Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 24 luglio 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    il Joint Strike Fighter (F-35) è un cacciabombardiere di quinta generazione, capace di trasportare anche ordigni nucleari con caratteristiche stealth e net-centriche, ovvero bassa rilevabilità da parte dei sistemi radar e capacità di interazione con tutti i sistemi di comunicazione presenti sullo scenario di guerra, che decolla ed atterra in verticale e viaggia a velocità supersoniche;
    il progetto è realizzato in cooperazione da Stati Uniti ed altri 8 partner, in cui l'Italia è partner di secondo livello, insieme all'Olanda, con una quota di investimento nello sviluppo del programma del 3,8-3,9 per cento. Il Regno Unito è partner di primo livello, al pari degli Stati Uniti, mentre Canada, Turchia, Australia, Norvegia e Danimarca sono partner di terzo livello. Israele e Singapore hanno invece sottoscritto un accordo bilaterale con il Governo di Washington;
    si prevede lo sviluppo di tre varianti del velivolo: F-35A, versione di base ed atterraggio e decollo convenzionale; F-35B, versione a decollo corto e atterraggio verticale; F-35C, versione per impiego sulle portaerei CV (Carrier Variant);
    il programma, avviato dagli USA nella prima metà degli anni novanta, si articola in 5 fasi:
    CDP: (Concept Demonstration Phase) svoltasi tra il 1996 e il 2001 ha portato alla definizione del JSF Operational Requirement Document (JORD). In tale fase si sono studiate le tecnologie essenziali da sviluppare nella fase di costruzione prototipica ed è servita per scegliere la ditta di realizzazione del JSF: la Lockeed Martin Aero;
    SSD: (System Development and Demonstration tra il 2002 e 2012, ha riguardato lo sviluppo dei sistemi e la produzione 23 esemplari per test e prove. Il primo decollo della versione A è avvenuto il 15 dicembre 2006, il B ha volato per la prima volta l'11 giugno 2008, mentre la versione C ha effettuato il suo primo volo il 6 giugno 2010;
    PSFD: (Production, Sustainment and Follow-on Development) è iniziata nel 2001 e ha riguardato la definizione delle partecipazioni industriali, l'impegno economico e la definizione dei requisiti dei singoli partner;
    LRIP: (Low-Rate Initial Production) partita nel 2012 si concluderà indicativamente nel 2016, con consegne di 12 velivoli al mese per gli USA, 3 per i partner, 7 per l’export;
    FRIP: (Full-Rate Production) produzione a pieno regime dal 2016;
    la realizzazione del velivolo F-35 ha subìto nel corso degli anni ritardi e costi aggiuntivi. Sia gli USA che i partners internazionali si trovano davanti alla sfida rappresentata dal quasi raddoppio dei prezzi unitari medi da inizio programma e dall'aumento del costo del ciclo di vita dei velivoli;
    il Government Accountability Office (GAO), agenzia indipendente che supporta il congresso USA nel monitoraggio dell'azione del Governo federale e delle sue spese, in un rapporto del 15 marzo del 2011, ha rivelato che i costi complessivi del programma per l'amministrazione USA sono cresciuti dai 231 miliardi di dollari del 2001 fino ai 322,6 previsti nel 2011;
    subito dopo il GAO ha segnalato l'ulteriore incremento del costo complessivo del programma, che è giunto a 382,5 miliardi di dollari, evidenziando anche gli ulteriori ritardi nella fine della fase di sviluppo, addirittura posticipata al 2018;
    infine 19 maggio del 2011, il GAO stimava in 385 miliardi di dollari il costo totale dell'investimento per 2.457 aeromobili entro il 2035, per cui il Pentagono sta valutando una revisione del numero di velivoli da produrre;
    anche tra i Paesi partner sono sempre crescenti i dubbi su questo progetto, tanto che: la Gran Bretagna deciderà il numero degli aerei da acquistare dopo la pubblicazione del Defence and Security Review, che dovrebbe avvenire entro la fine del 2015 come annunciato al Parlamento inglese lo scorso 8 giugno;
    tra i partner internazionali l'Olanda ha autorizzato soltanto nel marzo scorso l'acquisizione di 8 velivoli, mentre Canada e Turchia non si sono ancora impegnati formalmente ad acquistare F-35 nonostante siano partner del programma;
    oltre all'inarrestabile lievitare dei costi ed i ritardi del programma, nel tempo, si sono riscontrati molti problemi tecnici che, da un lato, portano a continui abbassamenti degli standard operativi e, dall'altro, all'allungamento dei tempi di produzione dei caccia con capacità operative di missione;
    tutti questi dati negli anni e nei mesi passati, sono stati portati a conoscenza del Parlamento italiano in numerosi atti ispettivi, conoscitivi e riportati in impegni per il Governo;
    il 26 giugno 2013 la Camera dei deputati ha approvato a maggioranza la mozione 1-00125 Speranza, Brunetta, Dellai, Pisicchio, Formisano che impegna il Governo, relativamente al programma F-35, a non procedere a nessuna fase di ulteriore acquisizione, senza che il Parlamento si sia espresso nel merito, nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 4 della legge n. 244 del 2012. Identica mozione è stata approvata al Senato;
    in data 7 maggio 2014 la Commissione difesa della Camera ha approvato il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma destinati alla difesa in vista del Consiglio europeo di dicembre 2013. Con riferimento al programma F-35 è stata rappresentata l'esigenza di una moratoria al fine di rinegoziare l'intero programma per chiarirne criticità e costi con l'obiettivo di dimezzare il budget finanziario inizialmente previsto;
    nel corso della seduta della Camera dello scorso 24 settembre; sono state approvate una serie di mozioni riguardanti il programma F-35 (mozioni nn. 1-00578; 1-00586; 1-00590; 1-00593), in particolare, la mozione 1-00586 Scanu, impegna il Governo «a riesaminare l'intero programma F-35 per chiarirne criticità e costi con l'obiettivo finale di dimezzare il budget finanziario originariamente previsto, così come indicato dal documento approvato dalla Commissione parlamentare difesa della Camera dei deputati a conclusione dell'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma, in vista del Consiglio europeo del dicembre 2013, tenendo conto dei ritorni economici di carattere industriale da esso derivanti»;
    il 30 novembre del 2014 la Camera ha approvato un ordine del giorno (9/02679-bis-A/037) a prima firma Marcon in cui impegnava il Governo «a presentare, in occasione della stesura del Libro bianco della difesa, o nel prossimo Documento di economia e finanza, il piano per l'attuazione di quanto è previsto dalla mozione numero 1-00586 del 24 settembre 2014, a prima firma onorevole Scanu per il dimezzamento delle risorse programmate per il programma Joint Strike Fighter»;
    il «Libro bianco» della difesa, trasmesso al Parlamento in data 24 aprile 2014 non cita in alcuna maniera il programma F-35, così come nulla dice in merito il documento di economia e finanza 2015;
    successivamente, dalla Ministra stessa e a più riprese da esponenti della maggioranza parlamentare si indicava il documento di programmazione pluriennale della difesa 2015-2017 quale atto idoneo a prevedere il dimezzamento previsto dalla già citata mozione 1-00586 Scanu;
    il Documento di programmazione pluriennale della difesa 2015-2017 (DPP), con riferimento al programma Joint Strike Fighter F-35, stima oneri complessivi, per l'acquisizione e supporto logistico, pari a circa 10 miliardi di euro a cui vanno aggiunti gli oneri per la fase PSFD, per le attività di predisposizione in ambito nazionale e per la realizzazione della FACO di Cameri;
    sostanzialmente il DPP, conferma quindi l'investimento iniziale precisando esclusivamente che si procederà all'acquisizione degli F-35 con due «misure di razionalizzazione». La prima prevedrebbe l'acquisizione di 38 F-35 entro il 2020; La seconda prevede la determinazione delle ulteriori acquisizioni con un programma da stabilirsi nelle legge sessennale di programmazione dello strumento militare che dovrebbe essere emanata in base a quanto previsto dal Libro bianco;
    per cui, in definitiva, il DPP non contiene alcuna misura circa il dimezzamento degli F-35 anzi conferma in toto l'investimento come riformato dal Ministro della difesa pro tempore Luigi di Paola il 15 febbraio del 2012;
    tale orientamento è confermato dallo stesso onorevole Scanu, il quale in qualità di relatore al DPP in Commissione difesa in data 10 giugno 2015, come da resoconto dichiarava: «Quanto ai velivoli F-35, rileva una mancanza di coerenza tra la programmazione degli acquisti cui il Governo intende procedere stando al documento in esame e gli impegni indirizzati al Governo stesso con la mozione a sua prima firma n. 1/00586, approvata dall'Assemblea il 24 settembre scorso con il parere favorevole dello stesso Esecutivo. Tale mozione ha infatti impegnato il Governo a riesaminare l'intero programma F-35 con l'obiettivo finale di dimezzare il budget finanziario originariamente previsto»;
    la Ministra della difesa Roberta Pinotti secondo i firmatari del presente atto è venuta meno ad un rapporto di correttezza istituzionale con il Parlamento non dando seguito a quanto previsto dalla mozione 1/00586 che impegnava il Governo a dimezzare il budget finanziario originariamente previsto;
    il Ministero della difesa, con al vertice la Ministra, è stato più volte, anche con riferimento all'ultima legge di stabilità, reticente sul dettaglio dei costi del programma e non ha mai fornito al Parlamento adeguate informazioni sugli accordi contrattuali e il loro contenuto del programma F-35;
    nel luglio del 2014 i deputati Airaudo, Bordo e Marcon durante una visita alla base di Cameri avevano la possibilità di visionare le stazioni di montaggio e quindi di costruzione degli F-35 numero 7 e 8 e quindi realizzati in inosservanza di quanto votato dal Parlamento. Tale circostanza, veniva categoricamente smentita dal Ministero della difesa con comunicato del 28 luglio. Nel comunicato si legge: «Contrariamente a quanto affermato dall'onorevole Giulio Marcon, il Ministero della difesa, conferma che l'Italia ad oggi ha acquisito 6 velivoli F-35 (contratti del lotto 6 e 7) ed i primi quattro dei sei sono attualmente in assemblaggio a Cameri. L'Italia, quindi, non ha provveduto ad alcuna nuova acquisizione nel totale rispetto della mozione approvata dal parlamento nel giugno del 2013. Questo è esattamente lo stato delle cose così come affermato dal Ministro in occasione dell'audizione tenuta in Parlamento per illustrare il Documento di Programmazione Pluriennale lo scorso 24 giugno. È quindi del tutto priva di ogni fondamento, se non strumentale, la dichiarazione dell'onorevole Giulio Marcon»;
    in data 2 ottobre, nel corso delle «comunicazioni del Governo sulle linee guida del futuro Libro bianco della Difesa e relativo impatto sui programmi d'arma», in Commissione Difesa del Senato la Ministra Pinotti tuttavia smentiva il comunicato del Ministero del 28 luglio 2014, confermando invece che «gli aerei di cui abbiamo comprato tutti i pezzi sono sei (...) che per altri due aerei noi abbiamo già dei pezzi acquistati», confermando quindi l'acquisizione di ulteriori due velivoli in violazione dell'impegno preso con il Parlamento;
    l'acquisizione degli F-35 numero 7 e 8 veniva poi definitivamente confermata nel novembre 2014 dal Pentagono, che pubblicava una nota relativa alla firma del contratto, avvenuta in data 21 novembre 2014. Tale contratto sottoscritto era «figlio» del contratto «N00019-13-C-0008» con cui un anno e mezzo prima la Difesa aveva avviato l'ordine per gli aerei di questo nuovo lotto di aerei e precisamente siglato il 18 luglio 2013, pochi giorni dopo l'approvazione della mozione parlamentare che sospendeva «ulteriori acquisizioni» e quindi in violazione della moratoria appena decisa;
    tali circostanze confermano quanto visto a Cameri dagli onorevoli Airaudo, Bordo e Marcon nel luglio del 2014 e provano il non rispetto dell'impegno assunto dal Governo dinanzi al Parlamento;
    la Ministra della difesa, nonostante la mozione 1-00125 (Speranza, Brunetta, Dellai, Pisicchio, Formisano) che impegnava il Governo a non procedere ad alcuna nuova fase di acquisizione degli F-35, ha sottoscritto ulteriori contratti;
    la Ministra della difesa non ha mai voluto incontrare i rappresentanti della campagna «Taglia le ali alle armi» contro gli F-35, dimostrando un rifiuto al dialogo e al confronto con i rappresentati dell'opinione pubblica che sono più sensibili e attenti a questo tema;
    la Ministra della difesa ha quindi fornito informazioni, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, informazioni opache e contradditorie sul programma F-35, sugli impegni assunti dell'Italia nonché fuorviato il Parlamento e l'opinione pubblica non rispettando quanto deliberato dal Parlamento,

impegna il Governo, e in particolare il Presidente del Consiglio dei ministri:

   ad adottare ogni iniziativa per il pieno rispetto degli impegni assunti nei confronti del Parlamento – impegni non rispettati dalla Ministra della difesa in occasione della presentazione del Libro bianco sulla difesa e del Documento di programmazione pluriennale sulla difesa – assicurando una piena e completa informazione al Parlamento da parte del Governo in merito al seguito degli impegni assunti;
   ad adottare ogni iniziativa volta a richiedere alla Ministra della difesa il rispetto degli impegni assunti nei confronti del Parlamento aggiornando il testo del Libro bianco sulla difesa e il Documento di programmazione pluriennale della difesa con il piano di riduzione del 50 per cento della spesa per gli F-35, come anche previsto dall'impegno dell'ordine del giorno 9/02679-bis-A/037, accolto dal Governo e approvato dall'assemblea della Camera dei deputati il 30 novembre 2014.
(1-00960) «Marcon, Scotto, Fratoianni, Duranti, Piras, Palazzotto, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, Daniele Farina, Ferrara, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Melilla, Nicchi, Paglia, Pannarale, Pellegrino, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaccagnini, Zaratti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   numerose e delicate sono le contraddizioni e criticità insite nelle disposizioni che disciplinano le assunzioni dei lavoratori a tempo determinato, nonché gli effetti pregiudizievoli per il mercato e la concorrenza prodotti dalle stesse, alla luce della nuova normativa di cui al decreto legislativo n. 81 del 2015 recante «Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell'articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183»;
   in particolare, come si evince dalla lettura degli articoli 19, 21, comma 2, e 23, comma 1, del citato decreto il Governo, se da un lato esso ha limitato le assunzioni a tempo determinato, fissando il limite dei contratti a termine nella misura del 20 per cento rispetto alle assunzioni a tempo indeterminato; d'altro lato, ha riservato alla contrattazione collettiva sia la possibilità di superare tale limite percentuale sia la facoltà di individuare delle ipotesi di attività avente natura stagionale, e per questo esenti dall'imposizione del limite del 20 per cento ulteriori rispetto a quelle definite normativamente;
   a parere dell'interrogante, affidare alla contrattazione collettiva la facoltà illimitata di derogare al limite del 20 per cento previsto dall'articolo 23 del decreto legislativo n. 81 del 2015 significa attribuirle un ruolo così decisivo da vanificare totalmente il valore sostanziale della norma giuridica;
   tale scelta, inoltre, rischia di portare a un'alterazione della concorrenza tra gli operatori economici, perché posti in condizioni di subire o di godere dei risultati ottenuti dalle rappresentanze sindacali, a seconda che queste consentano o meno di spuntare un limite maggiore e lo consentano in misura maggiore o minore;
   la possibilità di modificare così ampiamente il limite legale apre il campo a contratti aziendali suscettibili di determinare una immotivata disparità tra gli operatori, sia perché introduce un sistema che agevola le aziende sulla base di un fattore esterno, il consenso sindacale aziendale, che non tiene conto delle effettive esigenze dell'azienda, sia perché i diversi limiti aziendali restano ignoti sul mercato competitivo, costringendo gli operatori a competere con «armi» diverse;
   le disposizioni legislative recentemente approvate appaiono, pertanto, all'interrogante non solo incoerenti con lo spirito di una riforma pro-occupazionale che avrebbe, invece, dovuto ispirarle, ma anche fortemente lesive ed ingiustificatamente discriminatorie per gli operatori economici –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità e urgenza degli stessi, quali iniziative ritengano opportuno adottare per rimediare alle gravi conseguenze che l'applicazione del decreto legislativo n. 81 del 2015, in assenza della pubblicazione dei contratti aziendali degli operatori, è idonea a produrre, causando un'evidente discrasia tra la disciplina normativa, la contrattazione collettiva e le condizioni concrete in cui agiscono gli operatori economici, oltre che un notevole disequilibrio concorrenziale. (4-09975)


   GAROFALO, BOSCO e MISURACA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 marzo 2014 è stato sottoscritto un accordo interministeriale tra Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca scientifica, volto a garantire la continuità occupazionale e il reddito a 22.000 lavoratori ex Lavori socialmente utili e dei cosiddetti «Appalti storici» di cui 2500 nella sola Sicilia;
   nell'accordo si prevedeva che «al fine di arrivare alla definitiva soluzione della problematica occupazionale, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca avrebbe utilizzato risorse complessive pari a 450 milioni di euro, a decorrere dal 1o luglio 2014 e sino al 30 marzo 2016, risorse che sarebbero state destinate allo svolgimento (da parte del personale adibito alle pulizie nelle scuole) di ulteriori attività consistenti in interventi di ripristino del decoro e della funzionalità degli immobili adibiti ad edifici scolastici»;
   nonostante l'accordo sottoscritto, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca scientifica, non ha provveduto, a decorrere dal 1o luglio 2015, ad assegnare i finanziamenti già definiti per poter effettuare, nel periodo di chiusura dell'anno scolastico, gli interventi di mantenimento del decoro nelle scuole;
   in conseguenza di questo mancato intervento, che contravviene agli accordi conclusi, i lavoratori addetti al citato servizio, sono stati sospesi dal lavoro e non percepiscono più la retribuzione. Ciò comporta gravi conseguenze sulle condizioni occupazionali ed economiche degli stessi lavoratori;
   il 23 giugno 2015, le federazioni nazionali dei lavoratori delle imprese di pulizia che si sono adoperate per tutelare i lavoratori e garantire il servizio di mantenimento del decoro delle scuole, hanno chiesto un immediato intervento del Governo e dei Ministeri competenti, affinché si rispetti l'accordo raggiunto;
   è necessario sottolineare come sia indispensabile attivare l'utilizzo provvisorio degli ammortizzatori sociali in attesa dell'assegnazione alle scuole dei finanziamenti, già quantificati nel citato accordo, nella misura di 170 milioni di euro per la copertura dei lavori fino a tutto il 31 marzo 2016;
   in data 25 giugno 2015 tutti i consorzi nazionali e le società titolari dei contratti hanno chiesto al Ministero del lavoro e delle politiche sociali l'attivazione di un tavolo istituzionale al fine della sottoscrizione dell'accordo governativo per l'accesso alla cassa integrazione in deroga –:
   quali siano le ragioni della mancata concessione delle risorse economiche alle scuole per i lavori di ripristino del decoro e della funzionalità degli edifici;
   quali iniziative il Governo intenda adottare per concedere finanziamenti alle scuole e permettere, pertanto, ai lavoratori citati in premessa di poter svolgere il loro lavoro;
   se non sia indispensabile intervenire con urgenza, visti il ritardo e l'incertezza in merito all'attribuzione dei fondi, per garantire la retribuzione ai lavoratori ricorrendo alla cassa integrazione in deroga per gli stessi. (4-09978)


   NICCHI. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   l'8o rapporto di monitoraggio del Gruppo CRC (Child Rights Connect), che comprende 90 associazioni che operano per la tutela dell'infanzia, presentato nel giugno 2015 alla presenza del Ministro del lavoro e delle politiche sociali ha richiamato l'attenzione sull'organizzazione delle adozioni internazionali, sostenendo che «l'adozione internazionale in Italia è un concentrato di problemi che sta facendo drammaticamente appassire quello che, fino a qualche anno fa, era il fiore all'occhiello del nostro Paese»;
   dal rapporto si evince che le cause sono molteplici, fra queste anche le disfunzioni della principale istituzione del settore: la CAI (Commissione Adozioni Internazionali);
   la nuova Commissione si è insediata nel 2014, ma si è riunita una sola volta, nel giugno 2014;
   il regolamento della stessa CAI prevede che le verifiche siano «effettuate a campione in modo che tutti gli enti siano controllati nell'arco di un biennio o sulla base di segnalazioni»; è necessario, quindi, si legge nel rapporto, «estendere tali controlli, in modo da effettuarli sistematicamente su tutti gli enti e non solo in seguito a segnalazione», in particolare «sulle spese e sulle transazioni finanziarie, in attuazione delle Raccomandazioni del Comitato Onu e alla luce dei documenti recentemente elaborati sul tema dalla Conferenza dell'Afa di diritto internazionale privato»;
   la crisi dell'adozione internazionale è testimoniata anche dalle statistiche, disponibili però solo fino al 2013, perché, come ricorda il rapporto, «i dati italiani 2014 non sono stati ancora pubblicati dalla CAI, in ritardo rispetto agli anni precedenti». Quel che è certo è che si registra «un ulteriore calo del numero delle disponibilità all'adozione internazionale proporzionale alla diminuzione numerica delle coppie dichiarate idonee». Le cause sono numerose e tra queste ci sono di sicuro «i tempi lunghi e incerti della procedura adottiva e gli alti costi dell'adozione internazionale»: il tempo medio che le coppie impiegano dalla disponibilità presentata in tribunale all'autorizzazione all'ingresso dei minori in Italia è, secondo l'ultimo rapporto della CAI, di 3,3 anni, con punte massime di 5,5 per coloro che adottano bambini dalla Lituania e punte minime di 2,8 anni per la Federazione Russa e l'Ungheria. Più che le tempistiche, scoraggia l'incertezza, il non sapere entro quando arriverà il futuro figlio e in questo quadro di ritardi, lungaggini, strettoie, si inseriscono sia le burocrazie estere, che per ovvie ragioni non sono direttamente controllabili dalla CAI, sia le attese per l'espletamento delle pratiche italiane (inchieste di Repubblica 2 marzo 2015);
   il rapporto del Gruppo CRC sottolinea inoltre che «ultimamente non vi è neanche più certezza dei rimborsi previsti per le spese di adozione realizzate». L'ultimo finanziamento del fondo adozioni internazionali, «sta permettendo di rimborsare le spese solo alle famiglie che hanno adottato fino al 2011, senza garanzia dell'esaurimento della lista cronologica» i mentre quelle che hanno adottato successivamente non usufruiscono più di questa misura che non è stata rifinanziata. Le spese sostenute possono essere dedotte dalla denuncia dei redditi, ma solo nella misura massima del 50 per cento –:
   se il Governo non intenda verificare il funzionamento della Commissione adozioni internazionali in relazione alle presunte inefficienze organizzative, alla correttezza, alla trasparenza ed alla efficienza della sua azione;
   se non ritengano in un contesto di geopolitica in perenne mutamento, che sarebbe opportuno assumere iniziative normative affinché le adozioni fossero materia affidata a dicasteri forti come quello degli affari esteri e della cooperazione internazionale. (4-09993)


   PLACIDO, AIRAUDO, GNECCHI, POLVERINI, LOMBARDI, SIMONETTI e GREGORI. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   G.C. è una operaia di Melfi, assunta alle dipendenze della FIAT Sata s.p.a. fin dal 1992 con contratto di formazione e lavoro che, senza alcuna soluzione di continuità, ha sempre lavorato anche a seguito della terziarizzazione e della sua collocazione nell'organigramma della FENICE s.p.a., quale «impiegata Tecnologa» (V livello CCNL metalmeccanico);
   al rientro dalla maternità, nel novembre del 2009, avendo la necessità di accudire due figli piccoli, ha richiesto all'azienda di poter trasformare il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale orizzontale. L'azienda formalizzava detta richiesta che veniva convalidata – dalla Direzione provinciale del Lavoro di Potenza con la conferma del V livello e della mansioni assegnate;
   la lavoratrice svolgeva la mansione di tecnologa forte dei titoli di studio e della specifica esperienza maturata, gestendo un proprio budget e avendo una autonomia nell'organizzare la propria attività lavorativa;
   al suo rientro in azienda, le sarebbero state affidate meramente mansioni di archiviazione, all'interno del processo produttivo e organizzativo della gestione dei relativi software, consistenti nella manutenzione e nella registrazione di chiusura del processo di manutenzione svolto dagli altri tecnologi, passando così, da un ruolo di responsabilità ad un ruolo ripetitivo e privo di autonomia organizzativa, con svilimento della professionalità acquisita: un vero e proprio demansionamento, motivato dall'azienda secondo cui la «nuova mansione alla quale era stata assegnata, rispondeva all'esigenza del lavoro a tempo parziale»;
   il clima sul luogo di lavoro, nel frattempo, sarebbe diventato sempre più difficile, a causa di un atteggiamento, che è apparso inutilmente e gratuitamente aggressivo, del responsabile dell'unità operativa, il dottor C.N.;
   a dicembre 2012, a fronte della riproposizione della questione circa le mansioni affidatele, a quanto consta agli interroganti il responsabile dell'unità operativa avrebbe replicato testualmente: «Non prendo neppure in considerazione la questione delle sue mansioni visto che Lei è sempre in maternità! Non può pretendere una diversa mansione visto il suo livello di assenteismo!»;
   la lavoratrice si è rivolta alla consigliera di parità della provincia di Potenza che fissava un incontro in data 11 marzo 2015 di cui veniva redatto apposito verbale;
   a seguito di tale colloquio, con nota del 25 marzo 2015, la consigliera di parità provvedeva a convocare la direzione aziendale di Fenice per il giorno 24 aprile 2015 presso gli uffici della provincia di Potenza, incontro che è stato disertato dall'Azienda;
   pressoché contestualmente alla predetta convocazione, in data 8 aprile 2015, l'azienda comunicava il trasferimento della lavoratrice presso la sede di Chivasso (TO). La stessa società comunicava che il trasferimento ad oltre 1.000 chilometri di distanza avrebbe avuto effetto dal 4 maggio 2015;
   nel frattempo la lavoratrice, che ha sviluppato una situazione patologica che sta compromettendo seriamente la sua condizione sia sul piano psico-fisico che morale (stato ansioso-depressivo reattivo, con conseguente terapia farmacologica), è stata costretta a rivolgersi alla giustizia ordinaria;
   occorrerebbe incrementare il sistema di tutele per le lavoratrici in modo da evitare il ripetersi di simili casi –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se non intenda assumere iniziative volte a potenziare la disciplina vigente in materia di pari opportunità e di tutela della maternità, al fine di evitare che possano verificarsi casi analoghi a quello descritto in cui appaiono fortemente lesi i diritti delle lavoratrici. (4-09996)


   VACCA, SORIAL, COLLETTI, DEL GROSSO, DI BATTISTA, MANLIO DI STEFANO, GRANDE e SPADONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Corte dei conti, riunita in sezione regionale di controllo per l'Abruzzo il 17 luglio 2015, con delibera n. 191/2015/FRG accerta il perseverare dei seguenti inadempimenti contabili della regione Abruzzo:
    mancata adozione delle misure consequenziali alla parifica 2012, individuabili come di seguito:
     mancata conclusione del procedimento di riaccertamento dei residui al 31 dicembre 2013;
     mancato riallineamento del ciclo di bilancio ad una tempistica conforme a normativa;
     mancato utilizzo dell'istituto di assestamento di bilancio per il 2013, 2014 ed anche, alla data odierna, per il 2015, e del riaccertamento dei residui per il 2013 e per il 2014;
     mancata esatta definizione del saldo netto da finanziare e del disavanzo effettivo di gestione;
     mancata conseguente iscrizione, nel bilancio di previsione 2015, del disavanzo effettivo di gestione, risultante da procedure certe e definitive;
    violazione del disposto normativo di cui all'articolo 1, comma 5, del decreto- legge 10 ottobre 2012, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2012, n. 213;
    violazione dei termini contenuti negli articoli del decreto legislativo n. 118 del 2011, concernenti il riaccertamento straordinario al 31 dicembre 2014 e l'approvazione del rendiconto dell'esercizio 2014;
   nella stessa delibera, la sezione regionale di controllo per l'Abruzzo segnala al Presidente del Consiglio dei ministri le violazioni di legge nei termini esposti nel capoverso precedente anche ai fini delle valutazioni di competenza ai sensi degli articoli 120 e 126 della Costituzione;
   ad avviso della Corte dei conti, occorre un deciso rientro nei canoni comportamentali in materia di contabilità pubblica, che sembrano essere stati trascurati per troppo tempo;
   secondo la sezione regionale di controllo per l'Abruzzo emerge in tutta la sua gravità l'incidenza dei ritardi accumulati dalla regione Abruzzo ed ai quali la stessa regione non sembra voler porre fine, in contrasto con le norme che dal 2011 sono andate a disciplinare la contabilità regionale, l'armonizzazione ed i sistemi di controllo;
   secondo la sezione regionale di controllo per l'Abruzzo, la sequenza procedimentale, che sta interessando il processo di armonizzazione dei conti e le funzioni di garanzia assegnate alla Corte dei conti, impatta con una situazione di fatto che vede la regione Abruzzo fra quelle che hanno trascurato per troppo tempo gli elementari obblighi di resa del conto e di rispetto del ciclo di bilancio, in una sequenza temporale sia antecedente che susseguente all'entrata in vigore del decreto legge n. 174 del 2012, che di fatto ad avviso degli interroganti si traduce in una volontà politica sia di centro destra che di centro sinistra (dei diversi governi regionali che si sono succeduti) di violazione delle norme di contabilità pubblica;
   sebbene la regione Abruzzo sia stata sollecitata più di una volta, con deliberazioni della sezione regionale di controllo per l'Abruzzo inviate anche alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al Ministero dell'economia e delle finanze, ai sensi del comma 8 dell'articolo 1 del decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174, non risulta abbia proceduto al riallineamento dei conti;
   la sezione regionale di controllo, peraltro, per agevolare la strada del percorso di rientro dai disallineamenti, ha attivato con tempestività gli adempimenti propedeutici alla parifica;
   secondo la sezione regionale di controllo per l'Abruzzo della Corte dei conti, l'amministrazione regionale degli ultimi anni, centrodestra e centrosinistra, ha reiterato atteggiamenti omissivi di atti obbligatori previsti dalla legge, uniti ad atteggiamenti dilatori al tal punto da ritenere che siano state violate anche le norme concernenti il procedimento di parifica e le prerogative della sezione regionale di controllo per l'Abruzzo;
   la regione Abruzzo poggia la sua programmazione su un avanzo presunto e non accertato in documenti formali consuntivi, tant’è che la costruzione del bilancio di previsione dell'esercizio 2015 affida gli equilibri ad un avanzo presunto senza tenere in debita considerazione il disavanzo scaturente dagli esercizi precedenti;
   la sezione regionale di controllo per l'Abruzzo aveva già rilevato nella deliberazione n. 30/2015/FRG nell'adunanza del 17 maggio 2015 che «detta modalità di predisposizione del bilancio di previsione non garantisce il reperimento delle risorse necessarie per il finanziamento del disavanzo già in fase di programmazione e soprattutto ne autorizza la gestione senza un'effettiva e concreta copertura di spesa per l'esercizio al quale si riferisce»;
   ai sensi dell'articolo 126 della Costituzione, con decreto motivato del Presidente della Repubblica sono disposti lo scioglimento del consiglio regionale e la rimozione del presidente della giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge;
   ai sensi dell'articolo 120 della Costituzione, il Governo può sostituirsi a organi delle regioni nel caso di mancato rispetto di norme;
   secondo quanto disposto dall'articolo 8, comma 1 della legge 5 giugno 2003, n. 131, nei casi e per le finalità previsti dall'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, assegna all'ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario;
   la sentenza n. 40/2014 della Corte costituzionale chiarisce che «i controlli delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti (...) hanno assunto progressivamente caratteri cogenti nei confronti dei destinatari (sentenza n. 60 del 2013) proprio per prevenire o contrastare gestioni contabili non corrette, suscettibili di alterare l'equilibrio del bilancio (articolo 81 Cost.) e di riverberare tali disfunzioni sul conto consolidato delle pubbliche amministrazioni, vanificando conseguentemente la funzione di coordinamento dello Stato finalizzata al rispetto degli obblighi comunitari. Dunque tale tipo di sindacato (...) è esercitato nell'interesse dello Stato per finalità che riguardano la finanza pubblica nel suo complesso (...) –:
   come intenda procedere rispetto alla segnalazione della sezione regionale di controllo per l'Abruzzo della Corte dei conti, ai fini della valutazione di competenza ai sensi degli articoli 120 della Costituzione, in particolare nell'esercizio dei poteri sostitutivi del Governo nel caso di mancato rispetto delle norme;
   come intenda procedere, rispetto alla segnalazione della sezione regionale di controllo per l'Abruzzo della Corte dei conti, ai fini della valutazione di competenza ai sensi degli articoli 126 della Costituzione per l'eventuale scioglimento del consiglio e rimozione del presidente della giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge;
   se e quali iniziative, anche alla luce della giurisprudenza costituzionale citata in premessa intenda proporre il Ministro dell'economia e delle finanze rispetto agli accertamenti segnalati dalla Corte dei conti sugli inadempimenti contabili della regione Abruzzo. (4-09998)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   VALERIA VALENTE, MANFREDI, IMPEGNO e GRIBAUDO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dai media dell'ennesimo gravissimo attentato che ha colpito il Centro culturale «Amara» di Suruc, la cittadina turca al confine siriano, mentre era in corso una conferenza, indetta per organizzare squadre e mezzi da giovani curdi appartenenti alle associazioni giovanili socialiste Sgdf, pronti a partire per Kobane, come volontari, per partecipare alla ricostruzione della città curdo-siriana, liberata dopo mesi di assedio dei jihadisti dello Stato islamico;
   al momento dell'esplosione sembra fossero riuniti nel giardino del Centro culturale Amara circa trecento persone;
   il vice presidente del Partito curdo turco dell'HDP, Leyla Güven Haberturk, ha dichiarato trattarsi di un ennesimo massacro, con altissima probabilità che si tratti di un atto terroristico;
   fonti governative hanno direttamente ammesso la matrice terroristica della strage, attribuendola all'Isis, e lo stesso Presidente Erdogan, a quanto risulta da notizie e agenzie di stampa, nel condannare la strage, ha confermato trattarsi di atto terroristico;
   secondo le notizie diffuse dal quotidiano turco Hurriyet, l'attentato sarebbe stato realizzato da una ragazza kamikaze di appena 18 anni, vicina all'Isis, che si sarebbe fatta esplodere nel giardino del Centro culturale;
   l'attentato di Suruc, ha preceduto di poco un secondo attacco suicida dell'Isis, contro un posto di blocco a sud di Kobane, che ha causato la morte di almeno due combattenti curdi, secondo le dichiarazioni rese a France Press da Rami Abdel Rahman, direttore dell'Osservatorio siriano per i diritti dell'uomo, organizzazione non governativa con una vasta rete di attivisti in tutta la Siria;
   il principio della difesa della dignità degli esseri umani costituisce un primario obiettivo da perseguire e conseguire nell'ambito delle relazioni internazionali, anche oltre gli spazi della sovranità dei singoli Stati, secondo i principi della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948;
   i diritti umani, patrimonio e conquista dell'umanità, devono essere garantiti dalle istituzioni di tutti i Paesi e l'Italia, tradizionalmente impegnata in difesa dei diritti umani nel mondo, nell'articolo 2 della Costituzione ha dettato il principio per cui «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo» –:
   quali iniziative il Ministro intenda intraprendere nelle sedi proprie, bilaterali e multilaterali, per cooperare con le autorità turche e con le istituzioni internazionali al fine di perseguire i responsabili dell'attentato e rafforzare le azioni a tutela dei diritti umani e in contrasto con ogni forma di terrorismo. (4-09983)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta orale:


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, MANNINO, MICILLO, SEGONI, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   TERNA spa è proprietaria della rete elettrica nazionale e titolare della concessione delle attività di trasmissione e dispacciamento dell'energia elettrica;
   TERNA spa ha progettato la costruzione di un elettrodotto ad altissima tensione da 380 kVt, tra Airolo (Svizzera) e Baggio (Milano), denominato «Interconnector Italia-Svizzera-All'AcquaPallanzeno-Baggio»;
   il progetto, che prevede anche la razionalizzazione della rete di alta tensione nella Val Formazza, è normato dall'articolo 32 della legge n. 99 del 2009 a recepimento della direttiva europea n. 1228 del 2003 in tema di infrastrutture energetiche all'interno dell'Unione europea. Considerata anche l'estraneità del territorio elvetico al mercato interno dell'Unione europea, il procedimento risulta essere successivamente regolato a livello comunitario dai recenti regolamenti della Commissione europa 347/2013 e 1391/2013 che includono la Svizzera nei Paesi titolati alla realizzazione comune di corridoi energetici e che, tra l'altro, prevedono i livelli più elevati possibili di trasparenza e di partecipazione del pubblico per tutte le questioni importanti nel procedimento di rilascio delle autorizzazioni;
   il procedimento di VIA avviato da Terna spa mediante pubblicazione su quotidiani nazionali del relativo avviso a giudizio degli interroganti non assicura adeguamenti i livelli di trasparenza e partecipazione del pubblico previsti dall'allegato VI della direttiva 347/2013;
   il nuovo elettrodotto indurrebbe campi elettrici e magnetici, questi ultimi classificati dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) nel gruppo 2B e che costituiscono, pertanto, possibile agente cancerogeno umano, con grado di pericolosità elevata per la salute dell'uomo;
   non è meglio comprensibile la scelta di conversione della corrente alternata in continua – e viceversa – in un tracciato che si sviluppa per poco meno di 100 chilometri elemento questo, che prevede la realizzazione di 2 centrali di trasformazione che andrebbero a sottrarre pregiate aree verdi per complessivi 22 ettari e mezzo nei comuni di Pallanzeno (VB) e Baggio (MI), a pochi chilometri dalla prossima esposizione universale Expo 2015;
   ad oggi, le principali associazioni ambientaliste nazionali, di categoria e la maggioranza dei comuni interessati dall'opera hanno espresso la loro ferma contrarietà;
   la costante riduzione dei consumi elettrici nazionali non rendono coerente il progetto con un piano energetico nazionale che valorizzi la produzione interna di energia elettrica mediante fonti rinnovabili –:
   se il Governo sia al corrente dei fatti indicati in premessa;
   se il Governo non ritenga necessario intervenire con urgenza affinché venga rispettato l'obbligo di garantire massimi livelli di trasparenza, mediante annullamento del procedimento di valutazione di impatto ambientale ed avvio di procedimento di valutazione ambientale strategica che, in linea con quanto previsto dai regolamenti dell'Unione europea, possa assicurare la prevista partecipazione del pubblico, al fine di garantire la tutela della salute dei cittadini e prevenire il consumo di suolo agricolo di particolare pregio, buona parte localizzato nelle immediate vicinanze del sito EXPO 2015, in area parco ed in assoluto contrasto con le finalità della prossima esposizione universale «nutrire il pianeta». (3-01637)


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI, VIGNAROLI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 4 giugno 2014, l'Ispra ha pubblicato la guida tecnica n. 29 su «Criteri per la localizzazione di un impianto di smaltimento superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività», con riferimento alle indicazioni, stabilite dal titolo III del decreto legislativo n. 31 del 2010, e successive modificazioni e integrazioni, per la localizzazione, la costruzione e l'esercizio del deposito nazionale, incluso in un parco tecnologico;
   la stessa Sogin ha reso noto, sul proprio sito, il cronoprogramma delle procedure previste per giungere – partendo dalla predisposizione della carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) – fino all'autorizzazione unica e, quindi, all'inizio della realizzazione del deposito nazionale con annesso parco tecnologico. In riferimento alla carta dei siti idonei, il documento evidenzia come Sogin, entro 7 mesi dalla pubblicazione della guida tecnica n. 29, deve consegnare all'Ispra la CNAPI; l'Ispra ha due mesi di tempo per verificare la corretta applicazione dei criteri da parte di Sogin e validare la carta; infine, entro un mese, il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare comunicano il nulla osta, affinché Sogin renda pubblica la carta e si possa procedere alla consultazione e condivisione allargate;
   il 2 gennaio 2015, infatti, come si apprende da fonti stampa, Sogin, seguendo i criteri di localizzazione stabiliti dalla guida tecnica, ha consegnato all'Ispra la proposta di carta (CNAPI) dei siti idonei ad ospitare il deposito unico nazionale, con annesso parco tecnologico, dove andranno portati 75 mila metri cubi di rifiuti di bassa e media intensità e circa 15 mila metri cubi di rifiuti ad alta attività per lo stoccaggio temporaneo;
   il 14 marzo 2015, l'Ispra ha validato la carta, senza nulla da eccepire – secondo quanto diffuso dai mezzi di informazione –, consegnando la propria relazione secretata ai Ministeri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che, a loro volta, avrebbero dovuto dare il nulla osta entro il 13 aprile. Tale circostanza non si è verificata, in quanto risulta che i Ministeri avrebbero richiesto ulteriori precisazioni;
   l'articolo de Il Corriere della Sera del 14 aprile 2015, intitolato «Scorie nucleari un rinvio per ragioni elettorali», commenta il mancato proseguimento dell'iter procedurale come una scelta diplomatica per rimandare la questione alla conclusione della campagna elettorale – dopo il 31 maggio, che sta coinvolgendo diverse regioni e comuni. A tale proposito, si legge «la questione è delicata e difficilmente un candidato con serie chance di governare metterà a rischio la sua elezione dichiarandosi a favore della costruzione del deposito e del parco tecnologico nel proprio territorio. Ma poi, una volta passate le elezioni, ci saranno 1,6 miliardi di euro di investimenti che faranno gola» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti su esposti e come intendano procedere per evitare ulteriori ritardi nei tempi di pubblicazione della carta CNAPI e, quindi, nella conseguente realizzazione di un'opera che coinvolge l'interesse di tutti i cittadini, sia per la tutela della salute e il rischio ambientale, che per il danno economico, posto che il deposito rappresenta una priorità da perseguire in tempi certi e sicuri, in considerazione del fatto che dovrà ospitare anche quelle scorie, a più alta intensità, che attualmente si trovano all'estero e sono un ulteriore aggravio economico che pesa sui cittadini. (3-01639)


   PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 2 gennaio 2015 Sogin, si apprende dal sito istituzionale, ha consegnato ad Ispra la proposta di Carta delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) ad ospitare il deposito nazionale e parco tecnologico;
   Sogin nel sito dichiara che tale consegna sarebbe avvenuta «rispettando i tempi previsti dal decreto legislativo 31/2010, ossia entro 7 mesi dalla pubblicazione della guida tecnica numero 29 di Ispra, avvenuta il 4 giugno 2014»;
   secondo le informazioni riportate nel sito, per elaborare la Cnapi, Sogin ha applicato i criteri di localizzazione stabiliti dall'Ispa con la guida tecnica numero 29 e indicati dall'Iaea con la safety guide numero 29;
   dopo la consegna della Cnapi, Ispra ha due mesi di tempo per verificare la corretta applicazione dei criteri da parte di Sogin e validare la Carta. Al termine di tale lavoro – si legge ancora – è previsto che entro un mese il ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare comunichino il loro nulla osta affinché Sogin pubblichi la Cnapi;
   appare sin troppo evidente che i criteri apparentemente tecnici indicati da Ispra e applicati da Sogin portino ad individuare tra i potenziali siti anche la Sardegna, con a fianco altre 5 regioni;
   il piano della Sogin, presentato il 2 gennaio e sollecitato nemmeno dieci giorni fa alla Camera con un'interpellanza urgente dell'interrogante, ripercorre il piano Ispra per individuare il deposito unico nazionale. Il piano della Sogin propone una sovrapposizione di documenti impressionante ma che ha un comune denominatore: escludere tutte le aree a rischio sismico;
   l'Ispra e conseguentemente la Sogin arrivano alla Sardegna per esclusione di tutto il resto, contemplando però altre 5 regioni;
   carte e mappe che indicano rischi, pericoli, e che, in sintesi, affermano che la Sardegna sarebbe la terra più sicura per le scorie nucleari;
   il risultato è inaccettabile realizzare il deposito unico nazionale in Sardegna;
   a decidere tutto sono i criteri di esclusione individuati da Ispra;
   prima di tutto vengono escluse le aree vulcaniche attive e quiescenti, poi quelle contrassegnate da sismicità elevata e infine quelle interessate da fenomeni di fogliazione;
   la Sardegna secondo tutti i piani connessi e richiamati non rientrerebbe in alcun modo in queste prime tre priorità di esclusione;
   secondo tale simulazione la Sardegna sarebbe l'unica regione d'Italia a corrispondere a questi criteri individuati;
   il fatto stesso che tutti questi elementi che vengono ora esplicitamente rappresentati da Sogin sono un elemento di gravità assoluta proprio perché si sta tentando di mettere in piedi un piano che vede come sostanziale la Sardegna come terra di conferimento per le scorie nucleari;
   la Sardegna deve essere esclusa anche come ipotesi per la realizzazione del deposito unico nazionale delle scorie nucleari;
   questo piano di deposito unico nazionale, che non si farà mai né in Sardegna né in Italia;
   il deposito nucleare unico sarà secondo l'interrogante l'ennesimo pozzo senza fondo;
   questo piano della Sogin è solo l'ennesimo strumento delle lobby del nucleare e degli appalti che puntano a progettare, spendere e spandere con troppi omissis che devono essere respinti senza se e senza ma;
   le carte e gli studi allegati al piano rendono all'interrogante evidente che non si tratta di scelta tecnica;
   le risposte evasive ed elusive del Governo Renzi sono secondo l'interrogante indice di un implicito orientamento in senso favorevole a tale programma;
   si tratta di miliardi di euro per portare le scorie nucleari, realizzare un deposito unico nazionale, mantenere in piena efficienza le centrali esistenti e soprattutto un grande business nucleare;
   c’è un fiume di risorse verso le lobby nucleari che va immediatamente fermato;
   la Sardegna si è dichiarata totalmente contraria a qualsiasi ipotesi di deposito unico nucleare;
   il sottoscritto interrogante nel 2003 in qualità di presidente della regione Sardegna bloccò il piano del generale Jean per la realizzazione del deposito unico nazionale portando la conferenza dei presidenti ad approvare la proposta di rigettare integralmente quel piano che ora si ripresenta maldestramente;
   da mesi l'interrogante ripeteva con atti di sindacato ispettivo e pubbliche denunce che in ambienti Sogin si continuava a dire che la Sardegna sarebbe un sito ideale per il deposito unico nazionale di scorie nucleari;
   questo è un progetto che in Sardegna verrà respinto in tutti i modi;
   non passerà mai un piano irrazionale nell'approccio tecnico, scientifico e sociale e che ha dimostrato di essere fallimentare nella sostanza se dopo 11 anni non è stato fatto niente;
   ci sono flussi di denaro nel settore nucleare che non possono continuare a sfuggire al controllo di tutti. Sono soldi dei cittadini prelevati dalle bollette degli italiani e bisogna per mano alla revisione dei progetti. Tutto questo ha bisogno di soluzioni strategiche e non tampone;
   un deposito unico nazionale che per ragioni già evidenziate nel passato, costituzionali e di volontà popolare, non potrà trovare nessun accoglimento, per nessuna ragione, in Sardegna;
   dopo dodici anni dal blocco del progetto scellerato della Sogin per la realizzazione di un sito unico nazionale per stoccare tutte le scorie nucleari conservate nelle centrali italiane dismesse e il rientro di molte altre dall'estero il rischio ritorna attuale;
   va ridiscussa alla radice la decisione di realizzare un deposito unico nazionale alla luce di valutazioni di natura scientifica, economica e di opportunità;
   proposte che la Sardegna ha avanzato dodici anni fa condividendo l'impostazione del fisico Carlo Rubbia che aveva messo a punto un piano di ricerca per l'abbattimento della radioattività delle scorie;
   un deposito unico nazionale dal quale devono, comunque, essere escluse, senza se e senza ma, realtà come la Sardegna che hanno sia sul piano normativo costituzionale che popolare escluso la volontà di ospitare tale sito unico nazionale;
   una posizione che non si può nemmeno discutere;
   i sardi sono pronti ad ogni azione pur di respingere un'ipotesi che la Sardegna non accetterà mai –:
   se il Governo intenda, nel pieno rispetto della trasparenza, far conoscere tale piano venendo incontro all'esigenza di ovviare a tale silenzio proprio dopo la presentazione dello stesso piano da parte di Sogin;
   se non ritenga di dover escludere la regione Sardegna per le ragioni richiamate, costituzionali, statutarie, ambientali e strategiche al fine di evitare anche gravi problemi all'ordine pubblico;
   se non ritenga di dover recedere da tale proposito di realizzare un deposito unico nazionale e individuare un piano che preveda ricerca avanzata per l'abbattimento della radioattività delle stesse scorie e la sistemazione nei depositi già in essere nelle aree che ospitano le vecchie centrali nucleari;
   se non ritenga di dover rendere note le risorse che effettivamente si spendono per la gestione di queste scorie nucleari e la loro effettiva consistenza. (3-01640)

Interrogazione a risposta scritta:


   SORIAL, ALBERTI, COMINARDI e BASILIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo lo studio «Polveri sottili ed effetti a breve termine sulla salute nell'Asl di Brescia» dell'Osservatorio epidemiologico della stessa Asl bresciana, l'inquinamento atmosferico ha causato negli ultimi dieci anni a Brescia circa 3.000 morti con una spesa sanitaria di circa 146 milioni di euro, visti i 58 mila ingressi in ospedale derivanti dal superamento del limite dei 20 microgrammi di polveri sottili nell'aria sul territorio dell'Asl di Brescia (limite raccomandato dall'Organizzazione mondiale della sanità, diverso da quello dei 50 microgrammi fissato dall'Unione europea), e considerando che ogni ricovero per motivi legati a patologie respiratorie costerebbe in media 2.500 euro, come riportato da fonti di stampa;
   in particolare, secondo lo studio, nel periodo 2000-13, se si fosse rispettato il valore raccomandato dall'Organizzazione mondiale della sanità PM10 al di sotto dei 20 mg/m3, sarebbero stati evitati circa 5.650 decessi pari al 4,7 per cento del totale, per una media annua di 400 decessi, mentre se si fosse sempre rispettato il valore limite dei 50 μg/m3 attualmente stabilito per legge, si sarebbero evitati circa 3.000 decessi pari al 2,5 per cento del totale, per una media annua di 213 decessi;
   secondo i dati dello studio, nell'ASL di Brescia ad ogni incremento di 10 mg/m3 di PM10 vi era un aumento significativo del rischio di mortalità naturale dello 0,9 per cento un aumento di mortalità per malattie cardiovascolari dello 0,8 per cento ed un aumento di mortalità per malattie respiratorie del 3,4 per cento;
   lo studio sottolinea che «l'area «padana» in cui Brescia è situata è una delle zone con peggior inquinamento atmosferico d'Europa, e dunque la riduzione delle emissioni è la strada per ridurre l'inquinamento atmosferico ed è una priorità di salute pubblica che come tale dovrebbe avere la precedenza assoluta»;
   i dati confermano che anche rimanendo al di sotto del limite di legge vi è un chiaro aumento del rischio di mortalità all'aumentare del PM10, visto che la correlazione tra mortalità per malattie respiratorie e PM10 è molto più forte e lineare anche dopo i 50 mg/m3 (con un rischio relativo del +20 per cento a tale livello);
   nelle conclusioni, lo studio dichiara che «I dati presenti confermano quanto già riscontrato in letteratura e cioè che quello atmosferico è di gran lunga il fattore di inquinamento ambientale con il maggior impatto sulla salute umana causando in media ogni anno nella nostra ASL: 400 decessi, 200 infarti, 165 ictus e 3.900 ricoveri per malattie respiratoria. Questi sono «solo» gli eventi a breve termine cui bisognerebbe aggiungere quelli cronici e confermano quanto stimato dagli studi VIIAS per la provincia di Brescia»;
   gli interroganti avevano già posto all'attenzione del Governo la gravità del problema dell'inquinamento atmosferico a Brescia con ben due atti parlamentari a tutt'oggi rimasti senza risposta:
    a) l'interrogazione a risposta scritta n. 4-05434 dell'8 luglio 2014, nella quale si riportava i risultati della ricerca del progetto «Respira – “Danni al Dna nelle cellule della mucosa buccale di bimbi d'età prescolare esposti ad alti livello di inquinamento urbano”», svolta a Brescia dalle facoltà di medicina e di ingegneria con fondi europei e la partecipazione della Loggia, che evidenziava come l'aria avvelenata da polveri sottili provochi ai bimbi che vivono a Brescia alterazioni genetiche maggiori che nei minori che vivono nell'inquinatissima Calcutta, in India;
   l'interrogazione a risposta scritta n. 4-02850, depositata addirittura il 5 dicembre del 2013, con la quale si sottolineava come a Brescia l'inquinamento atmosferico faccia più vittime degli incidenti stradali, visto che la leonessa d'Italia ha il triste e preoccupante primato di essere la città della Lombardia con l'aria più inquinata –:
   se i Ministri interrogati siano consapevoli della gravità del problema esposto in premessa e in che modo intendano intervenire per affrontare quella che si delinea come un'emergenza sanitaria, oltretutto con un elevatissimo costo anche economico, tale da causare centinaia di morti l'anno che sarebbero in gran parte evitabili attuando politiche adeguate a gestire il problema agendo sulla diminuzione delle emissioni, su un maggiore controllo del rispetto dei limiti alle stesse, ma anche sulla salvaguardia e sull'implementazione del verde pubblico in ambito urbano. (4-09987)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   ZANIN. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   le bande musicali nel nostro Paese sono presenti sull'intero territorio nazionale, anche nella forma di bande da giro specializzate in repertori liricosinfonici; quelle che aderiscono all'Anbima, articolate in organizzazioni regionali e provinciali, sono 1500 con 70.000 soci, oltre 3.000 maestri impegnati nella formazione e nella direzione che realizzano, interpretano ed eseguono gratuitamente oltre 20.000 concerti l'anno su tutto il territorio nazionale e all'estero, offrendo un'importante opportunità formativa nell'educazione musicale e per l'apprendimento strumentale;
   i cori rappresentano una realtà importante nel panorama musicale italiano. I concerti offerti gratuitamente alla popolazione dalla Feniarco, associazione con respiro europeo articolata in tutte le regioni italiane, sono circa 25.000 ogni anno e si svolgono anche nei luoghi più remoti e meno raggiunti dalla cultura di massa, contribuendo alla vivificazione della musica e dando opportunità anche sul piano sociale alla popolazione di tutte le età;
   le attività di spettacolo dal vivo sono beneficiarie di contributi statali derivanti dal Fondo unico per Io spettacolo (FUS) di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163, che sostiene iniziative di produzione e programmazione nell'ambito della musica, del teatro, della danza, del circo e dello spettacolo viaggiante;
   i contributi del Fondo unico dello spettacolo vengono concessi in generale per progetti triennali su programmi annuali secondo i criteri e le modalità disciplinati, a partire dall'esercizio 2015, dal decreto ministeriale 1o luglio 2014;
   dagli organi di stampa si apprende che ANBIMA (Associazione bande musicali italiane autonome) e FENIARCO (Federazione nazionale italiana che riunisce le associazioni corali di tutte le regioni italiane e delle province autonome di Trento e Bolzano) sarebbero state escluse dai finanziamenti del Fondo unico per lo spettacolo per il triennio 2015-2017;
   qualora tale notizia fosse fondata, implicherebbe un forte impatto negativo nella sfera culturale dello spettacolo dal vivo che, grazie alle migliaia di gruppi di bande musicali e cori e al loro prezioso lavoro su tutto il territorio nazionale, da decenni riscontra risultati di grande prestigio sia a livello nazionale che internazionale –:
   se ANBIMA e FENIARCO siano state effettivamente escluse dal FUS 2015-2017;
   se non si ritenga viceversa di destinare alle suddette realtà musicali un contributo assolutamente in grado di assicurare la realizzazione e lo sviluppo della loro comprovata attività di rilievo nel mondo dello spettacolo dal vivo. (4-09985)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   VILLAROSA. —Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo della Gazzetta del Sud del 26 novembre 2014 viene riportata la confisca di beni per 5 milioni di euro al presunto capo dell'omonima cosca di ’ndrangheta di Seminara, deceduto all'ospedale di Messina, Rocco Antonio Gioffrè fra i quali 5 fabbricati;
   attualmente la stazione dell'Arma dei Carabinieri di Seminara è ubicata in uno stabile fatiscente e un comune di circa 3000 abitanti con alta densità mafiosa dovrebbe averne una funzionale e che garantisca condizioni di lavoro dignitose; con delibera CIPE del 22 marzo 2006 n. 2 – atto integrativo dell'A.P.Q., «Legalità e Sicurezza per lo sviluppo della Regione Calabria – Antonio Scopelliti», stipulato in data 1o agosto 2006 dal Ministero dell'interno, Ministero dell'economia e delle finanze e regione Calabria il comune di Seminara ha ricevuto un finanziamento di 300.000,00 euro per la «Ristrutturazione stabile ex casa di riposo per anziani da adibire a Caserma dei Carabinieri – Stazione di Seminara»;
   appaltata nel maggio 2011 e ultimata nel 2013, non è stata ancora consegnata all'Arma dei Carabinieri;
   nel 2013, in risposta al signor Domenico Buggè, il commissario straordinario scrive: Con riguardo, invece, al progetto di «Ristrutturazione stabile ex casa di riposo da adibire a Caserma dei Carabinieri – stazione di Seminara», approvato dall'amministrazione comunale nel 2011 ed oggi ultimato per un importo di 300.000 euro, si fa presente che, a seguito di verifiche documentali svolte presso gli uffici competenti, non risulta che l'amministrazione di Seminara abbia presentato un tale progetto tendente al rilascio dell'autorizzazione ai fini sismici, nel rispetto della normativa in vigore (decreto ministeriale 14 gennaio 2008) e con le procedure previste dalle norme regionali...»;
   con delibera n. 28 del 12 maggio 2015 l'amministrazione chiede un finanziamento di ulteriori 335.270 euro per il completamento dell'opera –:
   se e quando si potrà dotare il comune di Seminara di una stazione dei Carabinieri valida e rispettosa del lavoro che il personale svolge anche contro i fenomeni mafiosi;
   se siano state individuate le cause che hanno rallentato la costruzione di cui in premessa;
   se il Governo non ritenga opportuno affidare all'Arma, qualora ne avessero i requisiti, uno degli immobili confiscati al presunto capo della cosca di Seminara Rocco Antonio Gioffrè. (4-09980)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   si apprende, da un trafiletto giornalistico, apparso sulla testata online www.lagazzettacatanese.it, che il prossimo 1o agosto la tenenza della Guardia di finanza della città di Bronte verrà chiusa;
   questa ulteriore chiusura di un presidio di rappresentanza dello Stato si aggiunge alla già annunciata riduzione di alcuni reparti ospedalieri nella città del pistacchio;
   la Guardia di finanza di Bronte negli ultimi anni si è distinta per aver portato a compimento diverse operazioni atte a contrastare il lavoro nero e l'assenteismo nelle pubbliche amministrazioni e ha rappresentato un punto di riferimento importante in un territorio vasto e complesso come quello alle pendici dell'Etna –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e se non intenda assumere iniziative per sospendere la chiusura della tenenza della Guardia di finanza di Bronte, senza prima aver avviato un tavolo di confronto con le amministrazioni locale interessate;
   se si siano tenute in considerazione delle soluzioni di mantenimento della tenenza utilizzando beni immobili confiscati alla mafia o già nelle disponibilità del demanio pubblico;
   se, qualora corrispondesse al vero quanto indicato in premessa, siano stati già predisposti i trasferimenti del personale della tenenza di Bronte e se siano stati predisposti d'ufficio o su domanda e verso quali sedi;
   se siano stati previsti gli indennizzi per il trasferimento dei militari interessati dai trasferimenti;
   quanti siano gli ufficiali impiegati in Sicilia in reparti territoriali del Corpo e quanti, invece, siano i reparti retti da ispettore. (4-09976)


   SORIAL. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende dal Rapporto 2014 dell'unità informazione finanziaria (Uif) di Bankitalia, le segnalazioni di operazioni sospette legate al fenomeno del riciclaggio sarebbero in crescita: nel 2014, l'Uif ha ricevuto circa 71.700 segnalazioni di operazioni sospette (quasi 7 mila in più rispetto al 2013), confermando il trend di crescita che, dalle 12.500 segnalazioni del 2007, ha portato a incrementare di quasi sei volte il flusso annuo;
   secondo il Rapporto dell'Uif «Le minacce di riciclaggio in Italia sono significative a causa della diffusione e della pervasività della criminalità organizzata, della corruzione e dell'evasione fiscale» e «la corruzione rappresenta una minaccia estremamente preoccupante per il nostro sistema economico-sociale» perché «la diffusa percezione del fenomeno mina la fiducia del cittadino nelle istituzioni e nella politica»;
   come spiega il responsabile dell'Unità, Claudio Clemente, le segnalazioni sono la parte emergente di una potente e capillare azione di scrutinio dell'attività economica che gli operatori svolgono a fini di contrasto del riciclaggio e che hanno riguardato anche comparti diversi dall'intermediazione bancaria, quali il risparmio gestito, il private banking, il trading online e l'operatività degli istituti di pagamento; per la prima volta l'Unità ha, inoltre, effettuato accertamenti presso società di revisione, esercenti attività di custodia e trasporto di valori e operatori di gioco;
   il rapporto evidenzia come la corruzione sembra essere divenuta anche il mezzo attraverso il quale forme sempre più evolute di criminalità organizzata, che hanno sempre meno bisogno di ricorrere all'intimidazione e alla violenza, perché mirano a integrarsi nelle istituzioni minandole dall'interno, si infiltrano nell'apparato pubblico, orientandone le scelte e così riuscendo ad entrare anche in contesti diversi da quelli tradizionali;
   sembrerebbe che gli uffici della pubblica amministrazione siano particolarmente esposti all'incidenza della corruzione per gli appalti e i finanziamenti pubblici, ma, nonostante ciò e nonostante siano sempre stati ricompresi nel novero dei soggetti obbligati alla segnalazione, mostrino ancora scarsa sensibilità per l'antiriciclaggio e in questo modo risultino più vulnerabili;
   nella stragrande maggioranza dei casi (85 per cento), le segnalazioni sono arrivate alla Uif della Banca d'Italia, arrivano dalle banche o dalle Poste e solo il 4 per cento dai professionisti, mentre «è pressoché nullo» l'apporto degli uffici della pubblica amministrazione, e a questo proposito il direttore Claudio Clemente afferma che l'Italia deve contrastare «una zona grigia di operatori finanziari disponibili a rendersi strumento del riciclaggio» e che occorre «una scelta di campo tra rifiuto del riciclaggio e connivenza»;
   dal rapporto emerge come i centri finanziari off-shore restino un punto fermo per i flussi internazionali di denaro dal nostro Paese: secondo le stime attraggono un volume di liquidità del 30 per cento superiore rispetto a quanto giustificato «dai fondamentali economici e socio-demografici»;
   nel rapporto sul 2013 emerge che l'importo complessivo segnalato delle operazioni segnalate lo scorso anno è di 84 miliardi di euro;
   con l'intensificarsi della crisi economica «è stata osservata una maggiore diffusione del fenomeno dell'usura, testimoniata da segnalazioni di operazioni sospette raddoppiate nel 2013 rispetto all'anno precedente»; sono stati poi rilevati, in particolare, utilizzi distorti dei finanziamenti pubblici e tra le nuove tendenze non mancano i tentativi di appropriazione attraverso i «compro-oro» e i furti di identità online, con relativi acquisti fraudolenti sfruttando le identità rubate;
   nell'interrogazione del 13 giugno del 2014 presentata dall'interrogante ed a tutt'oggi senza risposta, si evidenziava come il costo della corruzione sia altissimo: secondo uno studio di Unimpresa sui costi dell'illegalità, in dieci anni la corruzione avrebbe «mangiato» ben 100 miliardi di euro di prodotto interno lordo in Italia, facendo diminuire gli investimenti esteri del 16 per cento e facendo al contempo aumentare del 20 per cento il costo complessivo degli appalti; inoltre, si sottolineava come la corruzione abbia un impatto molto grave sulla crescita del Paese, perché altera, innanzi tutto, la libera concorrenza e favorisce la concentrazione della ricchezza in mano a coloro che accettano e beneficiano del mercato della tangente a scapito di coloro che invece si rifiutano di accettarne le condizioni; le aziende che operano in un contesto corrotto infatti crescono in media del 25 per cento in meno rispetto alle concorrenti che operano in un'area di legalità, e, in particolare, le piccole e medie imprese hanno un tasso di crescita delle vendite di oltre il 40 per cento inferiore rispetto a quelle grandi –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente dei fatti esposti in premessa e se non intendano impegnarsi e in che modo, per quanto di competenza, ad attivare delle strategie per contrastare maggiormente quella zona grigia di operatori finanziari disponibili a rendersi strumento del riciclaggio;
   se i Ministri interrogati non considerino necessario chiarire le motivazioni della mancata partecipazione delle pubbliche amministrazioni alle operazioni di segnalazione delle operazioni sospette e non intendano, altresì, adoperarsi per promuovere una campagna di sensibilizzazione al problema, per rendere meno vulnerabili le pubbliche amministrazioni alla corruzione, considerato il grave danno che quest'ultima arreca alla collettività. (4-09990)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLLETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   Francesco Dini è direttore degli affari generali della Cir, società della famiglia De Benedetti uscita da Sorgenia, cioè dall'azionista di riferimento di Energia Italiana che con i francesi di Gdf controlla Tirreno Power. L'uscita è avvenuta a marzo 2014, ma a quanto riportano i media pare che i rapporti siano rimasti saldi;
   da fonti di stampa è emerso che il 29 aprile del 2014 è stata intercettata dai carabinieri del Noe una telefonata fra Francesco Dini e il direttore generale di Tirreno Power Massimiliano Salvi, relativamente ad una «norma interpretativa» del Ministero dello sviluppo economico che avrebbe permesso di bypassare il fatto che l'azienda elettrica non avesse rispettato una serie di prescrizioni. Salvi afferma al riguardo: «...se ci fosse la famosa norma interpretativa quella aiuterebbe in maniera determinante per noi...». A tale affermazione Dini risponde: «...sono d'accordissimo... sono stato il primo a sostenerlo lì al ministero [...] Io oggi sono con Andrea (Andrea Mangoni e con Claudio De Vincenti, l'attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio) e quindi io della norma transitoria ne parlo molto chiaramente» (Mangoni è il direttore generale di Sorgenia). E ancora: «Io le ho dette queste cose ad Andrea e spero che sia d'accordo stasera di dire a De Vincenti di questo ultimo appello, se ci affidiamo al Tar è la roulette russa come quelli che si sparano e non si sa dov’è il proiettile (Dini si riferisce a un ricorso al Tar fatto da Tirreno Power n.d.r) io infatti il discorso che mi sono preparato per questa sera per De Vincenti è quello di fare la norma interpretativa... nel caso Dio non voglia di un esito negativo del Tar ...sarà molto più difficile per lui... ma si deve fare prima»;
   sempre secondo fonti di stampa, in seguito sarà Salvi a incontrarsi con il sottosegretario De Vincenti e ne parlerà ai funzionari del Ministero: «Ho incontrato ieri sera alle diciannove il professor De Vincenti»; dirà poi che De Vincenti «ha chiamato Galletti per il discorso Procura»: E Salvi va oltre: «La Severino (legale della società nd.d.r) dice in sto Paese i procuratori possono fare quello che vogliono... in teoria... in pratica... è un gesto molto forte... per cui dico... pure De Vincenti... ieri mi dice... ma non si può fare un esposto al Csm ? Non si può far aprire un'indagine da parte del ministero della Giustizia ?». Secondo i carabinieri a suggerire l'intervento del Csm è De Vincenti. Il sottosegretario a un certo punto si preoccupa di apparire inopportuno e parlando con Mangoni chiarisce: «...devo evitare di dare l'impressione di ingerenza...»;
   fortunatamente i tentativi di ottenere la norma transitoria dal ministero dello sviluppo economico sembrano essere finiti in fumo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e se ci sia, stata una richiesta al Ministro interrogato da parte del sottosegretario De Vincenti per «aprire un'indagine» come spiegato in premessa e se sia stato richiesto l'intervento del Csm per mettere in difficoltà il pubblico ministero come pare dalle intercettazioni. (5-06152)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   D'ATTORRE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la vicenda del porto artificiale di Tremestieri, per una serie di motivazioni anche di natura tecnica, sta diventando un vero «buco nero» per il dispendio di risorse economiche e per la paralisi che, sta provocando all'intero sistema infrastrutturale della Sicilia Orientale;
    la scelta di creare un porto artificiale, abbandonando il porto naturale di Messina, in un luogo sconsigliato per gli evidenti limiti dettati dalle caratteristiche del sito ha moltiplicato le spese e il traguardo del compimento dell'opera è ben lontano dall'essere in vista;
   insabbiamento e mareggiate sono i principali limiti del sito individuato che hanno richiesto notevoli risorse per il finanziamento dell'opera;
   si tratta di un'opera importante sicuramente perché si pone come obiettivo quello di liberare la città di Messina dal traffico pesante) ma sono trascorsi quattro lustri senza avere alcun risultato;
   basti pensare che solo la primavera scorsa è stato effettuato un'opera di dragaggio, costata altri 200 mila euro, che non ha sortito l'effetto sperato;
   si registra da qualche tempo la richiesta avanzata da più parti nei confronti del Ministro interrogato di affidare al sindaco di Messina poteri speciali per completamento e gestione dell'opera;
    nel corso di una riunione svoltasi a Roma presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nel mese di giugno 2015 con tutte le autorità competenti circa il futuro della suddetta opera si è parlato di un decreto da adottare per l'ampliamento della circoscrizione dell'Autorità portuale per consentire al sindaco l'attribuzione di poteri speciali e sbloccare definitivamente le procedure per la costruzione del nuovo porto;
   sarebbe però utile un supplemento di riflessione e verificare l'opportunità di affidare tale responsabilità ad altra figura che potrebbe essere prefetto o un commissario ministeriale proprio per assicurare la massima imparzialità e un maggiore controllo rispetto ad un investimento così rilevante in considerazione delle risorse pubbliche già impegnate e da impegnare –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle criticità rappresentate in premessa e quali iniziative intenda assumere per valutare l'opportunità di affidare al prefetto o ad un commissario ministeriale i poteri necessari per verificare il complesso dell'opera, anche alla luce dei limiti che fin qui si sono manifestati. (5-06150)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BORGHESI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 30 giugno 2015 scadeva la proroga di sei mesi della concessione autostradale alla società Brescia-Verona-Vicenza-Padova e da più parti veniva avanzata l'ipotesi che un mancato rinnovo della concessione medesima potesse incidere anche sulla costruzione dell'infrastruttura autostradale della Valtrompia ed in particolare sulla realizzazione del raccordo Concesio-Sarezzo, già inserito nel piano finanziario della Serenissima per una cifra pari 258,6 milioni di euro;
   infatti, per tale tratta è già stata espletata la gara d'appalto, aggiudicata provvisoriamente dalla Ics Grandi. Lavori, e l'Anas ha già anticipato 7,5 milioni di euro per gli espropri;
   la possibilità dell'individuazione di una risoluzione delle problematiche legate all'approvazione del progetto della Valdastico nord, emersa a seguito dell'intenzione del presidente della provincia di Trento di approfondire la questione, ha indotto il CIPE ad approvare un rinnovo della concessione autostradale per ulteriori 18 mesi, e ciò «salva», almeno per ora, il progetto, in attesa di un accordo definitivo che comporterebbe un'ulteriore proroga di 10 anni per la realizzazione delle opere;
   in risposta a due precedenti interrogazioni la n. 5-01205 e la 5-04250 i rappresentanti del Governo hanno sostanzialmente ribadito la volontà del Governo di giungere nei più brevi tempi tecnicamente occorrenti alla realizzazione dell'autostrada della Valle Trompia, a beneficio dei territori che la stessa andrà a servire;
   infatti, cittadini e imprese aspettano da anni la realizzazione della Valtrompia, e soprattutto del primo tratto del progetto Concesio-Sarezzo, quest'ultimo già previsto, approvato e finanziato da tempo, che, tuttavia, non riesce a partire per motivi indipendenti dal territorio;
   si tratta di una valle operosa dal punto di vista produttivo che viene penalizzata per la mancanza di collegamenti alternativi che consentano una mobilità adeguata alle quotidiane esigenze;
   il progetto definitivo è stato approvato dal CIPE nel 2004 e quello esecutivo nel 2005 e, pertanto, l'infrastruttura avrebbe dovuto già essere realizzata –:
   se intenda confermare l'importanza prioritaria dell'Autostrada per il territorio della Vale Trompia chiarendo l'intenzione del Governo ai fini della risoluzione delle problematiche che fino ad ora hanno impedito la realizzazione dell'infrastruttura. (4-09991)


   GALLINELLA, CIPRINI e L'ABBATE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   garantire la sicurezza e l'incolumità dei cittadini che ogni giorno utilizzano i mezzi di trasporto pubblici nel nostro Paese deve essere una priorità nell'agenda politica nazionale, con il duplice scopo di tutelare i cittadini e al contempo valorizzare l'uso dei mezzi pubblici in Italia;
   relativamente al trasporto ferroviario, sono all'ordine del giorno episodi di cronaca che vedono coinvolti sia pendolari sia personale di bordo che lasciano pensare ad una non troppo attenta gestione della sicurezza a bordo dei treni, poiché accanto a normali controlli sulla mancanza di biglietti, o all'allontanamento di persone che chiedono elemosina e collette, si affiancano veri e propri episodi di violenza, magari accentuati dalle spesso difficili condizioni di viaggio dei pendolari, di fronte ai quali sovente, sia cittadini che personale ferroviario si trovano inermi;
   per far fronte a questi episodi, o anche per portare avanti un'azione preventiva e garantire la sicurezza sia dei passeggeri che del personale ferroviario, alcune regioni hanno stipulato delle convenzioni con le forze dell'ordine al fine di garantire la presenza a bordo del treno di personale di sicurezza, anche non in servizio, in grado di far fronte alle diverse emergenze che si potrebbero verificare durante un viaggio;
   una delle convenzioni più interessanti, a parere degli interroganti, anche dal punto di vista del rapporto costi/benefici e quella della Toscana che ha stipulato con polizia di Stato, Arma dei carabinieri, Guardia di finanza,  polizia penitenziaria e Corpo forestale dello Stato, una convenzione che impone, dopo un'adesione su base volontaria, agli appartenenti a tali forze di comunicare — eccetto nei momenti in cui indossano la divisa di ordinanza — al personale ferroviario, attraverso un apposito modulo, la propria presenza sul treno e il proprio numero di telefono cellulare, al fine di facilitare la reperibilità in caso di necessità;
   in cambio, le forze dell'ordine aderenti alla convenzione possono viaggiare gratuitamente in seconda classe;
   la convenzione stabilisce le tratte ferroviarie in cui è applicabile ed è comunque limitata al solo ambito regionale, poiché non in tutte le regioni vige un sistema analogo;
   tale convenzione, rispetto ad altre tipologie di accordo in cui i componenti delle forze dell'ordine viaggiano, in ogni caso, gratuitamente pur non fornendo alcun particolare tipo di servizio, grava in maniera senza dubbio minore sui bilanci regionali e permette di avere un importante servizio per i cittadini, che, informati della presenza di tali agenti a bordo, potranno comunque sentirsi più sicuri; allo stesso tempo il personale ferroviario sarà più tranquillo nello svolgimento, spesso spiacevole, del proprio lavoro a bordo del treno –:
   se, sulla base di quanto esposto in premessa e nel rispetto dell'autonomia regionale nella gestione del trasporto ferroviario locale, il Governo non ritenga opportuno promuovere la diffusione di iniziative come quella sopra riportata su tutto il territorio nazionale per garantire la sicurezza di cittadini e personale ferroviario. (4-09999)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   condizioni lavorative disagevoli, stipendi inadeguati, stress psicologico e mancanza di supporto da parte dello Stato potrebbero essere alla base di un altro grave fenomeno che pesa sulle forze armate, di cui però si parla troppo poco;
   solo dall'inizio dell'anno, infatti, sarebbero 23 gli uomini delle forze dell'ordine, 14 dei quali agenti, ad essersi tolti la vita, ma è difficile comprendere la reale portata del fenomeno, non essendoci dati precisi, ne statistiche ufficiali;
   come denuncia il segretario generale del Sap, Gianni Tonelli: «Nella totale indifferenza dei nostri vertici, purtroppo, si allunga il numero delle vittime di questa strage silente. Anni fa per attirare l'attenzione sul problema raccogliemmo le firme in tutte le piazze del paese ma nessuno, neanche la nostra amministrazione, ha cercato di arginare il fenomeno, tant’è che non abbiamo ancora un'assistenza psicologica adeguata o una normativa di riferimento come gli altri Paesi»;
   per il Sap alla base di queste morti non ci sarebbe soltanto il «mal di vivere», che investe ogni categoria e fascia della società: «Siamo certi che il disagio per la natura del nostro lavoro abbia un ruolo primario nel determinare queste tragedie. Lo stress a cui siamo soggetti non ha una responsabilità secondaria, se ci sommiamo la persecuzione “poliziotto-fobica” operata dal Partito Antipolizia, che cerca di sminuire il nostro operato passando ogni gesto sotto la lente d'ingrandimento e dipingendoci come orchi»;
   sempre secondo il dirigente sindacale: «Si entra in polizia e si viene sbattuti sulla strada, a migliaia di chilometri dalle nostre famiglie, senza sostegno e senza essere supportati dai nostri vertici. Se qualcuno ci accusa ingiustamente i primi a gettarci alle ortiche sono proprio loro, che non rischiano di sporcarsi le mani per difenderci. La gente ci ama, ma Governo, Parlamento e il nostro “palazzo” ci perseguitano con farneticanti progetti di legge sulla tortura o sugli alfanumerici, come fossimo bestie da usare all'occorrenza, ma da tenere in catena»;
   solamente nel 2014 nel Corpo sono stati 6.000 gli agenti finiti in ospedale compiendo il proprio lavoro, mentre Governi, ad avviso dell'interrogante ciechi, cercano di fare bella figura con provvedimenti che ricadono sulla pelle degli agenti: dal taglio degli organici alla diminuzione dei livelli di sicurezza, dalla chiusura degli uffici alla compressione dei loro diritti;
   si sta parlando di servitori dello Stato, eppure le istituzioni sembrano aver adottato la linea del silenzio più assoluto sul dramma dei suicidi tra gli uomini e le donne delle forze dell'ordine –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quale sia la reale portata del fenomeno dei suicidi tra gli appartenenti alle forze di polizia negli ultimi cinque anni, nonché quali urgenti iniziative ritenga opportuno adottare per arginare il fenomeno, garantendo organismi di supporto psicologico per il costante controllo dei possibili casi di disagio fra il personale dipendente, al fine di prevenire il ripetersi di questi tragici eventi.
(4-09973)


   BORGHESE e MERLO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 3 della convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e verso i minori fatta a Istanbul l'11 maggio 2011, con l'espressione violenza nei confronti delle persone definite socialmente «deboli» si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro tutti gli individui definiti più deboli, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata;
   sono note sempre più spesso le violenze contro le donne comprende reati quali violenza sessuale, molestia, stupro, stalking e violenza domestica; ciò costituisce altresì una violazione dei diritti fondamentali delle donne rispetto alla dignità, l'uguaglianza e l'accesso alla giustizia;
   la violenza contro le donne è un grave ostacolo per la parità di genere ed è una delle più diffuse violazioni dei diritti umani, che non conosce barriere geografiche, economiche, culturali o sociali;
   il Parlamento italiano, attraverso la legge 27 giugno 2013, n. 77, ha autorizzato la ratifica e l'esecuzione della menzionata Convenzione di Istanbul;
   il trattato è poi entrato in vigore il 1o agosto 2014 e, ad oggi, sono appena 14 su 47 gli Stati membri del Consiglio d'Europa che l'hanno ratificato, tra i quali, gli Stati membri dell'Unione europea sono soltanto 8: Austria, Danimarca, Francia, Italia, Malta, Portogallo, Spagna e Svezia;
   il drammatico fenomeno della violenza rimane ancora oggi una triste realtà, tanto in Italia, quanto in Europa, così come nel resto del mondo. In particolare, secondo le conclusioni di un report elaborato a marzo 2014 dall'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali, in Europa, il 33 per cento di minori ha subito forme di violenza sessuale fin dall'età di 15 anni, mentre il numero delle donne vittime di abusi e violenze è spesso sottostimato dalle autorità nazionali;
   il 25 novembre 2014 si è celebrata la giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne ed il Parlamento europeo ha organizzato un dibattito in seduta plenaria per affrontare questo tema, nel corso del quale gli eurodeputati si sono confrontati con la commissaria alla parità di genere, in quell'occasione, i lavori dell'Assemblea si sono conclusi con l'adozione di una dichiarazione scritta, ai sensi dell'articolo 136 del regolamento del Parlamento europeo;
   attraverso tale atto, al fine di costruire una politica integrata in materia di contrasto alla violenza di genere, che sia trasversale e di ampio respiro, il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione europea di farsi carico di chiedere con forza a tutti gli Stati membri dell'Unione europea di procedere alla ratifica della convenzione di Istanbul, di elaborare un quadro giuridico per contrastare concretamente questo fenomeno e misure stringenti per mantenere alto il livello di attenzione e consapevolezza verso questo dramma, tra le altre cose, anche dichiarando il 2016 quale anno europeo per la lotta alla violenza contro tutti gli uomini e donne ritenuti più fragili verso la società;
   gli eurodeputati della Commissione dei diritti umani hanno convenuto che tali azioni devono essere assunte immediatamente, altresì sottolineando come tali impegni siano strettamente coerenti con quanto richiesto attraverso la risoluzione del Parlamento europeo del 25 febbraio 2014, recante raccomandazioni alla Commissione sulla lotta alla violenza verso gli individui più deboli –:
   quali iniziative intendano assumere al fine di costruire una politica integrata in materia di contrasto alla violenza di genere, che sia trasversale e di ampio respiro; se si intenda mettere in atto, in sede europea, ogni iniziativa utile al pieno e sollecito recepimento della citata dichiarazione scritta del Parlamento europeo alla Commissione, con particolare riguardo alla necessità di: 
    a) far si che tutti gli Stati membri dell'Unione europea, che non vi abbiano ancora provveduto, procedano alla ratifica della Convenzione di Istanbul;
    b) elaborare un quadro giuridico, comune ed integrato, per il concreto contrasto alla violenza di genere;
    c) introdurre misure stringenti per mantenere alto il livello di attenzione e consapevolezza circa il dramma della violenza contro gli individui identificati come più deboli anche attraverso la dichiarazione del 2016 quale «Anno europeo per la lotta alla violenza contro il sesso debole». (4-09977)


   COLONNESE, LUIGI DI MAIO, LUIGI GALLO, MICILLO, PISANO, FICO, SILVIA GIORDANO, TOFALO e SIBILIA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 23 luglio intorno alle prime ore del mattino divampava un incendio all'interno di un grosso capannone di merce all'ingrosso cinese in via Gianturco a Napoli, area peraltro molto popolosa. La nube di fumo nero avvolgeva in poco tempo il Centro Direzionale, il complesso di grattacieli situato fra la stazione centrale e piazza Nazionale, suscitando allarme nei cittadini. I Vigili del fuoco isolavano subìto la zona, anche per il timore di un'esplosione dovuta a bombole di gas. Sul posto interveniva anche la Polizia per accertare le cause dell'incendio in un'area che il mattino.it definisce «cruciale per una serie di motivi. L'altissima presenza di commercianti cinesi e la vicinanza del centro operativo della direzione investigativa antimafia»;
   ci giungono voci circa il fatto che nella zona interessata fossero occultati rifiuti di diverso genere e materiali industriali, probabilmente anche sostanze chimiche nocive ammassate una sorta di discarica abusiva;
   già il 13 gennaio 2014 si sviluppò un incendio in un capannone industriale abbandonato a Secondigliano all'interno del quale i vigili del fuoco trovarono accumulato un ingente quantitativo di materiale plastico che provocò l'enorme nuvola nera che avvolse l'intera area. La preoccupazione dei cittadini fu tale che giunsero decine di telefonate ai vigili del fuoco specie rispetto al timore che nel capannone ci fossero rifiuti tossici e sostanze chimiche;
   scattava l'allarme diossina per l'enorme quantitativo di materiale plastico infiammato e respirato da migliaia di persone. Il conseguente blocco del traffico ferroviario, segnalato da ilmattino.it, ha provocato non pochi disagi alla popolazione: al fine di evitare il transito dei convogli dalla stazione di Gianturco, dove le fiamme rasentavano i binari della linea ferroviaria, sembrerebbe che diversi treni, probabilmente quelli ad alta velocità, siano stati dirottati su una linea ferroviaria alternativa causando forti ritardi –:
   se siano a conoscenza di quanto in premessa;
   se non ritengano opportuno, dato il precedente avvenimento del 13 gennaio 2014, verificare, per quanto di competenza, anche per il tramite dei vigili del fuoco, le cause in merito ai danni cagionati all'ambiente e alla salute dei cittadini e la pericolosità del materiale bruciato;
   se non intenda intervenire, qualora risulti la pericolosità del materiale bruciato, al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei cittadini, ponendo in essere iniziative, per quanto di competenza, atte a scongiurare nuovi accadimenti simili. (4-09986)


   BORGHESI e INVERNIZZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata del 19 luglio 2015 si è tenuta a Pontida, in Provincia di Bergamo, l'annuale Sagra degli uccelli da canto;
   durante la manifestazione, legittimamente autorizzata, un gruppo di animalisti denominato «Fronte animalista» ha fatto irruzione con insulti, minacce, provocazioni e atti di violenza con il solo ed evidente intento di provocare una reazione dei cacciatori presenti;
   i video, le immagini e gli articoli apparsi sulla stampa testimoniano come si sia trattato di un vero e proprio assalto. Risultano palesi le violazioni che vanno dalla semplice ingiuria sino alla violazione della proprietà privata e al danneggiamento, e all'organizzazione di una contromanifestazione senza previa autorizzazione prefettizia;
   i cacciatori sono stati insultati ed aggrediti verbalmente, sono stati tacciati di essere degli assassini e dei violenti, sono stati provocati per di più in proprietà privata con la chiara volontà di, indurli a reagire;
   purtroppo, non è il primo caso di aggressioni violente ai danni dei cacciatori da parte di gruppi di animalisti durante lecite ed autorizzate manifestazioni venatorie –:
   come il Ministro ritenga di garantire la sicurezza dei cacciatori durante lo svolgimento di manifestazioni venatorie da sempre considerate legali ed autorizzate;
   quali iniziative il Governo intenda assumere affinché episodi come quello generalizzato in premessa non si ripetano in futuro. (4-10000)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   PANNARALE e GIANCARLO GIORDANO. —Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nei mesi di maggio e giugno 2015 si sono svolti su tutto il territorio nazionale i test di valutazione somministrati dall'Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione, istituito con il decreto legislativo 20 luglio 1999, n. 258 e che ha subito un riordino generale attraverso il decreto legislativo del 19 novembre 2004, n. 286;
   successivi interventi normativi hanno nuovamente modificato ruolo e funzioni dell'Istituto, configurato quale ente di ricerca di diritto pubblico preposto alla valutazione del sistema scolastico italiano;
   come si legge all'interno dei rapporti pubblicati dallo stesso Istituto, i test somministrati sono «prove oggettive standardizzate che hanno lo scopo di misurare i livelli di apprendimento raggiunti dagli studenti italiani relativamente alla comprensione della lettura e alla matematica»;
   appare agli interroganti discutibile proprio la qualificazione delle prove come «oggettive» e «standardizzate», in quanto tra istituti riconducibili a diverse realtà territoriali e sociali possono rilevarsi significative disparità e squilibri;
   tale criticità conduce parte del mondo scolastico a criticare duramente da anni il sistema dei test INVALSI in quanto non produrrebbe una corretta valutazione di tutti i parametri che configurano il livello formativo e d'istruzione di un istituto, appiattendo invece i percorsi scolastici sulla fotografia di risultati che non considerano le caratteristiche individuali e del contesto di crescita;
   appare in tal senso significativo riportare quanto scritto da uno studente sulle pagine di un test somministrato durante quest'anno scolastico: «valutare non vuol dire fare classifiche e competizioni, vuol dire dare valore e superare i propri limiti. I test determinano una didattica fatta solo di nozioni, che allena ai quiz e alla competizione. Voglio che si possa stimolare il pensiero ed educarci alla cooperazione. Non posso accettare uno strumento di valutazione che ci considera solo numeri»;
   in tale contesto, appare naturale che una parte del personale degli istituti, degli studenti e delle loro famiglie pratichi da anni un'attività di sostanziale boicottaggio ai test;
   nel corso di quest'anno scolastico, alle proteste al sistema di valutazione degli INVALSI si sono aggiunte quelle relative al disegni di legge di Riforma dell'istruzione, conosciuto come «buona scuola» (legge 13 luglio 2015, n. 107), attorno al quale, nel travagliato percorso parlamentare, si è sviluppato un acceso dibattito, con l'opposizione di grossa parte del mondo scolastico e dei sindacati, culminata nello sciopero generale del 5 maggio 2015 cui ha aderito più dell'80 per cento del personale;
   lo spirito che attraversa la riforma è, infatti, in perfetta connessione con quanto rappresentato dalle modalità di valutazione proposte dal sistema INVALSI, che si materializzano in una concezione di premialità e meritocrazia che aggrava gli squilibri socioeconomici e territoriali, e in una improduttiva competizione tra studenti e tra istituti scolastici;
   appare naturale, in tal senso, che tra gli strumenti di protesta nei confronti della «buona scuola» sia stato scelto anche il boicottaggio dei test INVALSI, conducendo a nuovi dubbi circa la validità dell'intero sistema;
   come risulta evidente dai primi rapporti che, tuttavia, verranno resi noti nella loro completezza soltanto nel mese di settembre, il boicottaggio ai test è stato quest'anno molto significativo, soprattutto in alcuni territori;
   il rapporto di autovalutazione (RAV) è destinato, dunque, a rimanere fortemente incompleto, non garantendo nessuna rappresentatività o reale fotografia dei livelli di apprendimento nel Paese;
   la rilevazione nazionale degli apprendimenti 2014-15, pubblicata il 9 luglio 2015 sul portale dell'Istituto, ha messo in luce come, soprattutto nelle regioni centromeridionali, la partecipazione ai test sia stata molto scarsa: in Sicilia, Campania, Sardegna e Puglia, ha partecipato alle prove della metà degli alunni della scuola primaria;
   situazione ancor più critica è stata rilevata per gli istituti del ciclo superiore, licei istituti tecnici e professionali, in cui meno della metà degli studenti ha partecipato alle prove nelle regioni Lazio, Abruzzo, Campania, Sicilia, Puglia e Sardegna, con punte del 75 per cento di boicottaggio;
   appare chiaro, dunque, come il sistema sia altamente problematico, oltre che fortemente contestato da coloro cui è rivolto;
   nonostante tali, significative, criticità, la legge n. 107 del 2015 di riforma della scuola ha stanziato, al comma 144 dell'articolo 1, 8 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2019 a favore dell'INVALSI, con destinazione prioritaria per la realizzazione delle rilevazioni nazionali degli apprendimenti, la partecipazione dell'Italia alle indagini internazionali, l'autovalutazione e le visite valutative delle scuole;
   è naturale chiedersi come l'INVALSI possa costituire un approccio utile e costruttivo al sistema scolastico e se non configuri, in realtà, uno spreco di risorse pubbliche che potrebbero essere investite in altri strumenti per la lotta alla dispersione scolastica –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro circa l'alta percentuale di astensione ai test INVALSI registratasi quest'anno, che ha indubbiamente compromesso l'utilità e l'attendibilità del sistema;
   se il Ministro non intenda procedere, in tal senso, a un generale ripensamento del sistema di valutazione INVALSI che garantisca una rilevazione e un monitoraggio della qualità dell'offerta formativa degli istituti di tipo non standardizzato, in grado, invece, di riconoscere e valorizzare le specificità territoriali e sociali degli istituti e degli studenti. (4-09974)


   BERRETTA. —Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con decreto del direttore generale del 24 settembre 2012 numero 82 ha indetto il concorso a cattedre di insegnamento, per titoli ed esami, finalizzati alla copertura di 11.542 posti di personale docente nelle scuole dell'infanzia, primaria, secondaria di I e II grado, nonché di posti di sostegno, risultanti vacanti e disponibili in ciascuna regione negli anni scolastici 2013/2014 e 2014/2015;
   ai sensi dell'articolo 2 del citato decreto «...1. Ai concorsi sono ammessi a partecipare i candidati in possesso del titolo di abilitazione all'insegnamento nella scuola dell'infanzia o primaria o secondaria di I e II grado, conseguito entro la data di scadenza del termine per la presentazione della domanda, ivi compresi i titoli di abilitazione conseguiti all'estero purché riconosciuti con apposito decreto del Ministero... 3. Sono inoltre ammessi a partecipare, per i posti di scuola secondaria di I e II grado, ai sensi dell'articolo 2 del decreto interministeriale 24 novembre 1998, n. 460, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 131 del 7 giugno 1999: a) i candidati che alla data del 22 giugno 1999 (data di entrata in vigore del citato decreto interministeriale) erano già in possesso di un titolo di laurea ovvero di un titolo di diploma conseguito presso le accademie di belle arti e gli istituti superiori per le industrie artistiche, i conservatori e gli istituti musicali pareggiati, gli ISEF, che alla stessa data consentivano l'ammissione ai concorsi per titoli ed esami per il reclutamento del personale docente; b) i candidati che abbiano conseguito i titoli di cui alla precedente lettera a) entro l'anno accademico 2001-2002, se si tratta di corso di studi quadriennale o inferiore; entro l'anno accademico 2002-2003, se si tratta di corso di studi quinquennale, nonché i candidati che abbiano conseguito i diplomi di cui alla lettera a) entro l'anno in cui si sia concluso il periodo prescritto dal relativo piano di studi a decorrere dall'anno accademico 1998-1999 ...»
   la clausola è stata impugnata da tutti coloro i quali, pur avendo i requisiti per la partecipazione, non avevano conseguito i titoli entro lo sbarramento temporale previsto;
   con diversi ricorsi collettivi, gli aspiranti concorsisti hanno chiesto l'annullamento del bando di concorso nella parte in cui era illegittimamente preclusa la loro partecipazione alla selezione. Il TAR Lazio ha accolto le relative istanze cautelari, ammettendo con riserva tutti i ricorrenti al concorso;
   nelle more del concorso, il TAR ha ribadito il suo orientamento sulla illegittimità delle clausole preclusive del bando anche nei giudizi di merito: «...la disposizione della lex specialis oggetto di gravame, recante fissazione dei requisiti di ammissione al concorso, per quanto quivi rileva si limita a riprodurre alla lettera l'articolo 2 del decreto ministeriale n. 460 del 1998 (pubblicato in Gazzetta Ufficiale 7 giugno 1999, n. 131 ed entrato in vigore il 22 giugno 1999), stabilendo che: a) possono partecipare al concorso i candidati in possesso di titolo di abilitazione all'insegnamento conseguito entro la data di scadenza del termine per la presentazione della domanda; b) possono altresì partecipare, anche se non abilitati, i candidati che, alla data del 22 giugno 1999 (entrata in vigore del decreto ministeriale n. 460 del 1998) erano già in possesso del diploma di laurea; c) ovvero che abbiano conseguito la laurea entro gli anni accademici 2001-2002 o 2002-2003, se trattasi rispettivamente di corso di laurea quadriennale o quinquennale, o comunque entro l'anno in cui si sia concluso il periodo prescritto dal relativo piano di studi a decorrere dall'anno accademico 1998-1999. Tale riproduzione letterale, avvenuta a fronte di un bando di concorso pubblicato dopo circa un decennio dalla data fissata dal decreto ministeriale n. 460 del 1998 (1o maggio 2002), e pertanto in spregio alla regola della ordinaria frequenza triennale scolpita nell'articolo 400, comma 1 del decreto legislativo 16 aprile 1994 n. 297, finisce con l'eludere la ratio giustificatrice originaria delle disposizioni transitorie e cagiona una irragionevole disparità di trattamento tra i diversi candidati alla procedura selettiva. Appare invero evidente che la clausola di salvaguardia prevista nel decreto ministeriale n. 460 del 1998 (articolo 2, comma 2) era tarata sul primo concorso a cattedre da indire con cadenza triennale, non certo su quello che sarebbe stato effettivamente bandito dopo circa un decennio. Ne consegue che l'Amministrazione, all'atto di recepirne il contenuto nel bando pubblicato nel 2012, avrebbe dovuto attualizzarlo, così da lasciarne intatta la ratio giustificatrice, ovvero permettere la partecipazione al concorso quanto meno a coloro che avessero conseguito un diploma di laurea idoneo entro la data fissata per la presentazione delle domande di partecipare alla procedura selettiva. Diversamente opinando, anche in virtù di ciò che verrà di seguito evidenziato in ordine ai percorsi abilitanti attivati nel periodo di riferimento, si è determinata una ingiustificata disparità di trattamento tra candidati che hanno conseguito la laurea entro l'anno accademico 2002-2003, ammessi al concorso a cattedre, e candidati, come gli odierni ricorrenti, che hanno conseguito identica laurea negli anni accademici immediatamente successivi, ma entro la scadenza del termine per la presentazione della domande. La già segnalata disparità di trattamento scaturisce anche dalle vicende, già sopra sinteticamente passate in rassegna, occorse ai percorsi abilitanti nel periodo successivo al 2003. Si è già avuto modo di evidenziare che le Scuole di specializzazione per l'insegnamento secondario (SISS), pur concretamente attivate a partire dall'anno accademico 1999-2000, sono state sospese in virtù di espressa previsione legislativa a partire dall'anno accademico 2008-2009, per essere sostituite, soltanto a decorrere dall'anno accademico 2011-2012, dai Tirocini Formativi Attivi (TFA). Pertanto, in assenza di una clausola di salvaguardia attualizzata, come quella già prevista dall'articolo 2 del decreto ministeriale n. 460 del 1998, il bando oggetto di gravame ha di fatto impedito la partecipazione al concorso a tutti i candidati, segnatamente i più giovani di età, in possesso di diploma di laurea acquisito a decorrere dall'anno accademico 2008-2009, per i quali è rimasto interdetto qualsiasi percorso abilitante. Ed invero, a causa della sospensione legislativa delle SISS ed in attesa dell'attivazione dei nuovi TFA, detti candidati non hanno avuto possibilità alcuna di acquisire l'abilitazione necessaria per la partecipazione al concorso a cattedre. Per le ragioni che precedono la disposizione impugnata si palesa illegittima, in quanto affetta, oltre che da violazione di legge relativamente alla disciplina di rango primario e secondario suesposta, da irragionevolezza, illogicità e disparità di trattamento...»;
   nel frattempo i vari uffici scolastici, provinciali, nell'emanare i decreti di approvazione delle graduatorie definitive, hanno espressamente previsto che «l'ammissione con riserva alla procedura concorsuale, disposta con ordinanza cautelare del giudice amministrativo, non comporta la successiva nomina con riserva, laddove il candidato risulti vincitore» (TAR Lazio sentenza 21 dicembre 2013 numero 11078);
   dunque, si è verificata un'ulteriore disparità di trattamento tra chi aveva un giudizio di merito ancora pendente (e, non potendo essere immesso in ruolo, si è visto «scavalcare» da altri candidati collocati in posizione deteriore) e chi aveva ottenuto già una sentenza dal TAR e poteva essere nominato;
   per tali ragioni, i candidati vincitori del concorso che a causa della riserva non erano stati convocati per la nomina, hanno presentato ricorso innanzi il giudice del lavoro per lamentare la lesione del proprio diritto all'assunzione;
   successivamente, il Ministero, con nota del 19 marzo 2015 protocollo numero 9048, ha comunicato agli uffici scolastici regionali lo scioglimento della riserva per i candidati che hanno conseguito la laurea oltre i termini previsti dall'articolo 2 del decreto del direttore generale n. 82/2012, trasmettendo il relativo parere reso dall'Avvocatura Generale dello Stato (prot. n. 96791 del 25 febbraio 2015);
   conseguentemente, gli uffici scolastici regionali hanno rettificato le graduatorie definitive di merito immettendo anche i candidati «riservisti»;
   a questo punto, tali candidati hanno subito un'ulteriore lesione: non solo non hanno potuto beneficiare dell'immissione in ruolo a partire dall'anno scolastico 2014/2015, ma in più sono stati scavalcati dai candidati collocati in posizioni deteriori, perdendo il diritto di precedenza nella scelta della sede;
   allo stato, gli uffici scolastici regionali non hanno proceduto alle nuove nomine (probabilmente aspettando la definizione del disegno di legge sulla scuola) e non si sa come procederanno nei confronti dei riservisti immessi in graduatoria e coloro che siano stati nominati nel precedente anno scolastico (che, alla luce delle nuove graduatorie, si trovano in posizione deteriore) –:
   quali iniziative intenda assumere al fine di tutelare la posizione dei cosiddetti «vincitori riservisti» la cui riserva è stata sciolta con nota del Ministero del 19 marzo 2015 protocollo n. 9048;
   quali iniziative intenda assumere nei confronti dei vincitori immessi in ruolo nell'anno scolastico 2014/2015 ancorché collocatisi in graduatoria in posizione deteriore rispetto a quella dei riservisti (oggi immessi a pieno titolo nella graduatoria). (4-09981)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   SAMMARCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   per effetto delle riforme succedutesi nel corso degli ultimi anni, la concreta gestione dei profili previdenziali ed assistenziali di molti rapporti di lavoro, in considerazione del loro carattere accessorio, ma anche temporaneo, stagionale, intermittente o comunque privo di adeguati caratteri di stabilità, prevedono la possibilità di adempimento degli obblighi inerenti tali profili mediante il meccanismo dei cosiddetti voucher e quindi del concreto pagamento dei valori rappresentati dagli stessi e della registrazione delle prestazioni previdenziali dovute dietro presentazione di tali tagliandi. I citati voucher vengono acquistati presso uffici postali, sportelli bancari abilitati e rivendite di generi di monopolio, e sono presentati al concessionario del servizio che è identificato legittimamente nell'INPS e nelle agenzie per il lavoro;
   per effetto della convenzione stipulata in data 26 marzo 2010, successivamente rinnovata, l'INPS, concessionario identificato legislativamente come detto, ha affidato ai rivenditori di generi di monopolio diverse incombenze in tema di gestione di tali voucher, consentendo la possibilità di acquisto presso gli stessi di nuovi tagliandi, ma anche di pagamento delle spettanze dovute dietro presentazione di quelli totalmente o parzialmente non utilizzati;
   in forza della citata Convenzione, nella concreta gestione delle rimesse di denaro generate dalla procedura descritta è stata inserita anche Banca ITB, individuata come partner informatico-finanziario su designazione della Federazione italiana tabaccai (e cioè l'associazione di categoria dei rivenditori di generi di monopolio, che ha stipulato la convenzione) accettata da INPS;
   nella compagine sociale della citata banca figurano sia una controllata della federazione italiana tabaccai, associazione di categoria dei rivenditori di generi di monopolio, sia altri importanti operatori commerciali che su altri fronti operano come controparti contrattuali di quegli stessi operatori commerciali (e cioè i rivenditori di generi di monopolio) unitariamente rappresentati, sia sindacalmente che commercialmente, dalla citata Federazione italiana Tabaccai: è il caso di GTech (già Lottomatica), per «Gratta e vinci», lotterie istantanee e altri giochi riconosciuti dallo Stato, nonché per altri servizi erogati in tabaccheria, e Logista, per la distribuzione dei prodotti di tabacco e così via;
   le parti sopra citate hanno stipulato la convenzione indicata sebbene l'allora presidente dell'INPS fosse legato alla Banca ITB mediante l'attivo rapporto con uno dei soci fondamentali della stessa banca, cioè Lottomatica spa (ora GTech), nel cui consiglio d'amministrazione, a quanto consta all'interrogante, sarebbe stato cooptato dopo le dimissioni;
   contemporaneamente, nel consiglio di amministrazione della citata banca siede anche il direttore generale della già menzionata Federazione, ora indicato da notizie di stampa come realizzatore di una ulteriore operazione societaria della medesima Federazione con l'ingresso nel lucroso mercato della riscossione delle imposte locali;
   tali elementi potrebbero, a giudizio dell'interrogante, pregiudicare la più rigorosa e assoluta assenza di interessi diversi da quelli esclusivi di carattere generale nella vicenda in questione –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, siano a conoscenza dell'operatività dell'intermediario finanziario citato, Banca ITB spa, che annovera tra i propri soci, direttamente o indirettamente, sia l'associazione rappresentativa dei venditori di genere di monopolio, sia altri soggetti della filiera di distribuzione di prodotti e servizi soggetti alla sua vigilanza e controllo (GTech già Lottomatica, Logista e altri), ovvero se i competenti uffici abbiano attivato le opportune forme di controllo e vigilanza nel più scrupoloso e costante rispetto della normativa da parte di tutti i soggetti vigilati operanti in qualità di concessionari nei rispettivi settori;
   se siano in grado di indicare, anche per effetto delle successive modifiche apportate alla convenzione, quale compenso Banca ITB abbia incassato in relazione al proprio ruolo nella vicenda voucher sin dall'inizio della propria operatività, con separata indicazione di quanto originariamente percepito e quanto, per ipotesi, successivamente incamerato anche per effetto di modifiche disposte;
   se siano in grado di indicare altresì termini e modalità di definizione delle modifiche all'originario impianto convenzionale tali da legittimare la percezione di predetto compenso, a giudizio dell'interrogante, con danno per la collettività;
   se siano in grado di indicare se tale compenso sia stato posto a carico della quota di commissione prevista per l'INPS ovvero sia stato addebitato al privato acquirente di singoli voucher (e pertanto indirettamente del lavoratore che fruisce delle relative prestazioni previdenziali incorporate nel valore rappresentativo), ovvero a diminuzione delle quote di spettanza dei gestori di rivendite di generi di monopolio (tabaccai), ovvero ancora dell'associazione rappresentativa degli stessi;
   quali iniziative di vigilanza, preventive e successive, siano state poste in essere, per quanto di competenza, con riferimento a tutti gli aspetti segnalati, e se di tutte le vicende in esame risultino investiti gli organi di controllo competenti per legge; in particolare, se e in che termini sia stata investita della vicenda la Corte dei Conti, e quali esiti abbia prodotto tale segnalazione, ovvero se intendano investirla ora dei diversi aspetti di sua competenza emergenti dalle vicende descritte. (4-09982)


   PARENTELA, CIPRINI, TRIPIEDI, COMINARDI, MANTERO e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 29 del 7 febbraio 1979 viene cioè riconosciuta a tutti i lavoratori, dipendenti ed autonomi la facoltà di ricongiungere in tutti gli ordinamenti i contributi versati in diverse casse previdenziali. Caratteristica dell'istituto è che i periodi ricongiunti sono utilizzati come se fossero sempre stati versati nel fondo in cui sono stati unificati, e danno quindi diritto a pensione;
   la sopracitata legge ha reso possibile il trasferimento dei contributi dall'INPS presso un altro ente previdenziale dove il lavoratore risulta iscritto nel momento in cui presenta la domanda. In questo caso viene posto a carico del richiedente, da parte della gestione accentratrice, il 50 per cento della differenza tra la riserva matematica e le somme versate dalle gestioni contributive di appartenenza;
   la trasmigrazione dei contributi fuori dall'INPS, generalmente, risulta per il richiedente a carattere oneroso. Se questa è la situazione paradigmatica, non si escludono casi in cui si registri un'eccedenza rispetto al quantum contributivo necessario per la ricongiunzione di periodi a fini pensionistici, cioè casi nei quali la somma versata dall'INPS alla gestione accentratrice risulta superiore alla riserva matematica con conseguente gratuità della ricongiunzione per il richiedente. In tali ipotesi si pone, quindi, il problema della eventuale restituzione dei contributi versati e risultati eccedenti dopo la ricongiunzione ex legge n. 29 del 1979, o comunque, della loro valorizzazione nel calcolo della pensione;
   il trasferimento di soggetti da settore privato a pubblico, o viceversa, comporta una serie di problematiche prima su tutte la disparità di trattamento economico rispetto ad altri lavoratori, i quali, hanno prestato attività lavorativa sempre e solo in un ambito versando, tra le altre cose, contributi in eccedenza rispetto a quelli realmente richiesti ai fini pensionistici;
   la legge n. 29 del 1979, prevede all'articolo 8 che la contribuzione afferente ad effettive prestazioni di lavoro prevalga rispetto alla contribuzione volontaria coincidente dal punto di vista temporale; al secondo comma del medesimo articolo la legge dispone, poi, che ove la ricongiunzione avvenga ai sensi dell'articolo 1, gli importi dei versamenti volontari siano restituiti agli interessati, mentre, qualora la ricongiunzione avvenga ai sensi dell'articolo 2, gli importi dei versamenti volontari vadano a scomputo dell'onere a carico del richiedente;
   la Corte Costituzionale con sentenza del 7 luglio 1988 n. 764 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, terzo comma, della legge 7 febbraio 1979, n. 29;
   la Corte dei conti sezione controllo ha avuto modo di chiarire con sentenza del 10 dicembre 1990, n. 83 che, in ipotesi di eccedenza di contributi volontari rispetto alle somme da portare a scomputo dell'onere a carico del richiedente, le relative somme eccedenti non possono essere incamerate dal Tesoro, ma devono essere restituite all'interessato in forza di un principio desumibile dallo stesso articolo 8, dal momento che lo scomputo ivi disciplinato introduce un concetto sostanzialmente non difforme dalla restituzione. L'applicazione di tale principio – che induce a ritenere che in assenza di una specifica norma che legittimi l'incameramento, si debba prevedere la restituzione – ai contributi versati, ma non necessari ai fini ricongiuntivi ne imporrebbe appunto la restituzione; accade tuttavia che la restituzione automatica non venga applicata in alcun caso, e che le somme di fatto incamerate dallo Stato non vengano nemmeno valutate per la valorizzazione del trattamento pensionistico, ciò che determina una forte sperequazione e diversità di trattamento tra lavoratori dipendenti, nonché un indebito arricchimento per lo Stato, che tra l'altro omette di segnalare formalmente, nei decreti di ricongiunzione, la possibilità ed i termini per esercitare il diritto a richiedere la restituzione poiché i dipendenti transitati nei ruoli di altre amministrazioni acquisiscono, ex novo, uno status uguale a quello dei loro colleghi, tranne per ciò che concerne il trattamento economico che risulta di gran lunga inferiore, in quanto i contributi versati in eccedenza, per effetto del passaggio a nuova e diversa gestione previdenziale, non sono più utili ai fini pensionistici;
   risulta emblematico l'esempio di insegnanti di scuole pubbliche i quali, avendo chiesto di ricongiungere i contributi pensionistici versati nel privato presso lo Stato, in virtù dell'omessa valutazione di tali importi nel calcolo della pensione, si trovano un conteggio della mensilità del trattamento previdenziale basato esclusivamente sugli importi delle retribuzioni percepite nell'ultimo decennio di servizio –:
   se, sulla base di quanto esposto nelle premesse, non ritenga che debbano essere assunte iniziative per colmare il vuoto normativo, applicando o un rimborso dei contributi versati e/o un'integrazione nel trattamento pensionistico stesso;
   quali iniziative intenda adottare per assicurare parità di trattamento ai pensionati che, mediante ricongiunzione, hanno riunito in un'unica gestione la prestazione pensionistica. (4-09984)


   MARCON, AIRAUDO e PLACIDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il programma «Garanzia Giovani» è stato attivato nel maggio 2014, come risultante di un lungo percorso avviato in sede europea nel 2010 con l'iniziativa Youth on the Move, materializzatosi attraverso la raccomandazione del Consiglio del 22 aprile 2013;
   obiettivo del programma, si legge sul sito ufficiale della Commissione europea, è «un nuovo approccio alla disoccupazione giovanile per garantire che tutti i giovani di età inferiore ai 25 anni – iscritti o meno ai servizi per l'impiego – possano ottenere un'offerta valida entro 4 mesi dalla fine degli studi o dall'inizio della disoccupazione», assicurando un impiego, un apprendistato, un tirocinio o un ulteriore percorso di studi;
   i deputati e le deputate di Sinistra ecologia libertà (SEL), già in occasione del Consiglio europeo del 27 e 28 giugno 2013, avevano presentato un atto di indirizzo volto a individuare congrue risorse nel bilancio nazionale per la riuscita di un programma tanto strategico e impegnativo, un orientamento successivamente condiviso anche dalla stessa Commissione europea attraverso una nota dell'8 ottobre 2014;
   in tal senso, si segnala come l'Organizzazione internazionale del lavoro abbia stimato in circa 21 miliardi di euro il costo per gli Stati membri dell'attuazione del suddetto programma, una spesa che, tuttavia, va comparata con gli effetti di un mancato intervento in grado di contrastare il livello di disoccupazione giovanile; tale, drammatica, questione ha infatti comportato, secondo l’European foundation for living and working conditions (Eurofound), una perdita di oltre 150 miliardi di euro nell'Eurozona;
   i finanziamenti diretti all'attuazione del programma nel nostro Paese sono stati individuati in circa 1,5 miliardi di euro, di cui più della metà di origine comunitaria, circa, ossia, il 65 per cento;
   il piano italiano di attuazione delle garanzia per i giovani, in base a valutazioni inerenti i livelli occupazionali in alcune fasce di età, ha esteso il programma a tutti i giovani tra i 15 e i 29 anni;
   a questa estensione non è seguito, tuttavia, un impegno finanziario adeguato, in grado di rispondere alle esigente derivanti da un tasso di disoccupazione giovanile che, nel nostro Paese, si aggira intorno al 42 per cento;
   se si guarda al dato dei cosiddetti NEET (Not in Education, Employement or Training), circa il 30,8 per cento dei giovani tra i 18 e i 29 anni, ormai totalmente disillusi, non risulta né studente né attivo in tirocini o rapporti di lavoro;
   la succitata nota della Commissione europea incoraggiava gli Stati membri a rintracciare strumenti utili ad aiutare i giovani nella ricerca dell'impiego o del corso più adatti alle proprie competenze ed esigenze; allo stesso modo, la Commissione segnalava come fondamentale la capacità degli Stati di investire realmente in tal senso, attraverso sussidi salariali e di assunzione, di tipo temporaneo e mirato, o sovvenzioni per l'apprendistato e il tirocinio;
   tali risorse avrebbero infatti costituito investimenti sociali di primaria importanza;
   gli organismi comunitari hanno sempre sottolineato come il programma non sia in grado, autonomamente, di contribuire ad una drastica riduzione di un fenomeno tanto ampio, per il quale servono, invece, investimenti volti a stimolare la ripresa e la crescita economica degli Stati membri;
   nonostante la palese contraddizione tra le dichiarazioni della Commissione europea e gli effettivi, deboli, interventi messi in campo dalle istituzioni comunitarie per favorire investimenti, crescita e lavoro, il programma ha avuto il merito di porre l'accento sulla stretta connessione che ha legato crisi economica e disoccupazione giovanile;
   in una nota del 24 marzo 2015, la Corte dei conti europea ha segnalato la scarsità di risorse investite dall'Unione e dagli Stati membri nell'attuazione della «Garanzia Giovani»; in particolare, analizzando il percorso di Irlanda, Francia, Lituania, Portogallo e Italia, ha potuto rilevare come nessuno di questi Stati avesse un'idea strutturata circa i costi e le modalità di attuazione del programma;
   le principali criticità rintracciate sono state l'inadeguatezza delle risorse, la vaghezza delle espressioni quali «offerta di lavoro qualitativamente valida» e l'assenza di un reale sistema di monitoraggio dei risultati;
   l'impegno del Governo italiano ad avviso degli interroganti, è risultato in particolare altamente inadeguato; già nel 2014 la Commissione aveva suggerito all'Italia un ripensamento del piano nazionale, giudicato troppo debole, ricevendo in risposta un diniego giustificato da una generale esigenza di redazione di «rilevanti programmi operativi»;
   nel Rapporto Paese 2015, la Commissione ha invitato nuovamente il nostro Paese a correggere le disfunzioni nell'attuazione del programma, segnalando come, nonostante alcuni sviluppi positivi, il tasso di disoccupazione giovanile permanesse significativamente alto e la formazione degli adulti risultasse di gran lunga al di sotto della media comunitaria;
   oltre ai drammatici dati macroeconomici, numerose criticità sono emerse nella gestione materiale del programma;
   in tal senso, si ricorda come il Governo italiano abbia sviluppato il programma attraverso un unico programma operativo nazionale, di competenza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che ha individuato le regioni quali organismi intermedi;
   come si legge sul portale web dedicato al programma, infatti, www.garanziagiovani.gov.it: «Il Programma Garanzia Giovani richiede una strategia unitaria e condivisa tra Stato e Regioni ai fini di un'efficace attuazione a livello territoriale. Accanto quindi al Piano nazionale che individua le azioni comuni su tutto il territorio nazionale, ciascuna Regione ha l'impegno di adottare un proprio piano attuativo per definire quali sono le misure del Programma che vengono attivate sul territorio, in coerenza con la strategia nazionale»;
   in particolare, per ciò che concerne le risorse finanziarie, viene prevista una convenzione da stipulare tra Ministero e singole regioni;
   negli ultimi mesi numerose segnalazioni dei tirocinanti hanno fatto emergere una paradossale criticità, materializzatasi nella parziale o totale assenza dei rimborsi e indennità, dopo mesi e mesi di attività di tirocinio;
   le situazioni più critiche sono rintracciabili nelle regioni Emilia Romagna, Lazio e Basilicata, dove una parte dei giovani tirocinanti, giunti alla fine del percorso, non ha ancora ricevuto alcun rimborso;
   come segnalato dalla trasmissione Piazza Pulita del 4 maggio 2015 «Garanzia Giovani, Dov’è finito il miliardo e mezzo stanziato dall'Europa ?», tra l'altro, la reale attuazione del programma presenta una pluralità di criticità, che ne inficiano profondamente la riuscita; in primis, le posizioni aperte per la richiesta di giovani tirocinanti non sembrano affatto coincidere con percorsi in grado di offrire formazione e competenze;
   tra gli annunci si trovano, infatti: addetti carico e scarico materiali, alle pulizie, banconisti, banchisti di pizzerie al taglio;
   il tirocinio si dimostra, ancora una volta, uno strumento nelle mani del datore di lavoro per garantire minore tutela e minor salario a comuni lavoratori;
   nonostante le regioni siano responsabili dei piani operativi, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali conserva un ruolo determinante nell'attuazione del progetto: si ricorda, infatti, come l'articolo 5 del decreto-legge n. 76 del 2013 e successive modificazioni abbia istituito presso il Ministero una struttura di missione, con il compito di svolgere una supervisione generale della «Garanzia Giovani»; accanto alla struttura di missione sono stati creati organi tipici della regolamentazione dei fondi strutturali, come il comitato di sorveglianza, a cui contribuiscono diverse tipologie di stakeholder;
   inoltre, come segnalato in numerosi articoli dei principali quotidiani, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, conserva attribuzioni rilevanti anche per quanto concerne i rimborsi dei tirocini: molte regioni hanno infatti adottato una convenzione sottoscritta da INPS, il suddetto Ministero e le regioni stesse che prevede, come riportato dal documento di stipula, «Le risorse finanziarie fissate nel piano di attuazione regionale per il "Programma Operativo Nazionale Iniziativa Occupazione Giovani", destinate all'erogazione dell'indennità di tirocinio, saranno trattenute dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali dalle somme assegnate alla Regione/Provincia autonoma per l'attuazione del Programma Operativo Nazionale Iniziativa Occupazione Giovani e saranno anticipate all'Inps secondo un piano finanziario da concordare tra l'INPS e il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in relazione alle specifiche esigenze di cassa e dall'andamento delle certificazioni»;
   nello stessa convenzione è indicato, inoltre, come le somme anticipate all'INPS dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali debbano essere effettuate tramite versamenti diretti sulla contabilità speciale di tesoreria con indicazione della regione a per la quale sono destinati, e, soprattutto, viene dichiarato come l'INPS effettui i pagamenti «nei limiti delle risorse finanziarie anticipate dal Ministero»;
   alle proteste di molti tirocinanti, di cui l'ultima solo qualche settimana fa, tirocinanti che dopo mesi di lavoro non ancora hanno ricevuto la propria indennità, non sono, seguite adeguate risposte: si registra, infatti, un rimpallo di responsabilità e chiarimenti tra i vari soggetti, ossia l'INPS, le regioni, le agenzie interinali, il Ministero, a dimostrazione di come la trasparenza delle procedure non si sia concretizzata in un reale accesso alle informazioni circa il programma o il proprio, personale, percorso;
   alcune inchieste pubblicate sul sito la Repubblica degli Stagisti, che da anni si occupa di questioni inerenti al lavoro e alla disoccupazione giovanile, hanno confermato uno stato di generale confusione e inerzia, che non consente di ricevere risposte attendibili circa il funzionamento del programma;
   le suddette inchieste hanno messo in luce un ulteriore profilo di opacità, costituito dal ruolo delle agenzie interinali; in un articolo del giornale il Fatto Quotidiano del 10 maggio 2015 dal titolo «Garanzia giovani: flop per chi cerca lavoro, affare per chi prova a trovarglielo», viene segnalato come tali agenzie, rischino di assorbire gran parte delle risorse destinate al programma, percependo non trascurabili quote fisse anche in caso di mancato raggiungimento dell'obiettivo, quello, ossia, di trovare un'occupazione ai giovani NEET;
   si segnala, inoltre, come le imprese che partecipano al programma ricevano bonus occupazionali, il cui ammontare risulta essere intorno ai 190 milioni di euro; in pochissimi casi, tuttavia, le aziende hanno scelto di integrare con quote aggiuntive le indennità dei partecipanti al programma;
   il gruppo di Sinistra, Ecologia e Libertà ha segnalato in più di un'occasione le criticità e i rischi delle modalità di gestione del programma, attraverso un'interrogazione della deputata Ricciatti (4-07957 dell'11 febbraio 2015) e, inoltre, con la proposta di istituire una Commissione di inchiesta parlamentare sull'attuazione in Italia del programma europeo Garanzia per i giovani, presentata dal deputato Scotto;
   in base a quanto sopra riportato, appaiono agli interroganti quantomeno singolari le dichiarazioni del Ministro interrogato, che in più di un'occasione ha enfatizzato la grande riuscita del programma minimizzando le criticità riscontrate, nonostante, si ricorda, esse si ripercuotano pesantemente sulla vita dei giovani disoccupati;
   ad oggi, se è vero infatti, come riportato dal portale del programma, che le iscrizioni sono in forte aumento e raggiungono le 679 mila unità, come conseguenza fondamentalmente del drammatico livello di NEET, soltanto 390 mila di esse sono stati attualmente presi in carico e, di questi, a soli 133 mila è stata proposta una delle misure previste dal piano;
   in base ad una indagine diffusa il 10 aprile 2015 da Adapt, il Centro studi sul lavoro fondato da Marco Biagi, solo il 22,9 per cento dei due milioni di NEET risulta iscritto al programma e, di questo, solo la metà ha effettuato il primo colloquio; inoltre, le percentuali e di chi ha ottenuto una proposta concreta di lavoro si ferma intorno al 14 per cento;
   tra l'altro, una parte delle opportunità inserite nel programma sono legate ai progetti del servizio civile nazionale, negli anni privati delle risorse necessarie al loro funzionamento ma inadatti a garantire il raccordo con il mondo del lavoro;
   pur costituendo una realtà di grande importanza che, indubbiamente, contribuisce ad aumentare le esperienze e l'occupabilità dei partecipanti, il servizio civile ha obiettivi diversi rispetto al miglioramento dei livelli occupazionali o formativi dei giovani disoccupati o NEET; si rischia dunque di produrre ulteriori effetti di disillusione nei partecipanti al programma «Garanzia Giovani»;
   suscitano perplessità, dunque, le dichiarazioni del Ministro in occasione di un convegno del 20 luglio 2015 (come riportato dal quotidiano il Sole 24 ore) La via italiana al sistema duale, circa la necessità che Garanzia giovani diventi «uno strumento permanente di confronto con i giovani» dopo la sua conclusione nel 2017, quando le criticità risultano essere ancora così significative e diffuse –:
   quali iniziative abbia in programma il Ministro, considerata quella che all'interrogante appare l'inerzia di INPS e delle regioni, al fine di monitorare e risolvere le problematiche inerenti ai rimborsi e alle, indennità di tirocinio, assicurando ad ogni partecipante al programma condizioni lavorative e di vita dignitose;
   se non intenda verificare che tutte le risorse siano state anticipate all'INPS, consentendo il trasferimento delle stesse ai giovani iscritti al programma;
   se non intenda assumere iniziative per rendere prioritaria, tra gli interventi connessi con la riforma del lavoro, una generale riforma dei servizi per l'impiego che sia realmente coordinata con i vari programmi attualmente in atto, e che garantisca investimenti adeguati a tale, fondamentale, servizio, anche in termini di risorse umane;
   se non reputi opportuno avviare un generale ripensamento del piano italiano di garanzia giovani sulla base delle criticità sinora riscontrate, che garantisca tempi certi e opportunità adeguate, una reale qualità delle offerte immesse nel portale e la personalizzazione dei percorsi, in base alle esigenze dei giovani e dei soggetti proponenti, escludendo in tal senso la configurazione dei progetti di servizio civile quale serbatoio del programma;
   se non intenda modificare il sistema di monitoraggio e di valutazione della «Garanzia Giovani», sulla base di indicatori che segnalino i risultati realmente raggiunti, contribuendo al miglioramento delle politiche occupazionali;
   quali ulteriori strumenti intenda utilizzare al fine di abbattere il drammatico dato relativo alla disoccupazione giovanile e alla percentuale di NEET nel nostro Paese, promuovendo misure in grado di realizzare un vero piano per l'occupazione giovanile, che garantisca un effettivo miglioramento dei livelli occupazionali e delle condizioni di vita e lavoro dei giovani, anche attraverso strumenti in grado di tutelare gli stessi da forme di ricatto sociale e lavorativo, come il reddito minimo garantito. (4-09995)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLLETTI, MANTERO, LOREFICE, GRILLO, DEL GROSSO e VACCA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   risulta all'interrogante che il Ministero della salute abbia convocato per la settimana scorsa le regioni Abruzzo, Molise, Puglia, Campania per discutere gli «accordi di confine con il Molise». Per l'Abruzzo pare abbiano partecipato, fra gli altri, dottor Giuseppe Zuccatelli, sub commissario per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del servizio sanitario regionale abruzzese, ed il dottor Angelo Muraglia, Capo-dipartimento della salute e del welfare della regione Abruzzo;
   fra le varie questioni sembra si sia discusso della Neuromed, ovvero la clinica privata di proprietà di Aldo Patriciello, europarlamentare di Forza Italia;
   risulta invero che la Neuromed, inquadrato quale Istituto nazionale di ricerca, e con una convenzione con la regione Molise, abbia solo il 10 per cento delle prestazioni svolte in favore di pazienti molisani mentre il 90 per cento delle prestazioni viene svolto a favore di pazienti di fuori-regione;
   risulta agli interroganti che il Ministero, a causa della crisi di liquidità della Neuromed, abbia richiesto alle regioni sopra menzionate di rimborsare velocemente il costo delle prestazioni alla Neuromed per i pazienti extra-Molise, dato che attualmente questi rimborsi avvengono normalmente in 2 anni;
   nell'anno 2013, per la mobilità passiva specialistica riguardante il Molise, ben 1,7 milioni di euro comprendevano prestazioni della Neuromed –:
   se trovi conferma l'avvenuto incontro con le regioni Abruzzo, Molise, Puglia e Campania;
   se il Ministro possa confermare di aver sollecitato la regione Abruzzo a rimborsare la Neuromed molto prima delle scadenze normalmente previste. (5-06151)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SORIAL. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la ricerca «Lo stile di vita dei bambini e dei ragazzi», realizzata da Ipsos per Save the Children e Gruppo Mondelez in Italia, presentata di recente, rivela che quasi un bambino su cinque (17 per cento) in Italia non fa sport nel tempo libero e per più di uno su quattro (27 per cento) motivo è la mancanza di possibilità economiche delle famiglie nell'affrontare questa spesa, mentre circa un minore su dieci (11 per cento) non pratica attività motorie neppure a scuola per mancanza di spazi attrezzati o per l'assenza di attività nel programma scolastico;
   i bambini poveri italiani negli ultimi anni sono raddoppiati: su un totale di circa 10 milioni di minori, nel 2011 i bambini indigenti erano 723 mila, e nel 2013 sono saliti a 1 milione 434 mila; queste cifre dell'Istat indicano quelli che si trovano in uno stato di «povertà assoluta», ovvero che si trovano nella «incapacità di acquisire i beni e i servizi, necessari a raggiungere uno standard di vita minimo accettabile nel contesto di appartenenza», ma ce ne sono molti altri che vivono in una zona grigia, impoveriti, a cui la crisi ha tolto molte cose che è difficile definire superflue: la possibilità di fare sport, di andare in vacanza, di fare una gita scolastica o frequentare un centro estivo, o peggio, proseguire gli studi;
   secondo dati forniti dall'Unicef, il 13,3 per cento dei minori italiani vive in una condizione di deprivazione materiale, intesa come la mancanza di accesso ad alcuni beni ritenuti «normali» nelle società economicamente avanzate: almeno un pasto al giorno contenente carne o pesce, libri e giochi adatti all'età del bambino, un posto tranquillo con spazio e luce a sufficienza per fare i compiti;
   nella classifica delle condizioni dei minori l'Italia è al 20o posto su 29 Paesi considerati, con Islanda, Svezia e Norvegia che, per esempio, presentano percentuali di deprivazione inferiori al 2 per cento;
   la ricerca Ipsos diffusa da Save the Children indica che 4 ragazzi su 10 si muovono in auto, pochi a piedi (28 per cento), ancora meno in bici (15 per cento), inoltre quasi tre su cinque (62 per cento) trascorrono in casa il tempo libero anche perché non ci sono spazi all'aperto dove incontrarsi o, anche quando ci sono, sono sporchi e poco sicuri (66 per cento);
   quando i ragazzi sono a casa, in media trascorrono 55 minuti al giorno su internet, 47 minuti giocando con i videogame; dal lunedì al venerdì passano in media 71 minuti al giorno davanti alla TV, tempo che si allunga a 84 minuti nei fine settimana; il 12 per cento di loro sta davanti alla televisione più di tre ore al giorno durante i giorni feriali, percentuale che sale al 20 per cento nel weekend e circa uno su sei sta su internet e gioca ai videogame per lo stesso lasso di tempo;
   «Le difficoltà economiche delle famiglie e la mancanza di spazi pubblici adeguati obbligano molti bambini e ragazzi a rimanere in casa per lunghe ore. Per questo motivo rischiano di diventare sempre più sedentari e disabituati a confrontarsi coi loro coetanei. Sono bambini e ragazzi che, anche solo con un parco giochi, degli alberi e delle panchine, potrebbero cambiare le loro abitudini, correndo meno il rischio di perdere la socialità tipica della loro età», spiega Raffaela Milano, direttore programmi Italia-Europa di Save the Children Italia. «Sono troppi i ragazzi esclusi dall'opportunità di svolgere sport e spesso queste attività sono relegate alle poche ore previste nel programma scolastico e questo non basta a dare a questi bambini e ragazzi la necessaria educazione all'attività fisica e al movimento»;
   la mancanza di attività sportiva è una delle principali cause di obesità, definita dell'Organizzazione mondiale della sanità l’«epidemia globale e silente» e con il 20,9 per cento di bimbi in sovrappeso e il 9,8 per cento obeso, l'Italia (soprattutto al Centro e al Sud) resta ai primi posti in Europa per diffusione del problema;
   come sottolineato nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-07922 presentata l'11 febbraio 2015 dall'interrogante e rimasta ancora senza risposta, per quanto riguarda il sovrappeso e l'obesità infantile, i dati del Ministero della salute evidenziano come il fenomeno dell'obesità interessi e inizi soprattutto in età precoce, tra i 6 e i 10 anni, quando la percentuale raggiunge il 35,7 per cento, dimostrando come oltre un bambino su 3 soffra della patologia, e se si prendono in riferimento i più piccoli, tra i 3 e gli 11 anni, le cose non cambiano di molto: il 25,2 per cento dei bambini italiani di quella fascia di età è già in sovrappeso; su base nazionale il 26,9 per cento dei giovani dai 6 ai 17 anni ha un peso superiore di quello che dovrebbe avere, con livelli maggiori soprattutto al Sud e nelle isole (oltre il 30 per cento);
   se riscontrato già in età pediatrica, il sovrappeso può causare in età adulta una vita cosparsa di patologie come il diabete, l'ipertensione, l'iperlipidemia e la conseguente esposizione precoce ai principali fattori di rischio per le malattie cardiovascolari –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente del problema evidenziato in premessa e in che modo intendano intervenire, per quanto di competenza, affinché i minori abbiano la possibilità di svolgere attività sportiva, fondamentale per la loro crescita e salute presente e futura, da un lato monitorando la situazione dell'offerta scolastica di attività fisica, che per legge dovrebbe essere implementata ma a quanto sembra, troppo spesso non è fruibile, e, dall'altro, attivando delle politiche di supporto alle famiglie in difficoltà.
(4-09988)


   GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, BENEDETTI, PARENTELA e LUPO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 24 settembre 2014 la Camera ha approvato le mozioni congiunte sul benessere animale, tra cui la n. 1-00559 a prima firma Gagnarli, che prevedeva tra i vari impegni: la promozione dell'applicazione puntuale della legislazione vigente in materia di animali da allevamento, le iniziative per potenziare l'ufficio veterinario della Commissione europea affinché assicuri maggiori controlli dell'applicazione delle normative comunitarie sulla sicurezza alimentare, salute e benessere animale, ed il sostegno all'introduzione di norme minime per la protezione delle specie ancora prive di tutela individuale, come bovini da latte, conigli, tacchini, pesci;
   il 3 giugno 2015, con l'interrogazione n. 5-05680 a prima firma Gagnarli, ancora senza risposta, si è anche chiesto al Ministro delle politiche agricole, in merito agli allevamenti suinicoli italiani, quale sia la percentuale degli allevamenti che risultano non conformi alla direttiva 2008/120/CE, per quanto concerne la pratica del mozzamento sistematico della coda e l'uso degli arricchimenti ambientali adeguati, e quali azioni intenda intraprendere perché si applichino le suddette disposizioni agli allevamenti non conformi;
   è notizia recente che il Ministero della salute ha pubblicato la relazione annuale al piano nazionale integrato che fornisce indicazioni sul livello di attuazione delle attività di controllo e sui risultati ottenuti e rappresenta un duplice strumento operativo, di verifica dell'attività svolta e di orientamento dell'attività futura;
   nella suddetta relazione viene fotografata la situazione dei controlli eseguiti dalle regioni e province autonome per l'anno 2014, indirizzati a valutare il benessere animale negli allevamenti avicoli, bovini, ovini, caprini, suini, cunicoli, ed equini, in relazione alle norme in vigore;
   tra i controlli effettuati, si legge su un articolo de Il fatto alimentare si contano 23 irregolarità per le galline ovaiole in gabbia, dovute all'esiguo spazio disponibile, su un totale di 257 allevamenti ispezionati (sul totale di 621 allevamenti). Per quelle in voliera le infrazioni sono state 17 su 192 allevamenti ispezionati, soprattutto nella conformità di edifici e dei locali per la stabulazione (sul totale di 574 allevamenti); 15 infrazioni, invece, sono state riscontrate per le galline ovaiole all'aperto su 96 allevamenti ispezionati (sul totale di 304 allevamenti). Per quanto riguarda i vitelli, le infrazioni riscontrate riguardano irregolarità in edifici, locali di stabulazione, mancanza di libertà di movimento e problemi nell'alimentazione e nell'abbeveraggio, e sono state 348 su 3140 ispezioni (su un totale di 7020 allevamenti). Controllati anche suini (il 72 per cento degli allevamenti pari a 1825 controlli con 537 infrazioni), bovini (6.046 aziende su un totale di 24.952, le irregolarità sono state 713), ovini (212 infrazioni su 3448 controlli) e caprini (1190 aziende ispezionate 88 irregolarità), polli da carne (937 controlli; 169 infrazioni), conigli (145 aziende visitate, solo il 2 per cento del totale, le irregolarità sono state 24), equini (19 per cento di aziende controllate, con 98 irregolarità rilevate). Solo tra i tacchini, 88 aziende ispezionate su 247, non è stata rilevata alcuna irregolarità;
   per il 2015, la relazione prevede un controllo continuo focalizzato sugli animali che hanno presentato il maggior numero di irregolarità, ed un ulteriore miglioramento del sistema dei controlli –:
   quali siano le iniziative intraprese o da intraprendere, come orientamento dell'attività futura, a fronte dei numeri esposti nella relazione annuale al piano nazionale integrato del Ministero della salute, per contrastare il verificarsi delle infrazioni e delle irregolarità riscontrate negli allevamenti, soprattutto a carico delle strutture di allevamento;
   quale sia il livello di attuazione degli impegni approvati in data 24 settembre 2014 a seguito dell'esame delle mozioni congiunte sul benessere animale. (4-09989)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta orale:


   VENTRICELLI, GRASSI, MARIANO, BOCCIA, MONGIELLO, PELILLO, CAPONE, VICO e GINEFRA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è notizia attuale, riportata in queste ultime ore anche dai maggiori organi di stampa, che la «SO.G.I.N. S.P.A.» – società di Stato responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi –, ha consegnato all'ISPRA – Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale la carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) a ospitare quello che sarà il deposito nazionale delle scorie nucleari;
   dall'ISPRA la documentazione passerà al Ministero dello sviluppo economico e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che dovranno deliberare e dare il via libera alla pubblicazione della carta, che presumibilmente dovrebbe essere pronta per il mese di luglio 2015; a pubblicazione avvenuta ci saranno quattro mesi di consultazione pubblica e un seminario nazionale dove saranno invitati a partecipare tutti i soggetti interessati – dalle istituzioni alle associazioni ambientaliste, passando per il mondo scientifico –, e dopo tale periodo si potrà dare il via alla costruzione del deposito che dovrebbe iniziare nel 2020, perché possa essere attivo a partire dal 2024, con una spesa stimata per un costo totale di 1,5 miliardi di euro;
   il deposito sarà una struttura con barriere ingegneristiche e barriere naturali poste in serie, progettata sulla base delle esperienze internazionali e secondo i più recenti standard AIEA (Agenzia internazionale energia atomica) che consentirà la sistemazione definitiva di circa 75 mila metri cubi di rifiuti di bassa e media attività e lo stoccaggio temporaneo di circa 15 mila di rifiuti ad alta attività; dei circa 90 mila metri cubi di rifiuti radioattivi, il 60 per cento deriverà dalle operazioni di smantellamento degli impianti nucleari, mentre il restante 40 per cento dalle attività di medicina nucleare industriali e di ricerca, che continueranno a generare rifiuti anche in futuro;
   nonostante una possibile rosa di luoghi, non è ancora stato stabilito con esattezza dove sorgerà il deposito: tra i parametri di cui si dovrebbe tenere conto per decidere il posto considerato più idoneo a ospitare le scorie, si dovrà considerare la sismicità della zona, la presenza di zone protette e parchi naturali, la presenza di miniere e poligoni di tiro, la presenza di lagune o dighe; inoltre il luogo dove nascerà il deposito nazionale italiano non potrà essere sopra i 700 metri di quota né sotto i 20 metri sul livello del mare, non potrà essere a meno di cinque chilometri dal mare né a meno di un chilometro da ferrovie o strade particolarmente trafficate, inoltre il deposito di scorie nucleari non potrà essere costruito in vicinanza di fiumi o di aree abitate;
   a quanto è dato di sapere al momento, i prodotti di scarto del nucleare in Italia potranno essere collocati entro un centinaio di siti individuati dalla «SO.G.I.N. S.P.A.» entro una dozzina di diverse regioni; il progetto per la costruzione del sito vedrebbe la costruzione di un deposito di superficie dove i barili dovrebbero essere coperti da tre diversi tipi di protezioni in calcestruzzo e in cemento e posti in celle sigillate e impermeabilizzate, e la costruzione di un centro di ricerca specializzato nel decommissioning; si stima che il luogo dove sorgerà l'impianto potrà tornare utilizzabile dopo circa tre secoli da un eventuale smantellamento, considerando però, come già detto, che il deposito immagazzinerà solo scorie radioattive di intensità bassa o media, poiché allo stato attuale non è in programma la costruzione di un cimitero per scorie altamente radioattive;
   tenendo dunque conto dei criteri già indicati, gli esperti ministeriali e della «So.g.i.n. S.p.a.» avrebbero indicato tra i luoghi preposti alla costruzione del deposito Puglia, Lazio, Toscana, Veneto, Basilicata e Marche come leoni più adatte per ospitare la struttura; nonostante dopo l'invio degli elenchi, i criteri potrebbero subire delle modifiche; come già detto la pubblicazione della mappa dei siti idonei ad ospitare il deposito nazionale sarà seguita da una fase di consultazione pubblica, che culminerà nel seminario nazionale dove saranno invitati a partecipare tutti i soggetti interessati, e solo al termine di questa complicato iter si arriverà a una versione aggiornata della carta dei siti. Quindi si procederà all'acquisizione di possibili manifestazioni di interesse da parte di regioni ed enti locali: in assenza di adesioni spontanee, e se non si dovesse arrivare ad una scelta concordata, a decidere sarà il Consiglio dei ministri, ipotesi che vedrebbe coinvolto il Governo in maniera diretta –:
   se i Ministri interrogati non ritengano necessario intervenire affinché vengano messe al più presto in atto indagini specifiche per determinare se realmente i territori in questione siano adatti ad ospitare un simile deposito e, nel caso in cui la scelta di costruirlo sia imprescindibile, quali reali soluzioni si intendano porre in essere perché vi siano meno danni possibile per i cittadini e il nostro Paese;
   nel caso si tratti effettivamente di scegliere la regione Puglia, se esista realmente un luogo che abbia tutti i requisiti per poter costruire in sicurezza il deposito;
   se non ritengano di dover smentire questa possibilità e intervenire per disporre un cambio di rotta deciso sulla collocazione del deposito unico nazionale e, in particolare, se non ritengano di dover escludere la regione Puglia da questa ipotesi. (3-01638)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane, con una comunicazione del 1o luglio 2015, ha riattivato la procedura di attuazione del piano di razionalizzazione dei suoi uffici dislocati sul territori. Nella e regione Abruzzo la stessa prevedeva la chiusura di 19 uffici postali e la razionalizzazione di 35;
   attualmente il piano prevede che gli uffici interessati alla chiusura siano così suddivisi; provincia Chieti: San Giacomo di Scerni, Guastameroli, Altino, Chieti 5. Provincia l'Aquila: Aragno, Assergi, Cese, Torrone di Sulmona, Civita di Oricola. Provincia Pescara: Piccianello, Roccafinadamo. Provincia Teramo: Cologna, Faraone, Montepagano, Mutignano, Poggio Morello, Rocche di Civitella, Treciminiere;
   gli uffici interessati alla razionalizzazione sono i seguenti: provincia di Chieti: Ari, Carunchio, Celenza sul Trigno, Civitella Messer Raimondo, Lentella, Liscia, Montenerodono, Pennapedimonte, San Martino sulla Marrucina, Torrebruna, Palmoli, Pretoro, Schiavi d'Abruzzo, Carpineto Sinello, Roccaspinalveti, Bomba, Perano, Colledimezzo, Pietraferrazzana; provincia di l'Aquila: Bugnara, Campotosto, Castel di Ieri, Però dei Santi, Ortona dei Marsi, Prata d'Ansidonia, Villavallelonga, Civitella Alfedena, Sant'Eusanio Forconese: provincia di Pescara: Carpineto della Nora, Ripacorbaria, Caprara d'Abruzzo, Musellaro, Corvara; provincia di Teramo: Pagliaroli, Silvi;
   a seguito della sospensione intervenuta nel mese di aprile 2015 e che è stata le grazie alla mobilitazione degli Enti Locali e alle iniziative parlamentari, è stato comunicato che sono state riviste, nella regione, 6 posizioni: per gli uffici postali di Torrone di Sulmona, Roccafinadamo di Penne e Altino inizialmente previsti in chiusura, quest'ultima è stata scongiurata e per essi saranno stabilite alcune giornate di apertura settimanale; mentre per i comuni di Silvi, Corvara ed Ari è stata sospesa la contrazione della riduzione dei giorni di apertura;
   si tratta di un intervento modesto che non modifica la sostanza del piano e fa scattare i 60 giorni entro cui saranno attuati gli interventi; in Abruzzo la data prevista è intorno ai primi di settembre 2015 –:
   se non intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché sia rivisto il piano di razionalizzazione coinvolgendo gli enti locali coinvolti dai pesanti tagli per trovare soluzioni condivise che non penalizzino le popolazioni interessate. (4-09979)


   VALLASCAS, DELLA VALLE, CIPRINI, DA VILLA, CRIPPA, MASSIMILIANO BERNINI e LOREFICE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a fine gennaio 2015, Poste Italiane, s.p.a. ha annunciato l'attuazione di un piano di razionalizzazione che, nelle linee generali, sarebbe caratterizzato da un consistente ridimensionamento dei servizi erogati;
   nello specifico, il programma dovrebbe prevedere la chiusura di circa 450 uffici su tutto il territorio nazionale nonché la riduzione dell'orario di apertura al pubblico in altri 600;
   considerate l'ampiezza e la qualità del ridimensionamento annunciato, il piano ha destato una legittima preoccupazione, tra operatori di Poste Italiane, utenti e amministratori locali per le molteplici situazioni di disagio che si potrebbero determinare a seguito del venir meno di un'articolazione capillare dei servizi nel territorio, pensata quale servizio universale garantito da sempre da Poste Italiane;
   peraltro, l'ipotesi di un ripensamento da parte di Poste Italiane in merito al servizio universale postale sarebbe confermato da alcune dichiarazioni, riportate dalla stampa, dell'amministratore delegato di Poste Italiane, Francesco Caio, all'indomani dell'approvazione del piano industriale e strategico 2015-2020 da parte del consiglio di amministrazione. In quella circostanza Caio avrebbe affermato che il piano Poste 2020 sarebbe molto ambizioso ma non potrebbe prescindere da un ripensamento del servizio universale postale che, secondo Caio, dovrebbe essere più rispondente alle nuove esigenze delle famiglie italiane, mentre, oggi, apparirebbe disallineato rispetto ai reali bisogni e quindi non più sostenibile dal punto di vista economico;
   il processo di razionalizzazione di Poste Italiane, dovrebbe interessare sedici comuni della Sardegna: dovrebbero chiudere le sedi di Pirri-Cagliari e Cortoghiana, mentre verrebbero ridotti i giorni di operatività degli uffici di Turri, Genuri, Tuili, Pauli Arbarei, Nurallao, Ballao, Modolo, Borutta, Esporlatu, Ozieri, Nughedu San Nicolò, Cheremule, Ardara e Romana;
   si tratta perlopiù di realtà isolate, dove risulterebbe socialmente insostenibile la chiusura di un ufficio postale, in un contesto in cui si è registrato un generale ridimensionamento dell'offerta di servizi pubblici e dove sono assenti adeguati collegamenti viari;
   dalla scelta dei centri oggetto di ridimensionamento, appare confermata l'ipotesi che il piano sarebbe stato frutto di considerazioni quantitative e numeriche, non contestualizzate ai casi particolari, ai limiti e alle criticità dei territori;
   questo stato di cose ha determinato una forte presa di posizione da parte degli amministratori locali della Sardegna che, attraverso gli organismi regionali, hanno preso parte alle iniziative avviate dall'Anci nazionale in tutta Italia per ottenere una riformulazione del piano di razionalizzazione in base alle esigenze reali dei territori;
   un primo risultato, verso un'armonizzazione del piano, sembrerebbe sia stato ottenuto a fine febbraio 2015, nel corso di un incontro tra Poste Italiane, Anci e rappresentanti delle regioni, al termine del quale l'Associazione nazionale dei comuni italiani diramò un comunicato dichiarando che «Poste italiane ha condiviso l'esigenza di istituire tavoli di confronto preventivo a livello di ciascuna regione per ascoltare le esigenze del territorio e condividere con gli amministratori locali le misure da porre in essere di volta in volta per garantire sì efficienza del sistema, ma senza penalizzare la fornitura del servizio universale e delle prestazioni da fornire permanentemente sul territorio nazionale, incluse le realtà periferiche di minore dimensione demografica»;
   il 23 giugno 2015 si è tenuto un incontro tra il sottosegretario per lo sviluppo economico, Antonello Giacomelli, il Presidente della Conferenza delle regioni, Sergio Chiamparino, l'amministratore delegato di Poste Italiane, Francesco Caio, e il coordinatore nazionale Anci per i piccoli comuni, Massimo Castelli;
   nel corso del citato incontro, secondo quanto è stato riportato da un comunicato diramato dall'Anci, il sottosegretario per lo sviluppo economico avrebbe condiviso le preoccupazioni illustrate dall'Anci aggiungendo che «pur nella consapevolezza della necessità di riorganizzare gli uffici non bisogna dimenticare e l'elevata percentuale di popolazione, anche anziana, che vive in molte aree del nostro paese dove è concreta la difficoltà di spostamenti e la ancora scarsa o inesistente copertura dei sistemi telematici»;
   nella medesima nota, il rappresentante dell'Anci riferiva la posizione di Poste Italiane e in particolare riferiva che «abbiamo accolto con favore le rassicurazioni dell'AD di Poste Italiane, Francesco Caio, che ci ha comunicato la revisione di almeno un centinaio degli interventi inizialmente previsti»;
   a tutt'oggi si registra una forte preoccupazione nei territori della Sardegna interessati dal piano di ridimensionamento per l'incertezza sulle decisioni finali di Poste Italiane e, quindi, sulle garanzie di continuità dei servizi postali erogati –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare per garantire la continuità dell'erogazione dei servizi di Poste Italiane in Sardegna in realtà territoriali, come quelli illustrate in premessa, nelle quali risulterebbe socialmente ed economicamente insostenibile la chiusura o la riduzione degli orari degli uffici;
   se non ritenga opportuno intervenire presso Poste Italiane al fine di conseguire una rimodulazione del processo di razionalizzazione in atto per renderlo più aderente con le peculiarità e le criticità dei singoli territori;
   quali iniziative intenda adottare per salvaguardare il servizio universale postale. (4-09992)


   CATALANO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione nr. 4/09082 del 6 maggio 2015 si è posta all'attenzione del Governo la questione relativa all'applicativo informatico, in utilizzo presso gli uffici postali, denominato Oracolo, qui da intendersi richiamata;
   nel suddetto atto si è fatto riferimento, fra l'altro, ad una frode, di ampie proporzioni, avente a oggetto buoni postali consumata in danno di utenti della società e si è sostenuto che ciò sarebbe avvenuto nonostante la citata procedura prevedesse, per il prodotto in questione, l'obbligo dell'identificazione sicura dei percettori delle somme;
   in relazione al citato procedimento penale, risulta essere stato chiesto dal PM, in data 27 aprile 2015 il rinvio a giudizio di numerosi individui, fra i quali dipendenti della società Poste, con conseguente avviso, da parte del GUP di Caltanissetta, di fissazione dell'udienza preliminare ai sensi dell'articolo 419 c.p.p.;
   nella richiesta di rinvio a giudizio risulta esplicitato che la negoziazione illecita dei buoni «è avvenuta sotto le false identità dei titolari da persona rimasta non identificata»;
   risulta all'interrogante che il software Oracolo non dia alcuna informazione sull'autenticità del documento, in quanto, non avendo un collegamento con l'anagrafe e rilevando soltanto che esso non sia stato smarrito o rubato, tale sistema eseguirebbe un controllo analogo a quello effettuato tramite il pubblico servizio di ricerca, parte del registro europeo Prado, offerto dal Servizio informativo interforze del Ministero dell'interno;
   risulta all'interrogante che l'inserimento in Oracolo di documenti di identità inesistenti, del tipo carta d'identità e passaporto, con numeri identificativi di invenzione, non restituisca alcun messaggio di errore da parte del sistema telematico;
   in data 21 luglio 2015, il quotidiano RiminiToday ha esposto la vicenda di due dipendenti di Poste che, dopo esseri trovati di fronte a una truffa allo sportello, sono stati sanzionati;
   i due si sono rivolti alla magistratura contestando la sanzione disciplinare, e il tribunale ha annullato la sanzione, sulla base della decisiva considerazione che – come esposto da SLP CISL – i dipendenti nell'occasione avrebbero «correttamente e diligentemente utilizzato il sistema di controllo della validità dei documenti denominato “Oracolo”, sistema che presentava delle gravi lacune operative che non erano state in alcun modo rese note e tantomeno spiegate ai dipendenti di Poste» –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa;
   in base a quali specifiche convenzioni avvengano le interconnessioni tra Oracolo e le banche dati delle pubbliche amministrazioni;
   qualora tali convenzioni non esistano, se il Governo non ritenga opportuno studiarne la stipulazione, al fin di consentire le opportune interconnessioni degli applicativi di Poste con le banche dati delle pubbliche amministrazioni, a tutela del risparmio e del patrimonio della società e degli utenti;
   se risulti quale soggetto abbia affidato il contratto di consulenza per la realizzazione del citato software;
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative per interfacciare il pubblico servizio di ricerca offerto dal servizio informativo interforze con le banche dati di anagrafe e altri enti pubblici, in modo da rendere possibile agli utenti non solo l'identificazione dei documenti rubati o smarriti, ma anche di quelli falsi, poiché corrispondenti a numeri non rilasciati. (4-09994)


   LOREFICE, MANTERO, SILVIA GIORDANO, DI VITA, GRILLO e BARONI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   Promuovitalia è un'azienda creata nel 2005 dall'allora Governo Berlusconi per fornire assistenza tecnica alle pubbliche amministrazioni che volevano occuparsi di turismo. Dal luglio del 2014 è in liquidazione e versa in difficoltà economiche al punto tale da non riuscire a corrispondere ai propri dipendenti lo stipendio dovuto né tanto meno a pagare le bollette della luce che vengono regolarmente recapitate;
   la cosa che risulta strana è che questa azienda dal 2005 al 2012 stipulava per 81 milioni di euro ed era arrivata ad impiegare 380 persone. A fine 2013 disponeva di 9 milioni di euro di finanziamenti e commesse superiori ai 25 milioni di euro e a distanza di un anno si è ritrovata con un buco di 17 milioni di euro, dipendenti senza stipendio e dirigenti indagati;
   quello che è successo dal 2013 in poi, e che ha portato a questa situazione, lo sta indagando la magistratura per ristabilire un quadro chiaro di tutta la vicenda;
   anche il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini ha avviato una commissione d'inchiesta interna al suo dicastero, con la speranza di comprendere cosa abbia determinato un tale default;
   la società Promuovitalia spa, con socio unico l'Enit, l'Agenzia nazionale del turismo, sotto il controllo del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo a cui di fatto appartiene, negli ultimi tre anni è infatti andata incontro a una serie di trasformazioni: sono stati presi tanti appalti europei di formazione dedicata agli inoccupati nel settore del turismo e anche le professionalità più spiccate sarebbero state mortificate da una gestione aziendale che il delegato del Ministro dell'epoca, Nicola Favia, nel novembre del 2013, non aveva esitato a definire disastrosa. Subito dopo la denuncia lo stesso è stato allontanato dal consiglio di amministrazione, ha subito una querela poi archiviata e opposta, e una serie di minacce;
   prima di Favia altri dirigenti sono stati licenziati dopo aver denunciato il progressivo degrado della società, come l'ex direttore Francesco Montera e i suoi vice Stefano Orsini e Olindo Ceccarelli;
   il Ministero dello sviluppo economico si è occupato della vicenda perché pare che il problema sia innanzitutto di tipo occupazionale. Il 24 aprile 2015 il Ministro dello sviluppo economico ha annunciato il raggiungimento di un'intesa (della quale non si conoscono i dettagli) che prevederebbe il ricollocamento dei lavoratori di Promuovitalia in Enit (Agenzia nazionale del turismo), Invitalia (Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa) e Italia Lavoro che promuove, per il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, attività tese a potenziare l'occupazione e l'inclusione sociale;
   un altro problema generato dalla «vertenza Promuovitalia» è quello che riguarda il mancato pagamento delle borse di studio promesse ai circa mille partecipanti al progetto «Lavoro e Sviluppo»;
   Promuovitalia ha tentato di difendersi addossando la responsabilità di quanto accaduto su un soggetto terzo: il Ministero dello sviluppo economico. «Il mancato incasso di oltre 4 milioni di euro, dovuti a Promuovitalia dal ministero dello Sviluppo economico a copertura di costi già sostenuti per realizzare attività già concluse – si legge in una nota diffusa dalla direzione generale dell'agenzia – ha creato alla società gravissimi problemi di liquidità. L'incasso delle suddette somme consentirà il pagamento delle borse lavoro e degli stipendi arretrati dei dipendenti»;
   oggi Promuovitalia è alla bancarotta e lo ha reso pubblico con uno scarno comunicato aziendale che avverte i creditori di aver richiesto un concordato preventivo in forza del quale «i creditori per titolo o causa anteriore al 20 maggio 2015 non possono iniziare o proseguire azioni cautelari sul patrimonio del debitore, sotto la pena della nullità delle medesime», e con il quale chiede a chi vanta crediti di rifare e reinviare i conteggi relativi ai crediti attesi entro e non oltre il 10 giugno;
   negli stessi giorni sul sito di Promuovitalia campeggiava l'avviso di «telefonare per ogni esigenza» visto che i servizi di posta elettronica erano guasti;
   si apprende in questi ultimi giorni dai giornali che sono stati rubati dei computer nella sede di Promuovitalia spa. Tale fatto potrebbe sembrare banale ma forse non lo è perché la sede della società in via San Claudio, a 100 metri dalla presidenza del Consiglio dei ministri e dal Parlamento, uno dei luoghi più vigilati di Roma. Inoltre, pare che i ladri siano arrivati con la piantina dell'edificio in mano, hanno operato su due piani diversi e trafugato e rubato solo alcuni computer;
   il giorno 13 luglio 2015 è stato emesso dal tribunale di Roma il provvedimento di fallimento n. 720/2015 della società Promuovitalia (curatore fallimentare dottor Rocchi Francesco) e tale procedura di fallimento è stata iscritta il giorno 15 luglio 2015 –:
   come intendano intervenire, per quanto di competenza, per fare chiarezza su quanto esposto in premessa, anche relativamente all'ammanco in bilancio di 11 milioni e mezzo di euro, e se intendano assumere nell'immediato opportune iniziative a tutela del credito vantato dai lavoratori e dai tirocinanti della società. (4-09997)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Prina n. 4-09929, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Senaldi, Malpezzi, Berlinghieri, Donati, Galperti, Cova, Rossi, Romanini, Quartapelle Procopio.

  L'interrogazione a risposta scritta Palmizio n. 4-09940, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Brunetta, Gelmini.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Pili n. 5-04402 dell'8 gennaio 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01640;
   interrogazione a risposta in Commissione De Rosa n. 5-04709 dell'11 febbraio 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01637;
   interrogazione a risposta in Commissione Busto n. 5-05366 del 16 aprile 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01639;
   interrogazione a risposta in Commissione Ventricelli n. 5-05876 del 24 giugno 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01638;