Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 12 maggio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione (ex articolo 115, comma 3, del regolamento):


   La Camera,
   premesso che:
    un Ministro, figura chiave della compagine governativa ed elemento di equilibrio politico nei rapporti con tutte le forze parlamentari, è chiamato ad essere e ad apparire trasparente rispetto ai propri atti, ai propri impegni e ai propri comportamenti;
    il Ministro dell'interno, autorità politica al vertice del dicastero omonimo, è garante e responsabile della sicurezza dei cittadini, tutore dell'incolumità e delle libertà individuali garantite dalla Costituzione, latore delle politiche di contrasto alla criminalità comune e organizzata e delle strategie in tema di prevenzione e controllo del territorio;
    i fatti verificatisi il 3 maggio 2014 a Roma in occasione della finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina sono di una gravità inaudita; gli episodi di violenza e di vera e propria criminalità, nonché la clamorosa debolezza della risposta sono immagini che hanno fatto il giro del mondo e gettano discredito sulle aspirazioni del nostro Paese a gestire e organizzare eventi sportivi di carattere europeo e mondiale in ordine ai quali ha avanzato la propria candidatura ufficialmente o intende farlo;
    prima e dopo la competizione si sono ripetute occasioni di disordine, in un crescendo di violenza e vera e propria criminalità: scontri tra tifoserie in alcuni Autogrill autostradali nei pressi di Roma; scontri tra gruppi di tifosi e forze dell'ordine al Ponte Duca d'Aosta e nel quadrante del Foro Italico; si è verificato un attentato a colpi di arma da fuoco a 1,5 chilometri dallo stadio, lungo via di Tor di Quinto, la strada che portava ad esso e dove sono stati convogliati i pullman sulla base del piano del Ministero dell'interno;
    è noto che nei pressi della zona prescelta come parcheggio dei pullman partenopei insistono da anni locali, chioschi e pertinenze occupati illegalmente dalla malavita e da organizzazioni vicine agli ultrà estremi delle squadre calcistiche di Roma e Lazio; il De Santis Daniele, alias Gastone, il presunto sparatore, lavorava presso uno dei suddetti locali ed è noto da anni a tutte le polizie d'Italia come violento ultrà;
    gli episodi si sono verificati fuori dallo stadio e, come tali, fanno risaltare, gravissima, la carenza in ordine alla pianificazione e alle strategie di prevenzione di ordine pubblico e sicurezza urbana, ma soprattutto la trascuratezza in ordine all'acquisizione e alla conoscenza dei dati sulla pericolosità della zona, in connessione con informazioni inquietanti che arrivavano sia da Firenze che, soprattutto, da Napoli, come riportato dal quotidiano Il Mattino, il giorno precedente;
    emergono, altresì, forti discrasie tra la ricostruzione dei fatti esposta dal Ministro nell'Aula di Montecitorio e quella fornita dagli organi della stampa e dalla stessa procura federale sportiva;
    ulteriori discrasie emergono tra le dichiarazioni del Ministro nell'Aula di Montecitorio circa l'unicità dell'autore della sparatoria e la presenza, verificata dai pubblici ministeri, di un commando di almeno 4 persone;
    da ultimo, appaiono destituite di fondamento le dichiarazioni del Ministro dell'interno con le quali ha esplicitamente escluso che vi sia stata trattativa con gli ultrà per il corretto svolgimento della competizione sportiva;
    la gravità di questi accadimenti è esaltata dal fatto che essi risultano quale ultimo episodio di una serie che, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, mette in luce l'inadeguatezza dell'autorità politica di vertice del Ministero dell'interno, che abdica alle sue funzioni;
    la credibilità del Ministro è risultata fortemente minata già dai fatti inerenti al caso Shalabayeva: dove la rendition della signora Alba Shalabayeva e della sua figlioletta è stata assicurata alle autorità dittatoriali kazake sulla base di un provvedimento profondamente errato e viziato; dove il prefetto di Roma e il Ministro stesso non hanno saputo garantire l'indipendenza di giudizio nella gestione di una questione che era apparsa sin dall'inizio priva di fondamento giuridico e rimane, a tutt'oggi, torbida e irrisolta; la signora Shalabayeva è, infatti, ad oggi ritornata in Italia e quel provvedimento è stato riconosciuto quanto meno illegittimo;
    più di recente, si è assistito alla latitanza del conterraneo ed ex compagno di partito del Ministro dell'interno, Marcello Dell'Utri al quale – prescindendo in questa sede da considerazioni giudiziarie – i passaporti non erano stati ritirati nonostante le evidenti ragioni di ordine pubblico che, a norma di legge, devono inibirne il rilascio o il rinnovo; non è possibile che gli apparati di sicurezza non avessero segnalato al Ministro dell'interno il fatto che Dell'Utri si apprestasse a «fuggire» in Libano, dove esistevano ed esistono particolari e oscuri motivi della sua presenza: ad esempio, il finanziamento alla campagna elettorale del candidato Gemayel alla presidenza del Libano, sulla base, anche a detta di Silvio Berlusconi, di sollecitazioni ricevute dal Presidente Putin; in ogni caso, risulta che Dell'Utri potesse disporre di una provvista di liquidità garantita da un versamento di milioni di euro di Berlusconi per il tramite di una onlus in Guinea Bissau;
    la concatenazione temporale e seriale dei fatti esposti getta un'ombra indelebile sulla figura istituzionale del Ministro e mette a repentaglio l'immagine del nostro Paese e la nostra sovranità;
    i fatti indicati minano, altresì, la credibilità del Ministro dell'interno e pongono un grave pregiudizio sulle sue capacità di svolgere le funzioni a cui è chiamato, nonché sull'opportunità della sua permanenza a ricoprire una carica di primo piano e di piena rappresentanza politica, in particolare in un ruolo così rilevante e delicato;
    per i motivi esposti:
     visto l'articolo 94 della Costituzione;
     visto l'articolo 115 del Regolamento della Camera dei deputati;
     esprime la propria sfiducia al Ministro dell'interno, Angelino Alfano, e lo impegna a rassegnare immediatamente le dimissioni.
(1-00458) «Nuti, Dadone, Cozzolino, D'Ambrosio, Dieni, Lombardi, Fraccaro, Toninelli, Agostinelli, Alberti, Artini, Baldassarre, Barbanti, Baroni, Basilio, Battelli, Bechis, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Crippa, Currò, Da Villa, Daga, Dall'Osso, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, Cristian Iannuzzi, L'Abbate, Liuzzi, Lorefice, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Mucci, Nesci, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Prodani, Rizzetto, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Rostellato, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Segoni, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Terzoni, Tofalo, Tripiedi, Turco, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».
(Presentata il 9 maggio 2014)

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il 18 ottobre 2013 ha avuto inizio l'operazione «Mare nostrum», finalizzata a fronteggiare l'emergenza degli sbarchi dei clandestini sulle nostre coste;
    all'avvio della missione, il Ministro della difesa pro tempore quantificò in un milione di euro al mese il costo della stessa; attualmente, invece, la missione costa circa 300.000 euro al giorno (e, quindi, circa 9 milioni di euro al mese) e non solo non risolve l'emergenza, ma anzi sembra acuirla. A tali costi vanno sommate le indennità spettanti al personale ed i costi della manutenzione necessaria per l'uso straordinario dei mezzi: la spesa finale dovrebbe attestarsi tra i 10 ed i 14 milioni di euro al mese; senza considerare i ben più ingenti costi, di cui non si conosce l'esatta entità, sostenuti per il vitto e l'alloggio dei migranti nei centri di accoglienza e per i loro trasferimenti nonché le spese amministrative per l'organizzazione del tutto;
    la missione doveva costituire un deterrente per le organizzazioni criminali, che gestiscono i viaggi degli immigrati dalle coste dell'Africa settentrionale verso l'Italia;
    invece, da testimonianze diffuse parrebbe che «Mare nostrum» non abbia avuto alcun effetto deterrente, ma che, al contrario, abbia fortemente incentivato la partenza dei migranti verso le coste italiane, favorendo, quindi, gli affari delle organizzazioni criminali che hanno aumentato enormemente i propri illeciti profitti;
    ciò in quanto si è ormai affermata l'idea che basti partire dalle coste africane e chiedere soccorso alle autorità italiane per essere raccolti in mare dalle navi militari italiane (utilizzate come impropri «taxi gratuiti»), magari a pochi chilometri dai porti di partenza, e portati presso i centri di accoglienza italiani;
    addirittura anche alcuni partner europei, pur condividendo le linee generali dell'operazione Mare nostrum, messa in campo per evitare dolorosi naufragi, avrebbero espresso dubbi sulla valenza delle operazioni di search and rescue come attualmente condotte, arrivando a ritenere che l'ufficializzazione di tali interventi incoraggia i trafficanti di persone, alimentando l'illegalità e attraendo nuovi flussi; di fatto, significa che l'Italia spende 9 milioni di euro al mese per farsi dire dall'Europa che è l'anello debole nella lotta all'immigrazione clandestina;
    sono già più di 25.000 i migranti giunti nel nostro Paese dall'inizio dell'anno, e, secondo i dati del Ministero dell'interno, centinaia di migliaia sono pronti a salpare verso l'Italia; si parla di un vero e proprio esodo di circa 800.000 persone, di cui non si conoscono né la vera provenienza, né le condizioni sanitarie, né gli eventuali precedenti penali;
    contestualmente agli sbarchi stanno crescendo anche le fughe dai centri di prima accoglienza, anche di minori, di cui si perdono completamente le tracce;
    l'Italia subisce le oscillazioni delle situazioni politiche dell'euro mediterraneo, essendo geograficamente il Paese di prima accoglienza per l'Unione europea. Nel Regolamento Dublino III rimane sostanzialmente invariato il principio secondo cui il primo Stato di arrivo è quello competente a valutare le richieste di asilo e a sostenere gli oneri sociali ed economici corrispondenti. Ciò penalizza fortemente Paesi come il nostro che, a seguito delle eccezionali ondate migratorie del recente passato e in considerazione di quelle future, rimane e resta la frontiera geografica esterna dell'Unione più prossima alla sponda nord africana;
    lo sforzo logistico e finanziario sostenuto dall'Italia, fin dalle rivolte sviluppatesi in Tunisia, in Egitto e in Libia, è stato notevole e molto impegnativo, e i sacrifici, segnatamente delle popolazioni di Lampedusa, sono stati enormi. Questo significa gestione dei flussi ma anche rimpatri coattivi per coloro che non hanno titolo all'accoglienza;
    il Governo italiano deve imporsi: i nuovi flussi, che si caratterizzano per ondate di migranti in fuga da persecuzioni e guerre, si incrociano inevitabilmente con il tema della necessaria revisione del sistema di misure di protezione internazionale e di asilo;
    ingenti sono anche i danni, sotto il profilo dell'immagine, che le località ospitanti i centri di accoglienza o interessate dagli sbarchi hanno sopportato e sopporteranno ulteriormente (considerato che con l'estate aumenteranno gli arrivi in misura considerevole), soprattutto in prossimità della stagione balneare, trattandosi di comuni spesso con una significativa attività turistica;
    il 23 ottobre 2013 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulle politiche migratorie basata su tre punti: solidarietà e responsabilità fra gli Stati membri che devono condividere gli oneri migratori, accordi di cooperazione con i Paesi da cui partono i migranti (come quelli conclusi in maniera efficace dai Governi Berlusconi) e riallocazione dei richiedenti asilo nell'ambito dell'Unione europea;
    sono stati invece registrati tenaci resistenze da parte degli Stati membri ad un maggiore coinvolgimento dei loro assetti operativi nelle attività di controllo delle frontiere esterne, nonché la diffidenza degli stessi Stati membri manifestatasi in occasione del Consiglio di giustizia e affari interni (GAI) del 5 dicembre 2013, quando molte delegazioni hanno criticato le proposte della Commissione indirizzate ad introdurre meccanismi più stringenti di compartecipazione degli oneri, sia in termini di trasferimento del migrante da uno Stato membro ad un altro che di insediamento da Paesi terzi;
    bisogna dare effettivo seguito agli impegni: l'emergenza è strutturale, e non può gravare solo sull'Italia. L'Europa deve intervenire con urgenza, superando ogni tipo di resistenza degli Stati, attraverso l'introduzione di meccanismi più stringenti di compartecipazione degli oneri economici e sociali che il fenomeno migratorio comporta, nonché una modifica delle regole che attualmente caricano in maniera eccessiva sull'Italia il peso del Paese di «primo» ingresso (come il regolamento Dublino III);
    non si tratta di «soccorso all'Italia», ma di «soccorso ai profughi», che, si ricorda, non sbarcano nel nostro Paese, ma nel continente europeo, le cui coste accessibili appartengono all'Italia; esiste un diritto umanitario, che è stato applicato in occasione della missione Mare nostrum, ma esiste anche il problema di un miglior coordinamento europeo che per ora è assente;
    senza strumenti di solidarietà concreta e di responsabilità condivisa tra i partner europei, operazioni come Mare nostrum rischiano di essere un boomerang capace di rendere l'Italia solo un anello debole a vantaggio della clandestinità e dei trafficanti di morte; anche in considerazione degli imprescindibili obblighi di tutela dei diritti fondamentali delle persone, sarebbe auspicabile che l'Unione europea desse finalmente prova di effettiva solidarietà e di un'efficace capacità di risposta,

impegna il Governo:

   ad interrompere immediatamente la missione «Mare nostrum» e a rafforzare i controlli per contrastare il criminale traffico di persone, fermi restando l'impegno umanitario del Paese per evitare dolorosi naufragi, nonché il dovere di garantire l'applicazione delle norme di protezione internazionale e di asilo;
   a riattivare il piano di accordi bilaterali elaborato nel corso della XVI legislatura dal Governo Berlusconi, in particolare il Trattato di amicizia Italia-Libia, al fine di ridurre i tempi di identificazione degli stranieri irregolari, mettendo in campo ogni strumento utile alla collaborazione con le autorità consolari dei Paesi maggiormente interessati al fenomeno migratorio e, semplificando i compiti dei funzionari diplomatici nell'organizzazione degli incontri con gli stranieri da identificare;
   a promuovere immediate iniziative dell'Unione europea, ponendo all'ordine del giorno dell'agenda europea il tema dell'accoglienza ai migranti e ai profughi, e la promozione di una politica di accoglienza europea, attuando il principio di ripartizione degli oneri (burden sharing) introdotto dal Trattato di Lisbona, e modificando, a tal fine, il Regolamento cosiddetto Dublino III, per obbligare tutti gli Stati membri a farsi carico di una quota di migranti;
   a riferire trimestralmente in Parlamento in merito alle iniziative e alle decisioni adottate in sede di Unione europea sul tema dell'accoglienza, in particolare in merito alle modifiche del Regolamento Dublino III;
   a vigilare sull'applicazione delle disposizioni in vigore e sul rispetto puntuale e rigoroso delle norme che legano la possibilità di ingresso e soggiorno sul territorio dello Stato al possesso di un regolare contratto di lavoro e ad intensificare e rendere pienamente efficaci i controlli ispettivi, con il fattivo coinvolgimento dei vari livelli istituzionali e delle parti sociali;
   ad adottare le opportune iniziative per favorire una maggiore tutela della salute dei cittadini, dei migranti, delle forze dell'ordine e del personale impiegato nelle operazioni di contrasto all'immigrazione clandestina, nei centri di identificazione ed espulsione e nei centri d'accoglienza dei richiedenti asilo;
   a valutare, sulla base dell'esperienza compiuta, ogni possibilità di miglioramento dell'attuale assetto normativo, per contrastare l'immigrazione clandestina e regolare i flussi migratori, legandoli alle effettive necessità economiche e sociali del Paese;
   ad intensificare una specifica, coordinata e capillare attività di contrasto dei fenomeni di illegalità legati ai flussi di migranti.
(1-00459) «Brunetta, Ravetto, Palmizio».


   La Camera,
   premesso che:
    l'ultimo decennio ha visto una crescita costante nei cittadini della preoccupazione per la tutela degli animali; l'82 per cento dei cittadini europei, secondo Eurobarometro, afferma di essere d'accordo che sia un dovere proteggere i diritti degli animali, qualunque siano i costi;
    la legislazione comunitaria ha seguito questa evoluzione e alcuni parziali ma importanti miglioramenti sono stati raggiunti: il box individuale per i vitelli a carne bianca è stato vietato in tutta l'Unione europea dal 2007 e le gabbie di batteria per le galline ovaiole sono vietate dal 2012. I test cosmetici sugli animali sono stati aboliti ed è stato introdotto il bando europeo alla commercializzazione nell'Unione europea di prodotti cosmetici testati su animali. È vietato da alcuni anni importare e commercializzare le pelli di cane e gatto e le pelli di foca;
    nel 1997 l'Unione europea ha dato un nuovo status agli animali riconoscendoli come «esseri senzienti» in un protocollo allegato al Trattato di Amsterdam. Questo principio è stato promosso dieci anni dopo – su proposta, nel 2003, della Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea – nell'articolo 13 delle disposizioni di applicazione generale del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, imponendo al legislatore comunitario e agli Stati membri di tenere pienamente in considerazione il benessere degli animali nel processo di formazione delle norme. Questa importante conquista, tuttavia, non trova ancora adeguata applicazione;
   la tutela degli animali da compagnia non ha ancora una normativa europea. Alcuni Stati membri uccidono indiscriminatamente gli animali randagi, al tempo stesso Stati membri alimentano commerci illegali di centinaia di migliaia di cuccioli con tassi di mortalità gravissimi, rischi sanitari, operando veri e propri maltrattamenti, mentre l'Italia già nel 1991 ha introdotto una legge che vieta le uccisioni per combattere il randagismo, introducendo la sterilizzazione obbligatoria di cani e gatti randagi e la promozione della loro adozione; inoltre, nel 2010, il nostro Paese ha indicato la strada all'Unione europea in materia di traffico di cuccioli con una legge innovativa ed avanzata di repressione del fenomeno di illegalità. Conseguentemente, nel novembre 2010, il Consiglio dei ministri dell'Unione europea ha adottato delle conclusioni chiedendo alla Commissione europea di proporre azioni per la tutela di cani e gatti;
   dal prossimo 1o luglio l'Italia avrà la Presidenza del Consiglio dell'Unione europea,

impegna il Governo:

   a caratterizzare la Presidenza del Consiglio dell'Unione europea con iniziative tese a:
    a) dare piena applicazione al riconoscimento degli animali come «esseri senzienti», facendo pesare questo precetto del Trattato nel processo di formazione ed emanazione delle norme dell'Unione europea, a partire dalla «legge quadro europea sul benessere animale» annunciata dalla Commissione;
    b) rafforzare l'ufficio veterinario della Commissione europea al fine di garantire un efficace controllo dell'applicazione delle normative comunitarie a tutela degli animali;
    c) introdurre una normativa comunitaria per la tutela degli animali d'affezione e la prevenzione del randagismo che, fra l'altro, preveda il divieto di uccisione di cani randagi e gatti vaganti, lo sviluppo di programmi di prevenzione con adeguati programmi di sterilizzazione e adozione, identificazione tramite microchip e registrazione obbligatoria collegata a un sistema di tracciabilità europea, contrasto al traffico di cuccioli anche attraverso l'Europol ed ai combattimenti fra cani;
    d) realizzare una legislazione che renda l'Unione europea libera dalla prigionia degli animali per fini ludici;
    e) considerata la peculiarità di Rete Natura 2000, vietare in questi territori l'attività di uccisione di animali selvatici;
    f) vietare l'importazione e la commercializzazione delle «specie invasive aliene» e stabilire che i metodi di loro contenimento, prevedano unicamente misure incruente, rispettose della vita e della sofferenza dei soggetti interessati;
    g) sostenere il riconoscimento e l'utilizzazione dei metodi sostitutivi di ricerca all'uso di animali ed estendere il divieto di test animali previsti per i cosmetici e i loro ingredienti ai prodotti di detergenza e loro ingredienti;
    h) sostenere l'emanazione di norme che prevedano standard obbligatori minimi negli allevamenti che si applichino alle specie oggi prive di specifiche norme di tutela come mucche, conigli, tacchini, pesci e la definizione di una legislazione che vieti la clonazione degli animali per la produzione di cibo;
    i) sostenere l'armonizzazione del mercato interno estendendo a livello comunitario il divieto di allevamento di animali per la principale finalità di ottenere pellicce già adottato da alcuni Stati membri;
    l) realizzare una Conferenza sull'applicazione della direttiva 1999/22 sulla detenzione degli animali nei giardini zoologici a quindici anni dalla sua emanazione e di una Conferenza per la presentazione e lo studio delle condizioni scientifiche ed economiche per la revisione del regolamento 1/2005 che disciplina i tempi di viaggio e la densità del trasporto degli animali a fini commerciali.
(1-00460) «Brambilla, Bergamini, Biancofiore, Castiello, Giammanco, Fucci, Marti, Palese, Palmizio, Petrenga».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni III e X,
   premesso che:
    ad oggi, una moltitudine di piccole e medie imprese italiane versa in una situazione di gravissimo disagio finanziario, a causa del mancato pagamento di crediti maturati a vario titolo, in Libia per forniture di beni e servizi effettuate nei confronti di amministrazioni ed enti libici; a riguardo, sussistono due flussi di crediti rimasti insoluti, ossia quelli conseguenti alla sospensione dei pagamenti da parte della Libia con l'approvazione dell'embargo entrato in vigore il 5 aprile 1992, ratificato anche dal Governo italiano, nonché quelli antecedenti alla crisi politico-istituzionale che ha colpito la Libia nel febbraio 2011;
    per quanto concerne il primo flusso di crediti, ossia quelli sorti in periodo precedente al 1992, si rileva che, nell'anno 2002, è stata istituita una commissione mista italo-libica, formata da rappresentanti della Banca Ubae e da funzionari del Ministero delle finanze libico, incaricata di verificare e certificare tali crediti delle società italiane;
    nel mese di novembre dello stesso anno, le imprese hanno consegnato la documentazione comprovante i crediti, affinché la commissione Ubae predetta potesse effettuarne l'accertamento; nel mese di febbraio 2003, alla presenza del Ministro degli affari esteri, dei rappresentanti dell'Ubae, del Ministero del Tesoro libico e dell'Ali (Associazione libico italiana) sono stati illustrati i risultati raggiunti dalla procedura di verifica dei crediti;
    nel mese di aprile 2003, è stato richiesto agli enti libici di confermare i crediti esaminati, nonché di comunicare eventuali posizioni debitorie delle aziende italiane nei confronti degli enti libici medesimi, al fine di valutare la possibilità di eventuali compensazioni, ma, sebbene pervenute le dichiarazioni di riconoscimento di debito da parte degli enti libici, il contenzioso è rimasto irrisolto in quanto le promesse di pagamento avanzate non hanno avuto alcun seguito; nell'agosto del 2008, è stato siglato il noto Trattato di amicizia tra l'Italia e la Libia, poi recepito con legge dello Stato italiano, ma, inspiegabilmente, con lo stesso non è stato previsto un accordo risolutorio della questione relativa al pagamento dei crediti delle imprese italiane; nel tempo, alcuni crediti sono stati estinti attraverso delle transazioni, sia direttamente che indirettamente, mediante indennizzi del Sace e, peraltro, è stata a suo tempo avanzata una proposta delle autorità libiche di transigere definitivamente il contenzioso in oggetto attraverso un pagamento parziale al Governo italiano, il quale, tuttavia, non ritenne di doversi surrogare alle imprese creditrici per il timore di dovere fronteggiare richieste giudiziali di risarcimento danni da parte di alcune società non aderenti all'accordo transattivo;
    è stato allestito un tavolo tra i due Paesi per la risoluzione finale dei crediti pregressi, che ha comportato anche la visita di una missione libica in Italia, alla quale doveva ripetersi un ulteriore e definitivo incontro a Tripoli, tuttavia, quest'ultimo in seguito non è stato più convocato dalle autorità libiche;
    attualmente, dedotti i crediti estinti, sono circa sessanta le imprese che non hanno ancora ottenuto la liquidazione dei crediti sorti in periodo precedente all'embargo del 1992, per un importo complessivo di circa 350.000.000 di euro, rispetto al recupero dei quali l'intervento della recente crisi politico istituzionale libica ha interrotto le trattative pendenti;
    come già premesso, tale crisi che ha colpito la Libia nel febbraio 2011, oltre ad avere arrestato le trattative in corso per la riscossione dei crediti precedenti al 1992, ha determinato il blocco dei pagamenti anche di un secondo flusso di crediti, mettendo in grave difficoltà circa 132 imprese italiane che hanno operato per amministrazioni ed enti libici;
    a riguardo di queste imprese presenti in Libia, solo due erano assicurate con SACE, posto che, tutte le altre imprese operavano nella convinzione di essere tutelate dal Trattato di amicizia tra Italia e Libia per quanto concerne il rispetto dei reciproci patti;
    sebbene non sia stato possibile acquisire i crediti legittimamente maturati, gli stessi sono stati già iscritti a bilancio per l'adempimento degli obblighi civilistici e fiscali, pertanto, di fronte alla grave crisi economico-finanziaria, il danno alle imprese coinvolte è aggravato dall'impossibilità di dar corso al pagamento delle imposte, con il rischio di vedersi irrogare sanzioni anche di tipo penale; per un importo complessivo di circa 650.000.000 di euro, attualmente, sono circa cento le imprese che devono ancora riscuotere i propri crediti antecedenti alla crisi del 2011, dei quali il Ministro degli affari esteri è in possesso della documentazione giustificativa ottenuta con due censimenti effettuati, rispettivamente, degli anni 2011 e 2012;
    nel mese di aprile del 2011, la III Commissione (Affari esteri) ha approvato una risoluzione relativa ai problemi delle imprese che operavano nei Paesi del Mediterraneo in crisi, e, successivamente, nel maggio 2011, è stata presentata una proposta di legge, la n. 4394, non esaminata, a tutela delle imprese italiane coinvolte nella crisi socio-politica sviluppatasi in Libia, Tunisia ed Egitto; il 2 agosto 2011, sono stati presentati quattro ordini del giorno (Compagnon, UdC – 4551-19; Gidoni, LN – 4551-1; Gottardo, PdL – 4551-20; Rosato, PD – 4551-23) relativi ai crediti maturati ed alla sospensione delle imposte, accettati dal Governo Berlusconi ma che non risulta sono stati attuati;
    al Parlamento europeo, le risposte ad alcune interrogazioni (Angelilli, Cancian ed altri E-008353/2011 risposta 14 novembre 2011; Serracchiani E-007827/2011 risposta del 25 ottobre 2011; Oreste Rossi risposta del 4 gennaio 2012) presentate al Consiglio europeo affermavano la possibilità di autorizzare la liquidazione dei crediti maturati mediante l'impiego dei fondi libici congelati, in particolare, a quelle imprese che operavano con enti pubblici o ad essi equiparabili; il Governo Monti ha accettato l'ordine del giorno presentato il 16 dicembre 2011 (Gidoni 9/4829-A/194) e non ancora attuato, con il quale veniva impegnato «ad avvalersi della facoltà prevista dal citato articolo 9 della citata legge n. 212 del 2000 che autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze a differire con proprio decreto i termini per il pagamento dei tributi (...)», nonché «a valutare l'opportunità di concedere indennizzi o anticipi sui crediti maturati in Libia, per la quota non riconosciuta da coperture assicurative, a favore delle imprese italiane, sia persone fisiche sia persone giuridiche, che dimostrino, mediante idonea documentazione, di essere state operanti in Libia alla data del 17 febbraio 2011»;
    per quanto concerne i crediti connessi agli eventi rivoluzionari del 2011, negli ultimi mesi del medesimo anno, su forti e continue pressioni da parte della Confindustria, Assafrica e della Camera di Commercio italo-libica, è stato istituito un tavolo presso la Farnesina al quale parteciparono, oltre a tali soggetti, banca Ubae, Unicredit, e i rappresentanti dei Ministeri delle finanze, dello sviluppo economico e degli affari esteri;
    nella predetta sede, si svolsero due riunioni durante le quali la Camera di commercio italo-libica propose la costituzione di un fondo di garanzia a tutela delle imprese coinvolte, iniziativa che avrebbe evitato il tracollo di alcune aziende (eventi in seguito accaduti); tale richiesta nacque per contrastare le manifeste e forti resistenze del Ministero dell'economia e finanze rispetto alla adozione di temporanei strumenti di sospensione degli oneri fiscali e contributivi, proposta con l'intento di alleviare la situazione delle imprese coinvolte sino alla concreta liquidazione dei crediti;
    sebbene si raggiunse un accordo volto a dare seguito alla costituzione del fondo, vista anche la disponibilità da parte del sistema bancario presente a supportare detta iniziativa, il Ministero degli affari esteri, successivamente, non si è più adoperato per raggiungere tale obiettivo; nel mese di gennaio 2012, è stata sottoscritta la dichiarazione di Tripoli dall'allora Presidente del Consiglio dei ministri, Mario Monti, e il Capo del Governo provvisorio libico Abdel Rahim Al Kib, con l'obiettivo di determinare una nuova concezione dei rapporti rispetto al trattato di amicizia firmato nel 2008 e, da un punto di vista operativo, ha definito un accordo – seppure labile – fra i due Governi sul recupero dei crediti legittimi fra i rispettivi enti e imprese; in data 2 febbraio 2012, ha avuto risposta un'interpellanza parlamentare urgente (Gottardo – 2-01336) da parte di Staffan de Mistura, Sottosegretario di Stato per gli affari esteri, il quale ha confermato che i fondi libici congelati sono stati sbloccati a seguito della fine del conflitto e, di conseguenza, non sarebbero stati più disponibili per far fronte al risarcimento delle imprese; ad ogni modo, il Sottosegretario di Stato, in riscontro alla predetta interpellanza, dava conto dell'impegno del Governo a risolvere, in brevi tempi, le questioni della riscossione dei crediti e della sospensione delle imposte;
    nel tempo, si sono susseguite ulteriori azioni con l'obiettivo di indurre il Governo ad adottare concreti provvedimenti per una definitiva risoluzione della questione, ma, ad oggi, le imprese risultano di fatto «abbandonate» e molte di queste non hanno ancora ottenuto la certificazione dei legittimi crediti maturati e la sospensione delle imposte in applicazione dell'articolo 9 della legge 27 luglio 2000, n. 212;
    la Camera di commercio italo-libica è da sempre impegnata per favorire una soluzione delle complesse problematiche, procedurali e finanziarie, per la liquidazione dei crediti delle imprese italiane maturati in Libia, sia quelli precedenti all'embargo del 1992 che alla crisi politico-istituzionale del 2011, tuttavia, tali sforzi sono risultati vani di fronte all'immobilità delle istituzioni; è urgente ed improrogabile il concreto supporto alle società che hanno operato in Libia, anche considerando che si tratta di piccole e medie imprese che sono un fondamentale patrimonio per lo sviluppo economico dell'Italia, posto che hanno investito risorse finanziarie ed umane per creare nuovi orizzonti produttivi, economici ed imprenditoriali;
    è indispensabile consentire alle stesse il rilancio della propria produttività, al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e mantenere le attività lavorative, nonché i connessi contratti che erano in corso, allontanando il rischio di essere sostituite da società straniere pronte ad approfittare della crisi finanziaria in cui versano ingiustamente tali realtà;
    negli ultimi anni, già molte di tali imprese sono fallite a causa della sofferenza finanziaria e dei danni economici patiti, pertanto, non si può rischiare l'estinzione di ulteriori realtà imprenditoriali, indispensabili per il nostro Paese poiché strategiche per uscire dalla attuale crisi economica; si ritiene inaccettabile che i Governi che si sono succeduti, nonostante gli impegni assunti, non si siano adoperati concretamente per sostenere le imprese creditrici, che non solo non hanno ottenuto la soddisfazione delle legittime pretese creditorie, ma neanche delle agevolazioni efficaci, tali da consentire alle stesse di potere resistere alle gravi difficoltà economiche sino alla riscossione delle somme dovute;
    è indispensabile che il Governo italiano proceda alla certificazione dei crediti non ancora vidimati e promuova una trattativa dura ed efficace con le competenti autorità libiche, per indurle a saldare i debiti pregressi, costituendo all'uopo un fondo le cui risorse economiche siano attribuite alle imprese italiane operanti in Libia a soddisfazione dei crediti accertati, consentendo alle stesse di sottrarsi al fallimento e riprendere le attività che avevano in corso nel territorio libico,

impegnano il Governo:

   ad adottare, immediatamente, idonee iniziative per ottenere la liquidazione dei crediti maturati dalle imprese operanti in Libia e che hanno presentato la relativa documentazione comprovante il titolo; a costituire, nuovamente, un tavolo di concertazione tra il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro degli affari esteri e il Ministro dell'economia e finanze, nonché i competenti enti di rappresentanza, quali camera di commercio italo-libica, Confindustria e Assafrica, al fine di raggiungere un'intesa per la risoluzione del contenzioso in questione e per l'immediata istituzione di un fondo patrimoniale destinato a liquidare i crediti maturati dalle imprese italiane in Libia;
   ad assumere, urgentemente, idonee iniziative normative al fine di disporre la sospensione delle imposte prevedendo la posticipazione delle scadenze ad una data successiva alla liquidazione dei crediti maturati in Libia.
(7-00367) «Prodani, Grande, Rizzetto, Bechis, Baldassarre, Rostellato, Cominardi, Chimienti, Pinna, Mucci, Gigli, Tripiedi».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    anche per il fermo pesca 2013 si registrano ritardi nei pagamenti dei premi previsti agli imprenditori ittici, come successe a conclusione del fermo pesca 2012;
    il fermo pesca è una misura che va mantenuta e che rappresenta un indispensabile strumento di lotta allo sfruttamento delle risorse ittiche; d'altra parte interrompe l'attività lavorativa dei pescatori rendendo, in alcuni casi, il premio l'unico mezzo di sostentamento e rappresentando quindi una risorsa fondamentale;
    la grave crisi in cui versa il comparto ittico (diminuzione della risorsa ittica disponibile con conseguente diminuzione della produttività e dei ricavi, aumento dei costi di produzione, difficoltà di accesso al credito, eccessiva pressione fiscale) aggrava ulteriormente la situazione di coloro che non hanno ricevuto il premio dovuto;
    come già sottolineato dalle associazioni di categoria vi è l'urgenza che nel più breve tempo possibile si chiudano le istruttorie necessarie per il pagamento dei premi relativi al periodo di fermo pesca a valenza biologica effettuato nell'estate ed autunno 2013; in regime di crisi molte aziende puntano sulla liquidazione del premio per provvedere al pagamento del gasolio e dei lavori di bordo eventualmente effettuati,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per provvedere urgentemente al pagamento dei premi relativi al fermo pesca 2013.
(7-00366) «Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Parentela».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   l'ANCI ha chiesto al Governo, con una lettera del Presidente Fassino, un intervento legislativo per riesaminare gli istituti contrattuali, garantendo allo stesso tempo il trattamento accessorio stabilito dagli accordi decentrati in vigore;
   l'Associazione ritiene urgente un intervento diretto del Governo nazionale per trovare tutte le soluzioni possibili atte a mettere le amministrazioni locali nelle condizioni di erogare regolarmente gli stipendi al personale;
   è necessario che il Governo, in attesa di una più complessiva riforma della pubblica amministrazione, metta a disposizione gli strumenti necessari a completare questo complesso percorso senza nel frattempo danneggiare i lavoratori che rischiano la decurtazione dallo stipendio del salario accessorio che inciderebbe in maniera pesante sull'economia delle famiglie dei dipendenti di molte ed importanti amministrazioni comunali;
   si tratta di lavoratori che contando sul salario accessorio si sono fatti programmi per il futuro, hanno contratto mutui, prestiti o ceduto il quinto dello stipendio, spesso anche per coprire spese ordinarie delle loro famiglie;
   la decurtazione dello stipendio pari quasi al 15 per cento del totale, ovvero circa 200-300 euro mensili, a lavoratori che normalmente percepiscono tra i 1.200 e i 1.500 euro al mese sulla base della relazione del Ministero dell'economia e delle finanze, ha portato alla protesta dei dipendenti pubblici in piazza del Campidoglio a Roma il 6 maggio 2014, ma anche in altre città e comuni (tra le quali Vicenza, Firenze, Ancona, Reggio Calabria e altro), che si è trasformata in assemblea e manifestazione con una partecipazione molto ampia, circa diecimila persone. Al termine della manifestazione è emersa l'esigenza di un provvedimento d'urgenza del Governo;
   i lavoratori chiedono alle amministrazioni comunali di affrontare i temi del trattamento economico della dirigenza, della gestione delle società partecipate o strumentali, dell'uso improprio, illegale e spropositato di risorse pubbliche, dai superminimi erogati in alcune aziende alle spese per consulenze o per gli staff della politica e degli sprechi più volte denunciati dagli stessi sindacati;
   negli ultimi anni i trasferimenti erariali ai comuni sono diminuiti di circa 30 miliardi di euro, ponendo i sindaci in grave difficoltà per quanto concerne la gestione di molti servizi, quali sicurezza, servizi all'infanzia e elettorali, viabilità, lavori pubblici, certificazioni, commercio, verde pubblico;
   da sette anni non vengono rinnovati i contratti per i dipendenti pubblici. Non possono, dunque, essere ora i dipendenti comunali a pagare i costi del risanamento dei bilanci comunali creando nuove povertà;
   i rilievi del dipartimento della ragioneria generale dello Stato hanno evidenziato, in materia di finanza degli enti locali, che la procedura per l'integrazione delle somme concordate al personale di regioni ed enti locali, può porsi in contrasto con i limiti di spesa della contrattazione decentrata presenti nel quadro normativo vigente evidenziando così un grave vuoto legislativo e, peraltro, in vari comuni sono state effettuate delle verifiche –:
   se non ritenga di dover assumere un'iniziativa normativa urgente per garantire ai dipendenti comunali il salario accessorio sulla base dei contratti integrativi già sottoscritti senza penalizzazioni per i dipendenti in attesa di una riforma complessiva della pubblica amministrazione.
(2-00533) «Piazzoni, Zaratti, Nicchi, Di Salvo, Airaudo, Placido, Migliore, Aiello, Boccadutri, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Giancarlo Giordano, Fratoianni, Kronbichler, Lacquaniti, Lavagno, Marcon, Matarrelli, Melilla, Nardi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Pilozzi, Piras, Quaranta, Ragosta, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zan».

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   in data 7 maggio 2014, davanti ad una folta platea di investitori e addetti ai lavori, l'amministratore delegato di Fiat Chrysler Group Automobiles, Sergio Marchionne, ha presentato l'ennesimo piano industriale per i prossimi cinque anni, promettendo di investire circa 55 miliardi di euro entro il 2018, con una media annua di 9,5 miliardi ed un picco di 11 miliardi nel 2016;
   detto piano ha, come al solito, sorpreso numerosi operatori economici. Sergio Marchionne ha, infatti, rassicurato i dipendenti italiani del gruppo sottolineando che «non verrà mandato a casa nessuno», che «sarà utilizzata tutta la manodopera» e, soprattutto, che «quando arriverà l'industrializzazione dei prodotti finirà tutto il periodo di cassa integrazione». Dalla componentistica, in particolare, il gruppo intende registrare ricavi al 2018 di circa 12 miliardi di euro, in aumento dagli 8 miliardi del 2013, con un tasso di crescita annuale di circa il 9 per cento;
   la reazione dei mercati a tali esternazioni è stata, tuttavia, decisamente negativa. Il titolo Fiat-Chrysler ha, infatti, proseguito, in forte ribasso per tutta la giornata, con volumi elevati, perché l'annuncio del nuovo piano industriale da parte di Marchionne è stato giudicato generalmente troppo ambizioso da parte degli analisti sia in termini di volumi, sia in termini di riduzione del debito. In particolare, secondo uno studio di Exane Bnp Paribas, i target al 2018 diffusi nella giornata del 7 maggio 2014 sono sembrati «eccessivamente ottimisti su volumi, margini e soprattutto sulla riduzione del debito, perché i risultati dell'ultimo trimestre sono stati del 24 per cento inferiori alle stime e rappresentano un segnale dei rischi al ribasso associati al piano»;
   in effetti, dall'ultima relazione finanziaria annuale di FIAT datata 31 dicembre 2013 emerge chiaramente che il complesso dei debiti finanziari di FIAT corrisponde a 29.902 milioni di euro, in crescita peraltro rispetto all'anno precedente, a fronte di liquidità complessiva disponibile pari a 22.729 milioni di euro;
   il problema è che su tale liquidità la citata relazione finanziaria annuale di FIAT dice poco o nulla: in particolare, detta liquidità, oltre a non essere destinata ai fini dell'abbattimento del debito del gruppo, non si comprende ove risulti collocata, dove sia, in buona sostanza, in quale Paese, a quanto ammonti e in quali strumenti sia considerata;
   si deve pure segnalare che tale liquidità nel tempo è costantemente cresciuta e oggi risulterebbe altissima. Ciò, tuttavia, corrisponde al risultato di continui accumuli di liquidità in parallelo ad una continua espansione del debito finanziario ed è proprio tale dinamica di accumulo che, sotto il profilo dell'analisi finanziaria, preoccupa in particolar modo;
   nel corso dell'ultimo decennio, l'amministratore delegato di Fiat Chrysler Group Automobiles, Sergio Marchionne, ha presentato ben otto piani industriali per il rilancio della Fiat e del gruppo che, di fatto, non si sono mai conclusi, sono sempre stati sempre rinviati nei tempi e negli effetti, con contestuale riduzione degli investimenti, allungando in tutti i casi i tempi per il rientro operativo dei lavoratori (per Mirafiori era stato previsto un termine entro il 2014 che ora slitta al 2018), facendo leva sul sistema della cassa integrazione: sistema che lo stesso amministratore delegato ha sempre criticato, eppure non abbandona;
   sotto tale ultimo profilo si segnala come in un articolo apparso il 15 giugno 2013 sul Sole24Ore a firma Andrea Malan dal titolo «Fiat, dalla Cig risparmi per 1,7 miliardi. I minori oneri salariali hanno raggiunto con la crisi i 200 milioni annui per l'auto» si evidenzi chiaramente che uno dei fattori più importanti che rendono economicamente razionale la decisione di non chiudere gli stabilimenti in Italia è la presenza, nel nostro Paese, di un meccanismo come la cassa integrazione. In tale articolo si legge, in particolare, «Nei giorni di cassa integrazione (quella ordinaria, CIG, e la straordinaria, CIGS) l'azienda non paga stipendi e oneri sociali ma anticipa ai dipendenti una indennità che le viene poi rimborsata dall'Inps; in quei periodi, dunque, il costo del lavoro scende (quasi) a zero. Per una fabbrica come quella di Melfi o Mirafiori (oltre 5.000 dipendenti) il risparmio per ogni giorno di CIG si può stimare in 600-700.000 euro “Automotive News Europe” ha stimato l'anno scorso che un giorno di CIG ai cosiddetti enti centrali di Mirafiori (circa 500 impiegati) fa risparmiare a Fiat “circa 1 milione di euro”»;
   in realtà, ad avviso dell'interpellante, quello che si sta compiendo corrisponde ad un modo di operare che la dirigenza della FIAT attua da tempo e che nessun altro Paese europeo avrebbe mai consentito, anche alla luce dei generosissimi finanziamenti pubblici di cui il gruppo ha sempre goduto sia in termini di ammortizzatori sociali, sia in termini di sostegno alla produttività: finanziamenti a fronte a dei quali lo Stato italiano, come contropartita, non ha ottenuto nulla, se non addirittura un danno per l'erario, il progressivo annichilimento dello sviluppo industriale del comparto automobilistico di tutto l'indotto e la componentistica ad esso collegati, per finire con il dramma economico ed esistenziale di migliaia di famiglie e migliaia di famiglie: prima via le produzioni, poi il know-how tecnologico, poi gli investimenti, poi il cambio di sede, poi il mercato azionario, poi la tassazione più favorevole. Il 29 gennaio 2014 il consiglio di amministrazione di Fiat spa ha deliberato il definitivo abbandono dell'Italia da parte del gruppo attraverso la fusione con Chrysler Group nella società Fiat Chrysler Automobiles N.V. (FCA), stabilendone, contestualmente, sede legale in Olanda e residenza fiscale in Gran Bretagna, ma di questa cosa non ne parla più nessuno e a poco valgono le rassicurazioni fornite al riguardo dal Governo italiano e dall'Agenzia delle entrate per vigilare sul pieno rispetto, da parte della nuova società, della normativa fiscale italiana: il risultato finale di questa operazione appare chiaro all'interrogante, e sembra proprio quello di non pagare più un euro di tasse allo Stato italiano;
   del resto, anche l'attivismo frenetico che Sergio Marchionne dimostra nel presentare, anche a pochissimi mesi di distanza nell'arco di un anno, un nuovo piano industriale, sempre diverso dal precedente, finisce per distogliere l'attenzione da ciò che, realmente, ha fatto e continua a fare mentre si cancella inesorabilmente il tessuto industriale del nostro Paese;
   nel primo piano industriale (agosto 2004) dal titolo «The New Fiat Group: A Commitment to Execution», l'amministratore delegato di FIAT aveva promesso il lancio di dieci modelli in tre anni. Dopo neanche un anno, Sergio Marchionne presenta il secondo piano industriale ove si prevede il lancio di 17 modelli nei successivi quattro anni, ma alla presentazione del terzo piano industriale (novembre del 2006) i modelli prima annunciati scendono a 15 a fronte, stranamente, di una mole di investimenti superiore a quella degli anni precedenti. Il quarto piano industriale (2009) riguarda soprattutto le attività americane della Chrysler; Sergio Marchionne presenta il «Piano per l'Italia» ove si prevedono addirittura trenta nuovi modelli in due anni mesi e 8 miliardi di euro di investimenti nell'auto. Passano quattro mesi e si arriva al quinto piano industriale, ovverosia, «Fabbrica Italia»: un piano a giudizio degli interpellanti al limite dell'inverosimile che prevede 20 miliardi di euro di investimenti per triplicare la produzione italiana di auto per poi vendere, insieme a Chrysler, 6 milioni di vetture in tutto il mondo con 47 novità da lanciare sul mercato. Passa poco più di un anno ma il piano «Fabbrica Italia» viene ritirato, la dirigenza di FIAT ripiega sul suo settimo piano industriale, molto più modesto di quello precedente, e si arriva così all'ottavo piano (ottobre 2012), quando si scende da 6 milioni di auto stimate in termini di target di vendita a 4,6 milioni di autovetture, i modelli promossi sul mercato caleranno a trenta e sugli investimenti non si dirà praticamente nulla;
   al netto dell'attività di Marchionne volta a presentare i suoi piani, ivi compreso l'ultimo (il nono) del 7 maggio 2014, non si può non osservare come la recente deliberazione del consiglio di amministrazione di FIAT del 29 gennaio 2014 che ha, come si è detto, sancito il definitivo abbandono dell'Italia da parte del gruppo attraverso la fusione con Chrysler Group nella società Fiat Chrysler Automobiles N.V. (FCA), altro non rappresenti che l'epilogo finale di un disegno di conclusivo allontanamento del baricentro produttivo dall'Italia, già iniziato con la formalizzazione da parte di Fiat dell'accordo con il Governo americano e canadese per la scalata in Chrysler (Cfr. Amended and restated limited liability company operating agreement of Chrysler group LLC. Dated as of June 10, 2009 THE);
   il contenuto di tale documento è stato portato all'attenzione del pubblico, grazie ad un articolo apparso sul Corriere della sera del 7 gennaio 2011, a firma Massimo Mucchetti, «Ecco gli accordi di Torino per scalare Chrysler. Le clausole per salire del 16 per cento e raggiungere il controllo, le condizioni e il rimborso del prestito». L'importanza del testo di tale documento, nonostante fosse stato pubblicato sul sito del Governo americano (http://www.treasury.gov) è stata, purtroppo, generalmente ignorata, nonostante vi fossero stabilite le regole della «scalata» alla allora moribonda società americana Chrysler per mezzo del concambio del travaso del know how tecnologico di Fiat in Chrysler (motore a basso consumo e altro) e dello sviluppo produttivo di Chrysler e dei posti di lavoro americani;
   attraverso la lettura di quell'accordo è, infatti, possibile decifrare la strategia seguita da Fiat in questi anni e le conseguenze che si sono prodotte e che, ad avviso dell'interpellante, potrebbero continuare a prodursi sugli stabilimenti, l'indotto e il lavoro in Italia, visto che il disegno esterofilo che ne discende poneva già, da tempo e di fatto, le condizioni di base per la disintermediazione dei siti produttivi italiani ed il conseguente trasferimento della ricerca e dei risultati della ricerca italiana a favore di quelli esteri;
   non appare più accettabile continuare a rimanere inermi di fronte alla strategia che la dirigenza di del gruppo FCA ha adottato sino ad oggi, fatta solo di annunci di investimenti, progetti ed iniziative da intraprendere in Italia e per l'Italia, ma mai realizzati in concreto;
   il timore è che si tratti di una mera strategia di imbonimento, riempimento fumoso di notizie e di rimando, realizzata all'unico scopo di concretizzare quello che agli interpellanti appare il vero affare perseguito dalla dirigenza, ovverosia la «scalata» e la quotazione di Chrysler –:
   se il Governo, alla luce di quanto descritto in premessa, non intenda porre in essere ogni iniziativa competenza finalizzata a convocare urgentemente la dirigenza di FCA per verificare il nuovo piano industriale annunciato in data 7 maggio 2014, al fine di confermarne la credibilità, la sostenibilità finanziaria e la certezza dell'impegno, nonché a chiarire talune rilevanti opacità degli ultimi dati di bilancio del gruppo FIAT in relazione all'ammontare complessivo dell'esposizione debitoria cui corrisponde una liquidità in cassa stranamente alta;
   se il Governo non intenda porre in essere ogni iniziativa di competenza finalizzata ad acquisire elementi in ordine alla precisa finalizzazione di tale liquidità, dei motivi per cui non risulti destinata ai fini dell'abbattimento del debito del gruppo, dove risulti collocata, in quale Paese, a quanto ammonti in concreto e in quali strumenti sia considerata, al fine di scongiurare il rischio del possibile trasferimento all'estero di ulteriori risorse «buone» di FIAT e la trasformazione della FIAT storica in una sorta di «bad company»;
   se il Governo non intenda verificare la portata di tutti i piani industriali presentati dall'amministratore delegato Sergio Marchionne dal 2004 ad oggi e appurare, altresì, se la formalizzazione del citato accordo con il Governo americano e canadese per la «scalata» in Chrysler non corrisponda anche ad una strategia che porti ad un fortissimo ridimensionamento – sino ad un possibile definitivo smantellamento – degli stabilimenti FIAT in Italia a danno dell'erario, della dignità dei cittadini lavoratori e dello sviluppo industriale del Paese;
   se il Governo non intenda fornire una relazione dettagliata che descriva il totale dell'ammontare delle risorse e delle agevolazioni patrimoniali pubbliche, dirette o indirette, delle quali ha beneficiato il gruppo FIAT dal 2004 ad oggi.
(2-00532) «Airaudo, Lacquaniti, Marcon, Duranti, Fratoianni, Di Salvo, Melilla, Franco Bordo, Pannarale, Paglia, Lavagno, Ferrara, Palazzotto».

Interrogazioni a risposta scritta:


   DI BATTISTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il Presidente del Consiglio dei ministri Letta ha adottato in data 11 giugno 2013, un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ai sensi dell'articolo 29 della legge 23 agosto 1988, n 400, il quale stabilisce che il Presidente del Consiglio dei ministri può avvalersi di consulenti e costituire comitati di consulenza, di ricerca o di studio su specifiche questioni;
   con il predetto decreto il Presidente del Consiglio pro tempore, ha, pertanto, nominato una commissione di 35 esperti, i cosiddetti saggi, con funzione consultiva rispetto al Governo, incaricata di fornire indicazioni in merito alle modifiche da apportare alla Costituzione ed in particolare «con il compito di formulare proposte di revisione della Parte Seconda della Costituzione, Titoli I, II, III e V, con riferimento alle materie della forma di Stato, della forma di Governo, dell'assetto bicamerale del Parlamento e delle norme connesse alle predette materie, nonché di riforma della legislazione ordinaria conseguente, con particolare riferimento alla normativa elettorale»;
   ai sensi dell'articolo 4 del predetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 giugno 2013 il Presidente del Consiglio ha altresì istituito un Comitato per la redazione delle proposte di riforma, composto da 7 componenti;
   sia la Commissione per le riforme costituzionali che il Comitato sono presieduti dal Ministro per le riforme costituzionali;
   ai membri della Commissione e del Comitato «non spetta alcun compenso, ad eccezione del rimborso delle spese di viaggio nei limiti previsti dalla normativa vigente per i dirigenti dell'amministrazione»;
   ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di nomina dei saggi «il supporto tecnico, documentale e organizzativo per l'espletamento delle attività della Commissione e del Comitato è assicurato da apposita Struttura di missione istituita con proprio decreto in pari data» ed in applicazione dell'articolo 6 «gli oneri derivanti dall'applicazione del presente decreto gravano sugli appositi capitoli della Struttura di missione di cui all'articolo 5»;
   difatti con altro decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato sempre in data 11 giugno 2013, il Presidente del Consiglio dei ministri Enrico Letta ha inteso istituire, ai sensi dell'articolo 7, comma 4, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, una apposita Struttura di missione;
   alla struttura di missione è preposto un responsabile, nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per le riforme costituzionali, con incarico di livello dirigenziale generale scelto tra i dirigenti appartenenti ai ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri o delle amministrazioni del comparto Ministeri oppure scelto tra professori universitari;
   alla struttura di missione è inoltre assegnato un dirigente con incarico di livello dirigenziale non generale ed un contingente di personale non dirigenziale fino ad un massimo di 8 unità oltre ad una segreteria tecnica composta da non più di 12 consulenti anche estranei alla pubblica amministrazione, ai sensi dell'articolo 9, comma 2 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303;
   l'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di istituzione della Struttura di missione stabilisce che «gli oneri derivanti dall'applicazione del presente decreto, ivi comprese le spese per il funzionamento della Struttura di missione e della Commissione di esperti e del Comitato di redazione citati in premessa, sono posti a carico dei pertinenti capitoli della Struttura di missione nell'ambito del bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei ministri CDR n. 5 Riforme istituzionali»;
   la Commissione per le riforme costituzionali ha provveduto alla redazione della relazione finale, come da pubblicazione edita dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per l'informazione e l'editoria, stampata dalla Gangemi Editore spa, che è stata consegnata in formato cartaceo a tutti i parlamentari –:
   se, con la redazione della relazione finale, la Commissione abbia definitivamente concluso il proprio lavoro oppure se sia ancora funzionante ed, in tale ipotesi, quali compiti la Commissione sia chiamata a svolgere;
   quali siano stati i costi a carico del bilancio della Presidenza del Consiglio per il funzionamento della Commissione, del Comitato e della Struttura di missione, di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'11 giugno 2013 citati in premessa, ivi compresi i costi per il rimborso spese di viaggio, per le eventuali spese di locazione, per le utenze e per il vitto, nonché per il personale, anche di livello dirigenziale, complessivamente impiegato;
   se il responsabile della struttura di missione sia stato scelto tra i dirigenti appartenenti ai ruoli della Presidenza del Consiglio dei ministri o delle amministrazioni del comparto Ministeri oppure se sia stato scelto tra professori universitari;
   quale sia stato il costo necessario alla pubblicazione e stampa della relazione finale della Commissione per le riforme costituzionali, denominata «Per una democrazia migliore» alla cui stampa ha provveduto la Gangemi Editore spa.
(4-04776)


   RAMPELLI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Naso, in provincia di Messina, è oggetto di un grave dissesto idrogeologico già denunciato a più riprese nel corso degli anni da parte dell'amministrazione comunale;
   la protezione civile regionale ha effettuato, negli ultimi anni, degli approfondimenti di studio geologico del dissesto, ma non ha potuto realizzare alcuna procedura d'intervento al fine di prevenire gravi ed irrimediabili disastri a causa della mancanza di fondi;
   a seguito della repentina degenerazione del degrado del fronte di frana che interessa il centro storico della città, il sindaco, con propria ordinanza, ha dovuto dichiarare l'inagibilità dei locali municipali e disporre lo sgombero con delocalizzazione in altri stabili, abbastanza precari, per cercare di continuare l'attività amministrativa e garantire la presenza istituzionale;
   il consiglio comunale, all'unanimità, ha richiesto l'intervento delle autorità istituzionali per prevedere un intervento che tenda a tamponare l'emergenza venutasi a creare e, successivamente, il consolidamento del versante su cui poggia il versante sud della città;
   il mancato immediato intervento delle autorità preposte potrebbe comportare la perdita dell'unica strada d'accesso al centro ove sono collocati tutti gli uffici istituzionali, giudiziari, finanziari e le attività commerciali;
   sono già stati sfollati 15 nuclei familiari;
   diverse sono state le richieste di intervento sia agli organi regionali che a quelli nazionali, ma alla data odierna nessuna risposta operativa è intervenuta;
   la complessità del dissesto presuppone una progettazione altamente tecnica –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di contrastare la grave situazione esposta in premessa, anche attraverso la dichiarazione dello stato di emergenza al fine di salvaguardare le infrastrutture comunali e gli edifici storici ed istituzionali collocati sul versante di frana, nonché per la ricollocazione dei locali municipali in locali idonei allo svolgimento delle funzioni istituzionali. (4-04790)


   NUTI, DI BENEDETTO, DI VITA, LUPO e MANNINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel corso degli ultimi anni, la Commissione europea ha avviato diverse procedure d'infrazione nei confronti dell'Italia, tra le quella distinta con il numero 2008/4908, avente come oggetto il regime normativo vigente in materia di concessioni demaniali marittime;
   tale procedura, è stata avviata dalla Commissione europea in relazione all'incompatibilità del sistema di attribuzione delle concessioni demaniali marittime per finalità ricreative, con il cosiddetto diritto di stabilimento protetto allora dall'articolo 43 del Trattato della Comunità europea (ora articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea);
   nelle more della procedura di infrazione, il Governo allora in carica ha adottato il decreto-legge 30 dicembre 2009, n. 194 con il quale, all'articolo 1 comma 18, nelle more di una revisione complessiva della materia in linea con i principi comunitari di concorrenza e di libertà di stabilimento, veniva soppresso l'articolo 37 secondo comma del Codice della navigazione – che riconosceva il diritto di insistenza e dunque un sistema di preferenza per i titolari delle concessioni – e venivano prorogate, fino al 31 dicembre 2012, le concessioni in essere alla data di entrata in vigore dello stesso decreto;
   in sede di conversione in legge del decreto-legge n. 194 del 2009, sono state apportate delle modifiche al comma 18 dell'articolo 1, in base alle quali le concessioni in vigore al momento dell'entrata in vigore del decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015 sono state prorogate fino a quest'ultimo termine, facendo salvo – attraverso un richiamo indiretto – quanto stabilito dall'articolo 1 comma 2 della legge n. 494 del 1993 allora vigente;
   in considerazione del fatto che il citato articolo 1 comma 2 della legge n. 494 del 1993 manteneva in vigore nella legislazione italiana quel sistema di preferenza per il concessionario uscente e il rinnovo automatico delle concessioni della durata di 6 anni – che erano all'origine dell'avvio della procedura d'infrazione – la Commissione europea, il 5 maggio 2010, ha trasmesso alle autorità italiane una lettera di messa in mora complementare con la quale, ha contestato la violazione non solo del citato articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ma anche la violazione dell'articolo 12 della direttiva 2006/123/Ce sui servizi nel mercato interno, entrata in vigore nel frattempo;
   alla luce della reiterata richiesta da parte della Commissione europea di allineare l'ordinamento italiano ai principi comunitari – nonché alla cosiddetta direttiva servizi – il Parlamento ha approvato la legge comunitaria 2010 (legge 15 dicembre 2011 n. 217), provvedendo ad abrogare il contestato articolo 1 comma 2 della legge n. 494 del 1993, e a delegare il Governo a riformare complessivamente la materia nel rispetto dei principi comunitari stabiliti nei trattati e delle disposizioni della cosiddetta direttiva servizi;
   l'intervento normativo citato nel punto precedente ha consentito alla Commissione di chiudere, il 27 febbraio 2012, la procedura di infrazione comunitaria n. 2008/4908, ma il termine stabilito, nella legge delega è scaduto senza che il Governo adottasse il decreto legislativo di riordino della materia e, nello stesso tempo – in sede di conversione del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 – è stato approvato un emendamento a firma dei relatori del provvedimento proposto dai co-relatori della legge di conversione, Simona Vacari del Gruppo parlamentare «Popolo delle Libertà» e Filippo Bubbico del Gruppo parlamentare «Partito Democratico», con il quale si stabiliva la proroga delle concessioni in scadenza entro il 31 dicembre 2015 fino al 31 dicembre 2020;
   la proroga fino al 2020 – legittimando, automaticamente, fino a quella data una buona parte delle concessioni in essere e dunque le attuali forme d'uso delle aree del demanio marittimo la situazione – finisce per rallentare, ulteriormente, la conclusione dei procedimenti amministrativi preordinati all'approvazione dei piani di utilizzazione, attraverso i quali gestire queste stesse aree nell'interesse primario delle comunità, e nello stesso tempo rischia di compromettere la possibilità, per gli enti locali, di esercitare gli ordinari poteri in materia di vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia e di autorizzazione all'apertura di esercizi commerciali;
   a questo riguardo, è stato recentemente denunciata dal Movimento 5 Stelle la situazione nella quale versa la spiaggia di Mondello, sita nel comune di Palermo, dove una società detentrice di concessioni balneari sin dal 1911, non avrebbe, secondo quanto riportato da alcuni organi di stampa, le necessarie autorizzazioni da parte del comune per poter costruire le costruzioni stagionali (le cosiddette «cabine»), dalle quali deriverebbe anche il pagamento del relativo onere in favore dell'amministrazione;
   va anche rilevato come solo la tempestiva approvazione, e la piena attuazione, dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo assicurano la possibilità di governare, nel pieno rispetto dei valori ambientali presenti e del diritto di accesso – e senza ipotizzare alcuna proposta di svendita, come quella che secondo notizie di stampa circolate nel mese di ottobre dello scorso anno era stata attribuita all'allora Governo Letta – il preziosissimo patrimonio rappresentato dalle coste italiane;
   la Commissione europea ha chiuso la procedura d'infrazione n. 2008/4908 alla luce della notifica, da parte delle autorità nazionali, dell'avvenuta approvazione di una norma – la legge 15 dicembre 2011, n. 217 – che, come scritto sopra, prevedeva anche il conferimento al Governo di una delega legislativa, lasciata scadere inutilmente, per un riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime;
   una volta trascorso il termine del 31 dicembre 2015, le concessioni in scadenza non potranno più beneficiare del regime derogatorio rispetto alla direttiva 2006/123/Ce sui servizi nel mercato interno, introdotto con il decreto-legge n. 194 del 2009 e successivamente prorogato, in sede di conversione con modificazioni del decreto-legge n. 179 del 2012 –:
   se la Commissione europea abbia avviato un'attività d'indagine ovvero abbia richiesto informazioni all'Italia aventi come oggetto l'attuale disciplina delle concessioni demaniali, anche alla luce della proroga fino al 2020 delle stesse concessioni in scadenza entro il 31 dicembre 2015, approvata ed entrata in vigore successivamente alla chiusura della procedura d'infrazione comunitaria n. 2008/4908;
   con quali tempi intendano presentare in Parlamento una proposta di revisione organica della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime, anche al fine di scongiurare l'apertura, da parte della Commissione europea, di un'eventuale nuova procedura di infrazione comunitaria per la mancata attuazione dei principi contenuti nel Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e delle disposizioni della cosiddetta direttiva servizi;
   se e in che modo intendano adoperarsi perché l'incertezza giuridica che incombe sulle concessioni demaniali destinate a scadere entro il termine del 31 dicembre 2015, e la proroga normativa di quelle in scadenza entro il termine predetto, non rallentino ulteriormente la tempestiva approvazione, e la piena attuazione, dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo. (4-04793)


   CIPRINI e GALLINELLA. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse sugli organi di stampa, in particolare ilTempo.it del 23 febbraio 2014 e recentemente il Corriere dell'Umbria e il Messaggero.it del 6 maggio 2014, si apprende che l'attuale Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, professoressa Stefania Giannini, in qualità di ex rettore della università per stranieri di Perugia, unitamente ad altre quindici persone coinvolte nella vicenda, avrebbe ricevuto dalla Procura della Corte dei Conti dell'Umbria «un documento che invita a produrre entra 30 giorni dalla notifica (avvenuta il 29 aprile scorso) le proprie deduzioni ed eventuali documenti utili alla loro difesa. L'atto segna anche la conclusione delle indagini aperte dalla magistratura contabile...»;
   nell'inchiesta sono coinvolti anche i due ex direttori amministrativi oltre a diversi membri dell'allora Consiglio di amministrazione dell'Università per stranieri che nel 2008 approvarono la proposta dell'ex rettore Giannini che ha siglato i contratti, di un progetto per promuovere attività culturali, strettamente «connesse alla specifica finalità formativa che l'Ateneo persegue, che avessero risonanza e rilievo internazionale e culminanti nella creazione della “Scuola internazionale di cucina italiana”, nonché quello di disporre di una struttura ricettiva – anche per il personale e gli studenti strumentale alle attività istituzionali della stessa università (convegni, incontri con altre Istituzioni pubbliche, private, nazionali e internazionali, e congressi)»;
   il tutto, in base a quanto esposto dal presidente del collegio dei revisori dei conti dell'Università per stranieri, Antonio Buccarelli, che ha firmato la segnalazione alla Corte dei Conti e che ha riscontrato un possibile danno erariale pari a 525 mila euro poiché i soldi avrebbero portato «all'inutilità dell'iniziativa e al mancato raggiungimento degli obiettivi proposti al Consiglio di amministrazione e da questo autorizzati con le delibere dell'aprile, del giugno e del luglio 2008» –:
   se corrisponda al vero quanto esposto e se si intendano fornire ulteriori elementi al fine di chiarire, per quanto di competenza, i fatti di cui in premessa;
   se si intenda intervenire, e con quali modalità, al fine di chiarire la vicenda esposta. (4-04797)

AFFARI ESTERI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SCOTTO. —Al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   nella Valle dell'Omo, in Etiopia, il Governo locale sta procedendo allo sfratto di migliaia di indigeni tra cui i Suri, i Mursi, i Bodi ed i Kwegu, e al conseguente reinsediamento in altra area;
   molti di loro si sono ritrovati senza terra, senza bestiame e senza risorse, al punto da non essere più in grado di autosostentarsi;
   in un Paese, come l'Etiopia, caratterizzato da numerose carestie e siccità, migliaia di famiglie fino ad oggi largamente autosufficienti sono state in tal modo ridotte alla fame e alla disperazione;
   come evidenziato da più fonti, gli sfratti sono legati alla costruzione della diga Gibe III, appaltata dal Governo etiope alla società italiana Salini Costruttori nel luglio 2006, e allo sviluppo dell'agricoltura commerciale nella bassa Valle dell'Omo grazie ad un piano di irrigazione reso possibile dalla diga stessa;
   le terre tribali sono state spianate per consentire in particolare la creazione di vaste piantagioni di cotone, palma da olio e canna da zucchero;
   una mappa, contenuta in un rapporto internazionale sull'impatto ambientale che le piantagioni di canna da zucchero avranno nella valle dell'Omo redatto dall'Autorità per la conservazione dell'ambiente naturale del Paese (EWCA), era già arrivata a Survival International agli inizi del 2012;
   questa cartina mostra le concessioni assegnate a società private e i luoghi dove il Governo etiope aveva pianificato di trasferire le tribù che, con le loro terre e le loro comunità, si ritrovano a intralciare i progetti di sviluppo;
   i trasferimenti sono ormai in atto da tempo e il Governo etiope giustifica la propria scelta affermando che la realizzazione del progetto garantirà alle tribù in questione servizi sanitari ed educativi oltre a una diffusa «modernizzazione»;
   tuttavia, nonostante il Governo etiope lo neghi e parli di trasferimenti «su base volontaria», le forze governative sono da più parti e da fonti autorevoli accusate di utilizzare tecniche intimidatorie e violente contro chi si oppone al trasferimento;
   Survival International, movimento per i diritti dei popoli indigeni e organo consultivo dell'ONU in materia, segnala che le mandrie degli indigeni sono state confiscate e i granai distrutti, e che alle comunità è stato intimato di abbandonare case e villaggi per trasferirsi in campi di reinsediamento governativi;
   Survival denuncia anche il fatto che le comunità della bassa valle dell'Omo non sono state consultate in merito ai trasferimenti in corso, nonostante la Costituzione etiope e la legge internazionale sanciscano il loro diritto alla «piena consultazione» sui progetti che colpiscano loro e i loro mezzi di sostentamento;
   recentemente si è venuti a conoscenza di un «piano di villaggizzazione per il basso Omo» (Villagisation Plan for the Lower Omo), redatto dall'Etiopia nel 2004 ma mantenuto a lungo segreto dalle autorità;
   il piano rivela l'intenzione di reinsediare virtualmente tutti i Bodi e tutti i Mursi, oltre che migliaia di Dassenach e Nyangatom e altre tribù dell'area;
   nel piano si legge che il Governo ha maturato «la ferma determinazione a condurre attività che assicurino lo sviluppo sostenibile cambiando lo stile di vita delle comunità pastorali», e si parla della necessità di provvedere alla loro «trasformazione culturale»;
   questi obiettivi, si legge sempre nel documento, sono incorporati anche nel Growth and Transformation Plan del Governo etiope, a cui si è allineato il «Quadro Paese Stream 2013-2015 ETIOPIA» varato dal Ministero degli affari esteri italiano;
   tale «Villagisation Plan for the Lower Omo» non sembra contenere alcuna aderenza alle «Good Practice Guidelines and Principles Regarding Resettlement» redatte dal «Development Assistance Group» (DAG), cui l'Italia partecipa attivamente;
   la Commissione africana per i diritti umani e dei popoli (ACHPR), il più importante organismo per i diritti umani del continente, ha ammesso il ricorso presentato da Survival International secondo cui il processo di «villaggizzazione» dei popoli della bassa valle dell'Omo viola la Carta africana sui diritti umani e ha chiesto all'Etiopia di fermare i trasferimenti forzati e il piano di «villagizzazione» in attesa di una sua sentenza in merito, una richiesta che sino ad oggi le autorità etiopi hanno scelto di ignorare;
   l'Etiopia è uno dei principali destinatari degli aiuti americani e britannici, ed anche la cooperazione italiana mantiene da anni un rapporto privilegiato con l'Etiopia, che è stato riconfermato come uno dei Paesi prioritari per il triennio 2013-2015, con un raddoppio dei fondi stanziati rispetto al triennio precedente;
   in qualità di membro del DAG, l'Italia contribuisce al «programma per la promozione di servizi di base» (PBS) dell'Etiopia insieme, tra gli altri, ad Unione europea, Banca africana di sviluppo e Banca mondiale;
   recentemente è stato lanciato un bando per l'assegnazione di 500.000 euro, finalizzati al miglioramento delle condizioni di vita della popolazione nel sud dell'Etiopia, Valle dell'Omo inclusa;
   i PBS sono, con ogni probabilità, la maggior fonte di introiti per le autorità locali della bassa valle dell'Omo, ed è inevitabile pensare che questo denaro venga usato, direttamente o indirettamente, per finanziare i nuovi «villaggi» e/o i servizi in essi forniti, che rendono tecnicamente possibile il piano di «villaggizzazione» e quindi i trasferimenti;
   per questa ragione, il Congresso USA ha recentemente preso posizione chiedendo legalmente che gli aiuti americani non vengano utilizzati in alcun modo per finanziare lo sfratto e i reinsediamenti forzati dei popoli della valle dell'Omo, e alcuni parlamentari europei stanno interrogando i competenti organi dell'Unione europea sollecitando misure analoghe;
   nel 2005, la DGCS aveva erogato un credito d'aiuto di 220 milioni di euro per la realizzazione dell'impianto idroelettrico «Gilgel Gibe II», il finanziamento italiano più consistente mai concesso a un solo progetto di cooperazione;
   un ulteriore credito d'aiuto di 250 milioni di euro, messo a disposizione per cofinanziare il proseguimento del progetto con la diga Gibe III, fu sospeso il 31 marzo 2011 in un clima di ferma opposizione da parte di Survival e della vasta maggioranza delle organizzazioni non governatrice italiane;
   lo studio del recente passato dimostra che chi viene sfrattato e costretto al reinsediamento contro la propria volontà finisce inesorabilmente per soffrire un peggioramento di vita sotto ogni punto di vista: fisico, economico e psicologico;
   il modo migliore per garantire la promozione e il rispetto dei diritti dei popoli della Bassa valle dell'Omo consiste nel porre delle condizioni all'erogazione degli aiuti all'Etiopia;
   i fatti narrati sono anche riportati dai seguenti articoli: «La battaglia del Nilo/1» del 21 giugno 2013 de «La Repubblica», «Una diga lascia a secco 200mila etiopi» del «Corriere della Sera» del 23 marzo 2013, «Etiopia, la diga della discordia – A rischio la vita di 500 mila persone» de «La Repubblica» del 23 marzo 2013, «Etiopia: Si rischia catastrofe ambientale nella valle dell'Omo» de «La Stampa» del 15 aprile 2013, «Etiopia: un disastro annunciato» di «Afriradio» del 18 aprile 2013, «In Etiopia sfratto di massa» di «Famiglia Cristiana» del 1o aprile 2012 e «Land grabbing: sfratto di massa per le tribù dell'Omo» di «Greenreport» del 15 marzo 2012 –:
   quali iniziative abbia presso l'Italia, e quali iniziative intenda assumere, per verificare che queste comunità non siano state sfrattate e reinsediate contro la loro volontà e per garantire che non lo siano in futuro posto che le comunità agro-pastorali della bassa valle dell'Omo secondo l'interrogante possono essere reinsediate solo con il loro libero, informato e prioritario consenso;
   se l'Italia disponga di prove sul fatto che le autorità etiopi abbiano rispettato le «Good Practice Guidelines»;
   se il Governo sarebbe disposto a revocare o sospendere le erogazioni all'Etiopia se fosse dimostrato che gli aiuti italiani sono stati o potrebbe essere utilizzati, direttamente o indirettamente, per finanziare il reinsediamento dei popoli agro-pastorali della bassa valle dell'Omo;
   quali misure abbia preso o intenda assumere il Governo per garantire che i fondi in futuro erogati dalla cooperazione italiana siano subordinati al rispetto, da parte del Governo etiope, dei diritti dei popoli indigeni e tribali sanciti dalla dichiarazione ONU sottoscritta dall'Italia, dalle leggi internazionali in materia e dalla stessa Costituzione etiope. (5-02770)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   gli eventi calamitosi degli ultimi anni hanno dimostrato, in modo palese, che la tutela dell'ambiente marino e costiero, mediante la predisposizione e la manutenzione delle opportune opere infrastrutturali, è una delle attuali priorità del Paese;
   con particolare riferimento alle coste marchigiane, le opere realizzate all'interno dell'unità fisiografica n. 17 (dal fiume Potenza al porto di Civitanova Marche) della regione Marche, non sono state completate, causando notevoli rischi all'interno della suddetta unità fisiografica;
   tale tratto di costa nel 2010 è stato dichiarato a rischio idrogeologico, risultando così del tutto inadeguata la modalità di intervento identificata dal piano di gestione integrata delle aree costiere della regione come «ripascimento morbido»;
   nonostante ciò, a quanto risulta all'interrogante, nel dicembre del 2013 è stata indetta dalle competenti autorità una gara d'appalto per l'esecuzione del ripascimento con sabbia e ghiaia del tratto di spiaggia in questione, per un importo pari a 4.000.000 di euro;
   alla luce delle criticità idrogeologiche presenti all'interno dell'unità fisiografica n. 17 e in assenza di adeguati interventi di ordine strutturale, il semplice rimedio del ripascimento rischia di non produrre alcun risultato apprezzabile, a fronte della ingente spesa pubblica necessaria per attuarlo;
   la società Rete ferroviaria italiana S.p.a., la quale nei tratti interessati da importanti mareggiate è solita realizzare in maniera autonoma scogliere a secco a ridosso delle rete ferroviaria, si è dimostrata disponibile nei confronti della regione Marche a contribuire ai lavori di messa in sicurezza del tratto di costa, attraverso la collocazione delle scogliere in mare, a condizione che vi sia la volontà di procedere ad una definizione complessiva degli interventi necessari ad evitare la continua erosione del tratto costiero di Porto Recanati;
   nel caso di Marina di Altidona si è agito proprio in tal modo, avendo proceduto regione Marche e RFI ad un intervento congiunto di messa in sicurezza dei luoghi;
   tale virtuoso modus procedendi che vede la collaborazione fra soggetti di natura giuridica diversa, ma entrambi operanti nell'ambito dell'interesse generale (la tutela dell'ambiente marino e la manutenzione delle infrastrutture nazionali per il trasporto ferroviario nazionale), dovrebbe essere esteso non solo a tutto il litorale marchigiano, ma anche a tutte le coste del Paese –:
   se i Ministri interrogati non reputino necessario, data la gravità delle condizioni idrogeologiche delle coste marchigiane e nazionali, attivarsi, nell'ambito delle loro competenze, assumendo iniziative urgenti, anche sul piano normativo, al fine di incentivare forme di collaborazione tra enti pubblici e società a partecipazione statale volte alla preservazione e dalla tutela dei litorali e, in generale, dei territori a rischio idrogeologico ove essi si trovano ad operare. (4-04779)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto Gino Lisa di Foggia è un'infrastruttura funzionante nella quale nel corso degli anni sono state investite ingenti risorse pubbliche in opere di ammodernamento;
   in particolare, nel maggio 2011 è stato presentato al comune di Foggia il progetto di allungamento della pista di volo dell'aeroporto di Foggia «Gino Lisa», che nel successivo mese di luglio è stato approvato dalla giunta comunale;
   alla fine del mese di luglio 2011 una delibera del CIPE relativa all'impiego delle disponibilità del fondo per le aree sottoutilizzate (FAS) ha destinato 14 milioni di euro in favore dell'allungamento della pista dell'aeroporto di Foggia, fondi poi confermati dalla Corte dei conti a fine dicembre 2011;
   la conferenza di servizi tra comune, regione e la società Aeroporti di Puglia, che ha curato il progetto, si è conclusa con alcune richieste per la chiusura dell'istruttoria, tra le quali il rilascio del parere della valutazione di impatto ambientale da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   dopo oltre un anno dalla consegna di alcune integrazioni della documentazione necessaria al rilascio della VIA, avvenuta, come si legge sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il 9 gennaio 2013, con una nota del 24 gennaio 2014 è stata disposta una sospensione di quarantacinque giorni del procedimento concessorio; ad oggi, nonostante i termini per la sospensione siano già decorsi da due mesi, la VIA non è ancora stata concessa;
   il rilascio della valutazione d'impatto ambientale è l'ultimo atto necessario per potere appaltare i lavori di allungamento della pista, atto che si attende da ormai oltre nove mesi e la cui omissione, a giudizio dell'interrogante immotivata, rischia di pregiudicare il progetto di adeguamento di questa importante infrastruttura, nonché di causare gravi danni alla comunità per la perdita dei fondi già stanziati;
   l'aeroporto di Foggia già oggi appartiene al Comprehensive Network della rete Ten-T approvata da Parlamento europeo, Commissione europea e Consiglio dei ministri europeo in via definitiva nel dicembre del 2013, e nella proposta di piano nazionale è l'unico, oltre lo scalo di Forlì, a essere escluso dall'elenco degli scali d'interesse nazionale, nonostante il piano sia stato approntato secondo criteri molto estensivi, se si considera che in esso rientrano ben 38 aeroporti, 12 strategici e 26 di interesse nazionale, e che tra questi sono stati inseriti anche scali non rientranti nella rete TEN-T come Cuneo, Crotone, Comiso, Taranto, Salerno, Parma;
   gli aeroporti citati, peraltro, non sono caratterizzati da volumi di traffico storici rilevanti, né sono ubicati in aree con potenziale di traffico, numero residenti e flussi turistici superiori a quello di Foggia, né sono distanti da altri scali più di quanto Foggia sia da Bari; appare, ad esempio, incomprensibile come la Calabria, con meno di due milioni di abitanti, possa avere tre aeroporti di interesse nazionale per traffico passeggeri (Lamezia, Reggio Calabria, Crotone), mentre la Puglia, con quattro milioni di abitanti ed una lunghezza di oltre 400 chilometri, ne veda funzionanti solo due adibiti al trasporto passeggeri, tra loro distanti circa cento chilometri;
   la provincia di Foggia è la seconda più estesa d'Italia dopo Bolzano e comprende nel proprio territorio aree interne, remote, periferiche, geograficamente ed economicamente svantaggiate, quali ad esempio il Gargano e i Monti Dauni, che distano oltre duecento chilometri dall'aeroporto di Bari;
   lo scalo di Foggia si trova ad una distanza tale dagli aeroporti di Bari (122 chilometri) e Pescara (196 chilometri) da potere beneficiare di un bacino d'utenza specifico e non sovrapposto ad altri scali;
   l'aeroporto di Foggia è essenziale allo sviluppo economico e sociale dell'intera area –:
   quali siano gli elementi che hanno determinato la sospensione del procedimento per la concessione della valutazione d'impatto ambientale e quali siano le ragioni, ad oggi, del mancato rilascio, al fine di ottenerlo quanto prima e non disperdere le somme già stanziate per la realizzazione dell'opera;
   nell'ambito dell'approntamento del Piano nazionale di sviluppo aeroportuale, se non ritenga di reinserire l'aeroporto «Gino Lisa» di Foggia nell'elenco degli scali di interesse nazionale, come scalo che soddisfa esigenze di continuità territoriale e di servizio ai flussi turistici ed attività imprenditoriali del Gargano e dell'intera zona della Capitanata. (4-04780)


   QUARANTA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il parco nazionale delle Cinque Terre è il parco nazionale tra i più piccoli d'Italia e il più densamente popolato, con circa 5.000 abitanti suddivisi in cinque borghi: Riomaggiore, Manarola, Corniglia, Vernazza e Monterosso al Mare;
   in più di mille anni l'ambiente naturale è stato «modificato» sezionando gli scoscesi pendii delle colline per ricavarne strisce di terra coltivabili, i cosiddetti ciàn, sorrette da circa settemila chilometri di muretti a secco e anche per questo è stato dichiarato patrimonio mondiale dell'Umanità dall'Unesco;
   per queste sue particolarità è un «parco dell'uomo», atipico rispetto a tutti gli altri sul territorio nazionale e invece di avere come fine la difesa dell'ambiente sottraendolo all'azione dell'uomo il parco delle Cinque Terre pone al centro del suo agire la difesa di una particolare antropizzazione che contrasta i fenomeni di degrado paesaggistico causati dal fisiologico abbandono dell'attività agricola da parte di ogni società industriale;
   nel settembre del 2010 la dirigenza del parco è stata coinvolta dall'inchiesta «Parcopoli» insieme al sindaco e altri dirigenti del comune di Riomaggiore; tra i vari reati contestati, truffa e concussione;
   nell'ottobre del 2011 un'alluvione ha colpito duramente i comuni di Vernazza e Monterosso, portando gravi danni al delicato equilibrio idrogeologico del parco;
   dal settembre 2012 la «via dell'amore», il più famoso dei sentieri delle Cinque Terre, è chiuso a causa di una frana che ha coinvolto quattro turisti ferendone due gravemente; ad oggi la sua riapertura sembra quasi impossibile per mancanza di fondi;
   risultano inoltre chiusi i sentieri da Riomaggiore fino a Vernazza, il tratto principale dei sentieri delle Cinque Terre, necessari per il collegamento tra i vari borghi e per il turismo –:
   quali iniziative per quanto di competenza, intenda assumere, in collaborazione con la regione Liguria, per sostenere e rilanciare l'ente parco nella sua opera di tutela del paesaggio sia attraverso la salvaguardia delle attività agricole tradizionali, lo sviluppo e la tutela del sistema dei sentieri sia attraverso il turismo sostenibile e responsabile che interessa il parco ormai da anni. (4-04781)


   REALACCI e MONGIELLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   numerosi articoli di stampa locale, nazionale e web, allarmi lanciati da Legambiente Puglia e dagli enti locali interessati riportano la notizia di vari ritrovamenti di migliaia di tonnellate di rifiuti di varia natura illecitamente smaltiti e/o sotterrati in cave dismesse nel territorio della provincia di Foggia;
   nell'ultimo periodo ciò che sta emergendo nella provincia della Capitanata, da Ordona a Cerignola, è uno scenario che desta preoccupazione a cittadini, enti locali, associazioni ambientaliste, come per esempio alla Legambiente Puglia. Infatti, come dichiara il presidente Francesco Tarantini: «purtroppo dal 2006 ad oggi sono state diverse le inchieste sullo smaltimento illegale di rifiuti in questa provincia: Rabbit, Veleno, Black River, sulla megadiscarica che ha deviato il percorso del fiume Cervaro, Black Wear, sui rifiuti tessili bruciati e sotterrati. Ora occorre procedere con la caratterizzazione e l'analisi di rischio dei siti potenzialmente inquinati dai rifiuti tombati e successivamente con la bonifica»;
   le circa 500 mila tonnellate di rifiuti stimate nella citata mega discarica di Ordona – dove peraltro gli scavi sono stati temporaneamente sospesi per verificare la natura di alcuni rifiuti rinvenuti e nel frattempo sottoposti alle analisi di laboratorio – dimostrano la criticità della situazione nel foggiano. Inoltre, sempre secondo le indagini in corso sembrerebbe essere stato messo in atto un «regolare» trasferimento di rifiuti dalla Campania alla vicina Puglia da parte di organizzazioni criminali;
   in Puglia sono 2.579 le cave dismesse che rischiano di diventare luoghi privilegiati per lo smaltimento illecito di rifiuti;
   secondo il rapporto Ecomafia 2013 questi sono i numeri dell'illegalità ambientale nel nostro Paese: 4.120 reati, 28.132 persone denunciate, 161 ordinanze di custodia cautelare, 8.286 sequestri, per un giro di affari di 16,7 miliardi di euro gestito da 302 clan, 6 in più rispetto a quelli censiti lo scorso anno. Il 45,7 per cento dei reati è concentrato nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Sicilia, Calabria e Puglia) seguite dal Lazio, con un numero di reati in crescita rispetto al 2011 (+13,2 per cento) –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della questione;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non intenda, anche per tramite delle agenzie specializzate del suo dicastero, avviare con urgenza il monitoraggio e la messa in sicurezza dei predetti siti sequestrati, anche con l'analisi delle eventuali falde acquifere sottostanti, per poi procedere alla caratterizzazione dei rifiuti illecitamente smaltiti;
   se il Ministro dell'interno di concerto con gli enti locali non intenda rafforzare il controllo delle forze dell'ordine sulle cave dismesse al fine di evitare che esse si trasformino in «facili e comode» discariche abusive;
   se il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per quanto di competenza, non intenda valutare l'opportunità di promuovere un monitoraggio, per quanto di competenza, circa la salubrità di terreni e colture nelle aree adiacenti alle discariche poste sotto sequestro dall'autorità giudiziaria. (4-04792)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PIZZOLANTE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   da quanto emerge dalla risposta fornita il 28 novembre 2013 all'interrogazione n. 1587 dal Sottosegretario di Stato, dottoressa Borletti Buitoni, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo deve corrispondere 97.263.468,66 euro a privati cittadini per interventi di restauro o conservativi autorizzati e dagli stessi eseguiti su beni d'interesse storico-artistico, collaudati fino al 31 dicembre 2011;
   il Sottosegretario ha precisato, inoltre, che l'importo complessivo è soggetto a notevole incremento, tenuto conto di tutti i lavori collaudati successivamente alla predetta data;
   mentre la dichiarata carenza di risorse finanziarie a disposizione del Ministero dei beni e delle attività culturali non consente di erogare i contributi citati, previsti dall'articolo 31 del decreto legislativo n. 42 del 2004, il Ministero dell'economia e delle finanze, per contro, concede, alle Società di investimento immobiliare quotate (SIIQ, SINQ e Fondi immobiliari) alle Società d'investimento immobiliare non quotate (SIINQ) ed ai fondi immobiliari, tra le tante agevolazioni fiscali la considerevole cifra di 481. 600.000 euro, come si evince dalla relazione finale del Gruppo di lavoro sull'erosione fiscale del 22 dicembre 2011 –:
   se i Ministri interrogati, ciascuno per quanto di propria competenza, intendano assumere provvedimenti per sbloccare il pagamento dei 97.263.468,66 euro di contributi indicati in premessa e, se del caso, ridurre proporzionalmente una delle tante agevolazioni fiscali di cui godono i fondi immobiliari e le società di investimento immobiliare quotate e non quotate. (5-02766)


   SCHULLIAN e ALFREIDER. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 19, comma 4, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, ha previsto che con regolamento, da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle attività produttive e con il Ministro dell'interno, si procede alla revisione organica della disciplina dei concorsi e delle operazioni a premio, nonché delle manifestazioni di sorte locali;
   il decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 2001, n. 430, recante il regolamento di revisione organica in materia di giochi di cui sopra, all'articolo 12 rimandava all'articolo 124 del regio decreto-legge 19 ottobre 1938, n. 1933, convertito con modificazioni dalla legge 5 giugno 1939, n. 973, come da ultimo sostituito dall'articolo 19, comma 5, lettera c), della legge 27 dicembre 1997, n. 449, in riferimento alle sanzioni da applicare in caso di effettuazioni di concorsi o operazioni a premio in violazione della normativa applicabile;
   il suddetto articolo 124 prevedeva un sistema sanzionatorio proporzionato all'ammontare dell'imposta sul valore aggiunto dovuta e comunque non inferiore ai vecchi cinque milioni di lire in caso di effettuazione di concorsi ed operazioni a premio vietati e, in caso di difetto di preventiva comunicazione al Ministero, una sanzione amministrativa da quattro a venti milioni di lire, dimezzabile qualora la comunicazione fosse stata inviata prima dell'accertamento della violazione;
   l'articolo 12 del decreto-legge 28 aprile 2009, n. 39, convertito con modificazioni dalla legge 24 giugno 2009, n. 77, al comma 1, lettera o), attualmente vigente, ha previsto, invece, la sanzione amministrativa da euro cinquantamila ad euro cinquecentomila in caso di effettuazione di concorsi ed operazioni a premio di cui è vietato lo svolgimento, stabilendo altresì che la sanzione sia estesa anche a tutti i soggetti che in qualunque modo partecipano all'attività distributiva di materiale di tali manifestazioni a premio e di operazioni a premio vietati, nonché il raddoppio della sanzione «nel caso in cui i concorsi e le operazioni a premio siano continuati quando ne è stato vietato lo svolgimento»;
   l'attuale sistema sanzionatorio per i concorsi o le operazioni a premio non differenzia quindi più l'entità della trasgressione, né il tipo di premio offerto, con la conseguenza che si rischia di incorrere in sanzioni dai cinquantamila euro ai cinquecentomila euro anche in caso di una violazione commessa per l'effettuazione di un concorso o un'operazione a premio del valore di pochi euro;
   l'articolo 12, comma 1, lettera o), del decreto-legge n. 39 del 2009 è dunque seriamente sospettato di incostituzionalità per violazione dei princìpi di proporzionalità, ragionevolezza e parità di trattamento, sanciti dall'articolo 3 della Costituzione, in quanto sanziona i trasgressori con importi sproporzionati al valore della violazione rilevata;
   inoltre il sistema sanzionatorio appena delineato, nel comminare sanzioni assolutamente sproporzionate, mette in serio pericolo la stessa sopravvivenza di piccoli imprenditori che effettuano concorsi a premio di esiguo valore, senza la preventiva comunicazione, ignorando la normativa applicabile;
   sarebbe più opportuno, ad avviso degli interroganti, ripristinare il precedente sistema sanzionatorio, proporzionato al valore dei premi offerti sulla base del mancato versamento dell'Iva dovuta, oppure valutare se la violazione commessa riguardi casi di elusione del monopolio statale sui giochi o coincida con attività di gioco riservate allo Stato, prevedendo solo per queste fattispecie sanzioni amministrative elevate –:
   se ritenga necessario rivedere il sistema sanzionatorio da ultimo introdotto con l'articolo 12, comma 1, lettera o) del decreto-legge n. 39 del 2009, commisurando la sanzione all'entità dell'elusione e limitando le sanzioni superiori a cinquantamila euro solo ai concorsi a premio per i quali sia stata accertata la coincidenza con attività di gioco riservate allo Stato o l'elusione del monopolio statale dei giochi. (5-02767)


   MOLTENI e CAPARINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il pagamento del canone di abbonamento alla RAI è stato istituito dal regio decreto-legge n. 246 del 1938, quando ancora non esisteva la televisione ed è ora dovuto per la semplice detenzione di uno o più apparecchi televisivi, indipendentemente dai programmi ricevuti. È un'imposta secondo gli interroganti socialmente ingiustificata perché colpisce indiscriminatamente, indipendentemente dal reddito, dall'età e dall'utilizzo, e in particolar modo le fasce più deboli della popolazione;
   la Corte costituzionale, nel 2002, ha riconosciuto la sua natura sostanziale d'imposta, per cui la legittimità dell'imposizione è fondata sul presupposto della capacità contributiva e non sulla possibilità dell'utente di usufruire del servizio pubblico radiotelevisivo al cui finanziamento il canone è destinato. Quindi il canone di abbonamento è da riconoscere in forza della mera detenzione di un apparecchio televisivo, indipendentemente dall'utilizzo che ne sia fatto o delle trasmissioni seguite;
   si tratta di un balzello antiquato e iniquo che non ha alcun motivo di esistere anche in virtù del maggiore pluralismo indotto dall'ingresso sul mercato di nuovi editori e dall'apporto delle nuove tecnologie (DTT, DDT, DVbh, TV satellitare, ADSL, WI-FI);
   la RAI per la riscossione, la gestione del canone e il recupero della morosità, ha sottoscritto una convenzione con l'Amministrazione finanziaria e, in particolare, con l'Agenzia delle entrate;
   fonti di stampa (articolo de «La Provincia» – quotidiano di Como on-line del 9 maggio 2014) denunciano comportamenti scorretti da parte dei cosiddetti ispettori della Rai che si presentano nelle abitazioni come «incaricati dell'Ufficio delle entrate». Questi incaricati stanno circondando per i comuni della provincia di Como, in particolare quello di Mariano, spiegando che il motivo del controllo è il rinnovo dell'abbonamento Rai. Alla richiesta, da parte dei cittadini, dei documenti gli incaricati hanno presentato un tesserino con il logo della Rai non quello dell'Agenzia delle entrate come ci si sarebbe invece aspettati;
   gli incaricati, sempre da fonti di stampa, sembra però che non si siano limitati a consegnare i bollettini di pagamento, ma pare che abbiano intimidito gli utenti con frasi del tipo che «se non avessero pagato i bollettini sarebbero andati incontro ad una multa di 600 euro e che poi sarebbero ritornati accompagnati dai vigili per un controllo nell'abitazione circa la presenza di apparecchi televisivi»;
   l'ispettore della RAI non può procedere ad ispezioni, né reali né sulle persone né nelle abitazioni, in quanto per legge non è previsto in capo al medesimo un siffatto potere di agire che, secondo gli interroganti, andrebbe, se posto in essere, denunciato immediatamente all'autorità giudiziaria. La Costituzione dice che il domicilio è inviolabile e si può accedere alle abitazioni private solo se il proprietario lo consente o se si stia commettendo un crimine o se lo dispone un magistrato;
   il comportamento degli ispettori della RAI, più volte denunciato – interpellanza onorevole Caparini XIV legislatura (n. 2-00843) – è un modo subdolo e disonesto di effettuare gli accertamenti sul possesso di apparecchi televisivi nel tentativo di far firmare un impegno alla sottoscrizione di un nuovo abbonamento alla RAI;
   la consegna del cedolino per il pagamento del canone/tassa e la firma per ricevuta nasconde il fatto che in realtà il cittadino viene spinto con l'inganno a firmare un'autodichiarazione in cui si ammette di avere un apparecchio televisivo. Sulla base di questa firma, la RAI poi intimerà il pagamento del canone, con minaccia di pignoramenti, fermi amministrativi, e altro;
   in proposito, la RAI sul proprio sito ha pubblicato un avviso dove dice che «attualmente operano sull'intero territorio nazionale gli incaricati della nostra azienda che, per conto dell'Agenzia delle Entrate, informano i cittadini sugli obblighi derivanti dalla detenzione di apparecchi televisivi, sollecitando gli utenti che non risultano abbonati a regolarizzare la propria posizione. Gli incaricati, che non richiedono alcuna somma di denaro in contanti, rilasciano un bollettino di conto corrente da utilizzare presso qualsiasi ufficio postale per la stipulazione del nuovo canone TV. Sono in possesso di tessera personale di riconoscimento con fotografia, in cui è indicata la Sede regionale della Rai Radiotelevisione Italiana, competente per territorio, alla quale può rivolgersi per ogni ulteriore precisazione»;
   con questa operazione la Rai cerca di percepire il canone anche nei casi non dovuti, perché se non c’è apparecchio televisivo ovviamente non si deve pagare, e non si può essere obbligati a compiere alcuna azione in merito. Non deve prevalere il principio della presuntività;
   l'evasione del canone in Italia, allo stato attuale, si aggira intorno al 25 per cento circa con un ammanco per le casse dell'Erario di circa 450 milioni di euro, questo però non giustifica i suddetti comportamenti. Il canone Rai non può essere equiparato ad un tributo come gli altri – dove per alcuni sono previste anche riduzioni ed esenzioni in base al reddito – non ha lo stesso profilo, e la lotta all'evasione deve essere fatta con norme certe emanate dal Parlamento non dalla Rai che lo fa per tramite l'Agenzia delle entrate che ha meri compiti esecutivi delle leggi dello Stato;
   i comportamenti sopraesposti contribuiscono ad ingenerare un clima di protesta e di sfiducia nei confronti della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo con evidenti e gravi effetti sulla correttezza dei rapporti e sul buon funzionamento del servizio. È necessario, a parere degli interroganti, procedere ad un processo di rasserenamento dei rapporti tra la Rai e gli utenti che, purtroppo, vede questi ultimi come soggetti da vessare –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, nell'eventualità positiva, se intendano effettuare, ognuno per propria competenza, le necessarie verifiche al fine di appurare i fatti accaduti e di accertare eventuali responsabilità per evitare che atti che gli interroganti giudicano di grave inciviltà e di vero e proprio raggiro dei cittadini incolpevoli si ripetano in futuro;
   se ritengano di dover richiamare eventualmente, ognuno per propria competenza, la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo – della quale il Ministero dell'economia e delle finanze è per altro azionista di maggioranza – alla necessità di modificare profondamente le procedure e le metodologie nel rapporto con gli utenti, evitando comunque comportamenti che possano recare disagi, anche perché il rapporto con i contribuenti deve essere improntato alla massima distensione;
   se, inoltre, intendano porre attenzione, per quanto di competenza, al problema della privacy dei soggetti che usufruiscono o meno del servizio radiotelevisivo. (5-02777)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPADONI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nell'atto di sindacato ispettivo n. 5-02588 presentato il 16 aprile 2014 nella VI Commissione permanente della Camera dei deputati (Finanze) si chiedeva al Ministro interrogato quali iniziative, anche di carattere normativo, il Governo intendesse assumere al fine di evitare il riciclaggio di denaro proveniente da attività illecite tramite il gioco d'azzardo e, nella fattispecie, le videolottery;
   nell'interrogazione suddetta si sosteneva come sia sufficiente introdurre la banconota «sporca» nella macchinetta da gioco per ottenere un ticket valido con il quale alla cassa si può ritirare denaro ripulito;
   il sottosegretario di Stato Enrico Zanetti ha risposto che al fine di affrontare e risolvere il grave problema in questione, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli ha agito su vari fronti, in particolare: «è stata definita ed è in via di implementazione una metodologia di analisi che, sulla base delle elaborazioni delle informazioni, presenti nelle banche dati ha già evidenziato, al termine di specifici accertamenti, compiuti di recente, comportamenti anomali da segnalare agli organi di polizia; sono in corso di intensificazione appositi controlli sia sulle sale sia direttamente sui sistemi di gioco presso la sede dei concessionari; l'Agenzia sta collaborando attivamente con le strutture competenti in materia (...) al fine di fornire una analisi di rischio specifica sul fenomeno del riciclaggio in tutte le attività di gioco – secondo le direttive emanate dalla struttura comunitaria competente – GAFI – nonché per l'applicazione della quarta direttiva in materia» –:
   quale sia lo stato attuale degli studi e delle simulazioni in questione atti a prevedere la possibilità di stampare sul ticket le somme introdotte e l'eventuale vincita;
   quando sarà terminata l'analisi di rischio sul fenomeno del riciclaggio di denaro in tutte le attività di gioco e se vi sia la possibilità di creare un database con i suddetti dati;
   con quale frequenza e secondo quali criteri vengano attuati gli appositi controlli sia sulle sale che sui sistemi. (4-04782)


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i controlli sulla regolarità amministrativa e contabile delle attività delle pubbliche amministrazioni sono affidati, con competenza di carattere generale, ai servizi ispettivi di finanza Pubblica (S.I.Fi.P.) che costituiscono la relativa struttura operativa dell'ispettorato generale di Finanza di Ragioneria Generale dello Stato;
   l'attività di accertamento si fonda sulla documentazione amministrativa e contabile che i soggetti pubblici sono tenuti ad esibire (articolo 3 della legge n. 1037 del 1939);
   l'oggetto delle ispezioni è costituito dalle gestioni finanziarie e patrimoniali condotte da soggetti pubblici. Le finalità dell'attività ispettiva consistono nel ricondurre ad economicità e legittimità le gestioni pubbliche, nel verificare la regolare produzione dei servizi nonché nel suggerire i provvedimenti dai quali possono derivare economie nella gestione del bilancio;
   i destinatari delle ispezioni sono le seguenti amministrazioni pubbliche: amministrazioni statali, compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative; aziende ed amministrazioni statali ad ordinamento autonomo: regioni, province, comuni, comunità montane e loro consorzi ed associazioni; istituzioni universitarie; camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura; enti pubblici non economici ed agenzie nazionali, regionali e locali; amministrazioni, aziende ed enti del servizio sanitario nazionale; enti pubblici, economici ed aziende che producono servizi di pubblica utilità; altri soggetti pubblici o privati in relazione a protocolli d'intesa con le amministrazioni centrali che possono disporre accertamenti verso tali soggetti;
   in data 9 maggio 2014 sul sito web della Ragioneria Generale dello Stato vengono indicati, esclusivamente da un punto di vista quantitativo, i dati relativi all'attività di ispezione svolta nell'anno 2006, che risultano essere: n. 468 verifiche amministrativo-contabili; n. 183 denunce alla Corte dei conti (dato parziale); n. 4 denunce alle procure della Repubblica; n. 2 denunce alla Guardia di finanza;
   ovvie ragioni di trasparenza rispetto alle attività amministrative e «contabili delle pubbliche amministrazioni richiedono la necessità di ottenere i dati recenti delle ispezioni, non solo quantitativi, ma altresì rispetto alla specifica e dettagliata indicazione di quei soggetti destinatari delle ispezioni rispetto ai quali sono state individuate delle irregolarità e violazioni di legge –:
   se intenda fornire i dati aggiornati delle ispezioni effettuate rispetto alla regolarità amministrativa e contabile delle attività delle pubbliche amministrazioni;
   enti e aziende rispetto ai quali sono state individuate delle irregolarità e/o violazioni di legge e, in tali casi, il dettaglio delle denunce effettuate. (4-04786)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CATALANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto 9 agosto 2013, n. 110, del Ministro dello sviluppo economico, recante regolamento su «norme per la progressiva dematerializzazione dei contrassegni di assicurazione per la responsabilità civile verso i terzi per danni derivanti dalla circolazione dei veicoli a motore su strada, attraverso la sostituzione degli stessi con sistemi elettronici o telematici, di cui all'articolo 31 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27» definisce le modalità per la progressiva dematerializzazione del contrassegno assicurativo;
   con l'accoglimento dell'ordine del giorno 9/01865-A/192 del 20 dicembre 2013 il Governo si è impegnato a valutare l'opportunità di procedere alla realizzazione di uno strumento informativo unico, in cui confluiscano i dati e le caratteristiche tecniche regolamentari, della proprietà, della regolarità fiscale (bollo regionale) ed assicurative dei veicoli;
   con risoluzione n. 7-00129 del 15 ottobre 2013, ancora non entrata in discussione, si intende impegnare il Governo a garantire uno strumento informativo unico, in cui confluiscano i dati e le caratteristiche tecniche regolamentari, della proprietà, della regolarità fiscale (bollo regionale) ed assicurative dei veicoli, implementando la «banca dati» di cui all'articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto ministeriale n. 110 del 9 agosto 2013;
   sono già stati realizzati, o sono in fase avanzata di sviluppo da parte di operatori economici privati italiani, diversi progetti in linea con l'obbiettivo di creare una carta d'identità del veicolo;
   a titolo esemplificativo si prende in esame il «certificato elettronico di garanzia» Geniuscar (http://www.cegservice.net);
   quest'ultimo ha preso l'avvio tra maggio e giugno 2008, dopo lo svolgimento da parte dei suoi realizzatori di un'indagine sull'esistenza di progetti simili, che ha avuto esito negativo;
   tra febbraio e marzo 2009 il progetto è stato presentato ad ACI, e vi sono stati numerosi contatti tra le parti, al termine dei quali ACI ha però ritenuto non sussistere i presupposti per una collaborazione;
   nel settembre 2009 il sistema è stato dotato di apposite smart card e nel successivo gennaio è iniziata la distribuzione delle stesse presso alcune officine di Torino;
   dal marzo 2011 Geniuscar e UESSE s.r.l. collaborano allo sviluppo di una nuova piattaforma e al miglioramento del servizio –:
   quali siano le iniziative che il Ministro ha valutato o sta valutando, in riferimento all'accoglimento dell'ordine del giorno citato in premessa;
   se sia a conoscenza del progetto citato in premessa;
   se non intenda aprire un tavolo di confronto con chi in Italia, ha già effettuato esperienze di documento unico del veicolo. (5-02769)


   LUIGI GALLO, D'UVA, MARZANA, BRUGNEROTTO, CANCELLERI, BASILIO, MICILLO, DE LORENZIS, PISANO, CASO, D'INCÀ, FICO, DIENI, COZZOLINO, CRISTIAN IANNUZZI, NESCI, NUTI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, LIUZZI, DELL'ORCO e SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 luglio 2012 è stata sottoscritta dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dalla Compagnia di Navigazione spa la convenzione per l'esercizio di servizi di collegamento marittimo in regime di pubblico servizio con le isole maggiori e minori;
   in data 30 luglio 2012 è stata sottoscritta dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dalla Compagnia delle Isole spa la convenzione per l'esercizio dei servizi di collegamento marittimo con le isole minori siciliane;
   le convenzioni citate sanciscono la fine del processo di privatizzazione della compagnia di navigazione Tirrenia spa, controllata indirettamente dal Ministero dell'economia e delle finanze. La storia di questa operazione ha inizio nel marzo 2009 quando il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore Berlusconi, ha emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri contenente i criteri di privatizzazione della suddetta compagnia. In prima istanza la procedura di evidenza pubblica vedeva la partecipazione di 16 società e si concluse con l'aggiudicazione della gara a Mediterranea Holding, società composta allora da regione siciliana, Ttt Lines di Alexis Tomasos, gruppo Lauro dell'ex senatore Salvatore Lauro, Isolemar, Busi Ferruzzi e Nicola Coccia, a causa del ritiro delle 15 società concorrenti. La gara verrà però dichiarata chiusa senza esito per mancanza di alcuni requisiti da parte di Mediterranea Holding. La mancata aggiudicazione si traduce in commissariamento per Tirrenia spa e a tale scopo viene nominato Giancarlo D'Andrea. In seconda istanza la gara di evidenza pubblica viene divisa in due gare distinte: una per la cessione di mezzi e concessioni di Tirrenia (Caremar, Toremar, Saremar), una per la cessione di mezzi e concessioni di Siremar. La gara per la cessione di Tirrenia si chiude con la vittoria della Compagnia italiana di navigazione composta da Marinvest di Gianluigi Aponte, proprietario di SNAV, Moby Lines di Vincenzo Onorato, Grimaldi Lines. L'accordo prevedeva il pagamento a Fintecna di 200 milioni di euro alla sottoscrizione e i restanti 180 milioni in tre rate delle quali l'ultima da corrispondere l'ottavo e ultimo anno di convenzione. In cambio lo Stato si impegnava a corrispondere a Compagnia Italiana di navigazione 72.685.642 euro per 8 anni per un totale di 518.485.136 euro. La seconda trance della privatizzazione di Tirrenia ha visto l'aggiudicazione di Siremar da parte di Compagnia delle Isole, composta da Alilauro, Isolemar, Mediterrane Holding, Davimar Eolia Navigazione, Sicilia Occidentale Marittima, Navigazione Generale Italian e amministrata dall'ex senatore Salvatore Lauro, per una cifra di 69 milioni di euro. In cambio lo Stato si impegnava a erogare in favore di Compagnia delle Isole 55.694.895 euro per 12 anni, pari a 668.338.740 euro;
   la Compagnia delle Isole spa, amministrata dall'ex Senatore Salvatore Lauro, non possedeva per quanto risulta agli interroganti alcuna comprovata esperienza nella gestione dei servizi di cui sopra;
   l'aggiudicazione della Siremar a Compagnia delle Isole ha di fatto permesso a Compagnia delle Isole di ottenere benefici consistenti finanziari ed economici a spese dello Stato;
   alle dipendenze del gruppo Lauro vi è anche l'Ing. Michele Palescandolo, in qualità di designed person ashore e port facility security officer, il quale è stato per più di vent'anni ispettore per conto del RINA;
   la commissione europea ha aperto una procedura nei confronti della Repubblica Italiana, la SA.32014 (2011/C), SA.32015 (2011/C), SA.32016 (2011/C) – Italia, in ordine agli oneri concessi dallo Stato alle compagnie vincitrici di cui sopra per presunti aiuti di stato;
   notizie più recenti, apprese dalla stampa, riferiscono della volontà da parte dell'armatore Vincenzo Onorato di acquisire il 75 per cento della Compagnia italiana di navigazione; se così fosse l'armatore Onorato si troverebbe a gestire una situazione di monopolio delle rotte, soprattutto per quel che riguarda i collegamenti con la regione Sardegna, determinando quindi ad avviso degli interrogati una situazione contraria ai principi della concorrenza, che, oltre a contraddire le finalità per le quali è stata effettuata la privatizzazione di Tirrenia, comporta un effetto economico sconveniente per l'utenza –:
   se le procedure che hanno portato alla aggiudicazione della gara di evidenza pubblica si siano svolte in maniera trasparente, non discriminatoria, nel pieno rispetto della normativa italiana ed europea;
   quali siano gli esiti della procedura di infrazione istruita dalla Commissione europea circa i presunti aiuti di Stato in favore delle compagnie di cui sopra, se vi siano delle sanzioni e, nel caso vi siano, a quanto ammontano le spese complessive a carico della finanza pubblica sino ad ora effettuate per la privatizzazione della Tirrenia spa;
   se si intendano impiegare tutti i mezzi e le risorse disponibili al fine di recuperare la cifra di 1.186.823.876 euro erogati in favore delle compagnie Compagnia italiana della navigazione e Compagnie delle isole;
   se siano state eseguite indagini ispettive ministeriali e quali siano le conclusioni di queste, circa gli incidenti accaduti alle navi: Vincenzo Florio (4 ottobre 1999, 18 novembre 2001, 18 dicembre 2004, 29 maggio 2009), Raffaele Rubattino (29 giugno 2001), Sharden (3 febbraio 2012);
   se si ritenga di dover verificare e approfondire le notizie derivanti dagli organi di stampa circa la volontà dell'armatore Vincenzo Onorato di acquisire il controllo della Compagnia italiana di navigazione, e se, qualora i riscontri siano affermativi, si ritenga opportuno avvisare la Compagnia italiana di navigazione della possibilità che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti richieda l'annullamento della convenzione di esercizio dei servizi di collegamento marittimo in regime di pubblico servizio con le isole maggiori e minori, stipulata con la Compagnia italiana di navigazione medesima;
   se si ritenga idonea, viste le premesse, la concessione della Siremar alla Compagnia delle Isole spa. (5-02775)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI, CANCELLERI, CURRÒ, DI BENEDETTO, D'UVA, DI VITA, GRILLO, LOREFICE, LUPO, MARZANA, NUTI, RIZZO e VILLAROSA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso e considerato che:
   secondo notizie di stampa comparse nell'edizione palermitana di Repubblica, il 21 aprile 2014, presso lo scalo di porto di Porto Empedocle, si sono svolte, dopo 4 giorni di ormeggio nel porto di un'imbarcazione carica di pet-coke le operazioni di scarico e trasbordo dello stesso materiale;
   secondo quanto riferito dal comandante della capitaneria di porto, la nave è rimasta ormeggiata nello scalo per quattro giorni, invece che per i due inizialmente previsti, poiché a capacità di incamerare il materiale dello stabilimento di Italcementi di Isola delle Femmine era inferiore rispetto a quanto previsto;
   il pet-coke, essendo un carbone artificiale prodotto utilizzando residui petroliferi pesanti e oleosi, contiene un insieme di sostanze particolarmente pericolose come idrocarburi policiclici aromatici (IPA), in particolare il benzopirene, metalli pesanti come nichel, cromo e vanadio, nonché zolfo e cloro;
   a causa della presenza delle sostanze pericolose richiamate sopra, e alla luce del fatto che il pet-coke risponde pienamente ad alcune delle caratteristiche elencate nell'articolo 2, comma 2 del decreto legislativo 14 marzo 2003 – in presenza delle quali un materiale deve essere classificato come «pericoloso» – il trasporto di questo materiale va equiparato a quello di una sostanza pericolosa, e dunque deve essere eseguito secondo le disposizioni del decreto del Ministero della sanità 28 aprile 1997;
   per i gravi rischi indotti, è particolarmente necessario che le operazioni di trasbordo dalla nave ai camion e il successivo trasporto del pet-coke siano effettuati in modo tale da evitare la produzione e la dispersione nell'aria, nonché il deposito al suolo, di polveri della stessa sostanza;
   la documentazione fotografica pubblicata mostra, secondo gli interroganti inequivocabilmente, che il trasferimento del pet-coke da nave a banchina e da banchina a camion è stato effettuato con modalità meccanica (gru a benna e tramoggia), senza l'adozione di alcuna misura idonea a prevenire la formazione di polveri e la dispersione delle stesse nell'ambiente;
   la stessa documentazione fotografica mostra che le operazioni di scarico siano state effettuate negli stessi giorni nei quali erano previsti l'approdo di una nave da crociera e il successivo sbarco dei croceristi nello scalo di Porto Empedocle;
   con riferimento al pet-coke e alla sua pericolosità, va precisato che la sua classificazione come combustibile e il suo utilizzo all'interno di impianti – come la cementeria di Isola delle Femmine – è strettamente subordinato al rispetto delle soglie percentuali massime di zolfo in massa fissate nell'allegato X alla parte quinta del decreto legislativo n. 152 del 2006 e delle caratteristiche indicate nella parte II dello stesso decreto, superate le quali il pet-coke deve essere considerato alla stregua di un rifiuto e trattato come tale;
   alla luce della pericolosità del pet-coke, in alcuni scali, come quelli di Napoli e di Salerno, ne è stata vietata la movimentazione, in altri, come quelli gestiti dall'autorità portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta, le attività di carico, scarico e trasbordo del pet-coke sono disciplinate da un apposito decreto della stessa autorità portuale;
   per la stessa ragione, e con specifico riferimento al trasporto del pet-coke diretto allo stabilimento della Italcementi di Isola delle Femmine, nel comune di Palermo è stata adottata l'ordinanza sindacale n. 322 del 24 ottobre 2008, «Provvedimenti da adottare per il trasporto di combustibile pet-coke all'interno dell'agglomerato urbano», con la quale è stato stabilito il divieto di trasporto dello stesso materiale all'interno dell'agglomerato urbano, con autocarri a cassone aperto anche se coperti da teloni, precisando che i mezzi di trasporto dovranno garantire la perfetta tenuta onde scongiurare il rilascio, anche in caso di evento accidentale, di tale materiale tossico nell'ambiente;
   le foto pubblicate sembrano documentare, invece, che per il trasporto del pet-coke all'interno dello scalo non sono stati utilizzati mezzi con sistemi di chiusura ermetica del carico e che il materiale depositato nei cassoni dei camion non era coperto neanche con teloni in PVC a chiusura scorrevole;
   nel decreto del responsabile del competente servizio della regione Siciliana, con il quale è stata rilasciata l'Autorizzazione integrata ambientale per l'impianto esistente «Cementeria di Isola delle Femmine», sono state dettate le prescrizioni relative alla realizzazione di un tunnel fisso all'ingresso dedicato allo scarico del combustibile del capannone materie prime e per il trasferimento nel predetto capannone del pet-coke allora stoccato nella cava di Raffo Rosso, ma non sono state fornite indicazioni in merito al rifornimento, a regime, dell'impianto oggetto dell'autorizzazione –:
   se le attività di scarico e trasbordo del pet-coke all'interno dello scalo di Porto Empedocle siano state effettuate per conto proprio, da parte del gestore della cementeria di Isola delle Femmine ovvero, per conto dello stesso gestore, da parte di una delle imprese autorizzate iscritte nell'apposito registro tenuto dall'autorità marittima;
   se nella richiesta di autorizzazione ex articolo 16 della legge n. 84 del 1994 e in particolare nel programma operativo e nella relazione sulla capacità tecnico-organizzativa, l'impresa che ha effettuato le operazioni nello scalo di Porto Empedocle richiamate in premessa, abbia indicato, tra le proprie attività, lo scarico e il trasbordo di pet-coke, e abbia fornito adeguate rassicurazioni sul pieno rispetto delle normative di sicurezza che trovano applicazione in caso di trasporto di materiali pericolosi;
   se per il rilascio dell'autorizzazione prescritta all'operatore portuale che ha condotto le operazioni descritte in premessa, sia stato richiesto all'autorità competente di verificare l'assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale ovvero di procedere alla valutazione dell'impatto ambientale delle attività portuali connesse alla movimentazione del pet-coke nello scalo di Porto Empedocle, e dunque di dettare prescrizioni specifiche per l'esercizio di dette attività;
   quali misure siano state adottate per tutelare la salute dei lavoratori dello scalo portuale e dei turisti in transito nei giorni nei quali sono state effettuate le operazioni di trasbordo del pet-coke;
   se e con quale frequenza abbiano luogo le operazioni di scarico e trasbordo del pet-coke diretto alla Cementeria di Isola delle Femmine nello scalo di Porto Empedocle ovvero verso altri impianti che utilizzano detto materiale come combustibile;
   se e in che modo sia stato accertato che il pet-coke movimentato all'interno dello scalo di Porto Empedocle non contenesse un quantitativo di zolfo superiore a quello indicato nel citato Allegato X del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e rispettasse le caratteristiche individuate nello stesso decreto legislativo, per poter essere classificato come un combustibile;
   se l'autorità marittima dello scalo di Porto Empedocle abbia adottato norme specifiche per regolare le operazioni di scarico e trasbordo del pet-coke nell'ambito portuale;
   se non ritenga necessario dare indicazioni alle autorità portuali e/o alle autorità marittime affinché le operazioni di carico, scarico e trasbordo del pet-coke vengano autorizzate soltanto a condizione che vengano eseguite con modalità «suction unloading» (scarico per aspirazione), e non con la modalità meccanica – come quella adottata nello scalo di Porto Empedocle – che determina la produzione e la dispersione di polveri dello stesso materiale. (5-02776)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante segnala come a differenza di quanto accade sulle autostrade d'Oltreoceano, in cui la cancellazione dei graffiti e delle scritte vandaliche avviene rapidamente, al fine di evitare che gli automobilisti vengano distolti dalla guida con la loro visione, in Italia accade il contrario, ovvero si lasciano accumulare le immagini e le decorazioni sui muri, provocando oltre al danno estetico per un Paese turistico come il nostro, anche un pericolo per la guida, essendo i graffiti costretti a intravedere e a leggere successioni di lettere senza senso;
   a giudizio dell'interrogante, se è vietato apporre cartelloni pubblicitari lungo le autostrade nazionali, proprio per motivi di sicurezza, non si comprende perché vi sia una situazione quale quella suesposta, i cui effetti rappresentati da una consistente quantità di graffiti, che imbrattano i muri delle autostrade, distogliendo gli automobilisti dalla guida, possono determinare evidenti problemi alla tutela e alla sicurezza degli utenti delle autostrade italiane –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa e se non ritenga opportuno avviare iniziative, nell'ambito delle sue competenze, volte a rimuovere le criticità esposte in premessa, che possono costituire evidenti rischi per la sicurezza degli automobilisti che percorrono le strade e le autostrade italiane. (4-04775)


   ATTAGUILE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la strada statale 286 del Vesuvio è un'infrastruttura essenziale per le province di Napoli e Salerno che ha origine nell'hinterland napoletano congiungendo, in particolare, il comune di Cercola con il comune di Angri, in provincia di Salerno;
   nel progetto originario risalente gli anni sessanta, la statale su citata avrebbe dovuto rappresentare, non solo un'infrastruttura essenziale per le due province di Napoli e Salerno, ma anche una delle principali vie di fuga per i comuni dell'area vesuviana in caso di eruzione così come previsto nel piano di evacuazione della Protezione civile;
   la strada statale attraversa un territorio che conta circa 340 mila abitanti con specifiche esigenze di mobilità che, oggi, a causa della presenza nell'attuale tracciato di una sola corsia per ogni senso di marcia per la quasi totalità del percorso, vengono in parte assorbite dalla A3 con conseguenti fenomeni di congestione lungo tutta l'arteria costiera e importanti ricadute anche dal punto di vista ambientale;
   la strada statale 268 tristemente nota come «strada della morte» non presenta le caratteristiche strutturali corrispondenti alla funzione che svolge; soprattutto in termini di sicurezza, manca, nella quasi totalità del tracciato, di corsie di emergenza, di uno spartitraffico che separi i due sensi di marcia e di piazzole di sosta. La stessa segnaletica sia verticale sia orizzontale è assolutamente inadeguata;
   l'ultimo incidente mortale risale allo scorso 2 maggio quando, in uno scontro frontale, ha perso la vita un uomo e sono rimasti gravemente feriti altri due automobilisti;
   la presente interrogazione rappresenta l'ennesimo atto di sindacato ispettivo con il quale si chiede al Governo di intervenire tempestivamente a risolvere una situazione divenuta ormai inaccettabile e il cui costo di vite umane è intollerabile;
   non si comprende la ragione della lentezza dei lavori di messa in sicurezza relativi al primo e secondo lotto nonostante l'opera sia stata completamente finanziata;
   dal 2007 ad oggi sono stati realizzati solo poco più del 12 per cento degli stati di avanzamento dei lavori –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere al fine di garantire in tempi certi l'esecuzione dei lavori della statale sopra citata;
   quali misure di messa in sicurezza il Ministro intenda mettere in atto nelle more del completamento dei lavori.
(4-04794)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DELLA VALLE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dall'ultima relazione sullo stato della disciplina militare, risulta che nell'Arma dei carabinieri si sono suicidati 227 militari dal 1996, con un picco di 18 decessi nel 2012; non sono tuttavia disponibili dati relativi ai tentativi di suicidio fortunatamente non conclusi;
   dalle notizie apparse su vari organi di informazione e da siti internet specialistici, risulterebbe che il fenomeno dei suicidi anche tra il restante personale delle forze di polizia ha assunto dimensioni preoccupanti;
   le rappresentanze del personale della polizia di Stato, della Guardia di finanza e della polizia penitenziaria denunciano da alcuni anni un aumento dei casi di suicidio tra gli appartenenti a tali Forze di polizia, per cause dovute soprattutto allo stress connesso alle condizioni lavorative ed alla mancanza di supporto psicologico;
   allo stato attuale mancano tuttavia dati ufficiali sulla consistenza del fenomeno in quanto non esisterebbero studi specifici pubblicati, né tantomeno delle statistiche da parte delle amministrazioni interessate;
   a parere dell'interrogante un fattore che favorisce i fenomeni di autolesionismo potrebbe anche essere riconducibile al possesso di un'arma individuale, a prescindere dall'incarico ricoperto; peraltro tale circostanza potrebbe costituire anche pericolo per altri soggetti a contatto con il personale che si trovi in situazioni di disagio psicologico –:
   quanti siano stati i casi di suicidio che si sono verificati tra gli appartenenti alle forze di polizia che dipendono dai Ministri interrogati negli ultimi 10 anni, quali le cause e quanti abbiano utilizzato l'arma in dotazione;
   se non ritengano doveroso introdurre un'apposita relazione statistica annuale, oltre ad organismi di supporto psicologico, esterni alle amministrazioni, per il costante controllo e supporto dei possibili casi di disagio fra il personale dipendente, al fine di prevenire il ripetersi di questi tragici eventi;
   se non ritengano altresì opportuno disporre la non assegnazione dell'arma individuale per quegli incarichi per i quali essa non sia indispensabile, quali ad esempio i servizi non operativi. (5-02763)


   DELLA VALLE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 19 settembre 2001, il Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa ha adottato con la Raccomandazione Rec(2001)10 il Codice europeo di etica per la polizia;
   l'articolo 45 di tale codice prevede che «di norma, nel corso di un intervento, il personale di polizia deve essere in condizione di dimostrare il proprio grado e la propria identità professionale»; nel commento a tale punto viene spiegato, tra l'altro, che «il requisito per cui il personale di polizia deve di norma dimostrare la propria identità professionale prima, durante o dopo un intervento, è strettamente legata alla responsabilità personale degli operatori di polizia per azioni/omissioni. Senza la possibilità di identificare il singolo agente, la responsabilità personale, dal punto di vista dei cittadini, diventa un concetto vuoto. È chiaro che l'implementazione di tale regola deve bilanciare l'interesse del pubblico e la sicurezza del personale di polizia in base ad ogni singolo caso specifico. Va sottolineato che l'identificazione di un membro della polizia non implica necessariamente che ne venga divulgato il nome»;
   nel corso di alcune manifestazioni, degenerate in disordini e scontri tra le forze dell'ordine ed i manifestanti, è accaduto che alcuni appartenenti alle forze di polizia abbiano ecceduto nell'uso della forza e nel loro ruolo di tutori della legge, causando anche lesioni a cittadini inermi;
   detti comportamenti penalmente rilevanti, oltre a creare sfiducia nelle istituzioni da parte dei cittadini, sono anche fonte di disagio tra lo stesso personale delle forze di polizia che può essere oggetto di indagine ancorché non abbia partecipato ai fatti –:
   se non ritenga opportuno procedere in via regolamentare all'introduzione di un codice identificativo alfanumerico che, nel rispetto della privacy dei singoli, consenta alle autorità preposte il riconoscimento di quegli operatori di polizia che si rendano colpevoli di detti eccessi, al fine di tutelare sia i cittadini che manifestano pacificamente, sia gli agenti che non sono responsabili di tali degenerazioni. (5-02764)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NARDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le premesse e i fonda enti del piano di riordino del Corpo nazionale dei vigili del fuoco sono l'ottimizzazione delle risorse e l'economicità della manovra;
   nei giorni scorsi (8-9 aprile) è stato in discussione il progetto presentato dal Ministero dell'interno di riordino delle strutture centrali e territoriali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e l'ambito di competenza del riordino coinvolge un ampio spettro di interventi che vanno dal mansionario dei Dirigenti, con relativa attribuzione dei poteri, fino alla definizione delle piante organiche nazionali;
   alcuni comandi vengono pesantemente ridimensionati dal sopracitato progetto di riordino benché non siano previsti ridimensionamenti e tagli all'organico nazionale, ma soltanto tagli di funzionamento;
   il progetto di riordino del Corpo nazionale dei vigili del fuoco non prevede tagli all'organico, ma prevede spostamenti di risorse umane a danno principalmente dei distaccamenti portuali, ed in particolar modo del distaccamento di Livorno, con il taglio del 50 per cento del personale;
   infatti il distaccamento labronico passerebbe con il riordino da 52 a 28 unità. Le unità ritenute in eccesso per Livorno verrebbero dirottate a comandi di altre regioni italiane, con la pesante aggravante della dismissione delle imbarcazioni di gradi dimensioni; questo mentre per le altri sedi si prevede un distaccamento di operatori all'interno dello stesso comando provinciale;
   il porto di Livorno, per la sua struttura, per il suo orientamento industriale e per le scelte strategiche di sviluppo già operate non può privarsi della presenza della motobarca serie 11 (cioè di grandi dimensioni) per la significativa presenza di aziende che fanno di Livorno un porto ad alto rischio (il riordino si è basato su dati statistici relativi all'anno 2012 quando ancora non insisteva sul territorio labronico il rigassificatore OLT e nuovi depositi di gas propano liquido), si ricordano:
    a) Costiero Gas, che scarica il GPL, il gas della strage di Viareggio, in serbatoi sotterranei di rilevanti dimensioni, tali da servire tutto il centro Italia;
    b) la raffineria Eni che tramite la Darsena Petroli scarica e carica i prodotti petroliferi;
    c) il nuovo Rigassificatore Olt, situato a 20 chilometri dalle coste livornesi proprio per la criticità della materia oggetto del processo industriale;
   per i rischi che conseguono non è accettabile che l'intervento dei vigili del fuoco avvenga tramite la disponibilità di un'imbarcazione privata, con costi maggiori, e con costi maggiori, e con l'impossibilità di avere a disposizione tutta l'attrezzatura necessaria, che solo il mezzo pubblico può garantire;
   tutti i piani di emergenza per queste aziende prevedono l'utilizzo della motobarca di grandi dimensioni. Questo orientamento industriale del porto di Livorno è comune a pochi porti in Italia, ma il taglio che viene operato su Livorno è il medesimo di quello agito su di uno scalo esclusivamente passeggeri;
   negli altri comandi il taglio del personale viene ridistribuito presso il comando provinciale, al fine di evitare gravi scompensi nell'organizzazione del servizio di soccorso,  a anche in questo caso il comando di Livorno viene nuovamente penalizzato in  misura superiore alle altre realtà italiane, perché il taglio del personale portuale non viene riassegnato al comando provinciale ma viene trasferito a favore di altri comandi;
   il personale del distaccamento porto di Livorno era presente in prima partenza in soccorso delle popolazioni colpite dagli eventi sismici dell'Abruzzo e dell'Emilia, permettendo il proseguimento della quotidiana attività di soccorso nel territorio livornese;
   come conseguenza di questo piano di riordino avremo che i servizi ad altissima specializzazione ed a rischio rilevante, che si erano consolidati a Livorno, rimarrebbero scoperti e la cittadinanza non avrebbe più la garanzia della propria sicurezza, offerta dal Comando nazionale dei vigili del fuoco;
   altro taglio si abbatterebbe sul nucleo sommozzatori ed acquatico (NSSA-sommozzatori). Il Nucleo rimarrebbe operativo solo di giorno con una riduzione di organico di 10 unità rispetto all'accordo del 2008;
   il NSSA di Livorno ha una statistica di interventi e salvataggi di persone che lo vede tra i più attivi su tutto il territorio nazionale, ed agisce su 300 chilometri di costa, i nuclei più vicini rimarrebbero Roma e Genova, visto che Grosseto e Viterbo, già ridotti a un solo turno, sono in osservazione per una imminente chiusura;
   il nucleo da anni è stato inserito nel piano SAR della locale capitaneria di porto, che lo ha anche inserito nel piano di emergenza per il soccorso ad aeromobile in mare sul corridoio di atterraggio/decollo dell'aeroporto Galilei di Pisa come unica forza di soccorso subacqueo del porto di Livorno;
   dal 2003 lavora in sinergia con il servizio portuale dei vigili del fuoco aumentando la risposta dei vigili del fuoco in ambito acquatico. L'incidenza di interventi con alta magnitudo e pericolo per la vita umana, seppur con minore frequenza, si ha soprattutto la notte e quindi la decisione di limitarlo al turno diurno risulta ancora più incomprensibile, come incomprensibile è tagliare del 50 per cento la forza di intervento subacqueo e acquatico del Comando livornese;
   la forza sommozzatori è una risorsa per l'intero territorio regionale, infatti lo stesso piano di riordino (allegato Q tabella 5.3), in contraddizione con quanto previsto, vede Livorno al decimo posto assoluto per il rischio acquatico severo, e tra le province di competenza ne vede un'altra a rischio severo e le altre tre a rischio ordinario, quindi nessuna a rischio lieve;
   i sommozzatori nel comando labronico hanno la possibilità di mantenere uno standard addestrativo di altissimo livello, con costi relativamente bassi, grazie alla dislocazione presso il distaccamento porto e alla vicinanza dei luoghi per effettuare gli addestramenti obbligatori, impegnando il personale in servizio per tempi brevi, a differenza dei comandi dislocati nell'entroterra che esigono costi maggiori per la formazione, anche a seguito delle maggiori distanze da coprire rispetto ai Comandi situati sulla costa;
   il NSSA non è solo un dispositivo del comando di Livorno ma lo è per tutta la regione Toscana, ed è doveroso chiedersi quale risposta saprà dare il Corpo dei vigili del fuoco in Toscana alle domande di soccorso, se il Piano di riordino stravolgerà il dispositivo;
   il ruolo del NSSA dei vigili del fuoco è decisivo nei soccorsi in acqua basti pensare alle tragiche del mare quali Concordia e Moby Prince. I sommozzatori dei vigili del fuoco fanno circa 170 interventi l'anno;
   il distaccamento di Portoferraio subirà fortemente le conseguenze del riordino, anche se in apparenza non viene modificata la sua categoria, D2. Da segnalare innanzitutto che nella prima stesura della bozza di riordino l'isola d'Elba veniva declassata a distaccamento misto permanente volontario, e solo a seguito delle vibranti proteste è stato riportato a sede permanente, D2, ma sempre senza l'ausilio del mezzo di supporto;
   gli accordi vigenti, tra comando provinciale ed organizzazioni sindacali, sono messi in forte discussione dalla significativa riduzione del personale che subirà il comando di Livorno, passando da 240 a 218 unità nelle nuove piante organiche;
   la categorizzazione D1 della pianta organica del 2008 corrisponde alla SD2 della nuova bozza. La categoria SD1 è una sede mista. Considerando che le due unità capo reparto, presso i distaccamenti territoriali sono inserite nei turni ad orario differenziato, non sono inquadrabili nel dispositivo di soccorso, di conseguenza il numero reale sarebbe 212 con un taglio reale di 28 unità e la cui prima conseguenza sarà l'impossibilità di garantire la presenza del mezzo di supporto presso il distaccamento di Portoferraio, e sarà impossibile garantire un adeguato livello di sicurezza nel Porto di Livorno;
   i piani d'evacuazione dei traghetti, inutile ricordare il caso della Nave Concordia, prevedono l'utilizzo di lance di media grandezza per la raccolta veloce dei passeggeri –:
   quali iniziative intenda intraprendere per mantenere i livelli occupazionali e garantire così la sicurezza e la professionalità dei soccorsi in un territorio in cui insistono strutture produttive ad alto rischio;
   quali siano i risparmi riducendo la presenza sul territorio dei vigili del fuoco e quali, di conseguenza, siano i costi per costituzione di strutture di protezione civile;
   quali siano i criteri di selezione del personale volontario o di protezione civile e se siano paragonabili ai criteri di selezione del personale permanente dei vigili del fuoco;
   quale sia il livello di efficienza che la nuova struttura di soccorso così delineata sia in grado di garantire. (4-04770)


   PRATAVIERA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile ha elaborato un complesso progetto per il riordino delle strutture centrali e territoriali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che è parte della cosiddetta spending review varata dal Governo;
   il progetto per il riordino delle strutture centrali e territoriali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco contiene tra le altre cose una riclassificazione dei presidi del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, sulla base della quale saranno disposti futuri provvedimenti di chiusura e razionalizzazione;
   tra i distaccamenti del Corpo nazionale dei vigili del fuoco che hanno subito un declassamento della loro rilevanza vi è quello di Cavarzere, in provincia di Venezia, ora definito sede distaccata riclassificata;
   il documento evidenzia come si prospetti per il distaccamento di Cavarzere la chiusura, posto che non figura alcuna assegnazione di personale in suo favore, malgrado il presidio sia competente ad operare in un'area assai complessa e ricca di siti sensibili e ad alto rischio, sulla quale insistono, tra le altre cose, la bocca di un rigassificatore ed alcune centrali a biomassa;
   Cavarzere ha finora assicurato anche un'attività di supporto all'attiguo presidio di Chioggia, organizzato più in funzione del soccorso in mare che delle emergenze a terra –:
   se il Governo non intenda sottoporre a revisione il progetto per il riordino delle strutture centrali e territoriali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco ed avviare un confronto anche con le autonomie locali per evitare la pericolosa soppressione di presidi del soccorso tecnico urgente essenziali come quello di Cavarzere. (4-04778)


   PIAZZONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 25 aprile 2014, mentre in tutta Italia le istituzioni repubblicane celebravano l'anniversario della Liberazione dalla dittatura nazi-fascista, a Campoverde, frazione del comune di Aprilia in provincia di Latina, come purtroppo già accaduto in passato, si è svolta una manifestazione celebrativa dell'ideologia fascista in maniera ad avviso dell'interrogante inaccettabile;
   alcuni rappresentanti dell'estrema destra infatti, proprio nelle ore della celebrazione nazionale della Liberazione, ricordavano a Campoverde, di fronte a un cippo commemorativo, in «onore» dei componenti del Battaglione Barbarico appartenente alla X Mas, Battaglione che, insieme alle truppe naziste e fasciste, durante lo sbarco alleato sulle coste di Anzio, tentò di impedire l'avanzata delle forze che liberarono in seguito Roma;
   la manifestazione si svolgeva alla presenza di alcuni noti esponenti politici come l'Europarlamentare Mario Borghezio, esponente della Lega Nord, Adriano Tilgher, esponente del «fronte nazionale» i quali venivano fronteggiati dai rappresentanti dell'Anpi, l'Associazione nazionale partigiani italiani, accorsi per contestare la legittimità della manifestazione assieme agli esponenti dei partiti e dei movimenti della sinistra del territorio;
   il confronto tra le due manifestazioni, ha conosciuto momenti di forte tensione e solo la cospicua presenza delle forze dell'ordine ha impedito il degenerarsi della situazione e il contatto fisico tra i manifestanti;
   durante la manifestazione, gli esponenti della destra hanno più volte inneggiato al fascismo esibendo spudoratamente simboli nazi-fascisti e reiterando in più occasioni il «saluto romano», evidente e gravissima apologia del fascismo, vietata dal nostro ordinamento a partire dalle disposizioni transitorie allegate alla Carta costituzionale;
   l'episodio è ancora più grave se si considera la presenza di esponenti politici che hanno ricoperto in passato incarichi istituzionali importanti come quello di parlamentare della Repubblica, disconoscendo con la partecipazione alla manifestazione della destra, proprio quei valori su cui hanno prestato giuramento in diverse occasioni;
   negli ultimi anni si è registrata una crescente tolleranza nei confronti di queste manifestazioni di apologia del fascismo da parte delle pubbliche istituzioni che non è più tollerabile poiché rischia di legittimare comportamenti ed azioni contrarie ai principi e ai valori fondanti della Repubblica, come ad esempio la Lotta partigiana per la Liberazione;
   dopo la manifestazione a Campoverde, gli esponenti della destra si recavano a Nettuno, presso il cimitero dei caduti della X Mas, dove venivano reiterati gli inneggiamenti al fascismo e alla dittatura fascista –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'episodio descritto in premessa e se risulti che sui fatti riportati siano state avviate indagini;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative affinché le Prefetture monitorino con la massima attenzione in futuro ogni manifestazione pubblica palesemente inneggiante alla dittatura nazi-fascista che possano cagionare problemi di ordine pubblico, specie in momenti fondamentali della vita repubblicana qual è quello della celebrazione del 25 aprile Festa della Liberazione dal nazifascismo anche valutando se negare lo svolgimento della stessa ove ne ricorrano i presupposti. (4-04791)


   BUONANNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella città di Biella negli ultimi mesi si sono sempre più intensificati atti di violenza urbana da parte di ragazzi sia italiani che soprattutto extracomunitari, culminati nella serata di venerdì 2 maggio 2014, quando Azzedine Boualoua, marocchino residente a Biella e la sua compagna Margò Leo, di Torino senza motivo hanno aggredito e pestato a sangue due giovani lungo via Tollegno, la strada che collega i locali della movida notturna al centro città, e poi rapinato un sessantacinquenne che stava rincasando in via Gramsci. Ma Azzedine Boualoua e Margò Leo, arrestati dai carabinieri, poche ore dopo erano già liberi. Nonostante il primo abbia collezionato da ottobre sino ad oggi circa una quarantina di denunce, non è ancora mai stato condannato e quindi l'unica misura cautelare che il gip ha potuto adottare nei suoi confronti è stata quella dell'obbligo di dimora. Stesso provvedimento per la donna;
   la testimonianza delle vittime è agghiacciante: «Stavamo risalendo via Tollegno quando un gruppo di sei giovani, tre ragazzi, tutti marocchini, e tre ragazze ci avvicinano. Sembrano cercare il pretesto per attaccare briga. Facciamo finta di nulla, li ignoriamo. Non facciamo tempo a lasciarceli alle spalle che ci piovono addosso dei sampietrini». «Le pietre le avevano nelle borse le ragazze. Una mi colpisce al capo e cado a terra tramortito. Poi è stata una raffica di calci e pugni, con le stesse ragazze che aizzavano il resto del gruppo a colpirci: attimi di vivo terrore»;
   lo stesso questore di Biella dottor Arena commenta che il protagonista è un volto noto agli investigatori: «Nell'ultimo mese lo abbiamo denunciato 5 volte e arrestato due. In quest'ultimo caso ha agito con una violenza da belva». «Il decreto svuota-carceri ha avuto qualche ripercussione e farò il possibile per intensificare i controlli, anche se le risorse in campo sono quelle che sono» –:
   se sia intenzione del Governo implementare gli organici delle forze dell'ordine al Nord, se ritenga impellente destinare maggiori risorse alle Forze di polizia e se non reputi urgente fermare l'invasione di extracomunitari attraverso l'immediata sospensione del progetto Mare Nostrum.
(4-04796)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha indetto, con decreto del direttore generale del 13 luglio 2011, un concorso per il reclutamento di dirigenti scolastici nell'ambito dell'amministrazione scolastica periferica;
   l'articolo 9 del bando di concorso prevedeva che alle prove concorsuali si accedesse mediante preselezione, e che il concorso si articolasse in due prove scritte ed una prova orale, alle quali si aggiungeva la valutazione dei titoli;
   espletate le varie fasi concorsuali, che hanno visto impegnati quasi 7000 concorrenti, il direttore generale dell'ufficio scolastico regionale per la Campania, all'esito delle prove scritte, ha approvato l'elenco dei 959 candidati ammessi a sostenere la prova orale del concorso;
   avverso i predetti atti alcuni concorrenti non ammessi hanno proposto svariati ricorsi innanzi al TAR Campania di Napoli, eccependo l'illegittimità della propria esclusione e, in caso di mancato accoglimento della richiesta, l'illegittimità dell'intera procedura e dell'operato della commissione;
   il TAR Campania con varie ordinanze ha inizialmente sospeso l’iter procedimentale e, pertanto, a molti concorrenti è stato impedito di sostenere le prove orali;
   successivamente, il 24 luglio 2013, il TAR Campania medesimo con le sentenze nn. 3807, 3837, 3836, 3805, 3804, 3839, 3803, 3389, 3860, 3806, 3834, 3842, 3833, 3841, 4088, 3840, 3858, 3809, 4090, 3856, 3835, 4089, 4087, 3857, 3808, 3859, 4086 e 3864 ha respinto tutti i ricorsi proposti, argomentando compiutamente e diffusamente su tutte le censure mosse;
   le prove orali sono state quindi riavviate in data 3 ottobre 2013, e sono terminate in data 18 febbraio 2014;
   nel frattempo avverso le sentenze di primo grado del TAR Napoli i ricorrenti soccombenti hanno proposto appello al Consiglio di Stato, che, all'udienza del 14 gennaio 2014, non ha ritenuto di concedere l'invocata tutela cautelare ed ha fissato il merito all'udienza del 15 luglio 2014;
   l’iter procedimentale del concorso in argomento è stato dunque molto travagliato, con un lungo periodo di sospensione a seguito delle misure cautelari disposte dal TAR Campania;
   solo a seguito dei provvedimenti favorevoli emessi dal TAR, con i quali è stata acclarata la legittimità dell'intera procedura, ritenuta immune dai vizi denunciati, molti dei concorrenti hanno potuto concludere positivamente l’iter concorsuale;
   l'ufficio scolastico regionale avrebbe dovuto, pertanto, procedere all'attribuzione del punteggio ai singoli candidati per i titoli posseduti e, di conseguenza, all'attribuzione del punteggio finale, dato dalla somma dei voti delle due prove scritte, del voto della prova orale e del punteggio riportato nella valutazione dei titoli;
   nonostante le prove orali siano terminate, come già detto, il 18 febbraio 2014, l'ufficio scolastico regionale non ha ancora concluso il procedimento, né risulta che sia stata approvata la graduatoria generale di merito, alla stregua di quanto disposto dall'articolo 15 del bando di concorso;
   il ritardo nella pubblicazione sta determinando gravi pregiudizi a tutti i concorrenti che hanno superato le prove concorsuali ed aspirano ad un'utile collocazione in graduatoria, dopo aver profuso considerevoli energie in termini organizzativi, professionali e di studio;
   dovrebbe risultare anche d'interesse pubblico una celere conclusione dell’iter procedimentale, così da consentire la tempestiva copertura dei posti di dirigente scolastico vacanti e disponibili –:
   quali siano le iniziative che si intende mettere in campo per tutelare da un lato le legittime aspettative dei candidati idonei, e dall'altro l'interesse pubblico alla conclusione del concorso. (4-04784)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'ufficio scolastico regionale per il Lazio avrebbe disposto, per la sola provincia di Roma, la soppressione di quattro ore a ciascuna classe di tempo pieno della scuola primaria, contrariamente a quanto previsto dal regolamento in vigore per la determinazione degli organici, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 89 del 2009 che, all'articolo 4 comma 7, recita: «Le classi a tempo pieno sono attivate, a richiesta delle famiglie, sulla base di specifico progetto formativo integrato e delle disponibilità di organico assegnate all'istituto, nonché in presenza delle necessarie strutture e servizi. Per la determinazione dell'organico di dette classi è confermata l'assegnazione di due docenti per classe, eventualmente coadiuvati da insegnanti di religione cattolica e di inglese in possesso dei relativi titoli o requisiti. Le maggiori disponibilità di orario derivanti dalla presenza di due docenti per classe, rispetto alle quaranta ore del modello di tempo pieno, rientrano nell'organico di Istituto»;
   le citate maggiori disponibilità di orario ammontano a quattro ore per ciascuna classe di tempo pieno, in quanto l'orario di cattedra di un docente di primaria è di ventidue ore, per cui due docenti hanno quarantaquattro ore, mentre la classe di tempo pieno funziona a quaranta ore;
   anche la circolare ministeriale n. 34 del 1o aprile 2014 sulla determinazione degli organici per il 2014/15, nel paragrafo dedicato alla «scuola primaria» ribadisce che «Nulla è innovato per quanto riguarda il tempo pieno. Restano, pertanto, confermati l'orario di 40 ore settimanali per classe, comprensive del tempo dedicato alla mensa, l'assegnazione di due docenti per classe e l'obbligo dei rientri pomeridiani. Le quattro ore in più rispetto alle 40 settimanali per classe (44 ore di docenza a fronte delle 40 di lezioni e di attività), comunque disponibili nell'organico di istituto, potranno essere utilizzate per l'ampliamento del tempo pieno sulla base delle richieste delle famiglie e per la realizzazione di altre attività volte a potenziare l'offerta formativa»;
   la stessa circolare, inoltre, fornisce ai direttori regionali indicazioni circa il fatto che «Le economie derivanti dal passaggio dalle 30 alle 27 ore settimanali per il trascinamento dell'attuazione della riforma, relative alla classi quarte e quinte, sono riassegnate nell'organico della scuola primaria e vanno prioritariamente utilizzate nella stessa scuola per il mantenimento del tempo scuola funzionante; in subordine per l'ampliamento dell'offerta formativa e del tempo pieno», e che «ovviamente le risorse di organico devono essere utilizzate prioritariamente per il mantenimento dei modelli orari in atto nella scuola e assicurare a tutti gli alunni la continuità dell'orario delle lezioni seguite nell'anno precedente»;
   nella provincia di Roma, invece, hanno dato per le future classi prime, seconde e terze di tempo pieno solo quaranta ore, e non due insegnanti – e quindi 44 ore – come previsto dal citato decreto del Presidente della Repubblica;
   di conseguenza saranno impediti sia il mantenimento a trenta e a quaranta ore delle classi assegnate come tempo normale ma «ampliate» di orario proprio utilizzando queste ore residue, che la legge lascia nella disponibilità delle scuole, comprese le attuali prime e seconde già avviate con aumento di orario, sia il rispetto del modello educativo di tempo pieno con due insegnanti a classe, sia la garanzia di una continuità didattica nelle classi, in quanto si avrà un decremento di organico che creerà in molte scuole docenti in sovrannumero;
   l'interpretazione data dall'ufficio scolastico regionale per il Lazio smentisce, di fatto, l'investimento sulla scuola previsto dalle vigenti norme, e danneggia le famiglie e gli alunni attraverso la perdita del tempo scuola e del personale educativo –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero e, se del caso, quali iniziative urgenti intenda assumere al fine di ristabilire una corretta applicazione del dettato normativo nella provincia di Roma, salvaguardando i diritti degli alunni, delle loro famiglie e degli stessi insegnanti. (4-04789)


   D'UVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, che revisiona la normativa di principio in materia di diritto allo studio e valorizzazione dei collegi universitari, in attuazione degli articoli 3 e 34 della Costituzione, al fine di promuovere un sistema integrato di strumenti e servizi per favorire la più ampia partecipazione agli studi universitari da garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale, disciplina e individua i criteri per la graduazione dell'importo dei contributi universitari, nonché la disciplina degli esoneri totali e parziali della tassa di iscrizione e dai contributi universitari;
   l'articolo 9, comma 2 dello stesso decreto legislativo prevede espressamente che «le istituzioni e le università esonerano totalmente dalla tassa di iscrizione e dai contributi universitari gli studenti che presentino i requisiti di eleggibilità per il conseguimento della borsa di studio, e gli studenti con disabilità»;
   a tale previsione normativa si aggiunga quanto disposto dall'articolo 3, comma 22, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, il quale dispone che le regioni e le province autonome concedono l'esonero parziale o totale dal pagamento della tassa regionale per il diritto allo studio universitario agli studenti capaci e meritevoli privi di mezzo. Sono comunque esonerati dal pagamento gli studenti beneficiari delle borse di studio e dei prestiti d'onore, nonché gli studenti risultati idonei nelle graduatorie per l'ottenimento di tali benefici»;
   al fine di garantire l'osservanza delle disposizioni riguardanti la normativa di principio in materia di diritto allo studio, lo stesso decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, prevede, a norma dell'articolo 20, comma 1, l'istituzione presso la Direzione generale per l'università, lo studente e il diritto allo studio universitario, l'osservatorio nazionale per il diritto allo studio universitario;
   a tale istituto si affidano i compiti di monitorare «la completa attuazione del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68, anche attraverso una banca dati dei beneficiari delle borse di studio», nonché la redazione di una relazione annuale sull'attuazione del diritto allo studio a livello nazionale», la quale risulta essere, a oggi, assente;
   a oggi l'Osservatorio nazionale per il diritto allo studio universitario risulta essere ancora non istituito né presso la direzione generale per l'università, lo studente e il diritto allo studio universitario, né presso altro ufficio del Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca, risultando essere mai stato adottato il relativo decreto ministeriale necessario alla sua costituzione;
   in data 21 marzo 2012 è stata inviata una diffida ai vertici dell'università degli studi di Messina, nella quale circa 40 studenti richiedono l'immediata sospensione della richiesta di pagamento delle tasse universitarie che lo stesso ateneo avrebbe loro richiesto, nonostante questi risultassero beneficiari di borsa di studio ed esonerati dal relativo pagamento, in conformità con l'articolo 9 del citato decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68;
   secondo quanto appreso dagli studenti autori della diffida, infatti, «con un ordine di servizio non pubblicato né protocollato, trasmesso tramite posta elettronica alle segreterie, il Dirigente dei servizi di segreteria dell'Ateneo ha disposto l'immediata sospensione dei rimborsi e degli esoneri di qualsiasi tipo ed a qualunque titolo, e tra questi rientrano gli esoneri dal pagamento delle tasse universitarie disposti ai sensi del decreto legislativo n. 68 del 2012 e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 aprile 2001»;
   a seguito di tali iniziative, risultano essere numerosi gli studenti che, benché beneficiari ope legis della dispensa dal pagamento, avrebbero comunque effettuato in favore dell'Ateneo messinese il pagamento della prima rata dei contributi universitari, scaduta il 31 marzo 2014, su espressa richiesta delle segreterie, anche in considerazione della contestuale previsione di un'ulteriore sanzione, a carico degli studenti, per eventuali ritardi nel versamento delle somme richieste;
   qualora tale comportamento venisse confermato comporterebbe secondo l'interrogante una palese, grave e indebita violazione di quella che risulta essere la normativa vigente di riferimento, anche in considerazione di quanto disposto dall'articolo 6, comma 2, del Decreto del Presidente della Repubblica 25 luglio 1997, n. 306, il quale stabilisce espressamente che «gli esoneri totali e parziali dal pagamento della tassa di iscrizione e dei contributi universitari per gli studenti delle università e degli istituti non statali beneficiari di borse di studio e di prestiti d'onore, sono determinati ai sensi della normativa vigente in materia di diritto allo studio»;
   la stessa richiesta sembrerebbe configurare, inoltre, una lesione del diritto allo studio così come sancito dall'articolo 34 della Costituzione Italiana, secondo il quale «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso» –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali urgenti iniziative intenda assumere, nelle more dell'effettiva istituzione dell'Osservatorio nazionale per il diritto allo studio, per garantire in tutto il territorio nazionale e, in particolare, nell'ateneo messinese, l'uniformità e l'effettività del diritto allo studio, impedendo che interpretazioni comunque non autentiche del dettato normativo possano determinare la facoltà in capo a singoli Atenei di limitare, ovvero negare del tutto, le già esigue provvidenze in favore dei capaci e dei meritevoli, in violazione delle vigenti disposizioni in materia, nonché dello stesso dettato costituzionale. (4-04795)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MICCOLI e PILOZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il trattamento dei metalli può essere considerato in Italia un settore strategico, dato l'alto numero di aziende nazionali, di notevoli dimensioni, dedite alla trasformazione in prodotti finali o semilavorati;
   la metallurgia nel nostro paese ha subìto, più di altri Stati, la crisi mondiale sia nell'ambito dei metalli ferrosi che in quelli non ferrosi, un esempio per tutti l'ILVA;
   secondo una specifica ricerca (Area research) della banca Monte dei Paschi di Siena anche «dalla metallurgia dei non ferrosi potrebbe ripartire l'intero settore»;
   un consumo di circa «un 1 milione 300 mila tonnellate di alluminio grezzo è seconda soltanto alla Germania»;
   secondo lo studio citato v’è anche «la sofferenza dell'unico polo di produzione di alluminio primario nazionale, quello di Portovesme in Sardegna, che comprende gli stabilimenti di Eurallumina e di Alcoa»;
   nei fatti «In Italia il massimo storico nel consumo di alluminio grezzo era stato di 2 milioni e 100 mila tonnellate nel 2007: in soli sei anni calo complessivo è stato di poco meno del 40 per cento: un vero e proprio shock al quale l'industria italiana sta cercando con fatica di adattarsi» mentre il trend mondiale «ha sempre visto i consumi di alluminio crescere anche durante gli ultimi anni. Tanto che secondo gli specialisti i consumi potrebbero raggiungere nel 2017 la cifra record di 64 milioni di tonnellate»;
   nell'ambito di tale quadro s'inserisce la Sapa Profili S.r.l – nata come Raynolds Aluminium Italia, divenuta nel 1986 proprietà dell'Aiumix (Gruppo Efim), entrata poi a far parte del gruppo Alcoa nel 1997, infine ceduta alla multinazionale svedese Sapa nel 2006 – presente sul territorio della provincia di Latina, nel comune di Pontinia, sin dal 1975 è considerata, anche dall'attuale proprietà, un'eccellenza dell'industria manufatturiera nel settore dell'estrusione dei profilati in alluminio;
   il personale di tale azienda, dopo molteplici ristrutturazioni, è sceso a 136 unità. A queste si aggiungono almeno 40 interinali, varie ditte esterne che comprendono personale manutentivo, mensa e servizi di pulizia. In breve, tra azienda ed indotto le persone coinvolte sono circa 300;
   è doveroso, infine, segnalare la presenza in azienda di reparti produttivi d'eccellenza, costituiti da nuove attrezzature e macchinari all'avanguardia nel settore come quello di anodizzazione – in grado di ossidare oltre 30 tonnellate giornaliere ritenuto uno dei migliori reparti in Europa e sicuramente il migliore in Italia – quello di taglio tecnico, dalla più alta produttività all'interno del gruppo e l'officina matrici considerata una vera e propria scuola per tecnici, preziosa per il proprio know how all'interno del mondo Sap;
   malgrado quanto descritto, dunque le evidenti potenzialità della struttura, in data 5 maggio 2014, Unindustria Latina ha comunicato alla regione Lazio, agli enti locali, alle organizzazioni sindacali ed alle rappresentanze sindacali unitarie dello stabilimento, l'apertura della procedura di mobilità del personale, ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, e di voler procedere alla chiusura del sito industriale di Fossanova (Latina);
   negli ultimi anni, in Italia, più che in altri Stati d'Europa, le risorse umane, impegnate negli studi scientifici per l'utilizzo e la trasformazione delle materie prime, con seguente duraturo (anni) vantaggio economico, hanno avuto pochi finanziamenti tali da determinare la cosiddetta «fuga di cervelli»;
   l'esperienza delle maestranze (know how) diventa obsoleta in breve tempo, valutabile in mesi, e la sua durata ha un periodo di sfruttamento di gran lunga inferiore rispetto a quella derivante da brevetti industriali e simili;
   il gap tra le nostre industrie ed aziende del settore, ancorché d'eccellenza, rischia di aumentare sempre più, distanziandoci dalla tenace e aggressiva concorrenza mondiale, con possibili effetti, a medio periodo, disastrosi –:
   quali iniziative, il Ministro interrogato, intenda intraprendere per scongiurare l'ennesima chiusura di un importante settore produttivo già in grave difficoltà a causa della incessante crisi economica. (5-02765)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GREGORIO FONTANA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nei primi mesi del 2014 in Lombardia oltre 6.700 imprese, per un totale di 35 mila lavoratori, hanno chiesto di ricorrere alla cassa integrazione in deroga per continuare a fronteggiare le forti difficoltà che colpiscono il tessuto economico e l'occupazione in Lombardia;
   la legge di stabilità 2014 ha finanziato con 1,6 miliardi di euro la deroga, ma ad oggi il Governo ha ripartito alle regioni solo 400 milioni di questi, già spesi per coprire i periodi di fine 2013 –:
   come intenda procedere il Governo in merito alla ripartizione delle risorse stanziate alle regioni per la cassa integrazione dalla legge di stabilità 2014, riguardo il possibile rifinanziamento fino alla fine del 2014 della cassa in deroga;
   se il Governo, contemporaneamente al rifinanziamento della cassa in deroga, preveda anche di rifinanziare il Fondo per i contratti di solidarietà. (4-04773)


   CIPRINI, DAGA, DI BATTISTA, MASSIMILIANO BERNINI, GRANDE, CURRÒ e CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la società Sapa Spa, a seguito della fusione dei due gruppi mondiali del settore, Norsk Hydro e Sapa Group, è una azienda leader mondiale dell'alluminio nella realizzazione di estrusi in alluminio. La produzione della società comprende prodotti utilizzati nelle più diverse applicazioni sia in Italia sia all'estero come tubi, barre, barrame e sponde ma anche parti speciali per il settore automobilistico e progetti per il settore edilizia e costruzioni e in molti altri campi;
   la Sapa ha uno stabilimento in Fossanova (provincia di Latina) e contava anche di uno stabilimento in Bolzano (quest'ultimo sarebbe già stato venduto per concentrare le attività presso lo stabilimento di Feltre nella provincia di Belluno);
   dalla stampa locale (Il Messaggero.it del 5 maggio e Latinatoday.it del 6 maggio 2014) si apprende la notizia con la quale l'azienda ha comunicato «a sorpresa» – tra l'incredulità dei dipendenti – l'apertura della procedura di licenziamento collettivo per cessazione di attività con la consegna alle organizzazioni sindacali e alla rappresentanza sindacale unitaria aziendale dell'avvio del provvedimento per 136 licenziamenti;
   la vicenda ha destato stupore tra i dipendenti poiché circa dieci giorni fa la direzione aziendale aveva dato rassicurazioni alle segreterie territoriali ed alle Rsu rispetto agli ordinativi ed al proseguimento delle attività, tanto da scongiurare il ricorso alla cassa integrazione guadagni;
   le segreterie dei sindacati hanno già convocato una assemblea con i lavoratori e proclamato lo stato di agitazione;
   la crisi dello stabilimento di Fossanova della Sapa si inserisce in un tessuto sociale quale quello della provincia pontina già marcatamente colpito dalla crisi industriale e da altre crisi occupazionali con effetti pesanti sulle famiglie e i lavoratori dipendenti;
   stupisce – a parere degli interroganti – l'improvviso provvedimento di licenziamento collettivo che ha raggiunto i lavoratori senza passare attraverso un coinvolgimento aperto dei lavoratori in ordine allo stato dell'azienda e la valutazione di tutti gli strumenti previsti dal nostro ordinamento giuridico in caso di crisi aziendale, non ultimo l'eventuale adozione di contratti di solidarietà ora agevolati anche dal recente decreto-legge n. 34 del 20 marzo 2014, in corso di conversione in legge;
   rimane forte la preoccupazione tra i 136 dipendenti in merito alla propria sorte lavorativa e che la annunciata crisi si trasformi in strumento di delocalizzazione dell'attività produttiva e di riduzione della forza lavoro;
   la società Sapa conta numerosi dipendenti giovani e qualificati e ha un know-how importante la cui perdita rappresenterebbe un danno anche per l'indotto e l'intera economia del territorio;
   è necessario un intervento del Governo finalizzato alla verifica di un rilancio dell'attività dello stabilimento di Fossanova e alla predisposizione di un serio piano industriale in maniera tale da ridurre il più possibile l'impatto della crisi sul reddito dei dipendenti e tale da favorire il mantenimento della produzione presso lo stabilimento di Fossanova –:
   se i Ministri siano a conoscenza della descritta situazione;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno ed urgente istituire un tavolo interministeriale che veda protagonisti tutti i soggetti interessati al fine di predisporre un serio e condiviso piano industriale – anche sollecitando l'eventuale intervento di nuovi acquirenti che diano garanzie del mantenimento della forza lavoro occupata – volto alla verifica del rilancio dell'attività produttiva dello stabilimento di Fossanova e alla individuazione di ogni possibile strada che abbia come interesse preminente il mantenimento dei livelli occupazionali tramite l'adozione di tutti gli strumenti previsti dalla normativa vigente e che eviti l'ipotesi di una delocalizzazione della produzione dal territorio pontino. (4-04777)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, GALLINELLA, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   anche per il fermo pesca 2013 si registrano ritardi nei pagamenti dei premi previsti agli imprenditori ittici, come successe a conclusione del fermo pesca 2012;
   il fermo pesca è una misura che va mantenuta e che rappresenta un indispensabile strumento di lotta allo sfruttamento delle risorse ittiche; d'altra parte interrompe l'attività lavorativa dei pescatori rendendo, in alcuni casi, il premio l'unico mezzo di sostentamento e rappresentando quindi una risorsa fondamentale;
   la grave crisi in cui versa il comparto ittico (diminuzione della risorsa ittica disponibile con conseguente diminuzione della produttività e dei ricavi, aumento dei costi di produzione, difficoltà di accesso al credito, eccessiva pressione fiscale) aggrava ulteriormente la situazione di coloro che non hanno ricevuto il premio dovuto;
   come già sottolineato dalle associazioni di categoria vi è l'urgenza che nel più breve tempo possibile si chiudano le istruttorie necessarie per il pagamento dei premi relativi al periodo di fermo pesca a valenza biologica effettuato nell'estate ed autunno 2013; in regime di crisi molte aziende puntano sulla liquidazione del premio per provvedere al pagamento del gasolio e dei lavori di bordo eventualmente effettuati; anche in un'ottica di maggior trasparenza da parte degli enti erogatori, vi sarebbe, da parte delle imprese di pesca creditrici, l'esigenza di essere informate sull'avvio delle istruttorie, sulla chiusura delle pratiche e sui pagamenti –:
   quali siano i motivi del ritardo nei pagamenti dei premi relativi al fermo pesca 2013 e con quali tempistiche si intenda provvedere;
   se non ritenga di informare le imprese interessate dei tempi previsti di avvio delle istruttorie, della chiusura delle pratiche e dei pagamenti dei premi dovuti. (5-02768)


   GALLINELLA, GAGNARLI, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, LUPO, PARENTELA e L'ABBATE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   è evidente che negli ultimi anni l'iniziativa parlamentare ha subito un significativo ridimensionamento a fronte dell'intensificarsi dell'attività normativa del Governo nelle forme della decretazione d'urgenza e della delegazione legislativa;
   gran parte degli interventi legislativi adottati necessitano inoltre di ulteriori disposizioni per diventare pienamente operativi, disposizioni che non sempre vengono emanate nei tempi previsti;
   ancorché un numero significativo di decreti e regolamenti non abbia una scadenza imposta dal legislatore, questo non può rappresentare una motivazione sufficiente ad allungare a dismisura il varo degli atti;
   molti provvedimenti di attuazione, la cui emanazione era prevista entro un termine scaduto da tempo, non sono più necessari e spesso l'esigenza di una legge applicativa viene meno subito dopo il sopraggiungere di una nuova normativa in materia;
   in considerazione dell'elevato numero di norme attuative di disposizioni legislative ancora da emanare e posta la necessità di individuare gli atti non più necessari e quelli invece la cui adozione è estremamente urgente, sarebbe opportuno procedere ad una ricognizione dell'attività legislativa del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, al fine di razionalizzare il processo regolativo, individuare gli atti non più necessari e quelli invece «incagliati» e la cui emanazione è urgente;
   quanti e quali siano i provvedimenti attuativi di competenza del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali non ancora adottati e se non intenda procedere, e con quali strumenti di rilevazione, alla verifica degli atti la cui emanazione non risulta più necessaria, al fine di razionalizzare il sistema delle fonti e garantire agli operatori del settore primario e ai cittadini un quadro normativo certo, semplice e coerente. (5-02774)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BINETTI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in Italia, in base ai dati Istat, la prevalenza del diabete riferita all'anno 2012, stimata su tutta la popolazione è pari al 5,5 per cento, pari a circa 3,3 milioni di persone di cui oltre il 90 per cento affette da diabete di tipo 2, alle quali va aggiunta una quota stimabile di circa un milione di persone che, pur avendo la malattia, non ne sono a conoscenza; la prevalenza nelle donne in età fertile è di circa 1 per cento di cui il 39.2 per cento è in sovrappeso ed il 26.3 per cento obesa;
   la prevalenza del diabete è cresciuta dal 3,7 al 5,5 per cento, negli ultimi 12 anni, per cui è ragionevole ritenere che rispetto al 2002 ci siano oggi oltre un milione di persone in più affette da diabete;
   i dati ISTAT pubblicati nel 2010 indicano nella popolazione italiana una percentuale di sovrappeso e obesità nella popolazione con età > 18 anni rispettivamente del 36.1 per cento e 10.3 per cento, in aumento rispetto al 2001. Se si considera la sola popolazione femminile la frequenza è rispettivamente del 27.7 per cento e del 9.3 per cento di cui circa il 20 per cento in età riproduttiva; l'8.7 delle donne in sovrappeso ed il 16.7 per cento delle donne obese sono affette da diabete;
   negli ultimi anni si è osservato un significativo incremento del numero delle gravidanze complicate da diabete sia per l'incremento della frequenza del diabete tipo 2 in età riproduttiva (Diabetes Res Clin Pract 2008;80:2-7; Diabet Med 2011;28:1074-7; Diabetes Nutr Metab 2004;17:358-367), sia per l'incremento della frequenza del sovrappeso-obesità in età fertile;
   i dati epidemiologici italiani risalenti agli anni 80-90’ indicavano una frequenza di diabete gestazionale nella nostra popolazione del 6-7 per cento con notevoli differenze fra le varie casistiche (2.2 per cento-12.8 per cento) (Diabetes Nutr Metab 2004;17:358-367), non sono disponibili dati recenti, ma le stime degli ultimi anni dopo l'introduzione delle nuove linee guida ministeriali per lo screening e la diagnosi del diabete gestazionale in Italia indicano una frequenza fra il 12-15 per cento delle gravidanze (Diabet Med 2011;28:1074-7; Diabetes Care 1998;21(Suppl 2):B161-B167; Diagnosi del diabete gestazionale, pag 169-173);
   il diabete gestazionale, anche nelle sue forme lievi, se non diagnosticato e, quindi, non trattato, comporta rischi rilevanti sia per la madre (ipertensione e più frequente ricorso al parto cesareo), sia per il feto, il neonato (aumentata incidenza di macrosomia, iperbilirubinemia, ipocalcemia, policitemia, ipoglicemia) ed i figli in età adulta (sovrappeso, sindrome metabolica) (Diabetes Care 1998;21(Suppl 2):B79-B84; J Clin Endocrinol Metab 94:2464-2470,2009);
   due grandi trial randomizzati – uno australiano (ACHOIS, 2005) (N Erigi J Med 2005;352:2477-96) e l'altro statunitense, multicentrico, condotto attraverso una rete di strutture di terapia intensiva neonatale (NICHD – MFMU) (Diabetes N Erigi J Med 2009;361:1339-48) – hanno chiaramente dimostrato che il trattamento del GDM riduce l'incidenza degli esiti avversi della gravidanza, anche nelle forme con lievi alterazioni metaboliche. La diagnosi del GDM è, pertanto, rilevante per l'esito della gravidanza e rappresenta, inoltre, un'importante occasione di prevenzione della malattia diabetica nella madre (Lancet 2009,373:1773-1779);
   il follow-up del diabete gestazionale dopo il parto rappresenta un aspetto critico, in considerazione della elevata frequenza di sviluppo di diabete tipo 2, sindrome metabolica e malattie cardiovascolari dopo il parto, è oggi insufficiente in quanto la percentuale di donne che dopo il parto esegue la curva da carico di glucosio (inferiore al 30-40 per cento) (Scientific Committee of GISOGD Group.Eur J Obstet Gynecol Reprod Biol.2009 145(2): 149-53);
   il diabete pregestazionale (diabete tipo 1 e tipo 2) è gravato da una serie di complicanze materne e fetali fra le quali la più significativa sono le frequenti malformazioni. Numerosi studi hanno infatti dimostrato come il rischio di malformazioni aumenti in relazione al grado di compenso metabolico nel periodi precedenti ed immediatamente successivi al concepimento (Diabetes Diabetes Care 2003;26:2990-299; Nutr Metab & Cardiovasc Dis. 2008);
   nel diabete pregestazionale l'attenta programmazione della gravidanza, con l'ottimizzazione del controllo metabolico, permette di ridurre sensibilmente il rischio di malformazioni congenite e la morbilità materno-fetale legata al diabete come dimostrato da numerosi studi (JAMA 1991;265:731-736);
   in Italia la percentuale di gravidanze programmate risulta inferiore al 50 per cento nelle donne con diabete tipo 1 e al 40 per cento in quelle con diabete tipo 2 (Nutr Metab & Cardiovasc Dis. 2008);
   la mancata programmazione della gravidanza e la carenza di centri di riferimento dedicati (Diabet Med 2008;25:379-380) e integrati con gli ostetrici fa sì che la situazione italiana sia ancora lontana dagli standard ottimali indicati dalla dichiarazione di St Vincent: rendere l'esito della gravidanza diabetica simile a quella della gravidanza fisiologica. Ciò spiega, almeno in parte, sia l'incidenza di malformazioni 5-10 volte maggiore nella popolazione diabetica rispetto la popolazione generale, sia l'elevata incidenza di parti pretermine e cesarei;
   è ben dimostrato che l'obesità in gravidanza si associa a complicanze sia materne, quali aborto, tromboembolia, diabete gestazionale, ipertensione, preeclampsia-eclampsia, parto pretermine, taglio cesareo, emorragia post parto, infezioni post parto, sia fetali quali macrosomia, distocìa di spalla, malformazioni, mortalità neonatale (London CEMACH 2007). Ci sono, inoltre, evidenze che l'obesità è un fattore di rischio di mortalità materna. Il report del Confidential Enquiry into Maternal and Child Healths mostra che negli anni 2000-2003 il 28 per cento delle madri decedute erano obese (London CEMACH 2007);
   è, quindi, di fondamentale importanza non solo assicurare uno stretto follow up alle donne obese in gravidanza ma operare in termini di prevenzione delle complicanze legate all'obesità in gravidanza con una attività di counseling preconcezionale (SIO-ADI Standard Italiani per la cura dell'obesità. 2012-2013);
   in data 26 marzo 2014, nel corso dell'evento web hangout 5azioni (www.5azioni.it) dedicato al diabete e gravidanza, realizzato sulla piattaforma digitale Google plus e trasmesso sul portale youtube, cui hanno partecipato medici ed operanti del settore e madri che hanno dovuto gestire il diabete in gravidanza, si è svolto un forte dibattito via web da parte di community di madri (diventaremamme.it; Mammegiardinicavour.blogspot.com; Mammiferadigitale.blogspot.it; Periodofertile.it; blogmamma.it; Romagnamamma.it; Genitori channel; Mammeduepuntozero.it; ciaomamme.it; Pianetamamma.it; Dolceattesa.it.rcs.it) sulle necessità e le problematiche che una donna con diabete o con diabete gestazionale si trova ad affrontare –:
   se non ritenga opportuno intervenire con urgenza al fine di:
    a) implementare lo screening, la diagnosi ed il follow up del diabete gestazionale che dovrebbero essere gratuiti su tutto il territorio nazionale individualizzando uno specifico codice di esenzione da utilizzare;
    b) implementare il follow up postparto delle donne affette da diabete gestazionale per identificare precocemente le donne ad elevato rischio di diabete o con alterazioni della glicemia o diabetiche rendendo la prima curva da carico di glucosio postparto gratuita;
    c) promuovere da parte del Ministero della salute di campagne informative/educative sul diabete gestazionale, la sua prevenzione, le sue complicanze a breve e lungo termine;
    d) promuovere da parte del Ministero della salute di campagne informative/educative sui rischi della gravidanza nella donna obesa al fine di promuovere un corretto stile di vita prima della gravidanza per migliorare il peso prima del concepimento;
    e) promuovere percorsi nascita integrati diabetologo-ostetrico per le gravidanze complicate da diabete. (5-02773)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZETTO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dai giornali – tra cui l'articolo del 7 maggio 2014 del giornale Il Caso intitolato «È strage di api scatta l'allarme in tutta la Regione» – della moria degli apiari nella regione Friuli Venezia Giulia, in particolare, nei comuni di Villesse, Sagrado, Romans d'Isonzo, Mortegliano, Cassacco, Povoletto, Codroipo, San Daniele;
   si parla di una strage gravissima, molti alveari risultano spopolati fino al 50 per cento. A quanto è dato sapere, il fenomeno si è verificato in concomitanza con la semina del mais che ha determinato l'utilizzo di fitofarmaci particolarmente aggressivi;
   infatti, per evitare la comparsa di alcune malattie del mais sono stati studiati e messi in commercio degli insetticidi potentissimi: è sufficiente che le api in volo vengano a contatto con alcune molecole di questi insetticidi per perdere l'orientamento. Generalmente non vengono rinvenute api morte sul fondo degli alveari o sul predellino di volo perché le api, non riuscendo a far ritorno ai loro alveari, muoiono nei prati e nei campi adiacenti;
   l'Unione nazionale ha invitato gli apicoltori italiani a segnalare immediatamente gli spopolamenti di api sospetti, poiché in questi casi deve essere informata la Ass di competenza e la rete Beenet, per procedere a dei campionamenti ufficiali di api morte e morenti;
   è necessario aprire un'indagine sui fatti predetti, considerando che tale fenomeno reca un grave danno all'ambiente, al settore dell'apicoltura nonché alla salute dei cittadini considerando che sembra che vengano utilizzati dei fitofarmaci potenzialmente pericolosi –:
   se i Ministri siano al corrente dei fatti descritti in premessa;
   se e quali interventi, per quanto di loro competenza, abbiano adottato per contrastare le stragi di api che si ripetono con allarmante frequenza nel periodo della semina del mais nonché della soia;
   se e quali provvedimenti, per quanto di loro competenza, abbiano posto in essere affinché sul mercato siano ammessi fitofarmaci sicuri, quindi non dannosi per la salute e l'ambiente;
   se e quali iniziative, per quanto di loro competenza, abbiano attivato per contrastare l'eventuale utilizzo di fitofarmaci fuori legge. (4-04774)


   PALAZZOTTO e NICCHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a dieci anni dall'approvazione della legge n. 40 del 2004, non si può non confermare che a fronte di un intervento legislativo rilevante in merito a divieti e sanzioni, scarso e inadeguato è stato l'impegno per dare un effettivo sostegno alle persone con problemi di infertilità e sterilità, che ha prodotto nei fatti un abbandono delle coppie a intraprendere il percorso della procreazione medicalmente assistita, discriminazioni a seconda della regione di appartenenza e soprattutto la creazione di una modalità di erogazione delle prestazioni dal punto di vista economico caratterizzata, ad avviso degli interroganti, da poca trasparenza, opacità della condotta di molte regioni e spreco di denaro pubblico;
   nonostante la procreazione medicalmente assistita (PMA) non sia inserita nei livelli essenziali di assistenza nazionali (LEA), in realtà le prestazioni sono erogate dal servizio pubblico e privato-convenzionato;
   un dato grave che emerge rispetto alla procreazione medicalmente assistita è quello in relazione alla mobilità passiva e cioè alle somme che vengono sostenute dalle regioni i cui pazienti si rivolgono ai centri di altre regioni. I dati sulla migrazione (Ministero della salute 2013) rilevano che nel 2011 le coppie che hanno effettuato i trattamenti in centri ubicati in regioni diverse da quella di residenza sono state 11.642 rappresentano il 25 per cento del totale delle coppie che effettuano le prestazioni;
   le regioni di accoglienza sono quelle del Centro-nord che hanno un forte sistema di pubblico-convenzionato che attrae la maggior parte dei pazienti essendo le prestazioni offerte con un costo ridotto o quasi nullo. Le regioni del Sud invece sono quelle oggetto di migrazione perché è assente e ridotto il sistema pubblico ed è forte la presenza dei centri privati, come risulta dai dati del Ministero della salute relativi al 2011 (relazione del 2013);
   dagli studi fatti emerge che complessivamente la stessa prestazione costa il doppio alla regione che invia le coppie in un'altra regione rispetto al costo che dovrebbe sostenere se queste rimanessero nel proprio territorio di residenza. Infatti, ogni ciclo di fecondazione in vitro può costare dai 1.800,00 euro fino a 5.219,86 euro;
   il 28 febbraio 2014 in Sicilia è stato emanato il decreto regionale «concernente riordino e razionalizzazione dei Centri di procreazione medicalmente assistita (PMA) sul territorio della Regione siciliana» che di fatto conferma definitivamente e in tutte le sue parti il precedente decreto del 26 ottobre 2012;
   attraverso questo decreto in pratica viene eliminata qualsiasi forma di assistenza sanitaria gratuita per le coppie infertili, in tutte le strutture, pubbliche e accreditate della regione siciliana;
   vengono così disattese le aspettative di decine di migliaia di coppie infertili siciliane che speravano di vedere tutelato il loro diritto alla salute e risolto il problema dell'accesso alle cure per l'infertilità in Sicilia;
   invece con il decreto regionale del 28 febbraio 2014 non sarà più possibile avere assistenza gratuita nei pochi centri pubblici funzionanti e neppure nei centri privati che saranno accreditati;
   di conseguenza le coppie infertili siciliane dovranno continuare a migrare in altre regioni e soprattutto nei centri privati convenzionati del Nord se vorranno usufruire della procreazione medicalmente assistita. Infatti, solo in questo caso l'assessorato regionale siciliano pagherà parte delle spese, in caso contrario, qualora volessero curarsi in Sicilia, dovranno pagare di tasca propria;
   il decreto in questione inoltre conferma tutti i limiti di accesso per le coppie al contributo della regione, utilizzando criteri incomprensibili sul piano clinico e privi di ogni ragionevolezza sul piano scientifico, ad esempio sono escluse le donne con età superiore a 42 anni ed FSH> a 18 (parametro ormonale) e sono consentiti solo tre tentativi considerati anche quelli eseguiti retroattivamente negli ultimi due anni. Il decreto conferma il costo dei trattamenti imposto a carico delle coppie, pari a 3200 euro sia nelle strutture pubbliche sia in quelle accreditate e infine conferma la mancata individuazione di un DRG (rimborso) specifico per i trattamenti di riproduzione assistita, nonostante sia stato previsto nel piano sanitario regionale e indicato dallo stesso assessorato fra gli obiettivi prioritari da realizzare entro il 2013;
   questo intervento sarebbe servito a evitare la migrazione di coppie siciliane verso altre regioni che rappresenta una delle maggiori voci di mobilità sanitaria extraregionale con un impatto negativo non indifferente sui conti sanitari regionali;
   la regione siciliana quindi, a giudizio degli interroganti, incomprensibilmente, preferisce pagare circa 10 milioni di euro l'anno alle regioni del Nord piuttosto che istituire un DRG regionale come tutte le altre regioni italiane;
   si segnala inoltre che il precedente decreto regionale, quello emanato nel 2012 è già stato avversato con 5 ricorsi al TAR promossi da operatori e coppie siciliane, che hanno visto nei limiti imposti, una grave lesione del diritto alla salute. È molto probabile che la stessa cosa accadrà anche per il decreto approvato lo scorso febbraio;
   non si può non constatare che in Sicilia si preferisce lasciare migrare al Nord le coppie infertili e pagare i trattamenti come mobilità passiva piuttosto che investire le stesse risorse economiche nell'isola;
   si è di fronte ad una legislazione che non serve ad aiutare le coppie nel progetto genitoriale e non tutela il loro diritto alla salute avendo inserito oltre alle cose già descritte anche numerosi criteri di esclusione e previsto un sostegno solo per due anni e per un numero di cicli di fecondazione in vitro insufficienti per il fabbisogno regionale. Così facendo la Sicilia, secondo gli interroganti, perderà ogni anno non solo 10 milioni di euro circa, ma depaupererà il servizio pubblico, oltre che centri di eccellenza che pur esistono;
   considerando che quanti accade determina incertezze gravi e un danno economico al servizio sanitario nazionale e a quelli regionali dovrebbe essere onere del Ministero della salute e della Conferenza Stato-regioni intervenire immediatamente per trovare le opportune soluzioni –:
   se il Ministro intenda assumere iniziative per inserire la procreazione medicalmente assistita nei LEA nazionali così da dare chiarezza, appropriatezza e trasparenza al sistema con l'immediata codificazione delle prestazioni della procreazione medicalmente assistita nel suo complesso;
   se non ritenga indispensabile intervenire al fine di dare soluzione al discriminatorio e non equo sistema della mobilità sanitaria tra regioni, con particolare riferimento alla procreazione medicalmente assistita, attivandosi tra l'altro, nell'ambito delle proprie competenze, per implementare un sistema adeguato e appropriato in grado di garantire un sostegno reale per le coppie che intendono ricorrere alla procreazione medicalmente assistita. (4-04785)


   LOREFICE, GRILLO, MANTERO, CECCONI, SILVIA GIORDANO, BARONI e DI VITA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   uno dei problemi di maggiore rilevanza in materia sanitaria per l'importanza degli interessi giuridicamente lesi è quello del contagio da sangue infetto, diffuso in Italia a partire dalla fine degli anni ’70, che ha fatto registrare una massiccia diffusione dei virus dell'epatite B, C e dell'HIV in soggetti sottoposti a trasfusioni di sangue o che avevano fatto uso di farmaci emoderivati (cosiddetti salvavita) infetti;
   i notevoli giudizi promossi nei confronti del Ministero della salute hanno favorito a partire dal 2001 l'avvio di trattative tra un collegio di legali e il Ministero della salute per tentare di risolvere in via stragiudiziale il contenzioso introdotto da centinaia di emofilici per il risarcimento dei danni patiti;
   in base al decreto ministeriale 4 maggio 2012, che ha definito i moduli transattivi da applicare a tutte le categorie di soggetti individuati, sono stati ingiustificatamente esclusi dalla transazione una serie di soggetti, tra cui quelli per i quali risulti un evento trasfusionale anteriore al 24 luglio 1978;
   con interrogazione a risposta immediata in commissione n. 5-00733 del 1o agosto 2013 è stato chiesto al rappresentante del Governo se quest'ultimo non ritenesse opportuno eliminare la situazione di iniquità venutasi a creare, procedendo quindi alla modifica del richiamato decreto ministeriale. Il Sottosegretario ha risposto dicendo che il Ministero sta avviando le dovute riflessioni al fine di giungere alle più opportune e corrette determinazioni finali, e che vista la delicatezza e complessità della materia, il Governo ha necessità di un ulteriore e più proficuo tempo per una valutazione più puntuale della problematica risalente nel tempo, e per un confronto con le associazioni dei danneggiati;
   con risoluzione presentata in Commissione affari sociali il 3 ottobre 2013 s'intendeva impegnare il Governo pro tempore a recepire con apposita iniziativa normativa quanto stabilito dalla sentenza del Tar Lazio n. 7078 del 16 luglio 2013 che ha annullato la prescrizione contenuta nel comma 2 dell'articolo 5 del decreto ministeriale del 2012 che escludeva dalle transazioni coloro che avevano subito una trasfusione in epoca anteriore al luglio 1978. In tale occasione il Governo non si è espresso ritenendo opportuno attendere la decisione del Consiglio di Stato, innanzi il quale era stata appellata la sentenza del Tar Lazio n. 7078/2013;
   con sentenze n. 1501, 1502, 1503, 1504, 1505 e 1506 depositate il 28 marzo 2014 il Consiglio di Stato ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, annullando le sentenze con le quali il Tar Lazio aveva sancito la parziale illegittimità del «decreto moduli», in quanto le contestazioni sollevate dai danneggiati ricorrenti avrebbero dovute essere proposte avanti il tribunale civile e non amministrativo –:
   come il Ministro interrogato intenda procedere alla luce delle recenti pronunce del Consiglio di Stato che di fatto non sono entrate nel merito della questione, mettendo in rilievo esclusivamente il difetto di giurisdizione;
   se, nelle more di un'eventuale prosecuzione del giudizio innanzi il tribunale civile, non intenda comunque liquidare le somme dovute ai danneggiati che sono in possesso di tutti i requisiti previsti dal «decreto moduli». (4-04787)


   CAPELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   un gruppo di studiosi statunitensi della University of Texas Health Science Centre (Usa) ha sperimentato, tramite due studi, che un nuovo farmaco è in grado di curare il 90 per cento dei pazienti in 12 settimane e il 96 per cento in 24 settimane dall'infezione del virus dell'epatite C. I risultati rappresentato, per la comunità mondiale, un punto di svolta nella cura di questa patologia cronica in quanto il farmaco agisce bloccando una proteina indispensabile per la replicazione del virus;
   la Commissione europea ha già concesso l'autorizzazione per l'immissione in commercio delle compresse di sofosbuvir, in tutti i 28 Paesi dell'Unione europea dove circa nove milioni di persone hanno contratto l'HCV, che è tra le principali cause di cancro al fegato e trapianto di fegato. Il peso sociale, clinico ed economico dell'HCV è notevole, con costi sanitari direttamente correlati alla gravità della patologia. Gli attuali standard di trattamento per l'HCV prevedono fino a 48 settimane di terapia con peg-IFN/RBV, regime non adatto a determinate categorie di pazienti;
   il dato italiano, anche se non se ne parla molto è allarmante: oltre un milione e mezzo i malati, mille nuovi casi all'anno e 13 mila morti nell'arco dello stesso periodo. I virus della epatite C, inoltre non sono tutti uguali: ceppi diversi in base ai loro geni. Il genotipo 1 è quello dominante in Italia e il genotipo 1 è proprio tra quelli più sensibili ai nuovi farmaci;
   per questo la cura con il nuovo farmaco potrebbe ridare una speranza di vita a tanti malati. Ma il problema sono i costi. Il prezzo in Italia non è ancora stato contrattato dall'AIFA, ma sembra che si aggirerà intorno agli 80mila euro per un ciclo di trattamento. E quello che desta preoccupazione non è tanto il costo per il singolo paziente, quanto il numero di pazienti. Le stime ipotizzano che nel nostro Paese potrebbero aver bisogno della terapia tra le 200 e le 500mila persone, per una spesa massima di 25-30 miliardi di euro;
   il 6 maggio 2014 il Ministro della salute in visita lo stabilimento della Abbvie, azienda in predicato di ricevere le autorizzazioni per questo costosissimo prodotto ha affermato che: «Lo Stato finanziera le nuove cure ... Non possiamo accettare che queste cure siano date con criteri selettivi. Tratteremo con le aziende sul prezzo» annunciando un piano nazionale per l'eradicazione di questa malattia attraverso l'utilizzo dei nuovi farmaci;
   il problema che si deve evitare è proprio quest'ultimo cioè la somministrazione della cura con criteri selettivi che determinerebbe non solo una discriminazione tra malati ma anche la probabilità di andare all'estero per farsi curare. A tal proposito, il Ministro interrogato, a Campoverde di Aprilia, in provincia di Latina, in occasione di una visita allo stabilimento italiano della multinazionale Abbvie, azienda in corsa per ottenere le certificazioni per la produzione e la commercializzazione di questo farmaco ha affermato: «Dobbiamo far comprendere ai cittadini che stanno arrivando farmaci che salvano vita delle persone con grande impatto anche umano – ha spiegato – che però sono decisamente costosi. Ma io non posso accettare che questi medicinali, proprio perché costosi, siano dati seguendo criteri selettivi come succede in altri Paesi. Noi abbiamo una cultura che non dobbiamo perdere, che pone al centro l'uomo, e una sanità uguale per tutti. Non posso perciò accettare il fatto che i farmaci vengano dati con politiche selettive, solo ad alcuni malati. Il criterio di sussidiarietà resta fondamentale. Bisognerà saper scegliere e porterò queste scelte al consiglio dei ministri anche se – ha concluso Lorenzin – naturalmente cercheremo di trattare il più possibile sul prezzo»;
   trattativa che dovrà avvenire tra lo Stato e le aziende produttrici in quanto secondo il Ministro, sui farmaci innovativi bisogna trovare un compromesso: «Da una parte le aziende fanno scoperte, ma dall'altra gli stati non possono andare falliti, bisogna trovare un modo di convivenza che oggi vale per l'epatite c, domani per l'Alzheimer, dopodomani per il Parkinson»;
   il problema sarà il livello di quel compromesso e, di riflesso, dove si andrà a tagliare (su quale assistenza e su quali patologie) per finanziare il piano anti-epatite C. Perché è certo, lo ha ricordato anche il Ministro interrogato, per pagare a tutti una terapia che, nella migliore delle ipotesi, costerà comunque 30-40 mila euro, «da qualche parte bisognerà fare qualche sacrificio» –:
   quali iniziative concrete, al di là dell'annuncio di questi giorni, il Ministro interrogato abbia avviato al fine di rendere disponibile in tempi brevi la commercializzazione del farmaco «sofosbuvir» in Italia. (4-04788)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GREGORI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero degli affari esteri, con decreto ministeriale n. 5015 n. 164-bis, del 4 aprile 2014, ha bandito un nuovo concorso per 35 posti di segretario di legazione. Infatti, con il decreto legge n. 1, del 1o gennaio 2010, lo stesso Ministero degli affari esteri era stato autorizzato a bandire annualmente, dal 2010 al 2014, concorsi di accesso alla carriera diplomatica per un contingente annuo non superiore a 35 posti;
   nel pieno rispetto delle specificità e assoluta rilevanza della carriera diplomatica, che giustificano la piena autonomia dell'amministrazione del Ministero degli affari esteri, nell'adottare tutti i provvedimenti ritenuti idonei al soddisfacimento dei propri interessi e garanzia dell'efficacia e dell'efficienza dell'azione amministrativa e diplomatica, sembra tuttavia opportuno, anche alla luce della particolare rilevanza dei temi occupazionali, sia nell'agenda di Governo e Parlamento sia nell'opinione pubblica, che lo stesso Ministero degli affari esteri raggiunga una soluzione piena alla problematica legata allo scorrimento delle graduatorie degli idonei dei vari concorsi effettuati nel periodo 2010-2014;
   in particolare, le Commissioni lavoro di Camera e Senato, con numerosi atti di indirizzo e di sindacato ispettivo, in uno spirito di leale collaborazione tra poteri dello Stato, hanno più volte invitato le pubbliche amministrazioni, anche ad ordinamento autonomo, al pieno riconoscimento delle criticità e delle situazioni di profondo disagio derivanti dalla sussistenza di diritti non riconosciuti ai vincitori e agli idonei di pubblici concorsi;
   del resto, tutti questi elementi si sono trasformati in una precisa azione del legislatore, tanto da giustificare un intervento urgente e necessario individuato nel decreto-legge n. 101 del 2013, convertito in legge n. 125 del 2013. In particolare, la legge stabilisce: «Per le Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, l'autorizzazione all'avvio di nuove procedure concorsuali... è subordinata alla verifica... dell'assenza, nella stessa amministrazione, di idonei collocati nelle proprie graduatorie vigenti ed approvate a partire dal 1o gennaio 2007, relative alle professionalità necessarie anche secondo un criterio di equivalenza»;
   all'osservanza di tale regola il dipartimento della funzione pubblica ha richiamato tutte le amministrazioni pubbliche con la circolare n. 5 del 21 novembre 2013 nella quale sono state indicate anche le risorse finanziarie destinate all'attuazione di tale meccanismo e si precisa che «Sullo scorrimento delle graduatorie degli idonei, vigenti e approvate dal 1o gennaio 2007, c’è un vincolo, previsto dal legislatore, allo scorrimento delle stesse rispetto all'avvio di nuove procedure concorsuali»;
   pertanto, in forza di tale sopravveniente normativa l'amministrazione del Ministero degli affari esteri nel bandire il nuovo concorso sembra non potersi sottrarre all'obbligo del preliminare scorrimento, delle graduatorie vigenti – obbligo che, come ha stabilito il Tar Lazio sezione 2 con la sentenza 3 dicembre 2013 n. 10375, (è) «di applicazione, quanto ad ambito oggettivo, indistintamente a tutte le Amministrazioni, senza limitazioni di carattere soggettivo ed oggettivo»;
   anche qualora si motivi la piena legittimità dei bandi di concorso, in particolare quest'ultimo del 2014, sulla base della individuazione di una sorta di potere autorizzatorio autonomo del Ministero degli affari esteri, tutto direttamente derivante dalla forza del decreto legge n. 1 del 2010, sembra altrettanto urgente che lo stesso Ministero non ignori la volontà giuridica espressa da Governo e Parlamento di procedere – autonomamente o meno – alla verifica della presenza o meno di idonei collocati nelle proprie graduatorie e all'eventuale scorrimento delle graduatorie stesse, perché questo stabilisce il legislatore sulla base di una norma che ha almeno pari valore a quella che autorizza il Ministero degli affari esteri a bandire procedure concorsuali;
   del resto, lo stesso Ministero degli affari esteri, già in passato, prima dell'intervento del legislatore, ha utilizzato le graduatorie degli idonei, avendo, ad esempio, bandito solo a 29 posti nel 2011 per aver fatto scorrere la graduatoria del 2010;
   se, i Ministri intendano avviare iniziative, concrete, efficaci e concertate per chiarire in maniera definitiva la posizione del Ministero degli affari esteri rispetto alla normativa intervenuta a novellare la disciplina degli idonei collocati nelle proprie graduatorie vigenti;
   se s'intenda in particolare, anche in vista della scadenza dell'effetto temporale del decreto-legge n. 1 del 2010 e, quindi il venir meno dell'eventuale parere autorizzativo autonomo del Ministero degli affari esteri, dare attuazione alla circolare n. 5 del 21 novembre 2013 del dipartimento della funzione pubblica o comunque intervenire per stabilizzare in via definitiva gli idonei sinora presenti nelle proprie graduatorie di concorso;
   se s'intenda altresì, emendare il bando di concorso 2014, procedendo così all'applicazione di quanto disposto nel decreto-legge n. 101 del 2013, o comunque sospendere in autotutela il suddetto bando di concorso, sino a quando non saranno pienamente chiariti gli effetti giuridici del combinato disposto del decreto-legge n. 101 del 2013 e decreto-legge n. 1 del 2010;
   se, infine, i Ministri interrogati, intendano assicurare con atti certi e tempestivi il congelamento delle graduatorie degli idonei, così da assorbirli negli anni a seguire allo scadere degli effetti del decreto-legge n. 1 del 2010, anche in vista di un eventuale nuova iniziativa normativa che assicuri un adeguato organico di personale al corpo diplomatico per gli anni a venire, nel rispetto pieno della normativa vigente sulla presenza di idonei nelle graduatorie di concorso pubblico. (5-02772)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PRATAVIERA e ALLASIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   Superjet International spa è una joint venture italo-russa, di cui Alenia Aermacchi detiene il 51 per cento del capitale e la Sukhoi Holding il restante 49 per cento;
   Superjet International Spa occupa 300 addetti ed ha sede a Tessera, in provincia di Venezia, dove vengono svolte attività di marketing, vendita e consegna del Sukhoi Superjet 100 nei mercati europei ed extraeuropei;
   Superjet International spa provvede altresì all'addestramento dei piloti ed all'assistenza post-vendita del Sukhoi Superjet 100 in tutto il mondo;
   la medesima Superjet International spa è responsabile della progettazione e dello sviluppo delle versioni VIP, business e cargo del Sukhoi Superjet 100, parte di una famiglia di velivoli regionali realizzata dalla Sukhoi Civil Aircraft Company, SCAC, del cui capitale Alenia Aermacchi detiene il 25 per cento più un'azione;
   si cumulano quindi nella Superjet International spa di Tessara attività di commercializzazione, assistenza ai clienti e produttive, in special modo nel settore degli allestimenti interni dei velivoli, con conduzione di test e linea volo per i velivoli venduti nel mondo occidentale;
   la compagnia messicana Interjet – che ha di recente ordinato 20 aerei Sukhoi Superjet 100 (rifiniti e commercializzati nella sede di Tessera) opzionandone altri dieci – è però di fatto l'unico cliente di Superjet International spa;
   si registrano inoltre problemi nella gestione dell'attività di assistenza post-vendita, in particolare sovrapposizioni e difficoltà di rapporto con Sukhoi, che spesso finisce con lo svolgere attività teoricamente di competenza della Superjet International spa;
   si ha ragione di temere che a causa delle ristrette possibilità di espansione sui mercati occidentali le attività produttive di Superjet International spa possano cessare entro la metà del 2015, mentre la prosecuzione dell'assistenza post-vendita è quanto meno incerta;
   un'ulteriore alea è infine rappresentata dalla sfavorevole evoluzione delle relazioni politiche tra l'Unione Europea e la Federazione Russa in ragione dei fatti d'Ucraina, che hanno già portato all'adozione di sanzioni che potrebbero in futuro anche essere inasprite e comportare una compromissione delle relazioni economiche bilaterali tra il nostro Paese e la Russia –:
   se il Governo consideri ancora strategica la cooperazione economica con la Federazione Russa e quali prospettive possano essere dischiuse alle imprese del nostro Paese impegnate in joint venture con aziende russe, ed alla Superjet International spa in particolare, qualora la crisi in atto in Ucraina si inasprisse e comportasse un ulteriore degrado delle relazioni commerciali bilaterali italo-russe. (5-02771)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FANTINATI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 30 aprile 2014, il «Mercatone Uno» di via Osteria grande, a Sommacampagna, in provincia di Verona, ha abbassato definitivamente le serrande;
   il punto vendita del Villafranchese era stato aperto in pompa magna nel marzo del 1997, condividendo i capannoni e il parcheggio con una catena di supermercati;
   la struttura commerciale è stata negli anni un punto di riferimento per i paesi vicini, specialmente fin quando erano gli unici, insieme al supermercato, a rimanere aperti di domenica;
   la cessazione dell'attività avrà gravi ripercussioni sui 36 lavoratori – perlopiù donne tra i 40 e i 50 anni, già in contratto di solidarietà e che difficilmente potranno ricollocarsi –, sulle loro famiglie, con pesanti ricadute sull'intero territorio;
   per loro si ipotizza un percorso di cassa integrazione straordinaria e poi di mobilità, ma ad oggi è ancora tutto da definire;
   secondo la società, riferiscono fonti sindacali «questa sarebbe l'unica strada da seguire a fronte di un calo di fatturato 2013 pari a circa 85 milioni che si sommano alle perdite accumulate negli anni precedenti»;
   istituzioni locali e sindacati hanno lanciato un appello alla «Mercatone Business» – società di Imola che gestisce la catena commerciale – invitandola a porre in essere tutti le iniziative per salvaguardare il livello occupazionale della struttura o in alternativa attivare gli strumenti previsti dalla normativa ricorrendo agli ammortizzatori sociali –:
   se i ministri interrogati siano a conoscenza di questa ennesima chiusura e quali iniziative intendano assumere nell'ambito delle proprie competenze, affinché siano individuate soluzioni immediate per la salvaguardia dei lavoratori del «Mercatone Uno» di Sommacampagna, anche accertando se vi sia la disponibilità da parte di eventuali acquirenti ad investire nello stabilimento, ai fini del suo rilancio e del conseguente mantenimento dei livelli occupazionali. (4-04771)


   FANTINATI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Ancap Spa è una storica azienda veronese, attiva da 50 anni nella produzione di porcellana di alta qualità interamente made in Italy;
   ad inizio aprile, la proprietà ha aperto una procedura di mobilità per 19 lavoratrici dello stabilimento di Sommacampagna;
   una decisione, che, da un lato, avrà costi sociali elevatissimi per l'impossibilità di queste dipendenti di ricollocarsi sul mercato del lavoro, e dall'altro, per il personale vicino alla pensione che riceverà assegni pensionistici decurtati in media del 10 per cento grazie al «regalo» della riforma Fornero;
   fonti sindacali riferiscono che «le dipendenti ritengono insufficienti le motivazioni aziendali che spingono la direzione ad attivare lo strumento del licenziamento come unica ed inesorabile soluzione ai problemi di carattere industriale che Ancap si trova oggi ad affrontare. Mancati investimenti ed innovazioni di processo non possono che portare aziende produttrici di beni a basso valore aggiunto ad un rischio di mercato comunque inevitabile» –:
   se i ministri interrogati fossero a conoscenza della nuova vertenza che sta interessando il veronese e quali urgenti iniziative intendano adottare per salvare l'occupazione delle 19 lavoratrici, evitando, inoltre, di disperdere le professionalità consolidate. (4-04772)


   PAGLIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a San Polo di Podenzano (PC) è presente uno stabilimento della multinazionale svedese Sandvik Machining Solutions, che vi produce utensili da taglio per lavorazioni industriali, dopo averlo rilevato nel 1995 insieme al marchio Impero;
   tale stabilimento occupa 57 addetti, per un fatturato di 9 milioni di euro, ed è costantemente risultato uno fra i più produttivi fra gli 80 di cui dispone la multinazionale, come rilevato dai sistemi di analisi interna del gruppo;
   Sandvik è attualmente impegnata in un processo di ristrutturazione interna, volta a riposizionare nei Paesi cosiddetti BRICS parte della capacità produttiva e a ridurre la stessa;
   a quanto consta all'interrogante su consiglio della società di consulenza Mckinsey, cui Sandvik si sarebbe rivolta dopo una prima fase di riorganizzazione che non avrebbe dato gli esiti sperati, si dovrebbe quindi procedere alla chiusura di 12 punti produttivi, fra cui quello di San Polo di Podenzano, per cui sono già partiti i 75 giorni previsti dalla procedura di messa in mobilità;
   per le informazioni disponibili, parrebbe che la selezione degli stabilimenti eccedenti non abbia seguito esclusivamente criteri legati alla produttività, ma che molto abbiano inciso considerazioni sulla facilità di condurre a termine la decisione, determinata dal quadro normativo nazionale e dall'atteggiamento dei Governi in situazioni analoghe;
   è necessario considerare che il territorio nazionale assorbe oltre l'85 per cento della produzione dello stabilimento di San Polo, la cui chiusura comporterebbe la sostituzione di prodotto interno lordo con importazioni dalla Germania, dove si realizza una gamma analoga di prodotti;
   a rischio sono quindi 57 posti di lavoro, che divengono oltre 80 con l'indotto, ma anche la possibilità di mantenere know how industriale nel nostro Paese –:
   come il Governo intenda intervenire a tutela del diritto al lavoro e per evitare la perdita di capacità produttiva per il sistema nazionale;
   quali iniziative di competenza intenda assumere, in caso di impossibilità di trattenere in Italia Sandvik Machine Solutions, per garantire la cessione a terzi dello stabilimento e quindi la continuità produttiva;
   se non ritenga praticabile, data la netta prevalenza nazionale della clientela, favorire eventualmente l'ingresso nel capitale sociale delle aziende clienti, in caso di cessione, o degli stessi lavoratori, o dello Stato, direttamente o tramite la Cassa depositi e prestiti. (4-04783)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Palazzotto e altri n. 1-00457, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 maggio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Fratoianni.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Bellanova n. 5-01358, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 ottobre 2013, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Capone.

  L'interrogazione a risposta scritta Vignaroli n. 4-04769, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 maggio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Zolezzi, Daga, Mannino, Micillo, Frusone, Lombardi, Grande, Baroni, De Rosa, Massimiliano Bernini.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Prodani e altri n. 5-02755, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 maggio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Mucci.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Prodani e altri n. 5-02759, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 maggio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Mucci.

Cambio presentatore ad una interrogazione a risposta in Commissione e ritiro di firma.

  Interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01358, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 ottobre 2013, è da intendersi presentata dal deputato Capone, già cofirmatario della stessa e contestualmente si intende ritirata la firma della deputata Bellanova.