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CAMERA DEI DEPUTATI
Lunedì 15 gennaio 2018
942.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari esteri e comunitari (III)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Indagine conoscitiva sull'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

DOCUMENTO TRASMESSO DA CASSA DEPOSITI E PRESTITI IN DATA 22 DICEMBRE 2017

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ALLEGATO 2

Indagine conoscitiva sull'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

PROPOSTA DI DOCUMENTO CONCLUSIVO

Siamo decisi a liberare la razza umana dalla tirannia della povertà e vogliamo curare e salvaguardare il nostro pianeta. Siamo determinati a fare i passi audaci e trasformativi che sono urgentemente necessari per portare il mondo sulla strada della sostenibilità e della resilienza. Nell'intraprendere questo viaggio collettivo, promettiamo che nessuno verrà trascurato.

Dalla risoluzione adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 25 settembre 2015 «Trasformare il nostro mondo: l'Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile».

Premessa

  Il 16 luglio 2013, è stato istituito ai sensi dell'articolo 22, comma 4, del Regolamento, previa determinazione unanime dell'Ufficio di presidenza della III Commissione (Affari esteri e comunitari) integrato dai rappresentanti dei gruppi, il Comitato permanente sui temi dell'Agenda post-2015, cooperazione allo sviluppo e partenariato pubblico, sotto la presidenza della deputata Maria Edera Spadoni.
  Successivamente, alla luce degli esiti del Vertice ONU sullo sviluppo sostenibile, svoltosi a New York dal 25 al 27 settembre del 2015, il Comitato permanente è stato ricostituito, il 4 novembre 2015, con la nuova denominazione incentrata sull'Agenda 2030 e sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.
  Fin dall'avvio dei suoi lavori, il Comitato ha operato nell'intento di fare conoscere la situazione italiana su un insieme di questioni importanti per lo sviluppo e ricomprese nell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 25 settembre 2015 dai rappresentanti dei 193 Paesi membri dell'ONU: la lotta alla povertà, l'eliminazione della fame e il contrasto al cambiamento climatico, per citarne solo alcuni.
  L'Agenda si struttura in 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile, articolati in 169 target e 240 indicatori, non è una semplice agenda di cooperazione internazionale ma si fa portatrice di una visione integrata delle diverse dimensioni dello sviluppo, alle quali tutti gli Stati sono chiamati a contribuire con il coinvolgimento di tutte le componenti della società.
  Gli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (SDG) danno seguito ai risultati degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals, MDG) che li hanno preceduti e riguardano tutti i Paesi e tutti gli individui: nessuno ne è escluso, né deve essere lasciato indietro lungo il cammino necessario per portare il mondo sulla strada della sostenibilità.
  Su tali basi, nella riunione del 7 giugno 2016, su impulso del Comitato permanente, l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, della III Commissione Pag. 36ha convenuto in modo unanime di svolgere, ai sensi dell'articolo 144, comma 1, del Regolamento, un'indagine conoscitiva sull'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.
  La III Commissione ha, quindi, deliberato all'unanimità l'avvio dell'indagine conoscitiva il 14 giugno 2016, deliberando altresì che, fermo restando alla Commissione plenaria il compito di esaminarne le risultanze e di approvarne il documento conclusivo, lo svolgimento dei relativi lavori sarebbe stato affidato al già istituito Comitato permanente sull'attuazione dell'Agenda 2030 e gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Il termine di conclusione dell'indagine, inizialmente fissato al 31 dicembre 2016, è stato prorogato al 31 dicembre 2017.
  Su impulso della presidente Spadoni, l'indagine si è soffermata in particolare sull'Obiettivo n. 16 (pace, giustizia e istituzioni forti). La domanda da cui si è partiti è stata: in che modo la promozione di società pacifiche può contribuire alla prosperità e al miglioramento delle condizioni di vita delle persone ? In che modo possiamo fornire un accesso universale alla giustizia, costruire istituzioni responsabili ed efficaci a tutti i livelli ?
  Soprattutto, in che modo possiamo, entro il 2030, ridurre in maniera significativa il finanziamento illecito e il traffico di armi e combattere tutte le forme di crimine organizzato ?
  Dalle audizioni dedicate a questo tema – con rappresentanti dell'Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (OPAL) e dell'Autorità nazionale – UAMA (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento) – è emersa la conclusione che è necessaria maggiore trasparenza nell’import export di armi e che è fondamentale porre fine alla vendita di armamenti a Paesi che non possiedono determinati criteri. La legge n. 185 del 1990 (oltre che l'Arms Trade Treaty, il Trattato sul commercio delle armi) è chiara su questo: è illegale vendere armi a Paesi in conflitto o che violano i diritti umani.
  Anche l'Obiettivo n. 5 (uguaglianza di genere) è stato oggetto di approfondimento nel corso dell'indagine. Come emerso dall'audizione di rappresentanti dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) per la salute della famiglia, delle donne e dei bambini, quando si guarda il panorama globale, si nota che i dati di salute pubblica internazionale sono ancora estremamente preoccupanti: abbiamo, tuttora, circa 300 mila donne che muoiono soltanto per partorire, e circa 500 mila donne che sono affette da cancro della cervice.
  Si tratta di dati sottostimati, perché i dati che abbiamo, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, sono ancora insufficienti. Si tratta di dati sulla violenza sulle donne assolutamente oltraggiosi, poiché emerge dai dati di sessantasette Paesi di tutte le regioni del mondo e di tutti i livelli di reddito, che una donna su tre, durante il corso della propria vita, è oggetto di violenza.
  L'indagine conoscitiva ha consentito di portare avanti un ingente lavoro di approfondimento estremamente importante per il Parlamento, per gli apparati di governo e per il mondo della cooperazione, fornendo un significativo contributo ad una più matura consapevolezza della centralità dell'Agenda 2030 per il futuro ed il benessere del nostro Paese, primo requisito per raggiungere pienamente gli Obiettivi entro il 2030.

1. L'attività del Comitato permanente prima dell'avvio dell'indagine conoscitiva.

  Sulla base dell'esperienza maturata dal Comitato per gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio costituito nella XVI Legislatura, il Comitato ha deliberato nella seduta del 23 luglio del 2013, un articolato programma di lavoro comprendente lo svolgimento di audizioni di rappresentanti del mondo del volontariato e delle ONG, per acquisire elementi sul dibattito internazionale riguardante la costruzione della nuova agenda globale per lo sviluppo per gli anni successivi al 2015.Pag. 37
  Il secondo indirizzo di lavoro sul quale il Comitato ha convenuto è stato quello dell'approfondimento dei principali punti nodali della riforma della legislazione nazionale sulla cooperazione allo sviluppo, a partire dal profilo del partenariato tra attori pubblici e privati.
  Il lavoro del Comitato è stato quindi inaugurato dall'audizione del viceministro degli affari esteri, Lapo Pistelli (seduta del 1o agosto 2013) che ha tra l'altro toccato il tema della riflessione che ha coinvolto la Comunità internazionale a proposito della necessità di fare convergere i due filoni che riconducono il tema dello sviluppo, rispettivamente, agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile – gli SDG proposti nella Conferenza Rio+20 – da un lato, ed i MDG, dall'altro.
  Successivamente, nella seduta del 26 settembre, la presidente Spadoni ha riferito al Comitato circa lo svolgimento, da parte di una delegazione delle Commissioni affari esteri delle due Camere, di una missione in Afghanistan, dall'11 al 14 settembre di quell'anno, per visitare le attività in loco svolte dalla cooperazione italiana, su invito del viceministro degli affari esteri Pistelli.
  Il 17 ottobre 2013 è stato sentito il Direttore generale per la cooperazione allo sviluppo, Ministro plenipotenziario, Giampaolo Cantini che ha innanzitutto ricordato come il tema principale scelto dal Presidente dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite per la 68ma Sessione (inaugurata nel settembre 2013) fosse il conseguimento degli obiettivi del millennio entro il 2015 e l'avvio del processo negoziale per la definizione della nuova Agenda per lo sviluppo.
  Il Ministro plenipotenziario Cantini ha poi riferito del dibatto internazionale sull'Agenda post-2015, nel quale emergeva l'esigenza di riprendere gli obiettivi attuali, ma anche di dare un risalto adeguato alle condizioni di pace e sicurezza, ai temi della governance e della rule of law come componenti fondamentali per le strategie di sviluppo, nonché ai temi di genere.
  Riguardo ai temi connessi alla cooperazione italiana allo sviluppo, l'Ambasciatore Cantini ha dato conto delle risorse disponibili e delle numerose importanti scadenze a livello internazionale nelle quali la cooperazione italiana è impegnata, tra le quali l'Expo 2015 e la II Conferenza mondiale sulla nutrizione del successivo novembre.
  Nella seduta del 13 febbraio 2014 il Comitato Agenda post-2015 ha esaminato la Relazione annuale al Parlamento sull'attuazione della politica di cooperazione allo sviluppo nel 2012 e la Relazione predisposta dal Ministero dell'economia e delle finanze sull'attività di banche e fondi di sviluppo a carattere multilaterale e sulla partecipazione italiana alle risorse di detti organismi per l'anno 2012.
  Un ulteriore aggiornamento sullo stato degli interventi della cooperazione italiana e sull'utilizzazione delle relative risorse, auspicato nella precedente audizione del 17 ottobre, è stato fornito dal Direttore generale della cooperazione allo sviluppo nella seduta del 30 aprile 2014. Il 17 settembre 2014 il Comitato ha svolto l'audizione del viceministro Pistelli, all'esito dell'approvazione della nuova normativa sulla cooperazione italiana allo sviluppo, approvata dal Parlamento con la legge 11 agosto 2014, n. 125.
  L'audizione del viceministro Pistelli ha avuto l'obiettivo precipuo di focalizzare l'attenzione sugli strumenti di attuazione della nuova normativa; tre mesi dopo, il 17 dicembre 2014, il Comitato ha nuovamente ascoltato il Direttore generale della cooperazione allo sviluppo sul processo di attuazione nuova normativa nazionale sulla cooperazione allo sviluppo introdotta dalla citata legge n. 125 del 2014.
  Nella seduta del 17 marzo 2015, poi, il Comitato permanente ha proceduto all'audizione del funzionario preposto all'Unità tecnica centrale di supporto alla Direzione generale cooperazione e sviluppo del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro plenipotenziario Francesco Paolo Venier, in ordine alle attività dell'Unità tecnica suddetta nel più ampio quadro dell'attuazione della legge che ha profondamente innovato Pag. 38la disciplina italiana sulla cooperazione allo sviluppo, vale a dire la legge n. 125 del 2014.
  Il Comitato ha inoltre svolto una serie di audizioni informali. Sono stati finora ascoltati rappresentanti di Action Aid, di Save the Children Italia, della Fondazione Pangea e dell'Iniziativa Ara Pacis (5 novembre 2013), il presidente di Green Cross Italia, Elio Pacilio (14 novembre 2013), il presidente di UNICEF Italia, Giacomo Guerrera (19 novembre 2013), padre Zanotelli, direttore di Nigrizia (17 dicembre 2013), il dottor Giovanni Putoto, responsabile per la programmazione della ONG Medici per l'Africa-CUAMM (6 maggio 2014). Il 16 giugno 2015, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto ministeriale riguardante lo statuto dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (ora decreto ministeriale 22 luglio 2015, n. 113) si è svolta l'audizione informale di rappresentanti di associazioni di coordinamento di organizzazioni non governative operanti nel settore della cooperazione allo sviluppo.
  Nella seduta del 4 novembre 2015, a seguito del rinnovo dell'Ufficio di presidenza della Commissione, il Comitato è stato ricostituito sotto la presidenza della deputata Spadoni, assumendo la denominazione di Comitato permanente sull'attuazione dell'Agenda 2030 e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile, in coerenza con la terminologia impiegata nell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile adottata il 25 settembre dello stesso anno dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, nella quale si delineano a livello mondiale i 17 obiettivi di sviluppo globale per i successivi 15 anni.
  Il 16 dicembre dello stesso anno, il Comitato ha provveduto a definire gli obiettivi del suo lavoro ed ha concordato sull'esigenza di proporre all'Ufficio di presidenza della Commissione lo svolgimento di un'indagine conoscitiva sull'attuazione dell'Agenda 2030 e sui nuovi Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.
  Nel corso della stessa seduta la presidente Spadoni ha riferito della partecipazione di una delegazione della Commissione affari esteri e comunitari alla riunione interparlamentare, promossa e ospitata dalla Commissione sviluppo del Parlamento europeo il 13 ottobre 2015, sul tema dell'attuazione dei nuovi Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, nonché sulla sua partecipazione alla riunione dei presidenti delle Commissioni competenti in materia di cooperazione allo sviluppo del Parlamento europeo, dei parlamenti degli Stati membri dell'UE e dei Paesi candidati all'adesione, promossa dalla Presidenza della Camera dei deputati lussemburghese, svoltasi nella capitale del Granducato l'11 dicembre 2015.

2. Programma ed articolazione dei lavori dell'indagine.

  I lavori dell'indagine hanno potuto beneficiare – oltre che dell'ampio lavoro istruttorio svolto dal Comitato permanente tra il 2013 ed il 2016, cui si è già fatto cenno – anche dell'esperienza maturata con l'attività dell'analogo Comitato permanente istituito nella precedente legislatura, a dimostrazione di una significativa linea di continuità nell'attenzione riservata dal Parlamento alle grandi problematiche dello sviluppo sostenibile.
  Il programma dell'indagine conoscitiva, deliberato dalla Commissione il 14 giugno 2016, ha individuato come obiettivo prioritario l'approfondimento dell'attività posta in essere dalla Comunità internazionale e dal Governo italiano per il raggiungimento dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, anche in quanto orizzonte di riferimento per il settore della cooperazione italiana allo sviluppo.
  Come evidenziato in premessa, l'indagine ha puntato prioritariamente ad effettuare, sia pure in un arco di tempo limitato, una di serie di valutazioni in vista di una qualificazione dell'impegno italiano per la realizzazione dell'Agenda 2030 su alcuni versanti cruciali come il contrasto alla diffusione di HIV, malaria e AIDS, la promozione della salute materno-infantile e la lotta al traffico delle armi.
  Più in generale, nel corso dell'indagine conoscitiva si è progressivamente consolidata Pag. 39la consapevolezza dei nessi che collegano l'obiettivo di dare vita a società pacifiche – evocato dall'Obiettivo n. 16 dell'Agenda – ad altri obiettivi di portata universale, come il miglioramento delle condizioni di vita delle persone e la costruzione di istituzioni responsabili ed efficaci a tutti i livelli.
  Il programma dei lavori d'indagine ha individuato gli interlocutori da audire nei rappresentanti dei Dicasteri competenti, nei vertici di organizzazioni ed agenzie internazionali competenti in materia, in quelli delle istituzioni finanziarie internazionali, in rappresentanti di organi di informazione ed esponenti del settore privato, nonché in esperti ed esponenti della comunità accademica.
  All'interno della predetta cornice programmatica i lavori dell'indagine si sono articolati in una serie di audizioni individuate in modo da approfondire alcuni filoni tematici ricompresi nell'Agenda 2030, nella consapevolezza che l'approccio ai temi della povertà non può infatti che essere onnicomprensivo e deve anzi scongiurare ogni frammentazione degli interventi che possa condurre ad inefficienze se non a gravi omissioni.
  Nel corso dell'indagine conoscitiva sono state svolte le seguenti audizioni:
   Christoph Benn, direttore per le relazioni esterne del Fondo globale per la lotta all'AIDS, la tubercolosi e la malaria, Stefano Vella (5 luglio 2016);
   Enrico Giovannini, portavoce dell'Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS), (13 luglio 2016);
   Flavia Bustreo, vicedirettrice generale per le questioni della salute della famiglia, delle donne e dei bambini dell'Organizzazione mondiale della sanità (14 luglio 2016);
   Mario Giro, viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale (9 novembre 2016);
   Andrea Buscaglia, direttore finanziario di Medicines for Malaria Venture (MMV) e Silvia Ferazzi, responsabile per le relazioni esterne dello stesso organismo (18 gennaio 2017);
   Vincenzo Curatola, presidente del Forum permanente per il sostegno a distanza (ForumSaD), Corrado Oppedisano e Simona Chiapparo, rappresentanti dello stesso Forum (7 febbraio 2017);
   Francesco Azzarello, Direttore dell'Autorità nazionale – UAMA (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento) (22 marzo 2017);
   Giorgio Beretta, ricercatore dell'Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa (OPAL) (4 ottobre 2017).

  Ad integrazione di tale elenco, vi è da segnalare un contributo scritto, sostitutivo dell'audizione, inviato alla III Commissione il 22 dicembre scorso da parte di Cassa Depositi e Prestiti Spa.
  Nella seduta del 21 dicembre 2016, la III Commissione, a seguito di valutazione unanime da parte dell'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha deciso di prorogare al 31 dicembre 2017 il termine di conclusione dell'indagine, inizialmente posto al 31 dicembre 2016.

3. Gli obiettivi dell'Agenda 2030 e la loro attuazione a livello internazionale.

  Si ricorda che l'Agenda 2030 – adottata dalle Nazioni Unite nel settembre 2015 – si struttura in 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, articolati in 169 target e 240 indicatori, non è una semplice agenda di cooperazione internazionale ma si fa portatrice di una visione integrata delle diverse dimensioni dello sviluppo, alle quali tutti gli Stati sono chiamati a contribuire con il coinvolgimento di tutte le componenti della società.
  Questi i 17 Obiettivi che definiscono l'orizzonte di intervento per le politiche Pag. 40di sviluppo nei diversi Paesi e a livello mondiale:
   1. eliminare la povertà in tutte le sue forme e dovunque;
   2. eliminare la fame, conseguire la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere l'agricoltura sostenibile;
   3. garantire salute e benessere per tutti a qualsiasi età;
   4. garantire un'istruzione di qualità inclusiva ed equa e promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti;
   5. raggiungere l'uguaglianza di genere e l’empowerment di tutte le donne e ragazze;
   6. assicurare a tutti disponibilità e gestione sostenibile dell'acqua, condizioni d'igiene e smaltimento dei rifiuti;
   7. assicurare a tutti accesso a un'energia moderna, sostenibile e a prezzi equi;
   8. promuovere una crescita economica sostenuta, inclusiva e sostenibile, un'occupazione piena e produttiva e un lavoro a condizioni dignitose per tutti;
   9. costruire infrastrutture resilienti, promuovere un'industrializzazione inclusiva e sostenibile e favorire l'innovazione;
   10. ridurre le disuguaglianze tra i Paesi e all'interno dei Paesi;
   11. rendere le città e tutti gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili;
   12. garantire modelli di produzione e consumo sostenibili;
   13. adottare misure urgenti per contrastare i cambiamenti climatici e gli impatti che ne derivano;
   14. conservare e usare in modo sostenibile oceani, mari e risorse marine per lo sviluppo sostenibile;
   15. proteggere, ripristinare e promuovere l'uso sostenibile degli ecosistemi terrestri, gestire in modo sostenibile le foreste, combattere la desertificazione, arrestare e invertire il processo di degrado della terra e la perdita di biodiversità;
   16. promuovere società pacifiche e inclusive per lo sviluppo sostenibile, garantire accesso alla giustizia per tutti e costruire istituzioni efficaci, trasparenti e inclusive a tutti i livelli;
   17. rafforzare i mezzi e le risorse finanziarie necessarie per lo sviluppo sostenibile e rilanciare il partenariato globale per lo sviluppo sostenibile.

  I 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e i 169 target attuativi per il loro conseguimento, pur presentando evidenti analogie con gli Obiettivi di sviluppo del Millennio fissati per il 2015, ne operano tuttavia anche un allargamento, estendendo l'Agenda 2030 dal solo pilastro sociale agli altri due pilastri economico e ambientale.
  Un altro sforzo della nuova Agenda 2030 risiede nell'intenzione di una integrazione totale, nel perseguire gli obiettivi, delle tre dimensioni sociale, economica e ambientale, superando precedenti logiche settoriali.
  Il risultato è tuttavia quello di una potenziale maggior difficoltà nell'azione delle agenzie incaricate a livello internazionale delle politiche di sviluppo, la cui opera potrebbe essere interferita continuativamente da problemi non strettamente riconducibili allo specifico intervento in cui sono impegnate, solo perché quei problemi presentano evidenti correlazioni con il medesimo.
  A livello internazionale, un primo significativo momento di attuazione dell'Obiettivo n. 13 dell'Agenda è stato rappresentato dall'accordo di Parigi sui cambiamenti climatici sottoscritto a fine 2015, che ha per la prima volta identificato impegni effettivi da parte degli Stati, ratificati poi in tempi rapidi rispetto a quanto successo precedentemente con il Protocollo di Kyoto, e soprattutto subito vigenti. Il Parlamento europeo lo ha infatti Pag. 41ratificato in ottobre, seguito da quello italiano in novembre (legge 4 novembre 2016, n. 204). Il tema è stato poi tra le priorità del G7 a presidenza italiana e del G20 svoltosi in Germania.
  Purtroppo in queste due occasioni le posizioni della nuova Presidenza statunitense hanno reso più difficile condividere un documento programmatico sul cambiamento climatico, ma tutti i Paesi, Stati Uniti inclusi, hanno ribadito l'impegno per una strategia di riduzione delle emissioni.
  Il cambiamento climatico è stato una delle tre priorità del G7 a presidenza italiana, tutte coerenti con l'Agenda 2030: sicurezza dei cittadini; sostenibilità ambientale, sociale ed economica e riduzione delle ineguaglianze; innovazione, competenze e lavoro nell'età della digitalizzazione («Next Production Revolution»).
  In occasione dell'incontro di Amburgo dei Capi di Stato e di Governo del G20, invece, è stato aggiornato proprio il Piano d'azione 2016 per gli SDG con il documento «Hamburg Update: Taking forward the G20 Action Plan on the 2030 Agenda». Si tratta del primo caso in cui incontri internazionali volti a discutere e condividere scelte di politica macroeconomica si sono focalizzati su questioni inerenti la sostenibilità sociale ed ambientale dello sviluppo.
  Le azioni condivise dal G7 hanno riguardato misure per l'inclusione e l'equità economica, focalizzandosi su politiche di genere e su approcci di partnership in particolare con l'Africa, per un modello economico più inclusivo, considerando l'innovazione digitale e la gestione efficiente delle risorse quali leve di promozione economica, identificando nell'evoluzione della finanza uno strumento fondamentale per cambiare le direttrici dello sviluppo.
  Anche tra gli impegni assunti dal G20 sicuramente ha un peso particolare l'attenzione data alla finanza, non solo pubblica – con richieste specifiche al Fondo monetario internazionale – ma anche privata, dalla quale ci si attende un contributo importante nella correzione del modello di sviluppo.
  Posizione coerente con la scelta della Commissione europea di costituire una task force di esperti per definire una strategia europea per la finanza sostenibile, che a luglio ha sottoposto il suo primo rapporto, da finalizzarsi entro fine anno, alla consultazione degli stakeholder.
  La strategia europea per la finanza sostenibile è una priorità del piano di azione della Commissione per l'Unione dei Mercati dei Capitali. Se fino a questo momento l'obiettivo ultimo delle iniziative prese in ambito europeo era stato però quello di stabilizzare il sistema finanziario, ora l'intento è quello di migliorarne il funzionamento stimolando la crescita e l'occupazione e promuovendo il relativo contributo ad un modello di sviluppo sostenibile.
  È interessante osservare che tra le proposte sono presentate alcune possibilità di integrazione del concetto di sostenibilità all'interno del quadro regolamentare e politico europeo del settore finanziario, analizzando nello specifico le aree che riguardano l'informativa (disclosure), l'obbligo fiduciario (fiduciary duty) e la corporate governance.
  È da notare, inoltre, come sulle proposte per inglobare l'Agenda 2030 avanzate a novembre 2016 dalla Commissione sia intervenuto il Consiglio per gli Affari Generali, il 20 giugno 2017, per chiedere impegni più stringenti e modalità di verifica più pervasive – tra cui lo sviluppo di valutazioni d'impatto delle nuove iniziative legislative utilizzando l'Agenda 2030 e gli SDG –, mentre il 6 luglio 2017 il Parlamento europeo abbia approvato una Risoluzione che invita la Commissione a specificare meglio come l'Unione intende integrare i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile nelle proprie strategie.
  Ad oggi si è in attesa del lancio di una piattaforma multi-stakeholder per favorire il partenariato pubblico-privato e lo scambio di informazioni sulle best practice per il raggiungimento degli SDG nei vari settori, Pag. 42ma è emblematica la sollecitazione comune ai diversi interlocutori a conservare un ruolo di leadership, fino ad oggi ampiamente dimostrato con politiche di inclusione sociale e tutela ambientale, che rischia di non essere adeguato alle sfide del nuovo millennio.
  Per concludere, a luglio scorso a New York si è svolto l’High Level Political Forum 2017, un incontro internazionale che si svolge ogni anno per verificare progressi e ritardi nell'attuazione dei 17 Obiettivi dell'Agenda 2030 al quale partecipano Stati, governi locali, imprese, società civile per darsi regole ed obiettivi comuni. I temi prescelti per le analisi quest'anno sono stati soprattutto povertà, fame, salute, parità di genere, infrastrutture e tutela degli oceani.
  Nel biennio 2016-2017 66 Paesi hanno presentato le proprie strategie per l'attuazione dell'Agenda 2030, tra cui l'Italia.

4. Le problematiche affrontate nel ciclo di audizioni.

4.1. La lotta all'AIDS, alla tubercolosi ed alla malaria.

  Un primo filone oggetto di approfondimento nel corso dei lavori dell'indagine è stato quello, afferente all'Obiettivo globale n. 3, del contrasto alla diffusione dell'AIDS, della tubercolosi e della malaria che si ricollega espressamente al traguardo 3.3 dell'Agenda che punta, entro il 2030, a porre fine alle epidemie di AIDS, tubercolosi, malaria e malattie tropicali trascurate.
  Se l'incidenza di AIDS, malaria e tubercolosi è in calo, nel 2015, si sono registrati 2,1 milioni di nuovi infetti di AIDS e 214 milioni di persone hanno contratto la malaria (l'89 per cento dei casi in Africa sub-sahariana).
  L'indagine conoscitiva si è quindi aperta, il 5 luglio 2016 con l'audizione del direttore per le relazioni esterne del Fondo globale per la lotta all'AIDS, la tubercolosi e la malaria, Christoph Benn.
  Il dottor Benn ha presentato un'ampia ricognizione della struttura organizzativa e delle attività del Fondo, che è al tempo stesso un'istituzione finanziaria progettata per combattere AIDS, tubercolosi e malaria nella loro forma epidemica ed un partenariato tra governi, società civile, settore privato e persone affette dalle malattie.
  Il Fondo, istituito nel 2001, raccoglie ed investe circa 4 miliardi di dollari l'anno per sostenere programmi gestiti da esperti locali – e non direttamente dal Fondo – nei Paesi e nelle comunità colpite dalle epidemie. Il Fondo ha base a Ginevra ed è composto da personale dalla più varia esperienza professionale proveniente da oltre 100 differenti paesi.
  Gli investimenti effettuati nelle aree colpite dalle epidemie sono modellati sulle esigenze specifiche e sulle caratteristiche di ciascun Paese, nonché su quelle delle comunità più colpite dalle tre malattie, in ossequio al principio della country ownership e dei complementari princìpi del finanziamento performance-based, che correla il finanziamento a risultati comprovati, monitorati e verificati dagli agenti locali, ed al principio di trasparenza.
  Replicando ad uno specifico quesito posto dalla presidente Spadoni, il dirigente del Fondo ha precisato che l'incidenza dei costi operativi è pari al 3 per cento dei 4 miliardi di dollari annualmente spesi per i programmi.
  Con riferimento al contributo italiano al Fondo, si rammenta che dal 2001, l'Italia ha erogato complessivamente 890 milioni di euro. Si segnala che, sul piano finanziario, si era registrata una battuta d'arresto poiché, malgrado impegni formalmente assunti, l'Italia non aveva onorato gli ultimi impegni per gli anni 2009 e 2010.
  Nel dicembre 2013, durante la Conferenza di replenishment di Washington il nostro Paese è rientrato a pieno titolo tra i finanziatori del Fondo con un impegno per il triennio 2014-2016 pari ad un totale di 100 milioni di euro.
  Benn ha sottolineato come il Fondo globale rappresenti in un certo senso il Pag. 43risultato di un autentico e straordinario movimento globale, che ha dato slancio a tutte le persone che vivono a contatto con AIDS, tubercolosi e malaria, centinaia di migliaia di organizzazioni della società civile in tutto il mondo, che hanno lottato e si sono impegnate per creare un fondo affinché si potesse garantire a tutti, a prescindere dal Paese di nascita, ricco o meno ricco, l'accesso a un livello minimo di prevenzione, assistenza e cura. Esso rappresenta da un lato un modello a riprova di come il mondo si sia riunito per lottare contro queste malattie, rafforzare i sistemi sanitari e avanzare verso gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile ed al tempo stesso uno strumento straordinario di solidarietà globale.
  In relazione alle linee strategiche del Fondo globale, Benn ha ricordato che esse si articolano su quattro princìpi fondamentali approvati nell'aprile 2016 dal Consiglio d'amministrazione, a partire dall'obiettivo di porre fine entro il 2030 all'AIDS, alla tubercolosi e alla malaria, raggiungendo in tal modo il terzo degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile fissati a livello internazionale.
  Un altro nodo essenziale della strategia del Fondo è la creazione di sistemi sanitari resilienti e sostenibili, come anche la protezione, nell'ambito delle proprie attività, dei diritti umani e della parità di genere, in quanto soprattutto l'AIDS e la tubercolosi risultano essere malattie che colpiscono segnatamente categorie di persone svantaggiate, emarginate e spesso criminalizzate, come ad esempio le comunità oggetto di discriminazione per le scelte sessuali, le comunità carcerarie e le giovani donne.
  In sede di replica, il dirigente del Fondo globale, rispondendo a una sollecitazione specifica della presidente Spadoni, ha trattato dei costi operativi dell'organismo, che sin dall'inizio ha deciso di lavorare solo da Ginevra, senza aprire uffici nei vari Paesi con evidenti possibili aggravi di costo.
  La percentuale dei costi operativi del Fondo globale rispetto alle sovvenzioni che esso amministra è inferiore al 3 per cento, un tasso, secondo Benn, molto basso in rapporto agli standard delle diverse organizzazioni internazionali. Per quanto poi riguarda il controllo sulle spese a livello locale dei contributi erogati dal Fondo, il sistema impiegato si articola su tre livelli: anzitutto le squadre-Paese del Fondo globale visitano i Paesi di cui sono rispettivamente responsabili.
  L'Italia è, dai tempi del G8 del 2001, uno dei principali donatori del Fondo globale ed ha svolto un ruolo attivo nel suo sistema di governo, avendo ospitato a Roma nel 2005 la prima riunione dei donatori per ricostituire le risorse del Fondo globale. In qualità di membro del seggio della Commissione europea, il Governo italiano è rappresentato nel Consiglio di amministrazione del Fondo globale, dove contribuisce a elaborare importanti politiche, riguardanti, tra l'altro, promozione dei diritti umani, trasparenza e investimenti in Paesi e regioni fragili.
  Gli importanti investimenti dell'Italia hanno aiutato il Fondo globale a realizzare risultati straordinari dal 2002. Grazie al Fondo globale 8,6 milioni di persone ricevono una terapia antiretrovirale (ARV) per l'HIV e 15 milioni ricevono cure per la tubercolosi (dati dicembre 2015). Inoltre, con il sostegno del Fondo globale, sono state distribuite 600 milioni di zanzariere trattate con insetticida per proteggere dalla malaria.
  Il dirigente del Fondo globale ha definito un passo importante l'annuncio da parte del Governo di riattivare il canale di finanziamenti italiani al Fondo globale così come il meccanismo delineato dalla nuova normativa sulla cooperazione per un aumento delle risorse destinate all'aiuto pubblico allo sviluppo.
  Non a caso, proprio il nodo del rifinanziamento, da parte del nostro Paese, del Fondo globale, è stato al centro della risoluzione n. 8/00186, d'iniziativa dell'on. Quartapelle Procopio, approvata dalla III Commissione il 14 giugno 2016: l'atto d'indirizzo ha impegnato il Governo a formalizzare in occasione della sessione finale della quinta Conferenza di rifinanziamento del Fondo globale un significativo Pag. 44rafforzamento dell'impegno dell'Italia per il triennio 2017-2019, a conferma del rinnovato impegno italiano nell'ambito della cooperazione internazionale allo sviluppo ed a promuovere, accanto al rafforzato impegno finanziario, un ruolo politico più attivo dell'Italia in seno alla struttura di governo del Fondo globale.
  Ulteriori utili indicazioni sono emerse, sempre su questo versante d'intervento, nel corso dell'audizione di esponenti dell'ONG Medicines for Malaria Venture (MMV), svoltasi il 18 gennaio 2017, che hanno illustrato alcuni meccanismi innovatori di aiuto allo sviluppo, presentando il modello di lavoro di MMV come un esempio di partenariato pubblico-privato di successo.
  MMV è un'organizzazione a metà strada tra il pubblico e il privato, che è stata costituita alla fine del 1999, poiché l'Organizzazione mondiale della sanità ed i principali Paesi sviluppati del mondo avevano maturato la consapevolezza che il portafoglio di prodotti delle società farmaceutiche era drammaticamente vuoto e non aveva armi per combattere la malattia.
  Ciò era dovuto al fatto che i Paesi endemici sono poveri e non possono permettersi di pagare prezzi da mondo occidentale per i trattamenti e, quindi, le società farmaceutiche non erano incentivate a produrli.
  Rispetto a organizzazioni con le quali collabora, come per esempio il Fondo globale, MMV è molto piccola, formata da circa novanta persone, con un budget annuale di 80 milioni di dollari.
  Il 60 per cento delle risorse di MMV, che ha raccolto più o meno un miliardo dall'inizio della sua attività a oggi, è donato dalla Bill and Melinda Gates Foundation. Il secondo più grande donatore è il Regno Unito, con l'agenzia che si chiama DFID (Department for International Development). In seguito ci sono tutta una pletora di altri governi donatori.
  Per quanto riguarda gli investimenti, nel 2015 gli 80 milioni spesi sono stati investiti per il 71 per cento in ricerca e sviluppo e per il 17 per cento in access (attività di accesso del prodotto). La parte residuale, di poco superiore al 10 per cento, è la parte di overhead (pagamento della struttura), che è una percentuale molto limitata, di cui MMV va fiera, poiché implica che l'80, 90 per cento delle risorse che sono donate sono effettivamente investite nelle attività principali dell'organizzazione.
  Il dott. Andrea Buscaglia, direttore finanziario di MMV, ha altresì ricordato che attualmente ci sono 200 milioni di infezioni e oltre 3 miliardi di persone a rischio malaria nel mondo. I decessi per malaria sono scesi in maniera molto significativa negli ultimi anni, passando da un milione, di una decina di anni fa, a circa 400.000-500.000. Chiaramente le stime sono sempre difficili da sostanziare in maniera circostanziata.
  La maggior parte delle vittime sono bambini sotto i cinque anni, perché non hanno ancora sviluppato il sistema immunitario. Ci sono ugualmente molte vittime tra le donne, soprattutto donne incinte, perché il sistema immunitario è soppresso durante il periodo della gravidanza. Queste sono le due principali categorie di esseri umani colpiti.
  L'Africa ma anche molte zone dell'Asia e dell'America Latina sono colpite. L'Italia stessa lo era fino a ottanta-novanta anni fa e forse anche in Grecia esistono ancora delle zone colpite. Tuttavia, l'Africa chiaramente è il continente più colpito dalla malattia.
  Una caratteristica abbastanza peculiare della malattia è che il parassita sviluppa una resistenza, quindi è necessario rinnovare i prodotti medicinali per combattere la malaria in continuazione. Il costo della malaria è estremamente elevato in termini di mancato sviluppo dei Paesi che ne sono colpiti.
  Il dottor Buscaglia ha sottolineato come combattere la malaria aiuti a conseguire alcuni degli obiettivi dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite e in particolare: l'Obiettivo 1, quello di porre fine a forme di povertà nel mondo, in quanto la malaria è una malattia della povertà; l'Obiettivo 3, quello di assicurare la salute e il benessere Pag. 45per tutti, in particolare cercando di porre fine entro il 2030 a epidemie di AIDS, tubercolosi e malaria; infine, l'Obiettivo 8, quello di incentivare la crescita economica dei Paesi che ne sono colpiti.
  Gli interventi contro la malaria consentono in maniera molto chiara e diretta di raggiungere questi tre obiettivi, in quanto una riduzione del 10 per cento della malaria determina una crescita dello 0,5 per cento del prodotto lordo annuale nel mondo. Si possono evitare milioni di infezioni e parecchi morti e si può favorire il conseguimento di uno sviluppo economico dei Paesi che sono colpiti dall'epidemia.
  Particolare rilievo è stato posto, da parte dei rappresentanti di MMV, nell'illustrazione delle modalità con cui l'organizzazione riesce a fare leva sull'apporto dell'industria farmaceutica per combattere la malattia. MMV collabora con grandi gruppi farmaceutici, tra i quali la Sanofi, francese, la Novartis, svizzera, la GlaxoSmithKline (GSK), inglese, la Sigma-Tau di Pomezia, società che peraltro è stata assorbita recentemente dal Gruppo Alfa Wassermann di Bologna.
  In generale, MMV riesce a generare un effetto leva sugli investimenti dell'industria farmaceutica mondiale che è pari statisticamente, tale per cui per ogni dollaro investito da MMV e che proviene dalle donazioni corrispondono altri 2,5 dollari di sostegno non monetario, tramite i loro laboratori di ricerca e le attività in kind che, di fatto, forniscono per lo sviluppo di certi prodotti, e molto spesso si concretizzano in un apporto monetario ulteriore.
  Particolarmente approfondita è stata, anche su sollecitazione della presidente Spadoni, l'illustrazione da parte degli auditi, dei criteri e delle modalità che presiedono alla raccolta dei fondi di MMV. In particolare, Silvia Ferazzi, responsabile per le relazioni esterne dell'organizzazione, ha chiarito che MMV ha una decina di governi donatori, tra i quali quattro membri del G7: la Germania, il Giappone, il Regno Unito e gli Stati Uniti.
  Vi sono poi una serie di altri governi, di cui la maggior parte sono quelli tradizionali: l'Olanda, la Svizzera, l'Irlanda, l'Australia, il Principato di Monaco e la Norvegia.
  Per quanto riguarda la collaborazione con le aziende private, i rappresentanti di MMV hanno richiamato la vigenza di protocolli molto stringenti che riguardano l'etica degli studi clinici che vengono gestiti nel sistema MMV. Accanto al consiglio di amministrazione, operano infatti due comitati: uno che presiede alla gestione della ricerca e dello sviluppo e che, quindi, supervisiona l'eticità dei protocolli, ed un altro comitato che supervisiona le attività di accessibilità ai medicinali.
  La dott.ssa Ferazzi ha inoltre evidenziato le criticità che fino ad oggi hanno impedito la creazione di un canale di finanziamento da parte del sistema italiano di aiuto pubblico allo sviluppo, connesse al previgente quadro normativo del nostro Paese.

4.2. La promozione della salute materno-infantile.

  Un secondo filone tematico, come evidenziato in premessa, è stato rappresentato dalle questioni connesse all'Obiettivo n. 3 (Salute e benessere per tutti e per tutte le età) ed all'Obiettivo n. 5 (Uguaglianza di genere).
  Si ricorda che tra il 1990 ed il 2015, il tasso di mortalità materna è diminuito del 44 per cento e la mortalità infantile si è più che dimezzata: ma 5,9 milioni di bambini sono morti nel 2015 prima di compiere 5 anni, in gran parte per cause che si potrebbero prevenire.
  Nel 2015, tre donne su quattro in età fertile – tra 15 e 49 anni d'età – coniugate o con una relazione affettiva stabile hanno utilizzato metodi contraccettivi moderni per la pianificazione familiare.
  Come ha ricordato nel corso dell'audizione del 14 luglio 2016, la dottoressa Flavia Bustreo (v. supra), i dati di salute pubblica internazionale sono ancora estremamente preoccupanti: abbiamo, tuttora, circa 300 mila donne che muoiono soltanto Pag. 46per partorire, e circa 500 mila donne che sono affette da cancro della cervice.
  Si tratta di dati sottostimati, perché le prevalenze, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, sono ancora insufficienti, così come lo sono i dati sulla violenza di genere.
  Le priorità fissate dall'Agenda 2030 sono quelle di continuare a dare centralità alla salute materno-infantile, con un focus perciò sulle donne, alla lotta alle epidemie ma anche al diffondersi di malattie croniche e legate all'insalubrità ambientale, ponendo come obiettivo di politiche pubbliche la copertura universalistica dei servizi sanitari di base e l'accesso per tutti a medicine e vaccini sicuri ed efficaci, obiettivo che va riaffermato anche in Europa.
  A queste priorità si deve poi aggiungere l'importanza di investire sulla promozione dei diritti riproduttivi e sessuali, tenendo peraltro conto del fatto che nei Paesi dove le donne sono più libere di scelta sui loro corpi e sulla loro sessualità, le scelte sulla maternità sono inevitabilmente più consapevoli.
  In tale quadro il 14 luglio 2016 si è svolta l'audizione della vicedirettrice generale dell'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) per la salute della famiglia, delle donne e dei bambini, Flavia Bustreo, la quale ha esordito sul tema della collaborazione tra le istituzioni italiane e l'Organizzazione mondiale della sanità, in particolare sulla prospettiva di accrescimento di tale collaborazione specialmente nel momento in cui l'Italia aveva in prospettiva la presidenza annuale del G7 nell'anno successivo.
  La dottoressa Bustreo si è soffermata sulle linee strategiche dell'OMS in materia di salute materno-infantile per il periodo 2015-2030, strutturalmente legate agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile: tali linee sono infatti finalizzate al raggiungimento di tre priorità, quali la sopravvivenza di donne, bambini e adolescenti, in presenza di dati di salute pubblica internazionale che, a livello globale, sono ancora estremamente preoccupanti; la salute piena, cioè la possibilità di avere sia donne sia bambini in grado di essere liberi dalla violenza e di avere accesso a servizi sanitari qualificati; la partecipazione attiva delle donne, soprattutto delle giovani, per dar loro modo di contribuire allo sviluppo ed alla crescita economica dei propri Paesi.
  La vicedirettrice dell'OMS ha poi ricordato l'incidenza dei fenomeni migratori sulle tematiche della salute, tornando sull'esempio delle 300.000 morti annuali di donne per partorire, oltre metà delle quali avvengono in Paesi colpiti da conflitti o in situazioni fragili come quelle dell'emigrazione clandestina. Le migrazioni incidono anche per un altro profilo sulla condizione delle donne a livello mondiale, con l'aumento della richiesta di donne immigrate collegata alla domanda crescente di molti Paesi sviluppati di assistenza agli anziani o di collaborazione domestica.
  Un'ultima considerazione svolta dall'alta funzionaria internazionale ha riguardato l'impatto dei cambiamenti climatici sulla salute, nel senso che i profondi mutamenti in corso a livello ambientale, che modificano i climi regionali, sembrano consentire la diffusione di vettori di malattie in zone del tutto inedite – ad esempio la diffusione della malaria anche in zone montuose prima esenti dell'Africa subsahariana, o la diffusione in America Latina del virus della Zika.
  In sede di replica la dottoressa Bustreo ha ricordato, in ordine alla collaborazione dell'OMS con i Parlamenti, la richiesta di delegazioni parlamentari che accompagnino sistematicamente le delegazioni ministeriali presso l'Organizzazione mondiale della sanità, portando in tal modo istanze della società civile che allargano il punto di vista necessariamente più ristretto degli Esecutivi.
  Un altro esempio riguarda la nuova strategia sulla prevenzione della violenza approvata dai ministri della salute dei Paesi di tutto il mondo, la quale è essenziale che sia a conoscenza dei Parlamenti, onde accrescere la garanzia che gli impegni dei vari governi si traducano in effettivi risultati per la popolazione.
  In conclusione, la vicedirettrice dell'OMS ha salutato con favore la posizione Pag. 47dell'Italia in materia di accoglienza, tale da consentire anche una piena assistenza sanitaria ai migranti, laddove il rifiuto di principio da parte di altri Paesi porta con sé anche sul piano sanitario notevoli problemi, non garantendo alcuna prestazione di tipo sanitario a coloro che arrivano nei vari Paesi.

4.3. La lotta al traffico internazionale di armi.

  Un ulteriore terreno d'approfondimento percorso dall'indagine conoscitiva è stato rappresentato dalle questioni connesse all'attuazione dell'Obiettivo n. 16, dedicato alla promozione di società pacifiche ed inclusive ai fini dello sviluppo sostenibile, anche attraverso l'accesso universale alla giustizia e la costruzione d'istituzioni responsabili ed efficaci a tutti i livelli.
  Si è trattato di un tema di particolare rilievo nell'attività parlamentare della XVII legislatura, che si è aperta con l'approvazione all'unanimità della legge di autorizzazione alla ratifica del Trattato sul commercio delle armi, adottato a New York dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 2 aprile 2013 (legge 4 ottobre 2013, n. 118) ed è stata testimoniata dall'attenzione riservata dalle Commissioni III e IV alla relazione annuale sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali d'armamento.
  La questione degli armamenti è esplicitamente menzionata nel novero dei traguardi da conseguire per la realizzazione dell'Obiettivo. Il traguardo n. 16.4 prevede, infatti, che entro il 2030 si dovrà ridurre in maniera significativa il finanziamento illecito del traffico di armi, potenziare il recupero e la restituzione dei beni rubati e combattere tutte le forme di crimine organizzato.
  È noto quanto la legge n. 185 del 1990 rappresenti una normativa assai avanzata: non a caso essa esordisce, all'articolo 1, comma 1, con un forte richiamo alla politica estera e di difesa dell'Italia e ai nostri valori costituzionali: «L'esportazione, l'importazione e il transito di materiale di armamento nonché la cessione delle relative licenze di produzione devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell'Italia».
  Tali operazioni vengono regolamentate dallo Stato, secondo i princìpi della Costituzione repubblicana, che ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
  La normativa vigente è, inoltre, caratterizzata da un apparato di divieti e limitazioni, volti ad assicurare che tale delicato settore sia conforme a standard internazionali di carattere umanitario, oltre che ai nostri princìpi costituzionali. In particolare i commi 5 e 6 dell'articolo 1, dettano rispettivamente che «l'esportazione e il transito di materiale di armamento, nonché la cessione delle relative licenze di produzione sono vietati quando siano in contrasto con la Costituzione, con gli impegni internazionali dell'Italia e con i fondamentali interessi della sicurezza dello Stato, della lotta contro il terrorismo e del mantenimento di buone relazioni con altri Paesi, nonché quando manchino adeguate garanzie sulla definitiva destinazione dei materiali».
  L'esportazione e il transito di materiale di armamento sono, altresì, vietati verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i princìpi dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell'Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei Ministri, da adottare previo parere delle Camere; verso i Paesi la cui politica contrasti con i principi dell'articolo 11 della Costituzione; verso i Paesi nei cui confronti sia stato dichiarato l’embargo totale o parziale delle forniture belliche da parte delle Nazioni Unite o dell'Unione europea; verso i Paesi i cui governi siano responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell'Unione europea o del Consiglio d'Europa; verso i Paesi che, ricevendo dall'Italia aiuti ai sensi della legge 26 febbraio 1987, n. 49 (oggi legge Pag. 48n. 125 del 2014), destinino al proprio bilancio militare risorse eccedenti le esigenze di difesa del Paese. Verso tali Paesi è sospesa l'erogazione di aiuti ai sensi della stessa legge, ad eccezione degli aiuti alle popolazioni nei casi di disastri e calamità naturali.
  In tale contesto si è inserita l'audizione del Ministro plenipotenziario Francesco Azzarello, direttore dell'Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento (UAMA), svoltasi il 22 marzo 2017: l'UAMA è competente per il rilascio delle autorizzazioni, per l'interscambio dei materiali di armamento e per gli adempimenti connessi alla materia, di cui alla legge n. 185 del 1990 e successive modificazioni.
  L'Autorità si avvale, prima dell'eventuale rilascio di autorizzazioni all'esportazione e importazione per e da Stati extra NATO o UE, del parere del Comitato consultivo, ove seggono i rappresentanti del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, ma anche quelli dei Ministeri dell'interno, della difesa, dello sviluppo economico, dell'economia e delle finanze e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli.
  Le modifiche del 2012 alla legge n. 185 del 1990 hanno, peraltro, consentito il recepimento della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 2009/43/CE, del 6 maggio 2009, che semplifica le modalità e le condizioni dei trasferimenti all'interno della comunità dei prodotti per la difesa.
  Si assiste, quindi, ad un processo di progressiva «europeizzazione» dei procedimenti di verifica nazionale sui materiali di armamento, che si basa anche sugli impegni politici assunti nel quadro della politica estera e di sicurezza comune, la PESC.
  A loro volta la legislazione italiana e quella europea sono integrate, nell'ambito delle articolate procedure valutative nazionali, dagli atti di carattere normativo di indirizzo e di armonizzazione in ambito ONU, UE, OSCE e dell'Intesa di Wassenaar; dai risultati delle periodiche consultazioni fra Stati membri del gruppo di lavoro della politica estera e di sicurezza comune del Consiglio dell'Unione europea sul controllo degli armamenti convenzionali, cosiddetto COARM; e dalle previsioni del Trattato sul Commercio delle Armi (ATT) cui l'Unione europea, nell'ambito della strategia europea in materia di sicurezza, dedica fondi e attività a sostegno della sua piena attuazione ed universalizzazione.
  Il Ministro plenipotenziario Azzarello ha evidenziato preliminarmente che allorquando viene invocata l'interruzione della vendita di armamenti a Paesi che si ritiene siano in guerra e/o violino i diritti umani occorre tener conto del quadro nazionale ed internazionale normativo e di coordinamento in cui l'Italia si muove.
  Lo stato di conflitto armato e le situazioni di gravi violazioni dei diritti umani vengono accertati innanzitutto dagli organi principali e sussidiari delle Nazioni Unite – l'articolo 24 della Carta attribuisce al Consiglio di Sicurezza la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale – nonché dall'Unione europea.
  Laddove essi, unitamente al Consiglio d'Europa sul fronte dei diritti umani, come stabilisce la legge n. 185 del 1990, adottassero un qualche dispositivo precettivo internazionale, anche il nostro Paese sarebbe tenuto e ad adeguarvisi prontamente ed ovviamente lo farebbe subito.
  A ciò si aggiunga che il costante monitoraggio e la verifica delle singole situazioni-Paese, uniti alle caratteristiche del sistema autorizzativo delle licenze di movimentazione di materiali d'armamento, consente all'Autorità nazionale UAMA di rispondere con prontezza, a fronte di specifici mutamenti nelle situazioni locali e/o nel livello di rischio di un Paese, con il diniego a distanza o la sospensione o la revoca di autorizzazione.
  Dal collegamento fra i traguardi 16.4 e 16.6 dell'Obiettivo n. 16 emerge, poi, che il traffico di armi e il finanziamento illecito si combattono anche e soprattutto con istituzioni efficaci, responsabili e trasparenti. In proposito, l'Autorità nazionale UAMA contribuisce autonomamente all'attività Pag. 49di prevenzione, monitoraggio e sanzione di fenomeni di illegittimità settoriale, nonché in collaborazione con l'autorità giudiziaria, laddove emergano sospetti o certezze del verificarsi di fenomeni di illegalità.
  In secondo luogo, il Ministro plenipotenziario Azzarello ha affermato che la trasparenza dell'azione dell'Autorità nazionale UAMA è garantita da tempistiche e procedure certe, recentemente oggetto di un approfondito processo di riordino e semplificazione, ciò anche a tutela della legalità e dell'efficacia dell'azione dell'Amministrazione dello Stato.
  Inoltre, l'individuazione, nel 2012, dell'allora Unità per le Autorizzazioni e i materiali d'armamento quale Autorità nazionale, con un articolato aumento delle competenze discendenti dalla normativa dell'Unione europea, ha rafforzato ulteriormente la lotta al traffico illegale di armi, anche attraverso l'allargamento dei poteri ispettivi.
  Infine, i flussi finanziari legati alle movimentazioni di materiali d'armamento sono ora oggetto di un controllo più stringente, grazie anche al portale MAECI-MEF, attraverso cui vengono monitorate tutte le operazioni derivanti da autorizzazioni dell'Autorità nazionale UAMA, corredate da apposito codice per il MEF, per quanto riguarda il traffico illegale di armi.
  In sede di replica il Direttore dell'UAMA, rispondendo alle critiche riguardanti la scarsa leggibilità della relazione annuale, ha precisato che nel 2017, per quanto riguarda l'Amministrazione degli affari esteri (che è depositaria di una buona parte delle informazioni che interessano il Parlamento, la società civile, gli osservatori e gli studiosi e anche i nostri amici, alleati, concorrenti stranieri sul mercato delle vendite e delle esportazioni) è stato fatto un particolare sforzo di trasparenza, nel senso di completezza e di lettura dei dati di cui alle centinaia e centinaia di pagine degli allegati.
  Sull'efficacia dei controlli sulle eventuali illegalità, il Ministro plenipotenziario Azzarello ha affermato che se non sono solleciti da parte della magistratura su fenomeni presunti o sicuri di illegalità, è l'UAMA ad occuparsi della legalità ex ante e in itinere avvalendosi di una procedura piuttosto complessa, che è stata enormemente semplificata. Egli ha inoltre annunciato l'adozione di una nuova direttiva di totale riordino, aggiornamento e semplificazione del settore delle esportazioni che verrà pubblicata sul sito web dell'UAMA.
  La normativa europea, che ha portato alla riforma della legge n. 185 del 1990 nel 2012 e poi al regolamento attuativo nel 2013, ha aumentato enormemente le competenze dell'Autorità nazionale anche in fase di ispezioni, che sono svolte regolarmente e che si cerca di aumentare compatibilmente con le risorse a disposizione.
  L'obiettivo di fondo dell'UAMA, come quello dei concorrenti principali a livello europeo, è quello di responsabilizzare maggiormente le società e di intervenire non ex ante – gli italiani preferiscono le licenze individuali piuttosto che quelle globali –, ma in sede ispettiva successiva.
  Ad integrazione del quadro informativo offerto dall'UAMA, il Comitato ha audito, nella seduta del 4 ottobre 2017, il dottor Giorgio Beretta, analista ricercatore dell'Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza e Difesa (OPAL).
  L'Osservatorio è un'associazione onlus costituita a Brescia ed intende porsi come strumento indipendente di ricerca, monitoraggio, analisi e informazione al pubblico sulla produzione e sul commercio delle armi leggere e di piccolo calibro in Italia e, in particolare, in Lombardia, che dedica una particolare attenzione all'individuazione di percorsi di riconversione delle industrie che producono questi sistemi d'arma.
  Preliminarmente il dottor Beretta ha ricordato come l'Obiettivo n. 16 punti a promuovere società pacifiche ed inclusive entro il 2030. Il punto specifico è il seguente: «Entro il 2030 ridurre in modo significativo i flussi finanziari illeciti e di armi, rafforzare il ritorno dei beni rubati e combattere ogni forma di criminalità Pag. 50organizzata». L'Obiettivo n. 16, dunque, mette insieme due elementi: flussi finanziari illeciti e di armi.
  Dal punto di vista degli illeciti a livello internazionale, l'unica norma a livello internazionale consiste negli embarghi, totali o parziali, che vengono decretati dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e, per l'Italia, Stato membro dell'Unione europea e dell'OSCE, dall'Unione europea e dall'OSCE.
  Tuttavia, da alcuni anni a questa parte, più precisamente dal 2014, con l'entrata in vigore del Trattato sul commercio delle armi, una violazione delle norme internazionali si ha anche quando si vìolano le norme di tale Trattato. I Paesi che fanno parte dell'Unione europea, tra cui l'Italia, devono anche rispettare la posizione comune 2008/944/PESC, che prevede otto criteri e otto divieti per l'esportazione di armamenti.
  Vi sono, dunque, tre situazioni diverse quando si parla di illecito. Un Paese può decidere di rispettare soltanto gli embarghi internazionali, ma, non aderendo al Trattato sul commercio delle armi, può commettere, di fatto, delle illiceità. Questo è un punto da tenere presente. Quali altre violazioni di norme possono riscontrarsi ? Le violazioni variano in ogni Paese e riguardano le norme nazionali oppure la mancanza di controllo da parte delle autorità preposte.
  Il dottor Beretta ha poi evidenziato l'esistenza di una «zona grigia» all'interno della quale governi, loro agenti o singoli, approfittano di vuoti di legge, mancanze, carenze e, a volte, inconsistenze nelle leggi e di mancanza di controlli per effettuare operazioni illecite.
  In questa «zona grigia» rientrano anche le triangolazioni e le esportazioni autorizzate che, poi, finiscono ad altri destinatari, per cui l'utilizzatore finale non è quello che si era pensato. Per quanto riguarda i traffici di armi, è molto più facile trafficare le armi leggere che non carri armati blindati, portaerei o navi, i cui movimenti non passano inosservati. Le armi leggere, invece, circolano molto più facilmente, ad esempio, si possono trasportare nei camion.
  Secondo lo Small Arms Survey di Ginevra, a livello mondiale c’è un 5-7 per cento di traffico illecito rispetto al commercio lecito di armamenti, anche se nessuno può dire quanto sia realmente il traffico illecito di armi. C’è poi, però, questa zona grigia che copre il 20-25 per cento del traffico illecito. Si tratta di esportazioni di armamenti che sono autorizzate per un determinato destinatario e che poi vengono deviate e trafficate in altra maniera. È una zona grigia molto ampia, che può arrivare a toccare il 30 per cento del commercio mondiale di armi.
  Nell'arco del quinquennio 2010-2015, i piccoli casi, in cui sono state sequestrate una o due armi, sono 1.893. Non si tratta, quindi, di grandi traffici illeciti, magari si tratta di persone che detenevano le armi in modo irregolare. Ci sono 1.139 casi di media scala, in cui sono state sequestrate 3.848 armi. Il punto interessante è che i casi di larga scala sono pochi, 243, ma hanno portato al sequestro di 12.960 armi.
  Spesso, se si guarda la questione dal punto di vista delle norme e delle regole, non vi è alcun illecito, ma se si analizza il problema dal punto di vista dell'essenza delle regole, cioè considerando, per esempio, le violazioni dei diritti umani, ad esempio in Libia e come avrebbero potuto essere utilizzate queste armi a scopi repressivi, forse qualche interrogativo si può porre.
  A livello internazionale, l'Italia, come altri Paesi, avendo aderito al Trattato internazionale sul commercio delle armi, è tenuta a inviare ogni anno a Ginevra un rapporto, un modulo già prestampato, in cui devono essere certificate le armi che vengono esportate. Il rapporto consegnato a Ginevra riferisce che l'Italia ha autorizzato un determinato numero di esportazioni di armi, ma non dà conto del Paese destinatario, a differenza di quanto fanno altri Stati, come la Svezia.
  Il dottor Beretta ha concluso il suo intervento affermando che se davvero si vuole fare in modo che si limiti al Pag. 51massimo il traffico di armi, occorre far sì che ci sia massima trasparenza su questo commercio. Non è un caso che lo stesso Trattato internazionale sul commercio delle armi dell'ONU, ma anche altre disposizioni, affermino che proprio la trasparenza nel commercio di armi crea maggior confidenza tra i popoli, tra le nazioni. Si sa quello che si sta facendo e ottenere questo tipo di informazioni dovrebbe aiutare a sostenersi reciprocamente. Si può essere d'accordo o meno sulle esportazioni di armi di un altro Paese, ma la trasparenza dovrebbe creare una maggiore confidenza tra le nazioni.
  In sede di replica il dottor Beretta ha sottolineato come l'Italia si trovi spesso in una posizione d'inadempienza rispetto ad alcuni obblighi in materia di esportazioni di armamenti, posti sia a livello internazionale che comunitario: il nostro Paese non è l'unico Paese a comportarsi in questo modo, anche la Germania, la Francia e il Regno Unito, i maggiori produttori di armi a livello europeo, non riportano nella relazione inviata all'Unione europea tutte le esportazioni di armi, tant’è vero che una recente risoluzione del Parlamento europeo ha chiesto esplicitamente non solo puntualità, ma anche maggiore rigore.
  Sul nodo dei dinieghi di autorizzazione, a livello europeo, il dottor Beretta ha sottolineato l'importanza di porli poiché si tratta di un modo per controllare esportazioni di armi che sarebbero non gradevoli, inopportune non solo per il nostro Paese ma anche per altri Paesi. Con il meccanismo del diniego queste esportazioni si possono prevenire.
  Non è vero, quindi, che se noi non esportiamo armi, tanto le esportano gli altri. Ai sensi della posizione comune, se un Paese pone un divieto, un altro può anche superare quel divieto, ma si espone a un forte rischio.

5. Il ruolo del nostro Paese nell'attuazione dell'Agenda 2030: prospettive e criticità.

  L'indagine si è inoltre largamente focalizzata, come accennato, sul contributo italiano alla realizzazione degli Obiettivi dell'Agenda 2030, cercando non solo di acquisire una vasta messe d'informazioni di fonte governativa, ma anche di delineare un quadro di riscontri valutativi, avvalendosi dell'apporto delle principali ONG italiane operanti nel settore.
  In tale ambito, il 9 novembre 2016 si è tenuta l'audizione del viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Mario Giro, sugli indirizzi politici che ispirano l'azione italiano nel processo di attuazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.
  Il viceministro ha anzitutto premesso che l'Agenda 2030 non riguarda soltanto la cooperazione internazionale con i Paesi in via di sviluppo, ma tutte le policy nazionali in vari settori economici, sociali e ambientali.
  Il contributo del Ministero degli affari esteri è quello in particolare di un collegamento fra la strategia di attuazione interna e il Documento triennale di programmazione e di indirizzo della cooperazione allo sviluppo, per quanto concerne il versante esterno. Tale Documento ha un carattere onnicomprensivo, tentando di tenere insieme, nei vari profili della cooperazione allo sviluppo dell'Italia, il contributo di tutti i Ministeri coinvolti, desiderando dare attuazione ad essi in una linea strategica unitaria.
  Il Documento si basa anzitutto sul pilastro economico, nel quale, grazie all'intervento della Cassa depositi e prestiti, è ormai divenuto possibile il partenariato pubblico-privato nell'attività di cooperazione allo sviluppo. Per quanto concerne tra l'altro l'aumento delle risorse dedicate, il viceministro Giro ha preannunciato il raggiungimento nel 2016 della quota di 0,26 per cento del PIL, che segna un certo incremento rispetto alla cifra precedente di 0,19.
  Nel testo, oltre ai settori tradizionali di intervento dell'Italia, sono stati inclusi anche profili nuovi, come ad esempio quello del rafforzamento dei sistemi fiscali per garantire risorse autonome e continue anche ai Paesi oggetto di interventi.Pag. 52
  Un altro profilo innovativo è rappresentato dall'adesione dell'Italia al partenariato globale per le statistiche sullo sviluppo sostenibile, volto a costituire anagrafi civili in molti Stati che ne sono privi, fondamentali sia per la redazione delle liste elettorali ma anche per introdurre elementi di programmazione sociale. Tra l'altro, negli Stati privi di anagrafi civili diviene assai più problematica anche la gestione dei fenomeni migratori, sia per quanto concerne l'identificazione che l'eventuale rimpatrio.
  Un ulteriore aspetto di grande rilievo politico è quello del legame tra l'emigrazione e i processi di sviluppo: sono già stati iniziati programmi per la creazione di lavoro in loco, ma limitatamente a poche centinaia di persone, e comunque senza impatto diretto sugli attuali flussi migratori.
  L'Italia ha contribuito tra l'altro a dar vita al Fondo fiduciario di emergenza dell'Unione europea sulle cause dell'emigrazione (il cosiddetto Fondo La Valletta), insistendo anche per un incremento della dotazione finanziaria di esso, con il risultato di ulteriori 500 milioni stanziati.
  Il viceministro Giro ha poi preannunciato la presenza nella legge di bilancio per il 2017 di un Fondo per l'Africa, limitato ad una sola annualità, grazie al quale sarebbe stato possibile usufruire di ulteriori 200 milioni, utili in un momento in cui l'Europa aveva ancora in discussione un nuovo strumento, il quale solo avrebbe potuto dare un vero impulso agli investimenti nei Paesi di origine o transito delle migrazioni.
  Dopo aver ricordato le aree prioritarie degli interventi della cooperazione allo sviluppo, il viceministro ha rilevato come parte significativa della strategia italiana di cooperazione allo sviluppo sia definita nella sede del Ministero dell'economia e delle finanze, competente per l'amministrazione della cooperazione italiana a livello multilaterale tramite le varie banche e fondi di sviluppo internazionali. In tal senso il viceministro ha auspicato un controllo sempre più stringente da parte del Parlamento sul funzionamento di tali banche e fondi di sviluppo.
  Un altro tema fondamentale del Documento di programmazione triennale è quello dell'efficacia degli aiuti, con l'introduzione nelle procedure della cooperazione italiana allo sviluppo di una consistente parte valutativa prima assente, a partire dai rapporti con le organizzazioni non governative.
  Facendo poi cenno all'imminente Presidenza italiana annuale del G7, il viceministro ha trattato del legame tra migrazioni e sicurezza alimentare: in particolare, emerge la necessità di definire quale tipo di agricoltura possa essere sostenuta e sostenibile nei Paesi oggetto di interventi, dove l'accaparramento di terre (land grabbing) o le colture altamente intensive emarginano la piccola proprietà contadina.
  In effetti è stato constatato come l'idea di emigrare sia legata all'impossibilità di proseguire l'attività agricola, per motivi ambientali ovvero economici: la conseguente urbanizzazione disordinata e il netto peggioramento delle condizioni di vita delle popolazioni fa sì che con grandi sacrifici vengano reperiti i denari occorrenti a giovani, soprattutto istruiti o studenti, per imbarcarsi verso l'Europa. In vista della membership italiana nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il viceministro ha anticipato che la dimensione del ruolo delle donne nei processi di sviluppo e di pace sarebbe stato dossier prioritario dell'Italia.
  Ma, più in generale, vi è il tema dell'adattamento del sistema delle Nazioni Unite alla prospettiva dell'Agenda 2030; l'Italia ha aderito alla Rete per la valutazione dell'azione delle Organizzazioni multilaterali, un foro internazionale dei Paesi donatori. Per quanto concerne l'Italia, particolare attenzione in tal senso riveste il polo agro-alimentare delle Nazioni Unite di Roma, che comprende la FAO, il Programma alimentare mondiale e il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (IFAD).Pag. 53
  Replicando al dibattito, il viceministro Mario Giro ha ribadito che la questione della valutazione dell'impatto e dell'efficacia degli aiuti rimane fondamentale per il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, presso il quale erano in preparazione linee di valutazione molto rigorose, e inoltre si riconosceva la necessità di dare sempre maggiore pubblicità alle procedure e ai risultati delle valutazioni.
  In ordine alle migrazioni ambientali, il viceministro ha ricordato che il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale aveva dichiarato a New York che occorreva prevedere una forma di riconoscimento giuridico dei migranti per ragioni ambientali. Il contesto attuale vede in sostanza una prosecuzione di quanto iniziato già con la colonizzazione europea, che aveva introdotto in Africa la monocoltura.
  La crescente necessità di prodotti alimentari, ad esempio da parte della Cina ma non solo, senza dimenticare la permanente presenza occidentale, magari mascherata dall'attività di compagnie private, sottrae ulteriore territorio alle popolazioni locali. Ciò che c’è di nuovo è tuttavia che in molti Paesi iniziano movimenti di ribellione a questo trend, e l'Italia intende porsi sulla strada di sostenere queste istanze alternative. In effetti l'accaparramento di terre da parte di Paesi stranieri ha subito un rallentamento, anche in ragione delle difficoltà di operare in Africa grandi spostamenti di popolazione.
  L'economia italiana, che anche in campo agricolo consta di una miriade di piccole e medie imprese, potrebbe in linea di principio porsi come modello alternativo e offrire un altro tipo di agricoltura maggiormente praticabile nei Paesi africani: ciò è tuttavia molto difficile, perché ovviamente non si tratta di esportare prodotti ma un modello di funzionamento dell'impresa a sua volta ben radicato nel territorio di origine. La scommessa va tuttavia tenuta in considerazione, in quanto l'Africa è un continente che, pur in presenza di tassi demografici impetuosi, risulta ancora in assoluto sottopopolato e possiede ancora grandi estensioni di terre libere.
  Il viceministro ha concluso poi la sua replica con un'ampia illustrazione degli strumenti elaborati a livello nazionale e comunitario sulla questione migratoria. Il cosiddetto di Migration Compact si basava sulla necessità di operare grossi investimenti, nell'ordine di uno o due miliardi di euro per ciascun Paese, garantiti e a bassi tassi di interesse.
  Questa idea in Europa è stata profondamente modificata: il Migration Framework europeo ha cercato di mescolare interventi per la sicurezza e un modesto incremento della cooperazione allo sviluppo, ponendo il «Fondo La Valletta» quale premessa finanziaria, ma assolutamente sottocapitalizzata, se si considera che con lo stesso intento di operare un freno alle migrazioni incontrollate la sola Turchia si è vista accordare dall'Europa una somma fino a 3 miliardi, mentre il «Fondo La Valletta», pur limitato solo a certi Paesi, partiva con appena 1, 8 miliardi, e in più, il che è pregiudizievole per l'Italia, privilegiava le questioni di sicurezza su quelle migratorie. In tal senso, ha ribadito il viceministro, si poneva il Fondo per l'Africa di cui alla successiva legge di bilancio.
  Per quanto concerne lo strumento europeo per operare investimenti nei Paesi africani, questo, ancora in discussione, sembrava porsi in parallelo con il «Piano Juncker» che era a suo tempo stato formulato per l'economia europea nel momento di maggiore crisi, ovvero la predisposizione di un importo capace di stimolare un multiplo di investimenti privati, ponendosi come garanzia su di essi. In questo senso il viceministro osservava che un importo di 3 miliardi appariva suscettibile di un forte impatto su paesi africani.
  In conclusione, portando in particolare l'esempio del Niger – Paese di transito di flussi migratori – il viceministro ha ricordato come dopo la grave crisi delle attività turistiche dovuta alla presenza di gruppi terroristici, le classi dirigenti nigerine hanno trovato nei proventi dati dai flussi Pag. 54migratori in transito una notevole fonte di reddito alternativo, che dunque non facilmente ci si può illudere di cancellare: inoltre, coloro che riescono ad approdare in Europa, non appena dispongono di un reddito alimentano le economie dei Paesi d'origine con rimesse che divengono un importante volano di sviluppo.
  Dunque l'alternativa a tutto ciò non può che essere quella di grandi investimenti suscettibili di creare diffusa occupazione. Viene citato ad esempio il settore delle energie rinnovabili, nel quale «Enel Green Power» incentra in esclusiva i propri interventi in Africa, per la creazione di sistemi di produzione di energia capaci di autoalimentarsi localmente, facendo a meno di grandi interventi strutturali per il collegamento delle reti elettriche.
  Un accurato quadro valutativo dei progressi compiuti dal nostro Paese nel processo di attuazione degli SDG è stato offerto, nell'audizione del 13 luglio 2016, dal professor Enrico Giovannini, portavoce dell'Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS).
  La missione dell'Alleanza è quella di fare crescere nella società italiana, nei soggetti economici e nelle istituzioni la consapevolezza dell'importanza dell'Agenda globale per lo sviluppo sostenibile, mettendo in rete coloro che si occupano già di aspetti specifici ricompresi negli SDG allo scopo di:
   1. favorire lo sviluppo di una cultura della sostenibilità a tutti i livelli, orientando a tale scopo i modelli di produzione e di consumo;
   2. analizzare le implicazioni e le opportunità per l'Italia legate all'Agenda per lo sviluppo sostenibile;
   3. contribuire alla definizione di una strategia italiana per il conseguimento degli SDG, utilizzando anche strumenti analitici e di previsione che aiutino la definizione di politiche per lo sviluppo sostenibile, nonché alla realizzazione di un sistema di monitoraggio dei progressi dell'Italia verso gli SDG.

  L'ASviS, costituita nel febbraio 2016 per iniziativa della Fondazione Unipolis e dell'Università di Roma «Tor Vergata», riunisce attualmente oltre cento tra le più importanti istituzioni e reti della società civile. Si tratta di associazioni rappresentative delle parti sociali (associazioni imprenditoriali, sindacali e del Terzo Settore); reti di associazioni della società civile che riguardano specifici Obiettivi (quali, ad esempio, salute, benessere economico, educazione, lavoro, qualità dell'ambiente, uguaglianza di genere); associazioni di enti territoriali; università e centri di ricerca pubblici e privati, e le relative reti; associazioni di soggetti attivi nei mondi della cultura e dell'informazione; fondazioni e reti di fondazioni; soggetti italiani appartenenti ad associazioni e reti internazionali attive sui temi dello sviluppo sostenibile.
  Il professor Giovannini ha dedicato la propria audizione da un lato agli scenari futuri e alle motivazioni che hanno spinto la generalità dei Paesi del mondo a sottoscrivere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e, dall'altro, ai progressi nell'attuazione dell'Agenda dell'attuazione e ad alcune policy recommandations indirizzate ai decisori politici.
  Il professor Giovannini ha ricordato come, alla base dell'Agenda 2030, vi sia una sostanziale convergenza tra analisti ed esperti internazionali circa l'insostenibilità dell'attuale modello di sviluppo e la condivisa consapevolezza che lo sviluppo sostenibile non si correli soltanto alla dimensione ambientale, ma presenti una propria distinta componente, sociale ed una prettamente istituzionale, non meno rilevanti.
  Si può pertanto parlare di una visione pienamente integrata dello sviluppo sostenibile, a partire dalla necessità dell'integrazione delle politiche economiche, sociali e ambientali. Vi è poi l'universalità dell'approccio, che porta a considerare tutti gli Stati del mondo quali Paesi in via di sviluppo sostenibile, ma anche ad imputare, soprattutto per ciò che concerne il consumo e la produzione responsabili, la realizzazione degli obiettivi ai singoli individui.Pag. 55
  Sul versante della strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, il professor Giovannini ha auspicato che essa non si limiti a rilevare le medie nazionali su ciascuno dei problemi in gioco, ma guardi anche alle disaggregazioni territoriali, di genere e dei singoli gruppi socioeconomici.
  Va avviata invece una grande campagna informativa sull'Agenda 2030, mentre la predisposizione delle normative va accompagnata da valutazioni ex ante ed ex post – è stato in proposito ricordato come il c.d. collegato ambientale (legge n. 221 del 2015) abbia stabilito a suo tempo la creazione del Comitato nazionale per il capitale naturale, incaricato di redigere annualmente un rapporto, con valutazioni, appunto, preventive e successive, sugli effetti delle politiche pubbliche sul capitale naturale e sui servizi eco-sistemici.
  È parimenti necessario coinvolgere regioni ed enti locali soprattutto in riferimento all'Obiettivo n. 11, che riguarda proprio la dimensione urbana. Altresì, si dovrà porre particolare attenzione ai temi dello sviluppo sostenibile nel campo dell'istruzione.
  Il portavoce dell'Alleanza ha rilevato con soddisfazione il recepimento di alcune delle raccomandazioni già formulate: in particolare, nell'ambito del Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo è stato creato un gruppo di lavoro ad hoc, mentre la Conferenza dei rettori delle università italiane ha in discussione un progetto per l'allargamento ad altre università italiane di quanto deliberato dall'Università di Roma «Tor Vergata», ovvero di mettere lo sviluppo sostenibile al centro della propria visione e della formazione dei futuri quadri dirigenti del Paese.
  Concludendo, il professor Giovannini ha auspicato un'accelerazione dei lavori finalizzati alla definizione della strategia italiana per l'implementazione degli Obiettivi dell'Agenda 2030, definendo parallelamente un appropriato modello di governance che coinvolga non solo il Governo, ma anche il funzionamento del Parlamento, integrando queste diverse dimensioni della politica. In concreto ciò significa tra l'altro la necessità per l'Esecutivo e per il Legislativo di dotarsi di indicatori statistici tempestivi e disaggregati, ma anche di strumenti per una efficace valutazione d'impatto della normativa.
  Da ultimo, il coinvolgimento degli enti locali dovrebbe avvenire specialmente in sede di Conferenza unificata, e anche in questo caso sono stati formulati auspici in vista della Presidenza italiana G7 del 2017.

6. Il sistema italiano di cooperazione allo sviluppo di fronte alle sfide dell'Agenda 2030.

  In coerenza con il nuovo quadro configurato dalla legge n. 125 del 2014, che per la prima volta, fa espresso riferimento (articolo 23) al «sistema della cooperazione italiana allo sviluppo», formato da soggetti pubblici e privati, i lavori dell'indagine conoscitiva – pur nella ristrettezza dei tempi a disposizione – sono stati articolati in modo da riservare specifici momenti d'interlocuzione a realtà rappresentative del mondo delle ONG operanti nel settore della cooperazione internazionale.
  In particolare, nella seduta del 7 febbraio 2017, si è svolta l'audizione di rappresentanti del Forum permanente per il sostegno a distanza (ForumSaD): in un videomessaggio introduttivo, il presidente onorario del Forum, professor Stefano Zamagni, ha ricordato come il sostegno a distanza (SaD) sia parte integrante di un nuovo modello di sviluppo, che punta tra gli altri obiettivi ad evitare l'espatrio dei cervelli ed il connesso ulteriore impoverimento dei PVS in termini di capitale sociale ed umano.
  Il dottor Vincenzo Curatola, presidente del Forum ha ricordato preliminarmente le principali criticità sorte a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 125 che pure ha sancito la partecipazione dei cittadini alla solidarietà e alla cooperazione internazionale: tali criticità attengono in primo luogo alle modalità per l'iscrizione all'elenco previsto dall'articolo 26, un elenco di organizzazioni che lo Stato riconosce Pag. 56come soggetti della cooperazione internazionale allo sviluppo, e hanno portato molte ONLUS, tra cui diverse associate, ma anche le comunità degli immigrati e anche altri nuovi attori della cooperazione, a non poter partecipare alla cooperazione allo sviluppo, perché non sono al Forum stati riconosciuti.
  Il Presidente del Forum ha poi lamentato la scarsa promozione della partecipazione dei cittadini alla cooperazione internazionale anche perché le risorse che vengono stanziate dall'Agenzia sono molto residuali (meno dell'1 per cento) per iniziative di promozione, educazione alla cittadinanza globale e sensibilizzazione: a parere del ForumSaD gli stessi interventi classici di aiuto allo sviluppo dell'Agenzia, che investono la maggior parte delle risorse, potrebbero rappresentare invece ottime occasioni di coinvolgimento dei cittadini se ci fosse una cooperazione di sistema, cosa che, invece, fino adesso non è stata possibile.
  L'ultimo dato di criticità, afferente anch'esso alla partecipazione della società civile, riguarda il Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo. Quest'organismo, che la legge ha previsto e che ha la competenza di essere propositivo e consultivo rispetto alle tematiche della cooperazione allo sviluppo, si è riunito l'ultima volta nel gennaio dell'anno scorso.
  Il dottor Corrado Oppedisano, esponente del Forum, ha sottolineato come l'Agenda 2030 sia fortemente stimolante per le realtà delle ONG non solo perché include, per la prima volta, nel quadro strategico globale per lo sviluppo la migrazione, ma anche perché in parte dà un riconoscimento del fatto che le politiche positive dei governi nella gestione delle migrazioni possono fornire un significativo contributo allo sviluppo sostenibile e alla lotta alla povertà.
  Si rileva, infatti, che la dichiarazione conclusiva di New York fa esplicito riferimento a diverse dimensioni dei processi migratori, evidenziando, in particolare, il negativo impatto dello sradicamento forzoso a causa dei conflitti, dell'instabilità e della povertà estrema; la necessità di promuovere l’empowerment dei migranti, dei rifugiati e delle comunità sradicate dai propri territori; la necessità di rafforzare l'impegno contro la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento del lavoro dei migranti, in particolare quello dei minori; la necessità di promuovere l'accesso all'istruzione e alla conoscenza ai migranti nel corso della loro vita; inoltre, la necessità di riconoscere e valorizzare il contributo positivo recato dai migranti allo sviluppo e alla resilienza nei Paesi di origine e di destinazione.
  Per la prima volta, quindi, nell'Agenda globale emerge la visione dei migranti quali attori promotori dello sviluppo e non solamente quali soggetti vulnerabili e bisognosi di forme di tutela. Il nesso fra migrazione e sviluppo, fra l'altro, è riconosciuto anche dall'Unione europea ed è stato evidenziato al vertice di La Valletta del 2015.
  Si tratta di una sfida globale imposta dai numeri indicati proprio dalle Nazioni Unite che nel 2015 registravano 244 milioni di migranti internazionali, pari al 3,32 per cento della popolazione mondiale. È stato correttamente osservato che gli immigrati con le rimesse e altri aiuti alle famiglie rimaste in patria alleviano la povertà e spesso avviano attività che accrescono i commerci locali e l'occupazione. Con le conoscenze e le competenze acquisite stimolano l'innovazione, rafforzano la presa di coscienza dei diritti umani e sociali e contribuiscono al superamento delle vulnerabilità e a una maggiore resilienza di fronte alle crisi economiche e ambientali. In questo senso gli immigrati sono attori dello sviluppo.
  Com’è noto, l'Agenda 2030 contiene 17 obiettivi di Sviluppo Sostenibile e 169 target, di cui 7 espliciti riferimenti a varie dimensioni della migrazione, che qualificano impegni concreti per la migrazione e per i diritti: l'inclusione sociale ed economica, l'accesso all'educazione e ai servizi e il sostegno alla cooperazione regionale.
  In generale, le indicazioni internazionali vanno in tre grandi direzioni: affermare il diritto dei migranti, estendendo i diritti all'accesso alle risorse e ai servizi; Pag. 57riconoscere il ruolo propulsivo nella lotta alla povertà; definire meccanismi e politiche per migrazioni sicure. In altre parole, si tratta di prevenire, minimizzare i costi sociali, accrescere l'impatto positivo delle migrazioni e, al tempo stesso, riconoscere e valorizzare, come evidenziato dal Presidente della Repubblica Mattarella, i grandi sforzi fatti dai Paesi poveri nell'accoglienza di milioni di migranti e di richiedenti asilo.
  È su questa direttrice che si può articolare una strategia globale di cooperazione internazionale dell'Italia con gli strumenti bilaterali, tramite la partecipazione ai programmi multilaterali. Si tratta di impegni affermati dall'Italia in occasione del semestre della presidenza europea nel 2014.
  Già prima del semestre, però, il sistema della cooperazione italiana aveva indicato alcune priorità, in particolare quella di riconoscere le migrazioni come potenziali fattori che abilitano l'Agenda per lo sviluppo 2030, non solo alla luce del peso determinante delle rimesse in molti Paesi, ma anche per l'attivazione di scambi e di conseguenze culturali.
  Successivamente il Governo italiano ha avanzato in Europa la proposta del Migration Compact, che si ispirava ad alcune delle considerazioni sin qui accennate. Il Forum ha valutato positivamente il fatto che la proposta italiana avesse tentato di smarcarsi da un approccio eurocentrico che aveva affrontato il tema delle migrazioni internazionali come una questione interna all'Unione europea e di carattere sostanzialmente emergenziale. Invece, la consapevolezza sulla centralità della dimensione esterna e sulla natura strutturale del fenomeno migratorio è fondamentale.
  Il Forum ha attivamente sostenuto il Presidente del Consiglio italiano nel chiedere più cooperazione, ma l'esperienza maturata sul campo insegna che sono poco utili progetti di investimento e di finanziamento, se non sono accompagnati da politiche concrete a favore dello Stato di diritto, della difesa e della promozione dei diritti umani, dell’empowerment delle comunità locali e della democrazia, di politiche commerciali e regolamentazioni finanziarie trasparenti e giuste.
  Il messaggio politico non può risolversi in più finanziamenti in cambio di un contenimento dei flussi migratori: questo non funziona, né politicamente né operativamente, perché non interviene sulla causa strutturale, o, meglio, funziona nel breve periodo, rimanendo sempre soggetti a forme di ricattabilità e ritorsione da parte delle oligarchie dei Paesi terzi e calpestando, nel frattempo, i valori fondanti europei e il diritto alla vita delle persone, che sono impressi nei valori costituzionali.
  Ciò che preoccupa il Forum sono i modelli prospettati dall'accordo Unione europea-Turchia, ovvero fermare l'immigrazione ai confini dell'Europa delegando a un governo problematico la gestione del fenomeno, a costo della violazione del diritto dei richiedenti asilo e delle protezioni internazionali.
  Pensare di fermare le migrazioni internazionali è un'illusione: è più reale intervenire nel lungo periodo sulle cause e gestire le migrazioni attuali in un'ottica internazionale con strumenti condivisi di programmazione congiunta, generatori di impatto sociale e tracciabilità dei processi, assicurando il rispetto dei diritti.
  L'alternativa strutturale è il dialogo stretto con i governi impegnati nelle transizioni democratiche e nella costruzione dello Stato di diritto, come la Tunisia, per esempio, così come con le forze locali delle società civili, comprese le diaspore africane, impegnate per lo sviluppo e la libertà delle comunità locali nei Paesi con più difficoltà economiche.
  Come è sottolineato nel Migration Compact, occorre promuovere un maggiore partenariato fondato su valori comuni e considerare il punto di vista delle proposte delle società civili sulle questioni di sviluppo, sicurezza, regolamentazione finanziaria e commerciale.
  La cooperazione internazionale non deve essere piegata a finalità di sicurezza, che non le sono proprie. Essa deve rispondere ordinatamente agli obiettivi di Pag. 58sviluppo definiti in sede europea, agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell'Agenda 2030, all'obbligo di coerenza delle politiche per lo sviluppo ai princìpi stabiliti dai Trattati europei.
  Nello specifico proprio degli SDG, un'altra esponente del Forum, la dottoressa Simona Chiapparo, ha sottolineato come continui ad essere inascoltato l'appello portato avanti da più coordinamenti circa l’export di armi che coinvolge il Governo italiano.
  Sul versante dell'attuazione dell'Obiettivo n. 17, «Rinnovare il partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile», la dottoressa Chiapparo ha lamentato l'assenza di un modello culturale di crescita comunitaria.
  Come accennato, la documentazione acquisita nel corso dell'indagine si è da ultimo arricchita, il 22 dicembre scorso, di un contributo scritto sostitutivo dell'audizione, sui profili finanziari della partecipazione italiana alla realizzazione dell'Agenda, fornito da Cassa Depositi e Prestiti (CDP).
  Nel testo è evidenziato il ruolo della CDP quale istituzione finanziaria per la cooperazione internazionale allo sviluppo, chiamata a gestire dal 1o gennaio 2016, il Fondo rotativo per la cooperazione (FRCS) e ad utilizzare, a partire dal 1o gennaio 2017, risorse proprie, fino ad un miliardo di euro all'anno a supporto d'iniziative di cooperazione allo sviluppo.
  Dal 2016 CDP ha firmato 22 nuove convenzioni finanziarie per 535 milioni di euro, ha erogato crediti per 223,4 milioni di euro e ha gestito operazioni di trattamenti del debito per 345 milioni di euro.
  Il documento evidenzia l'opportunità di due proposte normative per rafforzare l'operatività del FRCS, in linea con analoghi strumenti posti a disposizione di altre istituzioni finanziarie europee: un intervento sull'articolo 8 della legge n. 125, per l'ottenimento di una garanzia di ultima istanza da parte dello Stato sugli impegni del Fondo di garanzia ed un intervento sull'articolo 27 della stessa legge che disciplina le modalità d'intervento del FRCS a favore delle imprese, per un superamento delle criticità connesse ai potenziali aiuti di Stato ed un ampliamento delle modalità operative d'intervento del Fondo stesso.
  Nel documento è altresì preannunciata la realizzazione di un sito web per la diffusione delle iniziative finanziate dal FRCS; per quanto attiene ai finanziamenti della CDP con risorse proprie, il documento fa presente che si sta sviluppando un mix di strumenti con utilizzo di risorse proprie e risorse pubbliche nazionali ed europee, con particolare attenzione ai Paesi africani.

7. La riunione interparlamentare sull'implementazione del Consenso europeo sulla politica di sviluppo dell'Unione e degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Bruxelles, Parlamento europeo, 22 novembre 2017).

  Il 22 novembre 2017 la deputata Marietta Tidei ha preso parte, in rappresentanza della III Commissione alla Riunione interparlamentare, promossa e ospitata dalla Commissione sviluppo (DEVE) del Parlamento europeo, sul tema dell'implementazione del Consenso europeo sulla politica di sviluppo dell'Unione e degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Per la Camera dei deputati ha preso parte alla Riunione anche la deputata Stella Bianchi, componente dell'VIII Commissione.
  La riunione è stata introdotta dalla Presidente della Commissione Sviluppo del Parlamento europeo, Linda McAvan, PSE, che ha presentato un filmato, realizzato dall'ONU in collaborazione con l'Unione europea in occasione del SDG Action Hub, che si è tenuto presso il Parlamento europeo nell'ottobre 2016. Nel filmato illustri esperti in materia di sviluppo sostenibile, quali Jeffrey Sachs, Special Advisor delle Nazioni Unite sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, e Pascal Lamy, ex Direttore generale dell'Organizzazione Mondiale del Commercio, hanno descritto lo stato di attuazione degli SDG e il ruolo che l'Unione europea può assumere affinché tali Obiettivi siano realizzati entro il 2030.Pag. 59
  Barbara Pesce-Monteiro, Direttrice dell'Ufficio UNDP delle Nazioni Unite presso Bruxelles, ha evidenziato che l'Agenda 2030 e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile devono diventare una vera e propria agenda politica, la cui importanza è stata sottolineata anche dagli esiti dei negoziati della COP23 di Bonn. 
  Il programma dell'Agenda 2030 è piuttosto ambizioso, in quanto mira a raggiungere una serie di obiettivi trasversali che vanno dal consumo sostenibile al riconoscimento dei diritti fondamentali. Per la realizzazione di questo programma e per l'attuazione degli SDG l'Unione europea è un attore cruciale, che può e deve avere un ruolo di leadership. Fondamentale per il raggiungimento degli SDG è anche il ruolo dei Parlamenti nazionali, i quali devono garantire che le politiche per l'attuazione dell'Agenda 2030 siano coperte da stanziamenti di bilancio.
  Infatti, gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile sono stati decisi dai singoli Paesi e in questo processo l'ONU ha fornito solamente una cornice entro cui è stata adottata l'Agenda 2030. L'UNDP ha elaborato un manuale sul ruolo dei Parlamenti nazionali nell'attuazione degli SDG (Parliament's Role in Implementing the Sustainable Development Goals). Concludendo, Pesce-Monteiro pone l'accento sull'Obiettivo n. 17, la cooperazione, che è fondamentale anche in merito alla gestione dei flussi migratori.
  Eleni Theocharous, componente della Commissione DEVE e moderatrice della prima sessione intitolata « The European Consensus on Development: a European response to the implementation of the Sustainable Development Goals in developing countries», ha evidenziato che il nuovo Consenso europeo in materia di sviluppo del giugno 2017 è stato il frutto di un'intensa negoziazione tra la Commissione DEVE, il Consiglio e la Commissione europea.
  Sono seguiti gli interventi di Bogdan Brunon Wenta e Norbert Neuser, relatori sulla comunicazione della Commissione sul nuovo Consenso europeo in materia di sviluppo. Wenta ha sottolineato che, a seguito dei mutamenti del quadro internazionale e soprattutto a seguito dell'adozione dell'Agenda 2030 nel 2015, è stato necessario rivedere ed aggiornare il Consenso europeo in materia di sviluppo, al fine di elaborare un nuovo piano d'azione dell'Unione che si basasse sui contenuti dell'Agenda 2030.
  Wenta, inoltre, ha sottolineato che, essendo gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile fortemente collegati, occorre garantire una buona governance e rafforzare il ruolo dei Parlamenti nazionali, tramite una strategia trasversale a tutte le politiche, interne ed esterne, dell'Unione.
  Neuser, ponendo l'accento sull'Obiettivo n. 1, relativo all'eliminazione della povertà, ha sottolineato che ciò comporta necessariamente un'integrazione delle dimensioni ambientale, sociale e politica. Ha evidenziato, quindi, che tutti gli SDG contenuti nell'Agenda 2030 sono profondamente collegati, non essendo possibile raggiungere, ad esempio, l'eliminazione della povertà senza la tutela dell'ambiente e la lotta ai cambiamenti climatici.
  È stata aperta, quindi, una fase di confronto tra i partecipanti alla riunione, in cui i singoli rappresentanti degli Stati membri hanno descritto le iniziative del proprio Paese al fine di attuare l'Agenda 2030 e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile.
  Sono intervenuti, altresì, rappresentanti del Parlamento panafricano, che hanno espresso apprezzamento per il nuovo Consenso europeo in materia di sviluppo e hanno auspicato che su questi temi le politiche europee e quelle africane possano trovare coordinamento. In generale, gli interventi hanno sottolineato la necessità di un'azione coordinata tra l'Unione europea e i suoi Stati membri e la stretta correlazione tra i 17 SGD.
  È emerso, altresì, che, in materia di cambiamenti climatici, l'Unione europea sarà chiamata a compensare il ruolo e la mancanza di finanziamenti da parte degli Stati Uniti, che si sono allontanati dagli Accordi di Parigi.
  Non sono mancate voci critiche, che pur ritenendo il nuovo Consenso un passo in avanti, hanno sottolineato la poca attenzione Pag. 60alla tutela dei diritti della comunità LGBTI e la mancanza della previsione di un sistema di controllo dei finanziamenti e degli aiuti.
  A tali critiche hanno risposto i relatori Bogdan Brunon Wenta e Norbert Neuser e la presidente della Commissione Linda McAvan, sottolineando che il nuovo Consenso è il risultato di un intenso e faticoso negoziato non solo tra l'Unione e i suoi 28 Stati membri, ma anche tra tutti i gruppi politici rappresentati nel Parlamento europeo e che esso, comunque, ha riscosso un largo consenso.
  Per la delegazione italiana l'intervento della deputata Stella Bianchi ha sottolineato che l'Agenda 2030 non si rivolge solo ai Paesi in via di sviluppo, ma è un'agenda globale che richiede un approccio olistico strutturato. Evidenziando come tutti gli SDG siano strettamente collegati tra di loro, la deputata Bianchi ha rimarcato l'importanza degli Obiettivi n. 1 e n. 2 (eliminazione della povertà ed eliminazione della fame), rispetto ai quali tutti gli altri Obiettivi risultano propedeutici.
  Quanto all'Obiettivo n. 13, relativo ai cambiamenti climatici, l'onorevole Bianchi ha sottolineato che il suo raggiungimento dipende da scelte quotidiane ma anche dal rispetto da parte degli Stati degli Accordi di Parigi al fine di arrivare presto alla decarbonizzazione e ad emissioni pari a zero.
  La deputata Bianchi ha, altresì, evidenziato l'importanza dell'emancipazione delle donne (Obiettivo n. 5) e il ruolo dei Parlamenti nazionali per l'attuazione degli SDG, i quali devono promuovere l'adozione di una strategia di sviluppo sostenibile credibile. Infine, l'onorevole Bianchi ha sottolineato il ruolo di leadership che in questo processo deve assumere l'Unione europea.
  Nella seconda sessione della riunione, dal titolo « Perspectives on the implementation of the Sustainable Development Goals» ed introdotta da Lola Sánchez Caldentey, membro della Commissione DEVE, è stato presentato il documento « SDG Index and Dashboards Report 2017 – Global Responsibilities – International Spillovers in Achieving the Goals», elaborato dalla Fondazione Bertelsmann e da Sustainable Development Solutions Network (SDSN), nel quale sono riportati i dati relativi all'attuazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile nei vari Paesi. Innanzitutto, lo studio riporta una classifica dei Paesi stilata in base a un indice di attuazione degli SDG.
  In tale classifica l'Italia si posiziona al 30o posto. Lo studio, poi, riporta lo stato di attuazione dei singoli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile all'interno dei singoli Paesi. Da tale descrizione emerge chiaramente che anche i Paesi più sviluppati risultano carenti rispetto ad alcuni Obiettivi, come, ad esempio, cambiamenti climatici o consumo e produzione responsabile.
  Marc Giacomini, in rappresentanza del Servizio europeo per l'azione esterna (SEAE), ha sottolineato come l'azione esterna dell'Unione europea stia compiendo notevoli progressi, in particolare nel campo di una cooperazione più stretta con i Paesi partner al fine di attuare al più presto l'Agenda 2030, mettendo in atto sviluppi umanitari che, allo stesso tempo, integrino la dimensione della sicurezza.
  Anche durante la seconda sessione sono intervenuti parlamentari europei, rappresentanti dei Parlamenti nazionali e rappresentanti dei Paesi in via di sviluppo. Per l'Italia sono intervenuti la deputata Marietta Tidei ed il senatore Gianpiero Dalla Zuanna.
  Il senatore Dalla Zuanna ha evidenziato particolarmente la questione delle migrazioni, che non deve essere vista solo in termini di emergenza. I migranti economici, infatti, possono rappresentare anche una fonte di sviluppo sia per i Paesi di origine sia per quelli di destinazione: con le rimesse per i Paesi di origine e ponendo un freno ai processi di invecchiamento della popolazione nei Paesi di destinazione. Tuttavia, il senatore Dalla Zuanna ha sottolineato che l'Europa si è dimostrata assente nella gestione dei flussi migratori e che il nostro Paese è stato lasciato solo ad affrontare i salvataggi in mare e la crisi libica. Pertanto, Pag. 61auspica che il tema delle migrazioni non sia più un tabù in Europa e che l'Unione abbia il coraggio di affrontare il tema con politiche migratorie coerenti ed efficaci.
  La deputata Tidei ha segnalato che il Senato italiano, il 31 maggio 2017, ha approvato una risoluzione sul Consenso europeo sullo sviluppo, il cui contributo innovativo si concentra sul tema della gestione dei flussi migratori che – in quanto fenomeno complesso, globale, di lunga durata e anche foriero di contributi positivi alla crescita economica mondiale – richiedono risposte politiche non emergenziali. Conseguentemente, l'Agenda europea sulla migrazione, il nuovo quadro di Partenariato in materia di emigrazione e il Fondo fiduciario di emergenza per l'Africa dovrebbero coordinarsi con le politiche di cooperazione allo sviluppo dei Paesi partner di origine o di transito.
  Il Senato ha, inoltre, evidenziato che tali iniziative dovrebbero beneficiare di risorse addizionali proprie per scongiurare il rischio di una declinazione prevalentemente securitaria dell'aiuto pubblico allo sviluppo. L'Unione europea dovrebbe scongiurare doppi standard metodologici quali sono emersi nel raffronto tra politiche europee in materia di economia e in materia migratoria. È stata, a nostro avviso, più volte sostanzialmente tollerata la violazione del principio internazionalistico pacta sunt servanda tutte le volte in cui si è permesso ad alcuni Stati membri di venire meno agli impegni assunti in tema di ricollocazioni dei profughi.
  La deputata Tidei ha dichiarato di ritenere un successo parlamentare europeo il recente «via libera» alla revisione del Regolamento di Dublino, che propone l'abolizione del principio di primo ingresso e l'introduzione di un sistema automatico e permanente di ricollocamenti in tutti i Paesi dell'Unione europea.
  La componente della III Commissione ha sottolineato che, nella legislatura in corso, il Parlamento italiano ha soprattutto realizzato un obiettivo fondamentale, al quale si lavorava da oltre vent'anni: all'approvazione della riforma della normativa nazionale in tema di cooperazione allo sviluppo (legge n. 125 del 2014), da cui è derivata l'istituzione di un'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, che opera con autonomia rispetto all'Esecutivo ma nell'ambito dell'azione di direzione politica esercitata dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
  Il sistema italiano di cooperazione contempla oggi dinamiche innovative nell'interazione tra settore pubblico e settore privato ed una revisione strategica finalizzata a scongiurare la dispersione delle risorse e ad innescare meccanismi di coordinamento per temi e per aree geografiche prioritari.
  Alla luce di questo sforzo sul piano delle regole, il Governo italiano ha quindi invertito la tendenza quanto alla destinazione di fondi a sostegno dell'aiuto pubblico allo sviluppo, destinando risorse crescenti e riallineando la performance italiana rispetto all'obiettivo dello 0,7 per cento del reddito nazionale lordo. L'Italia conferma un trend positivo di crescita dell'APS, sia in termini assoluti, che percentuali: dai 4 miliardi di dollari del 2015 ai 4,85 miliardi del 2016.
  Concludendo, la deputata Tidei ha ricordato l'Africa, il cui sviluppo è interesse strategico per l'Italia in quanto ponte geografico e artefice di una «nuova via con l'Africa», volta ad evitare che essa sia sinonimo di sfruttamento territoriale, di insicurezza e di migrazioni di massa.
  L'Italia ha contribuito alla nascita del Fondo fiduciario d'emergenza UE sulle cause profonde delle migrazioni in Africa, lanciato al Vertice di La Valletta nel novembre 2015 e, sempre in ambito UE, si è fatta promotrice di un nuovo patto con l'Africa per la gestione e riduzione dei flussi (il « Migration Compact»).
  Infine, la parlamentare ha segnalato che era in corso di esame parlamentare la legge di bilancio per il 2018, in cui si cercava di rendere strutturale il Fondo per l'Africa, con l'obiettivo strategico di assicurare un Pag. 62impegno italiano di lungo periodo per favorire lo sviluppo nel continente africano, nonché per far sì che i partner europei e internazionali aumentassero gli sforzi individuali e congiunti in tal senso.
  Nel provvedimento si registra un incremento del bilancio del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per il 2018 rispetto a quello relativo agli esercizi precedenti, determinato dall'aumento degli stanziamenti in favore degli interventi di Aiuto Pubblico allo Sviluppo, incluso anche il contributo al Fondo Europeo di Sviluppo (fino al 2014 nella competenza Ministero dell'economia e delle finanze).
  La riunione della Commissione sviluppo del Parlamento europeo si è conclusa con l'intervento finale di Arne Lietz, componente della Commissione DEVE e responsabile dei rapporti con i Parlamenti nazionali. Lietz ha dichiarato che occorre veicolare un messaggio di ottimismo e ha sottolineato gli elementi fondamentali emersi durante la riunione.
  In primo luogo, per dare attuazione al nuovo Consenso europeo in materia di sviluppo e, di conseguenza, all'Agenda 2030 occorre prevedere adeguati finanziamenti. A tal fine, i Parlamenti nazionali devono avere un ruolo di pressione sui propri Esecutivi affinché si raggiunga l'obiettivo dello 0,7 per cento del prodotto interno lordo destinato all'aiuto pubblico allo sviluppo. In secondo luogo, l'azione per l'attuazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile deve essere trasversale e prevedere il coinvolgimento non solo della Commissione sviluppo, ma anche di altre Commissioni del Parlamento europeo: ad esempio, la diplomazia ambientale è una materia che può essere affrontata in sintonia con la Commissione affari esteri.
  Infine, Lietz ha evidenziato l'importanza di momenti di confronto come quello della riunione della Commissione DEVE, che permettono ai singoli Paesi di confrontarsi tra loro e con il Parlamento europeo sui progressi e su ciò che ancora occorre fare in merito all'attuazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e dell'Agenda 2030.

8. Altri eventi di rilievo parlamentare.

  Il 28 settembre 2017 si è tenuta, presso l'Aula dei Gruppi parlamentari, la presentazione del Rapporto 2017 dell'ASviS sull'Italia e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile: i lavori sono stati aperti dalla deputata Marina Sereni, vicepresidente della Camera, ed introdotti dal dott. Pierluigi Stefanini, presidente dell'ASviS. Sono seguiti gli interventi del professor Enrico Giovannini, portavoce dell'ASviS e Pier Carlo Padoan, ministro dell'economia e delle finanze.
  L'11 e 12 dicembre dello stesso anno, si è svolto alla Camera il II Forum parlamentare Italia-America latina e Caraibi, dedicato al «Ruolo dei Parlamenti nell'attuazione dell'Agenda 2030 e nel partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile». L'evento, organizzato da Camera e Senato, rappresenta il versante parlamentare della Conferenza governativa Italia-America latina e Caraibi, tenutasi a Roma il 13 dicembre.
  I Paesi invitati al Forum sono quelli facenti parte dell'Iila (Istituto Italo-Latino Americano) ovvero: Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Ecuador, El Salvador, Guatemala, Haiti, Honduras, Messico, Nicaragua, Panama, Paraguay, Perù, Repubblica Dominicana, Uruguay e Venezuela.
  Il Forum, i cui lavori saranno aperti dalla presidente della Camera, Laura Boldrini, si è articolato in due sessioni, aventi ad oggetto i seguenti temi: «Sviluppo sostenibile, libertà di circolazione, connettività, verso l'attuazione dell'Agenda 2030», e «Cooperazione per una riduzione delle disuguaglianze ed una crescita economica inclusiva», rispettivamente coordinate dalla Vice Presidente della Camera, Marina Sereni e dalla Vice Presidente del Senato, Rosa Maria Di Giorgi.
  Le posizioni del Governo italiano sono state espresse dal viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Mario Giro e sono inoltre intervenuti, il senatore Pier Ferdinando Casini, in qualità di Presidente onorario dell'Unione interparlamentare, il presidente dell'VIII Commissione Pag. 63ambiente della Camera, Ermete Realacci, ed il presidente dell'Istituto italo-latinoamericano, ambasciatore Juan Rafael Mesa.
  Ha partecipato ai lavori un'ampia rappresentanza di parlamentari latinoamericani, tra i quali il presidente dell'Assemblea legislativa del Salvador, Guillermo Gallegos Navarrete, il presidente dell'Assemblea nazionale del Venezuela, Julio Andrés Borges, ed i vicepresidenti della Camera cilena, Enrique Jaramillo Becker, e della Camera boliviana, Víctor Alonzo Gutiérrez Flores, che hanno svolto una relazione.

9. Conclusioni.

  Nel settembre del 2000, firmando la Dichiarazione del Millennio, gli Stati membri delle Nazioni Unite si impegnarono a raggiungere entro il 2015 gli otto Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goal, MDG), associati a quelli che poi sarebbero stati i 21 traguardi specifici (target) e 61 indicatori per misurare il progresso raggiunto. L'impianto così definito poneva al centro, primo fra tutti, il dimezzamento tra il 1990 e il 2015 della percentuale di persone economicamente povere in termini assoluti e di persone che soffrivano la fame.
  Nel settembre del 2015, i 193 Stati membri delle Nazioni Unite si sono impegnati a raggiungere entro il 2030 i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goal, SDG), associati a ben 169 traguardi specifici e un numero imprecisato di indicatori da monitorare – che a inizio 2017 sono provvisoriamente 230.
  È certamente vero che anche all'indomani della Dichiarazione del Millennio ci fu un evento drammatico ed inaspettato, come gli attentati dell'11 settembre 2001 a New York, che avrebbe impresso una svolta radicale alle priorità e alla politica dei governi occidentali, con ricadute su quelle degli altri Paesi e, complessivamente, sulla vita di gran parte della popolazione.
  Ma l'agenda degli MDG si limitava ad essere un'agenda sociale, volta a contrastare gli effetti negativi più drammatici che l'ingiustizia, le guerre e il modello di crescita economica scaricavano sulle fasce più vulnerabili della popolazione. Si trattava di un'agenda di sviluppo sociale centrata sui più poveri.
  Le grandi sfide consistevano nel dare più risorse finanziarie alle politiche di aiuti internazionali al fine di realizzare programmi e progetti in grado di contribuire a raggiungere gli MDG. A metà del percorso negli Stati Uniti, principale Paese finanziatore degli aiuti, fu eletto presidente Barack Obama, il cui fortunato slogan politico fu quel «Yes, we can», ottimisticamente proteso a mettere in moto le energie positive per raggiungere l'obiettivo ambizioso di grandi trasformazioni nel mondo.
  Oggi sono troppo numerosi i segnali di un cambiamento in direzione opposta rispetto al disegno degli SDG per non vederli. A cominciare dall'indirizzo inedito, con tutto il suo peso politico, della nuova amministrazione di Donald Trump negli Stati Uniti, che, col suo slogan di «America first», riflette e nutre soprattutto un orizzonte più rivolto all'interno, di rivendicazione orgogliosa dell'identità di appartenenza.
  Tutto ciò è anche il lascito di anni di crisi economica in diversi Paesi occidentali (Italia in testa), di riduzione del divario economico con i Paesi oggi a medio reddito, di crescenti disuguaglianze all'interno dei Paesi e di crisi del lavoro, cui si è aggiunta negli ultimi anni in Europa la cosiddetta emergenza migratoria e dei richiedenti asilo, vissuta oggi come capro espiatorio di tutti i problemi strutturali e preesistenti delle società contemporanee.
  Le voci più critiche della strategia degli MDG si lamentavano perché la consideravano, insieme alle Nazioni Unite, l'espressione odierna dell'ideologia della pianificazione, del grande disegno statalista che vuole controllare i mercati e le dinamiche di sviluppo, il presidio del socialismo o, perlomeno, una grande ma fallace narrazione socialdemocratica.Pag. 64
  L'agenda degli SDG di oggi è addirittura molto più ambiziosa degli MDG, perché si propone sì di proseguire il lavoro svolto per raggiungere gli MDG – ponendo anzitutto come obiettivo chiave l'eliminazione della povertà assoluta e della fame entro il 2030 – ma si presenta anche come strategia di trasformazione complessiva del modello di sviluppo, integrando in maniera indissolubile sviluppo sociale, crescita economica e sostenibilità ambientale. E l'ambizione è tale per cui l'agenda esce dal perimetro ristretto della politica di aiuti ai Paesi più poveri per volersi affermare come sfida per tutti, capace di interrogare e mettere in discussione le politiche di sviluppo dei Paesi ricchi quanto di quelli poveri (il cosiddetto universalismo dell'Agenda 2030).
  Modernità e società «liquide», secondo la formula felice di Zygmunt Bauman, dominate dal senso di isolamento ed insicurezza (economica, lavorativa, affettiva) e dalla crisi dello Stato e dei partiti (a partire dalla socialdemocrazia in Scandinavia e in Europa, di fronte alle difficoltà di conservare o innovare lo stato sociale e ai grandi temi delle disuguaglianze, cambiamenti climatici, lavoro, depressione economica e disgregazione sociale, finanziarizzazione e migrazioni internazionali), della comunità e del diritto.
  Una situazione in cui per l'individuo senza punti di riferimento il vento soffia verso il ritorno di paure e rabbia, alimentando il bisogno di maggiore sicurezza per proteggersi dai pericoli reali o presunti, cioè dagli altri, incarnati nell'Occidente in ripiegamento su se stesso in primo luogo nei migranti internazionali, che diventano potenziali avamposti di quel terrorismo internazionale che simbolicamente aveva messo in crisi la certezza della propria sicurezza negli Stati Uniti, quell'11 settembre 2001.
  L'obiettivo degli SDG è di lungo periodo e mira a costruire una società migliore per tutti; le preoccupazioni di molti e della politica sono di brevissimo periodo, riguardano il «me, qui e ora» e, dove si disgrega la coesione e spezza il necessario equilibrio tra il mercato e la società, sentimenti di solidarietà internazionale, come anche l'attenzione alla sostenibilità ambientale, possono essere percepiti come un lusso per chi non ha problemi o, peggio, per chi vuole e può guadagnarci.
  Vi è poi un secondo fattore critico largamente emerso nel corso dell'indagine conoscitiva, al di là del quadro politico e di contesto molto diverso oggi rispetto anche solo a due anni fa, e riguarda il ruolo e la credibilità della politica degli aiuti internazionali in relazione agli obiettivi molto ambiziosi dell'agenda degli SDG.
  Non solo l'agenda degli SDG è molto più vasta e ambiziosa di quella degli MDG, ma la politica degli aiuti rischia una marginalizzazione legata al fatto che il flusso di aiuti pubblici allo sviluppo è poca cosa rispetto ai flussi finanziari internazionali di origine privata che attraversano i Paesi; e l'auspicio di un solido ed efficace partenariato pubblico-privato, tutto da costruire per essere realmente orientato a promuovere gli SDG in forma strutturale, è per ora solo tale.
  Soprattutto – e questo è un punto molto dolente dell'Agenda, che urta la suscettibilità di diversi operatori del settore – rischia di sovraccaricarsi di obiettivi proprio il campo della cooperazione allo sviluppo che molto ha fatto e può fare sicuramente in termini di impegni per l'inclusione sociale, i processi di democratizzazione ed il sostegno ai più poveri e alle vittime delle guerre e delle catastrofi naturali, ma molto meno può fare in termini di riduzione della povertà economica, di lotta alle disuguaglianze e di mitigazione dei cambiamenti climatici.
  Come ha efficacemente sottolineato il direttore del centro statistico alla FAO, Pietro Gennari, l'agenda degli SDG è politicamente ambiziosa ma anche complessa dal punto di vista del monitoraggio, perché i target e gli indicatori (ancora in via di definizione) sono molto numerosi ed afferiscono ad ambiti diversi, senza che ci sia alcuna definizione di priorità al loro interno e con la necessità di cogliere i nessi che determinano delle relazioni causali tra i tanti target, perché l'universalismo dell'agenda investe non solo tutti i Pag. 65Paesi, ma anche i diversi attori del cambiamento (governi nazionali e subnazionali, mondo profit e società civile nelle sue articolazioni).
  Esiste una grande distanza culturale e teorica tra il ritenere che la stabilità macroeconomica e la disciplina fiscale siano il fondamento dello sviluppo, e quindi debbano precedere il resto e, invece, l'impianto culturale e teorico degli SDG, fondato sulla indivisibilità dei tre pilastri (economico, sociale e ambientale) dello sviluppo e sulla necessità di impegnarsi contemporaneamente su più fronti. Pretendere che i due approcci di fondo siano tra loro coerenti, complementari e si possano coordinare può rivelarsi illusorio.
  Oltre alle divergenze di fondo tra orientamenti politici di breve e medio-lungo periodo, sono da tenere in considerazioni le resistenze e barriere dei sistemi e modelli organizzativi. Relazioni di potere e politiche ministeriali tendono a spingere a politiche settoriali (scuola, salute, sviluppo economico, cultura, ambiente e così via), impedendo il concretizzarsi di quel principio di integrazione e indivisibilità dei tre pilastri che sorregge l'architettura degli SDG.
  L'Unione europea è chiamata ad un ruolo da protagonista nell'attuazione dell'Agenda 2030: essa è di gran lunga il principale donatore al mondo: tra il 1960 e il 2015 i Paesi dell'UE membri dell'OCSE e la Commissione hanno destinato quasi 1.700 miliardi di dollari alla cooperazione allo sviluppo. L'UE è anche la più grande economia del mondo, con oltre il 20 per cento del prodotto interno lordo (PIL) mondiale, ed è l'attore principale in diversi settori politici interconnessi e legati agli SDG: il commercio, lo sviluppo, l'aiuto umanitario, l'ambiente e i diritti umani.
  Diversi Paesi dell'UE hanno anche un ruolo chiave, oltre che alle Nazioni Unite, presso i luoghi di concertazione della governance globale e sono chiamati ad assumere impegni diretti sul fronte degli SDG, pur nel carattere informale di tali luoghi. È il caso del G20, che riunisce 19 economie avanzate ed emergenti più l'UE e che rappresenta circa i due terzi della popolazione mondiale e l'86 per cento del PIL mondiale.
  Al fine, però, di uscire dalle secche dell'emergenza di brevissimo periodo, è importante che Italia ed UE sappiano dare priorità alle prospettive di lungo periodo, a cominciare dal tema dei grandi investimenti per l'energia fino ad in piano di grandi investimenti per l'Africa che costituisce un ambito d'azione con caratteri fortemente innovativi per l'UE, su cui si tratta di passare dalle attuali dichiarazioni e proclami a veri studi di fattibilità.
  Il tema degli investimenti per l'energia in Africa è, potenzialmente, un ambito centrale di attuazione dell'Agenda 2030, laddove integra automaticamente la dimensione economica e ambientale, e se in grado di assicurare anche la presenza del pilastro sociale. Lo è per il carattere innovativo di mobilitazione di risorse pubbliche e private, di costruzione di un partenariato che coinvolge allo stesso livello partner del Nord e del Sud, facendo leva su strumenti come gli investimenti e il commercio. Lo è, soprattutto, perché supera la tendenza oggi prevalente ad affrontare in chiave emergenziale e non strutturale il tema delle migrazioni dall'Africa, sposando la logica di trasformazione di lungo periodo propria degli SDG.
  Sul piano nazionale, l'indagine conoscitiva ha permesso di delineare un quadro ricognitivo dei ritardi e delle inadeguatezze del nostro Paese nel percorso dello sviluppo sostenibile delineato dall'Agenda 2030: è emersa in primo luogo la carenza di adeguati ed innovativi strumenti legislativi in materia di consumo del suolo, gestione delle risorse idriche e di strategie di lungo periodo (nei campi dell'energia, dell'economia circolare e della lotta ai cambiamenti climatici), cruciali per il futuro del Paese.
  I diversi scenari calcolati per l'Italia al 2030, presentati nel richiamato rapporto 2017 dell'ASviS indicano che l'adozione di politiche business as usual non permetterà di migliorare in modo significativo il benessere, l'equità e la sostenibilità della Pag. 66condizione italiana, che, anzi, potrebbe peggiorare il proprio posizionamento rispetto ai partner europei.
  Al contrario, con l'approvazione di un insieme «sistemico» di politiche è possibile migliorare sensibilmente la performance complessiva, anche se servono specifici interventi in settori fondamentali, come quello della qualità dell'acqua e dell'approvvigionamento idrico, anche al fine di fronteggiare gli effetti negativi del cambiamento climatico.
  A fronte dell'introduzione dei primi indicatori di benessere equo e solidale nel nostro ordinamento (con il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze del 16 ottobre 2017), manca ancora oggi l'adozione di una Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, anche in termini quantitativi, munita di una sua specifica governance, così come la predisposizione di linee-guida per le amministrazioni pubbliche volte a dare applicazione agli standard ambientali ed organizzativi funzionali al raggiungimento degli SDG.
  È inoltre da segnalare che la recentissima legge di bilancio per il 2018 (legge 27 dicembre 2017, n. 205), all'articolo 1, commi da 282 a 285, ha dettato una serie di norme modificative della legge n. 125, in materia di personale e risorse per la cooperazione internazionale allo sviluppo, che recepiscono, per quanto parzialmente, alcune delle indicazioni emerse nel corso delle audizioni.
  A seguito di alcune proposte emendative approvate nel corso dell'esame alla Camera, è stata autorizzata l'assunzione, da parte dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, nei limiti dell'attuale dotazione organica, fino a 10 unità di livello dirigenziale non generale, con reclutamento mediante concorso pubblico per titoli ed esami, comprendente una prova scritta di carattere tecnico.
  Sono state inoltre modificate le modalità di erogazione dei finanziamenti, da parte dell'Agenzia, per la realizzazione d'iniziative di cooperazione allo sviluppo ad organismi iscritti nell'elenco dei soggetti promotori della cooperazione allo sviluppo. Si prevede a tale fine che i finanziamenti siano erogati per stati di avanzamento, previa rendicontazione delle spese effettivamente sostenute, oppure anticipatamente, dietro presentazione, per il 30 per cento dell'importo anticipato, di idonea garanzia.
  È stato inoltre previsto che una quota del fondo rotativo istituito dalla legge 24 maggio 1977, n. 227, possa essere destinata alla concessione di prestiti, anche in via anticipata, ad imprese per la partecipazione al capitale di rischio di imprese miste in Paesi partner, individuati con delibera del CICS (Comitato interministeriale per la cooperazione allo sviluppo), con particolare riferimento alle piccole e medie imprese ed alla concessione di prestiti ad investitori pubblici o privati o ad organizzazioni internazionali, affinché finanzino, secondo modalità identificate dal CICS, imprese miste in Paesi partner che promuovano lo sviluppo dei Paesi medesimi.
  Nel corso dell'indagine, i componenti del Comitato hanno progressivamente condiviso l'esigenza di accelerare il cambiamento culturale nelle classi dirigenti e nell'opinione pubblica a favore di una visione «sistemica» dello sviluppo, in grado di assicurare equità e sostenibilità del benessere, sfruttando le sinergie che l'interazione favorevole di politiche settoriali possono generare.
  Emerge l'esigenza d'intervenire rapidamente sulle criticità segnalate nel corso delle audizioni, che sono raggruppabili in due grandi ambiti: 1) garantire una maggiore inclusività e rappresentatività nei percorsi decisionali inerenti alla progettazione ed alla programmazione delle iniziative di cooperazione internazionale, evitando chiusure di matrice burocratica o tecnocratica; 2) assicurare una maggiore trasparenza ed una maggiore aderenza ai parametri internazionali e sovranazionali nelle procedure di controllo sull’import/export di materiali d'armamento, rispetto alle quali gli apparati ministeriali preposti appaiono in alcuni casi inadempienti.

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ALLEGATO 3

Indagine conoscitiva sull'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

INTERVENTO DELLA DEPUTATA SPADONI

  Il Comitato permanente sull'attuazione dell'Agenda 2030 e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile si è costituito per conoscere la situazione italiana su un insieme di questioni importanti per lo sviluppo: la lotta alla povertà, l'eliminazione della fame e il contrasto al cambiamento climatico, per citarne solo alcuni. L'Agenda 2030 è un programma d'azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai Governi dei 193 Paesi membri dell'ONU. Essa ingloba 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile in un grande programma d'azione per un totale di 169 targets.
  Gli Obiettivi per lo Sviluppo danno seguito ai risultati degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals) che li hanno preceduti e riguardano tutti i Paesi e tutti gli individui: nessuno ne è escluso, né deve essere lasciato indietro lungo il cammino necessario per portare il mondo sulla strada della sostenibili.
  Nel Comitato ci si è soffermati in particolare sull'Obiettivo 16 (pace, giustizia e istituzioni forti). La domanda che ci siamo posti è stata: in che modo la promozione di società pacifiche può contribuire alla prosperità e al miglioramento delle condizioni di vita delle persone ? In che modo possiamo fornire un accesso universale alla giustizia, costruire istituzioni responsabili ed efficaci a tutti i livelli ? E soprattutto, in che modo possiamo, entro il 2030, ridurre in maniera significativa il finanziamento illecito e il traffico di armi e combattere tutte le forme di crimine organizzato ?
  Su questo punto il Comitato che presiedo si è concentrato audendo, tra gli altri, il dottor Giorgio Beretta, ricercatore dell'Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza e Difesa (OPAL) e il Direttore dell'Autorità nazionale – UAMA (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento), Ministro Plenipotenziario Francesco Azzarello. La conclusione è stata che è necessaria maggiore trasparenza nell'import-export di armi e che è fondamentale porre fine alla vendita di armamenti a Paesi che non possiedono determinati criteri. La legge n. 185 del 1990 (oltre all’Arms Trade Treaty, il Trattato sul commercio delle armi) è chiara su questo: è illegale vendere armi a paesi in conflitto o che violano i diritti umani.
  Anche l'Obiettivo 5 (uguaglianza di genere) è stato oggetto di approfondimento.
  Come ha giustamente sottolineato in audizione la dottoressa Flavia Bustreo, vicedirettrice generale dell'Organizzazione Mondiale della Sanità per la salute della famiglia, delle donne e dei bambini, quando si guarda il panorama globale, si nota che i dati di salute pubblica internazionale sono ancora estremamente preoccupanti: abbiamo, tuttora, circa 300 mila donne che muoiono soltanto per partorire e circa 500 mila donne che sono affette da cancro della cervice.
  Questi sono dati sottostimati, perché i dati che abbiamo, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, sono ancora insufficienti. Abbiamo dei dati sulla violenza delle donne, che sono assolutamente oltraggiosi. Abbiamo visto, dai dati di sessantasette Paesi di tutte le regioni del mondo e di tutti i livelli di reddito, che una donna su Pag. 68tre, durante il corso della propria vita, è oggetto di violenza, quindi queste sono le sfide cui la strategia globale sta cercando di rispondere.
  In conclusione, il Comitato ha portato avanti nel corso di questa legislatura un lavoro di approfondimento ed indagine estremamente importante per il Parlamento e, sono certa, darà l'opportunità al Paese di raggiungere i targets entro il 2030. Mi sono sentita estremamente onorata di aver presieduto un Comitato con obiettivi così ambiziosi ed elevati.
  Aggiungo che questo lavoro non sarebbe stato possibile senza il preziosissimo aiuto degli uffici della III Commissione che in questi cinque anni ci hanno seguito nei lavori. A loro devo un particolare ringraziamento per la loro professionalità e disponibilità.