XVII LEGISLATURA
ATTI DI INDIRIZZO
Risoluzione in Commissione:
La XIII Commissione,
premesso che:
la Puglia, nel panorama produttivo nazionale del grano duro si colloca al primo posto intercettando in media il 22 per cento circa della produzione. Tale primato pone la regione in prima linea anche nei tavoli tecnici a livello nazionale per affrontare le tematiche e le questioni attinenti lo sviluppo dell'intera filiera cerealicola nazionale e la colloca in primo piano per la diffusione delle innovazioni di processo, di prodotto e gestionali;
le aree produttive più importanti sono a nord della Puglia e precisamente nelle province di Foggia e Bari dove si concentra non solo la produzione, ma dove sono collocate la gran parte dei centri di stoccaggio e delle industrie molitorie e pastarie;
per quanto riguarda le capacità molitorie, dati consolidati, i attestano la notevole capacità di trasformazione che consente all'impresa locale di trasformare, nei 297 giorni di attività, oltre 146.000 tonnellate di grano duro per ottenere oltre 100.000 tonnellate, di semola e 46.000 tonnellate di cruscame che vengono venduti soprattutto sul mercato interno, facendo realizzare oltre 26 milioni di euro di ricavi;
in occasione dell'assemblea di Confagricoltura Foggia sulla «terra del grano» svoltasi il 29 ottobre 2016, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali ha preso l'impegno ufficiale di sostenere la candidatura di Foggia a ospitare la commissione unica nazionale per la rilevazione del prezzo del grano duro in sostituzione delle borse merci delle camere di commercio;
il 9 giugno 2017 nei pressi del porto di Bari, l'organizzazione professionale agricola Coldiretti Puglia, ha dato vita ad una mobilitazione per protestare contro le importazioni di grano duro estero e porre la questione del giusto prezzo e della sicurezza alimentare;
gli organizzatori hanno mobilitato gli agricoltori al porto del capoluogo pugliese anche perché è «divenuto negli ultimi anni il vero granaio d'Italia, il principale varco di accesso del grano straniero da spacciare come italiano, perché non è ancora obbligatorio indicare l'origine del grano sulle etichette della pasta» protesta l'organizzazione agricola;
la protesta ha inteso porre l'attenzione delle istituzioni sulla quotazione dei prezzi del grano duro registrati sulla piazza di Foggia dalla borsa merci della camera di commercio, secondo cui il prodotto fino nazionale all'ingrosso della mietitura 2016 è da tempo fermo sui 185-190 euro alla tonnellata, ossia prezzi irrisori ed inidonei alla copertura dei costi che le aziende agricole della Puglia devono sostenere per poterlo coltivare;
i costi di produzione del grano duro richiederebbero un prezzo di mercato per il pareggio dei cerealicoltori intorno ad un livello all'origine di almeno 300 euro a tonnellata, cifra che sarebbe necessaria a coprirli, ma che ad oggi non è lontanamente garantita;
le aziende agricole pugliesi che coltivano grano duro sono diminuite tra il 2000 e il 2010 del 31,5 per cento, mentre la superficie agraria utile ha registrato una contrazione del 16,5 per cento, sia in Italia sia in Puglia;
nel 2016 sono state importate 2,3 milioni le tonnellate di grano duro, quasi la metà delle quali originarie del Canada che peraltro ha già fatto registrare nel 2017 un ulteriore aumento del 15 per cento secondo le analisi della Coldiretti su dati Istat relativi ai primi due mesi del 2017;
è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 128 del 5 giugno 2017 il decreto del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali concernente l'istituzione e le sedi delle Commissioni uniche nazionali (C.u.n.) per le filiere maggiormente rappresentative del sistema agro-alimentare, in attuazione dell'articolo 6-bis, comma 1, del decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51 convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2015, n. 91;
l'articolo 6-bis del decreto-legge n. 51 del 2015, recante «norme per la trasparenza nelle relazioni contrattuali nelle filiere agricole», prevede che «Al fine di garantire la trasparenza nelle relazioni contrattuali tra gli operatori di mercato e nella formazione dei prezzi, con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono adottate disposizioni concernenti l'istituzione e le sedi delle commissioni uniche nazionali (C.u.n.) per le filiere maggiormente rappresentative del sistema agricolo-alimentare, in linea con gli orientamenti dell'Unione europea in materia di organizzazione comune dei mercati»;
a norma dell'articolo 4 del predetto decreto, le C.u.n. vengono istituite su richiesta delle organizzazioni rappresentative della filiera interessata attraverso un apposito decreto direttoriale del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, nel quale sono stabilite la composizione, la sede (presso una o più borse merci), il regolamento di funzionamento, il settore di riferimento e/o le categorie di prodotto e/o i prodotti oggetto dell'intervento;
in particolare, le organizzazioni di produttori, le organizzazioni professionali e le associazioni di categoria dei produttori agricoli, della cooperazione agricola e agroalimentare, dell'industria di trasformazione, del commercio e della distribuzione che partecipano ai tavoli di filiera, istituiti con decreto del Ministro delle politiche agricole e forestali n. 1872 del 2005, o altresì iscritte all'elenco dei portatori di interesse di cui al decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali n. 5528 del 2015, rappresentativi di un determinato settore o di una determinata categoria di prodotto o di gruppi di prodotto/prodotto, possono inoltrare formale istanza al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali al fine di procedere all'istituzione di una specifica C.u.n.;
con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 agosto 2005 sono state approvate le disposizioni per la costituzione dei tavoli di filiera;
con decreto Ministeriale 27 ottobre 2005, Prot. n. 1872, sono state determinate le composizioni dei tavoli di filiera. Il particolare, l'articolo 7 di detto decreto disciplina la composizione del tavolo di filiera cerealicolo e risicolo;
i tavoli di filiera vengono istituiti sulla base delle norme recate dall'articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 27 maggio 2005, n. 102;
tale ultima norma, unitamente agli istituti della concertazione di cui all'articolo 20 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, rappresenta il quadro di riferimento nell'ambito del quale il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali può incidere e promuovere, nell'ambito della definizione e politiche agroalimentari, le eventuali decisioni che competono alle organizzazioni agricole anche ai fini dell'istituzione delle C.u.n.;
Foggia rappresenta la sede naturale e più idonea per ospitare la Commissione unica nazionale sul grano duro e, in tal senso, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali dovrebbe adoperarsi affinché ciò possa concretizzarsi,
impegna il Governo
ad intraprendere le necessarie iniziative di competenza affinché nel quadro della normativa citata in premessa, sia istituita a Foggia la sede della Commissione unica nazionale per il grano duro.
(7-01291) «Mongiello, Ginefra, Grassi, Michele Bordo, Cera, Ventricelli, Luciano Agostini, Antezza».
ATTI DI CONTROLLO
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interrogazione a risposta in Commissione:
LOREFICE, NESCI, DI VITA, MANTERO, GRILLO, SILVIA GIORDANO e COLONNESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
nel nostro Paese il comparto agricolo è oggi in ginocchio a causa della deflazione che comprime i prezzi, dei cambiamenti climatici sempre più estremi, della burocrazia eccessiva e conseguentemente di scelte politiche che hanno causato l'impossibilità per gli agricoltori italiani di competere su un mercato inondato da prodotti provenienti da Paesi extracomunitari;
tali problematiche sono state ripetutamente sottoposte all'attenzione del Ministro interrogato con specifici atti di sindacato ispettivo della prima firmataria del presente atto (4-14606, 4-15136, 4-09009, 4-14555);
in particolare in Sicilia, nel territorio ibleo, è stato chiesto intervento del governo regionale a sostegno degli imprenditori agricoli e dei lavoratori del settore, anche perché la crisi economica/agricola è causa di migliaia di pignoramenti e aste giudiziarie che giornalmente generano la perdita della prima casa o dei beni indispensabili per lo svolgimento dell'attività lavorativa di moltissime famiglie;
anche a seguito dello sciopero della fame portato avanti da alcuni cittadini disperati, i sindaci della fascia trasformata agricola hanno siglato a Vittoria, nel corso di una partecipata assemblea di produttori agricoli e amministratori; una piattaforma in difesa del comparto, prevedendo l'adozione di misure urgenti da adottare in difesa dell'agricoltura. La piattaforma chiede il riconoscimento dello stato di crisi e la moratoria per i crediti contratti dalle aziende nei confronti di banche o istituzioni, società di riscossione, indebitamenti e passività Inps, l'attivazione di misure anticrisi immediate e di medio termine attraverso una preventiva e forte contrattazione con l'Unione europea, le norme di salvaguardia e revisione degli accordi euro-mediterranei, la perequazione del costo del lavoro e dei costi di produzione con adeguamento a quelli dei Paesi esteri concorrenti, i controlli lungo la filiera agroalimentare sulla tracciabilità dei prodotti e sull'etichettatura, interventi per un riequilibrio del meccanismo di domanda e offerta nella grande distribuzione, nonché la moratoria dell'importazione dei prodotti agricoli extracomunitari, in attesa di una rivisitazione degli attuali accordi con i Paesi extraeuropei per tutelare le coltivazioni e gli allevamenti nell'attuale crisi dei prezzi di vendita all'ingrosso –:
se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative intenda intraprendere, per quanto di competenza, per quantificare l'entità dei danni alle produzioni, in coerenza con quanto previsto dalle legislazione in materia;
se non si ritenga opportuno adottare iniziative urgenti a difesa dell'agricoltura e che tengano conto delle richieste dei produttori agricoli e degli amministratori, autori della piattaforma in difesa del comparto indicata in premessa;
se non si ritenga opportuno avviare ogni possibile iniziativa, in concertazione con la regione siciliana, per salvare il settore da questa gravissima crisi senza precedenti, anche dichiarando lo stato di crisi socio-economica per il comparto agricolo;
quali iniziative normative il Governo abbia in programma di mettere in atto al fine di tutelare la prima casa e i beni indispensabili allo svolgimento dell'attività lavorativa di coloro che, a causa della crisi economica e dell'agricoltura al collasso, sono vittime di pignoramenti e aste giudiziarie. (5-11619)
Interrogazione a risposta scritta:
CAPELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
è in discussione da tempo la realizzazione di una centrale termica a concentrazione nei terreni agricoli del comune di Gonnosfanadiga;
in numerosi incontri si sono fatte presenti le numerosi e gravi anomalie che hanno costellato il processo decisionale relativo alla citata centrale termica solare a concentrazione da 55 megawatt, e delle opere ad essa connesse;
il progetto è stato proposto dalla società Gonnosfanadiga limited, con sede a Londra, ed è stato approvato con il parere n. 2320 del 3 marzo 2017, espresso dalla commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale (Ctvia);
proprio sul citato parere si appuntano molte critiche, a parere dell'interrogante estremamente condivisibili;
in primo luogo, si osserva che il progetto era stato originariamente presentato alla regione Sardegna, con richiesta di verifica di assoggettabilità alla procedura di Valutazione di impatto ambientale, dato che la centrale doveva essere in origine di potenza inferiore ai 300 Megawatt limite sopra al quale la competenza per la Valutazione di impatto ambientale passa allo Stato;
in seguito il progetto ha avuto minime variazioni, che hanno, però, portato ad un aumento di potenza oltre i 400 Megawatt, con conseguenze passaggio all'esame da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
si osserva che questo aumento di potenza non pare basato su dati effettivi, ma su una impostazione, ad avviso dell'interrogante, molto discutibile volta a spostare le competenze dalla regione al Ministero, senza un vero motivo;
la Commissione, inoltre, sembra aver esaminato più un'idea di progetto che un vero progetto secondo l'interrogante, contravvenendo alle norme, in particolare, ma non solo al decreto ministeriale 14 gennaio 2008 che prevede espressamente la relazione geologica e quella geotecnica;
molto grave appare all'interrogante, poi, il fatto che l'impianto previsto dovrebbe occupare una superficie complessiva di 232 ettari, nella pianura del Medio Campidano, caratterizzata da importanti aziende agricole, con, in particolare, una produzione olivicola di altissimo pregio;
nel progetto vengono dichiarate due aree lorde impegnate dai collettori solari, una di 227 e una di 232 ettari, a seconda del tipo di collettore che si intende utilizzare. Quale che sia la scelta, appare chiaro che la realizzazione della centrale non potrà che impattare pesantemente sulla zona sopra ricordata, nonostante il parere della commissione che ritiene che solo il 10 per cento del terreno sarebbe sottratto alla produzione agricola, compensando quanto perso con un'area coperta dal campo solare dotata di colture intensive;
si tratta di una mera ipotesi senza nessuna pratica realizzazione già concretata in nessuna situazione analoga, come mostra l'esperienza di tutti gli impianti CSP (Concentrating Solar Power) realizzati nel mondo;
appare chiaro, invece, lo spropositato uso del suolo che l'opera causerebbe, così come la micidiale riduzione delle risorse idriche locali, che verrebbero usate per l'opera in questione; opera che, comunque, andrebbe realizzata in area industriale dismessa e non in area agricola, come invece deciso;
si afferma che l'opera sia necessaria per compensare la scarsità di energia prodotta da fonti rinnovabili. Ma i dati forniti sono superati, facendo riferimento al 2012, mentre almeno dal 2015 si registra una produzione sempre più forte di energia grazie a fonti alternative;
molto grave sarebbe l'impatto sul paesaggio, sulla flora e sulla preziosa fauna locale e, al riguardo, in nessun conto sono state tenute le posizioni contrarie di amministrazioni locali e cittadini, ma anche pareri come quello del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
si è preferito, invece, ascoltare la voce di chi intende accedere a incentivi statali, per produrre quella che appare all'interrogante una inutile «megacentrale», al posto di quegli interventi necessari di autoconsumo –:
se al Governo consti quanto sopra esposto e, in caso affermativo, quali siano le iniziative di competenza che intende intraprendere per sanare una situazione che appare potenzialmente gravissima.
(4-17029)
AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE
Interrogazione a risposta scritta:
MERLO e BORGHESE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
come riportato da tutti i principali media italiani e internazionali, la situazione economico-sociale e politica del Venezuela precipita verso una crisi umanitaria;
in Venezuela risiedono circa 130 mila cittadini italiani con passaporto italiano;
i nostri connazionali travolti dalla crisi del Governo Maduro 4 scrivono di situazioni al limite della sopravvivenza, preoccupati dall'aumentata criminalità, dall'inflazione paurosa che mangia i risparmi e dall'assenza di generi alimentari e di medicine; le situazioni più preoccupanti riguardano i pensionati italo-venezuelani;
le pensioni erogate dall'Inps in base alla Convenzione di sicurezza sociale tra l'Italia e il Venezuela (in vigore dal 1991) sono circa 5000; (il consolato di Caracas è in attesa di un aggiornamento dall'Inps che ancora non è pervenuto);
queste pensioni vengono erogate principalmente da Talcambio, che riceve le disposizioni di pagamento da Citibank (ne riceve attualmente 3367); il resto dei pagamenti viene erogato direttamente dall'Inps su conti aperti dai pensionati in Italia o da Citibank su conti esteri;
l'importo della pensione italiana viene calcolato dall'Inps sulla base di molteplici fattori (quali il reddito percepito) e si avvale dei tassi di cambio ufficiali forniti dalla Banca d'Italia;
di conseguenza, a partire dal 2003, l'Inps inizia a calcolare le pensioni sulla base del tasso di cambio Dipro (inizialmente circa 3 bsf= 1 USD, poi circa 7 bsf = 1 USD, ad oggi, 10 bsf= 1 USD) e, a partire dal 1o gennaio 2017, i pensionati Inps, in Venezuela ricevono una pensione calcolata in base al tasso Dicom (attualmente intorno ai 700 bsf = 1 USD);
ai pensionati che hanno conti presso banche estere in Puerto Rico, Italcambio bonifica direttamente senza addebitare commissioni. A partire da una pensione di 100 euro, una di tali banche estere risulterebbe addebitare 10 euro per ogni ordine di bonifico (non importa l'ammontare della pensione);
circa 400 pensionati non hanno conti esteri ed attualmente le pensioni vengono pagate direttamente da Italcambio, tramite sportello o bonifico su conti venezuelani al cambio Dicom (il 2 maggio 2017 al tasso di 1 US dollari/717,43 Bs. e 1 euro/743,38 Bs.);
il cambio giornaliero ufficiale Dicom può essere consultato direttamente sul sito del «Banco Central de Venezuela» (http://www:bcv.org.ve/);
in Venezuela esistono vari cambi: sul cosiddetto mercato parallelo, 1 euro vale 4.900 Bolivares;
il Bolivares, valuta locale, nel 2016 è stata svalutata dell'800 per cento (Reuters http://ukseuters.com);
a queste condizioni i 400 pensionati italo-venezuelani percepiscono una pensione con un potere di acquisto decurtato di circa l'85 per cento –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza di questi fatti e se non ritengano di mettere in atto procedure «di emergenza» affinché a questi 400 pensionati italiani, non titolari di conti in valuta estera, siano corrisposte le pensioni in euro all'interno delle nostre sedi consolari.
(4-17034)
AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:
PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
è nuovamente emergenza idrica in diversi comuni della Bassa Sabina, della Sabina tiberina ed in generale tutti i comuni a nord-est di Roma, in provincia di Rieti. Nei giorni scorsi, infatti, l'Ato 2 in collaborazione con l'Acea, con una nota recapitata ai vari enti locali interessati dal servizio idrico integrato, ha portato a conoscenza dei sindaci i dati delle precipitazioni relative agli anni 2016 e 2017 rilevando la scarsità e l'esiguità delle fonti di approvvigionamento che alimentano i grandi acquedotti gestiti da Acea;
la portata degli acquedotti sarà destinata a ridursi ulteriormente se permane l'attuale periodo di siccità perciò Acea Ato 2 ha ritenuto opportuno avvertire la cittadinanza riguardo alle possibili conseguenze;
conseguenze che non si sono fatte attendere: ben 71 comuni saranno interessati da un alto rischio di riduzione per cui Acea ha annunciato che se si verificheranno «carenza accentuate» si renderà necessario il «ricorso a turnazioni giornaliere ove possibile», anche attraverso «l'abbassamento di pressione nelle ore di maggior consumo» che – tradotto – significa acqua razionata;
le reazioni, non solo da parte dei cittadini ma anche da parte dell'interrogante e del presidente della provincia di Rieti e dei sindaci dei comuni, sono state immediate: si sottolinea innanzitutto il fatto che Acea – Ato 2 deve far fronte alle crescenti necessità della Capitale che, in periodi di particolare siccità come questo, aumenta considerevolmente i fabbisogni idrici; inoltre, si lamenta la mancanza oramai da diversi anni, da parte di Acea – Ato 2, del riconoscimento economico per interferenza d'ambito. È utile rammentare che tale ente si rifornisce di acqua dalle sorgenti del Peschiera, in provincia di Rieti, dopodiché la rivende ai comuni sabini e la utilizza per la produzione di energia elettrica: tutto ciò senza alcun ristoro economico alle popolazioni interessate. Infine, siffatto comportamento determinerà gravi conseguenze sulla stessa rete idrica dovute alla continua apertura e chiusura delle condotte per ricorso alla turnazione giornaliera ed oraria di cui sopra –:
quali iniziative urgenti il Ministro interrogato abbia intenzione di porre in essere, per quanto di competenza affinché la situazione sopra descritta, qualora dovessero permanere le attuali condizioni di siccità, unite all'aumento delle temperature, non si traduca in emergenza e non abbia serie ripercussioni sul fabbisogno idrico dei comuni della Sabina. (5-11621)
ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
Acea ato 2 è la società operativa del gruppo Acea s.p.a., che gestisce il servizio idrico integrato a Roma ed in 84 comuni nell'ambito territoriale ottimale 2 (Ato 2) — Lazio centrale, garantendo altresì l'approvvigionamento idrico ad altri 58 comuni di cui 47 fuori dall'ATO2 (Rieti, Frosinone e Latina);
il 23 maggio 2017 Acea Acqua, ramo servizi idrici della società, avrebbe reso noto il rapporto «Criticità dell'approvvigionamento idropotabile nei comuni dell'Ato 2 — Situazione attuale e previsione per l'estate 2017», con il quale verrebbe posta in evidenza una riduzione della piovosità del 50 per cento nelle ultime 2 stagioni autunno-invernali, rispetto alle precedenti e contemporaneamente un prevedibile aumento del consumo idrico dovuto all'innalzamento delle temperature atmosferiche registrate;
le risultanze di detto rapporto sarebbero state trasmesse dal gestore ai comuni, che sarebbero stati classificati in aree a diversa criticità di approvvigionamento idrico durante il periodo estivo, con il livello 1 – «zona gialla», dove sarebbero previsti abbassamenti di pressione durante le ore di maggior consumo e modeste carenze idriche e livello 2 — «zona rossa», dove si verificherebbero carenze idriche accentuate con ricorso a turnazione giornaliera;
il territorio dei comuni dei Colli Albani serviti dagli acquedotti Simbrivio e Doganella risulterebbero ricompresi nella «zona rossa» della classificazione su citata, quella «a maggior carenza e quindi a rischio di turnazione» dell'approvvigionamento idrico;
con deliberazione della giunta regionale del Lazio n. 445 del 16 giugno 2009 in considerazione delle condizioni di estrema criticità del sistema idrogeologico dei colli Albani, venivano assunti provvedimenti di tutela dei laghi Albano e Nemi e degli acquiferi dei Colli Albani;
all'atto di affidamento del servizio idrico integrato, perfezionato nel 2002, Acea Ato 2 a assunto verso i territori e gli utenti straordinari impegni e responsabilità nel garantire un servizio essenziale per la qualità della vita dei cittadini e delle comunità locali, da attuarsi attraverso un piano d'investimenti per la manutenzione e l'ammodernamento della rete di distribuzione spesso fatiscente, la cui copertura finanziaria viene garantita interamente dalla tariffa –:
se il Ministro sia a conoscenza della grave emergenza idrica e ambientale che si starebbe determinando nei comuni dell'area metropolitana di Roma Capitale e quali iniziative, per quanto di competenza e in sinergia con gli enti territoriali interessati, intenda intraprendere per la tutela e la salvaguardia della risorsa idrica.
(5-11622)
VELLA e LABRIOLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
il lago artificiale di Pietra del Pertusillo è situato nel territorio dei comuni di Grumento Nova, Montemurro e Spinoso (Basilicata). Il lago fu costruito tra il 1957 e il 1962 con i fondi della Cassa del Mezzogiorno per lo sviluppo dell'irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia e Lucania;
da notizie di stampa locale si apprende che sotto la superficie del lago del Pertusillo siano state avvistate inquietanti macchie nere: a svelarle sarebbero state le immagini realizzate dall'alto con un drone utilizzato da un cittadino di Grumento Nova;
a seguito della pubblicazione delle citate immagini, alcune analisi eseguite da un laboratorio privato hanno mostrato che «limitatamente ai parametri analizzati, il campione risulta non conforme alle caratteristiche di qualità per acque superficiali destinate alla produzione di acqua potabile», con risultati opposti a quelli dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale, che avrebbe escluso la presenza di idrocarburi nella diga, spiegando che il fenomeno sarebbe dovuto a un particolare tipo di alghe;
secondo le dichiarazioni rilasciate dal direttore generale dell'Arpab, Edmondo Iannicelli, «dagli accertamenti richiesti da forze dell'ordine e sindaci possiamo dire che non c’è traccia di idrocarburi né nel laghetto Ciambrina, né nella diga»;
tuttavia, qualche settimana prima della diffusione delle foto vi sarebbe stato un incidente presso il Centro Oli Eni di Viggiano (PZ) consistente in uno sversamento di greggio da una delle cisterne, a seguito del quale gli abitanti hanno espresso preoccupazioni sia per la propria salute che per l'inquinamento ambientale che ne deriverebbe;
è parere degli interroganti che le preoccupazioni dei cittadini residenti in merito allo stretto collegamento degli episodi – sversamento dalla cisterna del Centro Olio e comparsa delle macchie scure nella Diga del Pertusillo – siano fondate e che sia ancor più grave la discordanza dei risultati delle analisi effettuate sulle acque della diga che non lasciano molto spazio ad interpretazioni;
proprio per la vastità del territorio servito dalla diga sarebbe opportuno un intervento immediato per verificare inequivocabilmente l'origine delle macchie scure nelle acque della diga e l'eventuale fonte d'inquinamento –:
se il Ministro interrogato ritenga opportuno intraprendere le necessarie iniziative di competenza volte a verificare anche per il tramite del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, la salubrità delle acque della diga, per prevenire danni alla salute dei cittadini e dell'ambiente. (5-11623)
STELLA BIANCHI e BORGHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 224 del decreto legislativo 152 del 2006 stabilisce che i produttori e gli utilizzatori degli imballaggi partecipino al Conai (Consorzio nazionale imballaggi), il cui statuto è approvato con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministro delle attività produttive, per il raggiungimento degli obbiettivi di recupero e di riciclaggio dei rifiuti di imballaggio;
il contributo ambientale Conai (Cac) è ripartito tra i produttori e gli utilizzatori degli imballaggi, in proporzione alla quantità, al peso ed alla tipologia del materiale di imballaggio immessi sul mercato nazionale;
dal 1o gennaio 2018 il Cac sarà diversificato per gli imballaggi in plastica in quanto — come si legge sulla «guida tecnica» pubblicata dal Consorzio «...la finalità della diversificazione è di incentivare l'uso di imballaggi maggiormente selezionabili e riciclabili, collegando il livello contributivo all'impatto ambientale delle fasi di fine vita/nuova vita...». Da maggio 2017 è stata avviata una prima fase di sperimentazione per consentire alle aziende di affrontare cambiamenti previsti dal nuovo sistema di contribuzione;
a questo scopo sono state definite tre categorie di imballaggi in plastica con tre diverse fasce contributive, che saranno definite entro l'estate, corrispondenti ad imballaggi selezionabili e riciclabili da circuito «commercio e industria», da circuito «domestico» e imballaggi non selezionabili/riciclabili allo stato delle tecnologie attuali. Le prime due saranno agevolate rispetto alla terza categoria;
nella terza fascia sono inserite le stoviglie monouso, nonché i sacchi per ortofrutta. Tra questi sono inclusi anche stoviglie e sacchi realizzati in plastica biodegradabile e compostabile che vengono conferiti direttamente agli impianti di compostaggio, con un fine vita quindi ben definito come ammendante per i terreni, e ai quali risulta ciononostante applicato un contributo ambientale Conai particolarmente oneroso;
un contributo ambientale Conai così oneroso per beni realizzati in plastica biodegradabile e compostabile rischia di penalizzare una delle produzioni virtuose del Paese –:
quale sia l'orientamento del Ministro interrogato circa il nuovo sistema di tariffazione così definito, che, alla luce di quanto evidenziato in premessa, rischia di disincentivare l'uso e la ricerca di materiali maggiormente sostenibili e di penalizzare la produzione di imballaggi e manufatti prodotti con bioplastiche compostabili, altamente compatibili dal punto di vista ambientale, al punto di avere il proprio fine vita negli impianti di compostaggio e non in quelli di riciclo meccanico. (5-11624)
DE ROSA, DAGA, BUSTO, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
secondo la relazione annuale della Corte dei Conti al Parlamento, l'impiego di personale di Sogesid direttamente presso le strutture del Ministero può prestarsi ad essere utilizzato come mezzo elusivo dei vincoli all'assunzione di personale e delle limitazioni e delle condizioni per il conferimento di incarichi per prestazioni di servizi. Parte molto elevata del valore della produzione è costituito dall'assistenza tecnica alle direzioni generali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che consiste in una collaborazione di personale che presta attività direttamente presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
talvolta gli oggetti di tali incarichi corrispondono a mansioni interne all'organizzazione o attinenti all'ordinario svolgimento dei compiti istituzionali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, traducendosi in sostanza in un mezzo improprio per far fronte a problemi di organico;
sempre secondo la Corte dei conti, le convenzioni per tali attività di supporto agli uffici del Ministero costituiscono un anomalo fattore di aggravamento dei costi del personale per esigenze cui il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dovrebbe far fronte mediante il proprio organico;
secondo la Corte dei conti, sezione centrale di controllo sulla legittimità degli atti del Governo e delle amministrazioni dello Stato, nel testo della deliberazione 16 aprile 2014, n. 7, nei casi in cui vi sia una reiterazione temporale dell'oggetto dell'incarico (in questo caso anche dello stesso soggetto), viene dedotta la violazione dell'articolo 7, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, nella parte in cui prescrive la temporaneità degli incarichi esterni;
le consulenze fornite dalla Sogesid, a quanto consta agli interroganti, contano un numero di personale applicato all'interno del Ministero superiore a quello del personale di ruolo, il cui operato non sembra corrispondere ad un reale piano di fabbisogno per lo svolgimento delle competenze del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che viene, inoltre, portato avanti in mancanza di una mappatura delle professionalità interne, nonché in assenza di una trasparente programmazione e successiva valutazione degli obiettivi che le singole direzioni generali dovrebbero perseguire;
nel novembre 2016 si è tenuta a Marrakech la 22esima Conferenza delle Parti sul cambiamento climatico;
nella lista della delegazione tecnica inviata in rappresentanza degli interessi nazionali, per quanto riguarda la quota parte riservata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, figurerebbero, secondo quanto consta agli interroganti, numerosi negoziatori attualmente esterni al Ministero o che gravitano intorno all'amministrazione centrale attraverso rapporti di collaborazione esterna descritti in premessa –:
se e quali iniziative il Ministro intenda assumere per porre fine all'eccessivo, anomalo e oneroso utilizzo di personale esterno per lo svolgimento di attività del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. (5-11625)
MATARRESE e GALGANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
la strategia energetica nazionale (SEN) enfatizzando la necessità di integrare alle politiche di sviluppo energetico del Paese le strategie per la protezione dell'ambiente, non considera ancora alcuni importanti progetti che in fase di transizione sarebbero strategici per l'Italia e per la mitigazione, dei cambiamenti climatici;
fin dal 2009, il WEC (World Energy Council) faceva valutazioni tecnico-economiche sui benefici conseguibili dal progetto Albedo (una strategia semplice ed efficace di mitigazione del riscaldamento globale) rispetto ad altre tecnologie di de-carbonizzazione quali il fotovoltaico, l'eolico e altro. La tecnologia dell'incremento dell'albedo di superfici antropizzate, di costruzioni, di tetti di abitazioni, di edifici ad uso scolastico o magazzini, o di tetti di stabilimenti industriali è stata sperimentata dal CIRIAF (Centro interuniversitario di ricerca sull'inquinamento e sull'ambiente «M. Felli» dell'università degli Studi di Perugia) nel progetto di ricerca ABCD (Albedo, Building green, Control of Global Warming, Desertification) finanziato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel 2010-2012 e con sperimentazioni anche in Tunisia;
il progetto «Albedo for Africa» presentato dal professor Cotana (CIRIAF-UNIPG e Fondazione Sorella Natura) in occasione della giornata mondiale dell'ambiente svoltasi alla bocconi lunedì 5 giugno 2017 prevede la realizzazione di eco-villaggi efficienti e sostenibili anche in collaborazione con imprese italiane. Tali villaggi, dotati di sistemi di raccolta e recupero delle acque, di auto-produzione dell'energia, di terreni sub-irrigati, sono realizzati con coperture delle abitazioni e di pacciamature degli orti con materiali e membrane « retroreflecting». Migliaia di tali eco-villaggi, che si potrebbero alito-finanziare con un prezzo di 319 tonnellata CO2 (stime CIRIAF), consentirebbero far uscire dalla povertà milioni di persone dell'Africa sub-sahariana e compensare l'effetto serra di alcuni miliardi di tonnellate di CO2;
l'efficacia di tali interventi dovrebbe essere misurata e certificata da un'Agenzia internazionale di certificazione per l'Albedo terrestre che, avvalendosi di satelliti, contabilizzerebbe con accuratezza la radiazione solare riflessa, rilasciando crediti di carbonio validi per il mercato dell’Emission Trading –:
quali iniziative il Governo intenda assumere, in vista della stesura finale della strategia energetica nazionale, per favorire la realizzazione di progetti che mirano a limitare gli effetti nocivi per l'ambiente del riscaldamento globale, onde permettere all'Italia di raggiungere questo primato già riconosciuto dal WEC nel 2009 e sul quale il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha già investito. (5-11626)
Interrogazioni a risposta scritta:
CRIPPA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
il sindaco di Cavaglio D'Agogna (Novara) ha provveduto ad inviare al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare una nota ai sensi dell'articolo 309, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, con la quale sono denunciate la grave situazione di potenziale danno ambientale e la minaccia imminente di aggravamento della contaminazione nel sito cosiddetto «discarica di Ghemme», insistente nel territorio dei comuni di Ghemme (Novara), Cavaglio d'Agogna (Novara) e Fontaneto d'Agogna (Novara), nelle aree adiacenti, nonché negli altri luoghi circostanti, nei quali si sono diffuse le sostanze inquinanti, derivate e propagatesi in conseguenza della mala/carente gestione della discarica stessa e dei suoi impianti. La ricorrenza del grave danno ambientale che sta interessando le predette aree è stata ripetutamente riscontrata dagli enti tecnici interpellati ed intervenuti dall'anno 2006 ad oggi;
la già citata missiva va a richiedere, anche in attuazione del principio di precauzione di cui all'articolo 301 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, d'intervenire, ponendo in essere tutte le azioni e precauzioni previste agli articoli 309 e successivi del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, ed ogni altro intervento e misura di precauzione, prevenzione, contenimento, ripristino e riparazione, ammessi dalla legge, affinché vengano tutelati l'ambiente e la salute della popolazione residente e/od operante nelle aree, che sono interessate dalla contaminazione, così come rilevato durante i sopralluoghi degli enti tecnici preposti;
viene, infine, specificato nella nota che il comune intende essere avvisato qualora il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ritenga di mettere in campo un accordo transattivo con il soggetto/i, dei quali verrà accertata la responsabilità per gli eventi dannosi riscontrati e/o riscontrandi, al fine di poter esercitare i diritti e le facoltà, previsti dal decreto-legge n. 208 del 2008 e dalle altre leggi vigenti –:
se il Governo sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
se il Governo intenda esercitare i poteri di intervento statale a tutela dell'ambiente, a norma della parte sesta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, nell'annosa vicenda riguardante la discarica di Ghemme, al fine di prevenire l'ulteriore danno ambientale e, nel caso, con quali strumenti e secondo quali tempistiche;
se, in ogni caso, siano stati informati senza dilazione i soggetti interessati dei provvedimenti assunti per evitare l'aggravarsi del danno ambientale, ai sensi dell'articolo 309, comma 3, del citato decreto legislativo n. 152 del 2006;
se il Governo, in applicazione del principio di precauzione, intenda promuovere o adottare le necessarie misure di prevenzione, al fine di impedire o minimizzare i danni riscontrati in premessa. (4-17025)
PALESE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 3-ter del decreto-legge n. 243 del 2016 convertito dalla legge n. 18 del 2017 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 49 del 2017) istituisce un fondo da 1 milione di euro per l'anno 2017 per finanziare un piano straordinario di indagine di approfondimento teso alla verifica dello stato delle matrici ambientali, al fine di scongiurare l'emergere di criticità dovute alla presenza dell'impianto di discarica in località Burgesi, nel comune di Ugento;
allo scopo di finanziare la realizzazione del piano, da predisporre a cura della regione Puglia, con la collaborazione dell'Arpa Puglia e dell'asl competente, nel bilancio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stato istituito un fondo per la verifica dello stato di qualità delle matrici naturali in località Burgesi/Ugento con uno stanziamento, in termini di competenza e cassa, di 1 milione di euro per l'anno 2017;
l'inserimento di tale articolo aggiuntivo, poi approvato, fu proposto dall'interrogante in seguito all'allarme suscitato dalle dichiarazioni di un pentito nell'ambito di una inchiesta della procura di Lecce e la stessa procura invitò regione, provincia di Lecce e comuni del territorio interessato, ad attivarsi quanto prima per procedere a campionamenti, verifiche, bonifiche;
venne ipotizzato che nel territorio sottostante la discarica possano essere stati tombati rifiuti pericolosi e tossici, mettendo così a rischio la salute e la pubblica incolumità dei cittadini dei comuni di Ugento, Acquarica, Presicce;
sull'onda di questi allarmi e di quelli in seguito arrivati anche formalmente dai sindaci dei comuni interessati, il presidente della regione Puglia effettuò un sopralluogo tecnico nella discarica garantendo che quanto prima i suoi uffici si sarebbero attivati;
ad oggi non risulta all'interrogante che la regione Puglia si sia attivata per predispone la realizzazione del piano straordinario per Burgesi;
risulta, invece, da notizie di stampa, che la giunta regionale pugliese avrebbe attinto al fondo istituito con l'articolo 3-ter del decreto n. 243 del 2016, non già per avviare il piano straordinario per Burgesi, ma per verificare la contaminazione da idrocarburi delle acque del Pertusillo;
se quanto denunciato fosse vero, ciò sarebbe gravissimo e, ad avviso dell'interrogante, configurerebbe una irregolarità formale e materiale, oltre che un utilizzo improprio da parte della regione, di fondi che una legge dello Stato aveva vincolato ad altro utilizzo –:
se quanto denunciato in premessa corrisponda al vero;
se al Ministro interrogato risulti che la regione Puglia abbia attinto alle risorse del fondo citato per un utilizzo diverso da quello previsto dalla legge;
in caso di accertamento di tale irregolarità, posto che il fondo è istituito nel bilancio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, se non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza volta a pervenire all'immediata predisposizione del piano per Burgesi e a vincolare le risorse sopra indicate a tali finalità, tenendo conto che dall'esito delle verifiche sul territorio in cui insiste la discarica dipende la tutela della salute pubblica di centinaia di migliaia di cittadini. (4-17027)
BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO
Interrogazione a risposta in Commissione:
VALIANTE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
in data 20 giugno 2017 il quotidiano il Mattino a pagina 34 nella cronaca di Salerno ha pubblicato un articolo a firma del giornalista Antonio Vuolo dal titolo «Fiamme sull'area archeologica, turisti in fuga»;
l'autore, nel testo, ha esposto che la mattina del 19 giugno 2017, in prossimità dell'area archeologica di Velia è divampato un vasto incendio, che ha interessato inizialmente il versante meridionale della città antica con le fiamme che hanno lambito la Casa degli Affreschi per poi spostarsi nella parte alta del parco, verso Porta Rosa, simbolo del sito archeologico, minacciando, infine, il parco archeologico di Velia. Le fiamme, alte e ben visibili da lontano, hanno tenuto impegnati per diverse ore i vigili del fuoco che comunque sono giunti sul posto in pochi minuti. L'incendio è stato domato solo a tarda mattinata e le operazioni di spegnimento sono risultate particolarmente difficili con il rischio che il rogo potesse espandersi in altre aree del sito a causa della vegetazione secca che circonda il parco archeologico. Le autorità precauzionalmente hanno disposto la chiusura al pubblico del sito per la giornata;
non si tratta del primo incendio che minaccia il patrimonio culturale del Cilento e già un anno fa si è registrato un caso simile;
poche settimane fa il sindaco di Ascea, grazie all'intervento del personale dipendente della comunità montana Lambro, Mingardo e Bussento, ha provveduto alla pulizia delle sterpaglie nei dintorni dell'area, altrimenti il bilancio avrebbe potuto essere ben più pesante –:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali iniziative di competenza intendano assumere al riguardo, anche prevedendo l'erogazione di maggiori risorse per la vigilanza estiva antincendio e la protezione delle aree archeologiche e di quelle di maggiore pregio ambientale;
se parte dei fondi stanziati dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo lo scorso anno per il progetto Velia siano stati destinati anche alla prevenzione degli incendi e con quali modalità. (5-11610)
Interrogazione a risposta scritta:
SIMONE VALENTE, BATTELLI e MANTERO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
con delibera n. 1482 dell'8 aprile 1925 del municipio di Genova veniva approvato il progetto di costruzione di un nuovo mercato di frutta e verdura da erigersi in corso Sardegna a Genova; poco dopo veniva quindi avviata la costruzione della struttura, distribuendosi su un perimetro rettangolare di 116 per 136 metri su un solo piano con sopraelevazioni nel fronte sull'attuale corso e generando delle palazzine con annessi servizi direttamente legati al mercato, quali: la sala riunioni dei commercianti, gli uffici postali e telegrafici e gli istituti di credito;
a struttura attuale dell'immobile è il risultato di interventi succedutisi in anni differenti che vanno dagli anni venti agli anni quaranta;
nel 2009 il trasferimento del mercato in altra sede comportò un lento abbandono e degrado della struttura, ma fonti giornalistiche riferiscono, nel mese di dicembre 2016, che due società operanti nel settore edile avrebbero presentato in comune una proposta di project financing; per un investimento pari a circa 25 milioni di euro, la società fiorentina Santa Fede e la genovese Cosmo Costruzioni Moderne punterebbero a recuperare l'area attraverso la realizzazione di negozi, uffici, palestra, studi professionali, spazi sociali, una media struttura di vendita e un parcheggio;
in data 31 marzo 2010, la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici della liguria dichiara il bene di interesse storico artistico particolarmente importante ai sensi dell'articolo 10, comma 1, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, apponendo il vincolo architettonico solo per la parte antistante, ovvero «su due corpi ad “L” prospicienti corso Sardegna e sui due padiglioni interni in quanto rappresentativi delle caratteristiche costruttive e tipologiche del complesso»; nella relazione storico-artistica allegata alla dichiarazione di interesse culturale si legge testualmente che «il complesso rappresenta un pregevole esempio di architettura commerciale dell'epoca nonché un'importante testimonianza dello sviluppo urbano ed economico della città di Genova agli inizi del XX secolo; per queste motivazioni, pertanto, se ne ritiene più che motivato il formale riconoscimento dell'interesse culturale ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004»;
successivamente, in data 27 maggio 2015, associazioni quali Italia Nostra Sezione Genova, Legambiente e WWF Genova attive nel territorio, nel tentativo di preservare l'area, hanno chiesto alla Soprintendenza di estendere i vincoli all'intero immobile;
le recenti osservazioni prodotte dalle associazioni sopra indicate al progetto urbanistico operativo (PUO) adottato con deliberazione della giunta comunale del 16 dicembre 2016 lamentano il mancato recupero reale dell'ex mercato; alcune delle strutture originarie dell'intero immobile vengono accorpate fra di loro al fine di creare spazi commerciali più ampi, paventandosi così il timore che possa venire stravolta la fisionomia e la tipologia storico-architettonica; nelle medesime osservazioni al progetto urbanistico operativo è stato inoltre rilevato come non sia presente un congruo spazio pubblico attrezzato a verde ma solamente delle singole alberature posizionate sui viali pedonali del mercato; sulla questione, nello specifico, l'assessore all'urbanistica respinge l'osservazione secondo la quale il quartiere in cui è localizzato l'ex mercato risulta penalizzato dall'eccessiva densità edilizia e dalla conseguente insufficienza di spazi aperti pubblici e di aree verdi fruibili –:
considerato il vincolo parziale apposto sull'immobile nonché della dichiarazione di interesse storico, quale sia ad oggi la posizione ufficiale della direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Liguria in riferimento alla preservazione e alla tutela del bene e se si intenda apporre il vincolo all'intera struttura;
se non si ritenga opportuno favorire, per quanto di competenza, soluzioni che portino all'ampliamento all'interno dell'immobile delle aree destinate al verde pubblico ed eventualmente in che modalità, fermo restando il rispetto delle disposizioni in materia di tutela dei beni culturali. (4-17012)
ECONOMIA E FINANZE
Interrogazione a risposta scritta:
GRIMOLDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
è noto come le condizioni finanziarie delle città metropolitane siano al collasso: le profonde difficoltà di questi enti non ben definiti, assieme alle stesse province, stanno determinando una situazione di estrema criticità nell'erogazione dei servizi. Strade e scuole, ormai, non sono più oggetto di interventi di manutenzione, neanche ordinaria, né vengono più forniti i necessari e dovuti interventi assistenziali alle persone disabili;
a ciò si aggiunge una condizione di notevole precarietà del personale dipendente di questi enti impiegato in tali servizi, penalizzato, oramai da anni, anche da un punto di vista salariale, a causa dei ripetuti tagli succedutisi;
il decreto-legge n. 50 del 2017, la cosiddetta manovra correttiva, ha previsto, per l'esercizio delle funzioni fondamentali, un contributo di 110 milioni di euro per il 2017 e 80 milioni di euro a decorrere dal 2018 in favore delle province e un contributo di 12 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018 in favore delle città metropolitane;
suddetti importi, però, sembrano del tutto insufficienti, dato che non soltanto il Sose ha certificato in 650 milioni di euro le risorse necessarie per la copertura degli squilibri di bilancio, ma la stessa Corte dei conti, il 23 febbraio 2017, in sede di audizione presso la Commissione bicamerale per il federalismo fiscale, ha sottolineato la criticità di tagli definiti dalla stessa illegittimi quanto manifestamente irragionevoli, tali da rendere impossibile lo svolgimento delle funzioni istituzionali delle province, nonché delle città metropolitane;
la Corte dei conti ha rilevato che: «per le funzioni fondamentali rimane la necessità di rivedere la coerenza e la congruità delle misure finanziarie adottate [...] con riguardo al grave deterioramento delle condizioni di equilibrio strutturale dei relativi bilanci, determinatosi negli ultimi due esercizi conclusi ed al quale non hanno posto rimedio organico gli interventi di natura emergenziale succedutisi»;
lo squilibrio strutturale tra le entrate e i tagli imposti, come previsto, non consentiva di approvare il bilancio di previsione entro il termine previsto per il 31 marzo (già prorogato due volte) che è stato dunque spostato al 30 giugno 2017;
le difficoltà, però, saranno esattamente le stesse, perché sembra evidente che, se il contributo statale resta insufficiente, a ben poco serviranno le altre caute misure previste dalla manovra correttiva, quali l'applicazione dell'avanzo libero e quello destinato al bilancio di previsione che, anche per quest'anno sarà riferito al solo 2017, nonché la possibilità di utilizzare i proventi delle contravvenzioni per finanziare gli oneri relativi alle funzioni di viabilità di polizia locale;
questo modo di procedere per deroghe e proroghe, ad avviso dell'interrogante, è soltanto un meccanismo per rinviare la risoluzione di problemi creati da questo stesso Governo il cui indirizzo politico, di fatto, costituisce esattamente la prosecuzione di quello del precedente Governo: la «legge Delrio», innanzitutto, dovrebbe essere totalmente rivista, anche alla luce della «bocciatura» referendaria della riforma costituzionale, poiché, ad oggi, non è affatto razionale prevedere degli enti con funzioni fondamentali senza dotarli delle necessarie risorse amministrative ed economiche;
nella città metropolitana di Milano la situazione finanziaria dell'ente sembra essere particolarmente critica, tanto da rischiare, in assenza di interventi, il default: l'ammanco di bilancio corrisponde a circa 70 milioni di euro, proprio a causa dei prelievi del 40 per cento del fatturato da parte dello Stato centrale –:
quale iniziative il Governo intenda assumere al fine di garantire un'adeguata assegnazione di risorse alle province e, soprattutto, alle città metropolitane, tenuto conto di quanto esplicitato in premessa in merito all'ente milanese, per assicurare il rispetto dei diritti dei cittadini, il pagamento degli stipendi del personale e i servizi erogati per la sicurezza dei territori, lo sviluppo locale e la scuola. (4-17026)
GIUSTIZIA
Interrogazione a risposta in Commissione:
FRACCARO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
con le interrogazioni n. 4-06976 del 21 novembre 2014 e n. 4-07333 del 18 dicembre 2014, al fine garantire le esigenze di tutela della salute dei detenuti e del personale operante all'interno dell'istituto e di incrementare la capacità di effettuare esami diagnostici all'interno della casa circondariale nonché di aumentare il livello di prevenzione sanitaria, si chiedeva al Governo quali iniziative di competenza intendesse assumere per l'allestimento urgente di un apparecchio radiografico all'interno dell'area sanitaria della casa circondariale di Trento;
con l'ordine del giorno 317/XV dell'8 giugno 2017 il consiglio provinciale di Trento impegna la giunta a dotare in tempi brevi l'infermeria del carcere di Trento di un apparecchio Rx, fisso o portatile, da utilizzare per esami ortopedici ed al torace;
con l'interrogazione n. 4-09687 del 3 luglio 2015 si portava all'attenzione del Governo la carenza di organico della struttura della casa circondariale di Spini di Gardolo (Trento) e si chiedeva quali fossero i tempi entro i quali intendesse assegnare il personale richiesto dal provveditorato presso la stessa al fine di riportare la situazione sotto il livello di rischio;
con l'interrogazione n. 4-11308 del 27 novembre 2015 si chiedeva al Governo quali iniziative di competenza intendesse assumere per garantire i livelli di sicurezza e le attività previsti dagli accordi sottoscritti tra provincia di Trento e Governo nel 2002 e ne 2008 e confermati nel 2011, per soddisfare le esigenze di adeguamento di organico e per assicurare il rispetto della sentenza emessa dalla Corte europea dei diritti dell'uomo dell'8 gennaio 2013 Torreggiani ed altri contro Italia in materia di sovraffollamento carcerario;
con l'ordine del giorno 315/XV dell'8 giugno 2017 il consiglio provinciale di Trento, accogliendo l'appello dell'avvocato antiproibizionista Fabio Valcanover, impegna la giunta ad attivarsi presso il Governo e/o nelle sedi parlamentari per promuovere apposite misure organizzative nell'ambito dell'amministrazione penitenziaria finalizzate ad assicurare uno specifico presidio per il territorio del Trentino-Alto Adige competente per i carceri di Trento e Bolzano, al fine di garantire un intervento più efficace da parte delle istituzioni dell'autonomia nel campo dell'amministrazione della giustizia, dell'esecuzione della pena e della rieducazione di chi ha commesso reati, anche nel rispetto degli accordi istituzionali con lo Stato;
con l'ordine del giorno 316/XV dell'8 giugno 2017 il consiglio provinciale impegna la giunta a sollecitare il Ministero della giustizia ad intervenire in tempi celeri, affinché si possa far fronte alle numerose criticità emerse nella gestione della struttura carceraria trentina – sia con riguardo al problema del sovraffollamento, che a quello attinente alle condizioni lavorative del corpo di polizia penitenziaria – ed arrivare quindi ad un decremento sostanziale della popolazione detenuta e al contemporaneo incremento del personale di polizia, al fine di ristabilire l'ottimale equilibrio organizzativo e lavorativo. Si impegna inoltre la giunta a rendere noti i contenuti confronto tra il presidente della provincia di Trento e il Ministero della giustizia –:
se il Governo sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare per far fronte alle criticità sopra illustrate.
(5-11617)
INFRASTRUTTURE E TRASPORTI
Interrogazione a risposta in Commissione:
FAMIGLIETTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
la provincia di Avellino per disponibilità di risorse idriche è un territorio strategico dell'Appennino meridionale;
questa peculiarità deriva dalla sua conformazione geologica; tralasciando le sorgenti minori, nel territorio della provincia di Avellino sono presenti gruppi sorgenti che complessivamente forniscono 12,7 mc/sec, così destinate:
5,90 metri cubi (pari al 46,5 per cento), all'Acquedotto Pugliese SpA per l'approvvigionamento idrico della Puglia;
2,99 metri cubi (pari al 23,5 per cento), all'ASIS per la città di Salerno e comuni dell'Alto e Basso Sele, in forza di concessione di prelievo del periodo 1970-1990;
2,30 metri cubi (pari al 18 per cento), ad ABC, per la città di Napoli, in forza di una concessione di prelievo in fase di acquisizione;
1,51 metri cubi (pari al 12 per cento) ad Alto Calore Servizi SpA, per la città di Avellino e per altri comuni dell'Irpinia e del Sannio, in virtù di concessioni ottenute in un arco temporale ampio, dal 1958 al 2008;
a fronte della disponibilità per la provincia di Avellino di fonti primarie per circa 13 metri cubi, solo 1,5 metri cubi sono destinate alla comunità irpina e sannita, provocando periodiche crisi idriche ed elevate tariffe;
l'Acquedotto Pugliese Spa, con fondi pubblici sul territorio irpino, ha realizzato e gestirà la diga di Conza della Campania che sarà in parte utilizzata per uso idropotabile e per uso irriguo;
l'attuale distribuzione della risorsa si è determinata in un arco temporale molto ampio (di circa 140 anni) ed ha avuto, nel corso degli anni, estendimenti (la maggior parte a favore di soggetti extraterritoriali) e conferme (sia rinnovo di convenzione che di potenziamento, adeguamento o ristrutturazione di opere vetuste come è accaduto per la costruzione della Pavoncelli Bis in corso di realizzazione, con fondi statali, ad uso di Acquedotto Pugliese SpA);
nello stesso territorio a quanto consta all'interrogante sarebbe stata data attuazione all'articolo 163 del decreto legislativo n. 152 del 2006 relativo alla gestione delle aree di salvaguardia, ovvero, la previsione di assicurare la tutela delle aree di salvaguardia delle risorse idriche, attraverso convenzioni per la gestione diretta dei demani pubblici o collettivi ricadenti nel perimetro delle predette aree, con, in caso di trasferimenti di acqua da un ambito territoriale ottimale all'altro, la corresponsione della quota di tariffa per i costi di gestione delle aree di salvaguardia;
la mancata attuazione del disposto dell'articolo 158 del decreto legislativo n. 152 del 2006 – che prevede la promozione di accordi di programma per il trasferimento delle risorse idriche tra diverse regioni – comporta che il trasferimento tra la regione Campania e la regione Puglia avvenga esclusivamente in base ad atti concessori o ad autorizzazioni provvisorie, in assenza di tariffa dell'acqua all'ingrosso e, soprattutto, senza alcuna corresponsione della componente ambientale;
la regione Campania a quanto risulta all'interrogante non avrebbe elaborato la rivisitazione delle concessioni attualmente in essere e del piano regolatore generale degli acquedotti che, approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 3 agosto 1968, n. 2774, formulava previsioni sulle dotazioni pro-capite e sulle esigenze idropotabili dei singoli comuni, ampiamente superate da anni, fino all'anno 2015;
vi è la necessità di interventi infrastrutturali improcrastinabili per evitare il perpetuarsi di disagi alla popolazione irpina e alla sua economia, e riflessi sul piano della salvaguardia delle risorse idriche per la popolazione di ben 3 regioni meridionali (Puglia, Campania e Basilicata) –:
quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo, anche sul piano normativo e in sinergia con tutti i soggetti interessati al fine di favorire una equa distribuzione delle risorse idriche, soddisfacendo le reali necessità idropotabili delle comunità locali, a partire da quelle irpine. (5-11613)
Interrogazioni a risposta scritta:
COPPOLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
il codice della strada, all'articolo 79, prescrive che «i veicoli a motore ed i loro rimorchi durante la circolazione devono essere tenuti in condizioni di massima efficienza, comunque tale da garantire la sicurezza»;
l'uniformità dei controlli dei veicoli adibiti al trasporto è fondamentale per garantire la sicurezza prevista dal codice della strada;
il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – direzione generale per la motorizzazione, il 27 febbraio 2017, ha emanato una circolare sulle «Procedure operative e informatiche per la revisione dei veicoli › 3,5 t e autobus»;
nella suddetta circolare sono enunciati i princìpi secondo cui devono essere svolte le operazioni di revisione; nell'allegato 2 della stessa circolare i controlli sono suddivisi in: «strumentali» (colonna A), «visivi impliciti al controllo strumentale» (colonna B), «espliciti non ricompresi nei controlli strumentali» (colonna C) e «visivi con mano d'opera effettuabili solo da officina» (colonna D);
secondo la suddetta circolare, nell'allegato 2, i controlli «visivi con mano d'opera effettuabili solo da officina» (colonna D) richiedono lo smontaggio del veicolo da parte delle officine che effettuano la manutenzione ordinaria e straordinaria, che ne certificheranno opportunamente l'esito;
secondo la suddetta circolare, quindi, i controlli «visivi con mano d'opera effettuabili solo da officina» (colonna D) non sono effettuabili da parte di operatori della motorizzazione civile;
al punto 5) la suddetta circolare prevede la modifica del modello TT2100, in particolare con l'inserimento da parte dell'impresa proprietaria o utilizzatrice del veicolo dell'iscrizione all'Albo degli autotrasportatori/registro elettronico nazionale (REN) in caso di trasporto cose e al REN o autorizzazione per conto proprio in caso di trasporto persone;
il decreto dirigenziale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 10 gennaio 2012 definisce le modalità di gestione del registro elettronico nazionale all'interno dello stesso Ministero;
l'articolo 43-bis, comma 3, della legge n. 445 del 2000, come modificato dal decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, prevede che «Le amministrazioni non possono richiedere ai soggetti interessati la produzione dei documenti da acquisire ai sensi del comma 1, lettera a) –:
quali motivazioni giustifichino la richiesta alle imprese dei dati relativi al registro elettronico nazionale, già in possesso della pubblica amministrazione;
quali motivazioni abbiano portato a vincolare i controlli definiti all'allegato 2 della suddetta circolare «visivi con mano d'opera effettuabili solo da officina» (colonna D) alle officine che effettuano la manutenzione ordinaria e straordinaria;
quale sia la stima dell'impatto derivante dalle modifiche procedurali sulle imprese del trasporto;
quali iniziative il Ministero preveda di mettere in campo al fine di tenere conto delle osservazioni delle associazioni di categoria. (4-17013)
TANCREDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
a seguito degli eventi sismici di agosto e ottobre 2016, la sicurezza delle autostrade A24 e A25, già oggetto di attenzione dopo il terremoto dell'Aquila del 6 aprile 2009, è stata più volte messa in dubbio;
la società concessionaria delle autostrade in questione, Strada dei Parchi s.p.a., ha segnalato l'urgenza di un intervento di adeguamento sismico delle tratte per scongiurare che ulteriori scosse, anche di lieve entità, possano provocare dislivelli nella pavimentazione dei viadotti:
sarebbero, infatti, più di un centinaio i viadotti a rischio e il costo per la loro messa in sicurezza, secondo quantificazioni del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, assomma al complessivo importo di 169.456.289,05, euro, corrispondente a poco più di tre rate annuali del corrispettivo di concessione;
per finanziare gli interventi, la concessionaria ha reso disponibili i canoni concessori già accantonati relativi alle annualità 2015 e 2016, ma sulla titolarità di tali canoni grava una controversia in sede civile. L'Anas ha infatti agito in giudizio per esigere il pagamento dei canoni dovuti da Strada dei Parchi, ma il tribunale civile ha – per ben due volte – stabilito che a seguito del trasferimento delle funzioni di vigilanza e controllo sui concessionari autostradali da Anas al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (operato dall'articolo 36 del decreto-legge n. 98 del 2011), quest'ultimo deve considerarsi a tutti gli effetti subentrato anche nella titolarità delle relative situazioni debitorie e creditorie. Il tribunale ha quindi deciso che il complesso delle obbligazioni sorte a partire dal 1o ottobre 2012 debba considerarsi di esclusiva titolarità del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
tale decisione si pone però in contrasto con quanto previsto dall'articolo 52-quinquies del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, approvato in via definitiva dal Senato il 15 giugno 2015, che, al contrario, attribuisce all'Anas la titolarità di tali canoni concessori per finanziare l'immediato avvio dei lavori di messa in sicurezza delle autostrade A24, A25. Peraltro, tale articolo prevede un importo di 111.720.000,00 euro, insufficiente all'attuazione del piano di messa in sicurezza originario. A tal fine, il citato articolo 52-quinquies prevede la «presentazione di un piano di convalida per interventi urgenti, presentato dal concessionario entro 20 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, nei limiti delle risorse di cui al presente comma, da adottarsi, entro il 31 agosto 2017, con decreto del Ministero delle Infrastrutture»;
secondo quanto segnalato anche dal Codacons, però, in caso di mancata approvazione del piano economico finanziario (PEF) indispensabile per sbloccare i fondi, il finanziamento degli interventi potrebbe essere operato tramite l'aumento delle tariffe autostradali e il conseguente intollerabile aggravio dei costi per gli utenti –:
quali siano gli intendimenti del Ministro interrogato sulla questione esposta in premessa e se non ritenga opportuno evitare che i costi della messa in sicurezza delle autostrade A24 e A25 ricadano sugli utenti di quelle tratte autostradali tramite un ingiusto aumento delle tariffe;
con quali modalità si intendano reperire le risorse mancanti, considerato che occorrono 169,4 milioni di euro e ne sono stati individuati solo 111,7;
quale sia l'orientamento del Ministro interrogato in merito alla questione relativa alla titolarità del canone concessorio per le Autostrade A24 e A25. (4-17017)
MELILLA, NICCHI, SCOTTO, KRONBICHLER, DURANTI, SANNICANDRO, FRANCO BORDO, PIRAS, RICCIATTI, QUARANTA e ZARATTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
per lavori di sicurezza sulla linea Pescara-Roma, Trenitalia ha deciso la chiusura del servizio dal 16 luglio al 3 settembre 2017;
è forte la preoccupazione che si tratti di una ulteriore marginalizzazione di questa relazione ferroviaria tra l'Abruzzo e Roma;
nessuna relazione ferroviaria di importanza nazionale subisce un simile trattamento;
sino a poco tempo fa erano 12 i treni giornalieri tra Pescara e Roma, ora siamo al dimezzamento con soli 6 treni giornalieri;
grazie anche all'impegno degli utenti e della regione Abruzzo, Trenitalia ha diminuito i tempi di percorrenza da 3 ore e 40 minuti, a 3 ore e 22 minuti, ma vi è comunque da rilevare che nel 1970 si impiegavano 3 ore e 3 minuti per andare in treno (rapido) da Pescara e Roma;
il materiale rotabile risulta di scarsa qualità e vecchio e le strutture sono prive di servizi;
da più parti si sollevano dubbi circa la temporaneità di questa scelta così penalizzante per l'Abruzzo, in considerazione della passata esperienza della relazione ferroviaria Sulmona-L'Aquila che per 10 anni, ogni anno veniva chiusa nei mesi estivi;
la preoccupazione è che la relazione ferroviaria Pescara-Roma possa fare la fine della Pescara-Napoli chiusa alcuni anni fa come anche la Sulmona-Carpinone –:
quali iniziative di competenza intenda assumere per il futuro della relazione Pescara-Roma adoperandosi con Trenitalia per una relazione ferroviaria «non stop» tra Pescara e Roma che potrebbe abbattere i tempi di percorrenza a 2 ore e 45 minuti rendendo così competitiva la ferrovia rispetto al mezzo privato e al trasporto su gomma e rilanciare così il trasporto ferroviario abruzzese.
(4-17020)
FRACCARO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
dal comunicato n. 1170 del 15 maggio 2017 dell'ufficio stampa della provincia di Trento si apprende che tra il 5 luglio e la fine di agosto 2017 il Passo Sella resterà chiuso per 9 mercoledì tra le ore 9 del mattino e le 16. Il transito sarà consentito a mezzi del trasporto pubblico locale o elettrici, oltre che, naturalmente, a biciclette e pedoni;
in occasione della conferenza stampa di presentazione del provvedimento, l'assessore della provincia di Bolzano Richard Theiner ha affermato che, con le suddette misure, si ridurranno le emissioni di CO2 e si contribuirà alla conservazione della natura sulle montagne dolomitiche, che sono patrimonio mondiale dell'Unesco;
la strada interessata dalla suddetta restrizione è la SS242dir di Val Gardena e Passo Sella, la quale è esclusa dalla perimetrazione dell'area Dolomiti Unesco, svolge la fondamentale funzione di collegamento tra la Val Gardena la Val di Fassa e permette il collegamento con il passo Pordoi e quindi con la confinante regione Veneto;
in riferimento alla possibilità di chiusura dei passi dolomitici e delle strade di accesso alla regione Trentino-Alto Adige/Südtirol, i rappresentanti istituzionali della regione Veneto hanno espresso più volte pubblicamente la loro contrarietà. L'assessore regionale bellunese Giampaolo Bottacin ha affermato che «la mobilità è un diritto costituzionale, che nessuno può impedire» (Chiusura del Sella, gli operatori al TarTrentino – Trentino, 19 maggio 2017), mentre l'anno precedente il presidente Luca Zaia dichiarò che «oltre ad un vincolo anticostituzionale, la sospensione ripetuta del traffico rischia di rappresentare un colpo fatale per il turismo» (Il Veneto ricorre: «Incostituzionale» – Corriere del Veneto, 13 settembre 2016;
secondo quanto segnalato all'interrogante dagli operatori turistici, l'evoluzione tecnologica sta comportando una drastica riduzione delle emissioni grazie all'introduzione di veicoli elettrici, a metano o a idrogeno, nonché una drastica riduzione dei costi ambientali dovuti alla mobilità privata;
i medesimi operatori ritengono che l'importanza della viabilità del passo Sella sia evidenziata dalla sua posizione e dall'assenza di percorsi alternativi sostenibili. La chiusura della strada crea disservizi, danni e ritardi alla circolazione delle persone e delle merci, costi alla collettività che non sono giustificati, poiché si è in assenza di un'approfondita analisi scientifica dei presupposti danni ambientali creati dal traffico veicolare privato sui passi dolomitici;
l'uso restrittivo ed esclusivo del bene demaniale rappresentato dalla strada è ammissibile solo in circostanze eccezionali; gli operatori ipotizzano che, se l'eccezione si ripete con elevata intensità, allora ci si trova di fronte ad un uso privato del bene demaniale con un conseguente sacrificio sproporzionato del diritto di utilizzo da parte di tutti pregiudicando gli interessi legittimi che derivano dal fatto che il bene demaniale è accessibile e utilizzabile dall'intera collettività;
secondo quanto disposto dal decreto legislativo 3 marzo 2016, n. 46, in materia di limitazione del traffico veicolare, le misure sopra considerate, lungo le strade che collegano il territorio delle province di Trenta e di Bolzano, possono essere adottate solo previo parere del Ministero competente in materia di infrastrutture e mobilità e tenendo conto dei principi di ragionevolezza e non discriminazione –:
quali motivazioni e analisi abbiano portato al parere espresso in ordine ai provvedimenti di chiusura del passo Sella in considerazione dei princìpi di ragionevolezza e non discriminazione previsti dal decreto legislativo n. 46 del 2016, al fine di contemperare le esigenze degli operatori con quelle della tutela ambientale. (4-17022)
INTERNO
Interrogazione a risposta in Commissione:
MARCO DI MAIO e FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il 14 gennaio 2017 è entrato in vigore il decreto legislativo 16 dicembre 2016, n. 257, di attuazione della direttiva 2014/94/UE sulla realizzazione di un'infrastruttura per i combustibili alternativi;
la cosiddetta direttiva DAFI dava mandato agli Stati membri di adottare un quadro strategico nazionale per lo sviluppo del mercato dei combustibili alternativi e l'installazione di un numero minimo di punti di ricarica. Tra i combustibili ricompresi nel decreto legislativo 16 dicembre 2016, n. 257, figura l'idrogeno;
l'idrogeno, così come gli altri combustibili alternativi, rappresenta il futuro della mobilità contribuendo fortemente a soddisfare l'esigenza europea e nazionale di abbassamento delle emissioni inquinanti e di riduzione della dipendenza dell'Europa dalle importazioni di combustibili fossili;
l'articolo 5 «Disposizioni specifiche per la fornitura di idrogeno per il trasporto stradale» del decreto legislativo n. 257, al comma 3, prevede l'adeguamento dell'esistente disciplina antincendi (di cui al decreto del Ministero dell'interno del 31 agosto 2006, Gazzetta Ufficiale n. 213), attraverso l'aggiornamento delle regole tecniche per la progettazione, costruzione e esercizio di distributori di idrogeno per autotrazione, da adottarsi con decreto del Ministro dell'interno di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
l'emanazione del decreto sarebbe dovuta avvenire entro il termine, ormai scaduto, del 31 marzo 2017;
l'aggiornamento della normativa tecnica attualmente in vigore e risalente ad oltre 10 anni fa appare fondamentale. Quest'ultima risulta molto lontana, concettualmente ed operativamente dagli standard tecnici indicati dalla direttiva DAFI, ed impedisce – di fatto – la programmazione degli investimenti e la realizzazione di impianti di rifornimento ad idrogeno in territorio italiano. La normativa tecnica dettata dal citato decreto del Ministro dell'interno del 31 agosto 2006 necessita quindi di un urgente adeguamento alle norme tecniche indicate dalla direttiva DAFI; in particolare, quest'ultima consente la compressione dell'idrogeno fino a 700 bar, mentre il limite posto dal decreto 31 agosto 2006 e tuttora vigente è di 350 bar;
diversi sono i punti del decreto che necessitano un adeguamento alle norme tecniche indicate dalla stessa direttiva DAFI, tra cui il principale, è rappresentato dall'impossibilità di prevedere la compressione dell'idrogeno a 700 bar (oggi 350 bar);
la normativa tecnica nazionale vigente, inoltre, risulta particolarmente obsoleta anche per quanto riguarda i criteri di costruzione delle stazioni con alte mura di isolamento e grandi distanze «di sicurezza»;
il mancato aggiornamento delle norme tecniche di cui al decreto del Ministro dell'interno 31 agosto 2006 blocca, di fatto, l'implementazione del decreto legislativo di recepimento della DAFI e lo sviluppo della mobilità ad idrogeno in Italia, non consentendo l'allineamento agli altri Paesi, extra europei ed europei, che hanno deciso di investire in programmi di sviluppo di questa preziosa tecnologia –:
a che punto sia l’iter per la revisione del decreto del Ministero dell'interno del 31 agosto 2006 «Approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio degli impianti di distribuzione di idrogeno per autotrazione» e quali siano i tempi per l'emanazione del decreto ministeriale di aggiornamento. (5-11616)
Interrogazioni a risposta scritta:
GRIMOLDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
alla vigilia del Giubileo straordinario della Redenzione indetto da Papa Francesco, un quarto degli organici in forza al commissariato di pubblica sicurezza di Monza venne trasferito a Roma, città dalla quale non ha mai fatto ritorno;
in conseguenza del mancato rientro a Monza dei poliziotti temporaneamente trasferiti nella capitale, gli organici a disposizione nel capoluogo della Brianza, già deficitari in quanto definiti negli anni settanta e già allora insufficienti, sono scesi al di sotto della soglia di guardia;
la presenza delle forze dell'ordine sul territorio brianzolo è ridotta, così come molto basso risulta il numero delle pattuglie disponibili per il pronto intervento;
tali insufficienze sono state più volte lamentate dal Siulp relativamente alla polizia di Stato, ma si riscontrano anche con riferimento all'Arma dei carabinieri;
stando a quanto affermato recentemente dal questore di Milano, i furti in appartamento e altri reati «minori» sarebbero, inoltre, in forte aumento in tutta l'area di sua competenza, che include Monza –:
se il Governo intenda restituire al commissariato di pubblica sicurezza di Monza il personale che venne sottratto alla vigilia del Giubileo della Redenzione;
quali ulteriori iniziative il Governo ritenga opportuno assumere per assicurare al capoluogo brianzolo lo stesso livello di sicurezza garantito ad altre città lombarde. (4-17014)
PALMIZIO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
il 12 giugno 2017, alle ore 9, presso il Parco degli Aromi, nel comune di Guidonia (Roma), due 23enni armati e con il volto coperto, a bordo di un furgone Fiat Fiorino rubato, hanno speronato un'auto per rapinarne il conducente, un dipendente della catena di supermercati Carrefour, che stava trasportando l'incasso domenicale, di circa 9 mila euro, in banca;
il tentativo di rapina è stato notato da Nicola, poliziotto fuori servizio che è intervenuto intimando loro l'alt. Ne è scaturito un conflitto a fuoco nel quale uno dei banditi è rimasto ferito mortalmente;
il secondo rapinatore ha subito ferite gravi, ma non mortali. Il poliziotto in borghese è intervenuto con tutti i rischi del caso e solo dopo attenta analisi si è scoperto che i malviventi erano in possesso di armi giocattolo, perfette riproduzioni delle originali;
Michele Frisia, segretario del Sap (Sindacato Autonomo di polizia) e perito balistico esperto di armi e munizioni, ha affermato che riconoscere le armi come armi giocattolo era assolutamente impossibile, se non dopo accurata e precisa ispezione;
tra l'altro, l'articolo 5 della legge n. 110 del 1975, la legge sulle armi, all'ultimo comma, prevede esplicitamente che se viene rimosso il tappo rosso che ne identifica la natura e l'arma viene utilizzata per commettere un reato, il soggetto risponde del reato come fosse aggravato e commesso con un'arma vera;
oggi, però, a carico del poliziotto è stato aperto un fascicolo di indagine per omicidio colposo, un atto secondo l'interrogante non dovuto, perché in alternativa si sarebbe potuto proseguire col fascicolo per rapina e, contestualmente, inserire la causa oggettiva di esclusione del reato. Quest'ultima norma del codice penale, peraltro, non è di grado subalterno a quella incriminatrice e, nel caso di specie, ad avviso dell'interrogante è palese la presenza della causa di giustificazione;
non la pensa così la procura di Tivoli, che contesta a Nicola l'eccesso colposo nell'utilizzo legittimo delle armi, e per tale ragione ha deciso di iscriverlo nel registro degli indagati;
esclusa la possibilità di comprendere che le armi fossero finte, ci si chiede quale alternativa avesse il poliziotto nella fattispecie; sarebbe stato poco confacente alla circostanza telefonare alla centrale operativa per segnalare il fatto, con il rischio della morte del cittadino, per poi rischiare di essere incriminato per omissione di atti d'ufficio;
l'esame autoptico eseguito sul corpo del rapinatore, parrebbe rivelare la dinamica di un colpo esploso frontalmente, evidenziando dunque, la situazione di pericolo imminente per la vita di Nicola;
il poliziotto ha fatto il suo dovere, preservando l'incolumità del cittadino e mettendo a rischio la propria. A giudizio dell'interrogante, non sembra esserci un motivo apparente per aprire un procedimento a carico dell'agente per eccesso colposo nell'uso legittimo delle armi –:
di quali elementi disponga il Governo circa gli ultimi sviluppi della vicenda che vede iscritto nel registro degli indagati l'agente semplicemente per aver fatto il suo dovere e per aver difeso l'incolumità di un cittadino e se non intenda adottare iniziative normative per rivedere la disciplina delle scriminanti relativamente all'attività delle forze di polizia in modo da evitare in futuro il ripresentarsi di situazioni analoghe. (4-17021)
DIENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
un richiedente asilo iracheno, Hussein Abss Hamyar di 29 anni, è stato arrestato il 19 giugno 2017 dalla polizia a Crotone per terrorismo;
il procuratore della Repubblica di Catanzaro Nicola Gratteri ha precisato: «siamo dovuti intervenire perché abbiamo ritenuto concreto il rischio di una fuga. Temevamo, come è già successo, che il soggetto lasciasse la Calabria per compiere un attacco terroristico»;
egli ha aggiunto: «Abbiamo monitorato costantemente i suoi spostamenti e i suoi contatti, lo abbiamo visto esultare per l'attentato di Manchester il 22 maggio. La sua radicalizzazione era diventata sempre più pericolosa. Dal 2008 girava per l'Europa, passando da Norvegia e Germania per cercare asilo politico, fino a giungere in provincia di Crotone. Non possiamo dire se fosse un lupo solitario, ma incontrava altre persone in provincia di Crotone ed aveva contatti con tanti iracheni. Lo abbiamo fermato per evitare che potesse accadere altro;
gli inquirenti avrebbero dovuto interrompere l'indagine, perché preoccupati a seguito di un viaggio compiuto da Hamyar a Roma»;
rispetto al suo viaggio nella Capitale, dov'era stato il 22 marzo 2017, il procuratore Gratteri ha aggiunto: «Si diceva contento, ogni volta che la polizia lo controllava nei suoi spostamenti a Roma, perché capiva di creare allarme sociale. Si tratta di una persona molto pericolosa – ha proseguito il procuratore capo – chiamato per andare in Siria in guerra santa, ma lui ha risposto di volere rimanere in Italia perché voleva fare proselitismo, al punto che in una intercettazione dice: “Devo convincere alla guerra santa”. Nel computer e nel telefonino, inoltre, sono stati rinvenuti molti video, ma ci preoccupava che andava molto in giro e frequentava una moschea, dove era possibile fare proselitismo»;
in una conversazione intercettata l'indagato avrebbe riferito di aver parlato all'interno della moschea di Crotone specificando di aver «parlato bene» dello Stato Islamico, vantando il fatto che, alla sua predica, sarebbero stati presenti l'Imam ed un gruppo di fedeli che sono rimasti ad ascoltarlo sino al termine del suo intervento, mentre in più occasioni il 29enne iracheno avrebbe fatto riferimento al suo peso all'interno della moschea di Crotone, nella quale è solito recarsi con frequenza settimanale, in occasione della preghiera del venerdì;
per gli inquirenti l'attività di proselitismo è da ritenere «concretamente pericolosa, perché in grado realmente di sollecitare nei destinatari l'adesione all'associazione terroristica, attraverso il passaggio dalle intenzioni alla reale condivisione»;
dall'ordinanza di custodia firmata dal Gip del tribunale di Catanzaro, Assunta Maiore, emerge come l'indagato «abbia sin dall'inizio mantenuto un atteggiamento di aperta intransigenza nei confronti degli altri ospiti dello Sprar di San Nicola dell'Alto che mantenevano, secondo Hussein, una condotta di vita non rispettosa dei più integralisti precetti religiosi musulmani», arrivando a minacciarli fisicamente –:
se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali attività di controllo intenda promuovere, per quanto di competenza, al fine di evitare ogni possibile minaccia terroristica;
come si spieghi che un individuo fortemente radicalizzato abbia svolto attività di proselitismo e di predicazione in moschea, se quest'ultima avvenisse in lingua araba o in italiano, quali forme di vigilanza siano state svolte nel caso in questione e quali iniziative di competenza si intendano assumere per il futuro.
(4-17028)
NUTI, DI VITA e MANNINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) è costituito dalla rete degli enti locali che, per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata, accedono al fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo, che per il triennio giugno 2017-luglio 2020 supera i 45 milioni di euro;
il decreto del Ministero dell'interno 29 maggio 2017 ha approvato le graduatorie per l'assegnazione di suddetti fondi, suddivisi in 99 progetti per un totale di 2.871 posti, di cui 88 progetti per 2.506 posti ordinari, 4 progetti per 40 posti per «soggetti con necessità di assistenza sanitaria, sociale e domiciliare, specialistica e/o prolungata o con disagio mentale e/o psicologico», 7 progetti per i minori non accompagnati per 325 posti;
dalle graduatorie emergono, secondo gli interroganti, vistose e inspiegabili sperequazioni nell'assegnazione di fondi, in quanto a comuni che hanno presentato progetti che hanno conseguito il medesimo punteggio e/o ospitano lo stesso numero di rifugiati, vengono assegnati fondi per importi anche significativamente diversi;
ad esempio, a quanto consta agli interroganti Capena ospiterà 24 rifugiati totalizzando 60 punti e otterrà 286 mila euro, mentre Montopoli Sabina con un progetto per 22 rifugiati, due in meno rispetto a Capena, e 60 punti riceverà 335 mila euro; Baselice per 12 rifugiati e 69 punti otterrà 162 mila euro mentre Pesco Sannita con un progetto per 16 rifugiati e soli 68 punti, riceverà 250 mila euro;
Vallelonga, Vaccarizzo Albanese, Caprarica di Lecce e Saint Vincent ospiteranno 25 rifugiati: il primo con 72,4 punti otterrà oltre 373 mila euro, il secondo con 70,6 punto otterrà quasi 330 mila euro, il terzo con 70,5 punti otterrà 303,5 mila euro mentre l'ultimo con un punteggio nettamente inferiore, 67 punti, otterrà invece oltre 403 mila euro;
Partinico accoglierà 60 rifugiati con 64 punti e riceverà 760 mila euro; Roccavignale ne ospiterà meno, 51, con 71,6 punti ma otterrà 900 mila euro; Guardiagrele per gli stessi 60 posti di Partinico e soli 60 punti, prenderà addirittura 991 mila euro, mentre Carunchio che ospiterà solo 45 rifugiati totalizzando 60 punti otterrà ben 793 mila euro;
sul tema è intervenuta anche la Corte dei conti con deliberazione 29 dicembre 2016, n. 19/2016/G, «La gestione del sistema di “seconda accoglienza” in favore di stranieri (2014-2015)», con cui evidenziava che «gli impegni finanziari assunti non sono stati coerenti in molte realtà locali a parità di numero di posti “ordinari” offerti [...] Il delta differenziale è emerso dal confronto tra i finanziamenti richiesti dagli enti territoriali, i quali, a parità di posti di accoglienza offerti, hanno stimato costi diversi e, conseguentemente, ricevuto assegnazioni non omogenee», concludendo che è necessario «utilizzare in modo efficace i fondi stanziati per l'accoglienza»;
secondo gli interroganti, se ne può dedurre che il Ministero dell'interno fosse a conoscenza di queste problematiche prima dell'esame dei progetti per i fondi del triennio 2017-2020 e che l'assegnazione degli stessi sia avvenuta in maniera del tutto confusionaria: appare evidente la mancanza di un generale controllo sui reali costi dei progetti presentati, così come di rendicontazione dei costi sostenuti per i progetti relativi agli anni precedenti esaminati dalla Corte dei conti, e non si capisce quale metodo sia stato utilizzato per distribuire i finanziamenti –:
per quali ragioni sia stata registrata una disparità nell'assegnazione dei fondi per l'accoglienza e l'asilo, anche a parità di punteggio conseguito o di numero di rifugiati assistiti;
quale metodo sia impiegato per decidere l'importo dei finanziamenti da elargire;
quali forme di controllo economico-finanziario e di rendicontazione vengano applicate migliorate sui costi dei vari progetti. (4-17032)
VALERIA VALENTE, CARLONI, DI LELLO, IMPEGNO, MANFREDI e PALMA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
ricorrendo alla procedura di riequilibrio ex articolo 243-bis del decreto legislativo n. 267 del 2000, il comune di Napoli ha approvato il piano di riequilibrio finanziario pluriennale nel gennaio 2013 per assorbire un disavanzo accertato in 850,2 milioni di euro e ridotto nei successivi aggiornamenti;
questa consistente riduzione è stata possibile mediante la contabilizzazione dell'accesso alle anticipazioni di liquidità (articolo 1 del decreto-legge n. 35 del 2013), e grazie al rilievo contabile evidenziato dalle sezioni riunite della Corte dei Conti in riferimento alla passività derivante dalla restituzione del fondo di rotazione (articolo 243-ter del T.U.E.L.), che, come è stato recepito nella delibera del comune di Napoli C.C. n. 84/2014, non richiede di essere contabilizzata;
a fronte della riduzione del disavanzo conseguente ai suddetti fattori tecnico-contabili, il risanamento attivato dal comune di Napoli individuava sei leve strutturali di finanza pubblica, su cui si impegnava la politica di bilancio dell'amministrazione;
nelle relazioni per l'anno 2016 sullo stato di attuazione e sul raggiungimento degli obiettivi intermedi del piano di riequilibrio, l'organo revisore ha rilevato un perdurante scostamento complessivo tra l'andamento degli interventi di riequilibrio e il piano finanziario pluriennale previsto;
ancora nella relazione relativa al secondo semestre 2016, i revisori evidenziano che le due direttrici decisive del piano, ossia l'incremento strutturale delle riscossioni e il piano di dismissione di parte del patrimonio immobiliare del comune, non hanno raggiunto i loro obiettivi, rivelandosi così, in maniera preoccupante, almeno per ora inefficaci allo scopo di superare gli squilibri strutturali di bilancio;
a queste costanti criticità si aggiungono i debiti fuori bilancio, la mancata ricostituzione della cassa vincolata a cui l'ente comunale ricorre puntualmente, e, a partire dal 2016, l'utilizzo dell'anticipazione di cassa, anch'essa non restituita al tesoriere entro il termine dell'esercizio;
il consiglio comunale di Napoli con deliberazione n. 15 del 30 settembre 2016 ha proceduto a una rimodulazione del piano di riequilibrio pluriennale, come consentito dall'articolo 1, commi 714 e 714-bis, della legge n. 208 del 2015;
con l'approvazione del rendiconto 2016, il comune di Napoli ha preso atto del mancato raggiungimento degli obiettivi di recupero del disavanzo relativi agli esercizi 2015 e 2016, fissando complessivamente a 1.890 milioni di euro il disavanzo di amministrazione al 31 dicembre 2016;
inoltre, la sezione autonomie della Corte dei Conti con deliberazione n. 36/SEZAUT/2016/QMIG, pur specificando che nell'esame dello stato di attuazione del piano la sezione regionale deve considerare la situazione complessiva, compreso ogni eventuale elemento sopraggiunto, ha però ribadito che il piano di riequilibrio deve produrre innanzitutto un percorso graduale di effettivo risanamento dell'ente;
dunque, al momento le risultanze di bilancio presentano molteplici elementi per giudicare il comune di Napoli lontano sia dall'equilibrio dei conti, sia da un effettivo percorso di risanamento, tanto da far considerare, ad avviso degli interroganti, la possibilità che si sia determinato quel «grave e reiterato mancato rispetto degli obiettivi intermedi fissati dal piano» che costituisce condizione per l'avvio della procedura di dissesto guidato di competenza del prefetto (comma 7, dell'articolo 243-quater, del T.U.E.L) –:
se il Ministro interrogato, anche in ragione delle funzioni istruttorie demandate alla Commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali operante presso il Ministero dell'interno, sia a conoscenza della seria e preoccupante situazione relativa all'attuazione del piano di riequilibrio da parte del comune di Napoli e se – anche alle luce dell'attività di competenza della citata Commissione sulle modifiche ai piani di riequilibrio pluriennale indicate dalla Corte dei Conti con la deliberazione n. 9/SEZAUT/2017/QMIG – esistano elementi tali da offrire rassicurazioni riguardo alla possibilità di evitare una eventuale procedura di dissesto che sarebbe sicuramente dannosa per la città e i suoi abitanti. (4-17036)
ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA
Interrogazioni a risposta in Commissione:
CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
la legge n. 107 del 2015 ha previsto lo svolgimento di un concorso a posti e cattedre per il personale docente che è stato avviato nel 2016 e che prevede l'assegnazione dei posti nel triennio 2016/2018;
la procedura concorsuale ha previsto tre concorsi su base regionale rivolto uno ai docenti della scuola dell'infanzia e della scuola primaria, un secondo ai docenti della scuola secondaria di primo e secondo grado e un terzo ai docenti di sostegno;
per quanto riguarda la Sicilia, sono risultati vincitori del concorso per la scuola primaria circa 700 docenti su un numero di posti messi a bando di 1.096 e le graduatorie di merito non sono state ancora pubblicate;
da notizie stampa si apprende che il numero dei pensionamenti dei docenti per la scuola primaria per l'anno scolastico 2017-2018 sarà piuttosto contenuto e che questi numeri vanno valutati anche alla luce di quanto previsto dal contratto collettivo per la mobilità del personale docente, in base al quale il 60 percento dei posti disponibili è destinato alle immissioni in ruolo, il 30 per cento alla mobilità interprovinciale e il 10 percento ai passaggi di ruolo e di cattedra;
a questo si aggiunge che ci sono molti docenti siciliani assunti in seguito ai piani assunzionali previsti dalla legge n. 107 del 2015, in servizio fuori regione, che potranno usufruire per il prossimo anno scolastico della deroga al vincolo triennale di permanenza nella provincia di immissione in ruolo ai quali si aggiungono i docenti assunti prima del 2015 che ancora non sono riusciti a rientrare in regione;
risulta all'interrogante che, alla conclusione delle operazioni di mobilità, siano rimaste a disposizioni delle immissioni in ruolo per la scuola primaria un esiguo numero di posti, che alcune fonti indicano in 143 e altre in circa 180 posti, che dovranno essere divisi tra gli aspiranti inseriti nelle graduatorie di merito e i docenti inseriti nelle graduatorie ad esaurimento, il cui numero è in aumento in seguito all'inserimento in queste graduatorie dei docenti in possesso di diploma magistrale con titolo conseguito entro il 2001/2002 –:
quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato al fine di salvaguardare la posizione dei docenti vincitori di concorso che rischiano di non essere immessi in ruolo nell'arco temporale dei tre anni di vigenza delle graduatorie di merito;
se non ritenga di assumere iniziative normative volte a prorogare la validità delle graduatorie e a salvaguardare i docenti iscritti, ai fini dell'esaurimento delle graduatorie concorsuali e dell'assunzione a tempo indeterminato. (5-11608)
CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
nella regione Calabria è previsto un taglio degli organici pari a 227 insegnanti di cui ben 105 solo in provincia di Cosenza, 60 in provincia di Crotone, 49 in provincia di Reggio Calabria, 8 in provincia di Vibo Valentia e 5 in provincia di Catanzaro;
i dati relativi alla diminuzione del numero degli alunni non giustificano la concentrazione del taglio dei docenti nella provincia di Cosenza, in quanto a fronte di una contrazione del numero degli studenti pari all'1,7 per cento circa, l'organico dei docenti verrà contratto quasi del 50 per cento;
la riduzione degli organici della regione Calabria determinerà ricadute negative sulla qualità dell'offerta formativa di una regione con caratteristiche orografiche e socio-economiche specifiche che non possono essere ignorate e che chiedono un investimento in materia di istruzione –:
quali iniziative intenda assumere la Ministra interrogata al fine di chiarire la vicenda e di non incidere negativamente sulla qualità del servizio scolastico nella regione e, in particolare, nella città di Cosenza, prima che la dotazione organica sia definita;
se non ritenga di dover istituire in tempi brevi un tavolo tecnico volto a trovare una soluzione alternativa.
(5-11615)
Interrogazione a risposta scritta:
FRACCARO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
con la deliberazione della giunta della provincia di Trento n. 2220/2009 dell'11 settembre 2009 sono state dettate le linee di indirizzo per la redazione dei piani di studio del secondo ciclo di istruzione e formazione. Tra le linee vi sono quelle relative alla trasformazione degli istituti professionali a carattere statale, i quali, sulla base del riordino a livello nazionale, che li prefiggeva come percorsi quinquennali simili agli istituti tecnici, dovrebbero, confluire in questi ultimi, anche in considerazione della scarsa consistenza sul territorio provinciale;
tale iter di riforma è proseguito con la delibera di giunta del 23 febbraio 2010, con cui è stato approvato, tra l'altro, l'aggiornamento, con decorrenza dall'anno scolastico 2010-2011 del quadro provinciale dell'offerta scolastica per il secondo ciclo di istruzione. La medesima delibera ha altresì attivato sul territorio provinciale i nuovi percorsi a partire dalle prime classi nell'anno scolastico 2010-2011, proseguendo sino ad esaurimento gli attuali percorsi per le classi successive alla prima, rilasciando il corrispondente titolo di studio. A partire dall'anno scolastico 2010-2011, è stato altresì attivato l'istituto professionale per il settore dei servizi, indirizzo «servizi socio-sanitari», avviando la procedura per organizzare, al termine dei percorsi di istruzione e formazione professionale provinciale, a partire dall'anno scolastico 2010-2011 gli appositi corsi annuali che si concludono con l'esame di Stato;
le suddette deliberazioni trovano fondamento normativo dalla legge provinciale 7 agosto 2006, n. 5, «Sistema educativo di istruzione e formazione del Trentino», che, all'articolo 6 dispone che nell'ambito del quadro normativo nazionale e comunitario il sistema educativo provinciale fa parte del sistema nazionale di istruzione e di formazione e concorre attraverso l'attività di valutazione al sistema nazionale di valutazione;
in materia di istruzione e formazione professionale, la Costituzione (articolo 117) attribuisce alla competenza legislativa statale le norme generali sull'istruzione. Lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige attribuisce alle province autonome la potestà legislativa primaria in materia di «addestramento e formazione professionale» e quella concorrente in materia di «istruzione elementare e secondaria» e di «apprendistato»;
sulla base del sistema sopra delineato, sul territorio nazionale il sistema plurale dell'istruzione e della formazione professionale può contare su quattro percorsi distinti (licei, istituti tecnici, istituti professionali e formazione professionale regionale); nel Trentino la semplificazione adottata vede venir meno gli istituti professionali, fatta eccezione per l'unico istituto professionale, limitandolo però al solo anno scolastico 2010-2011, ad avviso dell'interrogante con conseguente violazione dei princìpi di cui all'articolo 3 della Costituzione per evidente disparità di trattamento;
la Corte costituzionale, con la sentenza 213 del 2009, definisce le norme generali sull'istruzione come «quelle disposizioni statali che definiscono la struttura portante del sistema nazionale d'istruzione», «funzionali ad assicurare, mediante (...) la previsione di un'offerta formativa sostanzialmente uniforme sull'intero territorio nazionale, l'identità culturale del Paese, nel rispetto della libertà di insegnamento di cui all'articolo 33 della Costituzione;
la stessa Corte di fronte all'esigenza di conciliare le esigenze di «uniformità» di disciplina della materia su tutto il territorio nazionale e quelle autonomistiche sul piano locale-territoriale, nel caso di contrasto insanabile, ha optato senza dubbio per la salvaguardia delle esigenze di uniformità (sentenza n. 200/2009) –:
se il Governo sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e quali eventuali iniziative di competenza intenda assumere, al fine di garantire che, fatta salva l'autonomia provinciale, sia tutelato il principio dell'uniformità dell'istruzione a livello nazionale e siano assicurate uguali opportunità per le scuole al di fuori dei confini provinciali e parità di accesso agli atenei. (4-17016)
LAVORO E POLITICHE SOCIALI
Interrogazioni a risposta in Commissione:
DAMIANO, MICCOLI, GNECCHI, ALBANELLA e BOCCUZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
dopo un lungo procedimento giudiziale, nel 2016, con sentenza della Corte di cassazione è stata definitivamente dichiarata la nullità dei licenziamenti intimati dalla società Vodafone, confermando altresì la nullità della cessione del ramo di azienda operata nel 2007 con la e si volevano esternalizzare 914 lavoratori operanti in varie sedi italiane;
già nel 2012, in primo grado, il tribunale di Roma aveva dichiarato l'illegittimità della suddetta cessione di ramo d'azienda e intimato il reintegro di più di 100 lavoratori. Tuttavia, la società telefonica ha tentato di aggirare detto pronunciamento, dapprima riammettendo i lavoratori e, successivamente, avviando una procedura di messa in mobilità mirata nei confronti dei medesimi lavoratori ricorrenti;
la corte d'appello di Roma, nel 2015, ha confermato la nullità dei licenziamenti, rilevando una condotta discriminatoria e ritorsiva;
analoga sorte è capitata a diversi lavoratori operanti nella sede di Ivrea;
in data 29 maggio, Vodafone ha aperto la procedura di trasferimento collettivo per 19 dipendenti dalla sede di Ivrea a quella di Milano. Di questi lavoratori, 4 sono lavoratrici con problemi di salute, mentre i rimanenti 15 avevano visto riconosciuto il diritto al reintegro a seguito dei pronunciamenti giudiziali;
secondo quanto segnalato dalle organizzazioni sindacali, un analogo processo di trasferimenti, con i medesimi criteri, dovrebbe riguardare le sedi del Centro-sud, facendo ipotizzare che, nelle strategie aziendali del gruppo Vodafone in Italia, vi sia la creazione di sedi dove concentrare personale con problemi di salute e lavoratori reintegrati a seguito di sentenza giudiziaria –:
quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, affinché le suddette scelte organizzative non determinino, anche indirettamente, forme ritorsive nei confronti dei lavoratori che hanno visto riconosciuti, in via definitiva, i propri diritti dai tribunali italiani e, non sia in qualche modo compromesso il loro diritto alla salute sul luogo di lavoro. (5-11611)
FASSINA e AIRAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
Vodafone Italia s.p.a. è un'azienda che utilizza parecchie risorse per promuovere iniziative pubbliche e interne all'azienda a favore delle pari opportunità e contro ogni tipo di discriminazione e per dotarsi di un'autoregolamentazione etica;
sul sito della società si può leggere «La parità di trattamento delle persone di Vodafone Italia si concretizza nel garantire, a partire dalla fase di selezione e in tutte le attività svolte, la non discriminazione per motivi di razza, sesso, nazionalità, orientamento sessuale, status sociale, apparenza fisica, religione e orientamento politico»;
in tutte le sue sedi, Vodafone ha gruppi di lavoro nei quali non solo i responsabili, ma gli stessi colleghi, vivono e lavorano in nazioni diverse tra loro; l'impresa incentiva il ricorso allo smart working, che è lo svolgimento del proprio lavoro al di fuori dell'ufficio e senza orari imposti, così da migliorare il bilanciamento tra lavoro e vita personale;
tuttavia, come riferiscono fonti sindacali e fonti stampa, nei mesi scorsi l'azienda ha deciso di trasferire 13 lavoratrici con mansioni di Cde nella sede di Milano. L'azienda ha poi deciso di trasferire da Ivrea a Milano altri 17 lavoratori;
l'annuncio dell'apertura di una procedura di trasferimento collettivo, che riguarda per la maggior parte donne, è stato dato dall'azienda nell'incontro con le organizzazioni sindacali di lunedì 29 maggio 2017 in Confindustria Canavese;
le persone da trasferire comprendono il gruppo che, a Ivrea, aveva promosso e vinto una causa contro l'esternalizzazione, 10 anni fa, di 914 lavoratori in tutta Italia verso Comdata Care. A questi si aggiungono altri lavoratori definiti «parzialmente collegabili», cioè con esenzioni parziali per lavori alla risposta;
i lavoratori sulla sede di Ivrea che avevano promosso la causa avevano cominciato in 43 e in 17 avevano resistito fino alla fine. Tra questi, alcuni fanno riferimento al sindacato Cobas. Circa un anno fa, dopo il pronunciamento della magistratura, la multinazionale aveva dovuto reintegrare i lavoratori perché, per la sentenza dei giudici, gli effetti di quella cessione non c'erano mai stati;
così oggi il fatto che sia quel gruppo di lavoratori a dover andare a Milano, fa dire esplicitamente al coordinamento nazionale Cobas di Vodafone che si tratta di una discriminazione sia sotto il profilo delle persone che sotto il profilo del sindacato;
i sindacati hanno riferito, inoltre, che tra i lavoratori coinvolti, ci sono anche 4 lavoratrici con problemi di salute;
il sindacato Cobas ha già annunciato che impugnerà la procedura di trasferimento; lo stesso ha dichiarato la responsabile territoriale Slc-Cgil, e nel comunicato unitario delle segreterie si legge «È davvero inaccettabile che una multinazionale che produce utili considerevoli si accanisca contro i Lavoratori la cui unica colpa, se può esser considerata tale, è stata quella di portare avanti un proprio diritto soggettivo sino a vedersi riconosciuta la ragione da un tribunale di questo paese. Ora davvero la misura è colma» –:
quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda assumere al fine di garantire, nel caso in questione e in quelli analoghi, i diritti dei lavoratori e il rispetto della normativa in tema di pari opportunità e di tutela della salute. (5-11614)
Interrogazioni a risposta scritta:
MURGIA, RAMPELLI e RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
la miniera di bauxite di Olmedo è ubicata nella Nurra, a nordest del paese di Olmedo, il quale dista poco meno di settanta chilometri da Sassari e venticinque chilometri da Alghero;
il giacimento bauxitico fu scoperto nel 1991 ed è stato coltivato per l'estrazione dell'allumina, allora importante per rifornire la fabbrica «Eurallumina» di Portovesme;
la concessione mineraria Olmedo venne rilasciata alla società sarda Bauxite s.p.a. dall'assessorato regionale dell'industria nel 1992, circa 3.500 ettari, cinquanta dei quali coltivati in sottosuolo;
dal 2007 la multinazionale greca Silver & Baryte Industrial Minerals, dopo un anno e mezzo di gestione provvisoria, ha ottenuto una concessione definitiva quindicennale della miniera;
in località Graxioleddu, la società coltiva la bauxite in sotterraneo, mentre la struttura di superficie della miniera è costituita da una serie di piazzali nei quali il minerale estratto dal sottosuolo subisce un primo trattamento di frantumazione, vagliatura e stoccaggio;
in località Montiju de su Cossu, nel territorio di Alghero, sono previste operazioni minerarie a cielo aperto mediante l'utilizzo del metodo di coltivazione a gradoni;
quella di Olmedo risulta un'ottima bauxite monoidrato, con alto tenore di ossidi alluminio e basso tenore di ferro;
nel 2015 la Silver & Baryte Industrial Minerals aveva messo in mobilità trentasei minatori; per i lavoratori è stata una gravissima decisione, giunta senza alcun preavviso, che ha fatto sì che gli operai abbiano reiteratamente occupato la miniera in segno di protesta;
la concessione rilasciata prevedeva la coltivazione della miniera per quindici anni, quindi fino al 2022, ma la decisione relativa all'avvio delle procedure di mobilità per i trentasei dipendenti è seguita alla decisione di chiusura dell'attività annunciata dalla dirigenza;
la società greca «Elmin» ha, infatti, manifestato l'intenzione di rinunciare alla concessione mineraria del giacimento di Olmedo, e sembrerebbe che la regione Sardegna stia per emanare un nuovo bando di concessione;
a luglio 2017 scadono gli ultimi ammortizzatori sociali per i ventinove lavoratori in mobilità;
l'atteggiamento tenuto dalla «Elmin» appare agli interroganti gravemente pregiudizievole dei diritti dei lavoratori e dello sviluppo produttivo della zona –:
se non ritengano di intraprendere, per quanto di competenza, le iniziative necessarie per la ripresa produttiva, tutelando i livelli occupazionali e individuando gli eventuali ammortizzatori sociali disponibili;
se non ritengano di convocare un tavolo ministeriale al fine di risolvere urgentemente la vertenza, affinché possa essere revocata la procedura di mobilità e definito un piano produttivo. (4-17018)
LAFFRANCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
in tema di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali di cui alla legge n. 613 del 1996 e successive modificazioni e integrazioni, l'articolo 1, comma 203, della legge n. 662 del 1996, ha stabilito che un tale obbligo sussiste per i soggetti che risultino in possesso dei seguenti requisiti:
a) siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita;
b) abbiano la piena responsabilità dell'impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione;
c) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza;
d) siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri o ruoli;
il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in risposta all'atto di interpello n. 78/2009, ha affermato che, ai fini dell'iscrizione alla gestione Ivs di riferimento, occorre la «personale partecipazione al lavoro aziendale del socio col carattere dell'abitualità e della prevalenza», così come successivamente recepito nella circolare dell'Inps, n. 14 del 3 febbraio 2012;
risulta chiaro, dunque, come ai fini dell'iscrizione non rilevi l'oggetto sociale ovvero la forma assunta dalla società, ma piuttosto la presenza dell'elemento «soggettivo» costituito dal concreto e personale apporto lavorativo prestato dal socio nell'ambito dell'azienda;
sia il Ministero del lavoro e delle politiche sociali che la stessa Inps (circolare n. 78 del 14 maggio 2013), hanno sottolineato che i requisiti di abitualità e prevalenza non possono essere presunti, né desunti o suffragati dalla mera qualità di socio di società di persone, ma devono essere dimostrati dall'istituto previdenziale caso per caso, anche al fine di evitare provvedimenti di iscrizione d'ufficio fondati su mere presunzioni;
risulta all'interrogante che tali chiare disposizioni non vengano applicate in modo uniforme sull'intero territorio nazionale. In particolare, sembrerebbe che frequentemente soci di società in nome collettivo che non svolgano più alcuna attività lavorativa all'interno della società siano iscritti dall'Inps d'ufficio alla gestione previdenziale di categoria, in virtù del mero status di socio, senza alcuna indagine diretta ad accertare la concreta esistenza del presupposto «soggettivo» sopracitato;
in una recente sentenza dell'8 febbraio 2017, n. 13, il tribunale di Spoleto, nel confermare la fondatezza della tesi esposta dalla ricorrente che, in punto di diritto, lamentava non solo l'insussistenza dei presupposti per l'iscrizione alla gestione commercianti ma, soprattutto, l'illegittima pretesa contributiva, in quanto non era stata preceduta dalla comunicazione dell'iscrizione alla gestione commercianti, e si registrava il difetto degli estremi dell'atto di accertamento, di comunicazione e di motivazione, ha dichiarato che non sussistono i presupposti di legge ai fini dell'iscrizione da parte dell'Inps alla gestione commercianti e che la stessa ricorrente non deve nulla con riferimento alla pretesa vantata dall'Istituto in merito agli avvisi di addebito impugnati –:
se il Ministro interrogato intenda fornire gli opportuni chiarimenti in merito alla vicenda esposta in premessa, soprattutto con riferimento alla circostanza per cui vi sono alcune sedi territoriali dell'Inps che, spesso, non si attengono alle indicazioni contenute nel messaggio dell'Inps stesso n. 12698 del 2011 e, conseguentemente, non procedono all'annullamento delle iscrizioni d'ufficio alla gestione Ivs, nonostante venga prodotta idonea documentazione attestante la correzione del relativo quadro della denuncia dei redditi;
quali iniziative di competenza intenda adottare, affinché vi sia una corretta e uniforme applicazione della sopra citata disciplina in tutte le sedi dell'Inps del territorio nazionale. (4-17019)
MELILLA, PIRAS, QUARANTA, KRONBICHLER, RICCIATTI, FERRARA, FRANCO BORDO, SANNICANDRO, ALBINI, CAPODICASA e ZARATTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
nel Call Center di Sulmona (L'Aquila) la proprietà ha deciso 91 licenziamenti a seguito di una complessa e intricata vertenza sindacale e giudiziaria;
l'autorità giudiziaria ha recentemente dichiarato l'illegittimità di 55 licenziamenti e l'azienda ha sostenuto di non poter ottemperare ai risarcimenti o al reintegro e ha annunciato ulteriori massicci licenziamenti;
la valle Peligna è interessata da una grave crisi industriale e occupazionale, con la perdita di migliaia di posti di lavoro;
la filiale di Campobasso di questa azienda si trova in una analoga situazione di crisi, con la minaccia di chiusura totale;
è già previsto un incontro sulla vertenza in atto presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali –:
se non intenda assumere, per quanto di competenza, una forte iniziativa per scongiurare i licenziamenti e sostenere un progetto di rilancio di questa azienda. (4-17024)
POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI
Interrogazioni a risposta in Commissione:
CARRESCIA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
anche per il 2017 è previsto un periodo di fermo biologico, un'interruzione prolungata dell'attività di pesca, attuata anche nello scorso biennio che, come denunciato anche di recente da Federpesca, ha costretto le aziende a sopportare comunque i costi di armamento dei pescherecci, anche a causa del ritardo nella corresponsione delle indennità di cassa integrazione per gli equipaggi;
gli armatori denunciano il mancato pagamento a distanza di un biennio delle indennità dovute, rilevando che «le norme escludono l'impresa dal diritto all'indennità anche per un solo giorno di ritardo nel presentare la documentazione richiesta per l'ammissione all'indennità di fermo, ma poi l'Amministrazione si auto-concede due anni di “flessibilità” nel pagamento»;
la misura del fermo, che sarebbe stata anticipata dalla direzione generale della pesca in una recente riunione con i rappresentanti delle associazioni di categoria, è contestata da Federpesca in quanto ritenuta poco utile, mancante di chiarezza sugli obiettivi di conservazione delle risorse ittiche ed in quanto trascura l'impatto commerciale sulle imprese di pesca;
il fermo pesca verrebbe inoltre indennizzato per 26 giornate, a fronte di un'interruzione di 90 giorni, includendovi il «fermo tecnico»;
non sarebbe neppure chiaro il meccanismo di erogazione dell'indennità di 30 euro/die prevista per gli equipaggi dalla norma introdotta per il 2017 dalla legge di stabilità del suddetto anno senza però un'espressa previsione sia degli oneri contributivi, sia dei tempi e del meccanismo di erogazione –:
se il Ministro interrogato abbia in programma la riproposizione, e con quali modalità, del fermo pesca biologico per il 2017, quali siano le cause del ritardo nel pagamento delle indennità degli anni precedenti ed entro quando si provvederà alla loro liquidazione agli aventi diritto. (5-11607)
BURTONE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
il notevole calo delle precipitazioni sta determinando una situazione ben oltre il livello d'allarme per il comparto agricolo siciliano;
si è in presenza di condizioni di estrema criticità per colture come agrumi e olivi senza trascurare altre coltivazioni;
le anomalie climatiche rischiano di infliggere il colpo di grazia per numerose aziende agricole già esposte con gli istituti di credito e con produzioni che sono a forte rischio;
se tali condizioni di assenza di precipitazioni dovessero perdurare ci si troverebbe di fronte ad una calamità senza precedenti –:
quali iniziative il Governo intenda assumere al fine di sostenere l'agricoltura siciliana e, in particolare, il comparto agrumicolo e se intenda valutare l'immediato riconoscimento dello stato di calamità naturale, una volta espletate tutte le procedure che richiedono la partecipazione di altri soggetti istituzionali. (5-11609)
MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, BENEDETTI e GALLINELLA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
il 5 aprile 2017 in Commissione agricoltura della Camera dei deputati è stato adottato dal comitato ristretto come testo base, il testo unificato delle proposte di legge C. 898 Faenzi e C. 1049 Fiorio recante «Norme in materia di raccolta, coltivazione e commercio dei tartufi freschi o conservati destinati al consumo»;
nel corso dell'esame, sono stati auditi numerosi referenti degli enti pubblici, delle associazioni di categoria e delle istituzioni, competenti in materia di raccolta e commercializzazione di tartufi, e di tutela della biodiversità degli ambienti tartufigeni italiani; tra questi, il dipartimento delle politiche competitive della qualità agroalimentare ippiche e della pesca, la direzione generale per la promozione della qualità agroalimentare e dell'ippica, l'ufficio direzione generale per la promozione della qualità agroalimentare e dell'ippica II del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, l'Associazione dei commercianti albesi, l'Associazione nazionale dei tartufai italiani, il Centro nazionale studi tartufo, l'Unione tartufai umbri, il Centro sperimentale di tartuficoltura di S. Angelo in Vado, la Federazione nazionale delle associazioni dei tartufai italiani (Fnati), l'Associazione TuberAss, l'Associazione tartufai colline sanminiatesi, le regioni Emilia-Romagna, Marche, Piemonte, il Consiglio dell'ordine nazionale dei dottori agronomi e dei dottori forestali (Conaf), Agrinsieme (Confagricoltura, CIA, Copagri, Alleanza delle cooperative italianeagroalimentare), i riferenti del Progetto speciale funghi dell'ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) il Crea, l'università degli studi di Bologna, il dipartimento di medicina clinica, sanità pubblica, scienze della vita e dell'ambiente dell'università degli studi dell'Aquila, l'università di Padova, l'università degli studi del Piemonte Orientale e il dipartimento di scienze agrarie, alimentari e ambientali dell'università degli studi di Perugia;
è stato pressoché unanime il riconoscimento del «Piano nazionale della filiera del tartufo 2017-2020» per i suoi elevati contenuti tecnici-scientifici, volti alla valorizzazione e alla tutela del tartufo italiano, alla difesa della biodiversità degli ambienti tartufigeni e alla formalizzazione del mercato nazionale dei tartufi; trattasi altresì di un testo largamente concertato e condiviso da tutti i rappresentanti e attori istituzionali, nonché dagli stakeholder;
si apprende come la prima bozza del piano sia stata ultimata il 6 aprile 2017, al fine di essere discussa e approvata dal tavolo tecnico e successivamente votata in Conferenza Stato-regioni, ma ad oggi il suddetto tavolo non risulta ancora istituito;
il passaggio in questione è fondamentale per la omogeneizzazione delle procedure tra le diverse regioni e un maggior efficientamento del settore che si trova a competere con produzioni estere sempre più concorrenti; urge altresì arginare il calo degli acquisti formali di tartufo di circa il 50 per cento rispetto il 2016, con punte del 95 per cento in alcune regioni del sud, a favore del mercato informale, e chiarire gli aspetti di sicurezza igienica degli alimenti, di tracciabilità e fiscali –:
quali siano le ragioni della mancata convocazione del tavolo tecnico per la discussione e approvazione finale del «piano nazionale della filiera del tartufo 2017-2020»;
quali siano le tempistiche per l'istituzione del tavolo e l'approvazione definitiva del piano. (5-11618)
Interrogazione a risposta scritta:
PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura (Agea), istituita con decreto legislativo n. 165 del 1999, svolge le funzioni di organismo di coordinamento e di organismo pagatore dei contributi stabiliti dalla politica agricola comune (PAC) dell'Unione europea ai produttori agricoli;
la presidente della regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, nel comunicato stampa pubblicato sul sito della regione il 25 maggio 2017, ha dichiarato che «il ritardo di Agea, nei pagamenti dei fondi che spettano agli agricoltori friulani fin dal 2015, è inaccettabile»;
la presidente Serracchiani ha informato di aver inviato, insieme all'assessore Shaurli, «almeno due lettere al Ministro Martina dopo le quali abbiamo ricevuto una risposta da parte del direttore di Agea, risposta che ancora una volta non è sufficiente perché vengono posticipati i tempi per i pagamenti»;
nella missiva inoltrata al Ministro interrogato, la presidente del Friuli Venezia Giulia ha specificato come «una prima nota di Agea dello scorso febbraio, a seguito di un sollecito della Regione, indicava inizio marzo 2017 per la chiusura dei pagamenti dei premi assicurativi del 2013, e date comprese tra la metà e la fine di marzo per l'avvio dei pagamenti per lo sviluppo rurale. Una successiva comunicazione dell'Agenzia, a inizio marzo, posticipava i pagamenti sui bandi aperti nel 2015 (biologico e pascoli) al 27 aprile 2017, e i pagamenti per la Misura 13 (indennità compensativa montana) al 14 giugno 2017, con date ancora successive per le altre misure»;
secondo la presidente Serracchiani si tratta di «una situazione ormai insostenibile. Per effetto di queste continue dilazioni, i nostri agricoltori stanno abbandonando l'interesse verso le misure di sviluppo rurale nelle quali la Regione ha investito tanto e che servono tremendamente alla nostra economia e alle nostre politiche agricole»;
nella medesima giornata, il sito online www.studionord.news ha riportato le testimonianze di alcuni allevatori. «Valentino Zanier, allevatore di Val di Lauco, ha ribadito che le indennità sarebbero dovute arrivare entro novembre 2016, successivamente è stato rinviato a marzo 2017, e attualmente niente ancora. La prossima promessa è per giugno, ma a questo punto crediamo ci stiano prendendo in giro. E stavolta non si può dare la colpa all'Europa, (...) è la burocrazia regionale che è in colpevole ritardo. (...) Noi facciamo fatica ad andare avanti»;
«Ci sono imprenditori agricoli che non solo aspettano le indennità del 2016 ma addirittura del 2015 e 2014, come Sonia Dionisio, che gestisce un'azienda da circa 120 capi a Lauco». Dionisio ha spiegato come «(...) ritardi in passato c'erano già stati, eppure mai di queste entità. (...) Quelle risorse servono per migliorare la nostra attività, acquistare i mangimi, rafforzare la produzione, ma con il latte che viene pagato a 36 centesimi al litro la coperta diventa sempre più corta»;
secondo Studionord News molti allevatori, residenti nel territorio della Carnia, intendono ricevere da parte delle istituzioni competenti risposte esaustive alla problematica menzionata, chiedendo, soprattutto, come mai nella Regione del Veneto le indennità relative all'anno 2016 siano già state liquidate e nel territorio del Friuli ancora si registrino dei ritardi;
l'assessore regionale all'agricoltura Cristiano Shaurli ha risposto che «per quanto di nostra competenza abbiamo fatto tutto il possibile, abbiamo investito 40 milioni di euro, risorse importantissime che servono a coprire sia le indennità compensative, sia le misure per il biologico, sia l'agroclimatico ambientale. Ma stiamo aspettando i pagamenti dell'ente pagatore nazionale, ovvero l'Agea, che è in ritardo» –:
alla luce dei fatti esposti in premessa, quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda assumere, di concerto con l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura e la regione Friuli Venezia Giulia, per velocizzare l'erogazione nei pagamenti dei fondi spettanti agli imprenditori agricoli friulani. (4-17033)
SALUTE
Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XII Commissione:
RONDINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
i dati riportano come Hiv ed epatite siano una minaccia sommersa per circa la metà dei tossicodipendenti lombardi: il 56,1 per cento dei pazienti assistiti dai servizi sanitari competenti non fa il test dell'Aids, il 46,3 per cento non viene sottoposto all'esame per l'epatite B e il 44 per cento a quello per l'epatite C;
la prevalenza del virus Hiv riscontrata in persone tossicodipendenti è pari al 4,9 per cento, mentre, per i virus dell'epatite B e dell'epatite C, è rispettivamente del 13,2 per cento e del 38 per cento. Il Dpa segnala però «in tutte le regioni italiane il problema di scarsa esecuzione del test Hiv in questa popolazione a rischio da parte delle strutture sanitarie». E lo «scarso ricorso al test di screening» nei servizi di assistenza riguarda anche i virus dell'epatite. Sempre dai dati Sind 2012, i pazienti in trattamento nei Sert lombardi risultavano 18.188;
ciclicamente notizie di stampa riportano di operazioni di polizia nel cosiddetto «Bosco della droga» di Rogoredo, quartiere sud di Milano, senza ottenere risultati definitivi in merito allo spaccio di sostanze stupefacenti;
nonostante gli sforzi delle forze dell'ordine e i proclami e le promesse della giunta Sala, i residenti denunciano che la situazione è addirittura peggiorata, con un aumento di minorenni alla ricerca di droga, una minor presenza di polizia locale e forze dell'ordine e scarsissimi controlli;
gli abitanti lamentano come le centrali di spaccio si siano stabilite in via Orwell e in via Sant'Arialdo, gli spacciatori continuino a occupare il territorio e i disperati continuino a essere ben visibili nella stazione e nel quartiere;
dati alla mano, i presìdi diminuiscono, le postazioni fisse sono un miraggio e non c’è alcun controllo del sottopassaggio autostradale, dove si crea lo smistamento delle sostanze stupefacenti. Il problema principale è che manca una definitiva bonifica del sito e un progetto per l'area, al fine di renderla fruibile a tutti i cittadini –:
se il Governo interrogato sia a conoscenza della situazione di cui in premessa e se non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di pervenire a un incremento dei controlli sanitari e di prevenzione, in relazione all'uso degli stupefacenti, su tutto il territorio nazionale e, in particolare in aree disagiate come quella sopra indicata, che si sta rivelando una delle piazze di spaccio più importanti della Lombardia. (5-11627)
DI VITA e FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
da oltre 15 anni i siciliani attendono la realizzazione dell'Ismep, il nuovo cento di eccellenza pediatrica;
al momento, a Palermo, quasi tutte le prestazioni pediatriche sono dirottate sull'ospedale Di Cristina, una struttura che non sarebbe attualmente in grado di garantire tutte le prestazioni previste dal polo di eccellenza;
in proposito, in data 19 dicembre 2015, l'interrogante presentava alla Camera l'interrogazione n. 5-07265. Il Governo pro tempore rispondeva a tale atto, affermando che «allo stato attuale, appare impossibile che l'ISMEP possa essere funzionante già dal 2018, così come riportato sul sito istituzionale dell'ISMEP stesso»;
con il D.A. 1364/16 l'assessore decide di riportare la cardiochirurgia a Palermo con competenza dell'Arnas di Palermo;
con delibera 1208/2016 il direttore generale Giovanni Migliore istituisce l'Unità operativa complessa cardiochirurgia pediatrica all'interno del dipartimento funzionale ad intensità di cura – Ismep;
il decreto, firmato il 31 marzo 2017 dall'assessore siciliano alla salute, «Riorganizzazione della rete ospedaliera ai sensi del decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70», non presenta alcun cenno circa la presenza di un ospedale pediatrico differente dal polo ospedaliero G. Di Cristina dell'Azienda di rilievo nazionale ad alta specializzazione (Arnas) di Palermo. Il polo ospedaliero «G. Di Cristina», con la riorganizzazione prevista e con seguente atto aziendale, adottato con delibera n. 696 del 20 aprile 2017, risulta invece esser stato notevolmente potenziato;
da una intervista al direttore alla radio «È-OK» del 3 maggio 2017 si apprende che la cardiochirurgia pediatrica sarà ubicata presso la struttura denominata ex-Marcelletti, anche questo in fase di ristrutturazione, presso l'ospedale civico e non presso l'Ismep;
l'interrogante non comprende da cosa sia scaturita l'idea di realizzarla presso il Civico, un ospedale non pediatrico e come sia possibile che venga realizzata presso una struttura che ha ricevuto stanziamenti regionali per la realizzazione della struttura Guch –:
di quali elementi disponga il Ministro interrogato, per quanto di competenza, circa le ragioni per le quali, nella vicenda descritta, non vi sia stata una coerente prosecuzione dei lavori di completamento del nuovo complesso facente capo al progetto Ismep già oggetto di un accordo di programma tra lo Stato e la regione Siciliana, in particolare, a fronte delle ingenti risorse pubbliche già stanziate per la realizzazione dell'opera, e se siano intervenute varianti al progetto originariamente previsto dall'accordo medesimo. (5-11628)
GRILLO, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, NESCI, COLONNESE, MANTERO, BARONI e DALL'OSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
il 27 maggio 2014 è stato pubblicato, nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea, il regolamento n. 536/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, sulla sperimentazione clinica dei medicinali per uso umano, che abroga la direttiva 2001/20/CE ed ha il fine di creare un quadro uniforme sulla sperimentazione clinica;
l'articolo 3 del regolamento sancisce il principio secondo cui la sperimentazione clinica può essere condotta esclusivamente se i diritti, la sicurezza, la dignità e il benessere dei soggetti sono tutelati e se essa genera dati affidabili e robusti;
la differente scelta di adottare un regolamento, invece che una direttiva, sottende proprio la volontà di evitare difformità applicative da parte degli Stati membri e il regolamento n. 536/2014 se, da un lato, garantisce regole comuni direttamente applicative, dall'altro, demanda aspetti importanti ai singoli Stati membri, quali ad esempio la costituzione dei comitati etici, la copertura assicurativa per gli studi sia profit che no-profit, il consenso informato e la protezione dei dati personali dei soggetti più vulnerabili;
il regolamento (UE) 536/2014 ha un'entrata in vigore differita (che si colloca tra dicembre 2017 e ottobre 2018), stante la necessità di realizzare, anche attraverso l'implementazione della banca dati dell'Unione europea, il passaggio da una gestione nazionale della valutazione delle sperimentazioni ad una gestione coordinata a livello europeo; il differimento sottende, altresì, la necessità che gli Stati membri realizzino tutte le condizioni per darne piena attuazione, soprattutto per quelle parti demandate agli Stati membri e per le quali sono però indicati principi generali;
a titolo di esempio, il regolamento ritiene che «non dovrebbero essere considerati informazioni commerciali di carattere riservato se l'autorizzazione all'immissione in commercio (AIC) è già stata concessa, se la procedura per la concessione dell'AIC si è già conclusa oppure se una domanda di AIC è stata ritirata»;
risulta invece che, allo stato attuale, i contratti stipulati tra il promotore di una sperimentazione clinica e lo sperimentatore includono quasi sempre il diritto alla riservatezza dei dati che rimangono nella disponibilità del promotore della sperimentazione, anche a garanzia delle tutele brevettuali –:
se non ritenga di assumere iniziative, con tempi solleciti e strumenti adeguati, affinché vi sia la tempestiva e piena applicazione del regolamento (UE) 536/2014, assicurando tutte le condizioni che il medesimo regolamento ritiene necessarie e/o demanda agli Stati membri. (5-11629)
MONCHIERO e MUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
da alcune settimane moltissimi malati, a partire da Andrea Trisciuoglio, affetto da sclerosi multipla e fondatore dell'associazione «LapianTiamo» denunciano l'indisponibilità del Bediol, una varietà di cannabis medicinale, disponibile in formato granulare, importata dall'Olanda, che non è più reperibile in Italia e non è più fornita dalle Asl ai pazienti a cui è legalmente prescritta;
sembra che l'azienda produttrice non tornerà a distribuirla prima di novembre 2017 e questo priva per alcuni mesi migliaia di malati di un'opzione terapeutica che dovrebbe essere loro assicurata; per questa ragione la dirigente ed ex parlamentare radicale Rita Bernardini è impegnata da quasi un mese in uno sciopero della fame per difendere il diritto alla salute e alle cure di questi pazienti;
è evidente che il sistema di regolamentazione della coltivazione della cannabis per uso medico, della produzione di farmaci e preparati galenici a base di cannabinoidi e della loro prescrizione e dispensazione ai pazienti non è oggi in Italia in grado di soddisfare un fabbisogno crescente e, quindi, implica, come minimo, forme di adeguamento e di maggiore coordinamento tra la legislazione nazionale e quella regionale;
nell'attuale situazione occorre comunque affrontare urgentemente la grave emergenza legata all'indisponibilità del Bediol e una soluzione potrebbe essere costituita dalla fornitura e commercializzazione in forma granulare e non polverizzata da parte dell'Istituto farmaceutico militare della cannabis della varietà FM2, nota come simil-Bediol, perché analoga per composizione e contenuto di THC e cannabidiolo –:
se non ritenga che la soluzione per questa emergenza possa essere quella esposta in premessa, con il ricorso alle produzioni dell'Istituto farmaceutico militare, e se non intenda assumere le iniziative di competenza per dare tempestivamente corso a questa proposta. (5-11630)
LENZI, PAOLA BOLDRINI, D'INCECCO, SBROLLINI, PATRIARCA, GRASSI, BENI, AMATO, CARNEVALI, MARIANO, GHIZZONI, PIAZZONI, GELLI e INCERTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
in questi giorni ricercatori precari della sanità pubblica sono scesi in piazza contro la recente approvazione della riforma del testo unico sul pubblico impiego che esclude dal piano di stabilizzazione della Pubblica Amministrazione gran parte di queste figure altamente specializzate ed alle quali non possono più essere applicati i contratti atipici;
in particolare, 3500 ricercatori precari della ricerca nei 21 istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) pubblici rischiano di restare senza lavoro dal 1o gennaio 2018, con gravissime ricadute sulla sostenibilità e sul futuro della ricerca sanitaria pubblica;
negli ultimi 20 anni la ricerca sanitaria pubblica si è avvalsa ampiamente di queste figure altamente specializzate che hanno contribuito in maniera significativa alle eccellenze raggiunte dagli Irccs, eccellenze raggiunte, purtroppo, attraverso il ricorso a forme contrattuali atipiche come contratti di collaborazione coordinate e continuativa, contratti di collaborazione a progetto, partite iva e borse di studio, creando così una condizione di precariato che negli anni è diventata strutturale sia per i lavoratori che per la ricerca stessa;
se il Jobs Act già nel 2015 ha eliminato la possibilità di ricorrere a queste forme contrattuali atipiche, il testo unico sul pubblico impiego approvato di recente prevede un piano di stabilizzazione dei precari della pubblica amministrazione escludendo però quelli della ricerca sanitaria che, a fine anno, resteranno così senza lavoro con grave nocumento per la ricerca pubblica indipendente e l'eccellenza di cure e servizi degli Irccs in cui lavorano per la ricerca, la prevenzione, la diagnosi e la terapia di malattie gravi, complesse e rare;
nella situazione attuale risultano molto difficile una programmazione lavorativa e lo svolgimento di progetti a medio e lungo termine, facendo sì che fra qualche anno questi enti potrebbero perdere quell'eccellenza al servizio di tutti, con i ricercatori costretti ad andare in istituti privati, industrie o addirittura all'estero, mentre questo patrimonio di risorse, competenze ed agire scientifico non deve essere mortificato, ma valorizzato attraverso un piano programmatico nazionale per la ricerca sanitaria pubblica che preveda l'integrazione nei ruoli sanitari delle diverse professionalità rappresentate nel mondo del precariato –:
quali iniziative urgenti, normative e finanziarie, il Ministro interrogato intenda adottare affinché possa essere definitiva in maniera duratura la posizione professionale dei 3500 lavoratori precari della ricerca sanitari italiana anche al file di garantire gli Irccs pubblici quale realtà di alta specializzazione. (5-11631)
GULLO e FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
il 28 febbraio 2017 la deliberazione della giunta regionale della regione Abruzzo n. 78 ha recepito il documento tecnico «nuove linee guida per la redazione degli atti aziendali», contenente disposizioni destinate alle aziende sanitarie locali regionali finalizzate alla redazione degli atti aziendali ed a concorrere alla ridefinizione del servizio sanitario regionale;
relazione e documento tecnico presentano, secondo gli interroganti, profili di incompatibilità col quadro normativo di riferimento;
il recepimento delle linee guida sottintende, secondo gli interroganti, un'interpretazione arbitraria e non corretta della normativa in materia, secondo la quale la previsione dei direttori della funzione ospedaliera e della funzione territoriale non determinerebbe violazione degli articoli 2 e 3 del decreto legislativo n. 502 del 1992, ma concretizzerebbe il potere di indirizzo e coordinamento che la normativa nazionale riconosce alle regioni;
secondo gli interroganti, le nuove linee guida disattendono l'articolo 2 del decreto legislativo n. 502 del 1992, che obbedisce alla ratio di delimitare la discrezionalità del governo regionale nello stabilire nuove regole organizzative delle aziende sanitarie; deve ritenersi che la stessa previsione ha lo scopo di adeguare gli assetti organizzativi aziendali, genericamente disciplinati dalla normativa nazionale, alle concrete esigenze regionali;
l'atto aziendale è adottato dal direttore generale (articolo 3, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 502 del 1992) e ciò evidenzia profili di incompatibilità con lo stesso articolo 2 (competenze regionali), comma 2-sexies, del decreto legislativo n. 502 del 1992, secondo cui ogni regione disciplina «i principi e criteri per l'adozione dell'atto aziendale», principio che obbedisce alla ratio di delimitazione della discrezionalità del governo regionale nello stabilire direttamente nuove regole organizzative delle asl;
questa ratio è secondo gli interroganti palesemente violata, dal momento che la deliberazione n. 78 e l'allegato di cui sopra contengono disposizioni di estremo dettaglio, prevedendo due nuovi direttori (della funzione ospedaliera e della funzione territoriale);
gli atti aziendali potrebbero generare discriminazioni tra asl, servizi sanitari e personale, qualora dovessero emanarsi nuove norme in particolare circa l'applicazione del decreto ministeriale n. 70 del 2015 (regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi dell'assistenza ospedaliera) –:
quali urgenti iniziative normative intenda adottare il Ministro interrogato, alla luce di quanto sopra esposto, per una revisione del decreto legislativo n. 502 del 1992, al fine di definire, nel rispetto delle peculiari esigenze regionali, una disciplina più puntuale, stringente e omogenea dell'assetto organizzativo aziendale delle strutture del Servizio sanitario nazionale.
(5-11632)
Interrogazioni a risposta in Commissione:
VEZZALI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
dai media si apprende che in località Pranu e Mesu di Assemini, nella zona industriale di Cagliari, a pochi passi dalla Fluorsid spa, una società che produce derivati del fluoro, dal 1983 sono state denunciate irregolarità;
la Fluorsid è sospettata di aver contaminato con le sue polveri di fluoro incontrollate e con gli sversamenti l'aria, i terreni e le falde acquifere circostanti in assenza di accorgimenti necessari per evitare che il fluoro impiegato nello stabilimento si spandesse nelle aree limitrofe inquinandole;
i terreni, evidentemente contaminati, ospitano da più di una generazione di allevatori, greggi di pecore che presentano sintomi di fluorosi cronica che le rende smunte, così come diagnosticato dal veterinario della asl;
ancora oggi l'Arpas e l'Ispra rilevano gravi criticità e il perdurare di condizioni ambientali difficili con le quali convivono i residenti –:
se si possa escludere che la fluorosi di cui soffrono le pecore possa essere trasmessa all'uomo con l'utilizzo dei prodotti caseari e se la lana anche lavorata possa trattenerne tracce;
se le contaminazioni del terreno possano rendere pericolose anche le coltivazioni ad uso alimentare;
se la prolungata esposizione a questi componenti, visto che le polveri inquinano anche l'aria, possa cagionare anche nell'uomo l'insorgere di patologie;
se siano in possesso di rilevazioni statistiche comparabili dalle quali si evinca che in questi 30 anni non ci sia stata una maggiore incidenza di casi di malattie, decessi, sintomatologie che possano essere direttamente ricondotti ai derivati del fluoro;
quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere affinché aziende a così alto impatto ambientale siano meticolosamente controllate e certificate per evitare che i privati, danneggiati fisicamente ed economicamente, debbano ricorrere alla magistratura. (5-11612)
COLLETTI, DEL GROSSO e VACCA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
con delibera n. 78 del 28 febbraio 2017 la giunta regionale abruzzese ha approvato le nuove linee guida contenenti gli indirizzi ai quali si devono attenere le aziende sanitarie locali della regione per la redazione dei nuovi atti aziendali;
le nuove linee guida sembrerebbero incompatibili con il quadro normativo di riferimento di cui al decreto legislativo n. 502 del 1992 e successive modificazioni e integrazioni, in quanto conterrebbero disposizioni di estremo dettaglio, in violazione dei limiti delle competenze regionali in materia di ordinamento delle aziende sanitarie locali;
tra queste disposizioni vi è la previsione di due nuove figure, i direttori della funzione ospedaliera e della funzione territoriale, non contemplate dalla normativa in questione. Inoltre, il trattamento economico della posizione contrattuale dei due nuovi direttori verrebbe equiparato a quello del direttore del dipartimento, con conseguente aggravio economico a carico della sanità abruzzese impegnata in un esigente piano di rientro;
siffatta previsione, risulterebbe, altresì, in contrasto con la disposizione di cui all'articolo 27 del contratto collettivo nazionale di lavoro di settore della dirigenza medica dell'8 giugno 2000 relativo alle tipologie di incarico conferibili, tra le quali non rientrerebbero le due figure direttoriali;
le linee guida prevedono, altresì, che l'amministrazione sarebbe libera di conferire incarichi dirigenziali di valore economico inferiore, anche in caso di mancata conferma dell'incarico ancora non scaduto. Questa disposizione sembra contrastare con l'articolo 39, comma 8, del citato contratto collettivo nazionale di lavoro a mente del quale: «Nel caso di attribuzione di un incarico diverso da quello precedentemente svolto, a seguito di ristrutturazione aziendale, in presenza di valutazioni positive riportate dal dirigente, allo stesso sarà conferito, ai sensi degli articoli 28 e 29, un incarico di pari valore economico»;
le nuove linee guida, in merito alla scadenza degli incarichi di direttori di dipartimento, stabiliscono, inoltre, che: «Dalla validazione regionale dell'atto aziendale... decadranno gli incarichi di Direttori di Dipartimento». L'automatismo di tale decadenza appare in contrasto con le disposizioni contenute negli articoli 28 e seguenti del contratto collettivo nazionale di lavoro sopra richiamato che prevede l'osservanza di criteri e procedure per l'affidamento e revoca degli incarichi dirigenziali;
l'atto aziendale è un atto di diritto privato – da adottare nel rispetto degli articoli 3, comma 1-bis) e 2, comma 2-sexies, lettera b) di cui al decreto legislativo n. 502 del 1992 – con il quale si definiscono gli indirizzi attraverso i quali le aziende sanitarie determinano la propria organizzazione ed il proprio funzionamento;
in particolare il citato articolo 2, comma 2-sexies, lettera b), richiedendo che ogni regione disciplini i principi e i criteri per l'adozione dell'atto aziendale limita la discrezionalità del governo regionale nella determinazione delle nuove regole organizzative delle aziende sanitarie locali;
lo stesso atto è teso, altresì, a garantire il ruolo dell'autonomia imprenditoriale delle aziende sanitarie nell'ambito di un'organizzazione aziendale coerente e funzionale al perseguimento degli obiettivi di programmazione regionale, di finanza pubblica e di un efficiente servizio sanitario pubblico;
inoltre, data la sua importanza e necessità, siffatto atto dovrebbe essere adottato attraverso la cooperazione sinergica tra i vari soggetti istituzionali statuali e regionali nei limiti delle loro competenze;
da quanto sopra esposto, emergerebbe un operato di dubbia legittimità dell'amministrazione regionale, poiché quest'ultima avrebbe agito in violazione della normativa di riferimento, delle stesse disposizioni del contratto collettivo nazionale di lavoro normativo di settore della dirigenza medica, e dei limiti delle competenze spettanti alla stessa in materia sanitaria –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda e quali iniziative di competenza, intenda adottare in merito e, in particolare, se non intenda promuovere una disciplina più vincolare dell'assetto organizzativo delle aziende sanitarie locali.
(5-11620)
Interrogazioni a risposta scritta:
MUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
la procreazione medicalmente assistita è disciplinata dalla legge n. 40 del 19 febbraio 2004 il cui articolo 1, comma 1, stabilisce quanto segue: «Al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana è consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, alle condizioni e secondo le modalità previste dalla presente legge, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito»;
l'articolo 14, comma 5, della legge n. 40 del 2004 stabilisce che i soggetti di cui all'articolo 5 della stessa legge, cioè le coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi, hanno diritto ad essere informati sul numero e, su loro richiesta, sullo stato di salute degli embrioni prodotti e da trasferire nell'utero;
la diagnosi genetica preimpianto (Pgd) rappresenta una metodologia che permette di identificare la presenza di malattie genetiche o di alterazioni cromosomiche in embrioni in fasi molto precoci di sviluppo, generati in vitro da coppie a elevato rischio riproduttivo, prima del loro impianto in utero. La Pgd, quindi, permette di realizzare un importante traguardo, che è quello evitare il ricorso all'aborto terapeutico;
i progressi della scienza permettono oggi di identificare la presenza di malattie genetiche ereditarie o di alterazione cromosomiche, in fasi molto precoci dello sviluppo embrionale;
con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 18 marzo 2017 (Gazzetta Ufficiale serie generale n. 65 del 18 marzo 2017 – Supplemento ordinario n. 15) sono stati definiti e aggiornati i livelli essenziali di assistenza, di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502;
i livelli essenziali di assistenza approvati nel mese di marzo 2017, non includono le indagini genetiche preimpianto, tecniche che devono poter applicare tutti i centri di procreazione medicalmente assistita che risultano autorizzati ad eseguire tecniche in vitro;
all'articolo 24 del decreto di cui sopra viene stabilito che: «Il Servizio sanitario nazionale garantisce alle donne, ai minori, alle coppie e alle famiglie, le prestazioni, anche domiciliari, mediche specialistiche, diagnostiche e terapeutiche, ostetriche, psicologiche e psicoterapeutiche, e riabilitative, mediante l'impiego di metodi e strumenti basati sulle più avanzate evidenze scientifiche, necessarie ed appropriate nell'ambito dell'attività di consulenza, supporto psicologico e assistenza per problemi di sterilità e infertilità e per procreazione medicalmente assistita»;
nonostante tale previsione la Pgd non risulta ad oggi essere a carico del servizio sanitario nazionale, situazione che porta molte coppie ad essere esposte ad aborti –:
quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato affinché, ai fini dei livelli essenziali di assistenza, le indagini relative alla diagnosi genetica preimpianto (Pgd) e allo screening genetico preimpianto (Pgs) vengano considerate a tutti gli effetti parte integrante della diagnosi prenatale e vengano previsti rimborsi per i Pgd a carico del servizio sanitario nazionale. (4-17015)
MUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
la gran parte dei malati italiani che hanno accesso a terapie a base di cannabis, per le patologie per cui essa è indicata, utilizzano farmaci prodotti all'estero, in particolare in Olanda;
uno dei suddetti farmaci, il Bediol, non è più reperibile e le asl non lo forniscono più ai pazienti a cui esso è legalmente prescritto;
il problema sembra destinato a durare almeno fino a novembre 2017, quando l'azienda produttrice, stando alle notizie disponibili, tornerà a distribuirlo;
l'emergenza è stata denunciata da numerosi malati, a partire da Andrea Trisciuoglio, affetto da sclerosi multipla e fondatore dell'associazione «LapianTiamo» e dalla dirigente ed ex parlamentare radicale Rita Bernardini, impegnata in uno sciopero della fame per difendere il diritto alla salute e alle cure dei pazienti che utilizzano farmaci a base di cannabis;
i malati che, di fronte ai problemi di approvvigionamento e dispensazione del Bediol, intendessero coltivare direttamente la cannabis incorrerebbero nelle sanzioni penali previste dall'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, pur avendo legalmente diritto di assumerla per ragioni terapeutiche;
questa previsione legislativa, che non consente di equiparare la coltivazione alla detenzione per uso personale, è stata ripetutamente contraddetta da una giurisprudenza «variabile», che ha visto in alcuni casi prosciogliere o assolvere malati imputati del reato di coltivazione di cannabis, proprio in ragione della loro condizione patologica e del diritto di accedere a una sostanza efficace sul piano terapeutico;
tra i precedenti giurisprudenziali va annoverato il caso di un'assoluzione, riguardante l'ex deputata Bernardini, in un processo in cui le veniva contestata la violazione dell'articolo 73, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, per avere illecitamente detenuto 16,5 grammi di cannabis a fini di cessione a due malati di sclerosi multipla, proprio in quanto la condotta doveva considerarsi inoffensiva, essendo la marijuana destinata alla cura di persone affette da gravi malattie, per cui era stata prescritta una cura a base di cannabinoidi (tribunale penale di Siena, sentenza n. 991 del 21 ottobre 2016);
questa situazione di incertezza del diritto, rispetto all'accesso alla cosiddetta «cannabis terapeutica», comporterebbe anche una riforma della legge n. 309 del 1990 e non l'autorizzazione di farmaci a basi di cannabinoidi, di cui proprio la normativa proibizionista rende complessa la produzione e la disponibilità;
in ogni caso, una soluzione di emergenza all'indisponibilità del Bediol potrebbe oggi essere rappresentata dalla fornitura in forma granulare e non polverizzata da parte dell'Istituto farmaceutico militare della cannabis della varietà FM2, nota come simil-Bediol, perché analoga per composizione e contenuto di THC e cannabidiolo al farmaco attualmente non disponibile –:
quanti siano i malati a cui sono prescritti farmaci a base di cannabinoidi, non comprendendo il solo Bediol, ma anche gli altri di cui è stata autorizzata la distribuzione in Italia, e per quanti di questi malati e in quali regioni i prodotti farmaceutici e i preparati galenici a base di cannabinoidi siano mutuabili;
come pensi di porre rimedio, per quanto di competenza, ai problemi legati alla produzione, alla prescrizione, alla distribuzione e alla dispensazione dei farmaci a base di cannabinoidi e all'oggettiva violazione del diritto dei malati, privati dell'accesso a cure efficaci che, ad avviso dell'interrogante, dipendono da ragioni legislative o burocratiche o dall'insieme di entrambe;
in che misura le diverse legislazioni regionali in materia rendano disuguale l'accesso a questi farmaci e quali forme di coordinamento nazionale occorra assicurare, perché in Italia malati in situazione identica non abbiano differenti livelli di protezione e garanzia del diritto alle cure;
quanto alla indisponibilità del Bediol, se non ritenga che la soluzione per questa emergenza possa essere quella proposta in premessa, con il ricorso alle produzioni dell'Istituto farmaceutico militare. (4-17023)
MUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
l'alopecia areata è una della malattie autoimmuni più diffuse, più del 2 per cento della popolazione è affetta da questa malattia, 145 milioni di persone al mondo. Può manifestarsi a qualunque età, fin dai primi mesi di vita ed è più frequente tra i 20 e i 40 anni;
l'alopecia areata è una patologia che provoca la repentina caduta dei capelli, o di altri peli del corpo, manifestandosi tipicamente a chiazze glabre o aree. Nell'1 per cento circa dei casi la patologia si estende all'intero cuoio capelluto (alopecia totale) o a tutto il corpo (alopecia universale) con la totale perdita dei peli;
il servizio sanitario nazionale non riconosce come malattia l'alopecia areata, la quale, come accertato scientificamente, è inquadrabile come malattia autoimmune e di origine genetica;
le persone affette da questa malattia fanno ricorso a protesi o parrucca, sostenendo ingenti spese per l'acquisto e la manutenzione. Il costo di una parrucca si aggira tra i 1.000 e i 3.000 euro e la sua durata è pari a 8-12 mesi. Qualora si decida si acquistare una protesi, cioè una parrucca realizzata ad hoc in base alle proprie esigenze e caratteristiche, il costo ammonta a circa 4.000 euro, senza tenere conto dei costi di manutenzione dello stesso presidio medico. I presidi attualmente non vengono concessi gratuitamente, ma possono essere portati in detrazione alla stregua delle altre spese sanitarie;
oltre a protesi e parrucca, le persone colpite da alopecia nelle forme più aggressive, perdendo tutti i peli del corpo, sono costrette a ricorrere alla dermopigmentazione per ridisegnare ciglia e sopracciglia, e potersi riappropriare della propria espressività facciale. I costi, se ci si affida a professionisti qualificati, sono molto elevati e il trattamento va ripetuto nel tempo;
nel 2010 l'Associazione A.N.A.A. ha inoltrato richiesta al Ministero della salute, allegando documentazione scientifica, per il riconoscimento della alopecia areata come patologia cronica da inserire nelle malattie aventi diritto all'esenzione ticket, ottenendo risposta negativa;
nel 2015 l'Associazione ASAA ha presentato richiesta al centro nazionale malattie rare per ottenere il riconoscimento dell'alopecia come malattia rara, la risposta, giunta qualche mese dopo, dichiarava da parte del Cnmr l'impegno ad approfondire la questione ai fini di un prossimo inserimento della patologia dell'alopecia areata tra le malattie rare –:
quali siano i numeri ufficiali di incidenza di questa patologia nella popolazione italiana;
quali iniziative intenda assumere affinché venga inserita l'alopecia nell'elenco delle malattie rare, vengano stanziati fondi per la ricerca scientifica e soprattutto venga data la possibilità di scaricare sul piano fiscale totalmente le spese sostenute per l'acquisto di protesi e per i trattamenti di dermopigmentazione ai soggetti affetti da questa malattia. (4-17030)
CARINELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
come si apprende dall'articolo intitolato «Gestione poco diligente. Il giudice bacchetta il sindaco», pubblicato il 25 maggio 2017 sul quotidiano locale La Prealpina, il signor V. S. viene ricoverato due volte presso l'azienda ospedaliera Legnano e, per due volte dimesso tra il mese di dicembre 2006 e il mese di maggio 2007; il 3 febbraio 2008 viene ricoverato nuovamente presso la medesima struttura e operato per un tumore;
nel corso degli anni per la gestione del malato, incapace di intendere e di volere, si succedono vari tutori, i quali date le gravissime condizioni di salute del paziente, non assistibile a domicilio, decidono di non farlo dimettere dalla citata struttura ospedaliera;
nel 2015 il giudice nomina come tutore del malato il sindaco del comune di Legnano, Alberto Centinaio; i servizi sociali provvedono a trasferirlo dall'ospedale a una residenza sanitaria assistenziale, che però si dimostra inadeguata alla situazione del malato;
in seguito all'istanza ex articolo 384 codice procedura civile, depositata dai familiari di V. S., il tribunale di Busto Arsizio adotta il provvedimento con il quale il tutore del malato, Alberto Centinaio, viene rimosso, ritenendo il collegio che il comportamento del tutore «possa configurare un'ipotesi di negligenza sufficiente a comportare la revoca dall'ufficio di tutore»;
dalla documentazione in possesso dell'interrogante si evince che il signor V. S. non avrebbe espresso un valido consenso informato per gli interventi chirurgici che lo hanno portato a questo dramma umano;
l'Asst ovest Milanese, a quanto consta all'interrogante, avrebbe in vari modi tentato di dimettere dalle sue strutture il signor V. S.;
nel 2016 l'azienda ospedaliera di Legnano, sostenendo che il ricovero del paziente nella struttura si è prolungato per sette anni in modo improprio, ha deciso di chiedere al signor Centinaio e quindi al comune di Legnano il pagamento della lunghissima permanenza del paziente, una cifra che si aggira attorno ai 500 mila euro;
l'articolo 32, primo comma della Costituzione stabilisce che «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti»;
a parere dell'interrogante occorre fare chiarezza sull'accaduto –:
se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e di quali ulteriori elementi disponga circa le criticità delle suddette strutture del servizio sanitario nazionale;
quali iniziative di competenza intenda intraprendere affinché, in casi come quello descritto, siano garantiti agli interessati la massima tutela sanitaria e il riconoscimento dei danni subiti;
quali iniziative di competenza intenda intraprendere, anche sul piano normativo, per garantire il rispetto del consenso informato che sembra prestato da V. S. per gli interventi chirurgici con dubbia modalità;
se intenda intraprendere iniziative normative affinché sia garantita la tutela del malato di lunga degenza, con particolare riferimento all'adeguatezza del servizio reso e alla qualità delle prestazioni, evitando che simili situazioni possano riproporsi in futuro. (4-17035)
SVILUPPO ECONOMICO
Interrogazione a risposta orale:
LIUZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
in Basilicata, specificatamente in località Piani Mattino del comune di Potenza, in un ambito territoriale sensibile sul piano ambientale e paesaggistico, situato in prossimità di abitazioni, strade e attività produttive, sono in corso di realizzazione oltre 51 impianti eolici della potenza di 60 chilowatt;
alcuni cittadini della zona succitata, hanno costituito il «Comitato Piani del Mattino» sostenendo la propria contrarietà alla realizzazione di «veri e propri parchi eolici». Secondo il Comitato, infatti, pare che alcuni elementi sulla sicurezza pubblica e privata (come la rottura accidentale degli organi rotanti, il rumore, lo scado flickering/interruzione della luce solare, campi elettromagnetici) siano stati superficialmente valutati o totalmente ignorati;
inoltre, sempre secondo il Comitato, la realizzazione di lotti di pale minieoliche da 60 chilowatt sembrerebbe eludere il divieto di frazionamento con lo scopo di ottenere maggiori incentivi economici pubblici che aumenterebbero con la diminuzione della potenza di una singola pala eolica installata, rispetto a una frammentazione artificiosa della potenza del singolo aerogeneratore;
il decreto ministeriale n. 150 del 23 giugno 2016, articolo 29, prevede al comma 1 che il GSE (Gestore dei servizi energetici, partecipato al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze) «ha il compito di verificare la sussistenza di elementi indicativi di un artato frazionamento della potenza degli impianti, che costituisce violazione del criterio dell'equa remunerazione degli investimenti secondo cui gli incentivi decrescono con l'aumentare delle dimensioni degli impianti. In tale ambito, il GSE può valutare anche, come possibile elemento indicativo di un artato frazionamento, l'unicità del nodo di raccolta dell'energia prodotta da impianti riconducibili a un medesimo soggetto, identificando tale nodo con la stazione di raccolta MT/AT per connessioni in alta tensione ovvero con la stessa cabina o linea MT nel caso di connessioni in media tensione»;
il GSE, secondo il comma 2, «applica i principi generali di cui al comma 1 anche nell'ambito dello svolgimento delle attività di verifica e controllo svolte, ai sensi del decreto ministeriale 31 gennaio 2014, su tutti gli impianti alimentati a fonti rinnovabili che beneficiano di incentivi tariffari»;
al comma 3 è infine specificato che «In presenza di casi di frazionamento di cui ai commi 1 e 2, il GSE considera gli impianti riconducibili ad un'unica iniziativa imprenditoriale come un unico impianto di potenza cumulativa pari alla somma dei singoli impianti e, verificato il rispetto delle regole di accesso agli incentivi, ridetermina la tariffa spettante. Nel caso in cui l'artato frazionamento abbia comportato anche la violazione delle norme per l'accesso agli incentivi, il GSE dispone la decadenza dagli incentivi con l'integrale recupero delle somme già erogate. Restano fermi gli eventuali ulteriori profili di rilevanza penale o amministrativa» –:
se si intenda avviare, per quanto di competenza, un controllo, ai sensi della normativa vigente, sulla percezione degli incentivi statali previsti per la realizzazione degli impianti eolici in località Piani di Mattino del comune di Potenza, affinché si escluda l'elusione della normativa citata in premessa. (3-03104)
Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
IX Commissione:
FRANCO BORDO, MOGNATO e FOLINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
durante lo scorso fine settimana, due rappresentanti del Governo, il Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, Claudio De Vincenti, e il Sottosegretario per lo sviluppo economico, Antonello Giacomelli, sono intervenuti pubblicamente stigmatizzando il cosiddetto progetto Cassiopea di Telecom Italia per lo sviluppo della banda ultra-larga nelle aree bianche. L'amministratore delegato di Telecom, Flavio Cattaneo, ha replicato ai due membri dell'Esecutivo Gentiloni confermando l'intenzione della società di telecomunicazioni di proseguire nel piano;
la minore redditività degli investimenti nelle aree bianche, nell'ipotesi di duplicazione degli investimenti da parte di Telecom Italia, rappresenta un danno potenziale per il settore pubblico che ha sostenuto il costo-opportunità di finanziare l'infrastruttura a banda larga, indirizzando risorse pubbliche che potevano essere destinate ad altri utilizzi come quelli infrastrutturali più tradizionali;
eppure neanche un mese fa, in risposta all'interrogazione a risposta immediata in Commissione 5-11326 del gruppo MDP, il Sottosegretario Giacomelli aveva dichiarato: «Vedo assai improbabile il rischio di una duplicazione delle reti con l'ingresso di un altro soggetto che possa anche minimamente raggiungere le performance offerte dalla rete pubblica»;
le polemiche di questi giorni confermano le preoccupazioni sollevate da Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista che chiede già da tempo, proprio per evitare le criticità emerse di recente, la necessità di sviluppare le opportune sinergie tra i vari soggetti coinvolti, anche privati –:
quali iniziative urgenti ed immediate, per quanto di competenza, intenda avviare al fine di evitare che, dalla duplicazione dell'infrastruttura della rete di bandi ultra-larga, emergano extra costi finali per l'utenza, nonché distorsioni economiche per i soggetti pubblici, rendendo noti al Parlamento, in un'ottica di trasparenza, tutti i casi concreti in cui si ravvisino aree e attività soggette a rischio di duplicazione o overbuild infrastrutturale. (5-11633)
DE LORENZIS, SPESSOTTO, NICOLA BIANCHI, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, CARINELLI e DELL'ORCO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
come è noto, in data 2 maggio 2017 l'assemblea degli azionisti di Alitalia, considerata la grave situazione economica, patrimoniale e finanziaria della Compagnia, ha deciso all'unanimità di presentare l'istanza di ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria;
a seguito di tale decisione, sempre in data 2 maggio 2017, sono stati emanati sia il decreto ministeriale, relativo all'apertura della procedura di amministrazione straordinaria e nomina del collegio commissariale della Alitalia – Società Aerea Italiana S.p.A., che il decreto-legge 2 maggio 2017, n. 55, Recante misure urgenti per assicurare la continuità del servizio svolto da Alitalia S.p.A., con un «prestito ponte» di 600 milioni di euro al fine di evitare l'interruzione dei servizi della compagnia aerea, poi approvato nella cosiddetta «manovrina»;
ai sensi del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, Nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell'articolo 1 della legge 30 luglio 1998, n. 274, possono essere ammesse all'amministrazione straordinaria le imprese in stato di insolvenza accertate dal tribunale del luogo della sede principale e pertanto, come disposto dall'articolo 5, comma 2, l'imprenditore deve depositare: « a) le scritture contabili; b) i bilanci relativi agli ultimi due esercizi, ovvero dall'inizio dell'impresa, se questa ha avuto una minore durata; c) una situazione patrimoniale aggiornata a non più di trenta giorni anteriori alla data di presentazione del ricorso (...)»;
da quanto emerge dalla stampa risulta non essere ancora stato depositato presso il tribunale di Civitavecchia l'ultimo bilancio di Alitalia relativo al 2016, ma solo quello dell'anno prima, e la situazione patrimoniale è aggiornata al 28 febbraio e non al 31 marzo come doveva essere;
la mancanza dell'ultimo bilancio relativo al 2016 sta suscitando molti interrogativi sulle ragioni dell'aggravamento della situazione economica di Alitalia nel corso dell'ultimo anno, da alcuni autorevoli analisti addirittura messa in dubbio, considerando l’exploit del trasporto aereo anche in Italia e i prezzi ai minimi dei carburanti;
non convincono le giustificazioni rese dal commissario Luigi Gubitosi che, in occasione dell'audizione di mercoledì 14 giugno 2017 in Senato, ha dichiarato che il bilancio 2016 non «esiste», in quanto non è mai stato approvato poiché è subentrata l'amministrazione straordinaria –:
se il Governo non ritenga di dissipare ogni dubbio rendendo quanto prima pubblico il bilancio 2016 di Alitalia SAI, anche nella versione non approvata dal precedente management. (5-11634)
OLIARO, GALGANO, MUCCI, CATALANO e MENORELLO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
con la rete 5G la velocità massima passerà dai 100 megabits al secondo del 4G a 10 gigabits, mentre la latenza (il tempo d'attesa affinché avvenga la connessione) scenderà a un millisecondo (dai circa 20 attuali). A tutto questo, si aggiunge la capacità di connettere contemporaneamente oltre un milione di dispositivi per chilometro quadrato;
la futura generazione di trasmissione dati sarà in grado di mettere in comunicazione oltre venti miliardi di oggetti intelligenti. Sarà quindi possibile eseguire nuove applicazioni quali la chirurgia a distanza, utilizzando robot in grado di fare anche le operazioni delicate, ovvero il supporto alla guida con auto autonome;
lo sviluppo della rete 5G sarà fondamentale per il successo delle applicazioni «Industria 4.0». Il mercato dell'IoT in Italia oggi vale 2,8 miliardi di euro ed è cresciuto del 40 per cento nell'ultimo anno. Inoltre, sarà importante non solo per la trasformazione dei beni ma anche per la logistica, con il miglioramento delle performance dei processi produttivi, della manutenzione predittiva e dei servizi di diagnostica da remoto;
per sviluppare tutte le potenzialità della rete 5G, tra le altre cose, è indispensabile installare nuove celle e definire un protocollo standard ufficiale, che determini con precisione le caratteristiche che deve rispettare la nuova generazione di trasmissione dati –:
quali siano gli orientamenti del Governo in merito alla nuova infrastruttura 5G e quali iniziative intenda mettere in atto per favorirne lo sviluppo. (5-11635)
MURA e TULLO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
la multinazionale cinese delle telecomunicazioni ZTE, realizzerà in Italia la rete unica, denominata Golden Network, a supporto dei servizi della società nata dalla fusione tra i due operatori Wind e Tre che sul mercato italiano delle telecomunicazioni si configura primo operatore mobile con 31 milioni di clienti, a cui si aggiungono 2,7 milioni di clienti nel fisso;
WindTre punta a diventare un player di riferimento nell'integrazione fisso-mobile e nello sviluppo delle reti in fibra di nuova generazione, per la realizzazione della rete in banda ultralarga in Italia;
alla gara per aggiudicarsi il contratto per la realizzazione della rete – valutato circa un miliardo di euro – hanno partecipato importanti operatori come Ericsson, Huawei e Nokia; il gruppo svedese Ericsson, cedendo la gestione della rete Wind in Italia a favore della multinazionale cinese ZTE, ha perso circa il 40 per cento del fatturato realizzato in Italia e ha chiesto di concordare con il Governo la fuoriuscita di lavoratori in esubero;
il piano industriale della «newco» Wind Tre, presentato il 23 maggio 2017 ai sindacati, prevede la esternalizzazione del servizio svolto dal contact center ex H3G dove lavorano circa 900 dipendenti, di cui 400 nella sede di Cagliari, e i restanti nelle sedi di Genova, Palermo, Roma; si tratta di una decisione che contrasta con le eccellenti performance dell'azienda: 6 miliardi e mezzo di euro di ricavi, 34 milioni di clienti, una fetta di mercato che sfiora il 30 per cento, 6 miliardi di euro investimenti previsti nei prossimi 7 anni;
le regioni, come la Sardegna e la Liguria, che registrano i maggiori esuberi a seguito delle rilevanti trasformazioni che hanno interessato il settore delle telecomunicazioni si configurano come un contesto ottimale per l'insediamento di importanti aziende e di start up, anche regionali, del comparto delle telecomunicazioni e dell’information and communication technology –:
quali iniziative intenda assumere per rilanciare il progetto di insediare in Sardegna il distretto dell’information and communication technology e delle telecomunicazioni, anche valorizzando nel contempo le competenze e le professionalità dei lavoratori coinvolti nella ristrutturazione di Ericsson. (5-11636)
Interrogazione a risposta scritta:
CARRESCIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
lo strumento della cooperazione per dare possibilità ai cittadini di divenire proprietari della propria abitazione è la concreta attuazione di un principio solidaristico sancito anche nella Carta costituzionale;
la crisi economica e ancor più quella del settore edilizio che ha colpito dal 2008 il nostro Paese ha finito per avere pesanti riflessi anche sul mondo della cooperazione;
molte società cooperative si sono trovate in gravi situazione di insolvenza, talora irreversibili e caratterizzate da un elevato indebitamento verso le banche, verso i soci e verso i fornitori con ricavi insufficienti a coprire la struttura dei costi aziendali, dalla progressiva impossibilità di vendere ed assegnare le case ai soci, dalla negatività dei flussi di cassa della gestione corrente, dal costante peggioramento dei rapporti con le banche, i soci ed i fornitori, dalla mancata realizzazione e attuazione dei piani strategici che richiedono interventi strutturali;
questo contesto è stato acuito dalla crisi del sistema creditizio che ha comportato, ad esempio, il diniego delle richieste di proroghe di preammortamento dei mutui o della proroga di scadenza dei fidi di cantiere;
le situazioni di dissesto delle cooperative hanno comportato in molti casi, anche nelle Marche, la nomina di commissari liquidatori che si sono trovati, loro malgrado, di fronte all'impossibilità giuridica di cancellare le esistenti ipoteche sugli immobili rogitati e pagati dai soci assegnatari;
l'esito di ciò è stato il proliferare di situazioni in cui, pur avendo stipulato l'atto pubblico di acquisto e versato alla cooperativa il riscatto dell'ipoteca per la casa in cui già risiedono, molti proprietari non sono ritenuti giuridicamente creditori nei confronti della procedura commissariale;
sussiste inoltre il fatto che soggetti che hanno contributo, quali amministratori, al dissesto di una cooperativa, ancorché in pendenza di un giudizio civile e/o penale, possono continuare a svolgere attività d'impresa e partecipare anche alle aste per gli immobili della stessa società a suo tempo gestita –:
se il Ministro interrogato abbia conoscenza della portata del fenomeno e se e quali iniziativa di carattere normativo intenda adottare per tutelare quei soci della cooperativa che hanno ottemperato a tutti i loro obblighi ma che rischiano di trovarsi, paradossalmente, in una situazione creditoria peggiore rispetto a tutti gli altri soci della medesima cooperativa.
(4-17031)
Apposizione di firme ad una mozione, ritiro di firme e modifica dell'ordine dei firmatari.
La mozione Ricciatti e altri n. 1-01641, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 1o giugno 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Melilla, Matarrelli e Mognato e, contestualmente, devono intendersi ritirate le firme dei deputati: Roberta Agostini, Bossa, Capodicasa, Cimbro, Fava, Fontanelli, Formisano, Leva, Murer, Giorgio Piccolo, Ragosta, Speranza, Stumpo, Zaccagnini e Zaratti.
Con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme si intende così modificato: «Ricciatti, Epifani, Ferrara, Bersani, Laforgia, Nicchi, Scotto, D'Attorre, Duranti, Sannicandro, Martelli, Albini, Fossati, Piras, Franco Bordo, Folino, Melilla, Quaranta, Carlo Galli, Zoggia, Matarrelli, Kronbichler, Zappulla, Mognato».
Apposizione di firme ad una risoluzione.
La risoluzione in Commissione Benedetti e altri n. 7-01288, pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 14 giugno 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Sani, Oliverio, Zaccagnini, Luciano Agostini, Antezza, Carra, Cova, Cuomo, Dal Moro, Di Gioia, Falcone, Fiorio, Marrocu, Mongiello, Palma, Prina, Romanini, Taricco, Terrosi, Venittelli, Zanin.
Apposizione di una firma ad una interpellanza.
L'interpellanza urgente Rubinato e altri n. 2-01847, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 giugno 2017, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Murer.
Apposizione di una firma ad una interrogazione.
L'interrogazione a risposta immediata in assemblea Covello e altri n. 3-03096, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 giugno 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Paola Boldrini.
Pubblicazione di testi ulteriormente riformulati.
Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Zaccagnini n. 7-01274, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 808 del 1o giugno 2017.
La Commissione XIII,
premesso che:
le importazioni di concentrato di pomodoro dalla Cina sono aumentate del 43 per cento raggiungendo circa 100 milioni di chili nel 2016, pari a circa il 20 per cento della produzione nazionale in pomodoro fresco equivalente;
la divulgazione dei dati dell'Istat relativi al commercio estero da Paesi extracomunitari a gennaio 2017 fa emergere un balzo record del 22,3 per cento delle importazioni, superiore a quello delle esportazioni (+19,7 per cento). C’è il rischio concreto che il concentrato di pomodoro cinese venga spacciato come made in Italy sui mercati nazionali ed esteri per la mancanza dell'obbligo di indicare in etichetta provenienza;
si sta assistendo ad un crescendo di navi che sbarcano fusti di oltre 200 chili di peso con concentrato di pomodoro, proveniente dalla Cina, da rilavorare e confezionare come italiano, poiché nei contenitori al dettaglio è obbligatorio indicare solo il luogo di confezionamento, ma non quello di coltivazione del pomodoro;
questo commercio va reso trasparente con l'obbligo ad indicare in etichetta l'origine degli alimenti che attualmente vale in Italia solo per la passata di pomodoro ma non per il concentrato o per i sughi pronti. A rischio c’è uno dei settori simbolo del made in Italy nel mondo a causa della concorrenza sleale del prodotto importato ma anche la sicurezza alimentare;
la Cina ha conquistato il primato nel numero di notifiche per prodotti alimentari irregolari perché contaminati dalla presenza di micotossine, additivi e coloranti al di fuori dalle norme di legge, da parte dell'Unione europea, secondo una elaborazione della Coldiretti sulla base della relazione sul sistema di allerta per gli alimenti relativa al 2015. Su un totale di 2967 allarmi per irregolarità segnalate in Europa, ben 386 (15 per cento) hanno riguardato proprio la Cina;
mentre l'Italia si appresta a diminuire la produzione nazionale perché viene ritenuta eccessiva dalle industrie di trasformazione, si assiste alla importazione dall'estero di una quantità di concentrato di pomodoro del 21 per cento che proviene per più della metà dalla Cina che ha iniziato la coltivazione di pomodoro per l'industria nel 1990 e oggi rappresenta il terzo bacino di produzione dopo gli Stati Uniti e l'Italia, secondo i dati 2016;
appare dunque necessario che l'etichetta riporti obbligatoriamente la provenienza della materia prima impiegata per la frutta e verdura trasformata come i derivati del pomodoro, come chiede peraltro l'84 per cento degli italiani secondo la consultazione pubblica on line sull'etichettatura dei prodotti agroalimentari condotta dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, che ha coinvolto 26.547 partecipanti sul sito del Ministero. Il consiglio della Coldiretti è comunque di preferire i prodotti, concentrato o sughi pronti, che volontariamente indicano sulla confezione l'origine nazionale 100 per cento del pomodoro utilizzato;
il pomodoro è il condimento maggiormente acquistato dagli italiani. Nel settore del pomodoro da industria sono impegnati in Italia oltre 8 mila imprenditori agricoli che coltivano su circa 72.000 ettari, 120 industrie di trasformazione in cui trovano lavoro ben 10 mila persone, con un valore della produzione superiore ai 3,3 miliardi di euro. Un patrimonio che va salvaguardato garantendo il rispetto dei tempi di contrattazione per una consentire una adeguata pianificazione e una giusta remunerazione del prodotto agli agricoltori italiani,
impegna il Governo:
1) ad assumere iniziative per estendere l'etichettatura d'origine alla filiera del pomodoro, che ancora non lo comprende, così come descritto in premessa;
2) ad assumere iniziative volte a prevedere l'estensione della polizza «salva grano» alla filiera del pomodoro, «rete protettiva» per assicurare il reddito degli agricoltori, così come descritto in premessa;
3) ad assumere iniziative, con specifico riferimento alla filiera del pomodoro, per:
a) promuovere a tutti i livelli, nazionale, comunitario e internazionale, politiche utili alla difesa del prodotto made in Italy, al fine di contrastare con maggiore determinazione ed efficacia il fenomeno dell’italian sounding;
b) rielaborare la normativa vigente in materia di contraffazione al fine di assicurare maggiore trasparenza e la sicurezza in tutti i passaggi della filiera;
c) intervenire nelle opportune sedi europee affinché le denominazioni Dop e Igp continuino ad essere una priorità della Commissione europea anche nell'ambito di eventuali trattati internazionali come Ceta e TTIP;
d) garantire un maggiore e continuativo coordinamento istituzionale, con particolare riferimento alle posizioni da assumere in sede europea, a tutela degli interessi italiani, assicurando la completezza e la trasparenza relativamente all'etichettatura dei prodotti;
e) avviare un monitoraggio e una valutazione d'impatto sul reddito degli agricoltori e sull'effetto che l'abolizione dei dazi ha avuto sui produttori italiani messi in diretta concorrenza con i mercati asiatici che però riescono a produrre a costi molto inferiori;
f) assumere iniziative per favorire l'obbiettivo di allargare la disponibilità di cibo genuino a prezzi popolari;
4) a sostenere misure volte a promuovere la filiera del pomodoro prodotto con tecniche rispettose dell'ambiente e maggiormente sicure per la salute umana, promuovendo convenzioni vincolanti, secondo i protocolli di produzione, per i Paesi extra Unione europea ai quali viene aperto il mercato economico europeo;
5) ad assumere ogni iniziativa di competenza per bloccare temporaneamente per nove mesi l'importazione del pomodoro.
(7-01274) «Zaccagnini».
Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Zaccagnini n. 7-01276, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 808 del 1o giugno 2017.
La Commissione XIII,
premesso che:
la globalizzazione a cui si sta assistendo negli anni recenti è un fenomeno assai complesso. Essa è sinonimo di creazione di un unico villaggio globale favorito dalla crescita delle relazioni e degli scambi tra i vari Paesi del mondo;
il fenomeno è stato molto graduale, si è accelerato solo in epoca moderna, creando un mercato globale privo di barriere protezionistiche; nel settore agricolo ed agroalimentare, la globalizzazione ha accentuato il divario esistente tra Paesi ricchi e Paesi poveri e i problemi legati alla fame nel mondo. Le disponibilità di beni alimentari a livello mondiale sono sufficienti a far fronte alla domanda globale: la fame non è un problema legato alla disponibilità dei prodotti agricoli, ma ai bassi livelli di reddito in taluni Paesi. Alle scarse rese produttive si è cercato di rispondere con l'introduzione di sementi ibride più produttive rispetto a quelle normali. Al di là di quelli che sono i dubbi circa gli effetti che il consumo di tali prodotti possa avere sull'uomo, va detto che tali ibridi non possono essere riprodotti e devono essere acquistati ogni anno da società multinazionali che li detengono e che ne stabiliscono i prezzi dato che operano in regime oligopolistico. D'altra parte, tali ibridi sono molto vulnerabili agli attacchi di insetti nocivi e richiedono l'uso massiccio di pesticidi la cui spesa è notevolmente in crescita, con il rischio di un aumento dei costi che devono sostenere gli agricoltori dei Paesi più poveri: tutto ciò si traduce in un aumento della loro povertà, al di là di possibili conseguenze sulla salute umana. Inoltre, la ripetizione delle stesse colture nel tempo riduce la biodiversità e rischia di incidere negativamente sia sulla produttività del suolo, che sulla diversificazione del cibo disponibile;
in questo quadro vi è da specificare come, per l'agricoltura italiana, diventata la più green d'Europa, sia di vitale importanza mettere in campo azioni e politiche atte a salvaguardare il settore, tutelandolo dalle prassi della globalizzazione. Dati alla mano, l'Italia si presenta infatti: con il maggior numero di certificazioni alimentari a livello comunitario per prodotti a denominazione di origine Dop/Igp, detenendo la leadership nel numero di imprese che coltivano biologico, ma anche con la minor incidenza di prodotti agroalimentari con residui chimici fuori norma. L'Italia è anche campione di biodiversità; il Paese, infatti, può contare su 504 varietà iscritte al registro viti contro le 278 dei francesi, su 533 varietà di olive contro le 70 spagnole, ma sono state salvate dall'estinzione anche 130 razze allevate tra le quali ben 38 razze di pecore, 24 di bovini, 22 di capre, 19 di equini, 10 di maiali, 10 di avicoli e 7 di asini, sulla base dei Piani di sviluppo rurale della precedente programmazione. L'Italia detiene il record europeo della biodiversità, con 55.600 specie animali pari al 30 per cento delle specie europee e 7.636 specie vegetali. Un primato raggiunto anche grazie al fatto che, in Italia, ci sono ben 871 parchi e aree naturali protette che coprono ben il 10 per cento del territorio nazionale. Ha conquistato anche il primato green, con quasi 50 mila aziende agricole biologiche in Europa ed ha fatto la scelta di vietare le coltivazioni ogm a tutela del patrimonio di biodiversità. Con l'azione di tutela dell'ambiente, l'Italia si è portata al vertice della sicurezza alimentare mondiale, con il minor numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari (0,4 per cento), quota inferiore di quasi 4 volte rispetto alla media europea (1,4 per cento) e di quasi 20 volte quella dei prodotti extracomunitari (7,5 per cento);
il nostro made in Italy agroalimentare è il più copiato e contraffatto al mondo, nonostante la crescita del settore agricolo confermi le enormi potenzialità dell'agricoltura e dei nostri imprenditori, specialmente i giovani; esso deve affrontare e contrastare la pressione delle distorsioni di filiera e il flusso delle importazioni selvagge dall'estero, che fanno concorrenza sleale alla produzione nazionale, perché vengono spacciati come prodotti made in Italy e sono privi di indicazione chiara sull'origine in etichetta. Nelle campagne, oggi, vige una situazione di deflazione profonda: i prezzi sono crollati per raccolti e per gli allevamenti che non coprono più neanche i costi di produzione o dell'alimentazione del bestiame;
l'Ente nazionale risi ha organizzato, a gennaio 2017, a Milano una riunione di tutti i Paesi europei produttori di riso (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Francia, Romania, Bulgaria e Ungheria) per creare un fronte comune nel confronto con l'Unione europea. La posizione italiana è quella di richiedere l'immediato ripristino dei dazi alle importazioni di riso da Cambogia e Myanmar, aboliti nel 2009. L'emergenza è determinata dal record delle importazioni comunitarie di riso lavorato «Indica» nella campagna 2015/2016 e dalla riduzione delle esportazioni comunitarie che hanno generato un aumento degli stock comunitari di riporto nella campagna attuale. L'Italia, con i suoi 234 mila ettari coltivati a riso e un consumo pro capite annuo di 6 chilogrammi, è il primo Paese produttore di riso dell'Unione europea. Nella filiera italiana operano 4.265 aziende risicole e circa 5.000 addetti, circa 100 industrie risiere, di cui 6 detengono complessivamente più del 50 per cento del mercato. Il riso lavorato rappresenta un giro d'affari di circa un miliardo di euro;
quello che appare ai presentatori del presente atto come un disinteresse ministeriale rispetto alle decisioni europee rischia di vanificare i risultati positivi ottenuti dalle regioni, Lombardia in testa, che sul riso erano riusciti, nelle fasi negoziali della Pac, a escludere la coltura dal greening e a collocare 22,6 milioni di euro per gli aiuti accoppiati. La situazione, già resa pesante dalle grandi importazioni di riso dalla Cambogia e dal Myanmar (anch'esse esenti dal pagamento del dazio grazie agli accordi EBA), rischia inoltre di creare un gravissimo precedente per i negoziati in corso sugli accordi di libero scambio con altri Paesi asiatici, grandi produttori di riso, come Thailandia, Pakistan e India, ma anche con gli USA e con i Paesi del Mercosur;
la tutela della qualità delle produzioni agroalimentari è, in sede europea, un complemento alla politica di sviluppo rurale e alle politiche di sostegno dei mercati e dei redditi nell'ambito della politica agricola comune e rappresenta in particolare, per l'Italia, uno dei principali obiettivi della politica agroalimentare, considerato che il nostro è il Paese che vanta in Europa il maggior numero di prodotti a marchio registrato, oggetto di numerosi e sofisticati tentativi di contraffazione. La disciplina sull'etichettatura dei prodotti e sulle conseguenti informazioni ai consumatori costituisce anch'essa un aspetto della tutela della qualità del prodotto;
il Ministero dello sviluppo economico in materia di etichettatura sui prodotti di origine agroalimentare specifica che: «Il principio alla base della legislazione dell'Unione sull'etichettatura è che il consumatore ha il diritto di essere informato nelle proprie scelte e che l'etichettatura non può essere fuorviante. Quando l'etichettatura di origine geografica è obbligatoria, l'indicazione di origine geografica deve essere visualizzata correttamente in etichetta. Quando l'etichettatura di origine geografica è opzionale, gli operatori sono liberi di decidere se citare l'origine, a meno che l'omissione di tale informazione possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto. Se l'indicazione di origine viene indicata, l'informazione deve essere corretta in modo da non indurre in errore il consumatore. L'indicazione di origine è obbligatoria per la frutta ed i legumi freschi, il vino, il miele, l'olio di oliva, i prodotti ittici, la carne bovina, le carni di pollame proveniente da Paesi terzi, le carni fresche refrigerate o congelate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili, le uova ed i prodotti biologici. Anche nei casi in cui l'indicazione di origine non sia obbligatoria, le informazioni sull'origine eventualmente fornite su base volontaria devono essere corrette e tali da non risultare ingannevoli per il consumatore»;
in seguito a quanto disposto dalla legge n. 4 del 2011 (articolo 4) e in attesa di una regolamentazione europea generale che dia attuazione al paragrafo 3 dell'articolo 26 del regolamento (UE) n. 1169 del 2011, è stato emanato il decreto interministeriale 9 dicembre 2016 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 19 gennaio 2017), concernente l'indicazione dell'origine in etichetta della materia prima per il latte e i prodotti lattiero- caseari, in attuazione del predetto regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori. Il 20 dicembre 2016, in analogia con la procedura adottata con riferimento al decreto sull'origine del latte, è stata inviata a Bruxelles, dal Governo, una bozza di schema di decreto interministeriale sull'origine obbligatoria in etichetta di grano e pasta, come da comunicato del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. «(...) Risulta in corso di elaborazione il regolamento esecutivo della Commissione europea del suddetto articolo 26 del regolamento (UE) n. 1169 del 2011 che, al paragrafo 3, fa riferimento al caso in cui il Paese d'origine o il luogo di provenienza di un alimento sia indicato e non sia lo stesso di quello del suo ingrediente primario. In linea generale, si ricorda l'importanza dell'intero regolamento n. 1169 del 2011, il quale, in particolare, agli articoli 9 e seguenti, prevede le informazioni obbligatorie che devono essere fornite sugli alimenti, come la denominazione degli stessi e l'elenco dei loro ingredienti. (...)». Fenomeni come le agromafie e la globalizzazione dei mercati in tutte le fasi della filiera agroalimentare, danneggiano la agricoltura basata, al contrario, su prodotti provenienti da culture non intensive attente alla salvaguardia dell'ambiente, alle biodiversità e alla genuinità del prodotto;
è sempre in quest'ottica di tutela del made in Italy che si può inquadrare l'iniziativa del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, che costituisce una risposta alla «battaglia» del grano del luglio 2016 (periodo di trebbiatura), quando le quotazioni sono crollate del 42 per cento rispetto allo stesso periodo del 2015. Per fronteggiare questa emergenza è stato approvato nel decreto fiscale l'emendamento, che stanzia 10 milioni di euro per polizze su rischi climatici e di mercato. La filiera grano- pasta è uno dei principali settori dell'agroalimentare italiano, con una produzione di grano duro di circa 4 milioni di tonnellate e di 3,4 milioni di tonnellate annue di pasta, che rende il nostro Paese il principale produttore mondiale. Il valore della produzione supera invece i 4,6 miliardi di euro, con 2 miliardi di euro di export. «Saremo i primi in Europa — ha dichiarato il Ministro Maurizio Martina — a sperimentare un'assicurazione sui ricavi per i produttori di grano. Si tratta di uno strumento concreto di tutela del reddito per gli agricoltori e risponde in maniera più efficace all'esigenza di proteggere le aziende rispetto al passato. In particolare in una produzione come quella cerealicola, esposta a fluttuazioni di mercato e all'influenza di variabili internazionali, diventa fondamentale che le imprese possano programmare meglio la produzione e avere un meccanismo di protezione in caso di crollo del prezzo. Lo abbiamo visto quest'anno quando le quotazioni sono scese fino a 18 centesimi al chilo. Un prezzo che non consente nemmeno di recuperare i costi di produzione. Con l'assicurazione ci sarebbe stato un indennizzo immediato rispetto a queste perdite. È uno strumento sperimentale nel quale vogliamo investire e per questo abbiamo stanziato 10 milioni di euro che serviranno ad agevolare la sottoscrizione da parte dei nostri agricoltori. Allo stesso tempo andiamo avanti per rafforzare i rapporti nella filiera grano pasta, attraverso il sostegno ai contratti di filiera inseriti nel Piano cerealicolo nazionale e puntando alla massima informazione dei consumatori con l'origine della materia prima in etichetta»,
impegna il Governo:
1) ad assumere ogni ulteriore iniziativa per estendere l'etichettatura d'origine alla filiera del riso, che ancora non lo comprende, così come descritto in premessa;
2) ad assumere iniziative volte a prevedere l'estensione della polizza «salva grano» alla filiera del riso, «rete protettiva» per assicurate il reddito degli agricoltori, così come descritto in premessa;
3) ad assumere iniziative, con specifico riferimento al settore del riso, per:
a) a promuovere a tutti i livelli, nazionale, comunitario e internazionale, siano promosse politiche utili alla difesa del prodotto made in Italy, al fine di contrastare con maggiore determinazione ed efficacia il fenomeno dell’italian sounding;
b) rielaborare la normativa vigente in materia di contraffazione al fine di assicurare maggiore trasparenza e sicurezza in tutti i passaggi della filiera;
c) intervenire nelle opportune sedi europee affinché le denominazioni Dop e Igp continuino ad essere una priorità della Commissione europea, anche nell'ambito di eventuali trattati internazionali come Ceta e TTIP;
d) garantire un maggiore e continuativo coordinamento istituzionale, con particolare riferimento alle posizioni da assumere in sede europea, a tutela degli interessi italiani, assicurando la completezza e la trasparenza relativamente all'etichettatura dei prodotti;
e) avviare un monitoraggio e una valutazione d'impatto sul reddito degli agricoltori e sull'effetto che l'abolizione dei dazi ha avuto sui produttori italiani messi in diretta concorrenza con i mercati asiatici che però riescono a produrre a costi molto inferiori;
f) assumere iniziative per favorire l'obbiettivo di allargare la disponibilità di cibo genuino a prezzi popolari;
4) a sostenere misure volte a promuovere la filiera del riso prodotto con tecniche rispettose dell'ambiente e maggiormente sicure per la salute umana, promuovendo convenzioni vincolanti, secondo i protocolli di produzione, per i Paesi extra UE ai quali viene aperto il mercato economico europeo;
5) ad assumere ogni inziiativa di competenza per bloccare temporaneamente per nove mesi l'importazione del riso.
(7-01276)
«Zaccagnini, Stumpo, Laforgia».
Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.
I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
interrogazione a risposta scritta Rondini n. 4-16788 del 31 maggio 2017;
interrogazione a risposta scritta Fassina n. 4-16942 del 14 giugno 2017;
interrogazione a risposta in Commissione Zaratti n. 5-11583 del 15 giugno 2017;
interrogazione a risposta scritta Fabrizio Di Stefano n. 4-16982 del 16 giugno 2017.