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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 857 di lunedì 25 settembre 2017

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTO GIACHETTI

La seduta comincia alle 11,30.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

CLAUDIA MANNINO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 22 settembre 2017.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

  (È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Gioacchino Alfano, Amendola, Amici, Baldelli, Bellanova, Dorina Bianchi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Matteo Bragantini, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capelli, Casero, Castiglione, Catania, Causin, Antimo Cesaro, Cirielli, D'Alia, Dambruoso, De Micheli, Del Basso De Caro, Dellai, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Franceschini, Galati, Gandolfi, Garofani, Gasparini, Gelli, Gentiloni Silveri, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Laforgia, Locatelli, Lorenzin, Losacco, Lotti, Lupi, Madia, Manciulli, Marazziti, Marcon, Miccoli, Migliore, Orlando, Pisicchio, Polverini, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Rosato, Domenico Rossi, Rotta, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Tabacci, Tinagli, Simone Valente, Valeria Valente, Velo e Vignali sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente ottantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Gadda ed altri; d'iniziativa popolare; Garavini ed altri; Vecchio ed altri; Bindi ed altri; Bindi ed altri; Formisano: Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate (Approvate, in un testo unificato, dalla Camera e modificate dal Senato)(A.C. 1039-1138-1189-2580-2737-2786-2956-B) (ore 11,35).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle proposte di legge, approvate, in un testo unificato, dalla Camera e modificate dal Senato, nn. 1039-1138-1189-2580-2737-2786-2956-B: Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 22 settembre 2017 (Vedi l'allegato A della seduta del 22 settembre 2017).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1039-B ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore per maggioranza, onorevole Davide Mattiello.

DAVIDE MATTIELLO, Relatore per la maggioranza. Grazie, Presidente. Quattro anni sono passati da quando questo lavoro è cominciato con l'incardinamento della proposta di legge di iniziativa popolare n. 1138 in Commissione giustizia alla Camera; poi vennero l'inchiesta della Commissione antimafia, che produsse un'articolata proposta di riforma, e il contributo del Governo, a partire dal DDL Orlando dell'agosto del 2014. Era l'11 novembre del 2015 quando, a larga maggioranza, la Camera approvava in prima lettura il testo che oggi arriva nuovamente all'attenzione dell'Aula, dopo che il Senato lo ha licenziato, con modifiche, il 6 luglio.

Vediamo allora subito le modifiche più significative apportate al testo, che sono tre : l'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati resta sotto la vigilanza del Ministero dell'interno, come è attualmente, mentre noi l'avevamo collocata sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio; nell'articolo 1, il riferimento agli indiziati di reati contro la pubblica amministrazione resta, ma collegato al 416; agli articoli 25 e 28 è stata estesa la portata della certificazione prefettizia antimafia, con particolare riguardo alle concessioni dei terreni agricoli, prevedendo che, aperte virgolette, “l'informazione antimafia sia sempre richiesta nelle ipotesi di concessione dei terreni agricoli demaniali che ricadono nell'ambito dei regimi di sostegno previsti dalla politica agricola comune, a prescindere dal loro valore complessivo, nonché su tutti i terreni agricoli a qualunque titolo acquisiti, che usufruiscono dei fondi europei”, chiuse virgolette. Ho voluto leggere per esteso questa norma in particolare, perché è la traduzione in legge della ottima pratica adottata dal presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, a causa della quale lo stesso ha subito il gravissimo attentato che ricordiamo.

Le modifiche sono state approfondite e discusse; pertanto le ritengo, oltre che ragionevoli, apprezzabili. Come ha ribadito il Ministro Orlando, intervenendo personalmente nella discussione svoltasi in Commissione giustizia la scorsa settimana, il giudizio sulla riforma va elaborato tenendo uno sguardo d'insieme su tutti e trentotto gli articoli, che complessivamente si fanno carico tanto dell'esigenza di maggiore efficacia nella individuazione e aggressione dei patrimoni illeciti, quanto di quella di maggior tutela per i soggetti coinvolti a vario titolo nella procedura: il proposto, i lavoratori, i terzi in buona fede.

È chiaro a tutte le forze politiche che, dopo quattro anni di lavoro, oggi il punto è decidere se licenziare il testo così come ci è arrivato dal Senato, facendolo diventare legge, oppure sprecare questa occasione. In questa prospettiva abbiamo valutato gli emendamenti proposti in Commissione e valutiamo quelli eventualmente presentati per l'Aula. Non c'è spazio per emendare ancora e rimandare in Senato. Chi facesse finta di non capirlo si assumerebbe una responsabilità gravissima. Per questo, come relatore, ho chiesto e chiederò il ritiro di ogni emendamento.

Esistono, peraltro, ragioni molto concrete per fare di questo testo, legge senz'altro. All'articolo 34, per esempio, la riforma prevede un'importante e delicata delega al Governo sulle misure da definire a sostegno dei lavoratori di imprese sequestrate e giudicate capaci di stare sul mercato. La delega ha bisogno di un tempo, pur breve, per essere esercitata, altrimenti andrà in fumo.

Credo che, dopo quattro anni di lavoro, tutte le forze politiche dovrebbero poter ritenere il testo frutto di una mediazione positiva nella quale riconoscersi, anche chi, in prima lettura, aveva mosso critiche e aveva votato contrariamente. Al MoVimento 5 Stelle dico: sulla questione della trasparenza nella gestione di tutto il procedimento, e segnatamente nell'affidamento degli incarichi agli amministratori giudiziari, le viti sono state strette, anche accogliendo vostre proposte. Peraltro, alcune di queste norme vanno specificate tempestivamente esercitando un'altra delega, quella di cui all'articolo 33.

A chi, soprattutto nel centrodestra, si è preoccupato per un'eccessiva attenzione verso le aziende sequestrate, denunciando il rischio di una distorsione della libera concorrenza, dico: non un euro pubblico sarà speso per le aziende finte o incapaci di stare sul mercato senza la spinta mafiosa, saranno liquidate. A chi si è preoccupato che l'estensione della platea dei soggetti cui possano essere applicate le misure di prevenzione patrimoniali si traduca in una soffocante ingerenza dello Stato nel mercato dico: al contrario, la riforma non soltanto amplia l'istituto dell'amministrazione giudiziaria non finalizzata all'ablazione del bene azienda, ma introduce finalmente l'istituto del controllo giudiziario, che oltre a evitare l'ablazione evita anche lo spossessamento in fase di sequestro, un modo per intervenire chirurgicamente a tutela dell'attività di impresa, almeno fino a quando ve ne siano le condizioni.

A chi, concedendo un po' troppo alla vis polemica, ha cercato di agitare l'opinione pubblica affermando che con questa riforma basterà un semplice indizio di corruzione per vedersi confiscare l'azienda, la casa e il conto in banca, dico: vi sbagliate e soprattutto inducete all'errore. Il meccanismo della prevenzione patrimoniale considera la pericolosità sociale del soggetto soltanto come innesco, come condizione inizialmente necessaria, ma non sufficiente; infatti, soltanto l'esito dell'indagine patrimoniale, che mette in evidenza l'illecita provenienza del patrimonio, ovvero la sua sproporzione rispetto al reddito dichiarato e attività economica svolta, giustificherà il provvedimento di sequestro. Addirittura possiamo spingerci a dire che la presunta pericolosità sociale del soggetto è una condizione necessaria soltanto inizialmente; prova ne è che il procedimento di confisca continua anche nei confronti del patrimonio imputabile alla persona meno pericolosa che esiste in natura, il morto. La pericolosità sociale del soggetto è condizione necessaria e sufficiente soltanto per l'applicazione delle misure di prevenzione personali, e non di quelle patrimoniali.

Spero che il punto sia chiaro ed è per questo motivo che è condivisibile l'inserimento all'articolo 4 del reato di cui al 612-bis, cioè lo stalking. L'articolo 4 fa riferimento alle misure di prevenzione personali disposte dall'autorità giudiziaria, che non di per sé, appunto, si traducono in misure di prevenzione patrimoniali, pure essendo, il 4, richiamato dall'articolo 16. Ben vengano quelle personali per lo stalker; abbiamo, anzi, un tragico ritardo ancora in parte da colmare in materia.

A chi ha manifestato la seria preoccupazione che l'allargamento della platea dei soggetti a cui possono applicarsi le misure di prevenzione patrimoniali possa esporre la normativa a nuove censure da parte della Corte costituzionale o della giustizia europea dico: comprendo la preoccupazione, ma la riforma si fa carico delle censure del passato, risolvendole. Intanto, perché alcune di quelle censure, come quelle contenute nella sentenza De Tommaso, pretendevano una maggiore attenzione al sacrosanto principio della prevedibilità delle condotte che vengono sanzionate, riconoscendo peraltro piena legittimità al meccanismo della prevenzione. Sul punto rimando al preciso parere formulato dalla I Commissione. Ma a questa pretesa abbiamo risposto individuando le ulteriori condotte attraverso il richiamo puntuale delle fattispecie di reato corrispondenti, le quali, per definizione, garantiscono sufficiente grado di tipizzazione e quindi di prevedibilità. Altre censure, invece, hanno nel tempo riguardato il meccanismo della procedura di applicazione della prevenzione patrimoniale, ritenuto eccessivamente comprimente le ragioni del proposto e dei terzi di buona fede.

Queste censure pretendevano una maggiore attenzione al contraddittorio, alla posizione dei terzi di buona fede, alla certezza dei tempi, alla chiarezza degli esiti della procedura medesima ed è esattamente in questa direzione che abbiamo lavorato. La parte più corposa e meno discussa della riforma è proprio quella che interviene sulle competenze giurisdizionali, sui tempi, sulle impugnazioni, sulla tutela dei terzi di buona fede, sul rapporto tra procedura di prevenzione e sequestro di natura penale, sul rapporto tra procedura di prevenzione ed esecuzione fallimentare.

A chi ha espresso perplessità sull'estensione dell'articolo 1 agli indiziati di reati contro la pubblica amministrazione, quando esista anche l'indizio dell'associazione per delinquere, come ha fatto autorevolmente il presidente dell'Anac, Cantone, dico che faccio mia la preoccupazione di un utilizzo abnorme di questa previsione e credo che sarà doveroso, da parte nostra, monitorare la normativa e intervenire tempestivamente per perfezionarla. Lo dico con la serenità di chi è consapevole che in questi quattro anni il Partito Democratico e la maggioranza, in piena sintonia con il Governo, hanno alzato gli scudi contro la corruzione, intanto, istituendo l'Anac stessa, ma poi aumentando le pene, allungando i termini di prescrizione, prevedendo sconti a chi rompa il patto scellerato collaborando con la giustizia e la confisca penale obbligatoria. Certo, mi conforta su questo ultimo punto specifico, ma anche complessivamente sul lavoro che abbiamo fatto in Parlamento, il giudizio favorevole del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Franco Roberti, e il fatto che il 13 settembre il Consiglio superiore della magistratura, normalmente critico nei confronti del legislatore, abbia approvato una delibera che dedica alla riforma del codice decine di pagine di analisi e conclude con un inequivocabile invito ad approvarla così com'è, riconoscendo che il testo scioglie diversi nodi da anni lamentati dagli operatori del settore; non un cenno, nelle 40 pagine, all'articolo 1 e, come ha fatto notare il Ministro Orlando, in Commissione giustizia, non certo per una forma di amnesia o di cortesia istituzionale. Infatti, c'è un punto sul quale il Consiglio superiore della magistratura mantiene un dissenso e non voglio eluderlo: i beni confiscati, secondo la nostra riforma, su questo coincidente tra Camera e Senato, passano nella gestione dell'Agenzia dopo la confisca di secondo grado mentre il CSM avrebbe preferito una secca anticipazione, funzionale a sollevare la magistratura da un'incombenza ritenuta, per alcuni aspetti, eccessiva. Intanto, voglio chiarire che i motivi di questo dissenso li trovo legittimi, considerato il carico di lavoro delle sedi giudiziarie e aggiungo che abbiamo inteso farcene carico, esplicitando che l'Agenzia debba avere un ruolo di supporto dell'autorità giudiziaria, fin dal sequestro, estendendo a tal fine il ventaglio degli strumenti per realizzare gestioni provvisorie dei beni fin dal sequestro medesimo. Ma, voglio anche rivendicare le ragioni politiche di questa scelta; la storia di un bene confiscato, come sappiamo bene, comincia generalmente dalla cosiddetta proposta e finisce con il suo riutilizzo pubblico, passando per sequestro, confisca di primo grado, confisca di secondo grado, confisca definitiva, destinazione, assegnazione e controllo dell'utilizzo. Le maggiori criticità che abbiamo evidenziato nel nostro lavoro di inchiesta si sono concentrate soprattutto nelle fasi di destinazione, assegnazione e controllo dell'utilizzo.

Ecco, abbiamo voluto, con la nostra scelta, ribadire che l'Agenzia nasce, prima di tutto, per gestire queste fasi della storia di un bene: destinazione, assegnazione, controllo. L'idea di un'Agenzia nazionale, infatti, comincia a manifestarsi proprio quando si impone nell'opinione pubblica il valore del riutilizzo sociale dei patrimoni illeciti confiscati. La mafia restituisce il maltolto, era lo slogan con il quale Libera raccoglieva nel 1995 oltre un milione di firme per quella che sarebbe diventata la legge n. 109 del 1996. Sull'onda di questa consapevolezza civica, maturerà il bisogno di un soggetto istituzionale deputato a gestire il patrimonio confiscato, inverando la promessa della legge n. 109: la ricchezza sottratta al crimine diventa risorsa per la collettività. L'Agenzia, fondata nel 2010, è il frutto di questo bisogno e deve poter svolgere fino in fondo questo mandato.

Tutto ciò posto, abbiamo comunque e finalmente provveduto a potenziare anche l'organico dell'Agenzia e le risorse economiche a disposizione del direttore che, in futuro, a riforma approvata, potrà anche non essere un prefetto.

Per intanto, però, fatemi ringraziare i prefetti con i quali abbiamo avuto modo di collaborare in questi anni, che hanno dato e danno un importante contributo anche all'elaborazione parlamentare, nel ruolo di direttori dell'Agenzia, Umberto Postiglione, che ha terminato l'incarico nella scorsa primavera, e Ennio Sodano, che lo ha sostituito.

In conclusione, Presidente, vorrei approfondire una questione che ha segnato il dibattito attorno a questa riforma. Sarà vero che il sistema della prevenzione patrimoniale si giustifica se, e soltanto se, rimane formalmente agganciato alla fattispecie dell'articolo 416-bis? Detto altrimenti, il sistema di prevenzione patrimoniale si giustifica soltanto se è ancorato all'eccezionalità del cosiddetto doppio binario, a sua volta legato all'emergenza mafiosa, come tale specifica, non estensibile, fatalmente transitoria? Pertanto, mollando questo aggancio formale si snaturerebbe il sistema sottoponendolo anche alle censure della giurisprudenza costituzionale italiana ed europea? Io non credo. La prova sta nella storia stessa di questo strumento.

È vero che per Pio La Torre e per coloro che lo coadiuvarono nell'elaborazione della legge che vedrà la luce soltanto dopo l'assassinio suo e del generale Dalla Chiesa, il reato di associazione mafiosa e la confisca di prevenzione dei patrimoni illeciti nella disponibilità medesima dell'organizzazione furono due facce della stessa medaglia. È quella la legge, la n. 646 del 1982 che inventa il 416-bis ed è quella la legge che introduce la confisca di prevenzione fondata sull'indizio di appartenenza alla mafia, oltre alla provenienza illecita del patrimonio disponibile. Ma è altrettanto vero che in tre distinti interventi legislativi, il primo dei quali risalente alla maledetta estate del 1992, i presupposti di applicazione della confisca di prevenzione si sono via via progressivamente ma coerentemente allargati, arrivando a comprendere, da un lato, il meccanismo della cosiddetta confisca allargata, ex articolo 12-sexies e, dall'altro, tutte le fattispecie di reato considerate all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale. Non si è sfasciato niente, perché sono state evoluzioni coerenti a due principi: il primo, le organizzazioni di stampo mafioso mutano le proprie strategie di accumulazione e, quindi, è fondamentale aggiornare il catalogo di quelle condotte-spia che possono essere considerate rivelatrici di un movimento mafioso; secondo, che è quello che a me sta particolarmente a cuore, è che mafiosi si può anche diventare col tempo, ammesso di averne la volontà e la possibilità. Non dobbiamo, cioè, pensare alle organizzazioni mafiose soltanto come organizzazioni date e, quindi, cosa nostra, 'ndrangheta, camorra, sacra corona unita, che, al più, cambiano strategie di accumulazione, perché questa è soltanto una parte del problema.

Dobbiamo pensare che “mafioso” è un particolare modo di organizzare il crimine, quello che si avvale della forza di intimidazione del vincolo associativo capace di generare omertà e assoggettamento e che questo modo mafioso di fare crimine, essendo molto efficace, può essere imparato e applicato da associazioni criminali che, inizialmente, nulla hanno a che fare con le organizzazioni mafiose storicamente date, né con il metodo medesimo. Soprattutto, per questo secondo principio del ragionamento, sono convinto che abbiamo fatto bene ad estendere l'applicazione agli indiziati di reati contro la pubblica amministrazione con l'aggiunta del 416, non tanto, quindi, perché le mafie, come siamo soliti dire, sparano di meno e corrompono di più, se fosse soltanto questo il punto, probabilmente avremmo potuto intervenire in maniera più limitata sul testo vigente, ma perché, chi oggi corrompe in maniera sistemica, si sta seriamente candidando ad organizzare un potere criminale che si è lasciato evolvere, potrà trasformarsi in una vera e propria nuova mafia. Credo che stiamo assistendo a forme sofisticate di nuova accumulazione proto-mafiose, fondate sull'illecito dirottamento della volontà pubblica a beneficio di interessi particolari. Credo che queste nuove organizzazioni criminali costruiscano il proprio potere soprattutto sulla captazione da remoto di informazioni sensibili, funzionali alla pianificazione di un capillare e pericolosissimo sistema estorsivo, al quale, con ogni probabilità, fa e farà seguito un significativo cedimento dei soggetti ricattati che produrrà come conseguenza il moltiplicarsi di comportamenti di connivenza, di indebita convenienza, di natura, appunto, corruttiva.

Resta con tutto ciò vera la lezione di Pio La Torre: la mafia è questione di classi dirigenti. Soltanto che la classe dirigente che aveva negli occhi Pio La Torre ancorava il proprio potere alla terra e al calcestruzzo. La nuova frontiera dell'organizzazione del potere mafioso è e sarà ancorata alle banche dati.

Per questo, vicende come il disastro provocato dal virus WannaCry, l'inchiesta “Occhionero”, l'inchiesta sulla cosiddetta P4, i Panama Papers, fino ai più recenti attacchi hacker alla banca dati del Ministero degli esteri, sono vicende assai sintomatiche. Per questo abbiamo ancora molto da studiare e da capire di quel fenomeno criminale, eversivo, sostanzialmente impunito e a lungo irrisolto attraverso mille rivoli carsici, che è stato la P2. Per questo non può essere disgiunto il tema che ci occupa da quello della riforma della cosiddetta legge Anselmi.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

DAVIDE MATTIELLO, Relatore per la maggioranza. Presidente, ho finito. La democrazia vive soltanto attraverso un costante, paziente e tenace lavoro di bonifica delle sue infrastrutture portanti: la politica e l'economia. Come un sistema vascolare, che, se non mantenuto, si riempie di colesterolo fino a collassare, così queste infrastrutture rischiano di venire ingombrate dal colesterolo di mafia e corruzione. Ecco, con questa riforma noi rendiamo più forti gli strumenti con i quali bonificare le nostre infrastrutture portanti e far vivere più lungo e meglio la Repubblica italiana (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo. Onorevole Migliore? Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito. Allora, è adesso iscritta a parlare l'onorevole Bindi. Ne ha facoltà.

ROSY BINDI. Grazie, Presidente. Ringrazio il Partito Democratico per il tempo che mi ha messo a disposizione, che userò per portare in questa discussione generale la voce della Commissione parlamentare antimafia, che - come bene ricordava il relatore, onorevole Mattiello, nel suo ottimo intervento - ha dato, per questa proposta di legge che ci avviamo ad approvare, un contributo significativo, importante e organico, che si è unito a quello della proposta d'iniziativa popolare e del contributo del Governo, che ha dato vita, insieme a questi, al testo unificato, sul quale, poi, in prima lettura la Camera, e il Senato poi, hanno apportato significative modifiche, senza tuttavia intaccare l'organicità di questa riforma, che era e rimane l'obiettivo principale che ha mosso la Commissione parlamentare antimafia nell'avviare questa legislatura, dedicando come primo contributo, come primo lavoro, proprio la riforma del codice antimafia in tutti i suoi aspetti.

Ci tengo molto a precisare questo, perché forse vale la pena sottolineare che il tanto tempo che si è dedicato all'esame e all'approvazione di questa riforma non è stato occupato invano, perché non molte riforme occupano un'intera legislatura ed hanno una sistematicità ed organicità come quella che, mi auguro, ci apprestiamo ad approvare in via definitiva con il voto non so se di questa o della prossima settimana.

È tutt'altro che un lavoro improvvisato. La riforma ha un contenuto ampio, contiene innovazioni normative nella prospettiva non di singole problematiche o di isolate verifiche casistiche, ma di un complessivo funzionamento del sistema.

Il disegno di legge contiene, quindi, per lo più, strumenti normativi innovativi, che mirano a garantire: tempestività, coordinamento e completezza delle indagini nei procedimenti di prevenzione patrimoniale; effettività delle garanzie per la difesa e adeguata specializzazione dei magistrati addetti alle sezioni di misure di prevenzione; trasparenza, unità di visione e continuità di gestione dell'attività degli amministratori giudiziari e dei beni sequestrati; speditezza, semplificazione ed effettività della tutela dei terzi creditori e dei lavoratori delle aziende in sequestro; semplificazione ed efficientamento dei compiti dell'Agenzia nazionale per la destinazione dei beni confiscati.

Il miglioramento della disciplina delle misure di prevenzione fu considerato, come ricordavo, dalla Commissione, fin dall'inizio della legislatura, uno dei fronti di necessario e immediato intervento, e lo è tuttora per le troppe vicende che hanno dimostrato questa necessità.

Ricordo, come ha ricordato il relatore, che, prima dell'articolato presentato a mia firma, sia Camera che Senato approvarono all'unanimità una relazione della Commissione, che conteneva sostanzialmente i principi che poi sono stati trasferiti nell'articolato.

Punti rilevanti: introduzione della competenza distrettuale con sezioni specializzate, composte in modo integrato da giudici con esperienze giurisdizionali diverse e funzionali ad un consapevole esame delle problematiche che insorgono specie nelle misure di prevenzione patrimoniale: giudici penali e con esperienza nelle misure di prevenzione e fallimentari, giudici delle esecuzioni immobiliari, giudici specializzati in materia di impresa. Secondo: conseguente coordinamento tra le procure e le altre autorità legittimate a proporre le misure di prevenzione per evitare conflitti e dispersioni di energie e di informazioni; il rafforzamento delle garanzie difensive con il previo avviso al proposto, contenente le informazioni necessarie al contraddittorio, con la regolamentazione della partecipazione all'udienza del proposto e del suo difensore, secondo le indicazioni della CEDU, con la possibilità di proporre eccezioni di competenza e di proporre impugnazioni anche in casi e per motivi ulteriori e diversi rispetto a quelli attualmente previsti; una più chiara e trasparente regolamentazione dei criteri di nomina degli amministratori giudiziari, dei limiti degli incarichi affidati, dei rapporti tra giudice delegato e amministratore; in particolare, si prevede l'udienza di contraddittorio davanti al collegio per le decisioni più rilevanti, inerenti la prosecuzione dell'azienda e la sua messa in liquidazione; una più agevole regolamentazione dei rapporti pendenti e della tutela dei creditori, con la possibilità di soddisfare tempestivamente i creditori strategici dell'azienda, se in buona fede; maggiori garanzie per i lavoratori in buona fede che possono svolgere mansioni utili alla prosecuzione dell'azienda con immediata opportunità di regolarizzazione del rapporto di lavoro per i dipendenti in nero o contratti fittizi; maggiore coinvolgimento dall'Agenzia nazionale dei beni confiscati nelle scelte da assumere sin dall'inizio del procedimento e dal sequestro, in modo da consentire continuità e coerenza a tutte le scelte di gestione che interverranno fino alla confisca definitiva; potenziamento delle risorse a disposizione dell'Agenzia e razionalizzazione delle sue competenze, con maggiore concentrazione su tutte le attività precedenti o successive alla confisca definitiva, che rendono più celere la destinazione del bene; snellimento e razionalizzazione delle regole sull'interferenza tra procedure fallimentari, procedure esecutive e procedimento di prevenzione, quando hanno ad oggetto i medesimi beni e le medesime aziende; incentivi e strumenti normativi volti a garantire il mantenimento del volume di affari delle imprese dopo il sequestro e utile a garantire i diritti dei lavoratori colpiti dagli effetti del sequestro.

Questo è il patrimonio di previsioni legislative che andrebbe disperso se la riforma non fosse approvata e se la riforma non fosse approvata senza emendamenti, in sede della Camera, perché sappiamo bene che un ritorno al Senato, in questa fase, comprometterebbe definitivamente l'approvazione della riforma.

Quanto alla norma inerente all'estensione delle misure di prevenzione anche ai soggetti indiziati di reati contro la pubblica amministrazione in forma associativa, essa è stata introdotta nei due passaggi alla Camera e al Senato con diversa puntualizzazione. Va ricordato che la Commissione antimafia si fece carico di affrontare il problema in quanto molte associazioni, prima di tutto Libera, avevano avviato da tempo e con successo una raccolta di firme per proporre un'estensione di varie norme di contrasto alla criminalità organizzata e anche ai fenomeni di corruzione. Era noto alla Commissione che a carico dei soggetti sottoposti a procedimenti penali per reati di corruzione, già alcune autorità giudiziarie avevano avviato l'applicazione di misure di prevenzione patrimoniali utilizzando la normativa vigente.

Quando vi erano motivi per ritenere che un soggetto fosse dedito con sistematicità ad attività delittuosa riconducibile al fenomeno corruttivo, potevano trovare applicazione le ipotesi generali indicate dall'articolo 1 del codice antimafia, in particolare quelle di cui alle lettere a) e b), a coloro, quindi, che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi; a coloro che per condotta e tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivano abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose e che, comunque, non riescano a dimostrare che i loro beni sono stati acquisiti con denaro lecito.

Al fine di recepire le sollecitazioni provenienti da diverse associazioni e da diversi operatori, ma, al contempo, di limitare i rischi di eccessiva estensione, la Commissione nel suo originario testo aveva proposto che, all'articolo 4, si prevedessero anche come destinatari i soggetti indiziati di reati contro la pubblica amministrazione, purché ricorressero i requisiti appena ricordati delle lettere a) e b) dell'articolo 1. La Camera ha preferito sostituire quella proposta con un mero elenco di fattispecie di reato; il Senato ha introdotto il requisito ulteriore dell'indizio di appartenenza ad un'associazione a delinquere finalizzata a commettere reati contro la pubblica amministrazione.

Finisco, Presidente. La disposizione, per quanto correttamente criticata sul piano teorico, quando verrà all'applicazione non potrà che essere ricondotta a ragionevolezza dall'interpretazione giurisprudenziale che, come ho detto, già applica le misure di prevenzione in relazione a condotte di corruzione, e non solo, riconducibili alle lettere a) e b) dell'articolo 1. Già oggi, ciò che conta è l'individuazione di concreti elementi di fatto che diano contezza della sistematicità delle condotte illecite e nell'applicazione della norma i giudici non potranno che richiedere la dimostrazione di tali stringenti elementi concreti, non potendo essere sufficiente la mera iscrizione al registro degli indagati per uno dei fatti di corruzione o di associazione finalizzata alla corruzione.

Voglio ricordare con forza questo aspetto, perché il Partito Democratico presenterà gli ordini del giorno, il Governo li accoglierà. Voglio soltanto qui riflettere sul fatto che, se un rischio c'è, non è nell'estensione delle norme che combattono la mafia e la corruzione, dato peraltro, più volte, da molti invocato, non solo per il motivo al quale faceva adesso riferimento, mi scusi, Presidente, l'onorevole Mattiello - il caso Roma è la dimostrazione: non so se in sede di appello si affermerà che era mafia, ma se non fosse mafia è, comunque, l'estensione dei metodi mafiosi ai comportamenti corruttivi - ma anche perché questo elenco, eventualmente, restringe - come ha detto il Procuratore nazionale antimafia - la possibilità di estendere queste norme: non certamente le estende, restringe.

In ultimo, Presidente, e termino, ho sempre criticato coloro che citavano il magistero della Chiesa in sede parlamentare: non lo farò neanche questa volta, ma io credo che non possa essere ignorato il fatto che quando Papa Francesco ha ricevuto la Commissione parlamentare antimafia ha usato su questo punto parole che non hanno bisogno di essere strumentalizzate né di essere interpretate: “In fondo la corruzione è un habitus costruito sull'idea di mercificazione della dignità umana, per cui va combattuta con misure non meno incisive della lotta alla mafia”. Io credo che su questo si debba riflettere per mettere fine anche a polemiche che, francamente, mi sono sembrate tardive e strumentali (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Garavini. Ne ha facoltà.

LAURA GARAVINI. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, sottosegretario Migliore, riscrivere il codice antimafia oggi, così come ci stiamo apprestando a fare con il voto di questa settimana, significa ridare slancio alle leggi contro il crimine organizzato; vuol dire rafforzare la lotta alle mafie e renderla più consona ai tempi moderni.

È da anni che associazioni della società civile, magistrati, forze dell'ordine, attori sociali insistono e chiedono all'unisono alla politica e al Parlamento di approvare in fretta il codice antimafia, perché, lo sappiamo, sono passati ormai trentacinque anni dall'approvazione di quella straordinaria intuizione che fu la “legge Rognoni-La Torre”, con la quale si è introdotto nel codice penale il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso e la confisca dei beni e il loro riutilizzo sociale. Ecco che è normale che da più parti, da tempo, si sottolinei l'esigenza di rimettere mano alla legge, di mettere ordine all'intero impianto normativo e di adottare correttivi migliorativi.

Il provvedimento non solo contiene le indicazioni raccolte dalla Commissione antimafia alla luce di una numerosa serie di audizioni svolte nella stessa, ma comprende anche le diverse proposte che erano scaturite dalla legge di iniziativa popolare sottoscritta da migliaia di cittadini, promossa dalle organizzazioni sindacali, da un nutrito numero di associazioni per la legalità e dal mondo cooperativo, e rilanciata, poi, con la campagna “Io riattivo il lavoro”. Ecco che è un provvedimento importante, che va ad aggiungersi agli altri storici interventi per la legalità che abbiamo realizzato in questo Parlamento negli ultimi quattro anni.

Io credo che possiamo essere orgogliosi del fatto che, tra le importanti riforme che realizzeremo, che abbiamo realizzato in questa legislatura, tra qualche giorno potremo metterci finalmente anche il nuovo codice antimafia. Un codice che consente di prevedere maggiore trasparenza nella gestione dei beni confiscati e interventi più organici e migliorativi nelle misure di prevenzione.

Sono tre, a mio avviso, gli aspetti più positivi della legge. Innanzitutto, rafforziamo l'Agenzia nazionale per i beni confiscati, in primis, attraverso la dotazione di nuovo personale, ma anche con tutta una serie di interventi che mirano al miglioramento della gestione dei beni e delle aziende. Perché una gestione efficace e proficua di questi beni non è affatto scontata, anzi, troppo spesso, in un passato anche molto recente, si sono fossilizzate situazioni di grande problematicità, sia nella fase preliminare all'assegnazione sia nella vera e propria gestione degli stessi; soprattutto per quanto riguarda la riconversione delle aziende confiscate alle mafie, troppo spesso, proprio lì, continua a non funzionare il meccanismo.

Ecco che il nuovo codice antimafia può diventare strategico per superare difficoltà, nella misura in cui introduce meccanismi idonei ad una più efficiente gestione degli stessi. Mi piace ricordare alcuni dati: nell'ultima relazione del Governo sono entrati e ci sono allo stato dell'arte ben 139 mila beni iscritti. Un valore straordinario: si calcola che valgano all'incirca 25 miliardi di euro. Un patrimonio importante sia per il valore intrinseco, ma, soprattutto, per quello che potrebbero rappresentare, laddove si riesca a prevederne l'uso sociale attraverso l'affidamento ad enti o associazioni di pubblica utilità. Perché solo poi riusciamo a dimostrare che lo Stato è nelle condizioni di sconfiggere le mafie e di restituire ai legittimi titolari, vale a dire ai cittadini perbene, quei patrimoni sottratti alle mafie, ma - bisogna rilevarlo - dei 139 mila beni confiscati e iscritti, soltanto poco più di 5 mila sono stati riassegnati, cioè neanche il 4 per cento. Dunque, una percentuale irrisoria, troppo bassa: ecco che questa legge va approvata urgentemente, perché può essere determinante proprio per agevolare l'assegnazione dei beni.

Poi si introducono requisiti e regole stringenti per cui gli amministratori giudiziari verranno chiamati ad occuparsi dei beni confiscati. Anche qui, è inutile negarlo, la cronaca degli ultimi anni, purtroppo, ha portato alla luce scandali inquietanti dovuti all'assenza di parametri e di controlli rispetto all'attribuzione a consulenti o amministratori della gestione dei beni confiscati. Si tratta di volumi d'affari di parecchi milioni di euro: a maggior ragione, è ora di fare chiarezza.

Con il nuovo codice antimafia si introduce tutta una serie di requisiti: il limite massimo di tre incarichi per amministratori, si vieta la possibilità che intercorrano rapporti di parentela tra il magistrato assegnatario e chi riceverà incarichi di gestione di beni; insomma, tutta una serie di strumenti davvero importanti. Infine, si modificano le interdittive antimafia e gli accessi ai cantieri: anche questo è uno strumento determinante per evitare i tentativi di infiltrazione nelle grandi opere.

Insomma, una serie di modifiche che erano necessarie da tempo, che è utile adottare al più presto e che, tra l'altro, lo ha ribadito anche il Consiglio superiore della magistratura, sono estremamente opportune, proprio così come votato in una recente delibera in materia molto puntuale.

Io credo, però, che, detto questo, meriti un'attenzione particolare l'articolo 1 del codice, nel quale avevamo previsto, appunto, l'estensione delle misure di confisca preventiva anche ai casi di corruzione. Qui bisogna rilevare che sono emerse reazioni molto divergenti tra autorevoli esponenti della magistratura, del mondo della scienza e degli addetti ai lavori, al punto che alcuni di loro si sono spinti a rilevare come l'approvazione dello stesso, nella formula attuale, potrebbe determinare conseguenze esattamente contrarie a quelle che perseguiamo, cioè un indebolimento della legislazione anticorruzione.

Dopo un'attenta disamina delle motivazioni addotte, personalmente mi sento di condividere l'analisi di chi teme che l'estensione delle misure di prevenzione anche a reati di corruzione potrebbe portare a sconfinare in situazioni di incostituzionalità e anche e soprattutto di incongruenza con convenzioni internazionali, al punto da rischiare di pregiudicare tutto l'impianto normativo in materia di anticorruzione e anche di antimafia. Ecco che ritengo sarebbe nocivo non tenere conto di tali rilievi. Contemporaneamente, però, non possiamo permetterci di fare slittare ulteriormente l'approvazione del codice. È opportuno che questo dettaglio così rilevante non pregiudichi l'approvazione dell'intero provvedimento, perché ha ben ragione il relatore Mattiello a rilevare nella sua relazione che non c'è spazio per emendamenti. Lo sappiamo benissimo: se lo modificassimo, anche solo con un minimo dettaglio, dovremmo rinviarlo al Senato, e questo significherebbe affossare l'intero provvedimento. Al tempo stesso, ritengo sia necessario, una volta votato celermente il provvedimento nella formula uscita dalla Commissione, intervenire a latere, in un provvedimento ulteriore, o comunque in un provvedimento che consenta questa rettifica, procedere con una rettifica mirata, chirurgica, espressamente limitata all'articolo in questione. In questo modo potremmo finalmente dotarci di uno strumento utilissimo nel contrasto al crimine organizzato, una misura richiesta coralmente da anni, ce lo hanno ricordato anche recentemente in un appello tutta una serie di realtà della società civile, le confederazioni sindacali e quant'altro. Un provvedimento che va ad aggiungersi ai significativi risultati antimafia che abbiamo già conseguito negli ultimi quattro anni: introduzione del reato di voto di scambio, reintroduzione del falso in bilancio, introduzione del reato di autoriciclaggio, legge anticorruzione e istituzione dell'Anac, codice degli appalti, ratifica di numerose decisioni quadro e direttive europee, squadre investigative comuni, introduzione dei reati ambientali, accordi di collaborazione bilaterali per il contrasto all'evasione fiscale. Insomma, l'approvazione del codice antimafia dimostra ancora una volta la nostra forte volontà politica di fare della lotta alle mafie una vera priorità dell'azione di Governo per il bene del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bossa. Ne ha facoltà.

LUISA BOSSA. Presidente, colleghi, mi sembra indispensabile, in una fase preliminare, fissare nettamente il contenuto di questa proposta di legge. Dicevo di fissarlo in modo netto perché il dibattito politico e anche quello giornalistico, secondo me, sul punto in discussione, è andato spesso fuori tema, finendo con il mescolare cose diverse tra loro e perdendo di vista il sistema giuridico e sociale nel quale queste nuove norme vanno a inserirsi. Intanto può essere utile uscire da un equivoco: la norma di cui discutiamo parla di modifiche al codice antimafia e di tutela del lavoro e dei lavoratori nelle aziende sequestrate e confiscate. Ma non è solo di mafia che parliamo nel provvedimento: ci sono modifiche al codice penale, al codice di procedura, ci sono interventi sulle misure di prevenzione, sia personali che patrimoniali; c'è un passaggio molto controverso che riguarda i reati contro la pubblica amministrazione, ci sono passaggi che riguardano norme di trasparenza e di funzionalità. Questo, quindi, è un provvedimento molto più complesso e articolato di quanto non venga descritto nelle sintesi giornalistiche e nel dibattito politico. Per questo, l'auspicio di alcune forze politiche, tra cui quella che ora rappresento, è che la Camera lo approvi senza ulteriori cambiamenti, in modo da garantirne il varo definitivo senza altri passaggi parlamentari, che, visto il tempo esiguo ormai della legislatura, rischierebbero di vanificare anni di lavoro senza approdare alle modifiche che riteniamo utili al Paese. E non mi riferisco tanto alle questioni procedurali, che pure rispondono ad esigenze reali nate anche su territori, come le questioni di competenza o di comunicazione o di formulazione stessa degli atti, mi riferisco invece al tema importantissimo della gestione, del controllo dell'amministrazione dei beni sottoposti sia a sequestro sia a confisca, come già è stato detto.

Lo abbiamo appunto detto tante volte, e altrettante è stato scritto: togliere i beni ai mafiosi, dall'intuizione di Pio La Torre in poi, e colpirli al cuore, ferirli nella loro convinzione che mettono gli affari al sicuro, la famiglia al riparo, le generazioni in protezione. Togliere i beni ai mafiosi è anche questione simbolica: lo Stato che si riprende il maltolto e lo restituisce alla collettività. Ma togliere i beni ai mafiosi e poi vederli morire, deperire, sfiorire, vederli creare lavoro quando sono in mano ai mafiosi e vederli fallire invece quando sono in mano allo Stato, è più di un autogol, è una disfatta. Occorre spezzare il legame esistente tra il bene posseduto e i gruppi mafiosi, intaccando nel potere economico e marcando il confine tra l'economia legale e quella illegale: a dirlo era proprio Pio La Torre, che propose la confisca dei beni ai mafiosi. La legge si fece il 13 settembre del 1982, quattro mesi dopo il suo omicidio. Sono 13.000 i beni confiscati in Italia, l'80 per cento di questi presenta gravami come ipoteche o altro: assegnarli, riconvertirli e destinarli a uso sociale non è facile. Con la riforma del codice, alcune misure vengono assunte.

Mi interessa, però, al di là del discorso tecnico-giuridico, riflettere sul piano politico. C'è un dato che dobbiamo affrontare e non eludere: non è una discussione oziosa, quella che si va facendo in queste settimane sulle misure di prevenzione in quanto tali, anche se viene condotta solo per i reati della pubblica amministrazione. Lo diventa, infatti, quando ci si accorge di quanto sia insidiosa una misura preventiva solo quando riguarda la politica. Il ragionamento invece va fatto, e va fatto nella sua complessità. È indubbio che stiamo lavorando su un campo minato, è un terreno sempre scivoloso, quello delle misure di prevenzione; lo è in ogni caso e per ogni fattispecie di reato. Lo è con questa normativa, ma lo è anche con le normative già esistenti. Le misure di prevenzione sono per loro stessa natura un momento di grande delicatezza nell'ordinamento di un Paese, che chiedono nella decisione, l'applicazione e la gestione grande cautela, grande sensibilità, grande capacità di discernimento. Ma la domanda è: possiamo fare a meno delle misure di prevenzione? Noi diciamo che non ne possiamo fare a meno, perché esistono intanto in tutti gli ordinamenti democratici occidentali, lo confermano sentenze europee della Corte dei diritti dell'uomo, quando dicono che una misura di prevenzione personale, seppur ancorata ad un giudizio meramente prognostico, ha un presupposto nel concetto di pericolosità; lo ha detto più volte anche la nostra Corte costituzionale: non è la misura di prevenzione in sé a non essere rispettosa degli elementi di garanzia dell'ordinamento, quanto, semmai, se accade, le circostanze indiziarie su cui la decisione viene assunta. Lo strumento ha in sé i requisiti che lo pongono come mezzo indispensabile di tutela della comunità, per questa ragione la polemica in corso, pur rispettandone la sua attenzione ai rischi esistenti, ai timori che si possono capire, non ha secondo me ragione di essere. Le misure previste in questa normativa sono rispondenti alle esigenze della comunità, possono garantire maggiore efficacia e tutela, sono per questo attese e invocate da anni, e la Camera dei deputati, a partire da oggi, ha l'opportunità di offrire più strumenti e più efficacia non solo alla lotta alle mafie ma anche ad altri crimini di non secondaria rilevanza sociale.

Per questo siamo di fronte a un provvedimento cruciale e importante, che va sostenuto e portato fino in fondo. Anticipo pertanto il voto favorevole di Articolo 1-MDP (Applausi dei deputati dei gruppi Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Elvira Savino. Ne ha facoltà.

ELVIRA SAVINO. Signor Presidente, colleghi, la riforma del codice antimafia avrebbe dovuto rappresentare un salto di qualità, contro un fenomeno che ancora oggi pone in essere una pervasiva e sistematica opera di inquinamento e condizionamento dell'economia del nostro Paese. Nei fatti questo non è successo. Il testo che ci apprestiamo ad esaminare rappresenta un'enorme delusione, l'ennesima occasione mancata di una legislatura segnata da fallimenti, che ormai non è più possibile contare. Ancora una volta i grandi proclami governativi si sono tradotti in soluzioni di modesta efficacia, per lo più svantaggiosi, che non solo non potranno cambiare le cose, ma, se lo faranno, sarà soltanto in peggio.

Rispetto al testo approvato dalla Camera dei deputati, il Senato ha ulteriormente esteso l'ambito soggettivo di applicazione delle misure di prevenzione, inserendo nel novero delle persone potenzialmente destinatarie delle cosiddette misure di prevenzione patrimoniali antimafia, cioè del sequestro e della confisca di interi o parte di patrimoni di origine illecita, anche i soggetti indiziati - e sottolineo solo “indiziati” - per aver commesso il reato di associazione a delinquere, finalizzata a numerosi reati contro la pubblica amministrazione.

Con alcune modifiche si è dunque operato un ampliamento, per i reati che non hanno nessuna connessione propria e necessaria con la mafia, decidendo di colpire con misure pesantissime i cittadini che sono semplicemente iscritti nel registro degli indagati. La volontà del legislatore sembra, quindi, quella di rendere ordinario ciò che dovrebbe essere considerato invece straordinario, capovolgendo qualsiasi logica di buonsenso.

La corruzione come la mafia: questa è la sintesi banale, scontata e completamente illogica, che non può certo essere codificata attraverso una legge di questo Parlamento. Estendere alla corruzione una serie di misure, che vengono applicate per fattispecie speciali, come quella della mafia, mostra non solo evidenti problematiche di legittimità costituzionale, ma anche la possibilità di raggiungere effetti non desiderati.

Noi, per quanto attiene i profili di incostituzionalità di questa legge, presenteremo una pregiudiziale di costituzionalità, anche alla luce di numerose sentenze della CEDU su questo tema. Una vastissima platea di giuristi sottolinea, infatti, che la modifica prevista al codice antimafia potrebbe essere persino controproducente, poiché la legislazione antimafia riveste un suo carattere eccezionale, e prevedere un'estensione così ampia a reati non mafiosi potrebbe rendere concreto il rischio di inefficacia o di illegittimità dell'intero impianto normativo. È importante ricordare che soltanto un terzo dei beni sequestrati alla mafia viene poi effettivamente confiscato. Infatti, due volte su tre, i beni sono restituiti ai legittimi proprietari, all'esito di un dibattimento che fa venire meno il presupposto della misura adottata. Quindi, prima di estendere tale istituto a un reato ordinario come la corruzione, sarebbe opportuno svolgere un'importante riflessione tecnico-giuridica sulle misure previste nel nostro ordinamento, quelle già previste, riflessione che è mancata durante tutto l'iter parlamentare di questo provvedimento.

Mi preme ricordare che mafia e corruzione sono due attività distinte, che non possono essere poste sul medesimo piano. La corruzione è un fenomeno criminale di tipo sistemico e non associativo, come la mafia, e affrontarla con il modello associativo è un grave errore di tipo metodologico. Peraltro, proprio la normativa dal 1982 in poi ha fatto sì che la misura più grave, quella appunto della confisca, abbia riguardato beni e in particolare attività imprenditoriali, riconducibili direttamente o indirettamente a soggetti indiziati di appartenere ad associazioni mafiose, circostanza che, appunto, ha giustificato l'adozione di questa particolare severità, tanto sul piano degli effetti, quanto su quello del regime probatorio, sia sul fronte dell'opinione pubblica, sia sotto un profilo strettamente giuridico davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo. È proprio la presenza dell'elemento della mafiosità che rende possibile l'adozione di questa misura.

Dovrebbe, quindi, escludersi la possibilità di poter estendere le misure previste per un reato mafioso alle fattispecie corruttive, nei confronti magari di un soggetto soltanto indiziato, a cui si possono assolutamente applicare le misure cautelari già previste dal nostro codice penale. Infatti, secondo il diritto vigente, la confisca antimafia può essere applicata a tutti i soggetti indiziati di essere abitualmente dediti a traffici delittuosi, quale che sia l'attività criminosa che viene in rilievo e, quindi, anche a un comportamento delittuoso abituale contro la pubblica amministrazione. Quindi, le norme per punire e per colpire i corrotti abituali già ci sono.

In uno Stato di diritto, invece, le misure di prevenzione si possono giustificare soprattutto nei confronti di malviventi professionali o abituali, come appunto i mafiosi, i cui patrimoni, non proporzionati al reddito ufficiale, sono il risultato di attività illecite reiterate. Ma spostare sul versante penalistico, come avverrebbe con le nuove disposizioni su confisca e sequestro, l'asse della lotta alla corruzione, generalizzando quello che è un diritto penale di eccezione, comporterebbe un'evidente illegittimità costituzionale e renderebbe vanno qualsiasi tentativo, posto in essere al fine di prevenire il radicarsi della corruzione stessa. Si rischia, cioè, di fare un favore a questi corrotti.

A rendersi conto della gravità della misura introdotta nel codice antimafia, è stata la stessa maggioranza parlamentare, che ha deciso di fare marcia indietro, annunciando la presentazione di un ordine del giorno, che di fatto impegnerà il Governo a trovare un correttivo all'equiparazione tra mafiosi e corrotti. È un fatto estremamente grave che la maggioranza parlamentare si impegni a votare una legge con evidenti profili di incostituzionalità, consegnando strumenti illegittimi alle procure, per poi annunciare un ordine del giorno, con cui si chiede al Governo stesso di apportare miglioramenti alla medesima legge. Il Parlamento, invece, è chiamato ad approvare le leggi con responsabilità e non per dimostrare, come sempre, all'opinione pubblica di avere fatto qualcosa, l'importante è che sia fatta. È spaventosa la sfrontatezza e la leggerezza, con cui questa maggioranza si appresta ad approvare la riforma del codice antimafia, una riforma, se così si può definire, che rafforza l'ambito di applicazione delle misure di prevenzione, a discapito di qualsiasi garanzia, oscurando lo Stato di diritto.

In merito alle misure di prevenzione, mi preme ricordare che i giudici della Corte europea dei diritti dell'uomo, con la sentenza De Tomasso contro l'Italia del 2 febbraio 2017, ritengono che parte significativa del nostro sistema di prevenzione personale, quello già codificato, sia incompatibile con l'articolo 2, Protocollo n. 4 della CEDU. La Corte precisa che le disposizioni, che costituiscono la base legale della misura di prevenzione imposta al ricorrente, sono peraltro censurate anche sotto il diverso profilo della vaghezza e imprecisione, relativa al contenuto delle prescrizioni che devono o possono essere imposte all'interessato. Quindi, già ci sono difficoltà. Un legislatore attento dovrebbe fermarsi e riflettere se la strada intrapresa sia veramente quella giusta o se sia più opportuno cambiare rotta. Le voci che si sono alzate da numerosi costituzionalisti e dai giudici della Corte europea dei diritti dell'uomo dovrebbero farci capire che questa non è la strada giusta e che lo sarà soltanto se la mafia sarà considerata come una priorità assoluta e che bisogna combatterla in modo serio, responsabile e soprattutto con misure idonee e non demagogiche.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Scopelliti. Ne ha facoltà.

ROSANNA SCOPELLITI. Grazie Presidente. Colleghi, la prima cosa che ci viene in mente, che mi viene in mente, oggi, pensando alla materia che stiamo trattando, è: “finalmente!”. Finalmente stiamo discutendo in quest'Aula del codice antimafia. Io ricordo che era novembre 2013, quando abbiamo iniziato l'iter di questa norma. Colleghi. novembre 2013 è praticamente un secolo fa. Ecco, invece, dopo quattro anni, tra discussioni, stop e rinvii, pare che finalmente questo nuovo codice antimafia vedrà la luce.

E onestamente non capisco, trattandosi di una riforma così importante, in un Paese in cui il contrasto alle mafie è fondamentale e dove ognuno tira in ballo le tematiche del contrasto alle mafie come baluardo di buona politica, come sia stato possibile non essere riusciti a dare una massima priorità a questo testo. Devo dire che il Parlamento in questa legislatura ha svolto un grande lavoro. Penso alle riforme e ai vari disegni di legge, che in qualche modo hanno posto un freno al dilagare di mafie e corruzione, e agli importanti traguardi che abbiamo raggiunto. Ma i tempi di approvazione, purtroppo, restano sempre troppo lunghi, Presidente, ed è inaccettabile, soprattutto quando si toccano delle materie così delicate.

Per questo, credo si debba aprire una riflessione sulla necessità che tutti i provvedimenti legislativi che riguardano mafia e sicurezza viaggino forse su una sorta di corsia preferenziale, più veloce, una corsia prioritaria, e consegno questo invito alla Presidenza come lascito per la prossima legislatura. Bisogna lavorare, bisogna riflettere su questo, perché è una cosa veramente molto importante.

La cosa positiva, però, è quella di esserci arrivati, di essere arrivati oggi a discutere del nuovo codice antimafia. Per questo, anche il gruppo parlamentare di Alternativa popolare esprime un giudizio complessivamente positivo e questo al netto, come peraltro è stato detto prima - ho condiviso quasi in toto l'intervento della collega Garavini -, al netto delle problematiche insite nel provvedimento su cui abbiamo espresso dubbi anche in Commissione giustizia. Sono criticità che concernono l'applicazione delle misure di prevenzione personali e patrimoniali anche nei confronti di coloro che sono indiziati di reati contro la pubblica amministrazione o allo stalking. Ecco, su questo ci sono delle perplessità, dei dubbi, che sono stati peraltro espressi anche dallo stesso Presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, Cantone: assimilare il contrasto alle mafie e quello alla corruzione può andare bene, forse, per strappare qualche applauso all'elettorato più giustizialista, ma non so quanto invece faccia bene a chi ha bisogno di strumenti più efficaci per combattere la criminalità organizzata di stampo mafioso. Noi, il codice antimafia, lo abbiamo pensato, lo abbiamo proposto a questo scopo, fino a prova contraria, e questa è una cosa che non dobbiamo dimenticare.

Come dicevo prima, il provvedimento ha avuto un iter lungo e complesso e giunge oggi all'attenzione dell'Assemblea senza modifiche. Perché? Perché è necessario approvarlo in modo definitivo, al fine di avere un quadro normativo certo e migliorativo della normativa vigente. Le organizzazioni mafiose sono diventate più che mai soggetti con una forte e significativa connotazione imprenditoriale e con grandi capacità di inquinare l'economia legale. Le analisi di tale fenomeno hanno dimostrato come le organizzazioni criminali abbiano cresciuto il loro raggio di azione, diventando molto più pervasive e penetranti nel tessuto economico e produttivo dell'intero Paese, e questo salto di qualità delle associazioni mafiose ha destato e desta particolare allarme sociale tra gli operatori della giustizia e della nostra società.

Tra l'altro, ricordo che tale penetrazione e lo stesso modo di insinuarsi nel tessuto economico produttivo sono divenuti sempre più pervasivi nel momento stesso in cui è iniziata la grave crisi economica e sociale che il nostro Paese ha attraversato per un lungo periodo e che adesso pare essersi arrestata. L'ampia disponibilità di liquidità delle associazioni criminali, rispetto all'aggravarsi della stretta creditizia per le imprese e le famiglie, ha infatti determinato un incremento esponenziale degli investimenti mafiosi nell'economia legale. A ciò si aggiunge anche la capacità di queste organizzazioni criminali di introdursi nelle istituzioni pubbliche del Paese e al riguardo sono significativi i dati relativi allo scioglimento dei consigli comunali per infiltrazione mafiosa, che denotano come questo fenomeno criminale si sia sviluppato, in modo costante e grave, con l'obiettivo di inquinare gli enti locali.

Pertanto è necessario rispondere in maniera efficace con una politica in grado di rafforzare l'aspetto considerato nel tempo sempre più importante per contrastare in modo efficace il fenomeno mafioso, non solo quindi rafforzando la repressione sotto il profilo penale, ma focalizzando l'attenzione in modo prioritario sull'aspetto patrimoniale, in modo da spezzare quei legami esistenti tra mafia ed economia: un metodo, peraltro, ricordiamolo, già indicato da Falcone e Borsellino. C'è da dire che è grazie alle loro intuizioni e al loro lavoro che abbiamo compreso le dimensioni, la diffusione e soprattutto le caratteristiche del fenomeno mafioso sul territorio. Sulla scorta delle loro valutazioni e del metodo adottato sono stati approntati anche i primi mezzi per contrastarlo in modo costante e continuo. Ricordo che fu proprio Giovanni Falcone ad intuire che la lotta alle mafie si gioca attraverso le indagini finanziarie, aggredendo patrimoni illeciti con la confisca, la prevenzione e la repressione del riciclaggio.

Gli strumenti utilizzati vanno però aggiornati in modo da eliminare quel rapporto esistente tra mafia ed economia, che costituisce l'aspetto più inquietante e dannoso per la nostra società. La politica di prevenzione, unitamente a un'azione di trasparenza degli appalti pubblici, costituisce un pilastro essenziale per contrastare la criminalità organizzata e rappresenta altresì un'azione di fondamentale importanza per salvaguardare lo sviluppo dell'economia e della legalità in tutto il nostro Paese. Deve essere valutata positivamente dunque l'applicazione delle misure di prevenzione previste dall'articolo 1 del progetto di legge anche agli indiziati che prestano assistenza, agli associati delle organizzazioni mafiose. Un'azione, dicevo, coordinata su un doppio binario, repressivo e preventivo, proprio per sconfiggere quelle sacche di illegalità diffuse, come detto, soprattutto nel Mezzogiorno del nostro Paese e che sono andate sviluppandosi in territori che un tempo erano considerati ancora immuni dalla penetrazione mafiosa.

Devo dire, con soddisfazione, che fino ad oggi la magistratura e la polizia giudiziaria hanno operato nel modo migliore - bisogna veramente renderne atto - e con grande capacità professionale, riportando ottimi risultati nel campo della prevenzione e della repressione delle mafie. Il compito del legislatore, a questo punto, è quello di fornire agli operatori della giustizia quegli strumenti necessari per poter affrontare in modo compiuto le problematiche concernenti il contrasto alla criminalità organizzata.

Devo comunque rilevare che in questa legislatura - lo accennavo prima - il Parlamento ha approvato provvedimenti particolarmente importanti nel contrasto alle mafie: la modifica dell'articolo 416-ter con l'introduzione del voto di scambio, che ha mostrato risultati positivi, o, per esempio, la reintroduzione del falso in bilancio, l'introduzione del reato di autoriciclaggio, la legge anticorruzione e il nuovo codice degli appalti. Sono cose importantissime, cose di cui il Paese aveva bisogno, che finalmente sono riuscite a vedere la luce e sono delle misure fondamentali per contrastare in modo efficace la diffusione sul territorio del fenomeno mafioso e che operano sia sotto l'aspetto repressivo che preventivo.

Ricordo anche che il progetto di legge oggi all'esame dell'Assemblea contiene una serie di misure di straordinaria importanza per contrastare e migliorare in modo significativo il contrasto alle mafie. Penso alle norme di prevenzione, l'implementazione del personale, la riorganizzazione dell'Agenzia nazionale per i beni confiscati, le forme di sostegno volte a consentire la ripresa delle aziende sequestrate, la loro continuità produttiva e le misure di tutela dei lavoratori. Sono cose che veramente servivano, sono delle migliorie importanti che servono veramente per dare un segnale importante di vicinanza dello Stato alle persone vittime delle mafie ed è comunque un contrasto, un contrasto importante, di cui questo Paese ha bisogno e appunto uno dei punti fondamentali, e ritardare ulteriormente l'approvazione di questa legge sarebbe veramente un disastro.

Pensavo appunto, riguardo alle misure di tutela dei lavoratori, che questo aspetto è importante nel progetto di legge e mira a promuovere le principali criticità presenti nella normativa vigente, che vedono fallire la stragrande maggioranza delle aziende oggetto di misura di prevenzione. È importante anche l'articolo 15, comma 1, che prevede strumenti finanziari volti al sostegno e alla valorizzazione delle aziende sequestrate, necessari per la legalizzazione delle attività non irreversibilmente inquinate dai capitali o dai metodi illeciti. Ecco, bisogna saper stare vicino, bisogna che lo Stato sia forte anche in questo, che riesca ad offrire un'alternativa, a stare vicino e a rafforzare anche chi lavora nelle aziende confiscate, perché bisogna sempre pensare e bisogna ricordare che ogni volta che ci viene detto - e purtroppo c'è stato detto molte volte in audizione in Commissione antimafia - che si stava meglio quando si era in mano dei mafiosi, questa è una cosa che io non voglio mai più sentire. È importante che l'approvazione di questo nuovo codice antimafia segni veramente uno spartiacque anche in questo senso.

Poi, Presidente, io, da reggina, da calabrese, ho particolare difficoltà a parlare del tema dell'Agenzia per i beni confiscati. Per me è una nota dolente, perché condivido, proprio da reggina, la delusione dei miei concittadini per lo spostamento della sede principale dell'Agenzia dei beni confiscati a Roma, spostamento che lascia a Reggio Calabria la sede secondaria benché unica. Devo essere sincera, io comprendo, ma non mi convincono fino in fondo, le ragioni dello spostamento, che viene vissuto, peraltro, dalla mia città come un ennesimo scippo. Forse si poteva trovare una soluzione diversa in Senato. Io ho chiesto più volte ai colleghi di farlo, purtroppo senza esito. Il codice è rimasto nei cassetti alla Commissione giustizia di Palazzo Madama per molti, per veramente troppi, mesi, più di un anno e mezzo, colleghi, ed è bene che i miei concittadini lo sappiano. E tutto questo tempo, purtroppo, è stato lasciato passare senza nemmeno provare a scongelare lo spostamento. Ora, io mi chiedo cosa dovremmo fare noi, invece, qui alla Camera, cambiarlo noi? Beh, arrivati a questo punto, visti anche i tempi del passaggio precedente nell'altro ramo del Parlamento, onestamente non abbiamo nessuna certezza che, qualora fossero introdotte modifiche alla Camera, il Senato approverebbe il codice prima della fine della legislatura e, proprio per quello che ci siamo detti prima, io penso che debba prevalere in noi il senso di responsabilità.

Il nuovo codice antimafia è uno strumento fondamentale per rafforzare il contrasto alle mafie, aggiornando una legislazione che ha certamente consentito alle forze dell'ordine e alla magistratura di raggiungere risultati eccezionali, ma che ha bisogno di un salto di qualità - lo abbiamo detto - e la sua approvazione ora viene prima di qualsiasi campanilismo, proprio per permettere a chi opera sui territori, e in particolar modo, a questo punto, quello calabrese, di ottenere risultati ancora più certi e stringenti. Io sono certa che i miei concittadini, sono certa che i reggini capiranno questa scelta e la sosterranno.

Dicevamo, il percorso di legge ha avuto appunto un percorso lungo e complesso, che darà comunque risultati importanti e fondamentali.

È un'azione politica chiara e decisa che migliora in modo importante la legislazione antimafia ed è un importante punto di riferimento per gli operatori della giustizia, a cui, ancora una volta, colgo l'occasione per fare un grande elogio per come hanno svolto e svolgono il loro lavoro di contrasto alle mafie; un contrasto che deve costituire un patrimonio comune, un patrimonio per cui tutti, istituzioni, operatori della giustizia, associazioni e semplici cittadini devono impegnarsi proprio al fine di liberare il nostro Paese - io lo vorrei dire con Peppino Impastato, ma mi rendo conto che quest'Aula non lo consente - da quella montagna che è la mafia.

Mi auguro, quindi, che tutti i colleghi, oggi, sappiano guardare al di là della campagna elettorale imminente e riescano anch'essi a fare proprio l'auspicio della magistratura e delle realtà che, a diverso titolo, sono in prima linea nel contrasto alle mafie.

Approviamo questo codice antimafia all'unanimità, senza modifiche, andando oltre le logiche di schieramento e superando eventuali dubbi. E mi rivolgo, in particolare, alle forze politiche moderate, a cominciare da Forza Italia, perché non facciano mancare il loro voto finale al provvedimento, nonostante le comprensibili perplessità sull'estensione della normativa antimafia alla corruzione, perplessità che abbiamo in molti, lo dicevo proprio prima, aprendo il mio intervento, anche il presidente Cantone, ma che, però, non ha mancato di sottolineare in più occasioni l'importanza del codice e la necessità di approvarlo e di approvarlo in fretta.

È importante, cari colleghi, dare al Paese un segnale di unità delle forze politiche nel contrasto alla criminalità organizzata. Il metodo per poterlo fare lo abbiamo qui, oggi, sotto mano: è l'approvazione di questo codice. Bisogna avere coraggio, il coraggio di dire “no” alle mafie, bisogna avere il coraggio di fornire gli operatori della giustizia, gli operatori delle Forze dell'ordine, coloro che sono impegnati in prima linea, ad avere gli strumenti necessari. Nel codice precedente c'erano, purtroppo, delle falle, delle falle che hanno creato molti problemi e che hanno reso anche particolari intuizioni difficilmente realizzabili.

Ecco, oggi, noi possiamo veramente dire che il lavoro sul codice è stato fatto; è un buon lavoro, complessivamente. Io non vorrei veramente che per dei puntelli, poi, alla fine, di questo o di quel gruppo parlamentare, questo codice possa in qualche modo essere rallentato o non vedere la luce. Se tutti noi ci dichiariamo, come è vero e come è sempre stato, contro le mafie, se veramente ognuno di noi, quando va a parlare nelle piazze o nelle scuole o nelle iniziative pubbliche dice che la lotta alle mafie è il principale obiettivo e il principale scopo di questo Parlamento, perché, parliamoci chiaro, nella lotta alle mafie la cosa importante è creare anche una legislazione importante, una legislazione ben mirata, ecco se noi andiamo a raccontare tutto questo ai cittadini e ai ragazzi, non possiamo esimerci, oggi, dal decidere di votare tutti quanti insieme questo codice antimafia. Ce n'è bisogno, ce n'è necessità, è una richiesta che ci fanno veramente in tantissimi ed è veramente un segnale importante di concretezza che questo Parlamento può e deve dare. Quindi, approviamolo e approviamolo tutti quanti insieme (Applausi dei deputati dei gruppi Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1039-B ed abbinate)

PRESIDENTE. Onorevole Mattiello, lei non ha praticamente più tempo, quindi, immagino che rinunci alla replica. Bene. Il rappresentante del Governo rinuncia anche alla replica.

(Annunzio di una questione pregiudiziale – A.C. 1039-B ed abbinate)

PRESIDENTE. Avverto che è stata presentata la questione pregiudiziale di costituzionalità Sarro ed altri n. 1, che è in distribuzione e che sarà discussa e posta in votazione prima di passare all'esame degli articoli del provvedimento.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Organizzazione dei tempi di discussione dei disegni di legge di ratifica.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge di ratifica nn. 3083, 4224 e 4227.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati all'esame dei disegni di legge di ratifica all'ordine del giorno è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario)

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Atto di Ginevra dell'Accordo dell'Aja concernente la registrazione internazionale dei disegni e modelli industriali, fatto a Ginevra il 2 luglio 1999, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno (A.C. 3083) (ore 12,45).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 3083: Ratifica ed esecuzione dell'Atto di Ginevra dell'Accordo dell'Aja concernente la registrazione internazionale dei disegni e modelli industriali, fatto a Ginevra il 2 luglio 1999, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 3083)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice per la maggioranza, onorevole Maria Chiara Carrozza.

MARIA CHIARA CARROZZA, Relatrice per la maggioranza. Presidente, onorevoli colleghi, oggi, l'Aula è chiamata ad esaminare il disegno di legge recante la ratifica e l'esecuzione dell'Atto di Ginevra dell'Accordo dell'Aja, concernente la registrazione internazionale dei disegni e modelli industriali il cui esame istruttorio è iniziato presso la III Commissione il 3 maggio scorso e si è concluso il successivo 21 giugno.

L'Accordo dell'Aja, relativo alla registrazione internazionale dei disegni e modelli industriali, consente al titolare di un disegno o modello di ottenere protezione in più Paesi con una sola domanda internazionale, redatta in una sola lingua, presentata in un unico ufficio e sottostando a un'unica tassazione, nella fattispecie nella valuta del franco svizzero.

L'Accordo dell'Aja è stato più volte rivisto, a Londra nel 1934 e di nuova all'Aja nel 1960; la seconda di tali revisioni è stata ratificata dall'Italia con la legge n. 744 del 1980. L'Atto che oggi noi siamo chiamati ad esaminare deriva dai lavori per una completa revisione del citato Accordo dell'Aja, culminati il 2 luglio 1999 nell'Atto firmato dalla Conferenza diplomatica di Ginevra, Atto che ha valenza sostitutiva nei confronti degli Atti del 1934 e del 1960.

Gli obiettivi principali dell'Atto del 1999 consistono nell'estensione del sistema di protezione inaugurato con l'Accordo dell'Aja a nuovi membri, sì da facilitare l'adesione di Stati, la cui legislazione prevede l'esame di novità dei disegni e modelli industriali.

È stato, inoltre, consentito un collegamento tra il sistema di registrazione internazionale dell'Aja e i sistemi regionali come quello dell'Unione europea o quello dell'Organizzazione Africana della proprietà intellettuale, mediante la possibilità che tali organizzazioni regionali aderiscano all'Atto del 1999.

L'Atto di Ginevra del 1999 si compone di 34 articoli, organizzati in quattro capitoli, dedicati, rispettivamente, alla domanda e registrazione internazionale di disegni e modelli industriali, capitolo 1, alle disposizioni amministrative, capitolo 2, alle revisioni e modifiche dell'Atto di Ginevra, capitolo 3, e alle disposizioni finali, capitolo 4.

Il disegno di legge all'esame dell'Aula, quindi, si compone di sei articoli; gli articoli 1 e 2 contengono le consuete clausole di autorizzazione alla ratifica e di ordine di esecuzione dell'Atto di Ginevra del 2 luglio 1999; l'articolo 3 del disegno di legge novella l'articolo 155 del codice di proprietà industriale, decreto legislativo n. 30 del 2005, che disciplina il deposito di domande internazionali di protezione di disegni e modelli industriali; l'articolo 4 del disegno di legge dispone, richiamando l'articolo 17, paragrafo 3, lettera (b) dell'Accordo del 1999, che la protezione internazionale di un disegno o modello può durare fino a un massimo di 25 anni dalla data di deposito della domanda di registrazione, a condizione che la registrazione internazionale sia rinnovata, conformemente alla durata massima della protezione disposta dall'articolo 37 del codice della proprietà industriale; l'articolo 5 contiene la clausola di invarianza finanziaria, per la quale dall'attuazione della legge di autorizzazione alla ratifica non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Alla luce di quanto esposto auspico una rapida approvazione del provvedimento al nostro esame.

PRESIDENTE. Il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

Non vi sono iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali, avvertendo che non si darà luogo alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: S. 2027 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Croazia sulla cooperazione transfrontaliera di polizia, fatto a Zagabria il 5 luglio 2011 (Approvato dal Senato) (A.C. 4224) (ore 12,50).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 4224: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Croazia sulla cooperazione transfrontaliera di polizia, fatto a Zagabria il 5 luglio 2011.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 4224)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice per la maggioranza, onorevole Maria Chiara Carrozza.

MARIA CHIARA CARROZZA, Relatrice per la maggioranza. Presidente, onorevoli colleghi, l'Accordo oggi all'esame dell'Aula mira alla realizzazione, in conformità con le rispettive legislazioni nazionali e con gli obblighi internazionali assunti, di uno strumento giuridico per regolamentare la collaborazione di polizia ai fini di una più efficace azione di contrasto al crimine transfrontaliero, in particolare quello connesso all'immigrazione illegale, alla tratta di esseri umani e al traffico illegale di sostanze stupefacenti.

Il disegno di legge in esame è stato approvato dal Senato della Repubblica lo scorso 12 gennaio, mentre il suo esame presso la III Commissione, iniziato il 5 aprile, si è concluso il 21 giugno scorso.

L'Accordo è stato definito in esito ad una fase negoziale avviatasi formalmente nel 2005, ma preceduta da contatti per lo sviluppo di iniziative congiunte di controllo delle frontiere risalenti al 2001.

Dopo aver specificato gli ambiti di competenza per il territorio, l'intesa definisce le modalità della cooperazione transfrontaliera, prevedendo scambi di informazione, collegamenti per le comunicazioni e telecomunicazioni, armonizzazioni delle attività operative, istruzione e formazione professionale. I successivi articoli disciplinano lo scambio di funzionari di polizia, gruppi di lavoro congiunti, l'invio di ufficiali di collegamento e il coordinamento di attività operative. Un capitolo specifico è dedicato alla protezione e alla riservatezza dei dati personali.

Il disegno di legge di ratifica si compone di quattro articoli. L'articolo 1 e l'articolo 2 contengono, rispettivamente, l'autorizzazione alla ratifica e l'ordine di esecuzione dell'Accordo in esame.

L'articolo 3 contiene la clausola di copertura finanziaria degli oneri previsti per l'attuazione dell'Accordo, valutati in circa 117 mila euro all'anno, a decorrere dall'anno 2017, per spese di missione di cui agli articoli 5, 7, 8, 9 e 10 dell'Accordo, e in circa 42 mila euro annui, a decorrere dall'anno 2017, per le rimanenti spese.

Ricordo che l'articolo 3 in commento è stato modificato nel corso dell'esame presso il Senato, a seguito del parere formulato dalla Commissione bilancio.

Oltre all'aggiornamento della decorrenza degli oneri, che si riferivano al 2015, si è disposto anche l'adeguamento del testo della norma alle nuove disposizioni in materia di clausole di monitoraggio e, segnatamente, la legge n. 163 del 2016, che definisce un sistema generalizzato e permanente di verifica dei possibili sforamenti rispetto agli oneri precedentemente quantificati, rendendo pertanto non più necessaria la previsione di clausole di monitoraggio.

Ricordo che il nostro Paese è stato un punto di riferimento strategico per Zagabria nel suo cammino verso l'integrazione europea, parimenti a quanto accaduto per l'ingresso croato nella NATO, da noi vivamente sostenuto. Le relazioni bilaterali sono particolarmente intense in ogni settore, a partire da quello economico, essendo l'Italia il primo partner commerciale della Croazia. Confido, pertanto, in una rapida approvazione del provvedimento, che rafforza la collaborazione tra il nostro Paese e la Croazia.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, che però rinuncia e, quindi, non essendovi iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali, avvertendo che non si darà luogo alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: S. 2207 - Ratifica ed esecuzione del Protocollo recante modifiche alla Convenzione tra la Repubblica italiana e la Repubblica delle Filippine per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire l'evasione fiscale del 5 dicembre 1980, fatto a Manila il 9 dicembre 2013 (Approvato dal Senato) (A.C. 4227) (ore 12,55).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 4227: Ratifica ed esecuzione del Protocollo recante modifiche alla Convenzione tra la Repubblica italiana e la Repubblica delle Filippine per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire l'evasione fiscale del 5 dicembre 1980, fatto a Manila il 9 dicembre 2013.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 4227)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, onorevole Quintarelli.

GIUSEPPE STEFANO QUINTARELLI, Relatore per la maggioranza. Grazie, signor Presidente e colleghi, il Protocollo al nostro esame, firmato a Manila il 9 dicembre 2013, modifica, per adeguarlo al modello di Convenzione concordato in sede OCSE, la vigente Convenzione fiscale tra Italia e Filippine del 5 dicembre 1980, ratificata dall'Italia con la legge n. 312 del 1989.

Ricordo che il disegno di legge al nostro esame è già stato approvato dal Senato nella seduta del 12 gennaio e che è stato esaminato dalla III Commissione della Camera nelle sedute del 3 maggio e del 21 giugno scorsi.

Il Protocollo di cui al provvedimento al nostro esame si compone di cinque articoli: il primo aggiorna il campo di applicazione oggetto della Convenzione del 1980 ed inserisce, nell'elenco delle imposte considerate per l'Italia, l'imposta regionale sulle attività produttive.

L'articolo 2 aggiorna la denominazione relativa all'Autorità italiana competente per l'applicazione dell'Accordo, ossia il Ministero dell'Economia e delle finanze.

L'articolo 3 modifica la disposizione dell'articolo 22, paragrafo 2, della vigente Convenzione, conformandola alla più recente formulazione utilizzata nelle convenzioni fiscali. La norma, inoltre, sopprime il paragrafo 4 del medesimo articolo 22, il quale contemplava il cosiddetto matching credit, che riconosceva il credito d'imposta anche per le imposte non effettivamente pagate su dividendi, interessi e canoni.

La relazione illustrativa che accompagna il disegno di legge chiarisce che la disposizione soppressa prevedeva la concessione di un credito d'imposta, ad esempio in Italia, anche qualora nel Paese di produzione del reddito, ad esempio nelle Filippine, non fosse stata effettivamente scontata alcuna imposizione.

L'articolo 4, in materia di scambio di informazioni, amplia la cooperazione fra le amministrazioni e prevede, tra l'altro, il superamento del domestic tax interest, ossia la possibilità che uno Stato contraente rifiuti di fornire informazioni solo perché non ne ha interesse ai propri fini fiscali (paragrafo 4). Con le disposizioni del paragrafo 5, si ha il superamento del segreto bancario sulla base del più recente standard in materia (articolo 26 del modello di Convenzione contro le doppie imposizioni OCSE). L'articolo 4 rappresenta il fulcro del nuovo Accordo bilaterale italo-filippino, in quanto costituisce la base giuridica per intensificare la cooperazione amministrativa in materia di scambio di informazioni, conformemente all'obiettivo prioritario della lotta all'evasione transnazionale, riaffermato più volte anche nelle sedi multilaterali e internazionali (G7, G20 e OCSE).

L'articolo 5, infine, prevede l'entrata in vigore del Protocollo alla data di ricezione dell'ultima delle due notifiche con le quali Italia e Filippine si saranno comunicate l'espletamento delle rispettive procedure interne. Il protocollo resterà in vigore fino a quando lo sarà la Convenzione del 1980, la quale ha durata indeterminata, salvo denuncia entro il 30 giugno di ciascun anno. Concludendo, auspico una rapida approvazione del disegno di legge al nostro esame, che ha l'obiettivo di rafforzare la cooperazione in materia fiscale tra il nostro Paese e la Repubblica delle Filippine.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, che però rinuncia e, quindi, non essendovi iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali. Avverto che non si darà luogo alle repliche e che il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Occhiuto ed altri n. 1-01687 concernente iniziative in ordine ai criteri di ripartizione del fondo di solidarietà comunale, anche nell'ottica dell'attuazione della riforma del federalismo fiscale (ore 13).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Occhiuto ed altri n. 1-01687, concernente iniziative in ordine ai criteri di ripartizione del fondo di solidarietà comunale, anche nell'ottica dell'attuazione della riforma del federalismo fiscale (Vedi l'allegato A).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

Avverto che è stata, altresì, presentata la mozione Marchi ed altri n. 1-01705 (Vedi l'allegato A), che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

È iscritto a parlare l'onorevole Occhiuto, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-01687. Ne ha facoltà.

ROBERTO OCCHIUTO. Grazie, signor Presidente. Il gruppo di Forza Italia ha chiesto che questa mozione fosse inserita all'ordine del giorno dei lavori dell'Aula questa settimana ed è una mozione che reca la firma di molti parlamentari meridionali del gruppo di Forza Italia perché riguarda l'assetto del sistema della finanza locale, ma soprattutto gli effetti che la riforma di questo assetto ha riverberato nel Mezzogiorno d'Italia.

Vorrei ricordare che il sistema della finanza locale si è profondamente modificato nel corso degli ultimi anni, si è cominciato con la riforma del Titolo V della Costituzione e poi si è proseguito con la riforma del federalismo fiscale, che doveva attribuire in origine maggiori responsabilità ai livelli locali di governo, pur assicurando, però, i livelli essenziali delle prestazioni, stabiliti come diritti di tutti i cittadini italiani all'interno della nostra Costituzione. È successo, però, che, proprio mentre si procedeva alla riforma del federalismo fiscale, i continui tagli proposti con le ultime leggi di stabilità e la crisi economica che ha investito il nostro Paese negli ultimi dieci anni hanno portato ad una sorta di centralizzazione ulteriore delle decisioni di spesa e delle decisioni di entrata e hanno provocato una situazione che noi giudichiamo insostenibile, soprattutto nel sistema degli enti locali del Mezzogiorno.

Vorrei ricordare che la legge n. 42 del 2009, la legge delega che doveva inverare il processo di federalismo fiscale nel nostro Paese, prevedeva la definizione di fabbisogni standard orientati ai livelli essenziali delle prestazioni da garantire a tutti i cittadini e prevedeva, però, anche una forma di perequazione tra gli enti locali e i comuni che avessero avuto maggiore capacità fiscale e gli enti locali dotati di minore capacità fiscale, perché non sarebbe stato giusto che cittadini italiani residenti in comuni diversi avessero livelli di servizio costituzionalmente garantiti, appunto, diversi. È successo, invece, che i ritardi sulla corretta definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei fabbisogni standard e, soprattutto, la costituzione del Fondo di perequazione, non più a carico dello Stato ma a carico degli enti locali, hanno generato, come dire, una cattiva implementazione del processo di federalismo fiscale. Vorrei ricordare che, nella legge delega del 2009, si prevedeva, appunto, un Fondo di perequazione, alimentato attraverso la fiscalità generale e, quindi, non alimentato dai comuni, per far sì che i comuni che avessero avuto minore capacità fiscale avessero in questo modo potuto procedere a garantire i servizi essenziali ai loro cittadini.

Che cosa è accaduto, invece, nel corso degli anni? Questi ritardi e la carenza di questo fondo hanno determinato il riparto dei fondi, per esempio per i servizi sociali, dal 2018, per esempio, per il trasporto pubblico locale, non in ragione di quelli che sono i fabbisogni standard, ma in ragione della spesa storica.

Noi riteniamo che non ci sia criterio più ingiusto, perché, se ci sono comuni d'Italia - e ce ne sono tanti nel Mezzogiorno - che non hanno storicamente una spesa adeguata, che so, per esempio, per la dotazione di asili nido, per le mense, per il trasporto pubblico locale, accade che questi comuni nel riparto delle risorse vengano sistematicamente penalizzati, mentre i comuni che hanno avuto una spesa pro capite più alta per i servizi mensa, per gli asili nido, per il trasporto pubblico locale sono comuni che si giovano maggiormente dei meccanismi di riparto del fondo sociale comunale.

Sostanzialmente, in questo Paese, in ordine al riparto di questi fondi, si sta assistendo ad uno Stato che fa il Robin Hood al contrario, cioè dà di meno ai cittadini che hanno meno servizi e dà di più ai cittadini che hanno più servizi. Per questo noi abbiamo voluto provocatoriamente chiamare questa nostra mozione “mozione Robin Hood”, perché noi, invece, vorremmo uno Stato che facesse il Robin Hood vero, cioè uno Stato capace di dare di più ai cittadini più poveri, assicurando servizi di qualità ai cittadini che sono più ricchi.

Nel modo di procedere nel riparto dei fondi di perequazione, invece, chi ha di più continua ad avere di più e chi ha di meno continua ad avere di meno, anzi, a volte, si fanno tagli ulteriori. Vorrei ricordare l'indagine della Sose - la società tecnica del Ministero dell'Economia e delle finanze -, che evidenzia nei servizi un forte divario dei livelli delle prestazioni effettivamente erogate tra le regioni del centro-nord e quelle del sud: un divario che si riflette nei livelli di spesa, mediamente, più bassi registrati nel Mezzogiorno. In base ai dati del 2013, la Sose specifica che la spesa sociale giudicata essenziale, cioè relativa ai servizi indispensabili in Italia, è di 18,8 miliardi e che tali risorse non sono distribuite, però, in modo omogeneo nelle quindici regioni a statuto ordinario, per cui tra i cittadini, soprattutto più deboli, non c'è uguaglianza.

Nel comparto degli asili nido il livello di copertura media nazionale risulta pari al 12,73 per cento, ma se andiamo a vedere quello che succede nelle diverse realtà del nostro Paese ci si rende conto che, al nord, c'è un livello di copertura di asili nido del 15 per cento, nelle regioni del sud, ad eccezione dell'Abruzzo e della Basilicata, questo livello non supera il 5 per cento. E, nel 2018, avverrà così anche per il trasporto pubblico locale. Il rischio è quello di assistere ad un continuo arretramento di molte zone del sud d'Italia, anche nel settore dei trasporti.

Sempre la Sose evidenzia che per portare i servizi di assistenza ad un livello adeguato bisognerebbe accrescere la spesa del comparto da 5 miliardi a 6,9 miliardi e per gli asili nido bisognerebbe prevedere un costo massimo aggiuntivo di un miliardo e nove rispetto all'uno e tre attuale.

È una situazione, sostanzialmente, che determina una profonda sperequazione tra le regioni del nord e quelle del sud. Secondo me, c'è anche un problema di costituzionalità, perché se la Costituzione dice che i livelli essenziali delle prestazioni vanno garantiti su tutto il territorio del Paese, non capiamo come si possa prevedere una spesa per questi servizi pari a zero in alcuni comuni, solo in ragione del fatto che questi comuni che non avevano risorse in passato non hanno speso nulla, e una spesa più alta in altri comuni.

Con la nostra mozione vorremmo accendere i riflettori su questa stortura, che rischia di alimentare un'ingiusta guerra tra ricchi e poveri, come ha evidenziato anche il Presidente dell'ANCI, Decaro. Qui non si tratta di chiedere di più ai comuni più ricchi: il fondo di perequazione dovrebbe essere alimentato dalla fiscalità generale ed è legittimo che i comuni che hanno una capacità fiscale maggiore investano questa capacità fiscale per aumentare il livello qualitativo dei loro servizi. Qui si tratta, però, di garantire anche agli altri cittadini gli stessi livelli.

Noi non vogliamo alimentare una guerra tra ricchi e poveri: riteniamo sia giusto che chi è più ricco si impegni per avere servizi migliori, ma chi è più povero non deve essere abbandonato dallo Stato. La perequazione serve a questo: noi vogliamo che lo Stato, attraverso il Governo, faccia il suo dovere. Per questo, signor Presidente, noi, per esempio, sosteniamo in maniera convinta anche il referendum del 22 ottobre nelle regioni che chiedono maggiore autonomia e, anzi, abbiamo deciso di cogliere la sfida anche al sud, proponendo referendum omologhi che, in qualche modo, si occupano di ridisegnare le competenze delle regioni rispetto alle competenze dello Stato.

Al sud, però, chiediamo più Stato, chiediamo che lo Stato garantisca la perequazione e garantisca ai cittadini del Mezzogiorno di avere gli stessi diritti dei cittadini del nord.

Per questo - e concludo -, nella nostra mozione ci siamo limitati a chiedere delle cose semplici, ma essenziali: abbiamo chiesto, cioè, di impegnare il Governo a prevedere che, nella ripartizione delle risorse del fondo di solidarietà comunale, ci sia la definizione di specifici criteri volti a incrementare progressivamente il peso della componente perequativa rispetto a quella compensativa storica, al fine di rovesciare il meccanismo vigente, secondo il quale si attribuiscono maggiori risorse alle amministrazioni che offrono maggiori quantità di servizi. E chiediamo ancora che il Governo si impegni ad assumere le opportune iniziative normative volte a dare completa attuazione alla riforma del federalismo fiscale, prevista dalla legge 5 marzo 2009, n. 42, con cui si stabilisce il principio dell'equilibrio dei bilanci degli enti locali e territoriali nel rispetto dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea.

Non è - e concludo davvero, signor Presidente - una rivendicazione di parlamentari del sud rispetto a parlamentari del nord o di territori del sud rispetto a territori del nord, perché vorrei evidenziare che questi stessi argomenti sono stati proposti recentemente dall'ANCI, nel suo complesso, attraverso il presidente Decaro, che di certo non appartiene al mio partito, a testimonianza del fatto che, per quello che riguarda i livelli essenziali delle prestazioni erogate dagli enti locali del nostro comune, il Governo deve far di più e deve fare meglio.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Causi, che però non è presente in Aula, quindi si intende che vi abbia rinunciato.

Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Il Governo si riserva di intervenire successivamente.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Annunzio della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2017 (ore 13,10).

PRESIDENTE. Il Presidente del Consiglio dei ministri, con lettera in data 23 settembre 2017, ha trasmesso, ai sensi degli articoli 7, comma 2, lettera b), e 10-bis della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2017 (Doc. LVII, n. 5-bis).

Con la medesima lettera, il Presidente del Consiglio dei ministri ha altresì trasmesso la relazione, ai sensi dell'articolo 6, comma 5, della legge 24 dicembre 2012, n. 243 (Doc. LVII, n. 5-bis - Annesso).

Alla Nota sono inoltre allegati: le relazioni sulle spese di investimento e sulle relative leggi pluriennali, di cui ai commi 3, 4 e 5 del predetto articolo 10-bis (Doc. LVII, n. 5-bis – Allegato I); il rapporto programmatico recante gli interventi in materia di spese fiscali, di cui al comma 5-bis del medesimo articolo 10-bis (Doc. LVII, n. 5-bis – Allegato II); il rapporto sui risultati conseguiti in materia di misure di contrasto all'evasione fiscale e contributiva, di cui al comma 1 dell'articolo 10-bis della predetta legge n. 196 del 2009 (Doc. LVII, n. 5-bis – Allegato III); la relazione sull'economia non osservata e sull'evasione fiscale e contributiva, predisposta ai sensi del comma 3 del medesimo articolo 10-bis (Doc. LVII, n. 5-bis – Allegato IV).

La Nota di aggiornamento e l'ulteriore documentazione richiamata sono trasmesse alla V Commissione (Bilancio) e, per il parere, a tutte le altre Commissioni permanenti e alla Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

  Martedì 26 settembre 2017, alle 11:

1.  Svolgimento di interpellanze e interrogazioni.

  (ore 15)

2.  Seguito della discussione della proposta di legge:

ASCANI ed altri: Disciplina e promozione delle imprese culturali e creative. (C. 2950-A)

Relatrice: MANZI.

3.  Seguito della discussione dei progetti di legge:

Ratifica ed esecuzione del Protocollo addizionale di Nagoya – Kuala Lumpur, in materia di responsabilità e risarcimenti, al Protocollo di Cartagena sulla biosicurezza, fatto a Nagoya il 15 ottobre 2010. (C. 3916-A)

Relatore: NICOLETTI.

Ratifica ed esecuzione dei seguenti protocolli: a) Protocollo n. 15 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 24 giugno 2013; b) Protocollo n. 16 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 2 ottobre 2013. (C. 2801)

e dell'abbinata proposta di legge: SCHULLIAN. (C. 3132)

Relatori: VAZIO, per la II Commissione; NICOLETTI, per la III Commissione.

4.  Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge (previo esame e votazione della questione pregiudiziale di costituzionalità presentata):

GADDA ed altri; D'INIZIATIVA POPOLARE; GARAVINI ed altri; VECCHIO ed altri; BINDI ed altri; BINDI ed altri; FORMISANO: Modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni. Delega al Governo per la tutela del lavoro nelle aziende sequestrate e confiscate (Approvate, in un testo unificato, dalla Camera e modificate dal Senato) (C. 1039-1138-1189-2580-2737-2786-2956-B)

Relatori: MATTIELLO, per la maggioranza; SARTI, di minoranza.

5.  Seguito della discussione dei disegni di legge:

Ratifica ed esecuzione dell'Atto di Ginevra dell'Accordo dell'Aja concernente la registrazione internazionale dei disegni e modelli industriali, fatto a Ginevra il 2 luglio 1999, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno. (C. 3083)

Relatori: CARROZZA, per la maggioranza; GIANLUCA PINI, di minoranza.

S. 2027 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Croazia sulla cooperazione transfrontaliera di polizia, fatto a Zagabria il 5 luglio 2011 (Approvato dal Senato). (C. 4224)

Relatori: CARROZZA, per la maggioranza; GIANLUCA PINI, di minoranza.

S. 2207 - Ratifica ed esecuzione del Protocollo recante modifiche alla Convenzione tra la Repubblica italiana e la Repubblica delle Filippine per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire l'evasione fiscale del 5 dicembre 1980, fatto a Manila il 9 dicembre 2013 (Approvato dal Senato). (C. 4227)

Relatori: QUINTARELLI, per la maggioranza; GIANLUCA PINI, di minoranza.

6.  Seguito della discussione delle mozioni Occhiuto ed altri n. 1-01687 e Marchi ed altri n. 1-01705 concernenti iniziative in ordine ai criteri di ripartizione del fondo di solidarietà comunale, anche nell'ottica dell'attuazione della riforma del federalismo fiscale.

7.  Seguito della discussione della proposta di legge:

DECARO ed altri: Disposizioni per lo sviluppo della mobilità in bicicletta e la realizzazione della rete nazionale di percorribilità ciclistica. (C. 2305-A/R)

e delle abbinate proposte di legge: REALACCI ed altri; BRATTI ed altri; CRISTIAN IANNUZZI ed altri; SCOTTO ed altri; BUSTO ed altri. (C. 73-111-2566-2827-3166)

Relatore: GANDOLFI.

La seduta termina alle 13,15.