimento dei centri Hotspot e l'attuazione dell'approccio Hotspot sono stati raccomandati dalla Commissione europea a maggio 2015, come punto centrale della sua Agenda sulla migrazione e decisi dal Consiglio Ue a giugno 2015;
    gli Hotspot sono stati progettati per fornire un luogo in cui i rifugiati e i migranti arrivati irregolarmente potessero essere identificati velocemente, principalmente attraverso il rilevamento obbligatorio delle impronte digitali, esaminati per individuare necessità di protezione e in seguito selezionati al fine dell'esame delle richieste di asilo o del rimpatrio nei loro Paesi d'origine;
    una drastica diminuzione degli spostamenti irregolari di rifugiati e migranti verso altri Stati membri dell'Unione Europea, uno degli obiettivi chiave, doveva essere raggiunto tramite l'acquisizione delle impronte digitali, nella prospettiva di assicurare la possibilità di un loro rinvio, secondo il regolamento di Dublino, verso l'Italia o altri Paesi di primo ingresso. Per ridurre il peso che grava su tali ultimi Stati, tuttavia, a settembre 2015, è stato adottato un sistema di ricollocazione d'emergenza, che prevedeva il trasferimento progressivo di circa 160 mila richiedenti asilo (di cui 40 mila dall'Italia) verso altri Paesi dell'Unione europea, per esaminare lì le loro richieste di asilo;
    il Governo italiano ha cominciato ad attuare l'approccio Hotspot nello stesso mese, con la trasformazione in Hotspot del centro di prima accoglienza già esistente a Lampedusa e il dispiegamento di funzionari di diverse agenzie dell'Unione europea. Al momento, i centri Hotspot operativi sono quattro (Lampedusa, Taranto, Trapani e Pozzallo), mentre altri due sarebbero di prossima apertura in Sicilia (Messina e Palermo) e altri dovrebbero seguire entro fine anno;
    mentre la componente di solidarietà del piano Hotspot si è dimostrata ampiamente illusoria, gli elementi repressivi, concepiti per prevenire spostamenti verso altri Paesi europei e aumentare il numero dei rimpatri, sono stati attuati in modo aggressivo, con elevati costi in termini di diritti umani;
    nel rapporto sui centri di identificazione ed espulsione – aggiornato al gennaio 2017 – della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica si legge testualmente che il bilancio dell'approccio Hotspot, analizzando i dati e quanto emerso nel corso delle visite effettuate dalla Commissione, non può che considerarsi deficitario ed evidenziare un sostanziale fallimento del piano europeo: a fronte del raggiungimento di un tasso di identificazioni di oltre il 94 per cento non sono corrisposti risultati positivi in termini di persone ricollocate e persone rimpatriate. Alla fine di dicembre 2016, sono stati ricollocati dall'Italia in altri Stati membri solo 2.350 persone sul totale di 40.000 previste dal piano europeo, a fronte di 181 mila arrivi in Italia;
    l'approccio Hotspot è servito principalmente a riaffermare il sistema di Dublino, aumentando piuttosto che riducendo il peso sulle spalle dei Paesi di primo arrivo nel controllare i confini, proteggere i richiedenti asilo e tenere fuori i migranti irregolari. Mentre il numero degli arrivi in Italia è rimasto stabile, l'imposizione dell'approccio Hotspot ha, infatti, portato a un drastico aumento delle persone che richiedono asilo in Italia, mettendo a dura prova la capacità delle autorità di assistere in modo adeguato i nuovi arrivati;
    la ricerca di Amnesty International offre un quadro preoccupante: la riaffermazione di vecchi principi con modalità più aggressive sta portando a un aumento delle violazioni dei diritti umani – per le quali le autorità italiane hanno una responsabilità diretta, ma i leader dell'Unione europea hanno una responsabilità politica. Con toni più sfumati, le medesime violazioni emergono nel Rapporto della Commissione diritti umani del Senato della Repubblica;
    nel cercare di raggiungere «un tasso di identificazione del 100 per cento», l'approccio Hotspot ha spinto le autorità italiane ai limiti, e oltre, di ciò che è ammissibile secondo il diritto internazionale in materia di diritti umani. L'attuazione di misure coercitive per costringere le persone che non vogliono fornire le loro impronte digitali è diventata man mano la regola, attraverso la detenzione prolungata e anche l'uso della forza fisica. È in questo scenario che rifugiati e migranti che non volevano dare le impronte digitali hanno subito detenzioni arbitrarie e maltrattamenti;
    nonostante non ci siano dubbi che la maggior parte degli agenti di polizia abbia continuato a fare il proprio lavoro in modo impeccabile, testimonianze coerenti raccolte da Amnesty International indicano che alcuni hanno fatto uso eccessivo della forza e hanno fatto ricorso a trattamenti crudeli, disumani o degradanti, o addirittura alla tortura;
    il Rapporto della Commissione diritti umani del Senato della Repubblica ricorda che in una comunicazione della Commissione europea del 15 dicembre 2015 si chiedeva all'Italia di incrementare gli sforzi, anche a livello legislativo, per assicurare una cornice legale allo svolgimento delle procedure previste per l’Hotspot con particolare riferimento all'uso della forza per il rilevamento delle impronte nei confronti di chi si rifiuta;
    il ricorso all'uso della forza incide evidentemente sulla sfera della libertà personale e non si può prescindere da quanto previsto in questi casi dalle leggi italiane. La legge prevede espressamente le uniche ipotesi in cui le forze di polizia sono autorizzate a procedere in modo coattivo, cioè utile a vincere le resistenze passive del destinatario che non si trovi in stato di arresto o di fermo. L'articolo 349, comma 2-bis, del cod. proc. pen. consente esclusivamente, nei confronti di una persona sottoposta a indagini preliminari, il prelievo coattivo di capelli o saliva, comunque nel «rispetto della dignità personale del soggetto, previa autorizzazione» del Pubblico ministero. Quella relativa al prelievo di capelli e saliva è l'unica forma di identificazione coatta contemplata dal legislatore. La questione è molto delicata, al punto che, già nel 1962, con la sentenza n. 30, la Corte costituzionale evidenziò che «spetta unicamente al legislatore, il quale, avendo di mira, nel rispetto della Costituzione, la tutela della libertà dei singoli e la tutela della sicurezza dei singoli e della collettività, potrà formulare un precetto chiaro e completo che indichi, da una parte, i poteri che, in materia di rilievi segnaletici, gli organi della polizia di sicurezza possano esercitare perché al di fuori dell'applicazione dell'articolo 13 della Costituzione e, dall'altra, i casi ed i modi nei quali i rilievi segnaletici, che importino ispezione personale, ai sensi dello stesso articolo, possano essere compiuti a norma del secondo e del terzo comma del medesimo articolo 13.». Poiché la legge vigente non prevede che le autorità di pubblica sicurezza possano fare ricorso all'uso di altre forme di coazione fisica per costringere una persona a sottoporsi ai rilievi foto-dattiloscopici, tale uso è da considerarsi illegittimo e penalmente rilevante;
    gli agenti di polizia hanno bisogno di istruzioni chiare sull'uso consentito della forza e deve essere assolutamente inequivocabile che l'uso della forza consentito è minimo. La resistenza prolungata deve essere gestita attraverso altre forme di risposta da parte delle forze di polizia, non con un maggiore uso della forza. Il monitoraggio di questa procedura deve essere rafforzato e le accuse di abusi devono essere indagate a fondo;
    la relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate, del 26 ottobre 2016 (Doc. XXII-bis, n. 8), come pure il rapporto della Commissione sui diritti umani del Senato hanno rilevato il trattenimento prolungato dei migranti nei centri Hotspot, oltre le 72 ore, ai fini identificativi in assenza di previsione normativa nel diritto interno;
    va ricordato che la direttiva 2013/33/UE prevede «il trattenimento in un centro di identificazione ed espulsione del richiedente asilo come extrema ratio» che può essere disposto o prorogato soltanto se nel caso concreto non sia applicabile più efficacemente nessuna tra le misure meno coercitive alternative al trattenimento indicate nell'articolo 14, comma 1-bis del decreto legislativo n. 286 del 1998;
    l'istituto del trattenimento è, di fatto, una misura coercitiva che incide sulla libertà personale la cui natura giuridica si sostanzia in una forma di privazione della libertà, sia pure di natura amministrativa. Se il trattenimento è una restrizione della libertà personale, il suo regime è da ricondursi nel perimetro costituzionale dell'articolo 13 della Costituzione, con tutte le sue garanzie: dalla riserva di giurisdizione alla riserva di legge assoluta, da derogarsi solo in casi eccezionali, dalla durata della misura coercitiva alla tempistica per la sua successiva convalida. L'articolo 13, comma 2, della Costituzione prescrive che la restrizione della libertà personale è ammessa solo «per atto motivato dall'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge». Deve quindi essere un giudice a stabilire la suddetta restrizione, motivando la propria decisione per far in modo che la detenzione non risulti costituzionalmente illegittima;
    secondo l'articolo 13 della Costituzione, non sono ammissibili settori della vicenda restrittiva in concreto impermeabili al sindacato del giudice. La Costituzione non esclude, tuttavia, che in casi di necessità e urgenza possano essere adottati anche dall'autorità di pubblica sicurezza provvedimenti provvisori di limitazione della libertà. Quindi solo l'eccezionalità delle circostanze, unita al requisito della tassatività e della non discrezionalità della decisione, possono giustificare la compressione del diritto alla libertà personale quando non viene disposta da un magistrato con atto motivato;
    nella sentenza n. 105 del 2001, la Corte costituzionale ha riconosciuto che il trattenimento «è misura incidente sulla libertà personale, che non può essere adottata al di fuori delle garanzie dell'articolo 13 della Costituzione», determinando «anche quando questo non sia disgiunto da una finalità di assistenza, quella mortificazione della dignità dell'uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico all'altrui potere e che è indice sicuro dell'attinenza della misura alla sfera della libertà personale»;
    con il decreto-legge n. 13 del 2017, di recente convertito, il Governo ha inteso legittimare i centri Hotspot introducendo l'articolo 10-ter al decreto legislativo n. 286 del 1998, con un mero richiamo al decreto-legge n. 451 del 1995 (cosiddetta «legge Puglia») ed ai centri governativi di prima accoglienza, di cui all'articolo 9 del decreto legislativo n. 142 del 2015 (cosiddetto «Hub»);
    esso, tuttavia, non contiene alcuna disciplina giuridica dei centri di primo soccorso ed assistenza (gli Hotspot della terminologia dei documenti della Commissione europea), né dei tempi nei quali il cittadino straniero da identificare può essere limitato nella sua libertà personale;
    né vale a sanare tale illegittimità il fatto che, teoricamente, il cittadino straniero possa sottrarsi all'identificazione, poiché tale comportamento determinerebbe l'integrarsi del «pericolo di fuga», presupposto per l'ordine di trattenimento in un centro di rimpatrio, ma non eliminerebbe l'incostituzionalità del periodo precedente, affidato alle mere modalità organizzative dell'autorità di pubblica sicurezza;
    va ricordato, in proposito, che, anche recentemente, l'Italia è stata condannata dalla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo nel caso Khlaifia versus Italia per il trattenimento illegittimo dei cittadini stranieri (violazione articolo 5 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (Cedu), nel centro di accoglienza di Lampedusa e sulle navi divenute centri di detenzione in quanto non vi era alla base un provvedimento di un giudice che legittimasse tale detenzione, rendendo impossibile un ricorso effettivo (violazione dell'articolo 13 della Cedu);
    in tal senso, insoddisfacente è la scelta di non fornire alcuna disciplina dei centri definiti «punti di crisi» (centri Hotspot), per il cui funzionamento si rinvia a testi normativi che non contengono alcuna precisazione circa la natura di questi luoghi e le funzioni che vi si svolgono, in violazione della riserva di legge in materia di stranieri (articolo 10, comma 2 della Costituzione) e della riserva assoluta di legge in materia di provvedimenti restrittivi della libertà personale (articolo 13 della Costituzione);
    anche la normativa introdotta con il decreto-legge n. 13 del 2017 non appare coerente con le sollecitazioni provenienti dalle istituzioni europee e dal Consiglio d'Europa, che, in molte occasioni, hanno invitato l'Italia a disciplinare per legge le fasi di prima accoglienza e di identificazione dei migranti, come avviene in pressoché tutti i Paesi europei;
    muovendosi piuttosto nel senso della ulteriore destrutturazione della disciplina legale dei fenomeni, affidando al potere amministrativo di polizia la gestione di centri che sono, a tutti gli effetti, e per periodi di tempo spesso significativi, dei luoghi di privazione di libertà;
    l'approccio Hotspot ha anche richiesto l'introduzione di uno screening anticipato e rapido dello status di tutte le persone sbarcate nei porti italiani, per separare quelle considerate «richiedenti asilo», da quelle ritenute «migranti irregolari». Un processo di screening (pre-identificazione mediante la consegna di un modulo da compilare il cosiddetto «foglio notizie») non fondato su alcuna legislazione e fatto con troppa fretta – non appena le persone sono appena sbarcate, sono troppo stanche o traumatizzate dal viaggio per poter prendere parte in modo consapevole a questo processo, e prima che abbiano avuto la possibilità di ricevere informazioni adeguate sui loro diritti e sulle conseguenze legali delle loro dichiarazioni – rischia di negare a coloro che fuggono da conflitti e persecuzioni l'accesso alla protezione alla quale hanno diritto;
    la finalità della pre-identificazione rimane vaga: se il «foglio notizie», come viene detto, serve semplicemente a raccogliere le generalità dello straniero a fini operativi per le forze dell'ordine e per l'accoglienza nella struttura, basterebbe raccogliere queste, come tra l'altro avveniva in precedenza al momento dello sbarco, senza chiedere quale sia il motivo dell'arrivo in Italia. Anche se le autorità sostengono che quanto dichiarato nel foglio notizie può essere modificato successivamente per manifestare la volontà di chiedere protezione, appare difficile che si ricorra a tale possibilità non avendo cognizione delle conseguenze delle operazioni cui si viene sottoposti;
    la stessa Relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta ha puntualizzato la necessità di superare l'ambigua funzione della pre-identificazione che, da un lato, è semplicemente volta ad acquisire le dichiarazioni del migrante (generalità, età, nazionalità, e altro) e, dall'altro lato, finisce per assumere il decisivo ruolo di discrimine e di selezione – ancorché non definitiva – tra chi accede all'accoglienza e chi sarà destinato all'espulsione;
    sul punto la Commissione ha evidenziato che l'indicazione della motivazione del viaggio già all'atto dello sbarco trovava una sua ragion d'essere nella prassi italiana di inserire il foto segnalamento direttamente nella categoria «richiedente asilo», prassi ritenuta illegittima dalle stesse istituzioni europee;
    l'enfasi posta dalle istituzioni e dai governi europei sul bisogno di aumentare le espulsioni ha portato a due sviluppi critici in Italia. Migliaia di ordini di lasciare il territorio nazionale sono stati consegnati a persone considerate «migranti irregolari», in seguito allo screening a giudizio dei presentatori del presente atto di indirizzo viziato menzionato sopra. Queste persone, in pratica, non hanno alcuna possibilità di ottemperare all'ordine, anche se volessero, a causa della mancanza di documenti e di soldi. Di conseguenza, sono rimaste nel Paese ma senza alcuna forma di assistenza, vulnerabili allo sfruttamento e agli abusi;
    anche la Relazione di minoranza della Commissione parlamentare d'inchiesta, a firma dell'Onorevole Palazzotto (DOC. XXII-bis n. 8-bis), ha evidenziato con chiarezza che l'approccio Hotspot costituisce un sistema che non rispetta il diritto interno ed internazionale in materia di rispetto dei diritti fondamentali della persona;
    le autorità italiane hanno, inoltre, negoziato nuovi accordi bilaterali, anche con governi responsabili di orribili atrocità, come il Governo sudanese. Sulla base di questi accordi, gruppi di persone considerate «migranti irregolari», ancora una volta in base al processo di screening sopra menzionato e senza un'adeguata valutazione dei rischi che il loro rimpatrio comportava, sono stati rimandati verso Paesi nei quali erano a rischio di maltrattamenti e altre gravi violazioni dei diritti umani;
    il recente decreto-legge n. 13 del 2017, già richiamato, che è intervenuto in materia di immigrazione non ha cambiato rotta, ma ha persistito in una prevalente ottica repressiva del fenomeno, con l'accentuazione degli strumenti di rimpatrio forzoso, attraverso alcune modifiche di dettaglio della disciplina del rimpatrio (come la previsione del trattenimento anche per gli stranieri richiedenti protezione non espulsi ma respinti, o l'allungamento del termine di trattenimento per coloro che hanno già scontato un periodo di detenzione in carcere), ma, soprattutto, con la decisione di dare inizio all'apertura di numerosi nuovi centri di detenzione amministrativa in attesa del rimpatrio (ora chiamati Centri di permanenza per i rimpatri, invece che centri di identificazione ed espulsione;
    da anni, risulta chiaro come un sistema efficiente di rimpatri non possa basarsi solo sull'esecuzione coattiva degli stessi, ma debba, in primo luogo, riformare le norme in materia di ingresso e soggiorno, aprendo canali di ingresso regolare diversi da quello, ora quasi unico, della protezione internazionale, così dando maggiore stabilità ai soggiorni, oggi resi precari da disposizioni eccessivamente rigide, riducendo così il ricorso all'allontanamento per ipotesi limitate e comunque incentivando i rimpatri volontari, con strumenti normativi e finanziari specifici;
    appare quindi necessaria una più ampia e organica revisione delle strategie di governo dei flussi migratori, con la rivisitazione delle norme del testo unico sull'immigrazione che impediscono un ordinato programma di regolarizzazione ed inserimento controllato dei migranti, prendendo atto del fallimento, sotto il profilo dell'effettività e della sostenibilità economica, di un approccio esclusivamente orientato all'allontanamento forzoso di soggetti le cui precarie condizioni sociali e civili interpellano, peraltro, il tema della garanzia dei diritti fondamentali,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per il superamento culturale e politico della detenzione amministrativa delle persone migranti, garantendo in ogni momento la loro dignità, i diritti fondamentali e il divieto di ricorso all'uso della forza al di fuori di quanto consentito dalla legge;
2) ad assumere iniziative per il superamento dell'approccio e dei centri hotspot, intensificando ogni tentativo in sede europea per individuare forme di prima accoglienza alternative, con regole più rispettose dei diritti dei migranti e prevedendo, in particolare, l'apertura di canali di ingresso regolare diversi da quello, ora quasi unico, della protezione internazionale, così dando maggiore stabilità ai soggiorni, oggi resi precari da disposizioni eccessivamente rigide, riducendo così il ricorso all'allontanamento per ipotesi limitate e comunque incentivando i rimpatri volontari, con strumenti normativi e finanziari specifici;
3) ad assumere iniziative per la revisione delle procedure operative standard (Standard Operating Procedures – Sop) applicabili negli hotspot per assicurare che nessuno illegittimo screening avvenga immediatamente dopo lo sbarco e che tutte le persone in arrivo abbiano accesso a informazioni sufficienti prima dell'esame della loro situazione, eliminando – in particolare – dal cosiddetto «foglio notizie» domande sul motivo dell'arrivo in Italia.
(1-01611) «Andrea Maestri, Daniele Farina, Costantino, Marcon, Fratoianni, Civati, Palazzotto».


   La Camera,
   premesso che:
    dati di fonte ministeriale relativi agli sbarchi di migranti sulle coste italiane fanno registrare nei primi mesi del 2017 una netta crescita, con un incremento di circa il 30 per cento rispetto all'anno precedente, lasciando presagire la possibilità che, per la prima volta, quest'anno si possa sforare il tetto di 200.000 migranti giunti via mare sul nostro territorio;
    la complessa questione della gestione dei flussi migratori, ed in particolare degli sbarchi, è stata oggetto, negli ultimi anni, di un forte impegno dei Governi in questa legislatura, con l'adozione di misure che garantissero anzitutto l'accoglienza dei migranti, nel rispetto della dignità e dei diritti umani di ciascuno, ma anche efficaci modalità di espletamento delle pratiche di identificazione e gestione delle richieste di protezione internazionale;
    al fine di dare attuazione alle richieste europee, da un lato è stato recentemente convertito in legge il decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13 recante disposizioni urgenti per l'accelerazione delle procedure amministrative e giurisdizionali in materia di protezione internazionale e che ha previsto, tra le altre cose, anche misure volte ad accelerare le operazioni di identificazione dei cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione europea e a rendere più efficaci le operazioni di rimpatrio; e, dall'altro, è stata riservata una particolare attenzione alle procedure di fotosegnalamento e identificazione dei migranti, attrezzando a tal fine apposite strutture nelle zone di sbarco in cui si stanno registrando crescenti livelli di attività;
    in questo quadro, i cosiddetti hotspot rappresentano nel sistema italiano di accoglienza un segmento molto specifico ma determinante, perché attinente proprio alla fase iniziale del percorso dei migranti sul nostro territorio. In queste strutture i migranti giunti sulle nostre coste dovrebbero trattenersi per il tempo strettamente necessario a ricevere la prima assistenza, ad essere identificati attraverso le procedure di rilievo foto-dattiloscopico e segnaletico, e infine collocati nei diversi canali del sistema di accoglienza sulla base della posizione giuridica risultante da questa prima identificazione;
    una precisazione circa le funzioni dei centri hotspot, preliminare ad una più compiuta disciplina delle modalità operative, è contenuta nel sopracitato decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, che, all'articolo 17, prevede appositi punti di crisi per le esigenze di soccorso e prima assistenza, nei quali saranno effettuate le operazioni di rilievo foto-dattiloscopico e segnaletico, e presso i quali sarà altresì assicurata l'informazione sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell'Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito;
    se messi in condizione di operare efficientemente, gli hotspot dovrebbero dunque assicurare una gestione dell'accoglienza più razionale ed efficiente, consentendo non solo una tempestiva identificazione dei migranti, ma anche il loro rapido ri-allocamento nelle diverse strutture del sistema, sulla base delle previsioni normative;
    come evidenziato in una significativa relazione sul sistema di identificazione e di prima accoglienza nell'ambito dei centri « hotspot», – approvata il 26 ottobre 2016 dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impiegate, istituita presso questo ramo del Parlamento – affinché gli hotspot possano effettivamente funzionare, occorre però rendere più efficiente l'intero sistema di accoglienza, e in particolare è indispensabile: che gli accordi europei in materia di relocation funzionino, che i destinatari di un provvedimento di espulsione o respingimento siano effettivamente rimpatriati nel pieno rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti, che il cosiddetto sistema della seconda accoglienza sia in grado di assorbire tempestivamente i nuovi ingressi, anche grazie a una maggiore rapidità delle procedure amministrative e giurisdizionali previste;
    va purtroppo segnalato che, nonostante l'intenso sforzo dispiegato dal Governo italiano, mancano ancora i risultati auspicati a livello europeo: la riforma del regolamento «Dublino III», in favore di un sistema comune europeo di gestione delle domande di asilo, più volte annunciata, è ferma ai tavoli di un negoziato che stenta a partire, mentre i programmi comunitari già adottati, come la relocation dei rifugiati (dei 160 mila previsti è stato ricollocato appena il 3,5 per cento) sono, di fatto, parzialmente falliti per la persistente opposizione dei Paesi del gruppo di Visegrad e di Paesi che progressivamente hanno finito per sospendere l'accordo di libera circolazione di Schengen; la stessa proposta italiana del Migration compact non è ancora stata applicata né sono state stanziate risorse europee atte a far decollare gli accordi con i Paesi africani di maggiore flusso e transito,

impegna il Governo:

1) ad adottare nelle opportune sedi, ogni iniziativa utile per rilanciare una politica europea condivisa sull'asilo attraverso la revisione del regolamento «Dublino III», e l'adozione di nuovi e più efficaci accordi di relocation per un'equa distribuzione dei richiedenti protezione internazionale fra gli Stati membri;

2) a proseguire negli sforzi intrapresi, da ultimo anche con il sopracitato decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, per rendere effettivi i rimpatri e le espulsioni dei migranti privi di titolo per restare nel nostro Paese, ferma restando la garanzia del pieno rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti;

3) ad adottare ogni iniziativa utile a garantire che gli hotspot siano strutture decorose e ospitali, prevedendo l'adozione di un protocollo uniforme sui requisiti e sulla tipologia dei servizi forniti, tali da assicurare un livello omogeneo nella qualità del soccorso e nella prima accoglienza per tutti, a prescindere dall'eventuale futuro riconoscimento di una protezione internazionale;

4) ad assumere iniziative per rafforzare i servizi di mediazione linguistico-culturale e di informativa legale all'interno degli hotspot, al fine di garantire una effettiva possibilità di accesso al diritto di protezione;

5) ad adottare ogni iniziativa utile a consentire un più rapido trasferimento dei migranti dagli i hotspot alle strutture di accoglienza previste, garantendo il rispetto della dignità umana e l'effettivo accesso all'esercizio del diritto di asilo, e al tempo stesso il dovere istituzionale di controllare le frontiere e identificare chi entra nel territorio dello Stato.
(1-01612) «Carnevali, Fiano, Gelli, Beni, Giuseppe Guerini, Patriarca, Gadda, Sgambato, Moretto, Burtone».


   La Camera,
   premesso che:
    il sistema di accoglienza in Italia è stato recentemente riformato dal decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 e dovrebbe essere organizzato in una fase di prima accoglienza, assicurata nelle strutture di cui agli articoli 9 e 11, e in una fase di seconda accoglienza, disposta invece nelle strutture di cui all'articolo 14 (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati – Sprar);
    tuttavia, a causa della situazione emergenziale ormai creatasi per effetto dei continui e massicci flussi migratori, favoriti dalle missioni navali internazionali e nazionali succedutesi già dal 2013 sulla rotta del Mediterraneo centrale, tale sistema, si rivelò, da subito, inadeguato rispetto anche agli obblighi derivanti dalla normativa europea di procedere all'immediata identificazione e alla definizione della posizione giuridica degli immigrati che entravano illegalmente nel territorio italiano in numero sempre maggiore, tanto da provocare, allora, un richiamo al Governo da parte degli altri Paesi europei e delle istituzioni europee;
    in particolare, il regolamento n. 603 del 2013, cosiddetto «Eurodac» impone agli Stati membri l'obbligo del tempestivo rilevamento delle impronte digitali dei richiedenti protezione internazionale, al Capo II e dei cittadini di Paesi terzi o apolidi fermati in relazione all'attraversamento irregolare di una frontiera esterna, al Capo III;
    pertanto, poco dopo l'approvazione del decreto legislativo n. 142 del 2015, il Governo decise di procedere ad un'ulteriore modifica del sistema di accoglienza e, oltre ai centri già previsti dalla normativa nazionale, con il documento programmatico, noto come « Roadmap», istituì i cosiddetti hotspot (punti di crisi) per garantire il fotosegnalamento e l'identificazione degli immigrati al fine, soprattutto, di potersi avvalere del ricollocamento dei richiedenti protezione internazionale dall'Italia in altri Stati europei (cosiddetti relocation), secondo quanto previsto dalle decisioni del Consiglio europeo n. 1523 del 14 settembre 2015 e n. 1601 del 22 settembre 2015 a seguito dell'Agenda europea sulla migrazione del 13 maggio 2015;
    ad oggi, secondo i dati forniti dall'Unità Dublino del Ministero dell'interno – Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, risultano ricollocati in altri Stati europei solo 4.438 richiedenti protezione internazionale sui 34.953 previsti in sede comunitaria, e ciò anche in considerazione del fatto che le prime nazionalità dei richiedenti asilo in Italia sono quelle della Nigeria, del Gambia, del Bangladesh e del Senegal che non compaiono tra quelle che, « in clear need of protection» secondo quanto stabilito in sede europea, possono beneficiare del ricollocamento, ossia siriani, iracheni e eritrei;
    attualmente, risultano operativi 4 hotspot, precisamente a Lampedusa, Pozzallo, Trapani e Taranto, nei quali, al 28 marzo 2017, erano presenti 745 immigrati e pare che siano in fase di realizzazione altri 5 hotspot, benché già quelli attivi, come sopra evidenziato, non abbiano portato ad alcun effetto in tema di ricollocamenti;
    ancora oggi tali centri risultano privi di una specifica disciplina normativa, essendo regolati unicamente dalle procedure operative standard (SOP) redatte dal Ministero dell'interno nelle quali l’hotspot viene individuato quale area, normalmente in prossimità di un luogo di sbarco, ove, nel più breve tempo possibile, vengono effettuati accertamenti medici, attivate le procedure di identificazione e fornite informazioni circa la possibilità di chiedere protezione internazionale per poter poi accedere alle misure di accoglienza previste dalla normativa in vigore;
    nell'ottica di considerare l'attuale fenomeno migratorio come un evento ordinario anziché eccezionale, e dunque da azzerare nel tempo, e per garantire accoglienza a chiunque giunga in Italia, l'attuale sistema, è, altresì, del tutto inadeguato ed incapace ad assicurare una effettiva tutela a chi ne ha davvero diritto secondo le norme internazionali, comunitarie e nazionali;
    difatti, nonostante le misure annunciate dall'attuale Governo e previste dal memorandum siglato il 2 febbraio 2017 con il Governo libico guidato da Fayez al-Sarraj, secondo i dati forniti periodicamente dal Ministero dell'interno, dal 1o gennaio all'11 aprile 2017 il numero degli immigrati giunti illegalmente in Italia dalla rotta del mediterraneo centrale, è stato di 26.989, con un incremento del + 35,41 per cento rispetto allo stesso periodo del 2016 (19.332) e tale trend è destinato ad aumentare, anche alla luce del record degli sbarchi sulle coste italiane registrato nei giorni scorsi;
    in linea con l'aumento degli ingressi via mare, secondo gli ultimi dati disponibili del ministero dell'interno, il numero degli immigrati richiedenti asilo o titolari di protezione internazionale e umanitaria presenti nel sistema di accoglienza è passato da 66.066 nel 2014, a 103.792 nel 2015 fino ad arrivare a 175.480 all'11 aprile 2017;
    nella già citata Roadmap del Ministero dell'interno, il documento d'attuazione dell'Agenda pubblicato a fine settembre 2015, contestualmente alla previsione degli hotspot, veniva precisato che «una politica di rimpatrio efficace rappresenta uno degli elementi essenziali del pacchetto di misure presentate dalla Commissione nel quadro dell'Agenda europea sulle migrazioni», che «le persone in posizione irregolare e che non richiedono protezione internazionale saranno trasferite nei Centri di Identificazione ed Espulsione» per poi essere rimpatriati;
    secondo i dati forniti dal Ministero dell'interno, l'anno successivo, ossia nel 2016, al 31 dicembre le richieste di asilo erano state 123.600 su 181.000 arrivi registrati solo via mare e, a fronte di circa 60.000 immigrati giunti illegalmente in Italia che non avevano formalizzato alcuna richiesta di asilo, nei soli 4 centri di identificazione ed espulsione funzionanti erano presenti solo 288 irregolari, cifra che è rimasta costante anche quest'anno;
    nel 2016 il numero delle domande accolte, ossia alle quali è stata riconosciuta una delle tre forme di protezione (status di rifugiato, protezione sussidiaria e umanitaria) è drasticamente diminuito, passando dal 60,9 per cento del 2013 al 40,2 per cento nel 2016;
    anche recentemente, la Commissione europea ha raccomandato agli Stati membri, in particolare all'Italia, di adottare misure immediate al fine di procedere al trattenimento e all'effettivo e rapido rimpatrio degli immigrati irregolari;
    è di tutta evidenza che i centri di cui all'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, rinominati in «centri di permanenza per il rimpatrio» all'articolo 19 del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, recante disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale, convertito e approvato definitivamente dalla Camera dei deputati il 12 aprile 2017, sono del tutto insufficienti per la capienza effettiva prevista di soli 1.600 posti, avuto riguardo anche agli esiti delle domande di protezione internazionale già sopra richiamati e dei dati degli stranieri rintracciati in posizione irregolare in territorio italiano (8.949 dal 1o gennaio 2017 al 15 marzo 2017);
    la disciplina in materia di ingresso e permanenza dello straniero nello Stato, a qualsiasi titolo, necessita non solo di una disciplina rigorosa ma, altresì, di un costante controllo sul rispetto della normativa e una attenta ponderazione anche per gli effetti a lungo termine delle politiche adottate;
    alla luce dei dati sopra riportati, risulta del tutto evidente che l'attuale sistema, così come strutturato (dagli hotspot alla successiva fase dell'accoglienza diffusa) e disciplinato, comprese le numerose circolari ministeriali in materia che si sono succedute nel tempo, risulta privo di una regolamentazione organica ed opportuna per una corretta gestione dell'attuale fenomeno migratorio, con rilevanti implicazioni sul contesto sociale e sul governo del territorio,

impegna il Governo:

1) a valutare l'opportunità di assumere iniziative volte a procedere ad una totale revisione dell'attuale sistema di accoglienza, che ormai risulta non più sostenibile e nel cui ambito si collocano gli hotspot quali centro di primo arrivo, dichiarando lo stato di emergenza al fine di inquadrare correttamente il fenomeno in atto che non deve essere gestito come evento ordinario, ma come evento emergenziale destinato ad azzerarsi;

2) a valutare l'opportunità di attuare tutte le iniziative necessarie a disincentivare le partenze degli immigrati dai Paesi di origine e di transito, mediante una politica rigorosa finalizzata al controllo delle frontiere marittime, terrestri e aree, anche con azioni di respingimento ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 286/98 e per garantire, sempre in un'ottica dissuasiva e di contrasto all'immigrazione clandestina, il trattenimento e l'effettivo allontanamento e rimpatrio di tutti gli stranieri irregolari presenti in Italia;

3) a farsi promotore, per quanto di competenza, in tutte le opportune sedi europee, affinché vengano creati centri di prima accoglienza nei Paesi del Nord Africa o di partenza e transito in modo tale da provvedere, in quei luoghi, all'identificazione degli immigrati e all'esame delle richieste di asilo.
(1-01613) «Rondini, Molteni, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».