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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Martedì 4 luglio 2017

TESTO AGGIORNATO AL 6 LUGLIO 2017

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 4 luglio 2017.

  Adornato, Aiello, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amendola, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Braga, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Censore, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cirielli, Coppola, Costa, Costantino, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Menech, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fauttilli, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Giorgis, Gozi, Greco, La Russa, Laforgia, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Marcon, Martella, Mazziotti Di Celso, Meta, Migliore, Monaco, Morassut, Nicoletti, Orlando, Pes, Picchi, Pisicchio, Polverini, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Rosato, Domenico Rossi, Rostan, Rughetti, Sanga, Sani, Scagliusi, Scalfarotto, Scanu, Schullian, Sereni, Sottanelli, Tabacci, Terzoni, Tidei, Simone Valente, Valeria Valente, Velo, Vignali, Vignaroli.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta).

  Adornato, Aiello, Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Alli, Amendola, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Bernardo, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Boccia, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Braga, Matteo Bragantini, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Censore, Antimo Cesaro, Cicchitto, Cirielli, Coppola, Costa, Costantino, D'Alia, Dambruoso, Damiano, De Menech, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Luigi Di Maio, Epifani, Faraone, Fauttilli, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Garofani, Gelli, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Giorgis, Gozi, Greco, La Russa, Laforgia, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Mannino, Marazziti, Marcon, Martella, Mazziotti Di Celso, Meta, Migliore, Monaco, Morassut, Nicoletti, Orlando, Pannarale, Pes, Picchi, Piccoli Nardelli, Pisicchio, Polverini, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Rosato, Domenico Rossi, Rostan, Rughetti, Sanga, Sani, Scagliusi, Scalfarotto, Scanu, Schullian, Sereni, Sottanelli, Tabacci, Terzoni, Tidei, Simone Valente, Valeria Valente, Velo, Vignali, Vignaroli.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 3 luglio 2017 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di legge d'iniziativa del deputato:
   FABRIZIO DI STEFANO: «Disposizioni per la prevenzione dell'emergenza abitativa conseguente ai procedimenti di esecuzione forzata e per la valorizzazione del patrimonio immobiliare» (4571).

  Sarà stampata e distribuita.

Cancellazione dall'ordine del giorno di un disegno di legge di conversione.

  In data 1o luglio 2017 il seguente disegno di legge è stato cancellato dall'ordine del giorno, essendo decorsi i termini di conversione del relativo decreto-legge, di cui all'articolo 77 della Costituzione: «Conversione in legge del decreto-legge 2 maggio 2017, n. 55, recante misure urgenti per assicurare la continuità del servizio svolto da Alitalia S.p.A.» (4452).

Trasmissione dalla Corte dei conti.

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 28 giugno 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Agenzia nazionale per la sicurezza del volo (ANSV), per l'esercizio 2015. Alla determinazione sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 547).

  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla IX Commissione (Trasporti).

Trasmissione dal Ministro dell'economia e delle finanze.

  Il Ministro dell'economia e delle finanze, con lettera in data 26 giugno 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 9, comma 11, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 125, la relazione sulle erogazioni effettuate in favore dei policlinici universitari gestiti direttamente da università non statali e dell'Ospedale pediatrico Bambino Gesù, aggiornata al 12 giugno 2017 (Doc. CCXLI, n. 2).

  Questa relazione è trasmessa alla V Commissione (Bilancio) e alla XII Commissione (Affari sociali).

Trasmissione dal Ministro della salute.

  Il Ministro della salute, con lettera in data 30 giugno 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 15, comma 2, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, la relazione sullo stato di attuazione della medesima legge n. 40 del 2004, recante norme in materia di procreazione medicalmente assistita, riferita all'attività dei centri di procreazione medicalmente assistita nell'anno 2015 e all'utilizzo dei finanziamenti nell'anno 2016 (Doc. CXLII, n. 5).

  Questa relazione è trasmessa alla XII Commissione (Affari sociali).

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 3 luglio 2017, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
   Proposta di decisione del Consiglio relativa alla firma, a nome dell'Unione europea, e all'applicazione provvisoria del trattato che istituisce la Comunità dei trasporti (COM(2017) 324 final), corredata dal relativo allegato (COM(2017) 324 final – Annex 1), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (UE) 2017/127 per quanto riguarda determinate possibilità di pesca (COM(2017) 356 final), corredata dal relativo allegato (COM(2017) 356 final – Annex 1), che è assegnata in sede primaria alla XIII Commissione (Agricoltura);
   Proposta di decisione del Consiglio che autorizza il Lussemburgo e la Romania ad accettare, nell'interesse dell'Unione europea, l'adesione della Georgia e del Sud Africa alla convenzione del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori (COM(2017) 357 final), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Proposta di decisione del Consiglio che autorizza la Croazia, i Paesi Bassi, il Portogallo e la Romania ad accettare, nell'interesse dell'Unione europea, l'adesione di San Marino alla convenzione del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori (COM(2017) 359 final), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Proposta di decisione del Consiglio che autorizza la Romania ad accettare, nell'interesse dell'Unione europea, l'adesione del Cile, dell'Islanda e delle Bahamas alla convenzione dell'Aia del 1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori (COM(2017) 360 final), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);
   Relazione della Commissione – Relazione annuale 2016 in materia di sussidiarietà e proporzionalità (COM(2017) 600 final), corredata dal relativo allegato (COM(2017) 600 final – Annex 1), che è assegnata in sede primaria alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea);
   Relazione della Commissione – Relazione annuale 2016 sui rapporti tra la Commissione europea e i Parlamenti nazionali (COM(2017) 601 final), corredata dai relativi allegati (COM(2017) 601 final – Annexes 1 to 3), che è assegnata in sede primaria alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Comunicazione di una nomina ministeriale.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 30 giugno 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 19, comma 9, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la comunicazione concernente il conferimento alla dottoressa Nunzia Vecchione, ai sensi dei commi 4 e 10 del medesimo articolo 19, dell'incarico di livello dirigenziale generale di consulenza, studio e ricerca, nell'ambito del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze.

  Questa comunicazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla V Commissione (Bilancio).

Richiesta di parere parlamentare su atti del Governo.

  Il Ministro dell'economia e delle finanze, con lettera in data 28 giugno 2017, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 14, comma 2, della legge 4 agosto 2016, n. 163, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto ministeriale recante individuazione degli indicatori di benessere equo e sostenibile (428).

  Questa richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla V Commissione (Bilancio), che dovrà esprimere il prescritto parere entro il 3 agosto 2017.

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

INTERPELLANZE E INTERROGAZIONI

Iniziative volte al completamento della strada statale n. 675 umbro-laziale – 2-01787

A) Interpellanza

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   con la legge n. 443 del 2001, «legge obiettivo», e la relativa deliberazione del Cipe n. 121 del 2001, la strada statale n. 675 «umbro-laziale», ex raccordo Civitavecchia-Orte, veniva compresa tra le opere strategiche da realizzarsi ai sensi di detta legge;
   a seguito dell'intesa generale quadro, siglata tra la regione Lazio ed il Governo il 20 marzo 2002, ai sensi e per le finalità di detta legge n. 443 del 2001, in data 8 novembre 2006 è stata sottoscritta «un'intesa» tra la regione Lazio, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed Anas spa, con la quale ci si impegnava reciprocamente alla realizzazione dell'opera, anche ricercando le necessarie risorse finanziarie;
   la strada statale n. 675 o «trasversale nord» si inserisce nel più ampio itinerario Civitavecchia-Orte-Terni, il cui completamento fra Orte e Civitavecchia consentirà di collegare, con strada a 4 corsie, il porto civitavecchiese con la A1, l'itinerario internazionale E45-E55 e il polo industriale di Terni;
   si tratta di un'infrastruttura inserita nella comprehensive network della rete europea Ten-T e del corridoio europeo 5 fino a Kiev;
   essa rientra nel 1o programma delle infrastrutture strategiche – sistemi stradali e autostradali del corridoio plurimodale tirrenico Nord-Europa – trasversale nord Orte-Civitavecchia;
   per terminare l'intera infrastruttura viaria, una volta completato questo tratto, dovranno ancora essere realizzati i circa 18 chilometri che da Monte Romano est portano alla strada statale n. 1 Aurelia;
   questo tratto durante il suo percorso si pone inoltre in affiancamento alla strada statale n. 1-bis, alla strada provinciale n. 42 per Blera e all'attuale strada provinciale n. 97 di Montericcio nella valle del Mignone;
   il completamento del tracciato viario tra Monte Romano est e la strada statale n. 1 Aurelia e così per il porto di Civitavecchia è di primaria importanza per la rete viaria dei territori interessati e strategica per l'economia dello scalo portuale laziale; risulta fondamentale scegliere un tracciato che consenta una razionalizzazione dei costi, mantenendoli in linea con la media europea, al fine di evitare un dispendio di denaro pubblico come pregresse esperienze italiane stanno ad attestare sia in termini economici che in tempistiche di realizzazione;
   la trasversale Orte-Civitavecchia ha un'importanza vitale per lo sviluppo economico-sociale dell'area, anche perché rappresenta un'infrastruttura in grado di unire il Mar Tirreno con il Mar Adriatico;
   essa, peraltro, eliminerebbe il «bottleneck» al porto di Civitavecchia, permettendo quindi la distribuzione di merci e persone dal porto di Civitavecchia al Centro-Nord Italia e una razionale e moderna viabilità per gli spostamenti di persone, lavoratori e studenti, ora complessivamente concentrato su un tratto stradale a due corsie la cui pericolosità è confermata dalla quantità di sinistri stradali occorsi in tale situazione;
   con la sua ultimazione si creerebbero i presupposti per l'insediamento nell'area di Civitavecchia, della Tuscia e dell'Etruria di nuovi siti produttivi che al momento non hanno mai avuto start-up a causa di mancanza di infrastrutture, consentendo allo stesso tempo il transito dei mezzi di trasporto in sicurezza, al contrario di quanto avviene oggi;
   dalla fine degli anni ’90 ad oggi, lo Stato italiano ha speso oltre 1.500.000.000 di euro per l'attuazione del piano regolatore generale del porto di Civitavecchia, sforzo economico che sarebbe vanificato circa le attese al mancato completamento degli ultimi 18 chilometri della trasversale in questione;
   la regione Lazio e l'autorità portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta, ora autorità di sistema portuale del Mar Tirreno centro-settentrionale, hanno espresso la volontà di realizzare una «zona franca» nel porto di Civitavecchia;
   l'infrastruttura in questione detiene il triste primato nazionale di grande opera incompiuta, poiché sono più di quarant'anni che se ne attende l'ultimazione;
   è del tutto evidente la necessità di accelerare l’iter burocratico per avviare al più presto il completamento di un'infrastruttura, la cui realizzazione non è più rinviabile ed i cui fondi sono già stati stanziati e disponibili –:
   quanti e quali pareri abbia ricevuto il tracciato Monte Romano est – strada statale n. 1 Aurelia presentato da Anas spa in sede di conferenza di servizi;
   quali iniziative intendano assumere, per quanto di competenza, al fine di sbloccare la vicenda di cui in premessa e garantire un rapido completamento di un'opera, fondamentale per lo sviluppo e la sicurezza dell'intera area;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative affinché il tratto viario Vetralla (località Cinelli)-Monte Romano, in corso di realizzazione, non si interrompa come da progetto prima del centro urbano di Monte Romano, ma si utilizzino sia le somme che le economie disponibili nel quadro economico, per una variante in corso d'opera finalizzata a poterlo bypassare, ciò al fine di evitare il transito degli automezzi commerciali e degli autoveicoli, che ancora oggi avviene obbligatoriamente tramite la via principale, con afflusso-deflusso attraverso l'antico arco delle mura perimetrali di Monte Romano, peraltro di dimensioni sottodimensionate rispetto alle attuali e moderne esigenze viarie.
(2-01787) «Scotto».


Iniziative volte al ripristino della viabilità sul raccordo autostradale Sicignano-Potenza – 3-03123; 3-03124

B) Interrogazioni

   LATRONICO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, dopo un sopralluogo degli operai, è stato chiuso al traffico dall'Anas, in entrambe le direzioni, il raccordo autostradale «Sicignano-Potenza», compreso tra lo svincolo di Balvano (chilometro 25,500) e lo svincolo di Vietri di Potenza (chilometro 20,800) per alcune lesioni al viadotto Marmo;
   la strada statale n. 407 Basentana, che congiunge il raccordo autostradale Sicignano-Potenza alla strada statale n. 106 jonica, rappresenta una delle principali arterie stradali dell'intero Mezzogiorno. Nonostante la sua strategicità, per anni, non è stata adeguatamente tenuta in sicurezza e il combinato disposto della peculiarità del tracciato, con numerosi viadotti e gallerie, e delle condizioni climatiche l'hanno resa fragile;
   è da oltre 8 anni che sul tratto autostradale Sicignano-Potenza si riscontrano problemi strutturali sui viadotti e sono in corso diversi lavori di manutenzione straordinaria che interessano alcuni tratti per i quali è già prevista la demolizione degli impalcati;
   tutto il traffico anche dei mezzi pesanti viene deviato attraverso il percorso alternativo sulla ex strada provinciale n. 94 e nelle contrade comunali di Vietri di Potenza, che presenta, purtroppo, un tracciato irregolare e la segnaletica non è indicata visibilmente;
   gli interventi sono assolutamente necessari ed evidenziano oggettive difficoltà che riguardano l'intero comprensorio in relazione alla sostenibilità del traffico di un importante raccordo autostradale –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo per assicurare il ripristino della viabilità nei collegamenti per consentire la riapertura del tratto autostradale al fine di evitare situazioni di criticità e rischi per l'incolumità degli automobilisti. (3-03123)


   FOLINO, FRANCO BORDO e MOGNATO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   come si legge sulla Gazzetta del Mezzogiorno, il nuovo tratto che gli automobilisti in transito sul raccordo autostradale Sicignano-Potenza sono costretti a percorrere tra gli svincoli Balvano e Vietri, a causa della chiusura del tragitto originale, in conseguenza di una lesione comparsa sul viadotto Marmo (Potenza), è un coacervo di strade provinciali e comunali assolutamente impraticabili;
   il raccordo autostradale, compreso tra gli svincoli vietresi situati in contrada San Vito e Cugni, è completamente chiuso e tutto il traffico è deviato attraverso il percorso alternativo della strada provinciale n. 94 e nelle contrade vietresi, fino ad una settimana fa utilizzato solo dai mezzi pesanti. Il tutto a causa di due lesioni riscontrate su una trave del viadotto «Marmo» in direzione nord;
   tantissime sono le segnalazioni dei cittadini; in particolare viene segnalato che, in alcuni tratti, di sera, si viaggerebbe totalmente al buio, mentre, in altri, la carreggiata sarebbe particolarmente disconnessa, con la presenza di numerose buche non segnalate;
   l'Anas, ente proprietario del raccordo, ha dato risposte totalmente insufficienti a giudizio degli interroganti, comunicando, per il tramite del proprio ufficio stampa: «entro metà di aprile verrà aperta al traffico una bretella di circa 600 metri, attualmente in disuso, ma sulla quale Anas sta lavorando per rimetterla in uso» –:
   quali iniziative urgenti s'intendano avviare al fine di garantire il ripristino di una corretta e sicura viabilità per un tratto fondamentale e al fine di garantire un pezzo della viabilità nazionale nel contesto del Mezzogiorno;
   se, in particolare, s'intendano fornire maggiori dettagli in merito al cronoprogramma di ripristino e alla tipologia degli interventi che sono stati messi in atto da Anas sui tratti di viabilità di cui in premessa. (3-03124)


Iniziative in sede internazionale per la tutela della libertà religiosa, con particolare riferimento alla situazione della comunità cristiana in Pakistan – 3-02551

C) Interrogazione

   PAGANO e BINETTI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto diffuso da un comunicato trasmesso dall'agenzia Fides, in Pakistan sono state dichiarate illegali dal Pakistan electronic media regulatory Authority, ente del Governo pakistano, 11 televisioni cristiane;
   tale ente ha infatti emesso un'ordinanza in data 22 settembre 2016 segnalando le cosiddette «tv non autorizzate». Tra queste sono ricompresi 10 canali via cavo o su web gestiti da gruppi cristiani protestanti (quali Isaac Tv, Gawahi Tv, God Bless Tv, Barkat Tv, Praise Tv, Zindagi Tv, Shine Tv, Jesus Tv, Healing Tv, Khushkhabari Tv) e la Catholic Tv, rete cattolica diocesana di Lahore;
   nella stessa ordinanza si legge che: «tutti i direttori generali regionali sono invitati ad adottare le misure necessarie per fermare immediatamente la trasmissione dei canali tv illegali nelle rispettive regioni»;
   Catholic Tv costituisce da 17 anni l'unica televisione cattolica del Pakistan e si occupa di diffondere film di ispirazione cristiana, documentari sulle attività della Chiesa locale, talk show e interviste. Le trasmissioni vengono diffuse dalla parrocchia di san Francesco di Lahore entro un raggio di 10 chilometri, a beneficio di 8 mila famiglie cattoliche;
   tale atto è lesivo del rispetto della libertà religiosa dei cittadini cristiani pakistani che nel Paese costituiscono una minoranza;
   a tal proposito si ricorda che il Parlamento si è impegnato più volte a promuovere attività tese alla tutela delle minoranze religiose anche al di fuori dei confini statali, in ossequio anche ai principi condivisi con la comunità internazionale;
   la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, proclamata il 10 dicembre 1948 dall'Assemblea generale delle Nazioni unite e sottoscritta anche dal Pakistan, all'articolo 18 recita che: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, in pubblico e in privato, la propria religione o il proprio credo, nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti»;
   nonostante tali principi siano riconosciuti a livello internazionale, fenomeni di intolleranza religiosa si stanno pericolosamente moltiplicando in diverse aree del mondo;
   la Costituzione del Pakistan, benché nominalmente difenda la libertà religiosa, prevede ancora l'esistenza di leggi come quelle sulla blasfemia, discriminatorie per chi non è musulmano;
   la diplomazia internazionale, in particolare l'Onu, assistono pressoché silenti alla persecuzione dei cristiani in Oriente e alla conseguente aggressione ai diritti umani che si sta concretizzando –:
   quali iniziative abbia portato avanti il Governo nelle competenti sedi europee e internazionali per la tutela della libertà religiosa nel mondo e se siano state rafforzate le politiche per la cooperazione internazionale – specialmente nei Paesi in cui le minoranze religiose sono pesantemente discriminate – al fine di favorire un cambiamento di attitudine nei Paesi in cui vengono alimentati, o in ogni caso non contrastati, l'odio e l'intolleranza;
   se si stia portando avanti un'attività di monitoraggio delle condizioni delle minoranze religiose nel mondo, al fine di poter operare un tempestivo intervento contro le intolleranze e i fanatismi religiosi di ogni genere;
   se, conseguentemente, siano state adottate iniziative per l'acquisizione di informazioni dirette sulle condizioni di vita delle comunità di minoranze religiose nel mondo e se siano stati avviati rapporti diretti con i rappresentanti di tali minoranze in Italia, al fine di realizzare interventi umanitari più efficaci;
   se siano state adottate presso il Governo del Pakistan, nel quadro dell'Unione europea o presso gli organismi internazionali, iniziative volte ad incoraggiare un'azione di rafforzamento del rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo e, in particolare, del diritto di libertà religiosa della comunità cristiana residente nel Paese. (3-02551)


Chiarimenti in merito alle procedure di infrazione europee in materia ambientale – 2-01562

D) Interpellanza

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   sull'Italia pendono ben 3 procedure di infrazione europea;
   la prima fu la procedura d'infrazione 2004/2034 (causa C 565/10): relativa agli agglomerati 10.000 a.e. che scaricano in aree cosiddette «sensibili», in ordine alla quale l'inadempienza dello Stato italiano è relativa agli obblighi di predisposizione dei sistemi di raccolta (direttiva 91/271/CEE, articolo 3) e dei sistemi di trattamento (articoli 4 e 10). La sentenza della Corte di giustizia del 19 luglio 2012 ha accertato la violazione da parte dello Stato italiano per 110 agglomerati;
   la seconda procedura d'infrazione 2009/2034 (causa C-85/13) è relativa allo stato di attuazione per gli agglomerati 2.000 a.e.; a seguito di questa procedura la sentenza della Corte di giustizia del 10 aprile 2014 ha accertato la violazione da parte dello Stato italiano per 41 agglomerati;
   la terza, partita all'inizio del 2014, è la 2014/2059, all'esito della raccolta di informazioni EU Pilot 1976/11/ENVI, relativamente agli agglomerati con carico generato superiore a 2.000 a.e.; essa riguarda la non conformità agli articoli 3, 4 e 5 per 883 agglomerati urbani e la non conformità all'articolo 5 per 55 aree sensibili;
   si apprende che l'Unione europea ha quantificato la sanzione relativa alla prima procedura di infrazione europea, sulla quale la Corte di giustizia si era espressa nel 2012. Oltre 62 milioni di euro di multa a titolo forfettario, più una sanzione supplementare di quasi 347 mila euro per ogni giorno di mancata applicazione di quanto imposto: questo il contenuto economico del nuovo ricorso contro l'Italia proposto da Bruxelles. Nel 2012 la Corte aveva stabilito che le autorità italiane stavano violando il diritto dell'Unione europea in quanto non avevano assicurato la raccolta e il trattamento adeguati dei liquami di scolo di 109 agglomerati urbani. Di conseguenza, ne aveva ordinato un'adeguata raccolta e trattamento, pena sanzioni. Alla perentoria indicazione è stato dato seguito solo in una minoranza di casi, cosicché oggi, a quattro anni di distanza, risultano essere ancora 80 i casi di violazione. Complessivamente, oltre sei milioni di persone risiedono nei centri abitati considerati dalla sentenza. La motivazione del nuovo deferimento dell'Italia risiede nel fatto che il mancato trattamento delle acque reflue «pone rischi significativi per la salute umana, le acque interne e l'ambiente marino». In particolare, viene posto l'accento sugli eccessivi contenuti di fosforo e di azoto negli scarichi, incriminati perché in grado di danneggiare sia le acque dolci che l'ambiente marino, favorendo la crescita eccessiva di alghe che finiscono col soffocare le altre forme di vita;
   fonti di stampa già annunciavano la notizia a metà settembre 2016, notizia che ora viene nuovamente confermata;
   fino all'approvazione del decreto-legge n. 113 del 2016 l'erogazione dei fondi previsti dall'articolo 7, comma 6, del cosiddetto «decreto sblocca Italia», per avviare i lavori di adeguamento dei depuratori, nonostante la nomina di diversi commissari, è stata bloccata per problemi burocratici, dovuti anche a lacune legislative come segnalato in diversi atti di sindacato ispettivo degli interpellanti e in ordini del giorno accolti –:
   se intendano fornire informazioni precise relativamente alla quantificazione delle sanzioni relative alla procedura di infrazione 2004/2034, sia in totale, sia relativamente alle singole regioni, e se trovi conferma che il pagamento delle sanzioni avverrà tramite la mancata erogazione di fondi europei alle singole regioni;
   se intendano fornire dati precisi sullo stato di avanzamento dei lavori di adeguamento richiamati in premessa a seguito del decreto-legge n. 113 del 2016.
(2-01562) «Daga, Villarosa, De Rosa, Terzoni, Micillo, Busto, Mannino, Zolezzi, Vignaroli».


Elementi ed iniziative in merito agli incentivi per la promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili – 3-03052

E) Interrogazione

   LATRONICO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili è regolata dalla direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, recepita dal nostro Paese con il decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE);
   il comma 1 dell'articolo 4 di detto decreto legislativo stabilisce che, al fine di favorire lo sviluppo delle fonti rinnovabili e il conseguimento, entro il 2020, degli obiettivi stabiliti relativamente alla quota complessiva di energia da fonti rinnovabili sul consumo finale lordo di energia e alla quota di energia da fonti rinnovabili in tutte le forme di trasporto, la costruzione e l'esercizio di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili siano disciplinati secondo speciali procedure amministrative semplificate, accelerate, proporzionate e adeguate, sulla base delle specifiche caratteristiche di ogni singola applicazione;
   il 23 giugno 2016 il Ministero dello sviluppo economico emanava il decreto «Incentivazione dell'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili diverse dal fotovoltaico»;
   tale decreto, anziché semplificare, ha aperto numerosi dubbi interpretativi (in particolar modo, l'articolo 5), che hanno portato all'apertura di diversi contenzioni di fronte del tribunale amministrativo regionale del Lazio;
   a seguito dell'intervento delle associazioni di settore (Anev, Cpem e altre) il Gestore dei servizi energetici (Gse) sta per emanare una circolare esplicativa;
   il citato decreto ministeriale estende gli incentivi previsti dalla normativa vigente al 29 giugno 2017 (purché gli impianti siano entrati in esercizio entro tale data) e comunque fino al raggiungimento del tetto massimo stanziato pari a 5,8 miliardi di euro annui;
   fino al 1o dicembre 2017 vengono assicurati incentivi molto più bassi (si passa da 268 euro megawatt a 190 megawatt);
   come comunicato dal Gestore dei servizi energetici, il costo indicativo cumulato di tutte le tipologie di incentivo degli impianti a fonte rinnovabile è passato da quasi 5,8 miliardi di euro del 2016 agli attuali 5,4 miliardi di euro, con proiezione al 2020 a 5,2 miliardi di euro;
   da quanto appreso dall'interrogante, risulterebbe che l’iter procedurale con E-distribuzione, la società del gruppo Enel che si occupa della distribuzione di energia elettrica in Italia, non è inferiore ai dieci mesi, per colpa delle centinaia di domande di allaccio presentate, cui gli attuali organici della società non sono in grado di far fronte, anche a causa del temporaneo trasferimento di molti dirigenti e tecnici in Abruzzo per la recente drammatica emergenza sismica;
   tale situazione rischia di non consentire la certezza degli allacci entro il 29 giugno 2017, in particolare di moltissimi impianti del cosiddetto «mini-eolico», con il concreto rischio di danneggiare una vasta platea di piccoli investitori;
   ad oggi, inoltre, ancora nulla si sa sugli incentivi per il triennio 2018/2020, rendendo, quindi, ulteriormente incerto il futuro di un settore che vede impegnate molte aziende italiane e conta diverse migliaia di addetti, con il rischio concreto che il Paese non raggiunga le quote minime di energia da fonte rinnovabile concordate a livello comunitario –:
   se non ritenga di dover quanto prima assumere iniziative per provvedere al rinnovo, almeno fino al 31 dicembre 2017, dell'attuale entità dell'incentivo o, quantomeno, prospettare una soluzione per chi, per cause indipendenti dalla sua volontà, si trova nelle situazioni riportate in premessa;
   se si intenda adottare quanto prima il decreto ministeriale per il triennio 2018/2020 al fine di assicurare un periodo relativamente lungo, necessario agli imprenditori per poter programmare gli investimenti. (3-03052)


DISEGNO DI LEGGE: CONVERSIONE IN LEGGE DEL DECRETO-LEGGE 25 GIUGNO 2017, N. 99, RECANTE DISPOSIZIONI URGENTI PER LA LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA DI BANCA POPOLARE DI VICENZA S.p.A. E DI VENETO BANCA S.p.A. (A.C. 4565)

A.C. 4565 – Questioni pregiudiziali

QUESTIONI PREGIUDIZIALI

  La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 25 giugno 2017, n. 99, reca disposizioni urgenti per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca e per l'adozione di misure pubbliche preposte alla ordinaria fuoriuscita dal mercato delle medesime banche nel contesto di una speciale procedura di insolvenza;
    nell'ambito della procedura di insolvenza prevista ad hoc il Ministero dell'economia e delle finanze è autorizzato a effettuare i seguenti interventi:
     a) concessione della garanzia dello Stato – autonoma e a prima richiesta – sull'adempimento da parte delle banche in liquidazione:
      1) degli obblighi derivanti dal finanziamento erogato dal cessionario a copertura dello sbilancio di cessione. In tal caso la garanzia potrà essere concessa per un importo massimo di 5.351 milioni di euro elevabile a 6.351 milioni di euro a seguito della due diligence sul compendio ceduto secondo quanto previsto nel contratto di cessione e ai sensi dell'articolo 1349 del codice civile;
      2) degli obblighi di riacquisto dei crediti ad alto rischio non classificati come attività deteriorate per un importo massimo di 4.000 milioni di euro;
     b) erogazione di un supporto finanziario al cessionario a fronte del fabbisogno di capitale per un importo massimo di 3.500 milioni di euro;
     c) concessione della garanzia dello Stato – autonoma e a prima richiesta – sull'adempimento degli obblighi a carico delle banche in liquidazione derivanti da impegni e garanzie concesse dalle medesime nel contratto di cessione per un importo massimo pari alla somma dell'importo di 1.500 milioni di euro e del risultato della differenza tra il valore dei contenziosi pregressi, per il quale è previsto un accantonamento a fondo rischi per un importo massimo di 491 milioni di euro;
     d) erogazione al cessionario di risorse a sostegno di misure di ristrutturazione aziendale per un importo massimo di 1.285 milioni di euro;
    il decreto-legge in esame nel delineare la speciale procedura di liquidazione coatta amministrativa introduce diverse deroghe. In particolar modo:
     a) la continuazione dell'esercizio dell'attività d'impresa o di determinati rami di attività nel periodo antecedente le cessioni è disposta in deroga alle disposizioni in materia di autorizzazioni e pareri della Banca d'Italia e del Comitato di Sorveglianza di cui all'articolo 90, comma 3, del decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385 e successive modificazioni ed integrazioni;
     b) la cessione dell'azienda, dei relativi rami, nonché beni, diritti e rapporti giuridici ed altresì attività e passività avviene in deroga:
      1) alla preposta disciplina in materia di cessione di rapporti giuridici di cui all'articolo 58, commi 1, 2, 4, 5, 6, e 7 del decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385 e successive modificazioni ed integrazioni;
      2) alla disciplina in materia di liquidazione dell'attivo di cui all'articolo 90, comma 2, del decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385 e successive modificazioni ed integrazioni;
     c) le disposizioni del contratto di cessione hanno efficacia verso i terzi dalla pubblicazione da parte della Banca d'Italia sul proprio sito della notizia di cessione senza alcun altro adempimento disposto dalla normativa vigente e quindi in deroga alle disposizioni in materia di pubblicità notizia o dichiarativa e previste dagli articoli 1264, 2022, 2355, 2470, 2525, 2556 e 2559 del codice civile e dall'articolo 58, comma 2, del decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385 e successive modificazioni ed integrazioni. Altresì si attribuisce l'efficacia ex articolo 1264 alla pubblicazione della cessione sul sito della Banca d'Italia;
     d) il cessionario risponde dei soli debiti oggetto di cessione e non è obbligato solidamente con il cedente ai sensi dell'articolo 33 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231;
    altresì è esclusa l'applicazione delle seguenti disposizioni:
     1) l'articolo 6 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192;
     2) l'articolo 29, comma 1-bis, della legge 27 febbraio 1985, n. 52;
     3) l'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380;
     4) gli articoli 36 e 38 della legge 27 luglio 1978, n. 392;
     5) le nullità di cui agli articoli 46 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 e 40, comma 2, della legge 28 febbraio 1985, n. 47;
     6) le ipotesi di nullità previste dalla vigente disciplina in materia urbanistica, ambientale o relativa ai beni culturali e qualsiasi altra normativa nazionale o regionale, comprese le regole dei piani regolatori o del governo del territorio degli enti locali e le pianificazioni di altri enti pubblici che possano incidere sulla conformità urbanistica, edilizia, storica ed architettonica dell'immobile;
    infine, qualora dalla cessione derivi una concentrazione non disciplinata dal Regolamento CE n. 139/2004 del Consiglio del 20 gennaio 2004, la medesima si intende autorizzata in deroga alle procedure previste dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287;
    la speciale procedura disciplinata dal decreto-legge in esame e disposta in deroga alla richiamata normativa rappresenta una irragionevole disparità di trattamento censurabile ai sensi dell'articolo 3 della Costituzione. Si precisa che la necessità di tutelare specifiche esigenze connesse alla stabilità del sistema bancario e finanziario complessivo non giustifica di per sé un trattamento ad hoc per Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza. Si evidenzia altresì che per la risoluzione della crisi di Banca delle Marche, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio di Chieti è stata seguita una procedura speciale che sia sul piano formale che sostanziale risulta essere differente rispetto alla procedura delineata dal presente decreto-legge e dalla quale sono derivati maggiori pregiudizi per i relativi clienti-risparmiatori;
    le misure di condivisione dei rischi a carico dei risparmiatori retail implicano la violazione dell'articolo 47 della Costituzione preposto alla tutela del risparmio in tutte le sue forme e alla disciplina, al coordinamento ed al controllo dell'esercizio del credito. Altresì le limitazioni di carattere giurisdizionale connesse alle misure di ristoro di cui all'articolo 6 implicano una violazione del diritto di difesa di cui all'articolo 24 della Costituzione;
    la problematica del misselling dei prodotti finanziari distribuiti a risparmiatori retail privi di un adeguato profilo di rischio prescinde da ogni genere di presunzione di conoscenza degli strumenti finanziari che si fa risalire alla data del 12 giugno 2014, data di entrata in vigore della Direttiva 2014/59/UE «BRRD». Ogni genere di limitazione contemplata dal decreto-legge in esame relativo al ristoro predisposto ex post le misure di condivisione dei rischi rappresenta un'ulteriore violazione dell'articolo 47 della Costituzione preposto alla tutela del risparmio in tutte le sue forme;
    dalla speciale procedura di liquidazione di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca disposta in favore di Banca Intesa San Paolo deriva la nascita ex lege di un gruppo bancario con 47 miliardi di euro di patrimonio, 433 miliardi di euro di raccolta diretta, 410 miliardi di euro di impieghi alla clientela e 6.100 sportelli bancari in violazione della preposta normativa, nazionale ed europea, a tutela della concorrenza implicando conseguentemente la violazione del principio a tutela della libertà di iniziativa economica privata sancita dall'articolo 41 della Costituzione,

delibera

di non procedere all'esame del disegno di legge n. 4565.
N. 1. Sibilia, Cecconi, Pesco, Villarosa, Alberti, Ruocco, Pisano.

  La Camera,
   premesso che:
    il disegno di legge in esame reca la «Conversione in legge del decreto-legge 25 giugno 2017, n. 99, recante disposizioni urgenti per la liquidazione coatta amministrativa di Banca popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A.»;
    il ricorso alla decretazione d'urgenza si configura ormai da anni come una forma di sbilanciamento e di forzatura degli equilibri previsti dal dettato costituzionale vigente che ha spostato di fatto in capo al Governo ogni potere regolatorio e imposto una compressione dei poteri legislativi delle Camere. Il continuo e reiterato uso della decretazione d'urgenza come normale prassi legislativa, già più volte utilizzata da un Governo insediatosi da meno di un anno e più volte censurata dai richiami del Capo dello Stato e da numerose sentenze della Corte Costituzionale che hanno sollecitato il ripristino di un corretto percorso costituzionale, produce, da un lato, un vulnus all'articolo 70 della Carta costituzionale, che affida la funzione legislativa, collettivamente, alle due Camere, e, dall'altro lato, uno svuotamento e una mortificazione del ruolo del Parlamento e dei parlamentari. Il decreto-legge, infatti, comporta anche l'imposizione di termini temporali insufficienti per l'esame parlamentare e per l'attività emendativa, imponendo modalità che precludono un approfondimento consapevole da parte del Legislatore;
    basti qui ricordare, ex multis, la sentenza n. 171 del 2007 nella quale la Corte stabilisce la illegittimità costituzionale dell'articolo 7, comma 1, lettera a), del decreto-legge n. 80 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 140 del 2004, per mancanza dei requisiti di necessità ed urgenza, e la sentenza n. 128 del 2008 che puntualizza l'evidente mancanza dei presupposti fattuali e la disomogeneità dei decreti-legge. Inoltre l'illegittimità costituzionale del procedimento legislativo non viene sanata dalla legge di conversione che, secondo la richiamata giurisprudenza, è a sua volta incostituzionale per un vizio del procedimento;
    spesso l'utilizzo della normativa d'urgenza trova una giustificazione soltanto politica: il Governo, infatti, utilizza lo strumento del decreto-legge solo perché un disegno di legge avrebbe tempi per l'approvazione definitiva troppo lunghi; è palese quindi che il Governo operi nella piena consapevolezza di travalicare i limiti costituzionali esclusivamente perché incapace di trovare una maggioranza parlamentare coesa;
    in particolare, l'attuale Esecutivo ha già fatto un uso larghissimo della decretazione d'urgenza emanando circa 2,2 decreti-legge al mese e confermando che, in questa, come nella precedente Legislatura, i disegni di legge dell'Esecutivo godono di una posizione di favore rispetto a quelle di iniziativa parlamentare, sia in termini di numero che nei tempi utili alla conclusione dell'esame. Un disegno di legge ordinario, anche governativo, esaminato in tempi utili, non soltanto avrebbe evitato il decreto-legge n. 89 del 16 giugno 2017 con il quale è stato sospeso, per sei mesi, il pagamento di 150.000.000 di euro di obbligazioni subordinate emesse da Veneto Banca in scadenza il 21 giugno, ma avrebbe anche dato la possibilità di trovare una soluzione più idonea;
    in questo caso, il provvedimento in oggetto reca disposizioni per la liquidazione coatta amministrativa di Banca popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A., ma da tempo si richiedeva un intervento che scongiurasse il rischio di default e tutelasse interamente i risparmiatori. Il Governo, dal canto suo, avendo esitato troppo, si è invece ritrovato nella necessità di dover regolare con decretazione d'urgenza una situazione ormai insostenibile e improcrastinabile, accettando, tra l'altro, le condizioni imposte da Banca Intesa nella stessa giornata in cui il Consiglio dei Ministri ha poi licenziato il decreto-legge, al fine di scongiurare il fallimento imminente e permettere che gli sportelli delle banche interessate potessero riaprire il lunedì seguente;
    nonostante il decreto-legge in oggetto rechi misure di immediata applicazione e rispetti i requisiti di omogeneità, specificità e di corrispondenza al titolo, come previsto dal comma 3 dell'articolo 15 della legge 23 agosto 1988, n. 400, lo stesso decreto presenta diversi profili di criticità in ordine al rispetto dei profili di costituzionalità;
    nel merito, il provvedimento, come già detto, reca disposizioni per la liquidazione coatta amministrativa di Banca popolare di Vicenza S.p.A e di Veneto Banca S.p.A., ma secondo una speciale procedura d'insolvenza, poiché, come si legge nella relazione illustrativa, «l'ordinaria procedura di liquidazione in forma atomistica determinerebbe gravissimi pregiudizi per l'economia»;
    il salvataggio delle banche venete, come concepito in questo provvedimento, ossia tramite liquidazione nazionale, può costituire, quindi, un «precedente per favorire aggiramenti delle regole in futuro», come anche osservato, in sede di audizione presso la VI Commissione del Senato, da un membro del consiglio di Vigilanza della Bce;
    il Governo, nella relazione illustrativa, sostiene che «(...) in assenza di misure pubbliche di sostegno, la sottoposizione di Banca Popolare di Vicenza S.p.A e Veneto Banca S.p.A a liquidazione coatta amministrativa comporterebbe la distruzione di valore delle aziende bancarie coinvolte, con conseguenti gravi perdite per i creditori non professionali chirografari, che non sono protetti né preferiti, e imporrebbe una improvvisa cessazione dei rapporti di affidamento creditizio per imprese e famiglie, con conseguenti forti ripercussioni negative sul tessuto produttivo e di carattere sociale nonché occupazionali (...)»;
    in realtà, con questa speciale procedura, nonostante siano tutelati i correntisti (anche quelli con depositi sopra i 100 mila euro), che diventeranno correntisti di Banca Intesa, non vengono tutelati gli azionisti, coinvolgendo circa 88 mila risparmiatori per Veneto Banca e 111 mila per Banca popolare di Vicenza, tra cui coloro che sono stati indotti ad acquistare azioni delle banche in connessione con la sottoscrizione di un mutuo o di un prestito. I risparmiatori non istituzionali che hanno sottoscritto obbligazioni subordinate senior saranno rimborsati dal Fondo di solidarietà e da un contributo di Banca Intesa, ma questi clienti retail potranno fare richiesta di rimborso, entro il 30 settembre, soltanto se in possesso di titoli acquistati prima del 12 giugno 2014 (data della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea del testo della direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento, cosiddetta direttiva BRRD) e soltanto «nell'ambito di un rapporto negoziale diretto con le medesime banche emittenti», lasciando fuori chi ha comprato da un'altra banca o da un promotore finanziario;
    il provvedimento quindi viola palesemente l'articolo 3 del dettato costituzionale in quanto prevede disparità di trattamento per cittadini nella stessa condizione giuridica, poiché discrimina in senso negativo gli azionisti, che vedranno azzerato il loro capitale, e i sottoscrittori delle obbligazioni subordinate acquistate dopo il 12 giugno 2014. Ancor più grave in questo senso è l'indebolimento arbitrario dei diritti di chi ha intrapreso azioni giudiziarie contro le due banche sottoposte a liquidazione o, peggio, di chi ha già visto riconosciuto un diritto al risarcimento e potrebbe essere vittima, grazie a questo decreto, di una revocatoria da parte del liquidatore;
    il continuo uso della decretazione d'urgenza nello stesso settore potrebbe prefigurare addirittura la fattispecie della reiterazione del decreto-legge, già condannata severamente dalla Corte costituzionale, e che, sicuramente, non ha soltanto introdotto nel nostro ordinamento una serie di modifiche ordinamentali irrazionali e disorganiche, ma ha anche attuato interventi precipitosi, causando l'azzeramento di diversi milioni di risparmi dei clienti delle diverse banche interessate. Si è partiti dal decreto-legge del 24 gennaio 2015, n. 3, intervenuto a riformare una consistente parte del sistema creditizio nazionale, quello della banche popolari, violando palesemente il coordinato disposto degli articoli 41, 45 e 47 della Costituzione, poiché non ha tenuto in nessun conto l'effettivo ruolo svolto dalle banche popolari come enti di partecipazione e di aggregazione delle realtà economiche e sociali presenti sul territorio; in seguito, il decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18, riformando le banche di credito cooperativo, ha continuato ad intaccare la tutela del risparmio, soprattutto delle fasce più svantaggiate della popolazione, inficiando, al contempo, i principi di utilità sociale e carattere mutualistico, costituzionalmente garantiti dall'articolo 45, delle banche cooperative; e ancora il decreto-legge 22 novembre 2015, n. 183, recante disposizioni urgenti per il settore creditizio, poi confluito nella legge di stabilità 2016 (legge n. 180 del 2015) che ha fatto ricadere l'onere della risoluzione di CariChieti, BancaEtruria, Banca Marche e Carige, oltre che sugli azionisti, sui titolari di obbligazioni subordinate delle quattro banche, coinvolgendo circa 140 mila persone alle quali sono stati sottratti tutti i risparmi. Il decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, ha previsto, poi, un indennizzo forfettario per questi risparmiatori, ma pari soltanto all'80 per cento del corrispettivo pagato per l'acquisto, con limitazioni, per lo più arbitrarie, norme capestro ed un complicato procedimento per accedervi. Simili decreti presentano dunque una palese violazione degli articoli costituzionali che proteggono il risparmio, in particolare dell'articolo 47 che «incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme»;
    in questo caso, la violazione degli articoli 45 e 47 parrebbe aggravata dal fatto che Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca erano già state interessate dal decreto-legge 24 gennaio 2015, n. 3, essendo state obbligate a trasformarsi in società per azioni;
    si ricordi, in questa sede, la sospensione, da parte del Consiglio di Stato, dell'efficacia della circolare della Banca d'Italia che contiene le misure attuative per la trasformazione delle banche popolari in società per azioni, in attesa della pronuncia della Corte costituzionale sulla legittimità della riforma stessa;
    sulla limitazione del diritto di recesso per i soci, secondo il Consiglio di Stato, la suddetta circolare della Banca d'Italia presenta «profili di non manifesta infondatezza» di legittimità costituzionale e «appare affetta da vizi derivati nella parte in cui disciplina l'esclusione del diritto al rimborso». Inoltre, «i provvedimenti impugnati e la disciplina legislativa sulla cui base sono stati adottati incidono direttamente su prerogative relative allo status di socio della banca popolare, presentando così profili di immediata lesività»;
    in questo pronunciamento del Consiglio di Stato è chiaro il riferimento alle vicende che hanno coinvolto oltre 200.000 soci-risparmiatori di Veneto Banca e Banca popolare di Vicenza;
    attualmente, la trasformazione della Popolare di Sondrio e della Popolare di Bari sono rimaste congelate in attesa della decisione della Corte costituzionale, con palese pregiudizio dei principi della certezza del diritto e, ancora una volta, dell'uguaglianza fra i risparmiatori dei diversi istituti, per i quali sono previsti di fatto dei trattamenti di volta in volta differenziati, a seconda dei casi o delle contingenze, nonostante si trovino nella stessa condizione giuridica;
    la presunta giustificazione apportata a questo provvedimento della necessità di garantire la continuità aziendale, viola, inoltre, il principio costituzionale della libera iniziativa economica, prevista dall'articolo 41, primo comma, del testo costituzionale. L'Esecutivo interviene, ancora una volta, e per la seconda volta in un mese, nel rapporto tra privati, abusando del proprio potere, al fine di prevedere una disciplina speciale, come già detto, nonostante il nostro ordinamento già preveda opportune procedure in caso di insolvenza di una società privata e, soprattutto, una speciale procedura in caso di istituti bancari, come stabilito dal decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, che attua la direttiva BRRD;
    si ricorda che l'interpretazione prevalente dell'articolo 41, accolta anche dalla Corte costituzionale, riguarderebbe anche l'autonomia contrattuale. Inoltre, in base al dettato costituzionale del secondo comma dell'articolo 41, l'iniziativa economica privata «non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale né recare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana»; corollario di tale interpretazione sarebbe appunto quello dell'inopportunità di simili interventi statali nel settore privato, quand'anche l'ordinamento preveda già strumenti più idonei;
    con il passaggio degli asset positivi a Banca Intesa, inoltre, quest'ultima sommerà ai suoi già 800 sportelli di Cassa Risparmio del Veneto, i circa 900 sportelli delle due banche poste in liquidazione, alterando, di fatto, la concorrenza in un settore delicato come quello bancario in una intera regione strategica, dal punto di vista economico, per il Paese: una simile fattispecie viola il titolo VII del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, in cui, agli articoli 101 e seguenti, si stabilisce il principio della libera concorrenza all'interno del mercato interno, incluso il divieto di sfruttamento di posizione dominante che di fatto si configura a favore di Banca Intesa come corollario di questo decreto. I trattati dell'Unione europea, essendo fonti europee di diritto primario, costituiscono necessariamente fonti di rango costituzionale in virtù dell'articolo 11 della nostra Costituzione che permette limitazioni di sovranità a cui il nostro ordinamento non può derogare,

delibera

di non procedere all'esame del disegno di legge n. 4565.
N. 2. Busin, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti.

  La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame dispone la conversione in legge del decreto-legge 25 giugno 2017, n. 99, recante «disposizioni urgenti per la liquidazione coatta amministrativa di Banca Popolare di Vicenza S.p.A. e di Veneto Banca S.p.A.»;
    l'intervento si è reso necessario in seguito alla dichiarazione della Banca Centrale Europea dello scorso 23 giugno 2017 con la quale è stato ufficializzato lo stato di dissesto dei due istituti, e dopo che il Comitato di risoluzione ha ritenuto non applicabile la procedura di risoluzione, ritenendo insussistente l'interesse pubblico che ne deve motivare l'adozione;
    la procedura di liquidazione disciplinata dal provvedimento in esame prevede la contestuale adozione di misure di aiuto pubblico, motivate, come riporta la relazione illustrativa, dalla constatazione che «l'ordinaria procedura di liquidazione in forma atomistica determinerebbe gravissimi pregiudizi per l'economia: è quindi opportuno individuare una soluzione che consenta di gestire la crisi dei due gruppi con strumenti aggiuntivi rispetto a quelli previsti dal testo unico bancario»;
    con tale provvedimento, quindi, il Governo ha scelto ancora una volta di ricorrere al bilancio pubblico per far fronte alla crisi di alcuni istituti bancari, posto che le risorse del fondo ivi previsto saranno finanziate a debito sul bilancio dell'anno in corso;
    infatti, le risorse necessarie a copertura degli interventi previsti dal decreto-legge in esame, allo stato quantificati in quattro miliardi di euro, sono reperite a valere sui venti miliardi messi a disposizione dal cd. decreto salva-risparmio, ottenuti ricorrendo a un maggiore indebitamento di pari importo previa autorizzazione del Parlamento;
    tali risorse, tuttavia, avrebbero dovuto essere interamente destinate a operazioni di ricapitalizzazione precauzionale, vale a dire operazioni che dopo l'intervento dello Stato dovrebbero riportare le banche sul mercato permettendo al Ministero dell'economia e delle finanze di rientrare dall'investimento, mentre con il presente provvedimento vengono «distratte» a favore di una procedura di liquidazione coatta amministrativa, ben diversa dalla ricapitalizzazione precauzionale, nella quale le bad bank dovranno gestire i crediti deteriorati o in difficoltà, probabili produttori di minusvalenze anche rispetto alle svalutazioni già operate nei bilanci delle due banche;
    inoltre, dalla lettura della normativa proposta emerge una situazione di assoluta incertezza riguardo le possibilità e le modalità di ottenimento di un risarcimento per i soggetti vittima degli illeciti;
    non sono, infatti, disciplinate le ipotesi o modalità di successione nei rapporti processuali pendenti tra i risparmiatori e le banche, né si definisce se il comparto gestito dalla Società di gestione amministrativa succederà nelle responsabilità per gli illeciti commessi dagli istituti, con la possibilità di essere chiamata quale responsabile civile nel processo penale;
    inoltre, il combinato disposto tra la normativa vigente e le previsioni contenute nel decreto-legge in esame sta determinando l'estinzione per improcedibilità dei procedimenti giudiziali già avviati in sede civile e volti ad ottenere il ristoro del danno patito da numerosi risparmiatori;
    la mancata tutela accordata ai risparmiatori caduti vittima della cattiva gestione dei due istituti bancari e delle attività illecite poste in essere attraverso di essi lede non solo il principio costituzionale della tutela del risparmio, qui vanificata per ben due volte, sia dalla inaffidabilità delle banche sia dal presente intervento normativo, ma anche quello di uguaglianza, sancito dall'articolo 3;
    mentre, infatti, saranno tutelati i correntisti, che lo diventeranno presso la Banca acquirente, non saranno tutelati i circa duecentomila azionisti, piccoli risparmiatori perlopiù «costretti» ad acquistare azioni in concomitanza della sottoscrizione di un mutuo o di un prestito;
    il decreto-legge in esame è stato approvato in Consiglio dei ministri appena nove giorni dopo quello contenente gli «interventi urgenti per assicurare la parità di trattamento dei creditori nel contesto di una ricapitalizzazione precauzionale la tutela del risparmio» in tale settore e a sua volta intervenuto per modificare il decreto-legge n. 237 del 2016, volto a garantire «la tutela del risparmio nel settore creditizio»;
    tale sequenza, rispetto alla quale gli atti citati sono solo una parte, dimostra come il Governo stia intervenendo con sempre maggiore frequenza nella crisi del sistema bancario, e come l'adozione di continui atti normativi d'urgenza stia creando un panorama normativo assai confuso e iniquo, posto che si applicano soluzioni diverse a problematiche di analoga natura;
    la materia del credito e della sua tutela trova specifico riconoscimento nella nostra Costituzione e l'adozione da parte del Governo dell'ennesimo decreto-legge in materia è solo l'ennesima conferma della deprecabile prassi di sottrarre la regolamentazione di una materia tanto delicata ad un approfondito esame in Parlamento, intervenendo, peraltro, sempre su casi specifici e non adottando le necessarie norme di riforma del settore del credito;
    occorre realizzare equità di trattamento nei confronti dei risparmiatori di tutte le banche coinvolte in situazioni di dissesto finanziario, mentre oggi, in Italia, l'unica certezza che tutti i cittadini italiani hanno è quella che i propri risparmi, magari i risparmi di una vita, non sono al sicuro da errori o addirittura da illeciti commessi da coloro che hanno responsabilità precise nella gestione degli stessi e che alcuno pagherà le conseguenze di questo ma, anzi, che potrebbero addirittura ricadere su di loro nel ruolo di onesti contribuenti;
    la nostra Carta costituzionale non ammette discriminazioni e non permette che ci possono essere trattamenti di serie A o di serie B, così come non consente una violazione del disposto di cui all'articolo 47, che tutela il risparmio in tutte le sue forme;
    la gestione del sistema del credito non può funzionare secondo uno schema in cui le banche sono private quando devono erogare prestiti in assenza delle necessarie garanzie, quando compiono operazioni finanziarie ad alto rischio con il denaro degli investitori o quando devono distribuire utili e bonus milionari ai propri dirigenti, ma divengono di interesse nazionale non appena affrontano una crisi di insolvenza e si rende necessario intervenire con fondi pubblici per il loro risanamento,

delibera

di non procedere all'esame del disegno di legge n. 4565.
N. 3. Rampelli, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Murgia, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro.

PROPOSTA DI LEGGE: SERENI ED ALTRI: MODIFICHE ALLA LEGGE 20 DICEMBRE 2012, N. 238, PER IL SOSTEGNO E LA VALORIZZAZIONE DEL FESTIVAL UMBRIA JAZZ (A.C. 4102-A)

A.C. 4102-A – Parere della I Commissione

PARERE DELLA I COMMISSIONE SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

NULLA OSTA

sugli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1.

A.C. 4102-A – Parere della V Commissione

PARERE DELLA V COMMISSIONE SUL TESTO DEL PROVVEDIMENTO E SULLE PROPOSTE EMENDATIVE PRESENTATE

Sul testo del provvedimento in oggetto:

PARERE FAVOREVOLE

Sugli emendamenti trasmessi dall'Assemblea:

PARERE CONTRARIO

sull'emendamento 1.1, in quanto suscettibile di determinare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica privi di idonea quantificazione e copertura;

NULLA OSTA

sulle restanti proposte emendative.

A.C. 4102-A – Articolo unico

ARTICOLO UNICO DELLA PROPOSTA DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE

Art. 1.

  1. All'articolo 2, comma 1, della legge 20 dicembre 2012, n. 238, le parole: «e della Fondazione Romaeuropa Arte e Cultura per la realizzazione del Romaeuropa Festival» sono sostituite dalle seguenti: «, della Fondazione Romaeuropa Arte e Cultura per la realizzazione del Romaeuropa Festival e della Fondazione di partecipazione “Umbria Jazz”».
  2. All'onere derivante dall'attuazione della presente legge, pari a un milione di euro annui a decorrere dall'anno 2017, si provvede mediante corrispondente riduzione delle risorse di parte corrente del Fondo unico per lo spettacolo, di cui all'articolo 1 della legge 30 aprile 1985, n. 163.
  3. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

PROPOSTE EMENDATIVE RIFERITE ALL'ARTICOLO UNICO DELLA PROPOSTA DI LEGGE

ART. 1.

  Al comma 1, sostituire le parole: e della Fondazione di partecipazione «Umbria jazz» con le seguenti:, della Fondazione di partecipazione «Umbria jazz» e della Deputazione teatrale Teatro Marrucino di Chieti.

  Conseguentemente, al comma 2, sostituire le parole: un milione con le seguenti: due milioni.
1. 1. Fabrizio Di Stefano.
(Inammissibile)

  Al comma 2, sostituire le parole da: delle risorse fino alla fine del comma, con le seguenti: dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2017-2019, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al medesimo Ministero.
1. 2. Nicchi, Bossa, Scotto.

A.C. 4102-A – Ordine del giorno

ORDINE DEL GIORNO

   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame, prevede lo stanziamento di risorse volte al sostegno e alla valorizzazione del festival Umbria Jazz;
    si prevede in particolare l'erogazione di un contributo annuale alla Fondazione di partecipazione Umbria Jazz, che è attualmente beneficiaria di contributi a valere sul Fondo unico per lo spettacolo (FUS), e che ha lo scopo di assicurare la continuità della manifestazione umbra, attraverso la realizzazione di tutte le iniziative necessarie per lo sviluppo e la diffusione della medesima manifestazione;
    seppure può sollevare qualche perplessità l'utilizzo, forse troppo frequente di modalità di finanziamenti erogati « una tantum» o comunque erogati al di fuori dalla normale modalità di finanziamento (in questo caso il FUS) prevista dalla normativa vigente, rimane il fatto che questo ulteriore finanziamento rappresenta comunque il giusto riconoscimento per il mondo della musica jazz e per il Festival Umbria Jazz, che è l'unico festival italiano membro dell’International Jazz Festival Organization, che associa le sedici principali manifestazioni del settore nel mondo; peraltro Umbria Jazz, così come tutto il jazz italiano, sia stata per anni ampiamente sottodimensionata nelle risorse statali ad essa assegnate;
    rimane comunque il fatto che è tutto il settore della musica e in particolare di quella jazz, ad essere troppo spesso «trascurato»;
    il livello qualitativo e quantitativo in questi anni è molto cresciuto. Si sono moltiplicati i soggetti organizzatori, sono cresciuti i concerti ed anche il pubblico si attesta su dati tutt'altro che trascurabili: 4500 concerti ogni anno per 600.000 spettatori paganti (dati dell'annuario Siae). La creatività del jazz italiano è riconosciuta in tutto il mondo grazie al lavoro di musicisti da tempo ospiti nei principali festival del mondo, in cui occupano posizioni di prestigio;
    festival e rassegne di jazz stanno crescendo per quanto riguarda obiettivi e seguito di pubblico. Occorre però aiutarli a confermare questa crescita permettendogli di lavorare con continuità e con previsioni di risorse attendibili. La potenzialità è enorme, come accaduto all'Aquila in questi anni quando, su un obiettivo di solidarietà molto importante, tutti i musicisti di jazz hanno partecipato gratuitamente ad un evento di cui si sta parlando in tutto il mondo,

impegna il Governo:

   a incrementare e rendere certe e stabili nel tempo le risorse assegnate ai festival e alle rassegne di jazz;
   ad attuare tutte le iniziative utili volte a favorire la crescita della musica jazz e di qualità, e ad incentivare tra l'altro la musica dal vivo e l'impiego di giovani talenti, anche attraverso snellimenti burocratici troppo spesso eccessivi, e la riduzione di costi di gestione e di autorizzazione attualmente troppo spesso scoraggianti.
9/4102-A/1Nicchi, Bossa, Scotto.


   La Camera,
   premesso che:
    il provvedimento in esame, prevede lo stanziamento di risorse volte al sostegno e alla valorizzazione del festival Umbria Jazz;
    si prevede in particolare l'erogazione di un contributo annuale alla Fondazione di partecipazione Umbria Jazz, che è attualmente beneficiaria di contributi a valere sul Fondo unico per lo spettacolo (FUS), e che ha lo scopo di assicurare la continuità della manifestazione umbra, attraverso la realizzazione di tutte le iniziative necessarie per lo sviluppo e la diffusione della medesima manifestazione;
    seppure può sollevare qualche perplessità l'utilizzo, forse troppo frequente di modalità di finanziamenti erogati « una tantum» o comunque erogati al di fuori dalla normale modalità di finanziamento (in questo caso il FUS) prevista dalla normativa vigente, rimane il fatto che questo ulteriore finanziamento rappresenta comunque il giusto riconoscimento per il mondo della musica jazz e per il Festival Umbria Jazz, che è l'unico festival italiano membro dell’International Jazz Festival Organization, che associa le sedici principali manifestazioni del settore nel mondo; peraltro Umbria Jazz, così come tutto il jazz italiano, sia stata per anni ampiamente sottodimensionata nelle risorse statali ad essa assegnate;
    rimane comunque il fatto che è tutto il settore della musica e in particolare di quella jazz, ad essere troppo spesso «trascurato»;
    il livello qualitativo e quantitativo in questi anni è molto cresciuto. Si sono moltiplicati i soggetti organizzatori, sono cresciuti i concerti ed anche il pubblico si attesta su dati tutt'altro che trascurabili: 4500 concerti ogni anno per 600.000 spettatori paganti (dati dell'annuario Siae). La creatività del jazz italiano è riconosciuta in tutto il mondo grazie al lavoro di musicisti da tempo ospiti nei principali festival del mondo, in cui occupano posizioni di prestigio;
    festival e rassegne di jazz stanno crescendo per quanto riguarda obiettivi e seguito di pubblico. Occorre però aiutarli a confermare questa crescita permettendogli di lavorare con continuità e con previsioni di risorse attendibili. La potenzialità è enorme, come accaduto all'Aquila in questi anni quando, su un obiettivo di solidarietà molto importante, tutti i musicisti di jazz hanno partecipato gratuitamente ad un evento di cui si sta parlando in tutto il mondo,

impegna il Governo:

   compatibilmente con le esigenze della finanza pubblica:
    a incrementare e rendere certe e stabili nel tempo le risorse assegnate ai festival e alle rassegne di jazz;
    ad attuare tutte le iniziative utili volte a favorire la crescita della musica jazz e di qualità, e ad incentivare tra l'altro la musica dal vivo e l'impiego di giovani talenti, anche attraverso snellimenti burocratici troppo spesso eccessivi, e la riduzione di costi di gestione e di autorizzazione attualmente troppo spesso scoraggianti.
9/4102-A/1. (Testo modificato nel corso della seduta).  Nicchi, Bossa, Scotto.


MOZIONI SIMONETTI ED ALTRI N. 1-01553, BRUNETTA ED ALTRI N. 1-01560, CIVATI ED ALTRI N. 1-01646, NESCI ED ALTRI N. 1-01647, MELILLA ED ALTRI N. 1-01648, ALTIERI ED ALTRI 1-01649, RAMPELLI ED ALTRI N. 1-01650, ROSATO ED ALTRI N. 1-01652, TANCREDI E BOSCO N. 1-01656 E PARISI ED ALTRI N. 1-01657 CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE A GARANTIRE IL FUNZIONAMENTO DELLE PROVINCE

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    la Costituzione sancisce che la Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato (articolo 114), che le province sono titolari di funzioni amministrative (articoli 117 e 118), hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa e risorse autonome, stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, rappresentanti le risorse con le quali possono finanziare integralmente le funzioni loro attribuite (articolo 119);
    tra le funzioni fondamentali, si ricorda, è competenza delle province, quali enti con funzioni di area vasta: la pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché la tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza; la pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, nonché la costruzione e gestione delle strade provinciali e relativa regolazione della circolazione stradale ad esse inerente; la programmazione provinciale della rete scolastica e la gestione dell'edilizia scolastica; la cura dello sviluppo strategico del territorio e la gestione di servizi in forma associata in base alle specificità del territorio medesimo;
    l'esito referendario negativo del 4 dicembre 2016 sulla riforma costituzionale proposta dal Governo Renzi, di fatto, riporta «in vita» le istituzioni provinciali, non essendosi manifestata la volontà popolare di eliminarle;
    tale esito stride oggi con la previsione della cosiddetta legge Delrio n. 56 del 2014, che ha smantellato le province, impoverendole di funzioni fondamentali e portando alla deregulation la gestione dell'area vasta a livello territoriale;
    necessita, pertanto, in una prospettiva di lungo periodo, un intervento normativo che adegui la citata legge n. 56 del 2014 ed al contempo delinei un ordinamento locale delle province in coerenza col dettame costituzionale;
    già la legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190 del 2014), considerando le province quali «enti in attesa di riforma costituzionale», ha operato un taglio pari a 1 miliardo di euro nel 2015, cui si aggiunge un altro miliardo nel 2016 ed un altro miliardo ancora nel 2017;
    sulla base di una serie di interventi normativi (decreto-legge n. 201 del 2011; decreto-legge n. 95 del 2012; decreto-legge n. 66 del 2014 e, appunto, legge n. 190 del 2014) negli ultimi cinque anni c’è stata da parte dello Stato una continua riduzione di risorse alle province pari a: 1.115 milioni di euro nel 2013, 2.059 milioni di euro nel 2014, 3.241 milioni di euro nel 2015, 4.250 milioni di euro nel 2016 e 5.250 milioni di euro nel 2017 (dato che comprende anche le città metropolitane, istituite il 1o gennaio 2015);
    a fronte dei predetti tagli, le province hanno dovuto effettuare una drastica riduzione della propria spesa corrente, quantificata in 2,7 miliardi di euro dal 2013 al 2016 (2013: 7,5 miliardi di euro; 2014: 6,2 miliardi di euro; 2015: 5,2 miliardi di euro; 2016: 4,8 miliardi di euro), pari ad un 40 per cento in meno che, inevitabilmente, si riversa sui servizi essenziali erogati per la sicurezza dei territori e lo sviluppo locale;
    dal totale delle entrate di tutte le province e città metropolitane, pari a 3 miliardi e 668 milioni di euro (di cui 1,3 miliardi derivante dall'imposta provinciale di trascrizione e 2,3 miliardi dalle assicurazioni di responsabilità civili automobili), sottratto il taglio imposto dalla legge di stabilità n. 190 del 2014 (pari a 3 miliardi di euro nel triennio) e quello conseguente alla spending review di cui al decreto-legge n. 66 del 2014 (pari a 579 milioni di euro), sui territori provinciali resta appena il 3 per cento degli introiti per poter coprire le spese delle loro funzioni fondamentali;
    l'ammontare residuo di risorse a disposizione è, pertanto, decisamente ed ovviamente insufficiente, al punto che l'Upi – Unione delle province italiane ha dovuto promuovere una mobilitazione con il deposito, da parte dei presidenti di provincia, di esposti cautelativi alle procure della Repubblica, alle prefetture e alle sezioni regionali della Corte dei conti;
    secondo l'Upi, infatti, le entrate 2017 sono pari a 2 miliardi e 916 milioni di euro a fronte di uscite pari a 3 miliardi e 608 milioni di euro, escludendo l'ulteriore taglio di 650 milioni di euro, quindi con un ammanco nel 2017 per chiudere i bilanci delle sole 75 province di regioni a statuto ordinario pari a quasi 700 milioni di euro (691.954.000), il che pone le province medesime nell'oggettiva impossibilità di approvare i bilanci preventivi entro il 31 marzo 2017 secondo quanto disposto dalla legge di bilancio per il 2017;
    addirittura la stessa Sose, la società del Ministero dell'economia e delle finanze incaricata di calcolare i fabbisogni standard degli enti locali, ha quantificato in 651,5 milioni di euro la distanza tra le entrate garantite e le spese necessarie alle funzioni che ancora restano in capo alle province, nonostante l'alleggerimento della riforma cosiddetta Delrio, prime fra tutte la messa in sicurezza e la manutenzione dei 130 mila chilometri di strade provinciali e la gestione dei 5.100 edifici scolastici,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative, anche normative, volte a:
   a) ripristinare le funzioni attribuite alla province ante legge n. 56 del 2014, consolidando la loro esistenza costituzionale alla luce del voto referendario del 4 dicembre 2016;
   b) individuare le risorse adeguate a copertura delle funzioni assegnate in base all'analisi reale dei fabbisogni standard, nel rispetto del dettame costituzionale di cui all'articolo 119 della Costituzione;
   c) semplificare la forma di governo degli enti attraverso una revisione della disciplina relativa agli organi, allo loro durata, al sistema di elezione ripristinandone l'elezione diretta;
   d) destinare alle province una quota del fondo Anas pari ad almeno 300 milioni di euro per la manutenzione straordinaria delle strade provinciali, così da avviare le opere necessarie per riportare in sicurezza un'importante e strategica rete viaria;
   e) assegnare alle province le ulteriori risorse necessarie a garantire l'espletamento delle funzioni fondamentali necessarie per la sicurezza dei territori ed i servizi essenziali ai cittadini, come evidenziato anche dalla Sose nel corso dell'audizione parlamentare del 16 marzo 2017 in Commissione bicamerale per l'attuazione del federalismo fiscale;
   f) riportare nei bilanci delle province i risparmi derivanti dai propri atti e provvedimenti di spending review;
   g) ripristinare l'autonomia organizzativa degli enti attraverso l'abrogazione della disposizione di cui al comma 420 della legge n. 190 del 2014;
   h) riconoscere alle province, in via straordinaria anche per il 2017, la facoltà di utilizzare gli avanzi di amministrazione per assicurare gli equilibri dei bilanci.
(1-01553) «Simonetti, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini».


   La Camera,
   premesso che:
    la Repubblica è composta dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato (articolo 114 della Costituzione);
    le province sono titolari di funzioni amministrative (articoli 117 e 118 della Costituzione);
    le province hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa; le risorse derivanti da queste fonti consentono di finanziare integralmente le funzioni attribuite (articolo 119 della Costituzione);
    la legge n. 56 del 2014 (cosiddetta «legge Delrio»), recante «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», non ha abolito le province, ma le ha trasformate in enti di secondo livello, governate da sindaci e amministratori comunali;
    infatti, l'articolo 1 della suddetta legge, al comma 85, dispone che le province, quali enti con funzioni di area vasta, mantengono l'esercizio delle seguenti funzioni fondamentali:
     a) pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza;
     b) pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale, nonché costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale;
     c) programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programmazione regionale;
     d) raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali;
     e) gestione dell'edilizia scolastica;
     f) controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale;
    la «legge Delrio», del resto, era solo propedeutica all'eliminazione delle province dalla Costituzione, alla loro trasformazione in «enti di area vasta» e all'assegnazione a comuni e regioni, e solo residualmente agli enti di area vasta e alle città metropolitane, secondo il principio di sussidiarietà, anche delle funzioni fondamentali che la «legge Delrio» aveva mantenuto in capo alle province;
    tale progetto complessivo di riordino delle funzioni statali si è interrotto a seguito dell'esito negativo del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, che ha avuto, fra le altre, la conseguenza di mantenere in capo alle province la loro autonomia istituzionale, finanziaria e organizzativa, in coerenza con il principio autonomistico sancito dall'articolo 5 della Costituzione, e tutte le competenze fondamentali;
    anche il trasferimento alle regioni delle competenze sottratte alle province dalla «legge Delrio» (caccia e pesca, acque, trasporto rifiuti oltre frontiera, autonomie e altro) ha visto risultati del tutto difformi da regione a regione: in quelle virtuose il trasferimento è completato, ma in molte altre il trasferimento è ancora in corso, con la conseguenza che alcune province si devono ancora occupare di funzioni che non dovrebbero essere più di loro competenza, con conseguente aggravio di costi e di personale;
    senza aspettare la conclusione dell’iter della riforma costituzionale, e della conseguente eliminazione delle province, il Governo ha ritenuto, «in attesa della riforma costituzionale», di operare comunque tagli drastici ai bilanci provinciali;
    così, nella legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015) ha operato, all'articolo 1, comma 418, un taglio di 3 miliardi di euro complessivi a regime del tutto insostenibile per i bilanci, così attuato: un miliardo di euro nel 2015 (decreto-legge n. 78 del 2015, articolo 1, comma 10, e tabella 2), cui si aggiunge un miliardo di euro nel 2016 (decreto-legge n. 113 del 2016, articolo 8, comma 1-bis, e tabella 1) e un miliardo di euro nel 2017 (provvedimento attuativo ancora da definire);
    la manovra finanziaria nei confronti delle province non ha operato solo un taglio, ma un vero e proprio prelievo di risorse dai loro bilanci: a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo si tratta di un prelievo incoerente, perché nega il principio di autonomia finanziaria degli enti sancito dall'articolo 119 della Costituzione, e di una sottrazione di risorse proprie (le entrate dai tributi locali) che avrebbero come destinazione, secondo il dettato costituzionale, la copertura integrale delle funzioni attribuite;
    dal 2013 al 2017 alle province è stato imposto un taglio complessivo alle risorse pari a 5,2 miliardi di euro, che derivano dall'applicazione delle seguenti disposizioni: decreto-legge n. 201 del 2011 (taglio di 415 milioni di euro), decreto-legge n. 95 del 2012 (taglio di 1.250 milioni di euro), decreto-legge n. 66 del 2014 (taglio di 58 milioni di euro), legge n. 190 del 2014 (taglio 3.000 milioni di euro);
    a seguito di queste manovre finanziarie, oggi vi è uno squilibrio nei bilanci delle province che come minimo ammonta a 650 milioni di euro, come certificato anche dal Sose – Soluzioni per il sistema economico spa, società per azioni costituita dal Ministero dell'economia e delle finanze (88 per cento) e dalla Banca d'Italia (12 per cento), in audizione in Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale il 16 marzo 2017;
    il Governo ha quindi operato come se le province fossero già svuotate delle loro funzioni fondamentali (trasporti, strade, rete scolastica, tutela ambientale e altro), rimaste in realtà sotto la loro competenza, e i tagli di bilancio conseguenti a questa logica fanno sì che un intero comparto istituzionale costitutivo della Repubblica non sarà in grado né di approvare i bilanci, né di erogare i servizi: un'evenienza che non si è mai verificata nella storia del Paese;
    di conseguenza, si evidenziano, per esempio, profonde criticità ed emergenze sulla manutenzione degli edifici scolastici di competenza (oltre 5.000), a partire dalle più elementari regole di adeguamento alle norme antincendio (le cui scadenze vengono prorogate da oltre 20 anni) o all'acquisizione dei certificati di agibilità statico-sismica;
    anche la manutenzione dei circa 130.000 chilometri di strade provinciali subisce gli effetti della mancanza di fondi, considerando inoltre che, per la viabilità provinciale, è stata introdotta, con la normativa in materia di omicidio stradale, anche la responsabilità colposa a carico dei responsabili della manutenzione e costruzione delle strade, chiaramente indicata nella circolare del dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno del 25 marzo 2016. Da ciò consegue il concreto pericolo di responsabilità non soltanto amministrativa, ma anche civile e penale, sia delle amministrazioni e sia, nel caso di responsabilità penali, dei funzionari e dirigenti addetti ai servizi;
    a tale proposito, occorre evidenziare che anche la Corte dei conti nella deliberazione n. 17 del 2015 della sezione delle autonomie, in cui si relaziona al Parlamento sul riordino delle province, nel richiamare l'attenzione sull'impatto delle misure conseguenti alla legge di stabilità n. 190 del 2014, le ritiene «suscettibili di generare forti tensioni sugli equilibri finanziari» ed afferma che «ancora più problematico si prefigura il taglio incrementale per il biennio 2016-2017, atteso che una volta riallocate le funzioni e le risorse a queste destinate, le province si troveranno a dover conseguire i risparmi richiesti su aggregati di spesa più ristretti e soprattutto vincolati alle funzioni fondamentali»;
    il direttore centrale della finanza locale del dipartimento degli affari interni e territoriali del Ministero dell'interno, dottor Giancarlo Verde, in un'audizione svoltasi in data 16 febbraio 2017 presso la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, attesta che la riduzione delle risorse, che ammonta a circa 4,8 miliardi di euro dal 2008 al 2016, «ha condotto ad uno stato generale di disagio finanziario delle province che ha portato ad una difficoltà nell'attendere alle funzioni assegnate che si evidenzia con la flessione qualitativa e, talvolta, perfino l'assenza di importanti servizi. In alcuni casi, è stato inevitabile il ricorso alla procedura di dissesto finanziario, 4 casi da sempre, ma solo 3 nell'ultimo quadriennio. Più significativo il ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale previsto dall'articolo 243-bis del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, a cui sono ricorse nel quinquennio trascorso ben 14 province. Pertanto quasi il 20 per cento degli enti è ricorso a misure straordinarie, percentuale che spinge a riflettere sulla grave situazione che vivono tali enti locali»;
    successivamente anche la Corte dei conti – sezione autonomie locali, in un'audizione presso la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, il 23 febbraio 2017 ha ribadito che:
     a) con il venir meno, dunque, della «programmata soppressione delle province», almeno nel medio termine, sembra imporsi la necessità che, nelle politiche pubbliche di settore, l'operatività di detti enti – previsti tanto dall'articolo 114 che dall'articolo 118 della Costituzione come soggetti istituzionali destinatari di funzioni proprie e fondamentali e funzioni conferite – non risenta più degli effetti di questa prospettiva condizionata;
     b) per le funzioni fondamentali rimane, invece, la necessità di rivedere la coerenza e la congruità delle misure finanziarie adottate nell'ambito dell'intrapreso progetto di riforma, con le esigenze immediate delle amministrazioni provinciali;
     c) detti enti, nella cornice delle proprie responsabilità istituzionali e nel quadro delle proprie attribuzioni, devono poter disporre delle risorse finanziarie, di personale e strumentali necessarie per l'esercizio delle loro funzioni fondamentali e per la garanzia dei servizi essenziali per i cittadini ed i territori, sempre nell'ottica della massima razionalizzazione dell'uso delle risorse;
    i presidenti delle province, riuniti in assemblea generale alla presenza dei parlamentari della Repubblica nella giornata del 16 febbraio 2017, hanno denunciato a gran voce di trovarsi nella concreta impossibilità di erogare servizi fondamentali per la collettività, legati alle funzioni individuate dalla legge n. 56 del 2014 per province e città metropolitane;
    i presidenti delle province, nella medesima giornata, sono stati ricevuti dal Presidente della Repubblica, a cui hanno chiesto sostegno affinché il Governo agisca con tempestività e senza esitazioni e affronti e risolva le questioni di estrema emergenza che riguardano i territori, mettendo queste istituzioni nelle condizioni di garantire la sicurezza dei 130.000 chilometri di strade provinciali, delle 5.100 scuole superiori italiane in cui studiano 2.500.000 ragazzi, di realizzare gli interventi necessari a contrastare il dissesto idrogeologico;
    gli stessi presidenti delle province si sono sentiti costretti, per la prima volta nella storia, a rivolgersi alla procura della Repubblica con un esposto cautelativo, affinché si accerti di chi è la vera responsabilità di eventuali disservizi delle province;
    con il recente decreto-legge n. 50 del 2017, recante «Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo», sono stati stanziati solo 180 milioni di euro di parte corrente per scuole e strade per il 2017 a fronte di un fabbisogno certificato di 650 milioni,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative urgenti, anche normative, necessarie per garantire alle province italiane, enti costitutivi della Repubblica, di far fronte alle proprie funzioni istituzionali, e in particolare volte:
   a) ad individuare le risorse adeguate a copertura delle funzioni assegnate in base all'analisi reale dei fabbisogni standard, nel rispetto dell'articolo 119 della Costituzione;
   b) a lasciare nei bilanci delle province i risparmi dei costi della politica determinati dalla gratuità totale dei presidenti e dei consiglieri provinciali, considerato che nelle province la politica ha costo zero, unico caso tra le istituzioni della Repubblica: questi risparmi devono essere messi a disposizione delle comunità locali;
   c) a ripristinare l'autonomia organizzativa degli enti, attraverso la soppressione del comma 420 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014, con la possibilità di avere in organico quelle professionalità indispensabili per svolgere le funzioni che rimangono loro assegnate;
   d) in una prospettiva temporale più lunga, a promuovere una revisione della legge n. 56 del 2014 per disegnare un ordinamento locale delle province stabile e coerente con la Costituzione, considerato che a tal fine è necessario:
    1) consolidare le funzioni fondamentali previste dalla legge n. 56 del 2014, ampliare le funzioni amministrative territoriali e valorizzare con le funzioni di assistenza e di supporto ai comuni, le stazioni uniche appaltanti e i servizi pubblici locali previsti dai commi 88 e 90 dell'articolo 1, in modo da fornire indirizzi chiari anche per il riordino della legislazione regionale;
    2) semplificare la forma di governo degli enti, attraverso una revisione della disciplina relativa agli organi, alla loro durata, ripristinando un sistema di elezione diretta del presidente e del consiglio provinciale;
    3) conferire una delega per la revisione del testo unico degli enti locali, per adeguarlo alle novità in materia di comuni, province e città metropolitane.
(1-01560) (Nuova formulazione) «Brunetta, Gelmini, Carfagna, Occhiuto, Russo, Sisto, Fabrizio Di Stefano, Centemero, Sarro».


   La Camera,
   premesso che:
    la Repubblica è composta dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato (articolo 114 della Costituzione);
    le province sono titolari di funzioni amministrative (articoli 117 e 118 della Costituzione);
    le province hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa; le risorse derivanti da queste fonti consentono di finanziare integralmente le funzioni attribuite (articolo 119 della Costituzione);
    la legge n. 56 del 2014 (cosiddetta «legge Delrio»), recante «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», non ha abolito le province, ma le ha trasformate in enti di secondo livello, governate da sindaci e amministratori comunali;
    infatti, l'articolo 1 della suddetta legge, al comma 85, dispone che le province, quali enti con funzioni di area vasta, mantengono l'esercizio delle seguenti funzioni fondamentali:
     a) pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza;
     b) pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale, nonché costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale;
     c) programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programmazione regionale;
     d) raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali;
     e) gestione dell'edilizia scolastica;
     f) controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale;
    la «legge Delrio», del resto, era solo propedeutica all'eliminazione delle province dalla Costituzione, alla loro trasformazione in «enti di area vasta» e all'assegnazione a comuni e regioni, e solo residualmente agli enti di area vasta e alle città metropolitane, secondo il principio di sussidiarietà, anche delle funzioni fondamentali che la «legge Delrio» aveva mantenuto in capo alle province;
    tale progetto complessivo di riordino delle funzioni statali si è interrotto a seguito dell'esito negativo del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, che ha avuto, fra le altre, la conseguenza di mantenere in capo alle province la loro autonomia istituzionale, finanziaria e organizzativa, in coerenza con il principio autonomistico sancito dall'articolo 5 della Costituzione, e tutte le competenze fondamentali;
    anche il trasferimento alle regioni delle competenze sottratte alle province dalla «legge Delrio» (caccia e pesca, acque, trasporto rifiuti oltre frontiera, autonomie e altro) ha visto risultati del tutto difformi da regione a regione: in quelle virtuose il trasferimento è completato, ma in molte altre il trasferimento è ancora in corso, con la conseguenza che alcune province si devono ancora occupare di funzioni che non dovrebbero essere più di loro competenza, con conseguente aggravio di costi e di personale;
    senza aspettare la conclusione dell’iter della riforma costituzionale, e della conseguente eliminazione delle province, il Governo ha ritenuto, «in attesa della riforma costituzionale», di operare comunque tagli drastici ai bilanci provinciali;
    così, nella legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015) ha operato, all'articolo 1, comma 418, un taglio di 3 miliardi di euro complessivi a regime del tutto insostenibile per i bilanci, così attuato: un miliardo di euro nel 2015 (decreto-legge n. 78 del 2015, articolo 1, comma 10, e tabella 2), cui si aggiunge un miliardo di euro nel 2016 (decreto-legge n. 113 del 2016, articolo 8, comma 1-bis, e tabella 1) e un miliardo di euro nel 2017 (provvedimento attuativo ancora da definire);
    la manovra finanziaria nei confronti delle province non ha operato solo un taglio, ma un vero e proprio prelievo di risorse dai loro bilanci: a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo si tratta di un prelievo incoerente, perché nega il principio di autonomia finanziaria degli enti sancito dall'articolo 119 della Costituzione, e di una sottrazione di risorse proprie (le entrate dai tributi locali) che avrebbero come destinazione, secondo il dettato costituzionale, la copertura integrale delle funzioni attribuite;
    dal 2013 al 2017 alle province è stato imposto un taglio complessivo alle risorse pari a 5,2 miliardi di euro, che derivano dall'applicazione delle seguenti disposizioni: decreto-legge n. 201 del 2011 (taglio di 415 milioni di euro), decreto-legge n. 95 del 2012 (taglio di 1.250 milioni di euro), decreto-legge n. 66 del 2014 (taglio di 58 milioni di euro), legge n. 190 del 2014 (taglio 3.000 milioni di euro);
    a seguito di queste manovre finanziarie, oggi vi è uno squilibrio nei bilanci delle province che come minimo ammonta a 650 milioni di euro, come certificato anche dal Sose – Soluzioni per il sistema economico spa, società per azioni costituita dal Ministero dell'economia e delle finanze (88 per cento) e dalla Banca d'Italia (12 per cento), in audizione in Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale il 16 marzo 2017;
    il Governo ha quindi operato come se le province fossero già svuotate delle loro funzioni fondamentali (trasporti, strade, rete scolastica, tutela ambientale e altro), rimaste in realtà sotto la loro competenza, e i tagli di bilancio conseguenti a questa logica fanno sì che un intero comparto istituzionale costitutivo della Repubblica non sarà in grado né di approvare i bilanci, né di erogare i servizi: un'evenienza che non si è mai verificata nella storia del Paese;
    di conseguenza, si evidenziano, per esempio, profonde criticità ed emergenze sulla manutenzione degli edifici scolastici di competenza (oltre 5.000), a partire dalle più elementari regole di adeguamento alle norme antincendio (le cui scadenze vengono prorogate da oltre 20 anni) o all'acquisizione dei certificati di agibilità statico-sismica;
    anche la manutenzione dei circa 130.000 chilometri di strade provinciali subisce gli effetti della mancanza di fondi, considerando inoltre che, per la viabilità provinciale, è stata introdotta, con la normativa in materia di omicidio stradale, anche la responsabilità colposa a carico dei responsabili della manutenzione e costruzione delle strade, chiaramente indicata nella circolare del dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno del 25 marzo 2016. Da ciò consegue il concreto pericolo di responsabilità non soltanto amministrativa, ma anche civile e penale, sia delle amministrazioni e sia, nel caso di responsabilità penali, dei funzionari e dirigenti addetti ai servizi;
    a tale proposito, occorre evidenziare che anche la Corte dei conti nella deliberazione n. 17 del 2015 della sezione delle autonomie, in cui si relaziona al Parlamento sul riordino delle province, nel richiamare l'attenzione sull'impatto delle misure conseguenti alla legge di stabilità n. 190 del 2014, le ritiene «suscettibili di generare forti tensioni sugli equilibri finanziari» ed afferma che «ancora più problematico si prefigura il taglio incrementale per il biennio 2016-2017, atteso che una volta riallocate le funzioni e le risorse a queste destinate, le province si troveranno a dover conseguire i risparmi richiesti su aggregati di spesa più ristretti e soprattutto vincolati alle funzioni fondamentali»;
    il direttore centrale della finanza locale del dipartimento degli affari interni e territoriali del Ministero dell'interno, dottor Giancarlo Verde, in un'audizione svoltasi in data 16 febbraio 2017 presso la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, attesta che la riduzione delle risorse, che ammonta a circa 4,8 miliardi di euro dal 2008 al 2016, «ha condotto ad uno stato generale di disagio finanziario delle province che ha portato ad una difficoltà nell'attendere alle funzioni assegnate che si evidenzia con la flessione qualitativa e, talvolta, perfino l'assenza di importanti servizi. In alcuni casi, è stato inevitabile il ricorso alla procedura di dissesto finanziario, 4 casi da sempre, ma solo 3 nell'ultimo quadriennio. Più significativo il ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale previsto dall'articolo 243-bis del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, a cui sono ricorse nel quinquennio trascorso ben 14 province. Pertanto quasi il 20 per cento degli enti è ricorso a misure straordinarie, percentuale che spinge a riflettere sulla grave situazione che vivono tali enti locali»;
    successivamente anche la Corte dei conti – sezione autonomie locali, in un'audizione presso la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, il 23 febbraio 2017 ha ribadito che:
     a) con il venir meno, dunque, della «programmata soppressione delle province», almeno nel medio termine, sembra imporsi la necessità che, nelle politiche pubbliche di settore, l'operatività di detti enti – previsti tanto dall'articolo 114 che dall'articolo 118 della Costituzione come soggetti istituzionali destinatari di funzioni proprie e fondamentali e funzioni conferite – non risenta più degli effetti di questa prospettiva condizionata;
     b) per le funzioni fondamentali rimane, invece, la necessità di rivedere la coerenza e la congruità delle misure finanziarie adottate nell'ambito dell'intrapreso progetto di riforma, con le esigenze immediate delle amministrazioni provinciali;
     c) detti enti, nella cornice delle proprie responsabilità istituzionali e nel quadro delle proprie attribuzioni, devono poter disporre delle risorse finanziarie, di personale e strumentali necessarie per l'esercizio delle loro funzioni fondamentali e per la garanzia dei servizi essenziali per i cittadini ed i territori, sempre nell'ottica della massima razionalizzazione dell'uso delle risorse;
    i presidenti delle province, riuniti in assemblea generale alla presenza dei parlamentari della Repubblica nella giornata del 16 febbraio 2017, hanno denunciato a gran voce di trovarsi nella concreta impossibilità di erogare servizi fondamentali per la collettività, legati alle funzioni individuate dalla legge n. 56 del 2014 per province e città metropolitane;
    i presidenti delle province, nella medesima giornata, sono stati ricevuti dal Presidente della Repubblica, a cui hanno chiesto sostegno affinché il Governo agisca con tempestività e senza esitazioni e affronti e risolva le questioni di estrema emergenza che riguardano i territori, mettendo queste istituzioni nelle condizioni di garantire la sicurezza dei 130.000 chilometri di strade provinciali, delle 5.100 scuole superiori italiane in cui studiano 2.500.000 ragazzi, di realizzare gli interventi necessari a contrastare il dissesto idrogeologico;
    gli stessi presidenti delle province si sono sentiti costretti, per la prima volta nella storia, a rivolgersi alla procura della Repubblica con un esposto cautelativo, affinché si accerti di chi è la vera responsabilità di eventuali disservizi delle province;
    con il recente decreto-legge n. 50 del 2017, recante «Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo», sono stati stanziati solo 180 milioni di euro di parte corrente per scuole e strade per il 2017 a fronte di un fabbisogno certificato di 650 milioni,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative urgenti, anche normative, necessarie per garantire alle province italiane, enti costitutivi della Repubblica, di far fronte alle proprie funzioni istituzionali, e in particolare volte:
   a) ad individuare le risorse adeguate a copertura delle funzioni assegnate in base all'analisi reale dei fabbisogni standard, nel rispetto dell'articolo 119 della Costituzione;
   b) a individuare, compatibilmente con le esigenze di coordinamento della finanza pubblica, la necessaria copertura finanziaria per consentire che nei bilanci delle province possano affluire le somme corrispondenti ai risparmi dei costi della politica determinati dalla gratuità totale dei presidenti e dei consiglieri provinciali, considerato che nelle province la politica ha costo zero, unico caso tra le istituzioni della Repubblica: questi risparmi devono essere messi a disposizione delle comunità locali;
   c) a ripristinare l'autonomia organizzativa degli enti, attraverso la soppressione del comma 420 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014, con la possibilità di avere in organico quelle professionalità indispensabili per svolgere le funzioni che rimangono loro assegnate;
   d) in una prospettiva temporale più lunga, a promuovere una revisione della legge n. 56 del 2014 per disegnare un ordinamento locale delle province stabile e coerente con la Costituzione, considerato che a tal fine è necessario:
    1) consolidare le funzioni fondamentali previste dalla legge n. 56 del 2014, ampliare le funzioni amministrative territoriali e valorizzare con le funzioni di assistenza e di supporto ai comuni, le stazioni uniche appaltanti e i servizi pubblici locali previsti dai commi 88 e 90 dell'articolo 1, in modo da fornire indirizzi chiari anche per il riordino della legislazione regionale;
    2) conferire una delega per la revisione del testo unico degli enti locali, per adeguarlo alle novità in materia di comuni, province e città metropolitane.
(1-01560) (Nuova formulazione – Testo modificato nel corso della seduta come risultante dalla votazione per parti separate)  «Brunetta, Gelmini, Carfagna, Occhiuto, Russo, Sisto, Fabrizio Di Stefano, Centemero, Sarro».


   La Camera,
   premesso che:
    la Repubblica italiana «è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato», ai sensi dell'articolo 114 della Costituzione; tale articolo, riformulato con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, conferisce evidentemente un particolare rilievo, addirittura letteralmente «costitutivo», a tutti i livelli di governo territoriale, per quanto la Corte costituzionale, sin dalla sentenza n. 274 del 2003 abbia precisato che ciò «non comporta affatto una totale equiparazione fra tali enti, con poteri profondamente diversi tra loro: basti considerare che solo allo Stato spetta il potere di revisione costituzionale e che Comuni e Province non hanno potestà legislativa;
    l'appena evidenziata complessità dei livelli di governo e soprattutto il disegno territoriale degli stessi sono, almeno nelle loro linee fondamentali, frutto di scelte ormai risalenti nel tempo, ponendo il Paese sostanzialmente di fronte a un'organizzazione amministrativa disegnata secondo i parametri di efficienza dettati nei tempi in cui i trasporti erano misurati dal tragitto quotidiano di un cavallo, risultando così incapaci di rispondere alle attuali esigenze di prestazioni di servizi e di svolgimento delle attività professionali e lavorative in generale;
    è necessario tornare a governare efficacemente il Paese, rifondando le basi di cittadinanza e ridisegnando pertanto, con coraggio e ambizione, il tessuto complesso del governo locale;
    è necessario che ciò avvenga secondo un processo che lo Stato e il Governo in particolare devono legittimare, facilitare e seguire, ma che deve realizzarsi comunque attraverso modalità bottom up, sulla base di dinamiche moderne di cooperazione tra enti su strategie di sviluppo condivise, individuando livelli di efficienza scalare a geometria variabile nell'offerta dei servizi, senza dirigismo, bensì assecondando e favorendo lo sviluppo più generalizzato di quanto in molti luoghi del Paese si sta già muovendo in questa direzione, a legislazione vigente;
    si tratta, in sostanza, di procedere con modalità profondamente diverse rispetto a quelle seguite dai Governi che si sono succeduti negli ultimi anni, che hanno operato «dall'alto», con norme astruse e contraddittorie, latrici di soluzioni spesso irrealizzabili, senza mai offrire una lettura empiricamente fondata del Paese;
    se certamente sono mancate scelte di riorganizzazione del livello regionale, rispetto al quale l'unico intervento era stato rimesso a una riforma costituzionale (bocciata dagli elettori il 4 dicembre 2016) con l'unico obiettivo di ricentralizzare (peraltro secondo modalità capaci di ingenerare ulteriore incertezza nei rapporti giuridici e di non riso vere certamente – ma anzi forse di aggravare – la conflittualità tra lo Stato e le regioni rimessa alla giurisdizione costituzionale), trascurando, invece l'attivazione di dinamiche di cooperazione macroregionale per pervenire, in un medio periodo, a una semplificazione del tessuto regionale attraverso processi condivisi di ridisegno secondo l'articolo n. 132 della Costituzione e non superando – ma anzi amplificando – il doppio regionalismo (ordinario e speciale); è soprattutto a livello locale che a parere dei firmatari del presente atto si sono realizzati gli interventi più miopi, inadeguati e inefficaci, privi di qualunque visione della riorganizzazione dell'assetto territoriale e condotti, invece, sempre e soltanto per la necessità di fare cassa;
    in quest'ambito è soprattutto l'ente intermedio, la provincia, ad avere ottenuto il trattamento peggiore. Considerata, con notevole superficialità, alla stregua di un «ente inutile», dal 2011 si è solo pensato ad una sua grossolana soppressione, a tessuto di governo territoriale invariato;
    così la «eliminazione delle Province» e divenuto uno dei primi obiettivi del Governo Monti, insediatosi in presenza di un'emergenza finanziaria, sembrando rispondere in merito al contenuto di una lettera inviata dalla Banca centrale europea precedente al precedente Governo il 5 agosto 2011, che in effetti risulta sul punto piuttosto atipica, per quanto scendeva nel dettaglio, sottolineando «l'esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province)»;
    se la «eliminazione» delle province non era realizzabile in tempi brevi, essendo queste – come abbiamo detto – previste dalla Costituzione, addirittura come «enti costitutivi» della Repubblica (tanto che, a prendere alla lettera la formulazione dell'articolo n. 114 della Costituzione ci si potrebbe chiedere se possa esistere una Repubblica senza province), il Governo Monti è comunque intervenuto addirittura con decreto-legge a svuotare l'ente intermedio di funzioni, sopprimendone gli organi elettivi, per sostituirli con altri di secondo grado (espressi, in sostanza, dai comuni appartenenti alla provincia stessa);
    la eliminazione di organi eletti a suffragio universale diretto ha anzitutto rappresentato un vulnus nella possibilità per i cittadini di influire (direttamente) nella determinazione dell'indirizzo politico provinciale, costringendoli a subire scelte politiche (e non di mera gestione, come talvolta si è provato a sostenere) degli organi di secondo livello (peraltro non del tutto adeguatamente rappresentativi dell'intero territorio provinciale), rischiando di compromettere almeno in parte, considerato il mantenimento della capacità impositiva, il principio cardine del costituzionalismo del no taxation without representation;
    la prima riforma delle province, realizzata dal Governo Monti con il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito dalla legge n. 214 del 2011, con il dichiarato esclusivo (e sembrerebbe esclusivo) obiettivo di riduzione dei costi (la rubrica dell'articolo n. 23 reca «Riduzione dei costi di funzionamento delle Autorità di Governo, del CNEL, delle Autorità indipendenti e delle Province»), con una nuova disciplina di organizzazione (che li rende enti di secondo livello dal punto di vista degli organi) e una drastica riduzione delle funzioni attribuite è stata oggetto di ricorso di fronte alla Corte costituzionale che, con sentenza n. 220 del 2013, l'ha giudicata incostituzionale, in quanto» la trasformazione per decreto-legge dell'intera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, è incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale, trattandosi di una trasformazione radicate dell'intero sistema»;
    il radicale vizio d'incostituzionalità riscontrato ha, secondo i presentatori del presente atto, di fatto impedito alla Corte di affrontare i profili più specifici e ha aperto la strada ad un'ulteriore riforma, realizzata con la legge 7 aprile 2014, n. 56 (cosiddetta «legge Delrio» dal nome del Ministro per gli affari regionali e le autonomie del Governo Letta al quale si deve l'iniziativa);
    questa legge, pur con alcune modifiche, mantiene due aspetti della precedente riforma: un forte ridimensionamento delle funzioni delle province e la eliminazione del suffragio universale diretto per la scelta degli organi politici, ancora consegnati a una rappresentanza di secondo livello, con i limiti già evidenziati;
    nel frattempo, il Governo Renzi, insediatosi dopo il Governo Letta, presentava una proposta di legge costituzionale recante un'ampia revisione della Parte seconda della Costituzione, prevedendo, tra l'altro, la soppressione delle province dal testo costituzionale, con ciò potendo porre i presupposti per la totale eliminazione dell'ente intermedio (che, in caso di approvazione della riforma, poi invece respinta dagli elettori con il referendum del 4 dicembre 2016, sarebbe comunque stato privato di riconoscimento costituzionale);
    intanto anche la cosiddetta «legge Delrio» è stata in effetti impugnata di fronte alla Corte costituzionale, la quale, con sentenza n. 50 del 2015, ha rigettato – come noto – tutte le censure formulate, ancorché con particolare riferimento a quelle ordinamentali abbia precisato che «è in corso l'approvazione di un progetto – da realizzarsi nelle forme di legge costituzionale – che ne prevede la futura soppressione, con la loro conseguente eliminazione dal novero degli enti autonomi riportati nell'articolo 114 Cost., come, del resto, chiaramente evincibile dall’incipit contenuto nel comma 51 dell'articolo 1 della legge in esame». Si tratta di una motivazione, a giudizio dei presentatori del presente atto, del tutto singolare nell'ambito della giurisprudenza costituzionale (probabilmente non solo italiana);
    in effetti, quella revisione costituzionale – come già ricordato – è stata sonoramente bocciata dagli elettori nel referendum del 4 dicembre 2016, con la conseguenza che da più parti è stata sottolineata la necessità – anche da un punto di vista del rispetto della Costituzione – di reintrodurre un sistema di elezione diretta degli organi della provincia, non potendosi in proposito che sottolineare come – anche in base a quanto poco sopra ricordato –, anche al di là di un diretto vincolo costituzionale, ciò risulterebbe certamente più coerente con il fondamento democratico della Repubblica e quindi dei suoi enti costitutivi; ciò sarebbe anche più rispondente alla necessità che, a tutti i livelli di governo, sia data diretta espressione alla sovranità popolare, in proposito sembrando anzi da valorizzare una maggiore partecipazione dei cittadini, anche potenziando la presenza degli istituti di democrazia diretta negli statuti degli enti locali;
    la tendenza alla soppressione (o almeno al fortissimo e inadeguato ridimensionamento) delle province, pur in assenza di un più generale intervento sull'assetto del governo locale del Paese, è stata peraltro accompagnata da pesantissimi tagli di risorse, o meglio – come è stato evidenziato dall'Unione delle province italiane – un vero e proprio prelievo. In proposito basti ricordare che la legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015) ha previsto, all'articolo 1, comma 418, che le province e le Città metropolitane «concorrono al contenimento della spesa pubblica attraverso una riduzione della spesa corrente di 1.000 milioni di euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017. In considerazione delle riduzioni di spesa di cui al periodo precedente, ripartite nelle misure del 90 per cento fra gli enti appartenenti alle regioni a statuto ordinario e del restante 10 per cento fra gli enti della regione siciliana e della regione Sardegna, ciascuna provincia e città metropolitana versa ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato un ammontare di risorse pari ai predetti risparmi di spesa». Tali pesanti tagli si aggiungono a quelli realizzati con decreto-legge n. 201 del 2011, con decreto-legge n. 95 del 2012 e con decreto-legge n. 66 del 2014, giungendo, nel 2017, a sommare una riduzione di risorse pari a 5.250 milioni di euro;
    è stato calcolato che alle province resta appena il 3 per cento degli introiti raccolti sul territorio per poter coprire le spese delle loro funzioni fondamentali, destando preoccupazione, in particolare il mantenimento di 130 mila chilometri di strade provinciali, nonché di 5.100 scuole superiori, tanto che era stato evidenziato dalla stessa società soluzioni per il sistema economico pubblico e privato (Sose) società costituita dal Ministero dell'economia, con il compito, tra l'altro, di determinare i fabbisogni standard in attuazione del federalismo fiscale, la necessità di prevedere 650 milioni di euro aggiuntivi per la spesa corrente delle province;
    le preoccupazioni per la suddetta situazione non sono state superate in sede di approvazione della cosiddetta recente «manovrina», cioè la legge di conversione del decreto-legge n. 50 del 2017, tanto che l'Unione provinciale italiana, a mezzo del suo presidente, si era rivolta anche al Presidente della Repubblica, con lettera 1o giugno 2017, evidenziando la suddetta situazione. Tuttavia, la definitiva conversione in legge del decreto-legge sopra menzionato da parte del Senato in data 15 giugno 2017, senza la previsione delle risorse ritenute strettamente necessarie, ha portato il presidente dell'Unione provinciale italiana a concludere che «è mancata la volontà di risolvere la grave emergenza per i servizi assicurati dalle province: una emergenza causata da tagli irragionevoli e ingiustificati di cui evidentemente ancora non si vuole ammettere l'errore. Saranno i mancati servizi che inevitabilmente ne deriveranno, i diritti allo studio, alla mobilità, alla sicurezza, negati in questo modo ai cittadini, a mettere Governo e Parlamento di fronte alle loro responsabilità»;
    tutto questo rende, oggi, le province enti deboli (anche dal punto di vista della legittimazione) e sempre meno capaci di svolgere anche le funzioni loro mantenute, con conseguenze negative sui servizi e quindi sulla vita dei cittadini,

impegna il Governo:

1)  ad assumere iniziative volte a:
   a) riorganizzare l'assetto del governo locale attraverso procedimenti condivisi con i territori;
   b) prevedere, nell'ambito di una riforma dell'intero quadro normativo degli enti locali, una razionalizzazione delle funzioni amministrative dei diversi livelli di governo e, in particolare, in relazione all'ente intermedio, il ritorno a un'organizzazione fondata sul suffragio universale diretto nella scelta degli organi rappresentativi, favorendo altresì forme di partecipazione dei cittadini alle decisioni pubbliche, anche contemplando l'obbligo per i comuni e le province di prevedere nei loro statuti il referendum;
   c) individuare le risorse adeguate a copertura delle funzioni assegnate in base all'analisi reale dei fabbisogni standard nel rispetto di quanto previsto all'articolo 119 della Costituzione;
   d) prioritariamente, assegnare alle province le ulteriori risorse necessarie a garantire lo svolgimento delle funzioni fondamentali assegnate, a partire dal mantenimento e dalla messa in sicurezza delle strade di competenza e degli istituti scolastici, anche sulla base delle valutazioni formulate dalla società soluzioni per il sistema economico pubblico e privato (Sose).
(1-01646) «Civati, Marcon, Airaudo, Brignone, Costantino, Daniele Farina, Fassina, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Gregori, Andrea Maestri, Palazzotto, Pannarale, Paglia, Pastorino, Pellegrino, Placido».


   La Camera,
   premesso che:
    la Repubblica italiana «è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato», ai sensi dell'articolo 114 della Costituzione; tale articolo, riformulato con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, conferisce evidentemente un particolare rilievo, addirittura letteralmente «costitutivo», a tutti i livelli di governo territoriale, per quanto la Corte costituzionale, sin dalla sentenza n. 274 del 2003 abbia precisato che ciò «non comporta affatto una totale equiparazione fra tali enti, con poteri profondamente diversi tra loro: basti considerare che solo allo Stato spetta il potere di revisione costituzionale e che Comuni e Province non hanno potestà legislativa;
    l'appena evidenziata complessità dei livelli di governo e soprattutto il disegno territoriale degli stessi sono, almeno nelle loro linee fondamentali, frutto di scelte ormai risalenti nel tempo, ponendo il Paese sostanzialmente di fronte a un'organizzazione amministrativa disegnata secondo i parametri di efficienza dettati nei tempi in cui i trasporti erano misurati dal tragitto quotidiano di un cavallo, risultando così incapaci di rispondere alle attuali esigenze di prestazioni di servizi e di svolgimento delle attività professionali e lavorative in generale;
    è necessario tornare a governare efficacemente il Paese, rifondando le basi di cittadinanza e ridisegnando pertanto, con coraggio e ambizione, il tessuto complesso del governo locale;
    è necessario che ciò avvenga secondo un processo che lo Stato e il Governo in particolare devono legittimare, facilitare e seguire, ma che deve realizzarsi comunque attraverso modalità bottom up, sulla base di dinamiche moderne di cooperazione tra enti su strategie di sviluppo condivise, individuando livelli di efficienza scalare a geometria variabile nell'offerta dei servizi, senza dirigismo, bensì assecondando e favorendo lo sviluppo più generalizzato di quanto in molti luoghi del Paese si sta già muovendo in questa direzione, a legislazione vigente;
    si tratta, in sostanza, di procedere con modalità profondamente diverse rispetto a quelle seguite dai Governi che si sono succeduti negli ultimi anni, che hanno operato «dall'alto», con norme astruse e contraddittorie, latrici di soluzioni spesso irrealizzabili, senza mai offrire una lettura empiricamente fondata del Paese;
    se certamente sono mancate scelte di riorganizzazione del livello regionale, rispetto al quale l'unico intervento era stato rimesso a una riforma costituzionale (bocciata dagli elettori il 4 dicembre 2016) con l'unico obiettivo di ricentralizzare (peraltro secondo modalità capaci di ingenerare ulteriore incertezza nei rapporti giuridici e di non riso vere certamente – ma anzi forse di aggravare – la conflittualità tra lo Stato e le regioni rimessa alla giurisdizione costituzionale), trascurando, invece l'attivazione di dinamiche di cooperazione macroregionale per pervenire, in un medio periodo, a una semplificazione del tessuto regionale attraverso processi condivisi di ridisegno secondo l'articolo n. 132 della Costituzione e non superando – ma anzi amplificando – il doppio regionalismo (ordinario e speciale); è soprattutto a livello locale che a parere dei firmatari del presente atto si sono realizzati gli interventi più miopi, inadeguati e inefficaci, privi di qualunque visione della riorganizzazione dell'assetto territoriale e condotti, invece, sempre e soltanto per la necessità di fare cassa;
    in quest'ambito è soprattutto l'ente intermedio, la provincia, ad avere ottenuto il trattamento peggiore. Considerata, con notevole superficialità, alla stregua di un «ente inutile», dal 2011 si è solo pensato ad una sua grossolana soppressione, a tessuto di governo territoriale invariato;
    così la «eliminazione delle Province» e divenuto uno dei primi obiettivi del Governo Monti, insediatosi in presenza di un'emergenza finanziaria, sembrando rispondere in merito al contenuto di una lettera inviata dalla Banca centrale europea precedente al precedente Governo il 5 agosto 2011, che in effetti risulta sul punto piuttosto atipica, per quanto scendeva nel dettaglio, sottolineando «l'esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province)»;
    se la «eliminazione» delle province non era realizzabile in tempi brevi, essendo queste – come abbiamo detto – previste dalla Costituzione, addirittura come «enti costitutivi» della Repubblica (tanto che, a prendere alla lettera la formulazione dell'articolo n. 114 della Costituzione ci si potrebbe chiedere se possa esistere una Repubblica senza province), il Governo Monti è comunque intervenuto addirittura con decreto-legge a svuotare l'ente intermedio di funzioni, sopprimendone gli organi elettivi, per sostituirli con altri di secondo grado (espressi, in sostanza, dai comuni appartenenti alla provincia stessa);
    la eliminazione di organi eletti a suffragio universale diretto ha anzitutto rappresentato un vulnus nella possibilità per i cittadini di influire (direttamente) nella determinazione dell'indirizzo politico provinciale, costringendoli a subire scelte politiche (e non di mera gestione, come talvolta si è provato a sostenere) degli organi di secondo livello (peraltro non del tutto adeguatamente rappresentativi dell'intero territorio provinciale), rischiando di compromettere almeno in parte, considerato il mantenimento della capacità impositiva, il principio cardine del costituzionalismo del no taxation without representation;
    la prima riforma delle province, realizzata dal Governo Monti con il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito dalla legge n. 214 del 2011, con il dichiarato esclusivo (e sembrerebbe esclusivo) obiettivo di riduzione dei costi (la rubrica dell'articolo n. 23 reca «Riduzione dei costi di funzionamento delle Autorità di Governo, del CNEL, delle Autorità indipendenti e delle Province»), con una nuova disciplina di organizzazione (che li rende enti di secondo livello dal punto di vista degli organi) e una drastica riduzione delle funzioni attribuite è stata oggetto di ricorso di fronte alla Corte costituzionale che, con sentenza n. 220 del 2013, l'ha giudicata incostituzionale, in quanto» la trasformazione per decreto-legge dell'intera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, è incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale, trattandosi di una trasformazione radicate dell'intero sistema»;
    il radicale vizio d'incostituzionalità riscontrato ha, secondo i presentatori del presente atto, di fatto impedito alla Corte di affrontare i profili più specifici e ha aperto la strada ad un'ulteriore riforma, realizzata con la legge 7 aprile 2014, n. 56 (cosiddetta «legge Delrio» dal nome del Ministro per gli affari regionali e le autonomie del Governo Letta al quale si deve l'iniziativa);
    questa legge, pur con alcune modifiche, mantiene due aspetti della precedente riforma: un forte ridimensionamento delle funzioni delle province e la eliminazione del suffragio universale diretto per la scelta degli organi politici, ancora consegnati a una rappresentanza di secondo livello, con i limiti già evidenziati;
    nel frattempo, il Governo Renzi, insediatosi dopo il Governo Letta, presentava una proposta di legge costituzionale recante un'ampia revisione della Parte seconda della Costituzione, prevedendo, tra l'altro, la soppressione delle province dal testo costituzionale, con ciò potendo porre i presupposti per la totale eliminazione dell'ente intermedio (che, in caso di approvazione della riforma, poi invece respinta dagli elettori con il referendum del 4 dicembre 2016, sarebbe comunque stato privato di riconoscimento costituzionale);
    intanto anche la cosiddetta «legge Delrio» è stata in effetti impugnata di fronte alla Corte costituzionale, la quale, con sentenza n. 50 del 2015, ha rigettato – come noto – tutte le censure formulate, ancorché con particolare riferimento a quelle ordinamentali abbia precisato che «è in corso l'approvazione di un progetto – da realizzarsi nelle forme di legge costituzionale – che ne prevede la futura soppressione, con la loro conseguente eliminazione dal novero degli enti autonomi riportati nell'articolo 114 Cost., come, del resto, chiaramente evincibile dall’incipit contenuto nel comma 51 dell'articolo 1 della legge in esame». Si tratta di una motivazione, a giudizio dei presentatori del presente atto, del tutto singolare nell'ambito della giurisprudenza costituzionale (probabilmente non solo italiana);
    in effetti, quella revisione costituzionale – come già ricordato – è stata sonoramente bocciata dagli elettori nel referendum del 4 dicembre 2016, con la conseguenza che da più parti è stata sottolineata la necessità – anche da un punto di vista del rispetto della Costituzione – di reintrodurre un sistema di elezione diretta degli organi della provincia, non potendosi in proposito che sottolineare come – anche in base a quanto poco sopra ricordato –, anche al di là di un diretto vincolo costituzionale, ciò risulterebbe certamente più coerente con il fondamento democratico della Repubblica e quindi dei suoi enti costitutivi; ciò sarebbe anche più rispondente alla necessità che, a tutti i livelli di governo, sia data diretta espressione alla sovranità popolare, in proposito sembrando anzi da valorizzare una maggiore partecipazione dei cittadini, anche potenziando la presenza degli istituti di democrazia diretta negli statuti degli enti locali;
    la tendenza alla soppressione (o almeno al fortissimo e inadeguato ridimensionamento) delle province, pur in assenza di un più generale intervento sull'assetto del governo locale del Paese, è stata peraltro accompagnata da pesantissimi tagli di risorse, o meglio – come è stato evidenziato dall'Unione delle province italiane – un vero e proprio prelievo. In proposito basti ricordare che la legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015) ha previsto, all'articolo 1, comma 418, che le province e le Città metropolitane «concorrono al contenimento della spesa pubblica attraverso una riduzione della spesa corrente di 1.000 milioni di euro per l'anno 2015, di 2.000 milioni di euro per l'anno 2016 e di 3.000 milioni di euro a decorrere dall'anno 2017. In considerazione delle riduzioni di spesa di cui al periodo precedente, ripartite nelle misure del 90 per cento fra gli enti appartenenti alle regioni a statuto ordinario e del restante 10 per cento fra gli enti della regione siciliana e della regione Sardegna, ciascuna provincia e città metropolitana versa ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato un ammontare di risorse pari ai predetti risparmi di spesa». Tali pesanti tagli si aggiungono a quelli realizzati con decreto-legge n. 201 del 2011, con decreto-legge n. 95 del 2012 e con decreto-legge n. 66 del 2014, giungendo, nel 2017, a sommare una riduzione di risorse pari a 5.250 milioni di euro;
    è stato calcolato che alle province resta appena il 3 per cento degli introiti raccolti sul territorio per poter coprire le spese delle loro funzioni fondamentali, destando preoccupazione, in particolare il mantenimento di 130 mila chilometri di strade provinciali, nonché di 5.100 scuole superiori, tanto che era stato evidenziato dalla stessa società soluzioni per il sistema economico pubblico e privato (Sose) società costituita dal Ministero dell'economia, con il compito, tra l'altro, di determinare i fabbisogni standard in attuazione del federalismo fiscale, la necessità di prevedere 650 milioni di euro aggiuntivi per la spesa corrente delle province;
    le preoccupazioni per la suddetta situazione non sono state superate in sede di approvazione della cosiddetta recente «manovrina», cioè la legge di conversione del decreto-legge n. 50 del 2017, tanto che l'Unione provinciale italiana, a mezzo del suo presidente, si era rivolta anche al Presidente della Repubblica, con lettera 1o giugno 2017, evidenziando la suddetta situazione. Tuttavia, la definitiva conversione in legge del decreto-legge sopra menzionato da parte del Senato in data 15 giugno 2017, senza la previsione delle risorse ritenute strettamente necessarie, ha portato il presidente dell'Unione provinciale italiana a concludere che «è mancata la volontà di risolvere la grave emergenza per i servizi assicurati dalle province: una emergenza causata da tagli irragionevoli e ingiustificati di cui evidentemente ancora non si vuole ammettere l'errore. Saranno i mancati servizi che inevitabilmente ne deriveranno, i diritti allo studio, alla mobilità, alla sicurezza, negati in questo modo ai cittadini, a mettere Governo e Parlamento di fronte alle loro responsabilità»;
    tutto questo rende, oggi, le province enti deboli (anche dal punto di vista della legittimazione) e sempre meno capaci di svolgere anche le funzioni loro mantenute, con conseguenze negative sui servizi e quindi sulla vita dei cittadini,

impegna il Governo:

1)  ad assumere iniziative volte a:
   a) riorganizzare l'assetto del governo locale attraverso procedimenti condivisi con i territori;
   b) individuare le risorse adeguate a copertura delle funzioni assegnate in base all'analisi reale dei fabbisogni standard nel rispetto di quanto previsto all'articolo 119 della Costituzione;
   c) prioritariamente, assegnare alle province le ulteriori risorse necessarie a garantire lo svolgimento delle funzioni fondamentali assegnate, a partire dal mantenimento e dalla messa in sicurezza delle strade di competenza e degli istituti scolastici, anche sulla base delle valutazioni formulate dalla società soluzioni per il sistema economico pubblico e privato (Sose).
(1-01646) (Testo risultante dalla votazione per parti separate) «Civati, Marcon, Airaudo, Brignone, Costantino, Daniele Farina, Fassina, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Gregori, Andrea Maestri, Palazzotto, Pannarale, Paglia, Pastorino, Pellegrino, Placido».


   La Camera,
   premesso che:
    le decisioni e le misure che hanno interessato negli ultimi sei anni la sorte delle province è l'ulteriore prova che «La distanza più breve tra due punti è la retta. In Italia è l'arabesco», in quanto la soluzione più lineare, semplice, funzionale e veloce sarebbe stata, naturalmente, quella di sopprimere le province, mediante una legge costituzionale;
    dal primo tentativo di riduzione delle funzioni delle province, di cui al cosiddetto «decreto-legge Monti», poi dichiarato illegittimo, passando per la cosiddetta «legge Delrio», sono trascorsi sei anni e mezzo;
    si segnala che il riordino introdotto dalla stessa legge Delrio fu definito espressamente «provvisorio», nell'attesa dell'abolizione per via costituzionale, nonché privo di oneri per la finanza pubblica;
    non è peregrino pensare che, evidentemente, nonostante le buone parole e i lodevoli intenti, nessun Governo abbia mai voluto davvero abolire le province;
    si segnala che, in occasione dell'esame della cosiddetta «legge Delrio», la Corte dei conti aveva evidenziato la probabilità che il riordino prospettato avrebbe potuto comportare «aggravi di spesa, confusione ordinamentale e moltiplicazione di oneri» e sottolineato che «le procedure indicate mal si concilierebbero, per la durata e la complessità, con la provvisorietà del disegno organizzativo perseguito dal provvedimento»;
    la cosiddetta «legge Delrio» ha soppresso, delle province, solo la modalità di elezione degli amministratori, mantenendo loro le funzioni originarie, anzi, incrementandole, salvo prevedere un percorso successivo di trasferimento delle funzioni e del relativo personale per il tramite dell'intervento delle regioni;
    tale percorso non è stato e non è privo di «buche», in alcuni casi voragini: per molte delle province le cui funzioni non sono state trasferite le risorse finanziarie sono insufficienti, i bilanci sono sostanzialmente al collasso, soffocati dai mutui e, anche nel caso in cui siano trasferite risorse statali per il tramite del fondo di riequilibrio, queste sono trattenute dalle banche e ben poco o nulla rimane a disposizione per il pagamento degli stipendi del personale, per lo svolgimento delle funzioni proprie e dei connessi servizi ai cittadini – in particolare quelli riguardanti le scuole e le strade;
    la Costituzione italiana contiene una serie di disposizioni inerenti alle province, in particolare con riguardo all'autonomia e all'ambito economico, in quanto le risorse finanziarie devono consentire di finanziare integralmente le funzioni attribuite;
    con tale quadro mal si concilia, anzi, secondo i firmatari del presente atto, trattasi di vera e propria violazione di principi ordinamentali e costituzionali, il limbo giuridico nel quale le province versano e i tagli subiti, in forza, anche, della previsione, evidentemente troppo azzardata, della loro soppressione, «caduta» insieme all'intero progetto di revisione della Costituzione, respinto a seguito del referendum del dicembre 2016,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative di competenza per dotare immediatamente le province che non sono in grado di provvedervi delle risorse necessarie a garantire, in primis, il pagamento delle retribuzioni al personale, anche considerandolo creditore privilegiato e lo svolgimento delle funzioni proprie, in particolare quelle dedicate alle scuole e alle strade, nonché per attribuire entro il termine di sei mesi la manutenzione ordinaria e straordinaria delle strade e degli edifici scolastici di competenza delle province all'amministrazione centrale statale o alle amministrazioni regionali di riferimento;
2) in ordine alla ricollocazione del personale delle province in mobilità, conseguente al disposto trasferimento di funzioni delle province, a provvedere, ferma restando la vigente disciplina in materia, alla massima ottimizzazione delle assegnazioni del personale medesimo, tenendo nel debito conto le amministrazioni, centrali e periferiche, che risultino in carenza di organico, tra le quali, ad avviso dei firmatari del presente atto, sono da considerarsi le amministrazioni della giustizia, in particolare penitenziaria e dei tribunali;
3) ad adottare iniziative per introdurre misure sanzionatorie nei confronti delle regioni, a valere sui trasferimenti statali, fatti salvi il settore sanitario e dei trasporti, nel caso di loro inadempienza in ordine al trasferimento di funzioni delle province e nel caso di mancata erogazione delle risorse dovute a ciascuna provincia per l'esercizio delle funzioni alle stesse trasferite;
4) ad assumere iniziative per dare la possibilità agli enti provinciali di apportare le necessarie correzioni al proprio bilancio – in ottemperanza ai princìpi della veridicità, attendibilità, correttezza, e comprensibilità – nei casi in cui, anche per difficoltà di comprensione della complessa normativa sulla nuova contabilità, il riaccertamento straordinario del 2015 si sia rivelato incompleto o impreciso;
5) ad assumere iniziative per estendere alle province la disciplina della ristrutturazione del debito delle regioni di cui all'articolo 45 del decreto-legge n. 66 del 2014 convertito dalla legge n. 89 del 2014.
(1-01647) (Nuova formulazione) «Nesci, Dieni, Dadone, Cecconi, Cozzolino, D'Ambrosio, Toninelli, Lorefice, Crippa».


   La Camera,
   premesso che:
    le decisioni e le misure che hanno interessato negli ultimi sei anni la sorte delle province è l'ulteriore prova che «La distanza più breve tra due punti è la retta. In Italia è l'arabesco», in quanto la soluzione più lineare, semplice, funzionale e veloce sarebbe stata, naturalmente, quella di sopprimere le province, mediante una legge costituzionale;
    dal primo tentativo di riduzione delle funzioni delle province, di cui al cosiddetto «decreto-legge Monti», poi dichiarato illegittimo, passando per la cosiddetta «legge Delrio», sono trascorsi sei anni e mezzo;
    si segnala che il riordino introdotto dalla stessa legge Delrio fu definito espressamente «provvisorio», nell'attesa dell'abolizione per via costituzionale, nonché privo di oneri per la finanza pubblica;
    non è peregrino pensare che, evidentemente, nonostante le buone parole e i lodevoli intenti, nessun Governo abbia mai voluto davvero abolire le province;
    si segnala che, in occasione dell'esame della cosiddetta «legge Delrio», la Corte dei conti aveva evidenziato la probabilità che il riordino prospettato avrebbe potuto comportare «aggravi di spesa, confusione ordinamentale e moltiplicazione di oneri» e sottolineato che «le procedure indicate mal si concilierebbero, per la durata e la complessità, con la provvisorietà del disegno organizzativo perseguito dal provvedimento»;
    la cosiddetta «legge Delrio» ha soppresso, delle province, solo la modalità di elezione degli amministratori, mantenendo loro le funzioni originarie, anzi, incrementandole, salvo prevedere un percorso successivo di trasferimento delle funzioni e del relativo personale per il tramite dell'intervento delle regioni;
    tale percorso non è stato e non è privo di «buche», in alcuni casi voragini: per molte delle province le cui funzioni non sono state trasferite le risorse finanziarie sono insufficienti, i bilanci sono sostanzialmente al collasso, soffocati dai mutui e, anche nel caso in cui siano trasferite risorse statali per il tramite del fondo di riequilibrio, queste sono trattenute dalle banche e ben poco o nulla rimane a disposizione per il pagamento degli stipendi del personale, per lo svolgimento delle funzioni proprie e dei connessi servizi ai cittadini – in particolare quelli riguardanti le scuole e le strade;
    la Costituzione italiana contiene una serie di disposizioni inerenti alle province, in particolare con riguardo all'autonomia e all'ambito economico, in quanto le risorse finanziarie devono consentire di finanziare integralmente le funzioni attribuite;
    con tale quadro mal si concilia, anzi, secondo i firmatari del presente atto, trattasi di vera e propria violazione di principi ordinamentali e costituzionali, il limbo giuridico nel quale le province versano e i tagli subiti, in forza, anche, della previsione, evidentemente troppo azzardata, della loro soppressione, «caduta» insieme all'intero progetto di revisione della Costituzione, respinto a seguito del referendum del dicembre 2016,

impegna il Governo

1) a continuare ad assicurare il ricollocamento del personale delle province in mobilità conseguente al disposto trasferimento di funzioni non fondamentali delle province presso altre amministrazioni centrali e periferiche che risultino in carenza di organico e in particolare, come già avvenuto, presso l'amministrazione della giustizia.
(1-01647) (Nuova formulazione – Testo modificato nel corso della seduta come risultante dalla votazione per parti separate)  «Nesci, Dieni, Dadone, Cecconi, Cozzolino, D'Ambrosio, Toninelli, Lorefice, Crippa».


   La Camera,
   premesso che:
    la legge 7 aprile 2014, n. 56, in prospettiva di una riforma costituzionale del titolo V della Costituzione italiana che, tra l'altro, avrebbe dovuto prevedere l'abrogazione delle provincie, ha disposto una radicale riforma della struttura istituzionale, organizzativa, nonché delle funzioni svolte, dall'ente provincia trasformandolo in un ente di area vasta al quale in via transitoria sono comunque state demandate una serie di funzioni fondamentali quali: la manutenzione, la messa in sicurezza, la gestione ordinaria e straordinaria delle strade provinciali; la gestione ordinaria, manutenzione e messa in sicurezza, nonché spese di gestione utenze, per più di 5.000 istituti scolastici secondari di secondo grado; la predisposizione di interventi e opere a difesa dell'ambiente e per il contrasto al dissesto idrogeologico; infine, la pianificazione territoriale e dei trasporti;
    nelle more dell'abrogazione delle province la legge di stabilità per il 2015 (legge n. 94 del 2014) ha operato un taglio anticipato di quasi tre miliardi di euro di risorse ai bilanci delle province e delle città metropolitane;
    la mancata attuazione della riforma costituzionale e la conseguente mancata abrogazione delle province a seguito della «bocciatura» del referendum confermativo del 4 dicembre 2016 insieme alle ulteriori riduzioni di risorse operate nel corso degli anni 2015 e 2016 nei confronti delle stesse, ha lasciato queste amministrazioni in una situazione di estrema gravità dal punto di vista amministrativo rendendo impossibile in molti casi svolgere le funzioni, anche di natura fondamentale, che la legge attribuisce loro;
    la condizione di grave difficoltà amministrativa delle province italiane è stata più volte richiamata dalla Corte dei Conti, anche nel corso di relazioni rivolte al Parlamento italiano. Nella relazione al Parlamento del 30 aprile 2015 la magistratura contabile denunciava come, a seguito dei ritardi dei trasferimenti erariali e regionali, delle reiterate manovre sul fondo sperimentale di riequilibri e, in conseguenza di una costante tensione sulle entrate, determinata dalla progressiva contrazione di quelle derivate, non sufficientemente compensata dal potenziamento delle entrate proprie, le province fossero state di fatto poste in una condizione tale da annullare qualsiasi capacità programmatoria;
    più recentemente, il 23 febbraio 2017, la Corte dei Conti, nel rapporto alle Camere sulla situazione dei bilanci delle province, ha denunciato la manifesta irragionevolezza della forte riduzione delle risorse destinate a funzioni esercitate con carattere di continuità ed in settori di notevole rilevanza sociale, denunciando inoltre il grave deterioramento delle condizioni di equilibrio strutturale dei bilanci delle province, nonché il fatto che gli interventi emergenziali previsti non hanno prodotto un rimedio organico;
    la politica di costante riduzione delle risorse in favore delle province, oltre al dissesto di tre di esse e alla condizione di pre-dissesto di altre dieci amministrazioni provinciali, ha prodotto una situazione che, nell'anno in corso, registra una carenza di risorse necessarie a garantire l'esercizio delle funzioni fondamentali e dei bisogni standard pari a 650 milioni di euro totali per tutte le province italiane;
    per l'anno 2017 a fronte di oltre 2 milioni di euro di entrate prodotte dal gettito di tributi di spettanza provinciale, circa 1 miliardo e 600 milioni di euro verrà sottratto ai territori e utilizzato dallo Stato centrale, dando vita ad una sottrazione pari al 78,4 per cento del gettito totale dei tributi propri delle province;
    la preoccupante ristrettezza di risorse con la quale le province si trovano a fare conti oltre ad impedire non solo una minima programmazione della gestione, ma anche l'impossibilità concreta di approvare il bilancio di previsione per il 2017, produce una lunga serie di conseguenze ulteriori ed effetti collaterali tutti di segno negativo;
    risorse insufficienti producono effetti sullo sviluppo del territorio con piccole e medie imprese che, nell'ultimo triennio, si sono viste quasi azzerate le commesse pubbliche. Inoltre, l'insufficienza di investimenti locali produce il progressivo deterioramento del patrimonio pubblico;
    nello specifico caso delle province, quanto precede significa mancati interventi sulle scuole, sulle strade di competenza provinciale e sulle opere di contrasto al fenomeno del dissesto idrogeologico, con conseguente aumento del rischio per la incolumità delle persone;
    le norme contenute nel recente decreto-legge n. 50 del 2017 riguardanti le province hanno previsto misure e stanziamenti di risorse del tutto insufficienti a fronte dei fabbisogni reali. Per la gestione delle strade di competenza provinciale, pari a 130 mila chilometri totali di rete viaria sono stati stanziati solo 100 milioni di euro per il 2017. A fronte di uno sbilancio di risorse pari a 650 milioni di euro per la gestione delle funzioni fondamentali sono stati stanziati 110 milioni di euro per l'anno 2017 e 80 per l'anno 2018. Anche sul fronte del personale le aperture registrate sono state minime rispetto alle esigenze più volte manifestate dalle province in merito al ripristino delle ordinarie condizioni di autonomia organizzativa in materia di personale;
    nel corso dell'esame parlamentare del disegno di legge di conversione del predetto decreto-legge n. 50 del 2017, il gruppo parlamentare Articolo 1-MDP ha sostenuto numerose proposte avanzate dall'Upi in occasione del ciclo di audizioni, come quella relativa allo stanziamento in loro favore di 650 milioni di euro e, successivamente, a seguito dell'approvazione di proposte emendative di iniziativa parlamentare si è riusciti o a migliorare in parte le disposizioni già presenti nel decreto o ad introdurne delle nuove e aggiuntive rispetto al testo originario;
    in particolare, le risorse per lo svolgimento delle funzioni fondamentali sono state aumentate a 180 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018. I fondi per la manutenzione ordinaria delle strade sono stati elevati a 170 milioni di euro per l'anno 2017 ed in aggiunta potranno essere destinati i proventi delle contravvenzioni elevate negli anni 2017 e 2018. Sono state incrementate di 15 milioni, sempre per il 2017, le risorse da destinare agli interventi di edilizia scolastica;
    tali modifiche devono considerarsi uno sforzo sicuramente utile ma, purtroppo, ancora non sufficiente per porre rimedio alla grave condizione di difficoltà finanziaria in cui versano le province per consentire loro di svolgere pienamente le funzioni previste per legge,

impegna il Governo:

1) ad individuare ulteriori risorse da destinare alla spesa corrente delle province al fine di consentire loro il pieno esercizio delle funzioni fondamentali e l'erogazione dei servizi essenziali;
2) ad assumere iniziative per incrementare ulteriormente le risorse da destinare alla spesa in conto capitale per la manutenzione delle strade nonché per l'edilizia scolastica, al fine di avviare un piano di investimenti volto a maggiormente tutelare la sicurezza dei cittadini;
3) a individuare gli strumenti attraverso i quali consentire alle province una vera ristrutturazione del debito, non limitandosi alla semplice rinegoziazione, come già avvenuto per le regioni;
4) ad attivarsi per consentire l'istituzione di un fondo straordinario in grado di agevolare le province in dissesto finanziario e quelle in condizione di pre-dissesto nel tornare in una condizione di maggiore stabilità finanziaria;
5) al fine di sostenere la ripresa delle province colpite dal terremoto, ad assumere iniziative per prevedere che queste siano dispensate dal pagamento del contributo alla finanza pubblica per il 2017, di cui all'articolo 1, comma 418, della legge n. 190 del 2014, ed esentate dal rispetto del saldo di finanza pubblica per gli anni 2016 e 2017, nelle medesime modalità già previsti per le amministrazioni comunali;
6) a valutare una progressiva eliminazione dei vincoli che impediscono una efficiente gestione delle risorse umane fatti salvi i vincoli di natura finanziaria di cui all'articolo 1, comma 420, della legge n. 190 del 2014.
(1-01648) «Melilla, Albini, Capodicasa, Laforgia, Ricciatti, Mognato, Fossati, Zappulla, D'Attorre, Scotto, Roberta Agostini».


   La Camera,
   premesso che:
    la legge 7 aprile 2014, n. 56, in prospettiva di una riforma costituzionale del titolo V della Costituzione italiana che, tra l'altro, avrebbe dovuto prevedere l'abrogazione delle provincie, ha disposto una radicale riforma della struttura istituzionale, organizzativa, nonché delle funzioni svolte, dall'ente provincia trasformandolo in un ente di area vasta al quale in via transitoria sono comunque state demandate una serie di funzioni fondamentali quali: la manutenzione, la messa in sicurezza, la gestione ordinaria e straordinaria delle strade provinciali; la gestione ordinaria, manutenzione e messa in sicurezza, nonché spese di gestione utenze, per più di 5.000 istituti scolastici secondari di secondo grado; la predisposizione di interventi e opere a difesa dell'ambiente e per il contrasto al dissesto idrogeologico; infine, la pianificazione territoriale e dei trasporti;
    nelle more dell'abrogazione delle province la legge di stabilità per il 2015 (legge n. 94 del 2014) ha operato un taglio anticipato di quasi tre miliardi di euro di risorse ai bilanci delle province e delle città metropolitane;
    la mancata attuazione della riforma costituzionale e la conseguente mancata abrogazione delle province a seguito della «bocciatura» del referendum confermativo del 4 dicembre 2016 insieme alle ulteriori riduzioni di risorse operate nel corso degli anni 2015 e 2016 nei confronti delle stesse, ha lasciato queste amministrazioni in una situazione di estrema gravità dal punto di vista amministrativo rendendo impossibile in molti casi svolgere le funzioni, anche di natura fondamentale, che la legge attribuisce loro;
    la condizione di grave difficoltà amministrativa delle province italiane è stata più volte richiamata dalla Corte dei Conti, anche nel corso di relazioni rivolte al Parlamento italiano. Nella relazione al Parlamento del 30 aprile 2015 la magistratura contabile denunciava come, a seguito dei ritardi dei trasferimenti erariali e regionali, delle reiterate manovre sul fondo sperimentale di riequilibri e, in conseguenza di una costante tensione sulle entrate, determinata dalla progressiva contrazione di quelle derivate, non sufficientemente compensata dal potenziamento delle entrate proprie, le province fossero state di fatto poste in una condizione tale da annullare qualsiasi capacità programmatoria;
    più recentemente, il 23 febbraio 2017, la Corte dei Conti, nel rapporto alle Camere sulla situazione dei bilanci delle province, ha denunciato la manifesta irragionevolezza della forte riduzione delle risorse destinate a funzioni esercitate con carattere di continuità ed in settori di notevole rilevanza sociale, denunciando inoltre il grave deterioramento delle condizioni di equilibrio strutturale dei bilanci delle province, nonché il fatto che gli interventi emergenziali previsti non hanno prodotto un rimedio organico;
    la politica di costante riduzione delle risorse in favore delle province, oltre al dissesto di tre di esse e alla condizione di pre-dissesto di altre dieci amministrazioni provinciali, ha prodotto una situazione che, nell'anno in corso, registra una carenza di risorse necessarie a garantire l'esercizio delle funzioni fondamentali e dei bisogni standard pari a 650 milioni di euro totali per tutte le province italiane;
    per l'anno 2017 a fronte di oltre 2 milioni di euro di entrate prodotte dal gettito di tributi di spettanza provinciale, circa 1 miliardo e 600 milioni di euro verrà sottratto ai territori e utilizzato dallo Stato centrale, dando vita ad una sottrazione pari al 78,4 per cento del gettito totale dei tributi propri delle province;
    la preoccupante ristrettezza di risorse con la quale le province si trovano a fare conti oltre ad impedire non solo una minima programmazione della gestione, ma anche l'impossibilità concreta di approvare il bilancio di previsione per il 2017, produce una lunga serie di conseguenze ulteriori ed effetti collaterali tutti di segno negativo;
    risorse insufficienti producono effetti sullo sviluppo del territorio con piccole e medie imprese che, nell'ultimo triennio, si sono viste quasi azzerate le commesse pubbliche. Inoltre, l'insufficienza di investimenti locali produce il progressivo deterioramento del patrimonio pubblico;
    nello specifico caso delle province, quanto precede significa mancati interventi sulle scuole, sulle strade di competenza provinciale e sulle opere di contrasto al fenomeno del dissesto idrogeologico, con conseguente aumento del rischio per la incolumità delle persone;
    le norme contenute nel recente decreto-legge n. 50 del 2017 riguardanti le province hanno previsto misure e stanziamenti di risorse del tutto insufficienti a fronte dei fabbisogni reali. Per la gestione delle strade di competenza provinciale, pari a 130 mila chilometri totali di rete viaria sono stati stanziati solo 100 milioni di euro per il 2017. A fronte di uno sbilancio di risorse pari a 650 milioni di euro per la gestione delle funzioni fondamentali sono stati stanziati 110 milioni di euro per l'anno 2017 e 80 per l'anno 2018. Anche sul fronte del personale le aperture registrate sono state minime rispetto alle esigenze più volte manifestate dalle province in merito al ripristino delle ordinarie condizioni di autonomia organizzativa in materia di personale;
    nel corso dell'esame parlamentare del disegno di legge di conversione del predetto decreto-legge n. 50 del 2017, il gruppo parlamentare Articolo 1-MDP ha sostenuto numerose proposte avanzate dall'Upi in occasione del ciclo di audizioni, come quella relativa allo stanziamento in loro favore di 650 milioni di euro e, successivamente, a seguito dell'approvazione di proposte emendative di iniziativa parlamentare si è riusciti o a migliorare in parte le disposizioni già presenti nel decreto o ad introdurne delle nuove e aggiuntive rispetto al testo originario;
    in particolare, le risorse per lo svolgimento delle funzioni fondamentali sono state aumentate a 180 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018. I fondi per la manutenzione ordinaria delle strade sono stati elevati a 170 milioni di euro per l'anno 2017 ed in aggiunta potranno essere destinati i proventi delle contravvenzioni elevate negli anni 2017 e 2018. Sono state incrementate di 15 milioni, sempre per il 2017, le risorse da destinare agli interventi di edilizia scolastica;
    tali modifiche devono considerarsi uno sforzo sicuramente utile ma, purtroppo, ancora non sufficiente per porre rimedio alla grave condizione di difficoltà finanziaria in cui versano le province per consentire loro di svolgere pienamente le funzioni previste per legge,

impegna il Governo:

1) ad individuare ulteriori risorse da destinare alla spesa corrente delle province al fine di consentire loro il pieno esercizio delle funzioni fondamentali e l'erogazione dei servizi essenziali;
2) ad assumere iniziative per incrementare ulteriormente le risorse da destinare alla spesa in conto capitale per la manutenzione delle strade nonché per l'edilizia scolastica, al fine di avviare un piano di investimenti volto a maggiormente tutelare la sicurezza dei cittadini;
3) a individuare gli strumenti attraverso i quali consentire alle province una vera ristrutturazione del debito, non limitandosi alla semplice rinegoziazione, come già avvenuto per le regioni;
4) ad attivarsi per verificare la possibilità di istituire un fondo straordinario in grado di agevolare le province in dissesto finanziario e quelle in condizione di pre-dissesto nel tornare in una condizione di maggiore stabilità finanziaria;
5) al fine di sostenere la ripresa delle province colpite dal terremoto, a valutare la possibilità di assumere iniziative per prevedere che queste siano dispensate dal pagamento del contributo alla finanza pubblica per il 2017, di cui all'articolo 1, comma 418, della legge n. 190 del 2014, ed esentate dal rispetto del saldo di finanza pubblica per gli anni 2016 e 2017, nelle medesime modalità già previsti per le amministrazioni comunali;
6) a valutare una progressiva eliminazione dei vincoli che impediscono una efficiente gestione delle risorse umane fatti salvi i vincoli di natura finanziaria di cui all'articolo 1, comma 420, della legge n. 190 del 2014.
(1-01648) (Testo modificato nel corso della seduta)  «Melilla, Albini, Capodicasa, Laforgia, Ricciatti, Mognato, Fossati, Zappulla, D'Attorre, Scotto, Roberta Agostini».


   La Camera,
   premesso che:
    la Costituzione, all'articolo 114, stabilisce che la Repubblica è costituita da comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato e che comuni, province, città metropolitane e regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione;
    gli articoli 117 e 118 della Costituzione attribuiscono alle province funzioni amministrative, mentre l'articolo 119 attribuisce loro autonomia finanziaria di entrata e di spesa e risorse autonome con cui finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite;
    la legge n. 56 del 2014, recante «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», non potendosi con legge ordinaria abolire le province, le ha trasformate in enti di secondo livello, in attesa di una loro soppressione attraverso una riforma del titolo V della Costituzione;
    la cosiddetta «legge Delrio» ha mantenuto in capo alle province, quali enti con funzioni di area vasta, alcune funzioni fondamentali, come la pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché la tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza; la pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, l'autorizzazione e il controllo in materia di trasporto privato, nonché la costruzione e gestione delle strade provinciali e la regolazione della circolazione stradale; la programmazione provinciale della rete scolastica; la raccolta ed elaborazione di dati, la assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali; la gestione dell'edilizia scolastica; il controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale;
    il testo della riforma costituzionale approvato dal Parlamento non ha affrontato nel suo complesso il tema di una revisione organica dei diversi livelli di governo, a partire dalle regioni, limitandosi alla soppressione delle provincie e alla loro trasformazione in «enti di area vasta», con l'attribuzione a comuni e regioni delle funzioni fondamentali che la «legge Delrio» aveva mantenuto in capo alle province, lasciando agli enti di area vasta e alle città metropolitane le competenze residuali;
    l'esito negativo del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, lasciando inalterato il testo della carta costituzionale, ha quindi avuto come conseguenza quella di mantenere l'autonomia istituzionale, finanziaria e organizzativa delle province. Ne consegue che diviene necessario un intervento normativo che adegui cospicue parti della citata legge n. 56 del 2014, alla filosofia di fondo del dettato costituzionale, voluto dai Costituenti o, quantomeno, ponga chiarezza nelle modalità con cui è avvenuto – e sta avvenendo – il trasferimento alle regioni e ai comuni delle competenze sottratte alle province;
    la mancata attuazione della riforma costituzionale e la conseguente mancata abrogazione delle province a seguito della «bocciatura» del referendum confermativo del 4 dicembre 2016 insieme alle ulteriori riduzioni di risorse operate nel corso degli anni 2015 e 2016 nei confronti delle stesse, ha lasciato queste amministrazioni in una situazione di estrema gravità dal punto di vista amministrativo rendendo impossibile in molti casi svolgere le funzioni, anche di natura fondamentale, che la legge attribuisce loro;
    la «bocciatura» della riforma costituzionale, pone anche un ulteriore problema: la «riforma Delrio» ha previsto l'eliminazione del suffragio universale diretto per la scelta degli organi politici, che sono stati affidati a una rappresentanza di secondo livello. Tale scelta, motivata da logiche «anti-casta» e da deboli argomentazioni di ordine economico, pare ora, con il mantenimento della capacità impositiva, ex articolo 119 Costituzione, ledere uno dei principi cardine del costituzionalismo, quello del no taxation without representation e quindi negare la possibilità per i cittadini di influire direttamente nella determinazione dell'indirizzo politico provinciale, valutando, conseguentemente, l'operato dei propri rappresentanti;
    non è in nessun caso in discussione la necessità che a tutti i livelli istituzionali siano perseguite serie e credibili politiche di revisione e razionalizzazione della spesa ed è lo stesso dettato costituzionale a prevedere che le province «concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea». Tuttavia, ancor prima della conclusione dell’iter ex-articolo 138 della Costituzione e del successivo svolgimento del referendum confermativo, il Governo ha operato drastici tagli ai bilanci provinciali che hanno posto tali enti in una condizione di grave difficoltà amministrativa;
    la logica del Governo di operare come se alle province fossero già state tolte funzioni fondamentali in materia di trasporti, strade, rete scolastica e tutela ambientale ha portato un intero comparto istituzionale a non essere in grado non solo di approvare i bilanci, ma, fatto ancora più grave, all'impossibilità di erogare i servizi;
    la Corte dei conti ha ripetutamente messo in guardia parlamento ed Esecutivo su questo modo di intervenire: già durante i lavori preparatori della «legge Delrio» aveva evidenziato come il riordino prospettato avrebbe potuto comportare «aggravi di spesa, confusione ordinamentale e moltiplicazione di oneri»; nell'aprile 2015 la magistratura contabile denunciava come le province fossero state di fatto poste in una condizione tale da annullare qualsiasi capacità programmatoria; infine, nel febbraio 2017, nel rapporto alle Camere sulla situazione dei bilanci delle province, evidenziava la manifesta irragionevolezza della forte riduzione delle risorse destinate a funzioni esercitate con carattere di continuità ed in settori di notevole rilevanza sociale, con grave deterioramento delle condizioni di equilibrio strutturale dei bilanci delle province;
    i presidenti delle province nel febbraio 2017 hanno denunciato l'impossibilità di poter erogare servizi fondamentali per la collettività, quali la manutenzione degli edifici scolastici di competenza e la manutenzione dei 130 mila chilometri di strade provinciali;
    neppure in sede di conversione del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, si è previsto di allocare almeno le risorse strettamente necessarie per risolvere questa situazione paradossale, tanto che il presidente dell'Unione provinciale italiana ha dovuto constatare come sia «mancata la volontà di risolvere la grave emergenza per i servizi assicurati dalle province: una emergenza causata da tagli irragionevoli e ingiustificati di cui evidentemente ancora non si vuole ammettere l'errore»,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative, anche normative, necessarie per garantire alle province italiane di poter far fronte alle proprie funzioni istituzionali, in base all'analisi reale dei fabbisogni standard, e nel rispetto dell'articolo 119 della Costituzione, con particolare attenzione alla manutenzione delle strade e all'edilizia scolastica;
2) ad aprire un confronto in ogni opportuna sede parlamentare al fine di:
   a) rivalutare la distribuzione delle funzioni attribuite alle province dalla legge n. 56 del 2014, anche alla luce del voto referendario del 4 dicembre 2016;
   b) rivedere la disciplina relativa agli organi provinciali e alla loro durata, ripristinandone l'elezione a suffragio diretto degli organi rappresentativi;
   c) valutare la possibilità di procedere ad un'organica revisione del testo unico degli enti locali, per adeguarlo alle novità in materia di comuni, province e città metropolitane;
3) ad assumere iniziative per ripristinare l'autonomia organizzativa degli enti, attraverso la soppressione del comma 420 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014;
4) ad assumere iniziative per consentire alle province in via straordinaria, anche per il 2017, di utilizzare gli avanzi di amministrazione per assicurare gli equilibri dei bilanci.
(1-01649) «Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».


   La Camera,
   premesso che:
    la Costituzione, all'articolo 114, stabilisce che la Repubblica è costituita da comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato e che comuni, province, città metropolitane e regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione;
    gli articoli 117 e 118 della Costituzione attribuiscono alle province funzioni amministrative, mentre l'articolo 119 attribuisce loro autonomia finanziaria di entrata e di spesa e risorse autonome con cui finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite;
    la legge n. 56 del 2014, recante «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», non potendosi con legge ordinaria abolire le province, le ha trasformate in enti di secondo livello, in attesa di una loro soppressione attraverso una riforma del titolo V della Costituzione;
    la cosiddetta «legge Delrio» ha mantenuto in capo alle province, quali enti con funzioni di area vasta, alcune funzioni fondamentali, come la pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché la tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza; la pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, l'autorizzazione e il controllo in materia di trasporto privato, nonché la costruzione e gestione delle strade provinciali e la regolazione della circolazione stradale; la programmazione provinciale della rete scolastica; la raccolta ed elaborazione di dati, la assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali; la gestione dell'edilizia scolastica; il controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale;
    il testo della riforma costituzionale approvato dal Parlamento non ha affrontato nel suo complesso il tema di una revisione organica dei diversi livelli di governo, a partire dalle regioni, limitandosi alla soppressione delle provincie e alla loro trasformazione in «enti di area vasta», con l'attribuzione a comuni e regioni delle funzioni fondamentali che la «legge Delrio» aveva mantenuto in capo alle province, lasciando agli enti di area vasta e alle città metropolitane le competenze residuali;
    l'esito negativo del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, lasciando inalterato il testo della carta costituzionale, ha quindi avuto come conseguenza quella di mantenere l'autonomia istituzionale, finanziaria e organizzativa delle province. Ne consegue che diviene necessario un intervento normativo che adegui cospicue parti della citata legge n. 56 del 2014, alla filosofia di fondo del dettato costituzionale, voluto dai Costituenti o, quantomeno, ponga chiarezza nelle modalità con cui è avvenuto – e sta avvenendo – il trasferimento alle regioni e ai comuni delle competenze sottratte alle province;
    la mancata attuazione della riforma costituzionale e la conseguente mancata abrogazione delle province a seguito della «bocciatura» del referendum confermativo del 4 dicembre 2016 insieme alle ulteriori riduzioni di risorse operate nel corso degli anni 2015 e 2016 nei confronti delle stesse, ha lasciato queste amministrazioni in una situazione di estrema gravità dal punto di vista amministrativo rendendo impossibile in molti casi svolgere le funzioni, anche di natura fondamentale, che la legge attribuisce loro;
    la «bocciatura» della riforma costituzionale, pone anche un ulteriore problema: la «riforma Delrio» ha previsto l'eliminazione del suffragio universale diretto per la scelta degli organi politici, che sono stati affidati a una rappresentanza di secondo livello. Tale scelta, motivata da logiche «anti-casta» e da deboli argomentazioni di ordine economico, pare ora, con il mantenimento della capacità impositiva, ex articolo 119 Costituzione, ledere uno dei principi cardine del costituzionalismo, quello del no taxation without representation e quindi negare la possibilità per i cittadini di influire direttamente nella determinazione dell'indirizzo politico provinciale, valutando, conseguentemente, l'operato dei propri rappresentanti;
    non è in nessun caso in discussione la necessità che a tutti i livelli istituzionali siano perseguite serie e credibili politiche di revisione e razionalizzazione della spesa ed è lo stesso dettato costituzionale a prevedere che le province «concorrono ad assicurare l'osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea». Tuttavia, ancor prima della conclusione dell’iter ex-articolo 138 della Costituzione e del successivo svolgimento del referendum confermativo, il Governo ha operato drastici tagli ai bilanci provinciali che hanno posto tali enti in una condizione di grave difficoltà amministrativa;
    la logica del Governo di operare come se alle province fossero già state tolte funzioni fondamentali in materia di trasporti, strade, rete scolastica e tutela ambientale ha portato un intero comparto istituzionale a non essere in grado non solo di approvare i bilanci, ma, fatto ancora più grave, all'impossibilità di erogare i servizi;
    la Corte dei conti ha ripetutamente messo in guardia parlamento ed Esecutivo su questo modo di intervenire: già durante i lavori preparatori della «legge Delrio» aveva evidenziato come il riordino prospettato avrebbe potuto comportare «aggravi di spesa, confusione ordinamentale e moltiplicazione di oneri»; nell'aprile 2015 la magistratura contabile denunciava come le province fossero state di fatto poste in una condizione tale da annullare qualsiasi capacità programmatoria; infine, nel febbraio 2017, nel rapporto alle Camere sulla situazione dei bilanci delle province, evidenziava la manifesta irragionevolezza della forte riduzione delle risorse destinate a funzioni esercitate con carattere di continuità ed in settori di notevole rilevanza sociale, con grave deterioramento delle condizioni di equilibrio strutturale dei bilanci delle province;
    i presidenti delle province nel febbraio 2017 hanno denunciato l'impossibilità di poter erogare servizi fondamentali per la collettività, quali la manutenzione degli edifici scolastici di competenza e la manutenzione dei 130 mila chilometri di strade provinciali;
    neppure in sede di conversione del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, si è previsto di allocare almeno le risorse strettamente necessarie per risolvere questa situazione paradossale, tanto che il presidente dell'Unione provinciale italiana ha dovuto constatare come sia «mancata la volontà di risolvere la grave emergenza per i servizi assicurati dalle province: una emergenza causata da tagli irragionevoli e ingiustificati di cui evidentemente ancora non si vuole ammettere l'errore»,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative, anche normative, necessarie per garantire alle province italiane di poter far fronte alle proprie funzioni istituzionali, in base all'analisi reale dei fabbisogni standard, e nel rispetto dell'articolo 119 della Costituzione, con particolare attenzione alla manutenzione delle strade e all'edilizia scolastica;
2) ad aprire un confronto in ogni opportuna sede parlamentare al fine di:
   a) rivalutare la distribuzione delle funzioni attribuite alle province dalla legge n. 56 del 2014, anche alla luce del voto referendario del 4 dicembre 2016;
   b) rivedere la disciplina relativa agli organi provinciali e alla loro durata;
   c) valutare la possibilità di procedere ad un'organica revisione del testo unico degli enti locali, per adeguarlo alle novità in materia di comuni, province e città metropolitane;
3) ad assumere iniziative per ripristinare l'autonomia organizzativa degli enti, attraverso la soppressione del comma 420 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014;
4) ad assumere iniziative per consentire alle province in via straordinaria, anche per il 2017, di utilizzare gli avanzi di amministrazione per assicurare gli equilibri dei bilanci.
(1-01649) (Testo modificato nel corso della seduta) «Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».


   La Camera,
   premesso che:
    in base al dettato costituzionale le province sono enti essenziali dello Stato, «titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze», e dotate di autonomia finanziaria di entrata e di spesa al fine di consentire alle stesse «di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite»;
    in base al Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000. n. 267, alla provincia spettavano le funzioni, amministrative che riguardavano vaste zone intercomunali o l'intero territorio provinciale nei seguenti settori: la difesa, del suolo, la tutela e valorizzazione dell'ambiente e la prevenzione delle calamità; la tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche; la valorizzazione dei beni culturali; viabilità e trasporti; la protezione della flora e della fauna; la caccia e la pesca nelle acque interne; la gestione dei rifiuti e dell'inquinamento; servizi sanitari, di igiene e profilassi pubblica; compiti connessi all'istruzione, compresa l'edilizia scolastica;
    nel 2014, con l'approvazione della legge 7 aprile 2014, n. 56, cosiddetta legge Delrio, è stata operata una profonda riforma dell'assetto istituzionale delle province, che sono state trasformate in enti amministrativi di secondo livello, con elezione dei propri organi a suffragio ristretto, sono state ridotte le funzioni ad esse spettanti e, infine, è stata prevista la trasformazione di dieci province in città metropolitane;
    in particolare, la legge ha abolito la giunta provinciale, redistribuendo le deleghe di governo all'interno del consiglio provinciale, molto ridimensionato nel numero dei suoi membri, e ha previsto che un nuovo organo, assemblea dei sindaci, assuma il compito di deliberare il bilancio ed eventuali modifiche statutarie;
    delle funzioni rimaste in capo alle province dopo l'intervento del 2014 alcune sono essenziali per garantire l'erogazione dei servizi ai cittadini; tra queste figurano, in primissimo luogo, la cognizione e gestione delle strade provinciali, il trasporto pubblico e privato, la programmazione provinciale della rete scolastica, la gestione dell'edilizia scolastica, la polizia provinciale;
    la «legge Delrio», quindi, non ha affatto previsto una cancellazione delle province, che sarebbe dovuta avvenire in una fase successiva con il varo definitivo della legge di revisione costituzionale, e, di fatto, mai, realizzata a causa della «bocciatura» del relativo referendum popolare, ma è intervenuta in modo confuso su un riordino delle loro competenze, creando una situazione molto può caotica di quella preesistente, con risparmi illusori, che prevede un processo di attuazione decisamente lungo e complesso, e che ha privato i cittadini della libertà di scegliere da chi desiderano essere amministrati;
    l'errore di intervenire «a valle» e non «a monte» sull'assetto istituzionale dello Stato, vale a dire con una legge ordinaria invece di una legge di rango costituzionale, e i rischi che ne derivavano erano già emersi durante l'esame della «legge Delrio» in Parlamento, quando autorevoli giuristi e professori di diritto costituzionale avevano ribadito come non fosse possibile con legge ordinaria sformare gli organi di Governo da direttamente a indirettamente elettivi, e avevano sottolineato l'esigenza di procedere, invece, ad una «riforma razionale del sistema delle autonomie locali»;
    in quella fase erano stati numerosi, altresì, i dubbi sull'utilità economica della paventata riforma «mascherata» da abolizione, rispetto alla quale la Corte dei conti nella sua relazione aveva affermato che «I risparmi effettivamente quantificabili sono di entità contenuta, mentre è difficile ritenere che una riorganizzazione di così complessa portata sia improduttiva di costi»;
    stando ai dati relativi ai costi delle province prima che il Governo Renzi intervenisse sulle stesse contenuti nell'aggiornamento al documento di economia e finanza di settembre 2013 e nel sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici raccolti dalla Unione delle province italiane aggiornati a marzo 2014, queste costavano meno di tutti gli altri enti, vale a dire l'1,27 per cento della spesa pubblica contro l'8 per cento dei comuni, il 20 per cento delle regioni, il 60 per cento delle amministrazioni centrali e l'11 per cento degli interessi sul debito pubblico, equivalenti, in termini assoluti, in 10 miliardi di euro spesi dalle province a fronte di 67 miliardi spesi dai comuni e 164 spesi dalle regioni;
    dei 10,2 miliardi di euro di spese la quasi totalità era destinata all'erogazione di servizi essenziali alla popolazione, servizi necessari la cui prestazione a legislazione vigente non è certo scomparsa, a meno di non voler abbandonare le strade provinciali a sé stesse più di quanto non lo siano al momento o bloccare la costruzione di istituti superiori e licei, o fermare il funzionamento degli istituti scolastici provinciali;
    quello che sta accadendo, invece, in seguito ai maldestri interventi di riforma da parte del Governo è proprio questo, posto che dal 2013 al 2016 le entrate delle province sono scese del 43 per cento e la spesa complessiva si è quasi dimezzata, con una diminuzione del 47 per cento;
    inoltre, l'82 per cento delle entrate proprie vengono sottratte dai territori e trattenute nel bilancio dello Stato, in palese violazione del dettato costituzionale, che all'articolo 119 prevede che tali entrate siano destinate a finanziare i servizi locali;
    nell'ottica della riduzione delle funzioni attribuite alle province, già con la legge di stabilità per il 2015, a carico delle province è stato disposto un contributo alla finanza pubblica di 1 miliardo nel 2015, 1 miliardo nel 2016 e 1 miliardo nel 2017, cui si è aggiunta l'estensione al 2018 del contributo già previsto dal decreto-legge n. 66 del 2014 di 585,7 milioni di euro;
    tali contributi si configurano come un vero e proprio prelievo di risorse dai bilanci delle province, una sottrazione di risorse proprie derivanti dalle entrate dai tributi locali, incoerente rispetto all'articolo 199 che prevede che le stesse siano destinate alla copertura integrale delle funzioni attribuite;
    il presidente dell'Unione delle province ha affermato in proposito che si tratta di «un quadro scoraggiante, che oltre a rappresentare chiaramente lo stato di crisi finanziaria delle province dimostra come da tre anni a questa parte ci sia stato impedito di fare programmazione. La nostra capacità di investimento è crollata del 62 per cento e il patrimonio pubblico che gestiamo, 130 mila chilometri di strade e tutte le 5.100 scuole superiori italiane, si sta deteriorando in maniera pericolosa»;
    il Comitato direttivo dell'Unione delle province d'Italia, riunitosi a Roma il 1o giugno 2017, ha stigmatizzato come il decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, recante disposizioni urgenti in materia finanziaria, e iniziative a favore degli enti territoriali, che avrebbe dovuto destinare finanziamenti aggirativi alle province per assicurarne lo svolgimento delle funzioni fondamentali e i servizi alle popolazioni residenti abbia «previsto risorse assolutamente insufficienti a garantire la sicurezza della viabilità, dell'edilizia scolastica e della tutela ambientale»;
    la carenza di risorse che grava sulle province sta impedendo lo svolgimento delle funzioni fondamentali ad esse spettanti,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per destinare alle province le risorse sufficienti ad assicurare la piena erogazione dei servizi a favore delle comunità, secondo parametri che identifichino i fabbisogni finanziari reali e consentire l'avvio dei cantieri per le opere di messa in sicurezza delle scuole, delle strade e del territorio, promuovendo lo sviluppo dell'economia locale;
2) ad adottare le iniziative opportune affinché le province siano dotate della necessaria autonomia organizzativa e siano messe in condizioni di predisporre un bilancio triennale che consenta la programmazione dell'attività amministrativa;
3) ad assumere iniziative per lasciare nei bilanci delle province le entrate derivanti dalla riscossione dei tributi locali e dai risparmi conseguiti nell'esercizio delle proprie attività, affinché le stesse possano reimpiegarle nei servizi alla collettività, nel rispetto del dettato costituzionale.
(1-01650) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Murgia, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    in base al dettato costituzionale le province sono enti essenziali dello Stato, «titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze», e dotate di autonomia finanziaria di entrata e di spesa al fine di consentire alle stesse «di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite»;
    in base al Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000. n. 267, alla provincia spettavano le funzioni, amministrative che riguardavano vaste zone intercomunali o l'intero territorio provinciale nei seguenti settori: la difesa, del suolo, la tutela e valorizzazione dell'ambiente e la prevenzione delle calamità; la tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche; la valorizzazione dei beni culturali; viabilità e trasporti; la protezione della flora e della fauna; la caccia e la pesca nelle acque interne; la gestione dei rifiuti e dell'inquinamento; servizi sanitari, di igiene e profilassi pubblica; compiti connessi all'istruzione, compresa l'edilizia scolastica;
    nel 2014, con l'approvazione della legge 7 aprile 2014, n. 56, cosiddetta legge Delrio, è stata operata una profonda riforma dell'assetto istituzionale delle province, che sono state trasformate in enti amministrativi di secondo livello, con elezione dei propri organi a suffragio ristretto, sono state ridotte le funzioni ad esse spettanti e, infine, è stata prevista la trasformazione di dieci province in città metropolitane;
    in particolare, la legge ha abolito la giunta provinciale, redistribuendo le deleghe di governo all'interno del consiglio provinciale, molto ridimensionato nel numero dei suoi membri, e ha previsto che un nuovo organo, assemblea dei sindaci, assuma il compito di deliberare il bilancio ed eventuali modifiche statutarie;
    delle funzioni rimaste in capo alle province dopo l'intervento del 2014 alcune sono essenziali per garantire l'erogazione dei servizi ai cittadini; tra queste figurano, in primissimo luogo, la cognizione e gestione delle strade provinciali, il trasporto pubblico e privato, la programmazione provinciale della rete scolastica, la gestione dell'edilizia scolastica, la polizia provinciale;
    la «legge Delrio», quindi, non ha affatto previsto una cancellazione delle province, che sarebbe dovuta avvenire in una fase successiva con il varo definitivo della legge di revisione costituzionale, e, di fatto, mai, realizzata a causa della «bocciatura» del relativo referendum popolare, ma è intervenuta in modo confuso su un riordino delle loro competenze, creando una situazione molto può caotica di quella preesistente, con risparmi illusori, che prevede un processo di attuazione decisamente lungo e complesso, e che ha privato i cittadini della libertà di scegliere da chi desiderano essere amministrati;
    l'errore di intervenire «a valle» e non «a monte» sull'assetto istituzionale dello Stato, vale a dire con una legge ordinaria invece di una legge di rango costituzionale, e i rischi che ne derivavano erano già emersi durante l'esame della «legge Delrio» in Parlamento, quando autorevoli giuristi e professori di diritto costituzionale avevano ribadito come non fosse possibile con legge ordinaria sformare gli organi di Governo da direttamente a indirettamente elettivi, e avevano sottolineato l'esigenza di procedere, invece, ad una «riforma razionale del sistema delle autonomie locali»;
    in quella fase erano stati numerosi, altresì, i dubbi sull'utilità economica della paventata riforma «mascherata» da abolizione, rispetto alla quale la Corte dei conti nella sua relazione aveva affermato che «I risparmi effettivamente quantificabili sono di entità contenuta, mentre è difficile ritenere che una riorganizzazione di così complessa portata sia improduttiva di costi»;
    stando ai dati relativi ai costi delle province prima che il Governo Renzi intervenisse sulle stesse contenuti nell'aggiornamento al documento di economia e finanza di settembre 2013 e nel sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici raccolti dalla Unione delle province italiane aggiornati a marzo 2014, queste costavano meno di tutti gli altri enti, vale a dire l'1,27 per cento della spesa pubblica contro l'8 per cento dei comuni, il 20 per cento delle regioni, il 60 per cento delle amministrazioni centrali e l'11 per cento degli interessi sul debito pubblico, equivalenti, in termini assoluti, in 10 miliardi di euro spesi dalle province a fronte di 67 miliardi spesi dai comuni e 164 spesi dalle regioni;
    dei 10,2 miliardi di euro di spese la quasi totalità era destinata all'erogazione di servizi essenziali alla popolazione, servizi necessari la cui prestazione a legislazione vigente non è certo scomparsa, a meno di non voler abbandonare le strade provinciali a sé stesse più di quanto non lo siano al momento o bloccare la costruzione di istituti superiori e licei, o fermare il funzionamento degli istituti scolastici provinciali;
    quello che sta accadendo, invece, in seguito ai maldestri interventi di riforma da parte del Governo è proprio questo, posto che dal 2013 al 2016 le entrate delle province sono scese del 43 per cento e la spesa complessiva si è quasi dimezzata, con una diminuzione del 47 per cento;
    inoltre, l'82 per cento delle entrate proprie vengono sottratte dai territori e trattenute nel bilancio dello Stato, in palese violazione del dettato costituzionale, che all'articolo 119 prevede che tali entrate siano destinate a finanziare i servizi locali;
    nell'ottica della riduzione delle funzioni attribuite alle province, già con la legge di stabilità per il 2015, a carico delle province è stato disposto un contributo alla finanza pubblica di 1 miliardo nel 2015, 1 miliardo nel 2016 e 1 miliardo nel 2017, cui si è aggiunta l'estensione al 2018 del contributo già previsto dal decreto-legge n. 66 del 2014 di 585,7 milioni di euro;
    tali contributi si configurano come un vero e proprio prelievo di risorse dai bilanci delle province, una sottrazione di risorse proprie derivanti dalle entrate dai tributi locali, incoerente rispetto all'articolo 199 che prevede che le stesse siano destinate alla copertura integrale delle funzioni attribuite;
    il presidente dell'Unione delle province ha affermato in proposito che si tratta di «un quadro scoraggiante, che oltre a rappresentare chiaramente lo stato di crisi finanziaria delle province dimostra come da tre anni a questa parte ci sia stato impedito di fare programmazione. La nostra capacità di investimento è crollata del 62 per cento e il patrimonio pubblico che gestiamo, 130 mila chilometri di strade e tutte le 5.100 scuole superiori italiane, si sta deteriorando in maniera pericolosa»;
    il Comitato direttivo dell'Unione delle province d'Italia, riunitosi a Roma il 1o giugno 2017, ha stigmatizzato come il decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, recante disposizioni urgenti in materia finanziaria, e iniziative a favore degli enti territoriali, che avrebbe dovuto destinare finanziamenti aggirativi alle province per assicurarne lo svolgimento delle funzioni fondamentali e i servizi alle popolazioni residenti abbia «previsto risorse assolutamente insufficienti a garantire la sicurezza della viabilità, dell'edilizia scolastica e della tutela ambientale»;
    la carenza di risorse che grava sulle province sta impedendo lo svolgimento delle funzioni fondamentali ad esse spettanti,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per destinare alle province le risorse sufficienti ad assicurare la piena erogazione dei servizi a favore delle comunità, secondo parametri che identifichino i fabbisogni finanziari reali e consentire l'avvio dei cantieri per le opere di messa in sicurezza delle scuole, delle strade e del territorio, promuovendo lo sviluppo dell'economia locale;
2) a valutare le opportune iniziative affinché le province siano dotate della necessaria autonomia organizzativa e siano messe in condizioni di predisporre un bilancio triennale che consenta la programmazione dell'attività amministrativa;
3) a valutare le opportune iniziative per lasciare nei bilanci delle province le entrate derivanti dalla riscossione dei tributi locali e dai risparmi conseguiti nell'esercizio delle proprie attività, affinché le stesse possano reimpiegarle nei servizi alla collettività, nel rispetto del dettato costituzionale.
(1-01650) (Testo modificato nel corso della seduta) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Murgia, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, contiene varie disposizioni finalizzate a dare concreta attuazione alla legge di bilancio per il 2017 e agli accordi assunti dal Governo con gli enti locali;
    le questioni più rilevanti tra queste disposizioni interessano il comparto delle province e delle città metropolitane e consentono di gestire una fase finanziaria provvisoria e delicata, rispetto alla quale appare inevitabile una riflessione sul ruolo e sulle funzioni delle province delle regioni a statuto ordinario alla luce del risultato del referendum del 4 dicembre 2016, fermi restando i punti di forza della riforma adottata nel 2014;
    con la legge n. 56 del 2014, infatti, si è passati da un'amministrazione locale basata su due livelli di governo separati ad una concezione dell'amministrazione locale in cui i sindaci (e gli amministratori comunali) si fanno carico, per effetto della riforma del 2014, sia delle esigenze di governo di prossimità, sia delle esigenze di governo territoriale;
    le nuove province, quali enti di governo di area vasta di secondo livello, sono diventate, dunque, una sorta di «case dei comuni», all'interno delle quali vengono ricercate le soluzioni più efficienti e funzionali per rispondere alle domande dei territori, consentendo così lo sviluppo di nuove pratiche di collaborazione tra enti locali per l'erogazione di servizi di qualità ai cittadini e alle imprese, in un'ottica di semplificazione amministrativa e di riduzione dei costi;
    in tale contesto, per il 2017 e il 2018 è stato aumentato il finanziamento per l'esercizio delle funzioni fondamentali delle province fino a 180 milioni di euro e confermato quello di 80 milioni di euro a decorrere dal 2019. Per la medesima finalità sono stati attribuiti 12 milioni di euro alle città metropolitane per ciascuno degli anni 2017 e 2018, tenendo conto che dal 2019 non sarà più dovuto il contributo di 516,7 milioni di euro annui di riduzione della spesa corrente richiesto, anche per gli anni 2017 e 2018, ai sensi dell'articolo 47, comma 2, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89;
    inoltre, per l'anno 2017 sono stati autorizzati contributi di 170 milioni di euro per l'attività di manutenzione straordinaria delle strade provinciali e 79 milioni di euro finalizzati agli interventi sull'edilizia scolastica di province e città metropolitane;
    un contributo di 10 milioni di euro è stato attribuito per il 2017 alle province che hanno dichiarato il dissesto entro il 31 dicembre 2015 e che non sono state escluse dal contributo al risanamento della finanza pubblica;
    con riguardo alla finalità di favorire l'approvazione dei bilanci da parte delle province e delle città metropolitane, è stata prevista l'estensione al 2017 di talune misure, operanti in deroga alla disciplina contabile, già introdotte in precedenti esercizi finanziari, tra cui consentire di predisporre il bilancio di previsione per la sola annualità 2017 e di applicarvi al medesimo bilancio di previsione l'avanzo libero e destinato. È stata introdotta, inoltre, la possibilità di utilizzare i proventi delle contravvenzioni per finanziare oneri relativi alle funzioni di viabilità e polizia locale per migliorare la sicurezza stradale;
    in relazione al divieto posto in capo alle province delle regioni a statuto ordinario di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, è stata consentita la possibilità di procedere alla copertura delle posizioni dirigenziali che richiedono professionalità tecniche e tecnico-finanziarie e contabili non fungibili in relazione allo svolgimento delle funzioni fondamentali;
    infine, sono state eliminate le sanzioni a carico delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario, nonché della Regione siciliana e della regione Sardegna che non hanno rispettato il vincolo del saldo non negativo tra le entrate e le spese finali nell'anno 2016;
    il provvedimento, pur non risolvendo tutti i problemi aperti su questo versante, segnala la volontà di dare risposte che consentano alle province di vivere questa fase di transizione, in vista di un nuovo assetto, sia dal punto di vista istituzionale che dal punto di vista delle possibilità e delle competenze finanziarie, più stabile e definito,

impegna il Governo:

1) a proseguire nello sforzo intrapreso al fine di garantire le risorse necessarie ad assicurare l'effettivo esercizio delle funzioni fondamentali da parte delle province e delle città metropolitane, anche promuovendo le opportune modifiche alla legislazione vigente;
2) ad individuare le risorse adeguate a copertura delle funzioni statali assegnate in base all'analisi reale dei fabbisogni standard, nel rispetto dell'articolo 119 della Costituzione;
3) a verificare, per quanto di competenza, che il processo di riordino delle funzioni regionali assegnate dalle regioni alle province e città metropolitane sia garantito da una copertura finanziaria in base all'analisi dei fabbisogni standard;
4) ad adottare ogni iniziativa di competenza utile a favorire il ripristino dell'autonomia organizzativa degli enti, anche attraverso l'abrogazione delle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 420, lettere c), d) ed e), nei limiti di quanto previsto dal comma 421, della legge n. 190 del 2014;
5) ad adottare ogni utile iniziativa di competenza che consenta, a partire dal 2018, di ristabilire la piena autonomia economica, finanziaria e organizzativa delle province e delle città metropolitane attraverso la garanzia della piena copertura delle funzioni fondamentali, superando la logica emergenziale del bilancio annuale e garantendo la corretta programmazione prevista dall'articolo 151 del Testo unico sugli enti locali;
6) ad adottare ogni iniziativa di competenza volta a favorire le modifiche più opportune della legge n. 56 del 2014 e un adeguamento del Testo unico sugli enti locali e delle conseguenti leggi regionali in materia di funzioni provinciali e metropolitane, salvaguardando il principio della natura di enti di secondo livello degli organi delle province («casa dei comuni») – la cui legittimità è stata confermata dalla Corte costituzionale – e valorizzando ulteriormente il modello di cooperazione orizzontale tra istituzioni locali, nel riconoscimento a province e città metropolitane del compito di attivare pratiche di collaborazione che favoriscano un nuovo modello di cooperazione anche tra i comuni.
(1-01652) «Rosato, Gasparini, Marchi, Fiano, Ferrari, Carbone, Cuperlo, De Menech, Marco Di Maio, Fabbri, Famiglietti, Giorgis, Lattuca, Lauricella, Mauri, Marco Meloni, Naccarato, Nardi, Piccione, Pollastrini, Richetti, Francesco Sanna, Boccadutri, Paola Bragantini, Cenni, Covello, Dell'Aringa, Fanucci, Cinzia Maria Fontana, Giampaolo Galli, Ginato, Giulietti, Guerra, Losacco, Marchetti, Melilli, Misiani, Parrini, Pilozzi, Preziosi, Rubinato, Carnevali, Scuvera, Borghi, Carra, Paola Boldrini, Malisani, Amoddio, Capone, Antezza, D'Incecco».


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, contiene varie disposizioni finalizzate a dare concreta attuazione alla legge di bilancio per il 2017 e agli accordi assunti dal Governo con gli enti locali;
    le questioni più rilevanti tra queste disposizioni interessano il comparto delle province e delle città metropolitane e consentono di gestire una fase finanziaria provvisoria e delicata, rispetto alla quale appare inevitabile una riflessione sul ruolo e sulle funzioni delle province delle regioni a statuto ordinario alla luce del risultato del referendum del 4 dicembre 2016, fermi restando i punti di forza della riforma adottata nel 2014;
    con la legge n. 56 del 2014, infatti, si è passati da un'amministrazione locale basata su due livelli di governo separati ad una concezione dell'amministrazione locale in cui i sindaci (e gli amministratori comunali) si fanno carico, per effetto della riforma del 2014, sia delle esigenze di governo di prossimità, sia delle esigenze di governo territoriale;
    le nuove province, quali enti di governo di area vasta di secondo livello, sono diventate, dunque, una sorta di «case dei comuni», all'interno delle quali vengono ricercate le soluzioni più efficienti e funzionali per rispondere alle domande dei territori, consentendo così lo sviluppo di nuove pratiche di collaborazione tra enti locali per l'erogazione di servizi di qualità ai cittadini e alle imprese, in un'ottica di semplificazione amministrativa e di riduzione dei costi;
    in tale contesto, per il 2017 e il 2018 è stato aumentato il finanziamento per l'esercizio delle funzioni fondamentali delle province fino a 180 milioni di euro e confermato quello di 80 milioni di euro a decorrere dal 2019. Per la medesima finalità sono stati attribuiti 12 milioni di euro alle città metropolitane per ciascuno degli anni 2017 e 2018, tenendo conto che dal 2019 non sarà più dovuto il contributo di 516,7 milioni di euro annui di riduzione della spesa corrente richiesto, anche per gli anni 2017 e 2018, ai sensi dell'articolo 47, comma 2, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89;
    inoltre, per l'anno 2017 sono stati autorizzati contributi di 170 milioni di euro per l'attività di manutenzione straordinaria delle strade provinciali e 79 milioni di euro finalizzati agli interventi sull'edilizia scolastica di province e città metropolitane;
    un contributo di 10 milioni di euro è stato attribuito per il 2017 alle province che hanno dichiarato il dissesto entro il 31 dicembre 2015 e che non sono state escluse dal contributo al risanamento della finanza pubblica;
    con riguardo alla finalità di favorire l'approvazione dei bilanci da parte delle province e delle città metropolitane, è stata prevista l'estensione al 2017 di talune misure, operanti in deroga alla disciplina contabile, già introdotte in precedenti esercizi finanziari, tra cui consentire di predisporre il bilancio di previsione per la sola annualità 2017 e di applicarvi al medesimo bilancio di previsione l'avanzo libero e destinato. È stata introdotta, inoltre, la possibilità di utilizzare i proventi delle contravvenzioni per finanziare oneri relativi alle funzioni di viabilità e polizia locale per migliorare la sicurezza stradale;
    in relazione al divieto posto in capo alle province delle regioni a statuto ordinario di procedere ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, è stata consentita la possibilità di procedere alla copertura delle posizioni dirigenziali che richiedono professionalità tecniche e tecnico-finanziarie e contabili non fungibili in relazione allo svolgimento delle funzioni fondamentali;
    infine, sono state eliminate le sanzioni a carico delle città metropolitane e delle province delle regioni a statuto ordinario, nonché della Regione siciliana e della regione Sardegna che non hanno rispettato il vincolo del saldo non negativo tra le entrate e le spese finali nell'anno 2016;
    il provvedimento, pur non risolvendo tutti i problemi aperti su questo versante, segnala la volontà di dare risposte che consentano alle province di vivere questa fase di transizione, in vista di un nuovo assetto, sia dal punto di vista istituzionale che dal punto di vista delle possibilità e delle competenze finanziarie, più stabile e definito,

impegna il Governo:

1) a proseguire nello sforzo intrapreso al fine di garantire le risorse necessarie ad assicurare l'effettivo esercizio delle funzioni fondamentali da parte delle province e delle città metropolitane, anche promuovendo le opportune modifiche alla legislazione vigente;
2) ad individuare le risorse adeguate a copertura delle funzioni statali assegnate in base all'analisi reale dei fabbisogni standard, nel rispetto dell'articolo 119 della Costituzione;
3) a verificare, per quanto di competenza, che il processo di riordino delle funzioni regionali assegnate dalle regioni alle province e città metropolitane sia garantito da una copertura finanziaria in base all'analisi dei fabbisogni standard;
4) ad adottare ogni iniziativa di competenza utile a favorire il ripristino dell'autonomia organizzativa degli enti, anche attraverso l'abrogazione delle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 420, lettere c), d) ed e), nei limiti di quanto previsto dal comma 421, della legge n. 190 del 2014;
5) ad adottare ogni utile iniziativa di competenza che consenta, a partire dal 2018, di ristabilire la piena autonomia economica, finanziaria e organizzativa delle province e delle città metropolitane attraverso la garanzia della piena copertura delle funzioni fondamentali, superando la logica emergenziale del bilancio annuale e garantendo la corretta programmazione prevista dall'articolo 151 del Testo unico sugli enti locali;
6) ad adottare ogni iniziativa di competenza volta a favorire le modifiche più opportune della legge n. 56 del 2014 e un adeguamento del Testo unico sugli enti locali e delle conseguenti leggi regionali in materia di funzioni provinciali e metropolitane, salvaguardando il principio della natura di enti di secondo livello delle province («casa dei comuni») – la cui legittimità è stata confermata dalla Corte costituzionale – e valorizzando ulteriormente il modello di cooperazione orizzontale tra istituzioni locali, nel riconoscimento a province e città metropolitane del compito di attivare pratiche di collaborazione che favoriscano un nuovo modello di cooperazione anche tra i comuni.
(1-01652) (Testo modificato nel corso della seduta) «Rosato, Gasparini, Marchi, Fiano, Ferrari, Carbone, Cuperlo, De Menech, Marco Di Maio, Fabbri, Famiglietti, Giorgis, Lattuca, Lauricella, Mauri, Marco Meloni, Naccarato, Nardi, Piccione, Pollastrini, Richetti, Francesco Sanna, Boccadutri, Paola Bragantini, Cenni, Covello, Dell'Aringa, Fanucci, Cinzia Maria Fontana, Giampaolo Galli, Ginato, Giulietti, Guerra, Losacco, Marchetti, Melilli, Misiani, Parrini, Pilozzi, Preziosi, Rubinato, Carnevali, Scuvera, Borghi, Carra, Paola Boldrini, Malisani, Amoddio, Capone, Antezza, D'Incecco».


   La Camera,
   premesso che:
    con l'ultimo decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, in legge 21 giugno 2017, n. 96, il Governo e il Parlamento hanno adottato misure urgenti in materia di finanza locale, finalizzate sia alla attuazione della legge di bilancio 2017 che a onorare impegni assunti dal Governo con gli enti locali;
    in tal modo, si è data una prima risposta alla necessità di gestire una fase finanziaria delicata, in attesa di una riflessione più ampia e a tutto tondo sia sul ruolo delle province che delle città metropolitane;
    non vi è dubbio, infatti, che la riforma contenuta nella legge n. 56 del 2014, pur pienamente compatibile col testo costituzionale, sia nel momento in cui fu adottata che nella fase presente, fu pensata scontando anche un mutamento di quadro istituzionale che il referendum del 4 dicembre 2016 ha bloccato;
    appare dunque necessario e utile che si avvii una nuova fase di riflessione che, muovendo dal tessuto normativo e ordinamentale di fondo contenuto nella legge n. 56 del 2014, dia a tutto il sistema di governo locale, dalle regioni fino ai comuni, un assetto più stabile e coerente, anche alla luce dell'attuazione della stessa legge n. 56 del 2014;
    in questo quadro, mentre deve essere confermata la scelta fatta in merito alle città metropolitane, badando però a rafforzarne ruolo, funzioni e modalità di raccordo con le regioni e i comuni, una riflessione più profonda può essere fatta circa le province;
    rispetto a questi enti, infatti, vanno ripensate sia le funzioni fondamentali ad esse assegnate, definite in un quadro che prevedeva che in prospettiva esse perdessero la copertura costituzionale, sia i raccordi tra le province e le regioni;
    la confermata natura delle province come articolazioni necessarie della Repubblica comporta obbligatoriamente un ripensamento del loro ruolo, sia dal punto di vista delle funzioni fondamentali ad esse assegnate ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, sia dal punto di vista del loro raccordo con le regioni e gli stessi comuni che, nel quadro della legge n. 56 del 2014, ne costituiscono componenti essenziali;
    si ritiene comunque utile confermare, sia per le città metropolitane che per le province, la natura di enti a struttura sostanzialmente associativa dei comuni che ne fanno parte, mantenendo forte il raccordo tra questi enti di secondo livello e i comuni che fanno parte del loro territorio;
    questo comporta che anche eventuali modifiche alla formazione dei loro organi, che possano rivelarsi opportune, specialmente se connesse a scelte rimesse agli statuti delle province, in analogia con quanto la legge n. 56 del 2014, prevede per le città metropolitane, non dovranno comunque mettere in discussione il fatto che la funzione delle città metropolitane è essenzialmente quella di promuovere e attuare il piano di sviluppo del proprio territorio in una visione di sviluppo dell'intero sistema Paese, mentre lo scopo essenziale delle province è di assicurare una forma permanente di coordinamento e di unità di indirizzo rispetto alle scelte di area vasta che riguardano i comuni ricompresi nel loro territorio;
    infine, anche il ruolo delle regioni dovrà essere ripensato, all'interno di una revisione organica dell'intero sistema di governo locale;
    gioverà a tale fine distinguere nettamente il ruolo delle regioni rispetto alle città metropolitane. Queste ultime, infatti, sono enti territoriali di secondo livello finalizzate a promuovere lo sviluppo del territorio in una visione di interesse anche nazionale della quale le regioni interessate sono inevitabilmente coprotagoniste;
    rispetto alle province dovrà essere trovato un giusto equilibrio fra il loro ruolo nei confronti dei comuni che ne fanno parte, e le regioni, che devono poter trovare in esse enti di area vasta capaci di esercitare in modo coordinato e coerente anche funzioni di interesse regionale,

impegna il Governo:

1) a proseguire nello sforzo in atto, garantendo anche in questa fase le entrate necessarie affinché città metropolitane e province possano svolgere le loro funzioni, e in particolare quelle fondamentali, al servizio dei cittadini;
2) ad assumere iniziative per predisporre già a partire dalla manovra finanziaria per il 2018 e dai disegni di legge collegati un quadro organico e coerente di modifiche organizzative, funzionali e finanziarie che consenta di dare maggiore stabilità a questi enti e maggiore attenzione all'attuazione della legge n. 56 del 2014 nel confermato quadro costituzionale;
3) a utilizzare il metodo dei fabbisogni standard per definire, nel rispetto dell'articolo 119 della Costituzione, le risorse adeguate a copertura delle funzioni fondamentali assegnate a città metropolitane e province, nonché alle eventuali funzioni statali ad esse delegate;
4) ad adottare ogni iniziativa opportuna a favorire una più ampia autonomia organizzativa delle città metropolitane e delle province, anche parificando l'autonomia statutaria dei due tipi di enti in ordine alle possibili alternative circa la formazione dei loro organi;
5) ad assumere iniziative per valorizzare ulteriormente il modello di cooperazione orizzontale tra istituzioni locali, attribuendo a città metropolitane e province anche il compito di favorire forme di collaborazione tra i comuni, anche tramite la programmazione dell'attuazione di forme istituzionali di cooperazione, coinvolgendo in tale attività anche le regioni;
6) a promuovere una legislazione che attribuisca alle province il fondamentale ruolo di coordinamento in area vasta per i servizi essenziali, quali il servizio idrico per il ciclo integrato dei rifiuti, intervenendo sulla governance delle realtà consortili comunali.
(1-01656) «Tancredi, Bosco».


   La Camera,
   premesso che:
    con l'ultimo decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, in legge 21 giugno 2017, n. 96, il Governo e il Parlamento hanno adottato misure urgenti in materia di finanza locale, finalizzate sia alla attuazione della legge di bilancio 2017 che a onorare impegni assunti dal Governo con gli enti locali;
    in tal modo, si è data una prima risposta alla necessità di gestire una fase finanziaria delicata, in attesa di una riflessione più ampia e a tutto tondo sia sul ruolo delle province che delle città metropolitane;
    non vi è dubbio, infatti, che la riforma contenuta nella legge n. 56 del 2014, pur pienamente compatibile col testo costituzionale, sia nel momento in cui fu adottata che nella fase presente, fu pensata scontando anche un mutamento di quadro istituzionale che il referendum del 4 dicembre 2016 ha bloccato;
    appare dunque necessario e utile che si avvii una nuova fase di riflessione che, muovendo dal tessuto normativo e ordinamentale di fondo contenuto nella legge n. 56 del 2014, dia a tutto il sistema di governo locale, dalle regioni fino ai comuni, un assetto più stabile e coerente, anche alla luce dell'attuazione della stessa legge n. 56 del 2014;
    in questo quadro, mentre deve essere confermata la scelta fatta in merito alle città metropolitane, badando però a rafforzarne ruolo, funzioni e modalità di raccordo con le regioni e i comuni, una riflessione più profonda può essere fatta circa le province;
    rispetto a questi enti, infatti, vanno ripensate sia le funzioni fondamentali ad esse assegnate, definite in un quadro che prevedeva che in prospettiva esse perdessero la copertura costituzionale, sia i raccordi tra le province e le regioni;
    la confermata natura delle province come articolazioni necessarie della Repubblica comporta obbligatoriamente un ripensamento del loro ruolo, sia dal punto di vista delle funzioni fondamentali ad esse assegnate ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, sia dal punto di vista del loro raccordo con le regioni e gli stessi comuni che, nel quadro della legge n. 56 del 2014, ne costituiscono componenti essenziali;
    si ritiene comunque utile confermare, sia per le città metropolitane che per le province, la natura di enti a struttura sostanzialmente associativa dei comuni che ne fanno parte, mantenendo forte il raccordo tra questi enti di secondo livello e i comuni che fanno parte del loro territorio;
    questo comporta che anche eventuali modifiche alla formazione dei loro organi, che possano rivelarsi opportune, specialmente se connesse a scelte rimesse agli statuti delle province, in analogia con quanto la legge n. 56 del 2014, prevede per le città metropolitane, non dovranno comunque mettere in discussione il fatto che la funzione delle città metropolitane è essenzialmente quella di promuovere e attuare il piano di sviluppo del proprio territorio in una visione di sviluppo dell'intero sistema Paese, mentre lo scopo essenziale delle province è di assicurare una forma permanente di coordinamento e di unità di indirizzo rispetto alle scelte di area vasta che riguardano i comuni ricompresi nel loro territorio;
    infine, anche il ruolo delle regioni dovrà essere ripensato, all'interno di una revisione organica dell'intero sistema di governo locale;
    gioverà a tale fine distinguere nettamente il ruolo delle regioni rispetto alle città metropolitane. Queste ultime, infatti, sono enti territoriali di secondo livello finalizzate a promuovere lo sviluppo del territorio in una visione di interesse anche nazionale della quale le regioni interessate sono inevitabilmente coprotagoniste;
    rispetto alle province dovrà essere trovato un giusto equilibrio fra il loro ruolo nei confronti dei comuni che ne fanno parte, e le regioni, che devono poter trovare in esse enti di area vasta capaci di esercitare in modo coordinato e coerente anche funzioni di interesse regionale,

impegna il Governo:

1) a proseguire nello sforzo in atto, garantendo anche in questa fase le entrate necessarie affinché città metropolitane e province possano svolgere le loro funzioni, e in particolare quelle fondamentali, al servizio dei cittadini;
2) ad assumere iniziative per predisporre già a partire dalla manovra finanziaria per il 2018 e dai disegni di legge collegati un quadro organico e coerente di modifiche organizzative, funzionali e finanziarie che consenta di dare maggiore stabilità a questi enti e maggiore attenzione all'attuazione della legge n. 56 del 2014 nel confermato quadro costituzionale;
3) a utilizzare il metodo dei fabbisogni standard per definire, nel rispetto dell'articolo 119 della Costituzione, le risorse adeguate a copertura delle funzioni fondamentali assegnate a città metropolitane e province, nonché alle eventuali funzioni statali ad esse delegate;
4) ad assumere iniziative per valorizzare ulteriormente il modello di cooperazione orizzontale tra istituzioni locali, attribuendo a città metropolitane e province anche il compito di favorire forme di collaborazione tra i comuni, anche tramite la programmazione dell'attuazione di forme istituzionali di cooperazione, coinvolgendo in tale attività anche le regioni;
5) a promuovere una legislazione che attribuisca alle province il fondamentale ruolo di coordinamento in area vasta per i servizi essenziali, intervenendo sulla governance delle realtà consortili comunali.
(1-01656) (Testo modificato nel corso della seduta) «Tancredi, Bosco».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo l'articolo 114, primo comma, della Costituzione «La Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato»;
    le province, secondo l'articolo 114 della Costituzione, secondo comma, sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni;
    la legge 7 aprile 2014, n. 56, ha trasformato le province in enti territoriali di area vasta di secondo livello, amministrate da sindaci e consiglieri comunali;
    con la medesima legge sono state istituite nove città metropolitane, corrispondenti ai territori delle ex province di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria;
    le province, secondo la riforma del 2014, mantengono le seguenti funzioni:
     a) pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza;
     b) pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale, nonché costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale;
     c) programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programmazione regionale;
     d) raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali;
     e) gestione dell'edilizia scolastica;
     f) controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale;
    alle città metropolitane sono attribuite le funzioni delle province e quelle attribuite nell'ambito del riordino delle funzioni provinciali ai sensi dell'articolo 1, commi da 85 a 97, della legge 7 aprile 2014, n. 56;
    il progetto complessivo di riordino delle funzioni statali decentrate si è interrotto all'esito del referendum del 4 dicembre 2016, rendendo necessario un intervento sulla legge 7 aprile 2014, n. 56, che ad oggi, secondo l'articolo 1, comma 5, disciplina la materia «in attesa della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione e delle relative norme di attuazione»;
    le province e le città metropolitane vivono in una difficile situazione finanziaria, leggermente migliorata con l'entrata in vigore delle misure di cui al decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per garantire le risorse necessarie al funzionamento delle province e delle città metropolitane nonché all'esercizio delle funzioni loro assegnate;
2) ad assumere nuove e specifiche iniziative a favore delle province colpite dagli eventi sismici del 2016;
3) a favorire la piena operatività del principio costituzionale dell'autonomia organizzativa delle province, attraverso la revisione dell'articolo 1, comma 420, della legge 23 dicembre 2014, n. 190;
4) a favorire l'adozione di norme volte a garantire la possibilità agli amministratori di province e città metropolitane di svolgere il loro mandato con i tempi e le garanzie riconosciuti ai consiglieri comunali;
5) ad adottare le necessarie iniziative per una revisione del testo unico sugli enti locali al fine di adeguarlo ai contenuti della legge 7 aprile 2014, n. 56, con le opportune modifiche, confermando l'identificazione delle province in enti di secondo livello;
6) a valutare l'ipotesi di favorire, per quanto di competenza e in considerazione delle importanti funzioni affidate alle città metropolitane, l'adozione di un sistema elettorale a suffragio universale e diretto per gli organi politici di tali enti.
(1-01657) «Parisi, Francesco Saverio Romano, Vezzali, Merlo, Sottanelli, Abrignani, Auci, Borghese, D'Agostino, D'Alessandro, Faenzi, Galati, Lainati, Marcolin, Rabino, Zanetti».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo l'articolo 114, primo comma, della Costituzione «La Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato»;
    le province, secondo l'articolo 114 della Costituzione, secondo comma, sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni;
    la legge 7 aprile 2014, n. 56, ha trasformato le province in enti territoriali di area vasta di secondo livello, amministrate da sindaci e consiglieri comunali;
    con la medesima legge sono state istituite nove città metropolitane, corrispondenti ai territori delle ex province di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria;
    le province, secondo la riforma del 2014, mantengono le seguenti funzioni:
     a) pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché tutela e valorizzazione dell'ambiente, per gli aspetti di competenza;
     b) pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato, in coerenza con la programmazione regionale, nonché costruzione e gestione delle strade provinciali e regolazione della circolazione stradale;
     c) programmazione provinciale della rete scolastica, nel rispetto della programmazione regionale;
     d) raccolta ed elaborazione di dati, assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali;
     e) gestione dell'edilizia scolastica;
     f) controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale e promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale;
    alle città metropolitane sono attribuite le funzioni delle province e quelle attribuite nell'ambito del riordino delle funzioni provinciali ai sensi dell'articolo 1, commi da 85 a 97, della legge 7 aprile 2014, n. 56;
    il progetto complessivo di riordino delle funzioni statali decentrate si è interrotto all'esito del referendum del 4 dicembre 2016, rendendo necessario un intervento sulla legge 7 aprile 2014, n. 56, che ad oggi, secondo l'articolo 1, comma 5, disciplina la materia «in attesa della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione e delle relative norme di attuazione»;
    le province e le città metropolitane vivono in una difficile situazione finanziaria, leggermente migliorata con l'entrata in vigore delle misure di cui al decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per garantire le risorse necessarie al funzionamento delle province e delle città metropolitane nonché all'esercizio delle funzioni loro assegnate;
2) ad assumere nuove e specifiche iniziative a favore delle province colpite dagli eventi sismici del 2016;
3) a favorire la piena operatività del principio costituzionale dell'autonomia organizzativa delle province, attraverso la revisione dell'articolo 1, comma 420, della legge 23 dicembre 2014, n. 190;
4) a favorire l'adozione di norme volte a garantire la possibilità agli amministratori di province e città metropolitane di svolgere il loro mandato con i tempi e le garanzie riconosciuti ai consiglieri comunali;
5) ad adottare le necessarie iniziative per una revisione del testo unico sugli enti locali al fine di adeguarlo ai contenuti della legge 7 aprile 2014, n. 56, con le opportune modifiche, confermando l'identificazione delle province in enti di secondo livello.
(1-01657) (Testo modificato nel corso della seduta) «Parisi, Francesco Saverio Romano, Vezzali, Merlo, Sottanelli, Abrignani, Auci, Borghese, D'Agostino, D'Alessandro, Faenzi, Galati, Lainati, Marcolin, Rabino, Zanetti».


Risoluzione

   La Camera,
   premesso che:
    con il decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, con la legge 21 giugno 2017, n. 96, il Governo ha inteso realizzare, in favore degli enti territoriali, una migliore perequazione delle risorse pubbliche a disposizione, anche attraverso nuovi investimenti;
    in particolare, tale decreto-legge, occupandosi della gestione finanziaria delle province, ha riaffermato l'esigenza di rivedere il ruolo e le funzioni fondamentali di quest'ultime;
    fermo restando l'impianto di riforma delineato dalla legge n. 56 del 2014, il referendum del 4 dicembre 2016 ha sancito la permanenza nella Costituzione delle province e quindi la necessità di dotarle degli strumenti e delle risorse necessarie per amministrare, per quanto di competenza, i territori in esse rientranti;
    le province attuali, così come congegnate dalla legge n. 46 del 2014, rappresentano il livello di governo nell'ambito del quale adottare scelte e soluzioni strategiche per lo sviluppo e il benessere dei relativi territori, razionalizzando l'impiego di risorse pubbliche; in questo senso, sono già molti i servizi di interesse generale, economici e non, che hanno dimensioni provinciali, a tutto beneficio della efficienza e della riduzione dei costi di gestione, e tale fenomeno di accorpamento dei gestori di servizi pubblici ha bisogno di essere guidato da una regia unica a livello provinciale, in grado di fornire una visione integrata e sistematica dei bisogni del territorio;
    più in generale, Governo e Parlamento, ciascuno nell'ambito delle rispettive attribuzioni, hanno correttamente rilevato la necessità di investire sui territori, dotando i relativi enti esponenziali delle risorse idonee a tale scopo;
    proprio per queste ragioni e finalità, il decreto-legge citato, per il 2017 e il 2018, incrementa la dotazione finanziaria delle province per l'esercizio delle loro funzioni fondamentali, e analoghi importanti incrementi si possono registrare anche per le città metropolitane;
    inoltre, per l'anno 2017, sono stati autorizzati contributi per 170 milioni di euro per l'attività di manutenzione straordinaria delle strade provinciali e 79 milioni di euro finalizzati agli interventi sull'edilizia scolastica di province e città metropolitane;
    un contributo di 10 milioni di euro è stato attribuito per il 2017 alle province che hanno dichiarato il dissesto entro il 31 dicembre 2015 e che non sono state escluse dal contributo al risanamento della finanza pubblica;
    sempre nell'ottica summenzionata, molte altre sono le misure contenute nel decreto citato volte a flessibilizzare le vigenti discipline contabili, cui sono soggette le province e le città metropolitane, anche con riferimento al delicato profilo del blocco delle assunzioni di personale tecnico indispensabile per l'esercizio delle proprie funzioni; ferma restando la bontà delle misure richiamate, funzionali alla gestione di questa fase di transizione, occorre quindi sviluppare un nuovo, stabile assetto delle province che ne ridisegni i compiti istituzionali ed incrementare in modo netto le rispettive dotazioni finanziarie, onde garantire l'esercizio delle loro funzioni fondamentali e il soddisfacimento dei bisogni standard,

impegna il Governo:

1) a proseguire nello sforzo intrapreso al fine di garantire e, se necessario, incrementare le risorse necessarie ad assicurare l'effettivo esercizio delle funzioni fondamentali da parte delle province e delle città metropolitane, anche promuovendo le opportune modifiche alla legislazione vigente;
2) ad adottare ogni iniziativa di competenza utile a favorire il ripristino dell'autonomia organizzativa degli enti, anche attraverso la deroga temporanea delle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 420, lettere c), d) ed e) della legge n. 190 del 2014;
3) ad adottare ogni utile iniziativa, anche di natura normativa volta al ripristino della piena autonomia finanziaria delle province e delle città metropolitane, onde garantire la piena copertura finanziaria delle rispettive funzioni fondamentali e una programmazione della spesa rispettosa dei canoni di cui all'articolo 151 del Testo unico sugli enti locali;
4) a promuovere modifiche della legge n. 56 del 2014 al fine di rivedere, anche alla luce del voto referendario del 4 dicembre 2016, le funzioni delle province, di adeguarne la struttura istituzionale, di razionalizzarne i costi e di svilupparne le capacità di cooperazione con altri enti locali e con i comuni in particolare.
(6-00336) «Pastorelli, Locatelli, Marzano, Lo Monte».