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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 20 marzo 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   Le Commissioni II e XII,
   premesso che:
    l'articolo 3 della Costituzione dispone che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.»;
    l'articolo 9 della Costituzione dispone che «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.»;
    l'articolo 27 della Costituzione dispone, fra l'altro, che «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.»;
    a Montelupo Fiorentino è sita L'Ambrogiana, Villa Medicea di notevole valore artistico e culturale. La Villa fluviale, la cui costruzione risale al XVI secolo, fu ulteriormente ampliata per decisione del granduca Ferdinando, che commissionò i lavori all'architetto Raffaele Pagni, collaboratore del Buontalenti. L'aspetto della villa è uno dei più maestosi tra tutte le ville medicee: quattro solide torri con una loggia su ciascuna sommità, rialzate nel Settecento, sporgono dagli angoli del corpo principale, formato da quattro grandi ali che cingono un ampio cortile centrale quadrato. Il rivestimento a intonaco bianco è tipico delle ville toscane, così come i profili, le finestre e i portali inquadrati da cornici in pietra arenaria. L'Ambrogiana fu la dimora prediletta di Cosimo III, che vi fece realizzare un complesso conventuale dedicato a San Pietro d'Alcantara e che vi raccolse alcune delle sue collezioni di dipinti, di esemplari botanici e naturalistici, facendo abbellire gli ambienti da Ferdinando Tacca. Nel 1677 fece costruire una loggia per ospitare il Gabinetto di storia naturale, dove il medico granducale Francesco Redi eseguì alcuni esperimenti. Nell'Ottocento, su iniziativa di Leopoldo II venne trasformata in una casa di cura per le malattie mentali; tale destinazione venne confermata dallo Stato unitario. Attualmente la struttura consta di due corpi: le scuderie, adibite a Ospedale Psichiatrico Giudiziario, e il complesso della Villa, che ospita gli uffici dirigenziali della struttura penitenziaria;
   il 17 gennaio 2012 la Commissione giustizia del Senato della Repubblica ha approvato all'unanimità la chiusura definitiva degli OPG entro il 31 marzo 2013. Il decreto-legge 25 marzo 2013 n. 24 ha poi prorogato tale chiusura al 1o aprile 2014. Un'ultima proroga ha fissato la chiusura al 30 aprile 2015;
   la struttura detentiva è stata recentemente ristrutturata con un costo di 7,5 milioni di euro, e alcuni lavori di ammodernamento e manutenzione sono ancora in corso. I progetti legati alle linee programmatiche per la realizzazione del circuito regionale ex articolo 115 decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000 prevedevano: «(...) la soppressione degli istituti di Grosseto e di Empoli: quest'ultimo, però solo quando sarà disponibile Montelupo Fiorentino» (nota del 29 gennaio 2013). In altra nota a firma del provveditore per la Toscana del 5 ottobre 2012 si legge che: «Al fine di razionalizzare le risorse e consentire il raggiungimento degli obiettivi descritti è opportuno apportare le seguenti modifiche (...) OPG Montelupo: (...) soprattutto destinare settanta posti alla sezione di osservazione psichiatrica, tenuto conto della particolare vocazione in materia da parte della struttura di rete terapeutica presente. In tal modo verrebbe abolita la sezione di osservazione psichiatrica della CC Firenze Sollicciano, che non costituisce un'adeguata risposta terapeutica;
   nella struttura sono attualmente impiegati medici internisti con un contratto di diciotto ore settimanali (tre al giorno), in base a quanto disposto dalla legge n. 740 del 1970. Detto rapporto di lavoro è legato all'esistenza della struttura carceraria, con il venir meno della quale si verificherebbe la contestuale risoluzione del contratto di lavoro stipulato con il Ministero della giustizia. Stessa sorte toccherebbe ai rapporti di lavoro in essere con i sei medici di guardia che coprono la vigilanza ventiquattrore su ventiquattro. Verrebbero altresì meno anche le convenzioni stipulate con la ASL 11 sui cosiddetti «sumaisti» e sul servizio di supporto psicologico operato da tre psicologi dell'ASL 11;
   ad oggi né i lavoratori, sia della polizia penitenziaria sia della parte sanitaria, né i degenti hanno indicazioni sicure sul loro futuro;
   in molti tavoli istituzionali, il presidente della giunta regionale toscana Enrico Rossi ha lasciato aperta la possibilità, suggerita dal presidente di Cdp spa Bassanini, di creare nella Villa una struttura di ricezione turistica privata;
   va tenuto conto degli articoli 19, 20 e 21 della legge 26 luglio 1975, n. 354 in materia di istruzione e lavoro negli istituti penitenziari,

impegnano il Governo:

   a porre in essere tutte le iniziative necessarie affinché siano salvaguardati i diritti di degenti e lavoratori e allo stesso tempo sia assicurato il mantenimento totalmente pubblico della proprietà e della fruizione del complesso della Villa Medicea dopo il superamento dell'OPG;
   ad avviare nella struttura un progetto pilota che preveda la detenzione nella Struttura penitenziaria delle donne attualmente detenute nella CC di Empoli e di altre carceri toscane e di altri detenuti soggetti al regime di semilibertà affinché possano essere impiegati in attività lavorative nella struttura della Villa, una volta aperta quest'ultima alla fruizione culturale e turistica;
   a porre in essere tutte le iniziative necessarie affinché la professionalità di tutti i lavoratori, acquisita con gli anni di esperienza all'interno dell'ospedale psichiatrico giudiziario, sia tutelata in ogni modo e sia messa nuovamente al servizio della collettività scongiurando la perdita dei posti di lavoro.
(7-00633) «Turco, Bechis, Artini, Baldassarre, Mucci, Prodani, Rizzetto, Rostellato, Segoni».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscrittori chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
   in data 9 febbraio 2015 il noto quotidiano La Repubblica, in un articolo dal titolo «Da Duce mia Luce all'odio antisemita la marcia su facebook dei 150 mila fascisti», sottolineava l'enorme spazio virtuale dei simboli della storia del fascismo e del nazionalsocialismo: una «rete nera» al limite dell'apologia del fascismo, al confine tra il libero pensiero sancito dalla Costituzione e alcune parole che possono diventare pericolose armi;
   dai fatti di cronaca sembrano emergere forme illecite di comunicazione, riconducibili all'incitamento alla discriminazione di razza e di religione, al negazionismo, all'esaltazione e riproposizione del movimento fascista;
   in Italia, il quadro più significativo in materia può così riassumersi:
    con la legge 13 ottobre 1975, n. 654, detta «Mancino», è stata effettuata la «Ratifica ed esecuzione della convenzione internazionale sull'eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale», già aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966, legge secondo la quale «è vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla, violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi», e che prevede pene per chi «partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività» o «per il solo fatto della partecipazione o dell'assistenza»;
    con il decreto legislativo n. 70 del 2003, in capo al fornitore di servizi internet chiamato «prestatore», possono emergere responsabilità limitate (articolo 17): a) ad informare senza indugio l'autorità giudiziaria o quella amministrativa, avente funzioni di vigilanza, qualora sia a conoscenza di presunte attività o informazioni illecite riguardanti un suo destinatario del servizio della società dell'informazione; b) a fornire senza indugio, a richiesta delle autorità competenti, le informazioni in suo possesso che consentano l'identificazione del destinatario dei suoi servizi con cui ha accordi di memorizzazione dei dati, al fine di individuare e prevenire attività illecite;
   in base alle sopracitate, norme, e ad ogni altra attualmente in essere, agli obblighi citati non corrisponde, e non può corrispondere, alcuna facoltà decisionale, interpretativa o discriminante del «prestatore». In pratica, alle già scarse possibilità tecniche, derivanti dall'alta frequenza dei casi e grande quantità del «materiale» (testi, video e altro) si aggiunge il fatto che non è giuridicamente ammissibile che questi soggetti (provider e servizi) identifichino o decidano cosa sia reato e cosa non lo sia;
   eventuali altre responsabilità sorgono solo in caso di reato palese come, ad esempio, trasmissione, registrazione o copia di immagini pedopornografiche: reato già contemplato dalla citata legge di conversione;
   il fenomeno internet, per lettera e natura, ha il carattere dell'internazionalità, come lo possono avere gli operatori, identificati ed identificabili come «prestatore» nel citato decreto legislativo;
   nella Costituzione (articolo 11) v’é uno specifico riferimento alla adesione ai trattati internazionali al quale si affianca il diritto «inviolabile» alla riservatezza delle comunicazioni (articolo 15) ed il diritto alla «libertà personale» (articolo 13) anche questo inviolabile, ma ogni eventuale «ispezione o perquisizione» deve essere motivata dall'autorità giudiziaria nei casi e nei modi previsti dalla legge;
   esiste una norma internazionale specifica e recepibile in materia, il «Protocollo addizionale alla Convenzione di Budapest (STCE n. 189), indirizzato all'identificazione ed incriminazione di atti di «natura razzista e xenofobica commessi a mezzo di sistemi informatici» e aperto alla firma degli Stati di cui al Trattato STE 185, ovvero alla Convenzione sulla criminalità informatica, già entrata in vigore;
   tale norma:
    a) ha il fine di «fornire risposte giuridiche adeguate» alla propaganda di carattere razzista e xenofoba ed ai reati commessi attraverso sistemi informatici;
    b) definisce come materiale scritto «qualsiasi immagine o qualsiasi altra rappresentazione di idee o teorie, che sostiene, promuove o incita all'odio, alla discriminazione o alla violenza, contro qualsiasi individuo o gruppo di individui, in base a razza, colore, la discendenza o l'origine nazionale o etnica, così come la religione, se usati come pretesto per uno qualsiasi di questi fattori»;
    c) impegna gli Stati sottoscrittori ad adottare «le misure legislative e di altra natura eventualmente necessarie per stabilire reati penali secondo il proprio diritto interno, quando sono commessi intenzionalmente e senza diritto, i seguenti comportamenti: distribuire, o altrimenti rendere disponibile, materiale razzista e xenofobo al pubblico attraverso un sistema informatico» (articolo 3);
   il menzionato protocollo, entrato in vigore nel 2006, è stato firmato il 9 novembre 2011 dal rappresentante permanente d'Italia presso il Consiglio d'Europa (ambasciatore Sergio Busetto) ed ha proprio lo scopo di estendere la portata della convenzione sulla criminalità informatica, rendendo penalmente rilevanti gli atti di propaganda razzista o xenofoba, compiuti mediante il ricorso ai mezzi informatici ed il merito di favorire l'armonizzazione delle legislazioni nazionali e la cooperazione internazionale in materia;
   v’è anche una proposta di risoluzione del Parlamento europeo 2013/2543(RSP) sul potenziamento della lotta al razzismo, alla xenofobia, all'antisemitismo, all'antiziganismo, all'omofobia, alla transfobia e a tutte le altre forme di reati di odio e di incitazione all'odio –:
   quali siano le intenzioni e le iniziative in itinere intraprese dal Governo in merito: alla ratifica ed entrata in vigore del protocollo aggiuntivo; ad eventuali ulteriori norme per il coinvolgimento e la vigore del «prestatore», finalizzate ad un efficace contrasto alla diffusione, tramite internet, ed esaltazione di razzismo, xenofobia, antisemitismo e discriminazione religiosa e alle minacce ed offese alla dignità di persone fisiche e giuridiche.
(2-00905) «Miccoli, Roberta Agostini, Albanella, Amoddio, Baruffi, Bonaccorsi, Campana, Capozzolo, Carella, Carloni, Carocci, Carra, Cenni, Coccia, Di Salvo, Fabbri, Ferro, Fiano, Cinzia Maria Fontana, Ghizzoni, Giacobbe, Ginoble, Gnecchi, Guerra, Iacono, Incerti, Lacquaniti, Maestri, Magorno, Manzi, Marroni, Martelli, Marzano, Melilli, Mognato, Montroni, Morani, Pagani, Romanini, Sani, Sgambato, Tidei, Tullo, Verini, Zampa, Zan».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, LOMBARDI, CHIMIENTI, PESCO, ALBERTI, CASO, BUSTO, VILLAROSA, MASSIMILIANO BERNINI e L'ABBATE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, istituita ai sensi dell'articolo 1, comma 2, della legge 6 febbraio 2009, n. 6, ha approvata all'unanimità, nella seduta del 12 dicembre 2012, la relazione territoriale sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti nella regione Lombardia;
   nella suddetta relazione era trattato anche il caso della discarica abusiva sita in via Molinara a Desio, Comune della provincia di Monza e Brianza, a livello locale più conosciuta come la «cava della ’ndrangheta»;
   nell'ambito dell'operazione «Star Wars» coordinata dalla squadra della Polizia provinciale di Milano contro la criminalità organizzata al nord e portata a termine nel 2008, è emerso che a Desio, nei primi mesi dello stesso anno, alcuni soggetti titolari di una ditta che si occupava di demolizioni, avevano posto in essere un traffico di rifiuti di svariato genere;
   l'indagine coordinata dalla procura della Repubblica di Monza, ha consentito di porre sotto sequestro tre aree site rispettivamente in Desio, Seregno e Briosco, per complessivi 65 mila metri quadri equivalenti a dieci campi di calcio. Di queste, l'area più importante è stata quella sequestrata in via Molinara a Desio, della grandezza di qualche migliaio di metri quadri, utilizzata dall'organizzazione criminale come discarica abusiva in quanto oggetto del conferimento di rifiuti di vario genere, come inerti, materiali provenienti da demolizione di manufatti, gomme di auto e camion e rifiuti pericolosi corrispondenti a residui plastici derivanti da lavorazioni industriali contenenti idrocarburi e terre contaminate da piombo e cromo di probabile derivazione dalla demolizione di siti industriali dedicati ad attività galvaniche e conciarie, per un totale stimato di 178 mila metri cubi. Dalle indagini svolte è emerso che gli scarti della lavorazione della plastica venivano tritati e miscelati con materiali edili e interrati in un fondo di proprietà di privati, posto a fianco dell'area di pertinenza degli imputati;
   l'attività di stoccaggio dei rifiuti pericolosi veniva effettuata tramite rimozione ed asportazione del terreno con la creazione di una profonda voragine, nella quale i malavitosi depositavano i rifiuti fino al completo riempimento della stessa. Nel dettaglio, gli associati criminali effettuavano scavi paragonabili per dimensioni a quelli della costruzione della metropolitana milanese, a volte comprando o affittando terreni da adibire a discarica, altre volte rubando la «terra mista di qualità pregiata» per uso edilizio, direttamente dai terreni dei proprietari che non aveva venduto o affittato ai malavitosi, per il controvalore di svariate migliaia di euro. Il vuoto creato, veniva riempito con i rifiuti sopracitati;
   l'ingegner Giuseppe Farina, responsabile della perizia sulla bonifica del comune di Desio, interpellato nell'audizione svolta in data 8 febbraio 2011, ha dichiarato che le operazioni di scavo duravano almeno da due anni. Tali affermazioni si conciliano perfettamente con le dimensioni degli scavi effettuati dall'organizzazione criminosa, posto che gli scavi di via Molinara a Desio sono stati operati in due siti distinti e hanno avuto, per il primo scavo, una dimensione di 90 mila metri cubi (ma potrebbero essere una volta e mezzo in più) e, il secondo, la dimensione di 9 mila metri cubi, solo in quanto l'attività di scavo è stata bloccata dall'intervento degli inquirenti;
   sulla base delle indagini condotte da un geologo incaricato dal tribunale di Monza, è emerso che tutta l'area era stata scavata a una profondità minima di sei metri per una precisa ragione di carattere geologico, dato che a Desio, a causa della conformazione degli strati orizzontali esistenti, a tale profondità comincia quello che tecnicamente viene chiamato «ceppo», ossia una roccia semidura oltre la quale scavare diventa difficile. Nonostante tali difficoltà, in alcuni punti sono state comunque scavate buche di ben dodici metri di profondità, allo scopo di occultare materiali pericolosi e impedirne o rendere comunque più difficoltoso il loro ritrovamento;
   in data 3 gennaio 2015, sul quotidiano online «Il Cittadino mb», veniva pubblicata la notizia che, a distanza di 6 anni dalla scoperta della discarica abusiva gestita dalla ’ndrangheta, nulla è cambiato e la necessaria bonifica non è ancora stata avviata. Gli esperti a cui è stato affidato l'incarico di effettuare una perizia per la stessa, stimano che questa possa arrivare a costare fino a 5 milioni di euro spettanti all'amministrazione comunale che, da tempo, si è costituita parte civile al processo. I costi per la «caratterizzazione», operazione consistente nell'analisi dei terreni e del tipo di rifiuti sotterrati, ammonterebbe, invece, a circa 150 mila euro;
   uno dei rischi più temuti, è che il percolato dei rifiuti pericolosi sia già arrivato alla prima falda acquifera posta a 30 metri dal livello del terreno e anche a quella potabile posta più in profondità. A tal proposito, è necessario agire con rapidità per risolvere anche quest'altro importante problema, come avevano ribadito anche i membri della Commissione parlamentare antimafia in visita alla stessa discarica nel 2012 –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopracitati e non ritenga, per quanto nelle sue competenze, di poter promuovere accurate ispezioni coordinate dal Comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente, nella sopracitata discarica abusiva sita in via Molinara a Desio, al fine di stabilire quali siano, ad oggi, i livelli di inquinamento e quale sia il livello di contaminazione delle falde acquifere sottostanti la stessa e di adottare, nell'eventualità siano rilevati elevati livelli di inquinamento, le adeguate precauzioni al riguardo;
   se, sempre a seguito del rilevamento di elevati livelli di inquinamento del sito, non si intenda valutare se sussistano i presupposti per inserire l'area tra i SIN (siti di interesse nazionale). (5-05092)


   ARTINI, SEGONI e BALDASSARRE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   fra le località di Fibbiana di Montelupo Fiorentino e il comune di Capraia e Limite, nel territorio della città metropolitana di Firenze, è prevista la realizzazione di un ponte. Tale opera ha vissuto un iter lungo e frastagliato, durante il quale spesso l'idea è stata vicina all'abbandono a causa della mancanza di risorse, che sarebbero dovute essere investite dai comuni di Empoli, Vinci, Montelupo Fiorentino, Capraia e Limite e dalla provincia di Firenze;
   in particolare, dell'opera si parla già dalla fine degli anni ’50 del secolo scorso. Il progetto ha assunto una certa concretezza tra la fine degli anni degli anni ’90 e l'inizio del nuovo millennio; nel 2007 i comuni interessati e la provincia di Firenze hanno firmato un protocollo di intesa col quale veniva lanciato un concorso di idee a livello europeo per la progettazione dell'opera, vinto dal gruppo ingegner Bertelletti, costato 400.000 euro;
   nel 2012 la provincia annuncia che i fondi per l'opera mancano, sia a causa dei tagli imposti dal governo Monti sia per l'incertezza sulla sussistenza futura dell'ente provinciale;
   nel 2015, infine, il Viceministro Nencini annuncia che i costi dell'opera, stimati in 15 milioni, saranno interamente coperti da ANAS e da fondi del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, grazie all'impegno del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, onorevole Luca Lotti, originario proprio di Montelupo Fiorentino;
   manca al progetto uno studio recente sui flussi del traffico in grado di giustificare adeguatamente l'opera e il relativo stanziamento di risorse. In particolare non si conosce l'entità del traffico veicolare pesante, notevolmente mutato data la forte depressione economica che ha colpito le zone industriali del comune di Capraia e Limite;
   in un periodo di forte crisi della congiuntura economica e del conseguente taglio di risorse, appare prioritario investire anche sulle infrastrutture, primarie e secondarie, già esistenti che nel tempo hanno dimostrato di avere un ruolo importante nella gestione del traffico della zona interessata. In particolare, si segnala l'esigenza di porre in sicurezza e raddoppiare il ponte a una corsia esistente fra il comune di Montelupo Fiorentino in località Camaioni e il comune di Carmignano, nonché della strada provinciale 109 che collega Limite a Capraia –:
   da quali voci o capitoli del bilancio del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti siano stati ricavate le risorse necessarie per finanziare il nuovo ponte fra Montelupo Fiorentino, Capraia e Limite;
   se le analoghe ricerche di risorse nel bilancio del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti siano state compiute anche per la realizzazione di altre opere, e in base a quale grado di priorità siano state ordinate;
   se il Governo si sia risolto nel condurre uno studio sul traffico sui comuni di Montelupo Fiorentino, Capraia e Limite, Vinci ed Empoli, propedeuticamente alla realizzazione del nuovo ponte;
   se il Governo abbia in programma un intervento anche sul ponte a una corsia fra Montelupo Fiorentino e Carmignano e se reputi questa infrastruttura meritevole di interesse. (5-05096)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PETRENGA. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 56 del 2014 (cosiddetta legge Delrio) ha segnato, come è noto, sul piano della legislazione ordinaria, la ripresa del processo di rimodulazione delle funzioni e della struttura organizzativa delle amministrazioni provinciali (la cui genesi risale al decreto-legge n. 201 del 2011) prevedendo, in particolare, che gli organi rappresentativi di detti enti, limitati al Presidente ed al Consiglio, non siano più forniti di una legittimazione democratica diretta ma siano designati attraverso elezioni di secondo grado che vedono come titolari del diritto di elettorato attivo e passivo i sindaci ed i consiglieri comunali della circoscrizione provinciale (fatta salva la statuizione derogatoria dettata dal comma 80 dell'articolo 1 del provvedimento normativo in esame);
   il comma 79 della legge n. 56 del 2014, per quel che concerne la data di celebrazione delle elezioni provinciali secondo le nuove modalità, opera una differenziazione fra gli enti i cui organi venivano a scadenza, o risultavano già scaduti, nel 2014 e quelli, per contro, per i quali la conclusione del mandato elettivo è prevista per il 2015 e il 2016;
   nella prima ipotesi, infatti, cfr. lettera a) del comma 79, le elezioni in discorso si sono svolte tra settembre ed ottobre del 2014 (e ciò anche per effetto delle linee guida all'uopo dettate dal Ministero dell'interno, con circolare n. 32 del 2014);
   nella seconda ipotesi, per contro, cfr. lettera b) del comma 79, le elezioni debbono svolgersi entro trenta giorni dalla scadenza per fine mandato degli organi provinciali ovvero per decadenza o scioglimento anticipato degli stessi;
   la differenziazione normativamente prevista circa il momento di svolgimento, secondo le nuove modalità, delle consultazioni elettorali provinciali, appare intrinsecamente contraddittoria ed ictu oculi affetta da profili di evidente irrazionalità;
   non v’è chi non veda, infatti, come, con riferimento alla fattispecie di cui alla lettera a) del comma 79, ci si trovi di fronte ad una disposizione che non appare suscettibile di determinare aporie nell'ordinamento giuridico, poiché, de facto, essa impone lo svolgimento delle elezioni provinciali in una data ampiamente successiva a quella di celebrazione delle elezioni comunali (che ordinariamente si tengono in un arco di tempo ricompreso fra aprile e giugno);
   del tutto distonica, per contro, appare la disciplina normativamente posta in relazione alla fattispecie di cui alla lettera b) del comma 79 (riferita, si rammenti, alle province in scadenza nel 2015 e nel 2016);
   la disposizione da ultimo menzionata, per come risulta formulata, appare idonea a produrre conseguenze del tutto paradossali, e per certi versi aberranti, specie se letta in combinato disposto con la già richiamata circolare ministeriale n. 32 del 2014;
   l'atto interpretativo de quo prevede la convocazione dei comizi elettorali, ad opera del presidente in carica ovvero del commissario, entro il quarantesimo giorno antecedente la data delle votazioni (da tenersi, lo si ribadisce, entro trenta giorni dalla scadenza del mandato) nonché la definitiva individuazione del corpo elettorale al trentacinquesimo giorno antecedente la data delle votazioni;
   le elezioni amministrative 2015 si svolgeranno nel mese di maggio, in abbinamento con le elezioni regionali, tanto che la pedissequa applicazione del quadro normativo sopra delineato determinerà, come già accennato, conseguenze del tutto paradossali, poiché qualora, come si verificherà in assenza di auspicati interventi correttivi, le elezioni provinciali si svolgessero precedentemente, ovvero contemporaneamente (evenienza non espressamente preclusa) o immediatamente dopo le elezioni comunali, verrebbe messa in discussione, in modo radicale, la libertà del voto ed ulteriormente attenuata la legittimazione democratica degli organi rappresentativi delle «nuove» province (enti che concorrono tuttora, a Costituzione vigente, a formare la Repubblica, ai sensi dell'articolo 114 della Carta, e che godono, dunque, di una «protezione» ordinamentale del tutto peculiare);
   nell'evenienza sopra considerata, infatti, potrebbe accadere, da un lato, che soggetti eletti all'ufficio di consigliere provinciale debbano decadere dalla carica, o meglio essere dichiarati ineleggibili, giusta quanto disposto dal comma 78 dell'articolo 1 della legge n. 56 e, dall'altro, che i risultati elettorali siano condizionati, in maniera decisiva, dalla partecipazione alle votazioni di sindaci e consiglieri comunali successivamente non confermati, dai cittadini, nelle rispettive cariche;
   inoltre, ad oggi, risultano commissariati diversi comuni che, nel caso in cui le elezioni provinciali dovessero avere luogo nel mese di maggio, non potrebbero prendere parte al voto, in quanto privi di consiglieri comunali titolari del diritto di elettorato attivo e passivo, comportando un grave pregiudizio per la rappresentatività del voto ponderato utile per l'elezione del presidente della provincia e del consiglio provinciale;
   ove mai le previsioni dettate dal comma 79, lettera b), della legge n. 56 del 2014, dovessero trovare effettiva applicazione risulterebbe accresciuto in modo esponenziale, stante le riferite premesse, il rischio di possibili contestazioni, anche in sede giurisdizionale, circa la legittimità degli esiti elettorali (senza voler nemmeno considerare, in questa sede, l'ulteriore profilo relativo ad un presumibile dilagare di strumentali e capziose polemiche politiche) ad evidente detrimento dell'immagine e della credibilità delle istituzioni;
   le criticità in precedenza delineate, per contro, risulterebbero eliminate in radice qualora si estendesse, anche alle amministrazioni provinciali in scadenza negli anni 2015 e 2016, la disciplina dettata per quelle cessate nel 2014, prevedendo, in buona sostanza, una dissociazione istituzionale fra la data di svolgimento delle elezioni comunali e quella delle elezioni provinciali (da tenersi nei mesi di settembre e ottobre del 2015 e del 2016), con applicazione, altresì, della previsione dettata dal comma 82 della legge Delrio (permanenza in carica, a titolo gratuito, del presidente e della giunta provinciale sino all'insediamento dei nuovi organi) –:
   se i Ministri interrogati siano consapevoli delle problematiche che deriverebbero dall'attuazione della previsione dettata dal comma 79, lettera b), dell'articolo 1 della legge n. 56 del 2014 e quali iniziative intendano assumere, anche sul piano normativo, per prevenirne l'insorgenza ed assicurare il libero e democratico svolgimento delle elezioni provinciali negli anni 2015 e 2016. (4-08497)


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come riporta il settimanale Panorama in un articolo di Fausto Biloslavo, basterebbero poche migliaia di euro, con moltissime probabilità di restare impuniti, per avvelenare le reti idriche di una qualunque nostra città;
   secondo quanto stabiliscono le direttive comunitarie in materia, le reti idriche potabili nazionali non sono inserite tra gli obiettivi strategici da sorvegliare e proteggere;
   intanto, a dispetto degli annunci e delle promesse, il Governo, ad avviso dell'interrogante, non ha ancora provveduto ad emanare un serio ed articolato provvedimento per la tutela della sicurezza dei connazionali e delle Istituzioni che li rappresentano;
   a giudizio dell'interrogante, però, più che di norme penali destinate a punire l'atto terroristico o il singolo terrorista ci sarebbe la necessità di una seria, coordinata e instancabile attività di intelligence e di controllo del territorio e delle infrastrutture strategiche nazionali da parte delle forze dell'ordine italiane;
   anche le forze dell'ordine, però, sembrano essere oggetto d'intervento da parte dell'attuale Esecutivo nel senso di introdurre modalità d'identificazione del poliziotto o del carabiniere in occasioni di eventi in cui v’è la necessità di tutelare l'ordine pubblico piuttosto che migliorarne l'operatività e l'efficacia –:
   quali iniziative abbia intenzione di adottare il Governo per tutelare gli italiani in previsione dei minacciati attacchi terroristici riferiti dal portavoce del cosiddetto Stato islamico. (4-08504)


   BRAMBILLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   in un discorso pronunciato durante la cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico 2015 della Scuola superiore di polizia il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha ribadito che «dopo la fine della riforma della Pubblica amministrazione è difficile che siano ancora cinque le forze di polizia». Il giorno successivo l'intenzione di sciogliere il Corpo forestale dello Stato è stata ribadita dal Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione Marianna Madia;
   il Corpo forestale dello Stato, con 192 anni di storia, è una «polizia ambientale» dalle capacità e dalle competenze paragonabili solo a quelle dei «ranger» delle agenzie federali americane, altamente specializzata in tutela della biodiversità, monitoraggio delle foreste, lotta agli incendi boschivi, controlli agroalimentari dai produttori fino alla tavola, lotta all'inquinamento e al traffico dei rifiuti;
   la rete delle 130 riserve naturali gestite dal Corpo forestale secondo una linea unitaria (a differenza dei Parchi nazionali, che sono autonomi) si estende per 130 mila ettari e custodisce gran parte della biodiversità italiana. Il che vuol dire gran parte della biodiversità europea, visto che il nostro Paese ospita il 30 per cento di specie animali e quasi il 50 per cento di quelle vegetali presenti sul continente;
   l'organico attuale del Corpo è di 8.000 unità, cui devono aggiungersi i 1.340 operai forestali assunti a tempo indeterminato, che si occupano delle 130 riserve. Numeri esigui a fronte della vera e propria esplosione, registrata negli ultimi decenni, di fenomeni come dissesto idrogeologico, alluvioni, incendi boschivi, speculazione edilizia e consumo del suolo agricolo, bracconaggio, distruzione di ambienti naturali ed inquinamento di vaste aree del Paese (coste, fiumi, aree agricole, aree urbane e altro);
   risulta all'interrogante che il costo annuo per il funzionamento del Corpo forestale dello Stato sia di circa 30 milioni di euro, (stipendi esclusi, visto che il progettato «riassorbimento», a detta del Governo, non comporterebbe alcuna perdita di posti di lavoro), mentre la media annua delle sanzioni amministrative elevate nel quadriennio 2010-13 raggiunge i 28 milioni di euro, quasi il pareggio. Invece l'incorporazione in altre forze di polizia costerebbe subito 25 milioni di euro solo per sostituzione divise, riadattamento dei mezzi e della flotta aerea e necessaria riqualificazione del personale. La gestione delle riserve costa 5 milioni di euro l'anno, ma ne rende quasi altrettanti, ricavati dalle concessioni demaniali. Il «riassorbimento» del Corpo appare dunque a giudizio dell'interrogante economicamente insensato –:
   se il Governo abbia attentamente considerato le conseguenze di una simile scelta nella realtà del nostro Paese, dove si commettono 3-4 reati ambientali all'ora, dove eco e zoomafie sono in piena attività, dove il dissesto idrogeologico è un'emergenza nazionale;
   se, a seguito di una più matura ponderazione, il Governo non ritenga opportuno mutare orientamento, preservare l'autonomia e l'integrità del Corpo forestale dello Stato e, anzi, potenziarlo.
(4-08508)


   PESCO, ALBERTI, CASTELLI, SORIAL, SIBILIA e VILLAROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 16 marzo 2015, Il Fatto Quotidiano pubblica online un articolo dal titolo «Bankitalia, conflitti d'interessi del commissariamento preventivo Bene Banca», sottotitolando «Nel caso dell'istituto di Credito Cooperativo di Bene Vagienna non c’è stata alcuna gradualità nell'azione di via Nazionale. Come ci si è arrivati è un altro mistero: dalla documentazione interna risulta una grande confusione nelle operazioni di protocollo della procedura. E intanto gli emissari di Visco hanno proseguito le pratiche dei crediti facili anche contro il parere della Direzione crediti»;
   l'articolo dichiara «È sorprendente come a volte dall'osservazione di piccole cose possano emergere fatti di un certo rilievo. È il caso, ad esempio, della banca di Credito Cooperativo di Bene Vagienna, dove tra l'aprile 2013 e il maggio 2014 ha operato in qualità di commissario straordinario Giambattista Duso. La banca è balzata agli onori delle cronache per l'apertura di un conto milionario presso la Popolare di Vicenza che all'epoca aveva seri problemi di liquidità. Duso, nominato dalla Banca d'Italia, in quel periodo ricopriva anche la carica di amministratore delegato della Marzotto sim (società d'intermediazione legata alla Popolare di Vicenza) e a Bene Vagienna molti pensano che il commissario abbia agito in conflitto d'interessi, distogliendo dal territorio liquidità per decine di milioni di euro che avrebbe potuto essere impiegata in loco in modi ben più remunerativi per la banca e più utili per l'economia locale. Ma non basta: da allora Bene Banca ha iniziato ad operare anche con Marzotto sim, rendendo ancora più plateale il conflitto d'interessi di Duso, che in qualità di commissario era anche pubblico ufficiale.
  Nel comitato di sorveglianza nominato da Bankitalia per controllare l'operato del commissario straordinario spicca la figura del professor Giovanni Ossola, stimato professionista torinese, nonché membro del collegio sindacale di Milano Assicurazioni, cui a fine 2013 per la “gravità oggettiva delle violazioni accertate” e per la “gravità soggettiva delle condotte poste in essere”, la Consob ha comminato una sanzione da 382mila euro. Per la cronaca si tratta della sanzione più elevata mai comminata a un collegio sindacale (3,7 milioni di euro complessivi di multa ai membri dei collegi di Fondiaria Sai e Milano Assicurazioni), motivata dalle ripetute violazioni dell'articolo 149 del Testo Unico della Finanza, ossia dal non aver ottemperato con diligenza al proprio dovere di vigilanza. Di più: “Le condotte omissive del collegio sindacale – si legge nel dispositivo Consob – hanno concorso a rendere concretamente inefficaci quei presidi che l'ordinamento prevede al fine di prevenire i rischi” su operazioni con parti correlate.
  A fronte di questo scandalo, nel febbraio 2014 Bankitalia procedette a sostituire Ossola dal consiglio di sorveglianza di Banca delle Marche (organo del quale era anche presidente), ma incredibilmente non da quello di Bene Banca, dove il professore ha operato fino al termine dell'amministrazione straordinaria. Come Ossola controllasse l'opera del commissario non è dato a sapersi, ma certo è che se la banca era stata formalmente commissariata anche per il fatto che venivano erogati crediti a chi non era meritevole, questa pratica è proseguita durante il commissariamento, come ad esempio dimostra il caso di un antiquario (di cui, per inciso, Ossola era cliente), cui venne aumentato il fido nonostante il parere contrario della Direzione Crediti. Piccole cose di provincia, si dirà. Ed è vero. Solo che all'epoca a gestire la banca di provincia c'erano organi nominati dalla Banca d'Italia e dunque – al di là delle persone e della legittimità o meno dei loro specifici comportamenti, della cui supervisione è comunque responsabile l'istituto centrale – vale la pena soffermarsi a esaminare questo commissariamento, senz'altro tra i più brevi della storia bancaria italiana dato che si è risolto in poco più di 12 mesi.
  Come detto, le motivazioni dell'amministrazione straordinaria non avevano a che vedere con la solidità patrimoniale dell'istituto che, anzi, all'epoca vantava buoni fondamentali sia dal punto di vista economico sia da quello patrimoniale e non aveva alcun problema di liquidità. I problemi erano eventualmente di governance, legati ai litigi tra consiglio d'amministrazione e collegio sindacale e a “irregolarità amministrative e violazioni di norme regolanti l'attività bancaria”. In sostanza – come ha scritto il Tar del Lazio – si è trattato di un commissariamento volto a prevenire l'instaurarsi di una situazione di crisi irreversibile. Un comportamento encomiabile da parte di un organo di vigilanza, che ricorda però un po’ il modus operandi del sistema “precrimine” del film Minority Report, dove i colpevoli vengono messi in condizione di non nuocere prima ancora che il crimine venga commesso. Se Banca d'Italia dispone di tali potenzialità, perché mai le ha utilizzate solo nel caso della piccola banca di credito cooperativo di Bene Vagienna e non ad esempio per Mps, Veneto Banca e via dicendo ? MontePaschi, per dire, è una ferita aperta che è costata alla collettività parecchi miliardi di euro e di cui – obtorto collo – la collettività si troverà ad essere addirittura azionista, dovendo probabilmente il Tesoro convertire parte dei crediti in azioni il prossimo luglio.
  A sconcertare non è solo la disparità di trattamento, ma anche la protervia con la quale su una banca di piccole dimensioni si interviene senza alcuna remora né gradualità, quando in realtà gli interventi della Vigilanza dovrebbero essere caratterizzati da proporzionalità tra l'intensità dell'intervento e la gravità delle anomalie. In molti casi la Banca d'Italia ha disposto delle misure preventive, richiedendo ad esempio la riunione degli organi collegiali e proponendo l'adozione di determinate misure. In altri casi sono state adottate misure correttive, imposte attraverso provvedimenti amministrativi che obbligano le singole banche ad attenersi a determinati limiti e condotte, fino ad arrivare alle misure di carattere straordinario. La gradualità è dovuta all'ovvia necessità di non allarmare senza motivo i clienti della banca e a permettere alla banca stessa di intraprendere in modo autonomo le iniziative necessarie a correggere eventuali violazioni.
  Nel caso di Bene Banca non c’è stata alcuna gradualità e si è arrivati direttamente al commissariamento. Come ci si è arrivati è un altro mistero: ai ricorsi intentati dagli ex vertici di Bene Banca al Tar del Lazio e poi al Consiglio di Stato, la Banca d'Italia ha presentato copia della documentazione interna da cui risulta una grande confusione nelle operazioni di protocollo della procedura. Certo è che – come nel caso della Banca Popolare di Spoleto – il ministero dell'Economia non ha svolto alcuna istruttoria autonoma su Bene Banca in merito alla proposta di commissariamento avanzata dalla Banca d'Italia e il Consiglio di Stato, che proprio su questo tema ha dato ragione agli ex vertici della popolare di Spoleto, pochi giorni prima sulla stessa questione ha dato torto a quelli di Bene Vagienna. Ora però, a quasi un anno dalla fine del commissariamento, la governance sembra perfetta, come dimostrano le sinergie parentali tra l'attuale presidente Piervittorio Vietti e suo cugino, il vicepresidente del Csm, onorevole Michele Vietti, che a luglio, a spese della locale banca di credito cooperativo ha promozionato il suo ultimo libro: La governance nelle società di capitali. A dieci anni dalla riforma»;
   per giungere all'applicazione del provvedimento di commissariamento previsto dall'articolo 70 del Testo unico bancario (legge n. 85 del 1993) occorrono gravi anomalie, che furono palesi e per lungo periodo ravvisabili in banche come Monte dei Paschi di Siena senza mai però alcuna emissione di provvedimenti di commissariamento nonostante i miliardi di euro di perdite e una gestione delle erogazioni del credito quantomeno dubbia (al vaglio della magistratura, che ha già condannato alcuni di questi comportamenti);
   l'articolo 53 (Vigilanza regolamentare) del testo unico bancario, decreto legislativo n. 385 del 1993, detta in modo particolareggiato una serie di strumenti atti a controllare e interagire con gli istituti di credito, in particolar modo:
    al comma 4 si stabilisce: La Banca d'Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, disciplina condizioni e limiti per l'assunzione, da parte delle banche, di attività di rischio nei confronti di coloro che possono esercitare, direttamente o indirettamente, un'influenza sulla gestione della banca o del gruppo bancario nonché dei soggetti a essi collegati. Ove verifichi in concreto l'esistenza di situazioni di conflitto di interessi, la Banca d'Italia può stabilire condizioni e limiti specifici per l'assunzione delle attività di rischio;
    al comma 4-ter si prevede: La Banca d'Italia individua i casi in cui il mancato rispetto delle condizioni di cui al comma 4 comporta la sospensione dei diritti amministrativi connessi con la partecipazione;
    al comma 4-quater si stabilisce: La Banca d'Italia, in conformità alle deliberazioni del CICR, disciplina i conflitti d'interessi tra le banche e i soggetti indicati nel comma 4, in relazione ad altre tipologie di rapporti di natura economica;
   recenti iniziative del Governo sembrano orientate a rafforzare i poteri della Banca d'Italia, mentre gli interroganti, alla luce di quanto rappresentato, nutrono forti dubbi sulla bontà di questo orientamento, anche considerato che gli azionisti della Banca d'Italia sono a loro volta soggetti alla vigilanza della stessa;
   andrebbero al contrario valorizzate maggiormente le funzioni pubbliche del CICR, anche specificando meglio i contenuti e i limiti della cosiddetta «alta vigilanze» –:
   se il Governo stia preparando degli adeguamenti alla normativa relativa agli enti creditizi e finanziari in merito al tema di conflitto di interessi, a giudizio degli interroganti ravvisabile palesemente in questo caso, almeno in linea con provvedimenti analoghi intrapresi dall'Unione europea tramite regolamenti (direttamente applicabili in tutti gli Stati membri);
   se non ritengano di assumere iniziative volte a prevedere che prima di sciogliere un consiglio di amministrazione di un ente creditizio, si provi ad attuare le azioni messe a disposizione dal TUB e dal TUF con una gradualità quantomeno proporzionata alla dimensione dell'ente interessato e alle contestazioni mosse;
   se la sentenza del Consiglio di Stato su Banca Popolare di Spoleto non possa aprire contenziosi dispendiosi a carico del bilancio pubblico;
   se, nel rispetto dell'indipendenza della Banca d'Italia, il Governo, anche per il tramite del CICR, non intenda attivarsi per reperire il maggior numero di informazioni possibile sull'accaduto. (4-08511)


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   Elisa Gregorini, ex segretaria particolare di Mariastella Gelmini al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il 28 novembre 2014 è stata scelta da una commissione d'ateneo come segretaria del rettore dell'università di Brescia con un contratto di collaborazione coordinata e continuativa da 30 mila euro all'anno e all'inizio di marzo la Corte dei conti ha aperto un'inchiesta su questa assunzione, anche chiedendo al direttore generale dell'università di Brescia Enrico Periti una «documentata e dettagliata relazione» che dia conto anche delle «verifiche su eventuali incompatibilità all'incarico»;
   poco tempo prima era andato a vuoto un concorso per un posto analogo di «Capo di gabinetto del Rettore» dell'università di Brescia con contratto a tempo indeterminato;
   laureata in «relazioni pubbliche», Elisa Gregorini, dal 2007 e fino al 2011 sarebbe stata il braccio destro di Mariastella Gelmini, allora coordinatrice regionale lombarda di Forza Italia, poi Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca dell'ultimo Governo Berlusconi; dal 2012 e fino ai 2013 la Gregorini sarebbe stata consulente dell'Aifa, l'Agenzia italiana del farmaco, presieduta dal professor Sergio Pecorelli, che è anche il rettore dell'ateneo di Brescia;
   secondo l'ispettorato per la funzione pubblica presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, che ha chiesto chiarimenti al direttore generale dell'ateneo bresciano: «l'università di Brescia avrebbe fatto un ricorso “improprio” al contratto a tempo determinato (più oneroso rispetto a un'assunzione) senza tener conto della legge 165/2001 che vieta l'istituzione di uffici di diretta collaborazione alle dirette dipendenze dell'organo di vertice, quando non si tratti di rappresentanti politici»;
   l'ispettorato per la funzione pubblica si era già occupato dell'università di Brescia, in particolare del rettore Sergio Pecorelli, nel dicembre del 2014 quando sarebbero stati chiesti chiarimenti all'ateneo bresciano in seguito a un esposto firmato da docenti e ricercatori, sulla permanenza in carica del rettore, nonostante avesse superato i 70 anni e fosse stato collocato in pensione il 31 ottobre 2014 –:
   se il Governo sia al corrente di quanto illustrato in premessa e se non consideri opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché sia fatta chiarezza su questa assunzione, che può gettare discredito non solo sulla classe politica, ma anche sull'ambiente universitario e le sue maggiori personalità, e siano attivate delle modalità atte ad evitare che si verifichino anche nei futuro altre situazioni ambigue di questo tipo. (4-08512)


   PESCO, ALBERTI e TRIPIEDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in un lancio dell'Agenzia di stampa AdN Kronos, del 16 luglio 2014, si scopre che un funzionario della Banca d'Italia sede di Bologna, diretta da Francesco Trimarchi legato a Anna Maria Tarantola ex capo della Vigilanza ed attuale presidente Rai, direttore della sede di Bologna dal 2011, dopo essere stato direttore a Brescia, si è fatto sottrarre 3,2 milioni di euro, da un funzionario della tesoreria, tramite bonifici a favore della moglie e dei figli. Soldi dello Stato;
   articolo pubblicato il: 16 luglio 2014. Adn Kronos «La Guardia di Finanza di Modena ha concluso un'attività di indagine nei confronti di un funzionario della Tesoreria della Banca d'Italia, in servizio presso la sede di Modena e successivamente di Bologna, che per oltre un decennio, facendo ricorso a specifiche competenze e nell'esercizio delle proprie funzioni, si è appropriato indebitamente di fondi pubblici per un valore di oltre 3,27 milioni di euro. Il reato contestato al funzionario è peculato. L'indagine ha preso avvio dallo sviluppo di una segnalazione di operazione sospetta proveniente dal sistema finanziario e da un contestuale esposto presentato dalla stessa Banca d'Italia alla competente autorità giudiziaria, circa il presunto illecito comportamento assunto da un dipendente, sulla cui base sono stati disposti ulteriori approfondimenti investigativi e il contemporaneo blocco dell'operatività dei conti correnti intestati all'indagato, al fine di impedirne l'ulteriore disponibilità delle somme di denaro accreditate. Il dipendente infedele ricopriva una funzione rilevante nell'organigramma della Banca d'Italia essendo preposto al comparto di Sezione tesoreria provinciale dello Stato e detentore delle connesse deleghe e abilitazioni ad operare disponendo direttamente di fondi pubblici;
   abile il sistema di truffa messo a punto: il funzionario, perfetto conoscitore delle norme di contabilità di Stato e delle relative procedure contabili, emetteva dei falsi ordini di bonifico, cosiddetti Sop-speciali ordini di pagamento, che risultavano fittiziamente emessi dai locali uffici dell'Agenzia delle entrate e altrettanto fittiziamente muniti del visto di esecutività della Ragioneria territoriale dello Stato;
   tali ordini di pagamento avevano molteplici e diverse causali di pagamento (ad esempio pagamento sentenza definitiva commissione tributaria di Bologna o Modena, rimborsi vari e pagamento liti), ovviamente tutte di fantasia. Inoltre, risultavano emessi in favore di beneficiari realmente esistenti, in genere società con sede nella provincia di Modena o Bologna, ma ignari e sicuramente privi di possibili pretese creditorie verso l'erario; infatti, nessun beneficiario artatamente riportato sui Sop ha mai reclamato possibili crediti. L'indagato, con una ben congegnata attività di mascheramento contabile, inseriva i titoli con il beneficiario di fantasia, si faceva validare dal proprio superiore l'operazione e, nel momento di dare esecuzione alla stessa, provvedeva a sostituire l'iban di accredito, indicandovi il proprio: e così le somme entravano nelle sua disponibilità. Sono state individuate 20 operazioni, dal 2002 al 2014. All'incirca una per ogni anno. Si è passati dalle prime operazioni realizzate nel 2002 per qualche decina di migliaia di euro fino a quelle più recenti poste in essere per svariate centinaia di migliaia di euro l'una (fino a 400.000 euro). L'ultima posta in essere a febbraio di quest'anno per circa 336 mila euro. Appropriatosi delle somme distratte, queste venivano, poi, prelevate in contanti o trasferite a mezzo assegni o bonifici a favore dei familiari dell'indagato (moglie e due figli) e di soggetti terzi, per pagamenti vari. I familiari sono indagati per riciclaggio, mentre il reato contestato per il funzionario infedele è quello di peculato. Al termine delle indagini sono state sequestrate somme di denaro per oltre 480.000 euro, orologi di valore, tre autovetture e una quota di un immobile del valore di circa 80.000 euro. È stato effettuato il sequestro degli emolumenti-pensione nella misura consentita dai limiti di legge, fino a concorrenza del prodotto del reato contestato. Al momento delle perquisizioni il funzionario ha ammesso le proprie responsabilità. L'indagato è stato destituito dal servizio. Tutte le investigazioni, coordinate dalla procura di Modena, sono state svolte in stretta e costante collaborazione con i vertici della Banca d'Italia sede di Bologna»;
   al di là dei riflessi in sede penale della vicenda, appare evidente la necessità di introdurre nell'ordinamento meccanismi adeguatamente dissuasivi rispetto a tali condotte con specifico riferimento a settori sensibili come quello bancario; l'introduzione di specifiche norme a tutela dei whistleblower, l'incremento delle pene per coloro che commettano reati come quello descritto in premessa, anche con l'introduzione di aggravanti specifiche, una disciplina normativa che al di là delle sanzioni disciplinari individui delle forme di controllo obbligatorio dei parametri di valutazione qualitativa e quantitativa dello stesso potrebbero senza dubbio limitare fortemente, se non addirittura azzerare, il rischio che casi come quello descritto abbiano a ripetersi;
   non è noto se il funzionario della Banca d'Italia, sia stato licenziato o risulti ancora sospeso dal servizio, e quali provvedimenti a carico dei responsabili della sede di Bologna succedutisi in quel periodo, comprese le promozioni e progressioni di carriera, come quelle del dottor Trimarchi siano stato adottati –:
   di quali elementi disponga, nell'ambito delle sue competenze, in merito a quanto descritto in premessa;
   alla luce della gravità dei fatti esposti in premessa, se e quali iniziative di competenza, anche normative, il Governo intenda assumere al fine di evitare che fatti come quelli descritti possano ripetersi in futuro specialmente in settori sensibili come quello bancario. (4-08514)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   DAGA, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la relazione dell'Unione sulla lotta alla corruzione – 2014 stigmatizza il ritardo dell'Italia nella lotta alla corruzione e all'infiltrazione delle organizzazioni criminali, soprattutto per quanto riguarda i grandi appalti;
   nell’iter decisionale di approvazione delle opere, dei piani e dei programmi, le procedure ambientali (VIA-VAS) costituiscono un momento nevralgico e di particolare delicatezza, anche per la possibilità per il pubblico di partecipare alla decisione secondo quanto previsto dalla convenzione di Aarhus;
   per la valutazione dei progetti, degli studi ambientali e delle osservazioni pervenute da enti, associazioni e singoli cittadini, e istituita la commissione nazionale VIA-VAS, con nomina del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (articolo 8, decreto legislativo n. 152 del 2006 e articolo 12 legge n. 116 del 2014);
   la commissione esamina praticamente tutte le opere e i piani di rilevante interesse che vengono proposte dallo Stato o da privati in Italia, per un valore complessivo di diverse decine di miliardi di euro ogni anno, costituendo uno snodo delle politiche economiche e ambientali dell'intero Paese;
   la commissione per le opere lineari può decidere sui tracciati, chiedendo e/o suggerendo e/o imponendo varianti di percorso, con conseguenze sul valore degli immobili e delle proprietà;
   il piano triennale per la prevenzione della corruzione 2014-2016 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare evidenzia a pagina 28, nella parte dedicata all'analisi dei rischi di corruzione, che le procedure di VIA-VAS nazionali sono connotate da rischi in relazione: alla discrezionalità delle decisioni; alla portata economica delle scelte; alla capacità di pressione di gruppi interessati alla decisione;
   nonostante tali criticità il piano sopra richiamato non assegna valori, ad avviso degli interroganti, adeguati di rischio alle varie fasi decisionali connesse alla valutazione di impatto ambientale e alla valutazione ambientale strategica e fa riferimento, come misure da intraprendere, soprattutto alle modalità di nomina dei membri della commissione e alla sottoscrizione di auto-certificazioni relative al profilo del conflitto di interessi e allo status del singolo membro rispetto ad eventuali situazioni che possono determinare condizioni di inconferibilità dell'incarico;
   l'analisi dei curricula disponibili sul sito del Ministero dei membri uscenti e una breve analisi di fatti di cronaca che hanno coinvolto membri della commissione paiono confermare le preoccupazioni citate nel piano triennale, anche se in quest'ultimo non sono rintracciabili le informazioni che, pur essendo di facile reperibilità, sono qui riportate;
   due membri sono stati sostituiti nel 2014 dopo il loro arresto per appalti sulle bonifiche (Luigi Pelaggi, già capo della segreteria tecnica del Ministro) e per gli appalti dell'alta velocità (Gualtiero Bellomo);
   un caso ancora più eclatante riguarda il dottor Vincenzo Ruggiero. Il suo curriculum disponibile sul sito del Ministero riporta la data di nascita; il 20 agosto 1959 e la professione, commercialista. Il dottor Ruggiero risulta essere stato «componente il colleggio sindacale» (testuale nel curriculum) di varie società;
   il dottor Ruggiero, secondo il curriculum, risulta essere stato membro della commissione tra il 2005 e il 2007 e poi dal 2008 ad oggi. Nel 2008 la prefettura di Reggio Calabria, nella relazione d'accesso per la procedura di scioglimento del consiglio comunale di Gioia Tauro per infiltrazioni mafiose (httig://www.genovaweb.org) definiva Vincenzo Ruggiero, commercialista, nato il 20 agosto 1959, come individuo «fortemente sospettato di essere asservito alla cosca Piromalli-Molè-Stillitano...». A sostegno di tale valutazione la prefettura riportava una serie di informazioni sulla fedina penale del membro della commissione VIA-VAS e dei suoi parenti più prossimi, diversi dei quali accusati di reati gravissimi, tra cui associazione per delinquere;
   la stessa Commissione d'inchiesta parlamentare «anti-mafia» nella relazione sullo stato della lotta alla criminalità organizzata in Calabria, anno 2000, a pagina 151 nel paragrafo dedicato al caso del comune di Gioia Tauro (http://legislature.camera.-it/ dati/leg13/lavori/doc/xxiii/042/d060.htm), riportava con grande enfasi il provvedimento del GIP di Reggio Calabria dell'11 gennaio 1999 contro la cosca Piromalli in cui risultavano indagati per il reato di cui all'articolo 416-bis del C.P.P. un tal Vincenzo Ruggiero, nato il 20 agosto 1959, sia due suoi parenti;
   recentemente, secondo quanto riportato in un articolo di stampa dal titolo «Gioia Tauro, un nuovo pentito svela i segreti dei Molè (http://ildispaccio.it/dossier/58646-qioia-tauro-rc-un-nuovo-pentitosvela-i-segreti-dei-mole) il pentito Mesiani Mazzacuva avrebbe dichiarato al sostituto procuratore Roberto Di Palma della direzione distrettuale antimafia che «Dai Molè, Mesiani Mazzacuva sarebbe stato schiacciato. Avrebbero preteso soldi e avrebbero ingerito nelle dinamiche societarie, “consigliando” anche il commercialista Vincenzo Ruggero.» (senza «i» nell'articolo);
   il dottor Vincenzo Ruggiero risulta dal sito www.va.minamiente.it aver sottoscritto decine di pareri per progetti quali, a mero titolo di esempio, la TAV Torino Lione Nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione, parte comune in territorio italiano nel 2011; il corridoio autostradale dorsale Civitavecchia-Orte-Mestre - tratta E45-E55 Orte-Mestre; l'autostrada Salerno-Reggio Calabria – dal chilometro 139+000 al chilometro 185+000; il gasdotto SNAM Sulmona-Foligno; lo stoccaggio Gas S. Benedetto del Tronto; l'autostrada A1 Milano-Napoli – ampliamento alla quarta corsia tratto Milano Sud (Tangenziale Ovest)-Lodi; realizzazione della linea AV/AC Firenze-Bologna-Ritombamento del ramo b) della finestra Carlone;
   un altro membro, Vincenzo Sacco, che i mezzi di comunicazione riportano essere amico del politico Marcello Dell'Utri, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, risulta essere stato indagato per corruzione (http://www.ilquotidanodellabasincata.it) assieme a Dell'Utri e a Marino Massimo De Caro, cognato del Sacco e noto per la vicenda della Biblioteca dei Girolamini di Napoli, per il progetto Geogastock approvato dalla Commissione VIA stessa (http://www.va.minambiente.it/it-IT/Oggetti/MetadatoDocumento/44284) con parere DSA-2008-0030239 sottoscritto anche dal Sacco;
   un altro membro l'ingegnere Antonio Castelgrande, che, secondo quanto riportato dal quotidiano l'Unità nel 2004, risultava essere nell'elenco della Loggia P2 con tessera n. 956;
   un altro membro l'ingegnere Silvio Bosetti risulta direttore generale dello staff della Energy Lab Foundation (secondo il sito della fondazione stessa), struttura di cui sono socie la Fondazione Edison e la Fondazione AEM del Gruppo A2A9;
   l'ingegnere Bosetti risulta aver firmato il parere positivo per la centrale Edison di Pianopoli (Catanzaro) n. 1412 del 20 dicembre 2013, il parere positivo all'esclusione dalla V.I.A. n. 1431 del 31 febbraio 2014 per un progetto del gruppo A2A per la centrale di Monfalcone e, infine, il parere positivo n. 1424 del 17 gennaio 2014 per un progetto del gruppo A2A per la centrale Lamarmora;
   un altro membro, secondo quanto riportato dal settimanale L'Espresso il 27 settembre 2013 in un articolo dal titolo «Larghe intese, larghi affari» a firma di Lirio Abbate, l'ingegnere Mauro Patti, avrebbe avuto con l'altro membro della commissione VIA Gualtiero Bellomo (arrestato e sostituito, come detto, nella commissioni a seguito dell'inchiesta TAV di Firenze) «affari in comune relativi a coinvolgimenti in progetti di valutazione della stessa VIA di cui fanno parte»;
   un altro membro, il professore Antonio Grimaldi risulta essere direttore tecnico e azionista di maggioranza (http://www.oice.it) della Progin spa, una grande società di progettazione (attiva, tra l'altro, sulla TAV Torino-Lione), con un lungo elenco di lavori pubblici e grandi opere (http://www.progin.it). La Progin cura per Italferr la progettazione definitiva di un intervento di una grande opera della legge obiettivo (ferrovia RHO-Parabiago e raccordo Y) che ha ottenuto la compatibilità ambientale con parere della Commissione V.I.A. nazionale, sottoscritto anche dal professore Antonio Grimaldi, n. 1509 del 23 maggio 2014. Il professore Grimaldi risulta essere professore dal 1982 presso l'Università di Tor Vergata. Dal curriculum del professore Grimaldi risulta anche una collaborazione professionale con il gruppo Vianini per il supporto alla direzione lavori per i lavori presso la facoltà di ingegneria –:
   se il piano anti-corruzione 2014-2016 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con le sue scarne indicazioni, sia adeguato rispetto alla prevenzione della corruzione e dell'infiltrazione presso uno snodo centrale delle grandi opere e piani e programmi nazionali quale la commissione VIA-VAS;
   se siano state approfondite le notizie riportate dalla stampa circa un potenziale conflitto di interessi dell'ingegnere Mauro Patti;
   se, prima dell'esame dei progetti, sia stata verificata la posizione dell'ingegnere Antonio Grimaldi circa un potenziale conflitto di interessi;
   se sia stata verificata la posizione dell'ingegnere Bosetti rispetto al suo ruolo di direttore generale della Fondazione Energy Lab partecipata da due società che hanno ricevuto pareri favorevoli (e susseguenti provvedimenti di compatibilità ambientale), anche in relazione ad eventuali dichiarazioni circa l'insussistenza di posizioni di conflitto di interessi;
   quali misure di trasparenza intendano adottare sul normale funzionamento della commissione VIA-VAS, come, a mero titolo di esempio, la pubblicizzazione delle sedute della commissione e dell'ordine del giorno, la possibilità di fare audizioni pubbliche, l'attuazione delle norme già esistenti ma mai attuate sulle inchieste pubbliche, per le procedure di VIA (articolo 24, comma, 6 del decreto legislativo n. 152 del 2006);
   se non si ritenga di applicare, al fine di rafforzare la prevenzione del conflitto di interesse, forme di trasparenza relativamente al patrimonio e agli incarichi professionali e associativi, sia dei membri della commissione sia dei familiari più prossimi e degli eventuali partner professionali;
   se siano previste forme di verifica, anche a campione, delle dichiarazioni rilasciate circa l'inconferibilità e il conflitto di interessi nonché degli incarichi professionali dei membri nei momenti appena successivi al termine dell'incarico;
   se siano previste forme periodiche di controllo, anche con l'ausilio delle banche dati delle forze dell'ordine, per verificare i requisiti di onorabilià dei candidati e dei membri nominati e prevenire rischi di infiltrazione della criminalità organizzata. (3-01379)

Interrogazione a risposta scritta:


   BRUGNEROTTO, D'INCÀ, SPESSOTTO, BUSINAROLO e DA VILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da organi di stampa si apprende di una allarmante situazione che riguarda l'inquinamento del fiume Fratta, dovuto alla presenza di sostanze perfluoroalchiliche che vi sarebbero state sversate;
   la presenza di tali sostanze, i famigerati Pfas (che normalmente vengono prodotti per rendere impermeabili stoviglie, carta e stoffe), porrebbero ad alto rischio di inquinamento i corsi d'acqua e conseguentemente la potabilità della risorsa idrica, per tutti quei comuni, in particolare della «Bassa Padovana» e del «Basso Veneto» interessati dall'inquinamento del corso del «Fratta-Gorzone». Infatti, nel comune di Lonigo, in provincia di Vicenza starebbero per cominciare gli esami a campione previsti dal programma di biomonitoraggio voluto dalla regione Veneto e dall'Istituto superiore di sanità proprio per valutare l'incidenza dei Pfas sulla salute dei cittadini del Basso Veneto. Nello specifico sarà effettuato un prelievo di sangue a 80 cittadini delle Usl 5 e 6, precisamente nei, comuni di Brendola, Lonigo e Sarego, a pochi chilometri dai confini padovani, dove sono concentrati aziende e allevamenti agricoli che utilizzano pozzi con valori di Pfas superiori a quelli indicati dall'Istituto superiore di Sanità. Una seconda fase coinvolgerà successivamente altre 160 persone dell'Usl 5 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti;
   se e come intendano assicurare, per quanto di competenza, che siano state adottate tutte le opportune iniziative a salvaguardia del territorio, dell'ambiente e soprattutto della salute dei cittadini, al fine di scongiurare il rischio di disastro ambientale;
   con quali modalità e tempi intendano attivarsi, per il tramite della competente autorità di bacino, al fine di scongiurare il pericolo a cui è esposta la salute dei cittadini residenti nei territori suindicati. (4-08502)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Agerola, in provincia di Napoli, è presente il Castello Lauritano di Agerola (Napoli), una struttura di grande rilevanza architettonica. Posto sul ciglio di un'alta parete rocciosa (700 metri sul livello del mare) sovrasta l'intera costiera Amalfitana, a strapiombo sul vallone di Santa Croce, e permette una visuale piena del promontorio di Conca dei Marini (Convento Santa Rosa XI secolo);
   dal terrazzo del paradiso del Castello Lauritano, lo sguardo abbraccia l'intero golfo di Salerno fino ai monti Alburni, raggiunge il Cilento con punta Licosa, lasciandosi dietro il duomo di Amalfi e la torre dello Ziro, sfiorando Ravello con il parco e la torre di villa Cimbrone: si tratta senza alcun dubbio uno spettacolo unico al mondo;
   secondo quanto segnalato al deputato interrogante, da circa 15 anni, tuttavia, la proprietà di tale castello cerca invano di recuperare e valorizzare il sopracitato Castello, incontrando l'ostracismo degli amministratori locali, i quali calpestano le norme del vigente piano regolatore di Agerola;
   il piano regolatore generale del comune di Agerola prevede interventi di «restauro scientifico e riuso del Castello Lauritano e dell'annessa area di Belvedere per la realizzazione di attrezzature pararicettive e di servizio da svolgersi prevalentemente all'aperto»;
   pertanto, l'articolo 86 della normativa tecnica allegata al piano regolatore generale, per le zone A (in cui ricade il Castello Lauritano), prescrive che sia «perseguita la conservazione e il ripristino dei caratteri di articolazione volumetrica dei fabbricati esistenti»;
   sempre secondo quanto segnalato al deputato interrogante, nel programma di valorizzazione – redatto ai sensi della legge regionale n. 26 del 18 ottobre 2002 e approvato con delibera di consiglio comunale n. 25 del 29 settembre 2003 – il Castello è incluso tra gli immobili di particolare interesse storico ambientale per i quali si prevedono interventi finalizzati al mantenimento dell'integrità materiale del bene e della conservazione e protezione dei suoi valori culturali. Gli interventi di valorizzazione dovrebbero riguardare il restauro e la riqualificazione del manufatto al fine di restituire il paesaggio storico;
   nonostante sia vigente la normativa tecnica nel comune di Agerola, vi è evidente ostruzionismo attuato dall'amministrazione comunale di Agerola tramite il responsabile del servizio urbanistico il quale boicotta gli interventi di valorizzazione, danneggiando non solo i proprietari del Castello ma anche l'intero paese in quanto dovrebbe essere un polo turistico per l'intero territorio;
   sia in data 15 marzo 2011 che in data 5 marzo 2012 la soprintendenza di Napoli ai sensi rispettivamente dell'articolo 21 del decreto-legge n. 42 del 2004 e poi dell'articolo 146 del medesimo decreto-legge ha espresso parere favorevole «all'intervento di ripristino e al recupero dei volumi crollati al piano terra del Castello Lauritano»;
   parimenti, in data 27 marzo 2012, il responsabile della tutela paesaggistica rilasciava l'autorizzazione paesaggistica con protocollo n. 2453;
   in data 25 settembre 2013 il responsabile del servizio urbanistica respingeva la richiesta del rilascio del permesso a costruire con la seguente motivazione: «non è accertata, né accertabile tale preesistenza»;
   secondo quanto segnalato al deputato interrogante, ciò non risulta corrispondente alla realtà in quanto molte foto, datate e timbrate, dimostrano la preesistenza di tale portico e i resti presenti in loco evidenziano in modo indiscutibile tale preesistenza –:
   se i Ministri interrogati non siano a conoscenza di quanto illustrato in premessa e non ritengano di dover intervenire, per quanto di loro competenza e per il tramite della soprintendenza per i beni culturali di Napoli, al fine di restituire alla cittadinanza nel più breve tempo possibile un bene storico nel suo originale splendore. (4-08510)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ARTINI, DURANTI, BASILIO, RIZZO, FRUSONE, CORDA e PIRAS. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 11 della Costituzione italiana, al comma 1 recita: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali»;
   le forze armate italiane dispongono di 6 Aeromobili a Pilotaggio Remoto (APR) di tipo MQ-9A Predator B e di 6 APR MQ-1C Predator A Plus, impiegati dal 32o Stormo dell'Aeronautica militare per svolgere missioni di ricognizione, sorveglianza e acquisizione obiettivi;
   entrambi i suddetti modelli di Aeromobili a Pilotaggio Remoto sono prodotti dall'azienda statunitense General Atomics;
   nella nota aggiuntiva allo stato di previsione per la difesa per l'anno 2015, tra i programmi definiti di «pronta fattibilità, in riserva di programmazione» è indicato il «programma per l'acquisizione, con carattere di urgenza (Mission Need Urgent Requirement – MNUR), della capacità di ingaggio di precisione per la protezione ed il supporto delle forze al suolo sul sistema APR Predator B (MQ-9A)»;
   l'US Department of State, in una nota diffusa il 17 febbraio 2015, ha presentato la nuova politica adottata dagli Stati Uniti in materia di esportazione di sistemi di Aeromobili a Pilotaggio Remoto e delle relative tecnologie che prevede la possibilità di esportare in «rare occasioni» anche sistemi di Aeromobili a Pilotaggio Remoto che superano i limiti (raggio d'azione di 300 chilometri e carico bellico di 500 chilogrammi) imposti dal trattato missile tecnology control regime (MTCR);
   il velivolo MQ-9A Predator B offre un'autonomia di circa 30 ore, un raggio d'azione di oltre 1.850 chilometri ed è in grado di trasportare un carico utile superiore a 1.700 chilogrammi, di cui circa 1.500 chilogrammi di carichi esterni;
   il velivolo MQ-1C Predator A offre un'autonomia di circa 24 ore, un raggio d'azione di circa 400 chilometri ed è in grado di trasportare un carico utile di circa 480 chilogrammi, di cui oltre 220 chilogrammi di carichi esterni;
   secondo quanto riportato dal quotidiano Washington Post il 17 febbraio, l'Italia sarebbe uno dei paesi verso cui potrebbero essere vendute le componenti tecnologiche necessarie per armare gli Aeromobili a Pilotaggio Remoto di produzione statunitense;
   nel 2012 il Congresso degli Stati Uniti esaminò, senza darvi seguito, una richiesta da parte del Department of Defense relativa alla fornitura all'Italia della capacità di armare gli Aeromobili a Pilotaggio Remoto MQ-9A;
   gli MQ-9A nella variante armata «Reaper» possono trasportare e impiegare fino a 14 missili aria-superficie AGM-114 Hellfire, 2 bombe a guida laser da 250 kg GBU-12 Paveway II, 2 bombe a guida GPS da 250 kg GBU-38 JDAM (Joint Direct Attack Munitions) o un mix di tali armi;
   gli MQ-1C nella variante armata «Gray Eagle» possono trasportare e impiegare fino a 4 missili aria-superficie AGM-114 Hellfire –:
   se l'Italia abbia avanzato agli Stati Uniti la richiesta di acquistare la capacità di ingaggio di precisione per i velivoli MQ-9A Predator B e/o MQ-1C Predator A Plus in dotazione all'Aeronautica militare;
   se corrisponda a verità la notizia secondo la quale gli Stati Uniti sarebbero in procinto di concedere, o abbiano già concesso, l'autorizzazione al trasferimento di tale capacità;
   come si concili l'acquisto dello strumento MQ-9A nella variante armata «Reaper»,  con il principio di «ripudio della guerra» sancito dalla Costituzione Italiana. (5-05098)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


   FAUTTILLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con la sentenza 37/2015 della Consulta, depositata il 17 marzo, è stata dichiarata l'illegittimità della proroga del conferimento di incarichi dirigenziali assegnati senza un concorso pubblico nelle Agenzie fiscali;
   la pubblicazione della sentenza in Gazzetta Ufficiale determinerà, da quella data, la decadenza dall'incarico di tutti quei dirigenti, oggi operativi nelle agenzie delle entrate e delle dogane, nominati con la stipula di un contratto a termine e senza un concorso;
   la Corte, oltre a stabilire che «il conferimento di incarichi dirigenziali nell'ambito di un'amministrazione pubblica debba avvenire previo esperimento di un pubblico concorso, e che il concorso sia necessario anche nei casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio», ha sottolineato come anche il passaggio a una fascia funzionale superiore comporti «l'accesso a un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso»;
   pur sussistendo la possibilità di delega del potere accertativo da parte del dirigente anche a semplici funzionari, è chiaro che questa situazione potrà determinare un forte rischio di paralisi per gli uffici;
   secondo il sindacato Dirpubblica «un incalcolabile numero di atti e di circolari amministrative (interne ed esterne) rischia di essere travolto dalla nullità delle designazioni»;
   sarebbero circa 1.200 gli incarichi dirigenziali (secondo le sigle sindacali) affidati a funzionari senza concorso tra agenzia delle entrate e dogane, a fronte di 400 dirigenti di ruolo in via di esaurimento per raggiunti limiti di età –:
   se non ritenga di pubblicare sul sito delle agenzie fiscali l'elenco dei dirigenti interessati dagli effetti della sentenza al fine di garantire trasparenza e informazione ai cittadini che attendono di avere notizie anche rispetto alla completa legittimità degli atti emessi in passato da questi dirigenti. (3-01380)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DADONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 26 aprile 2013 il Ministero dell'economia e delle finanze ha emanato il decreto ministeriale «Scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e di controllo e messa in amministrazione straordinaria della Bene Banca Credito Cooperativo di Bene Vagienna – società cooperativa, in Bene Vagienna» ai sensi dell'articolo 70 del decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385, Testo unico bancario;
   a guidare la Banca nel periodo di amministrazione straordinaria, durato fino al 18 maggio 2014, fu Giambattista Duso così come indicato dal provvedimento del 2 maggio 2013 emanato dallo stesso Ministero;
   secondo le denunce dell'ex presidente di Bene Banca e da fonti giornalistiche, Duso si sarebbe trovato in palese conflitto di interessi poiché rivestiva, in concomitanza con il ruolo di amministratore straordinario, anche quello di amministratore delegato della Marzotto sim, società di intermediazione immobiliare legata alla Popolare di Vicenza. Presso questo stesso istituto di credito durante l'amministrazione straordinaria venne aperto un deposito presso cui furono dirottati diversi milioni di euro provenienti proprio dal Credito cooperativo di Bene Vagienna in concomitanza con una crisi di liquidità della stessa Popolare di Vicenza;
   secondo le ricostruzioni giornalistiche, inoltre, Giovanni Ossola, incaricato da Banca d'Italia come componente del comitato di sorveglianza sull'operato del commissario Duso, venne sanzionato dalla Consob per violazioni del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, Testo unico della finanza, conducendo i vertici di Palazzo Koch a sostituirlo da presidente di Banca delle Marche ma non dal comitato di sorveglianza di Bene Banca;
   va rilevato che recentemente il Consiglio di Stato ha avuto occasione di evidenziare come il provvedimento ministeriale di scioglimento degli organi di amministrazione e controllo degli istituti di credito implichi una valutazione discrezionale – o, meglio, di opportunità – che il Ministro è tenuto ad effettuare sulla base della proposta avanzata dall'autorità di vigilanza; pertanto tale provvedimento presuppone un'istruttoria autonoma o quanto meno una valutazione critica della proposta della Banca d'Italia –:
   se il Ministro dell'economia e delle finanze abbia svolto un'istruttoria a seguito della proposta di Banca d'Italia di sciogliere gli organi di Bene Banca e, in caso contrario, quali siano le motivazioni per la mancata istruttoria;
   di quali elementi disponga in relazione a quanto esposto in premessa e, in particolare, se non intenda acquisire, pur nel rispetto dell'autonomia della Banca d'Italia, le necessarie informazioni utili a verificare quanto riportato in merito all'amministrazione straordinaria di Bene Banca. (5-05097)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BERGAMINI e CARFAGNA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 156 del 6 luglio 2000, in attuazione dell'articolo 45, comma 1 della legge 17 maggio 1999, n. 144, ha previsto incentivi per l'autoimprenditorialità e l'autoimpiego, al fine di favorire l'ampliamento della base produttiva e occupazionale nonché lo sviluppo di una nuova imprenditorialità nelle aree economicamente svantaggiate del Paese e costituisce il principale strumento di sostegno alla realizzazione e all'avvio di piccole attività imprenditoriali da parte di disoccupati o persone in cerca di prima occupazione, perlopiù giovani e donne;
   la legge, la cui gestione è affidata a Invitalia, l'Agenzia nazionale per l'attrazione d'investimenti e lo sviluppo d'impresa spa già Sviluppo Italia, prevede la concessione di agevolazioni finanziarie (contributo a fondo perduto e mutuo a tasso agevolato) e di servizi di assistenza tecnica per tre tipologie di iniziative: lavoro autonomo, microimpresa, franchising;
   con la prima tipologia, dedicata al lavoro autonomo, l'agevolazione è rivolta a singole persone e ha l'obiettivo di aiutarle ad avviare una attività imprenditoriale purché si tratti di un investimento di ridotta entità (in forma di ditta individuale), con investimenti complessivi previsti fino a euro 25.823;
   la seconda tipologia, dedicata alla microimpresa (in forma di società), è rivolta a società di persone che intendono avviare una attività imprenditoriale di piccola dimensione nei settori della produzione di beni o di servizi, con investimenti complessivi previsti fino euro 129.114;
   la terza tipologia, dedicata al franchising (in forma di ditta individuale o di società), è da realizzare con franchisor accreditati con Invitalia, l'Agenzia nazionale per l'attrazione d'investimenti e lo sviluppo d'impresa;
   in generale, i destinatari dell'intervento sull'autoimpiego devono possedere i seguenti requisiti: maggiore età alla data di presentazione della domanda; non occupazione alla data di presentazione della domanda; residenza nell'intero territorio italiano;
   la misura è chiaramente rivolta quindi ad un'utenza che ha voglia, rimboccandosi le maniche, non solo di creare impresa ma anche di favorire un indotto sul territorio nazionale e mira a far emergere nel mondo della libera impresa la creatività dei giovani italiani in relazione alle diverse professioni che sono la base della nostra economia;
   in effetti la misura, è stata sempre rifinanziata. Da ultimo, con la legge n. 98, del 9 agosto 2013 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 194 suppl. ord. n. 63/L del 20 agosto 2013) veniva convertito il decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», nel quale era disposto il rifinanziamento del decreto legislativo n. 185 del 21 aprile 2000 «Incentivi all'autoimprenditorialità e all'autoimpiego, in attuazione dell'articolo 45, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144»;
   in ragione di tale norma Invitalia, in data 17 dicembre 2013 provvedeva ad emanare un bando per l'assegnazione delle agevolazioni previste dal decreto legislativo n. 185 del 21 aprile 2000 che regola la concessione degli incentivi all'autoimprenditorialità (Titolo I) e all'autoimpiego (Titolo II), per iniziative da realizzarsi nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia;
   tuttavia, ai sensi dell'articolo 2, comma 3, del decreto legislativo n. 123 del 1998, Invitalia, con comunicato apparso sulla Gazzetta Ufficiale 24 aprile 2013, n. 96, rendeva noto l'avvenuto esaurimento delle risorse finanziarie disponibili concernenti gli incentivi in materia di autoimprenditorialità ed autoimpiego previste rispettivamente dal titolo I e II del decreto legislativo n. 185 del 2000 nel Centro-nord del nostro Paese;
   da numerose segnalazioni pervenute sembra che le predette risorse, peraltro già insufficienti rispetto alle necessità, siano in esaurimento anche per le misure del Centro-Sud. Gli effetti sull'economia, soprattutto meridionale, saranno devastanti. Migliaia di giovani che vogliono aprire una piccola attività e crearsi la propria occupazione non avranno alcuno strumento finanziario utile;
   sollecitato da altri atti di sindacato ispettivo (si veda l'interrogazione n. 4-01070 del 1o luglio 2013), il Sottosegretario De Vincenti rispondeva che «il Ministero lavora attivamente anche su altri interventi che mirano a promuovere, attraverso le start up, lo sviluppo tecnologico e l'occupazione, in particolare giovanile, come le facilitazioni per l'accesso al credito, l'abbattimento degli oneri per l'avvio d'impresa, il sostegno per il processo di internazionalizzazione». Lo smart e start altro strumento ad oggi attivo, finanzia nuove imprese nel Mezzogiorno che puntano su innovazione, utilizzo tecnologie digitali e ricerca. Prevede due tipi di agevolazioni: smart (copertura costi di gestione), start (copertura spese per l'investimento iniziale). Ma la misura è attinente ad un settore diverso, quello delle innovazioni tecnologiche, che rappresenta meno dello 0,4 le aziende italiane;
   il decreto legislativo n. 185 del 2000 titolo II resta dunque ad oggi l'unico strumento vero per fare impresa e far nascere piccole imprese. In attuazione del citato decreto legislativo sono stati erogati nell'arco temporale 2000-2012 incentivi per complessivi circa 4 miliardi di euro che hanno consentito l'avvio di nuove iniziative imprenditoriali con conseguente creazione di un significativo numero di posti di lavoro per un totale di circa 180 mila nuovi occupati, oltre all'occupazione aggiuntiva creata dall'indotto di tali attività; in particolare, una percentuale significativa degli aspiranti beneficiari sono stati donne e giovani (rispettivamente il 44 per cento e il 51 per cento del totale);
   questo sembra ancor più paradossale se si pensa che in Italia giacciono inutilizzati, dal 2007, circa 20 miliardi di euro di fondi europei destinati allo sviluppo dell'occupazione giovanile;
   non c’è un solo comune del sud Italia da cui non risulti pervenuta almeno una domanda con effetti enormi sull'occupazione senza contare gli enormi benefici nell'indotto –:
   quali urgenti iniziative i Ministri interrogati abbiano intenzione di porre in essere al fine di prevedere il rifinanziamento delle misure in esaurimento alla fine del mese di marzo 2015, contenute nel decreto legislativo n. 185 del 2000, che i dati statistici e la realtà del Paese considerano validi strumenti d'incentivazione alle imprese e allo sviluppo occupazionale. (4-08501)


   VARGIU. —Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   al fine di corrispondere alle esigenze di razionalizzazione delle risorse disponibili e di quelle connesse all'espletamento dei compiti istituzionali delle Forze di polizia, nelle more della definizione delle procedure contrattali e negoziali di cui all'articolo 9, comma 17, del decreto-legge
78 del 2010, convertito con modificazioni dalla legge 122 del 2010 recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica», il comma 266 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» avvia le procedure per la revisione dell'accordo nazionale quadro in deroga dell'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 164 del 2002;
   il comma 267 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2015 stabilisce che la revisione di tali accordi deve tenere conto del mutato assetto funzionale, organizzativo e di servizio derivante dalle misure di contenimento della spesa pubblica previste dai provvedimenti in materia finanziaria dall'anno 2010, con particolare riferimento a quelle del parziale blocco del turn over nelle Forze di polizia e alla conseguente elevazione dell'età media del personale in servizio.
   le norme sopra richiamate intervengono significativamente sul comparto sicurezza e prevedono, a decorrere dal 1o gennaio 2015, lo sblocco dei contratti degli addetti delle Forze di polizia e degli assegni loro spettanti (passaggio di grado, anzianità di servizio, assegno funzionale a 17, 27 e 32 anni di servizi, omogeneizzazione stipendiale, eccetera) sospesi dal 2011 al 2014 secondo quanto stabilito dal decreto-legge 78 del 2010;
   tali previsioni non hanno tuttavia effetti retroattivi, pertanto i commi 266, 267 e 268 della legge di stabilità 2015 non riconoscono al personale in pensione gli arretrati degli assegni loro spettanti maturati durante il periodo ricadente tra il 1o gennaio 2011 e il 31 dicembre 2014, a differenza di quanto invece verrà riconosciuto al personale ancora in servizio a decorrere dal 1o gennaio 2015;
   tale penalizzazione – se non modificata attraverso il ricalcolo dell'assegno di pensione mensile percepito ed il trattamento di fine rapporto liquidato in base ai diritti maturati dal 1o gennaio 2015 – rischia di introdurre una inaccettabile difformità di trattamento tra il personale di pari grado e pari anzianità ancora in servizio ed il personale attualmente in pensione –:
   quali iniziative normative intendano tempestivamente proporre al fine di riconoscere gli assegni spettanti al personale delle forze di polizia attualmente in pensione maturati tra il 1o gennaio 2011 ed il 31 dicembre 2014. (4-08507)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARRESCIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è stato proclamato per il 20 marzo 2015 uno sciopero, per alcune ore della giornata, del personale operativo, tecnico e amministrativo di Enav spa addetto alla Torre di Controllo del centro aeroportuale di Ancona-Falconara;
   la protesta nasce dal declassamento che Enav sta di fatto attuando mediante la dismissione/spegnimento di importanti apparati di comunicazione radio, di rilevamento (DDME) e diffusione di dati meteo (ATIS) dell'aeroporto delle Marche («Raffaello Sanzio» di Falconara Marittima);
   più volte è stato ribadito dall'Ente che tale riduzione tecnologica non comporta un abbassamento dei livelli di sicurezza e tale giustificazione è stata anche ripresa nella risposta all'interrogazione parlamentare n. 5-04419;
   il 20 novembre 2014 Enav ha proceduto allo spegnimento degli apparati di comunicazione su frequenze UHF quali:
    il ricetrasmettitore (RTX) della frequenza UHF generale di Torre;
    il ricetrasmettitore (RTX) della frequenza UHF generale di Allarme;
    il pluricanale e multifono di emergenza UHF;
   il 18 dicembre 2014 sono stati dimessi apparati di comunicazione VHF quali:
    il ricetrasmettitore (RTX) della frequenza VHF generale di Torre;
    il trasmettitore (TX) del sistema ATIS (divulgazione informazioni meteo);
    il pluricanale e multifono di emergenza VHF;
   il 19 gennaio 2015 sono stati dimessi mediante spegnimento totale:
    il sistema ATIS (divulgazione automatica delle informazioni meteo);
    il sistema DDMA (rilevatore dati meteo aeroportuale);
   è noto che per effettuare la riduzione tecnologica occorre che l'Ente regolatore (ENAC) approvi tale operazione e che ciò può avvenire solo se non vengono ridotti i livelli di sicurezza per l'aviazione; in caso di assenso di ENAC viene rilasciata la certificazione di sicurezza detta Safety Assessment o Risk Assessment;
   risulta che la segreteria nazionale di UNICA, Unione italiana controllo e assistenza al volo, ha chiesto sia ad Enav s.p.a. sia, per conoscenza, ad ENAC di poter visionare tale certificazione di sicurezza mediante comunicazioni effettuate il 10 dicembre 2014 ed il 26 gennaio 2015;
   non solo: in occasione dell'incontro tenutosi il 13 Gennaio 2015 alla presenza del «prefetto di Ancona relativo alla vertenza sindacale in atto nello scalo marchigiano, il dirigente ai servizi della navigazione aerea di ENAV s.p.a. ha dichiarato, come risulta dal verbale, che: «le attività di standardizzazione tecnologiche ... sono in linea con il piano di indirizzo del MIT e sono sotto la stretta sorveglianza dell'ente regolatore Enac e dallo stesso approvate»;
   anche in tale contesto risulta all'interrogante che le rappresentanze sindacali abbiano chiesto di nuovo, senza esito, la certificazione di sicurezza e che neppure ad oggi essa sia pervenuta;
    il piano «Aeroporti Minori» di ENAV (nel quale l'aeroporto «Raffaello Sanzio» di Falconara Marittima e stato posto allo stesso livello di impianti chiusi al traffico commerciale.....) è a giudizio dell'interrogante ormai in netto contrasto sia con le indicazioni del «piano nazionale aeroporti» del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il quale ha indicato lo scalo marchigiano come «aeroporto di interesse nazionale» sia con il piano di sviluppo attuato dalla società Aerdorica che gestisce lo scalo;
   appare incomprensibile la posizione di Enav nei confronti dell'aeroporto delle Marche, in quanto, nonostante i positivi reali dati di volo, sta attuando un declassamento tecnico tant’è che è prevista prossimamente anche la completa sostituzione del personale che opera in Torre di Controllo con altro neo-assunto ma senza qualifica per l'utilizzo del radar;
   nel contempo, con il transito dall'Aeronautica militare ad Enav dei servizi di assistenza al volo (ATS) su alcuni scali militari, l'Enav ha avviato piani di investimento economici per l'adeguamento di strutture e tecnologie per lo sviluppo della torre di controllo dell'aeroporto di Rimini, scalo chiuso ai voli commerciali dall'ottobre 2014, che solo nella classificazione interna dell'Ente nazionale assistenza al volo, continua inopinatamente ad essere considerato «strategico» a discapito del «Raffaello Sanzio» di Falconara Marittima, ritenuto invece «minore» e a «basso traffico», con una valutazione ora palesemente incoerente con il piano nazionale aeroporti –:
   se risulti al Ministro interrogato se (ed in tal caso «quando») sia stata emessa la necessaria certificazione di sicurezza (safety assesment), quali siano i motivi della mancata trasmissione alle organizzazioni sindacali nonostante le ripetute richieste e quali provvedimenti intenda adottare per consentire sia ai lavoratori sia ai passeggeri di avere sia piena conoscenza degli atti sia le più ampie garanzie di sicurezza della operatività dell'Aeroporto delle Marche. (5-05090)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZAN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i pendolari della tratta ferroviaria Monselice-Padova ormai da tempo sono costretti a viaggiare sul treno delle 739 (un Minuetto dotato di sole 3 carrozze, secondo Trenitalia con una capienza di 300 posti, di cui 216 a sedere) dalla stazione di Monselice, in provincia di Padova, sottodimensionato, dove la gente è ammassata fino a sentirsi male;
   è emblematico quanto accaduto il 10 marzo 2015, quando una giovane donna ha accusato un malore proprio per le altissime temperature, il sovraffollamento e i finestrini bloccati; svenuta, la ragazza, stando a quanto riporta un articolo del quotidiano Il mattino di Padova, a firma Francesca Segato, dal titolo «Ragazza sviene sul treno dei pendolari, ma il medico non può soccorrerla» dell'11 marzo 2015, necessitava dell'intervento di un medico, che non è tuttavia stato possibile;
   Valeria Ferri, giovane medico che ha tentato di prestare soccorso alla ragazza, ha dichiarato: «Il treno era stracarico, eravamo tutti stipati. Da un po’ di tempo non c’è più il convoglio a due piani come in precedenza, ora c’è un treno piccolissimo e il risultato è che siamo sempre ammassati. Io ero montata in testa, a un certo punto ho sentito che cercavano un medico. La persona che si era sentita male era in coda, mi sono fatta tutto il treno: non era semplice passare tra le persone accalcate». I passeggeri erano in piedi e schiacciati in ogni possibile spazio, in doppia fila nei corridoi interni ai vagoni. [...] «Per fortuna la persona si stava già riprendendo», ha continuato il medico, «ma se il caso fosse stato grave sarebbe stato brutto. Non ci sarebbe stato spazio per praticare delle manovre di soccorso in quelle condizioni, e abbiamo aspettato mezz'ora fermi»;
   sempre lo stesso treno, a causa di un incidente su un passaggio a livello, è dovuto rimanere fermo una mezz'ora, senza che ai passeggeri venisse fornita nessuna spiegazione su quanto stava avvenendo né alcuna forma di assistenza;
   Trenitalia ha replicato attraverso gli organi di stampa locali che «Non è in programma la sostituzione del mezzo, visto che il problema si riscontra solo nell'ultimo tratto del suo percorso»;
   le risorse messe a disposizione dalla regione Veneto, guidata da Luca Zaia, per il trasporto pubblico rimangono secondo l'interrogante misere e in linea con quanto investito dalla regione in questo settore negli ultimi 10 anni, vale dire 6,8 euro per cittadino, contro i 14 euro per cittadino in Lombardia, i 10 euro in Emilia, addirittura i 7,2 euro in Campania –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano assumere per scongiurare altri episodi simili a quello esposto in premessa e per garantire condizioni di sicurezza e di vivibilità per i viaggiatori, attualmente del tutto carenti.
(4-08495)


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il regolamento (UE) n. 1315/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 dicembre 2013, sugli orientamenti dell'Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti e che abroga la decisione n. 661/2010/UE, stabilisce orientamenti per lo sviluppo di una rete transeuropea dei trasporti (TEN), individua i progetti di interesse comune e stabilisce le priorità per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti comprendente una struttura a doppio strato che consiste in una «rete globale» e in una «rete centrale» istituita sulla base della rete globale;
   in merito all'infrastruttura del trasporto aereo, presente nella sezione 5, l'articolo 24 del regolamento (UE) n. 1315/2013, comma 2, lettera a), stabilisce che gli aeroporti adibiti al traffico passeggeri devono essere conformi a criteri per il quale il singolo aeroporto deve avere un volume totale annuo del traffico passeggeri almeno pari allo 0,1 per cento del volume totale annuo del traffico passeggeri di tutti gli aeroporti dell'Unione, a meno che l'aeroporto in questione si trovi fuori da un raggio di 100 chilometri dall'aeroporto più vicino appartenente alla rete globale o fuori da un raggio di 200 chilometri se la regione nella quale è situato è dotata di una rete ferroviaria ad alta velocità;
   gli aeroporti pugliesi appartenenti alla «rete globale» della rete transeuropea dei trasporti sono rispettivamente quello di Bari, Brindisi e Foggia;
   il Consiglio dei ministri, nella riunione del 30 settembre 2014, ha approvato il piano nazionale degli aeroporti, che, ai sensi dell'articolo 698 del codice della navigazione, dovrà essere ora trasmesso al parere delle competenti commissioni parlamentari per poi essere adottato con decreto del Presidente della Repubblica;
   ai sensi dell'articolo 698 del codice della navigazione, il piano nazionale degli aeroporti deve prevedere la distinzione tra aeroporti di interesse nazionale e aeroporti regionali e il sopracitato articolo specifica che gli aeroporti e i sistemi aeroportuali di interesse nazionale, quali nodi essenziali per l'esercizio delle competenze esclusive dello Stato, sono individuati tenendo conto delle dimensioni e della tipologia del traffico, dell'ubicazione territoriale e del ruolo strategico dei medesimi, nonché di quanto previsto nei progetti europei TEN;
   gli aeroporti pugliesi di interesse nazionale del piano nazionale degli aeroporti sono rispettivamente quello di Bari, Brindisi – già facenti parte della «rete globale» della rete transeuropea dei trasporti – e l'aeroporto di Taranto per la sua specializzazione;
   l'aeroporto di Foggia, nonostante rientri nella «rete globale» della rete transeuropea dei trasporti (TEN), è stato escluso dal piano nazionale degli aeroporti per cui ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 85 del 2010 sarà trasferito al demanio regionale ed inoltre risulta ancora mancante il «contratto di programma» che disciplina il profilo tariffario, la realizzazione del piano degli investimenti e il rispetto degli obiettivi di qualità e di tutela ambientale, dell'aeroporto foggiano che il gestore Aeroporti di Puglia avrebbe dovuto sottoscrivere con ENAC ai sensi dell'articolo 704 del codice della navigazione, al fine di ottenere la concessione della gestione aeroportuale –:
   se, al fine di un corretto sviluppo della rete transeuropea dei trasporti e in conformità con l'articolo 698 del codice della navigazione richiamato in premessa, il Ministro intenda inserire l'aeroporto di Foggia negli aeroporti di interesse nazionale del piano nazionale degli aeroporti e quali siano le motivazioni per cui ENAC e Aeroporti di Puglia non abbiano ancora sottoscritto il contratto di programma nonostante la concessione ad Aeroporti di Puglia sia stata rilasciata il 6 marzo 2003, impedendo di fatto, il profilo tariffario, la realizzazione del piano degli investimenti e il rispetto degli obiettivi di qualità e di tutela ambientale dell'aeroporto di Foggia. (4-08500)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la normativa vigente in materia zoofila, venatoria, ittica e ambientale riconosce poteri di vigilanza in capo alle associazioni di volontariato, dettando disposizioni in merito al riconoscimento, accreditamento e mansioni attribuite alle stesse;
   in particolare, la vigilanza venatoria è riconosciuta dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157, che all'articolo 27 dispone che la stessa sia affidata anche «alle guardie volontarie delle associazioni venatorie, agricole e di protezione ambientale nazionali presenti nel Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale e a quelle delle associazioni di protezione ambientale riconosciute dal Ministero dell'ambiente, alle quali sia riconosciuta la qualifica di guardia giurata ai sensi del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773»;
   in materia di vigilanza zoofila la legge 20 luglio 2004, n. 189, prevede che la vigilanza sul rispetto della medesima legge e delle altre norme relative alla protezione degli animali sia «affidata anche, con riguardo agli animali di affezione, nei limiti dei compiti attribuiti dai rispettivi decreti prefettizi di nomina, ai sensi degli articoli 55 e 57 del codice di procedura penale, alle guardie particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute»;
   il regio decreto 8 ottobre 1931, n. 1604, che reca l'approvazione del testo unico delle leggi sulla pesca, prevede che «le province, i comuni, i consorzi, le associazioni e chiunque vi abbia interesse possono nominare e mantenere, a proprie spese, agenti giurati per concorrere alla sorveglianza sulla pesca tanto nelle acque pubbliche, quanto in quelle private», i quali «debbono possedere i requisiti determinati dall'articolo 81 del regolamento 20 agosto 1909, n. 666, prestare giuramento davanti al pretore, ed essere singolarmente riconosciuti dal prefetto», riconoscendo agli stessi, ai fini della sorveglianza sulla pesca, la «qualità di agenti di polizia giudiziaria»;
   lo status di pubblico ufficiale in capo alle guardie giurate volontarie delle associazioni di protezione ambientale ed ittica è riconosciuto sia in base alla lettura dell'articolo 357 del codice penale, sia sulla base della costante giurisprudenza della Corte di cassazione, che è consolidata nel ritenere che le stesse guardie, pur non essendo agenti di polizia giudiziaria, nell'esercizio delle funzioni di vigilanza loro assegnate, ricoprano la veste di pubblici ufficiali, se ed in quanto esercitano poteri autoritativi e certificativi nell'ambito dell'attività di protezione della fauna e della tutela ittica, che come patrimonio indisponibile dello Stato attiene ad un interesse pubblico della comunità nazionale;
   tali guardie sono, quindi, pubblici ufficiali quando svolgono le funzioni d'interesse pubblico, che sono loro specificamente ed espressamente attribuite, principio più volte ribadito anche in sede di giustizia amministrativa;
   per quanto attiene alla riconoscibilità delle guardie, l'articolo 254 del regolamento di esecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza prevede l'obbligo per tutte le guardie particolari giurate di vestire l'uniforme approvata dal prefetto, secondo le procedure fissate dall'articolo 230 del medesimo regolamento;
   attualmente l'attività e le attribuzioni delle associazioni di volontariato che operano nel campo della vigilanza ambientale, zoofila, ittica e venatoria, essendo affidate ai singoli decreti di nomina rilasciate da questure e prefetture non sono omogenee sul territorio nazionale, così come non sono uguali le uniformi, il che, di fatto, impedisce alle stesse associazioni di operare in zone diverse del Paese;
   inoltre, a fronte del riconoscimento dello status di pubblico ufficiale in capo alle guardie giurate che operano nel campo della protezione ambientale ed ittica, non corrisponde analoga attribuzione a quelle attive nella vigilanza zoofila e venatoria, cui è riconosciuta solo la qualifica di pubblico ufficiale –:
   se il Governo non ritenga di adottare le opportune iniziative di competenza volte ad assicurare l'uniformità nei decreti di nomina delle guardie giurate zoofile dei compiti delle stesse e delle qualifiche ad esse attribuite dalla normativa vigente, nonché di promuovere l'adozione di un'unica uniforme su tutto il territorio nazionale;
   a fronte della riforma delle province, quali iniziative si intendano assumere per ricondurre i poteri di nomina delle guardie volontarie ittiche venatorie in capo alle prefetture o alle regioni;
   se non si ritenga di assumere iniziative per estendere a tutte le guardie zoofile appartenenti ad associazioni di protezione ambientale riconosciute dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nominate dai prefetti ai sensi della legge 189 del 2004, la possibilità di svolgere anche attività di vigilanza venatoria, come già accaduto con riferimento alle guardie dell'ex Ente nazionale protezione animali;
   in che moda si intenda garantire l'informazione alle forze di polizia operanti sul territorio nazionale nei medesimi ambiti della presenza e dei compiti delle guardie giurate volontarie, al fine di promuovere una migliore collaborazione tra le stesse. (4-08496)


   LOMBARDI, VIGNAROLI, DI BATTISTA, BARONI e RUOCCO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000, così come modificato nel 2012, disciplina la facoltà, per un cittadino italiano, di ottenere il cambio di cognome;
   la richiesta relativa deve fondarsi su motivazioni inerenti al carattere vergognoso o discriminatorio per l'origine o ridicolo ovvero su motivi assai rilevanti di interesse pubblico;
   nelle procedure per le variazioni di cognome sono coinvolti l'ufficiale dello stato civile presso il comune e il prefetto;
   nei mesi scorsi, la direzione distrettuale antimafia di Roma ha aperto l'indagine «Mondo di mezzo» che ha portato alla luce una vastissima rete criminale romana; tra gli arrestati figura Luca Odevaine;
   Alberto Statera su La Repubblica del 4 dicembre 2014 scrive: «Strepitosa, nella sua funesta perversione, è la storia di Luca Odevaine, detto lo “Sceriffo”, raccontata nei dettagli da Claudio Gatti sul Sole 24 Ore. In realtà, questo si chiamava Odevain, ma si è cambiato il nome con una “e” probabilmente per nascondere i suoi precedenti da avanzo di galera. Iscritto da giovane alla sezione del Pci di Ponte Milvio, la stessa dei Berlinguer, nel 1989 viene arrestato per stupefacenti e condannato a due anni e nove mesi. Passa poco e viene di nuovo condannato per emissione di assegni a vuoto»;
   nel dicembre 2007 si riscontra un atto ufficiale del comune di Roma http://www.comune.roma.it  dove compare il cognome Odovaine;
   un articolo del Corriere della Sera del 29 agosto 2009 riporta la dizione Odevaine;
   Luca – per non sbagliarsi – è stato il vice capo di gabinetto del sindaco Walter Veltroni e poi capo della Protezione civile e della polizia provinciale con Nicola Zingaretti e membro del Coordinamento nazionale sull'accoglienza per i richiedenti asilo del ministero dell'interno, fino al suo arresto, avvenuto lo scorso dicembre;
   dal libro «I re di Roma», di Lirio Abbate e Marco Lillo, risulta che Odevaine ha cambiato il proprio cognome non una, ma più volte;
   partendo da una conversazione telefonica con la figlia preoccupata per aver smarrito la carta di identità, gli investigatori, controllando le banche dati delle forze dell'ordine e dell'anagrafe del comune di Roma, scoprono che «Papà Luca» in passato è stato registrato con tre distinti cognomi: «Odevaine», «Odovaine» (cognome del padre naturale e legittimo) e «Odvaine», con la singolare caratteristica che questa difformità non ha comportato alcuna modifica del suo codice fiscale;
   si scopre pure che a partire dal 2004, quando «Luca» presenta denunce o querele davanti alle forze dell'ordine, come persona offesa, usa entrambe le combinazioni «Odovaine» e «Odevaine». E ancora, nella banca dati dell'Agenzia delle entrate l'uomo è conosciuto allo Stato italiano solo come «Luca Odevaine», stesso cognome attribuito anche ai due figli, mentre in quella dell'Aci risulta proprietario di automobili con gli altri due cognomi (quattro totali): «Odavaine» e «Odovaine»;
   se il signor Odevaine, arrestato per il caso «Mondo di mezzo», abbia ottenuto o meno il cambio di cognome in maniera ufficiale e secondo la procedura, cosa che a giudizio degli interroganti desta molti dubbi visti i criteri stringenti previsti dalla normativa;
   se il signor Odevaine non abbia mai ottenuto il cambio di cognome, a che titolo facesse uso di un cognome non veritiero, utilizzato eventualmente non solo in pubblico o in atti ufficiali;
   qualora il signor Odevaine non abbia mai ottenuto il cambio di cognome ovvero questo sia stato ottenuto in maniera surrettizia, se non sia il caso di inviare gli ispettori ministeriali per comprendere quanto avvenuto per la vicenda nei registri anagrafici e di stato civile a Roma. (4-08513)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BECATTINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Sardegna è una delle regioni con più alta incidenza di persone con diabete di tipo 1 in Italia, rispetto alla media europea;
   secondo l'articolo di Ilenia Mura del 25 settembre 2014, sul quotidiano L'Unione Sarda, si sarebbero verificati diverse situazioni pregiudizievoli ai danni di bambini diabetici nella regione Sardegna;
   in particolare, il citato articolo segnalava a Carbonia (Carbonia Iglesias) il caso di un bambino di 4 anni che veniva allontanato da un asilo pubblico perché diabetico e a Iglesias (Carbonia Iglesias) di una studentessa di 12 anni che veniva punita con una nota perché, a causa della glicemia bassa, aveva sbagliato il compito;
   i citati episodi, che rappresentano solo una piccola parte di un fenomeno diffuso, in Sardegna come in tutto il Paese, hanno avuto grande risonanza sul territorio mediante le proteste delle Associazioni sul diabete, come «Diabete Iglesias Carbonia» e «Federazione diabete Sardegna», le quali si rivolgevano all'assessore regionale alla sanità, Luigi Arru, rilevando come gli episodi ritenuti discriminatori, di frequente verificatisi nelle strutture scolastiche pubbliche, sono spesso causati da cattiva informazione sul diabete e affermando la necessità di recepire il «Documento strategico di intervento integrato per l'inserimento del bambino, adolescente e giovane con Diabete in contesti Scolastici, Educativi, Formativi al fine di tutelarne il diritto alla cura, alla salute, all'istruzione e alla migliore qualità di vita» diramato dal Ministero della salute nel 2013;
   con decreto n. 36 del 30 dicembre 2014, la regione Sardegna costituiva presso l'assessorato dell'igiene e sanità e dell'assistenza sociale – direzione Generale della sanità – la «Consulta regionale della diabetologia e malattie metaboliche correlate» e il «Coordinamento Interaziendale Regionale», aventi come obiettivi, oltre all'analisi delle esigenze cliniche in ambito regionale e l'approfondimento delle informazioni sulla malattia diabetica volte a migliorare la comprensione sociale del fenomeno, la promozione di iniziative di prevenzione in diversi settori, quali quello scolastico, lavorativo e sportivo (www.regione.sardegna.it);
   a distanza di mesi, il dottor Riccardo Trentin, presidente dell'associazione «Diabete Iglesias Carbonia», riferisce che i fatti sopra riportati non hanno avuto risvolti positivi: il bambino di 4 anni non frequenta più l'asilo e la bambina di 12 anni ha cambiato classe;
   l'ambiente scolastico e sociale risultano essenziali per il bambino e l'adolescente con diabete ai fini di una serena consapevolezza e accettazione della malattia, che si ricorda se ben gestita assicura una vita normale;
   i fatti di cui in premessa parrebbero violare i principi sanciti dalla nostra Costituzione in particolare oltre agli articoli 2, 3 e 32, gli articoli 33 e 34, in termini di compromissione del diritto allo studio;
   con legge 16 marzo 1987, n. 115 (Disposizioni per la prevenzione e la cura del diabete mellito) lo Stato ha manifestato grande attenzione e sensibilità verso il diabete, ponendo al centro della tutela le persone con diabete e garantendole un adeguato sostegno sanitario e sociale –:
   se i Ministri interrogati, pur nel rispetto del federalismo sanitario, non ritengano urgente e doveroso accertare i fatti di cui in premessa e porre in essere, per quanto di rispettiva competenza, iniziative per tutelare i giovani con diabete da situazioni analoghe;
   se non si ritenga necessario attuare campagne di formazione nelle scuole per istruire i docenti e aiutare i minori con diabete nella gestione della patologia;
   se non si ritenga necessario promuovere campagne di informazione sul diabete volte a migliorare la comprensione del fenomeno ed iniziative di prevenzione nei diversi contesti sociali (scuola, lavoro, sport) in cui si afferma la personalità dell'individuo. (5-05094)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALMIZIO. —Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 5 marzo 2015, decine di allevatori agricoli hanno protestato in piazza a Bologna, contro la proliferazione incontrollata della contraffazione dei prodotti agroalimentari relativi al parmigiano reggiano, il cui fenomeno illecito, stimato dalla Coldiretti, produce danni miliardari non soltanto d'immagine, ma per l'intero sistema produttivo e occupazionale emiliano-romagnolo;
   l'associazione agricola, a tal fine, evidenzia che in termini di valore assoluto i danni derivanti dal furto d'identità (valutati in 8 miliardi di euro) e dalla perdita di 30 mila posti di lavoro costituiscono soltanto alcuni dei numerosi aspetti negativi di un'attività illecita quale quella dell'agro-pirateria, che determina effetti economici altamente penalizzanti per l'intero sistema agroalimentare italiano;
   il falso made in Italy, che in termini complessivi ammonta a circa 60 miliardi di euro, si manifesta in diverse forme, come ribadito dallo stesso presidente della Coldiretti nel corso dell'iniziativa svolta a Bologna, in considerazione del fatto che il cosiddetto l’italian sounding rappresenta la forma più diffusa e subdola d'imitazione del made in Italy sia nel settore dell'industria agroalimentare, sia nell'industria in generale;
   gli esempi dell'imitazione di prodotti del made in Italy sono innumerevoli e si differenziano sia per natura merceologica, sia per il Paese; alcuni si avvicinano alla vera e propria clonazione del nome, sfruttando le carenze legislative dei Paesi di distribuzione finale come ad esempio: il parmesan, diffuso in molti Paesi del mondo; il pecorino Romano prodotto nell'Illinois con latte di mucca anziché di pecora; il Parma venduto in Spagna senza alcun rispetto delle regole del disciplinare del Parmigiano Reggiano; la Fontina danese;
   in altri casi, invece, è stata usata più semplicemente l'immagine della bandiera italiana o di simboli di italianità sulle confezioni, come ad esempio: il Pompeian olive oil, che non ha nulla a che fare con i famosi scavi ed è prodotto nel Maryland o anche, spaghetti, pasta milanesa, tagliatelle e capellini milaneza prodotti in Portogallo, o ancora i fusilli tricolore Di Peppino prodotti in Austria, che rappresentano solo alcuni degli esempi ulteriori;
   in definitiva sostiene la Coldiretti, i prodotti agroalimentari made in Italy falsificati, che circolano a livello globale, occupano spazi che invece andrebbero attributi a quelli realmente italiani, i cui effetti determinano un impatto economico devastante sull'intera filiera agricola nazionale, soprattutto per la dimensione internazionale del fenomeno;
   un sintomo il cui fattore, nonostante gli interventi legislativi di tutela e di repressione, effettuati sia a livello nazionale che comunitario, conferma ancora oggi dei persistenti limiti oggettivi alle azioni di contrasto;
   a tal fine, a parere della Coldiretti, si rendono necessari interventi, anche in ambito europeo, affinché l'origine della materie prime in etichettatura diventi un obbligo al più presto per le produzioni italiane, nell'auspicio che gli accordi bilaterali o trilaterali siglati a livello internazionale possano considerare in maniera adeguata la difesa dei marchi italiani;
   la protesta degli allevatori agricoli bolognesi, per ribadire nuovamente i gravissimi effetti derivanti dal fenomeno quale la contraffazione dei prodotti made in Italy, che produce danni non solo ai consumatori, ma anche ai produttori onesti, (che vedono alterato il gioco della concorrenza, e più in generale all'intera economia nazionale), evidenzia a parere dell'interrogante, la necessità di interventi normativi più rigorosi ed efficienti, attraverso una forte azione in sede europea ed internazionale, finalizzata a rafforzare gli interventi normativi a protezione dei marchi italiani originali;
   a giudizio dell'interrogante, gli interventi del Governo ad oggi adottati, all'interno dell'Unione europea nell'ambito dei vari tavoli negoziali per estendere a livello multilaterale il sistema di tutela dei prodotti di qualità, non sembrano essere soddisfacenti ed evidenziano, la necessità di costituire un fronte unitario che veda coinvolti tutti gli attori istituzionali ed il mondo delle imprese, attraverso una più forte ed intensa collaborazione, al fine di fronteggiare il grave fenomeno della contraffazione (come, ad esempio, per i prodotti imitativi del Parmigiano Reggiano o dei prosciutti crudi più famosi), che oltre ad arrecare gravi danni economici alle imprese italiane si riflette anche sul numero dei posti di lavoro da esse offerti –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative, per quanto di propria competenza, intenda intraprendere in sede al fine di tutelare le imprese italiane agroalimentari dal fenomeno della contraffazione e dell’italian sounding, il cui mercato internazionale sta assumendo i profili di una vera e propria «nuova frontiera» delle attività illecite;
   quali iniziative intenda intraprendere, al fine di rafforzare l'attività di controllo e di vigilanza, già svolta in maniera eccellente dalle autorità preposte al servizio da parte del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, a tutela dei consumatori del nostro Paese, per migliorare la salute e la sicurezza e far fronte ai rischi dei prodotti contraffatti che comportano l'esigenza di ulteriori misure di protezione. (4-08499)


   MARZANA, D'UVA, LOREFICE, DI VITA, LUPO, DI BENEDETTO, GRILLO, CANCELLERI, MANNINO, RIZZO, NUTI e VILLAROSA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nell'antica contrada Bonivini situata nei pressi della città tardo-barocca di Noto, definita «Capitale del Barocco» il cui centro storico, nel 2002, è stato dichiarato dall'UNESCO patrimonio dell'umanità è stata autorizzata la realizzazione di un impianto solare termodinamico denominato «Freesun»;
   l'area all'interno della quale sorgerà tale impianto solare termodinamico è inserita dentro un'amplissima zona completamente agricola, di grande pregio naturalistico e paesaggistico, occupata da colture pregiate di uva e olive che danno vita ad apprezzatissimi olii extra vergine di oliva recentemente premiati a livello internazionale nell'ambito delle 13o edizione di Sol D'Oro come i migliori olii extravergine di oliva di qualità a livello mondiale ed a rinomati vini (il Nero d'Avola su tutti), per i quali la contrada prende il nome di «Bonivini»;
   difatti la contrada in questione ricade nel territorio delle tre tipologie di vini DOC (Denominazione di Origine Controllata) che si producono nella zona: DOC Siracusa, DOC Noto, DOC Eloro che sono tutti riconducibili ai due vitigni autoctoni di questo territorio: il Moscato e il Nero d'Avola, nonché dell'olio extravergine d'Oliva Monti Iblei (DOP), produzioni eccellenti che rischierebbero di collassare per via della realizzazione della centrale solare termodinamica;
   le aziende presenti sono tutte di medie e piccole dimensioni, alcune di nuovo insediamento e molte legate all'antica tradizione familiare, tutte però contribuiscono a raccontare una storia che si dipana tra innovazione e tradizione, nel rispetto delle antiche tecniche di lavorazione delle uve e dei mosti e che hanno investito nel marchio DOC come garanzia di genuinità, tracciabilità e provenienza specifica;
   l'articolo 21 del decreto legislativo n. 228 del 18 maggio 2001, al comma 1, prevede che lo Stato, le regioni e gli enti locali tutelino la tipicità, la qualità, le caratteristiche alimentari e nutrizionali, nonché le tradizioni rurali di elaborazione dei prodotti agricoli e alimentari a denominazione di origine controllata (DOC), a indicazione geografica protetta (IGP), denominazione di origine protetta (DOP);
   eppure con la determinazione n. 5 del 20 dicembre 2013 del dirigente del Settore VI, del comune di Noto, dottor Corrado Casto, è stata autorizzata a favore della società Freesun s.r.l. la costruzione di un impianto di produzione di energia elettrica da fonte solare termodinamica a concentrazione della potenza di 999 KW, denominato «Freesun», ed identificato al foglio 404, particelle 5, 58, 176, 226, 230, 271, 410, 411, 467, 573, 575, 577 3 351, tutte ricadenti in zona «E agricola» del vigente piano regolatore generale del comune di Noto, in totale spregio delle ricchezze agro-alimentari della zona;
   inizialmente, la società Freesun aveva presentato allo sportello unico attività produttive (SUAP), istanza, prot. n. 23260 del 24 luglio 2013, per mutare radicalmente l'impianto da realizzare, passando dall'iniziale progetto di impianto solare fotovoltaico al nuovo progetto di impianto solare termodinamico a concentrazione della potenza di 999 Kw;
   peraltro il citato impianto è stato autorizzato a seguito di una procedura abilitativa semplificata (PAS) mentre, anche alla luce di una circolare della regione siciliana del 23 ottobre 2014 un impianto termodinamico non può essere autorizzato dai comuni ma deve essere sottoposto, nonostante la decisione in senso contrario dell'assessorato regionale competente (territorio e ambiente), ad autorizzazione unica regionale ai sensi del decreto legislativo n. 28 del 2011;
   l'impianto termodinamico occupa ampie superfici ed in aggiunta occupa notevoli quantità di volumi come si può evincere dalla relazione illustrativa, pag. 20, ne risulta una struttura metallica di gigantesche dimensioni che comporta un enorme impatto visivo, infatti essa rappresenta un «edificio» metallico alto 9.3 metri, largo e lungo centinaia di metri mentre l'articolo 30, comma 3, della NTA (Nuove Tecnologie Applicate) del comune di Noto prevede che all'interno delle zone agricole non possano essere autorizzate opere che raggiungano un'altezza superiore a metri 7,5; mentre il comma 1 dispone: «Le zone agricole sono destinate all'esercizio dell'agricoltura, intesa non solamente come funzione produttiva, ma anche come funzione di salvaguardia del sistema idrogeologico, del paesaggio agrario e dell'equilibrio ecologico e naturale»;
   l'impianto prevede, oltre alla produzione di energia elettrica dal parco solare, anche quella derivante da combustibile fossile, nella specie GPL, e numerose ulteriori opere tecnologiche e locali di servizio ulteriormente impattanti sul suolo e sull'area;
   in attuazione di quanto previsto dal comma 10 dell'articolo 12 del decreto legislativo n. 387 del 2003, il Ministero dello sviluppo economico ha emanato il decreto ministeriale 10 settembre 2010 che ai paragrafi 11-12-16 afferma che: «(...) siano rispettate le disposizioni in materia di sostegno del settore agricolo, della valorizzazione delle tradizioni agroalimentari locali, alla tutela della biodiversità e del patrimonio culturale e del paesaggio rurale; (...) di tutela dell'ambiente e di conservazione delle risorse naturali e culturali; (...) salvaguardare i valori espressi dal paesaggio e direttamente tutelati dall'articolo 9, comma 2, della Costituzione, nell'ambito dei principi fondamentali e dalla Convenzione europea del paesaggio»; inoltre nell'elenco degli impianti realizzabili non figurano gli impianti termodinamici a concentrazione;
   il paragrafo 17 dispone la individuazione delle aree non idonee alla installazione di specifiche tipologie di impianti sulla base dei criteri di cui all'allegato 3 che, alla lettera f) individua quale area non idonea ad accogliere specifici impianti i siti inseriti nella lista del patrimonio mondiale dell'UNESCO, le aree ed i beni di notevole interesse culturale di cui alla Parte seconda del decreto legislativo n. 42 del 2004, nonché gli immobili e le aree dichiarati di notevole interesse pubblico ai sensi dell'articolo 136 dello stesso decreto legislativo; le aree interessate da produzioni agricolo-alimentari di qualità (produzioni biologiche, produzioni DOP, IGP, STG, DOCG) e/o di particolare pregio rispetto al contesto paesaggistico-culturale, in coerenza e per le finalità di cui all'articolo 12 comma 7;
   in data 10 marzo 2014 è stato depositato ricorso al tribunale amministrativo regionale per la Sicilia (procedimento n. 788/2014 R.G.) proposto dalla signora Paola Ballabeni, dall'Associazione Strada e Sapori del Vino e della Val di Noto e dal consorzio di tutela vini DOC Eloro e Noto al fine di impugnare tutti gli atti di autorizzazione alla realizzazione della centrale termoelettrica;
   in data 16 giugno 2014 l'associazione Legambiente Comitato regionale siciliano ONLUS depositava un atto di intervento ad adiuvandum attraverso il quale chiedeva al TAR di accogliere il ricorso depositato individuato con R.G. 788/2014 –:
   se intenda, nell'ambito delle proprie competenze, stanti i due ricorsi in corso al T.A.R. e la circolare 23 ottobre 2014 pubblicata dalla Gazzetta Ufficiale della regione siciliana del 7 novembre 2014 n. 47, qualora lo ritenesse necessario, convocare un tavolo tra tutte le parti istituzionali coinvolte per trovare una soluzione condivisa a salvaguardia del territorio, dei prodotti DOC e DOP e di tutta la produzione agroalimentare locale alla luce della realizzazione della centrale solare termodinamica di cui alla premessa;
   se non ritenga opportuno intervenire al fine di evitare qualunque danno all'immagine paesaggistico-ambientale del Val di Noto e alla qualità delle colture viti-vinicole e agroalimentari presenti sul territorio;
   se non ritenga opportuno in via generale valutare gli impatti del progetto di realizzazione della centrale solare termodinamica della Freesun sulle risorse agricole e di produzione agroalimentare nella citata area. (4-08506)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BECATTINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni il trattamento dei pazienti neurologici ha subito notevoli e continue evoluzioni grazie alle nuove scoperte scientifiche, come la capacità del cervello di adattarsi alle mutevoli pressioni esterne e di acquisire nuove esperienze (cosiddette plasticità del sistema nervoso);
   conseguentemente, la riabilitazione motoria eseguita con programmi di lavoro finalizzati ad un recupero funzionale assume sempre più importanza in luogo della tradizionale scienza riabilitativa;
   dal 1994 esiste ed opera a Firenze una struttura sanitaria denominata «Centro Giusti», autorizzato dal comune di Firenze (n. 451 del 10 maggio 2007) e accreditato dalla regione Toscana (n. 3635 del 10 agosto 2012), in cui si applica un metodo di riabilitazione motoria intensa continuativa (RIC), il quale sfrutta attraverso intensi stimoli le naturali risorse fisiologiche del corpo umano proprio in risposta alle accennate nuove acquisizioni scientifiche;
   le prestazioni terapeutiche componenti la metodica RIC, pur rientrando nei livelli essenziali di assistenza (LEA) – chinesiterapia osteo/articolare, rieducazione motoria con fase della deambulazione, massaggi, elettrostimolazione –, si differenziano dalle metodiche tradizionali attuate dal sistema sanitario nazionale per l'intensità e la continuità del trattamento, la personalizzazione del programma riabilitativo e per le modalità di applicazione delle attività riabilitative eseguite in modo attivo anche a livello sotto-lesionale e svolte su specifiche ed originali Postazioni riabilitative polifunzionali;
   dal 1994 ad oggi del trattamento di riabilitazione motoria intensa e continuativa hanno potuto beneficiare con successo un gran numero di pazienti provenienti da tutte le regioni italiane e da diversi Paesi esteri;
   la metodica di riabilitazione motoria intensa e continuativa, è stata oggetto di diverse pubblicazioni presso università italiane (Firenze, Siena, Perugia, Milano) ed estere (Rio de Janeiro) e in diverse riviste mediche («Toscana Medica», «Il Fisioterapista», «Chinesiologia»), oltre a ricevere menzione nella più importante rivista scientifica mondiale di Riabilitazione: «Neurorehabilitation and Neural Repair»;
   essendo il centro una struttura privata, i costi del trattamento, non erogabili da parte del Servizio sanitario nazionale in quanto lo stesso non riconosce validità scientifica al trattamento, sono a carico dei pazienti, salvo le ipotesi di convenzioni con alcune aziende sanitarie locali;
   negli ultimi anni vi sono state numerose cause intentate dai pazienti di tutto il Paese in cui veniva chiesto all'autorità giudiziaria che le prestazioni RIC fossero poste a carico della propria Azienda Sanitaria e nella maggioranza dei casi i giudici, a seguito di perizie mediche, hanno condannato le ASL al pagamento delle terapie RIC; in alcuni casi vi sono state pronunce della Cassazione;
   pertanto nel Paese vi sono cittadini che non possono accedere alla metodica RIC per motivi economici, altri che possono beneficiarne se previsto da una convenzione con la propria azienda sanitaria, altri ancora che riescono ad accedere a questi trattamenti a seguito dei provvedimenti di molti tribunali che hanno imposto a molte ASL il pagamento al centro Giusti delle terapie riabilitative RIC;
   quanto riferito in premessa parrebbe favorire situazioni di discriminazione tra i cittadini bisognosi di questi trattamenti;
   nel nostro ordinamento la salute è considerato un diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività, trovando la più alta tutela nell'articolo 32 della Costituzione –:
   se il Ministro non ritenga necessario e urgente riconoscere ufficialmente la validità scientifica del metodo RIC ponendo fine all'attesa di numerose associazioni e privati cittadini interessati a poter usufruire di questa metodica senza costi in modo da evitare situazioni discriminatorie tra i pazienti bisognosi della metodica di riabilitazione motoria intensa e continuativa. (5-05093)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   SILVIA GIORDANO, LOREFICE e LUIGI GALLO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo marzo 2001, n. 165 detta le norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche; l'articolo 30 del suddetto decreto disciplina il passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse prevedendo che: le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti di cui all'articolo 2, comma 2, appartenenti a una qualifica corrispondente e in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento, previo assenso dell'amministrazione di appartenenza. Le amministrazioni, fissando preventivamente i requisiti e le competenze professionali richieste, pubblicano sul proprio sito istituzionale, per un periodo pari almeno trenta giorni, un bando in cui sono indicati i posti che intendono ricoprire attraverso passaggio diretto di personale di altre amministrazioni, con indicazione dei requisiti da possedere;
   nel corso del 2014 sono stati pubblicati diversi avvisi pubblici di mobilità interregionale da parte di alcune ASL ed aziende ospedaliere campane, che subordinavano il trasferimento dei richiedenti al superamento di un colloquio di selezione, con un peso prevalente in termini di punteggio rispetto ai titoli di carriera e scientifici;
   l'azienda ospedaliera Cardarelli di Napoli ha bandito due avvisi pubblici di mobilità interregionali per titoli e colloquio (BURC n. 24 del 14 aprile 2014) prevedendo come punteggi assegnabili dalla commissione esaminatrice 20 punti per i titoli e 40 per il colloquio con uno sbilanciamento a favore dei punti previsti per il colloquio;
   successivamente sono stati pubblicati ulteriori avvisi pubblici di mobilità (ASL NA I, BURC n. 36 del 26 maggio 2014; AO Rummo, BURC n. 44 del 30 giugno 2014; ASL Caserta, BURC n. 44 del 30 giugno 2014; A.O. Caserta, BURC n. 44 del 30 giugno 2014; A.O. Cardarelli, BURC n. 46 del 7 luglio 2014) che attribuivano al colloquio di nuovo un punteggio pari o superiori a tutti gli altri titoli;
   l'azienda ospedaliera di Caserta, pur indicendo un avviso di mobilità interregionale per titoli e colloquio, afferma che «gli aspiranti dovranno sostenere la prova colloquio che verterà sulle materie inerenti alla disciplina a concorso», analogamente l'ASL di Avellino (delibera n. 1195 dell'8 luglio 2014) ha disposto che oggetto del colloquio sarà la valutazione di conoscenze tecniche e competenze richieste per il posto da ricoprire e grado di autonomia nell'esecuzione del lavoro: elementi già oggetto di valutazione nel concorso pubblico superato dai richiedenti il trasferimento;
   in base ai nuovi criteri con delibera dirigenziale n. 1289 del 7 agosto 2014 della UOSC gestione risorse umane dell'ospedale Cardarelli di Napoli, tutti i candidati presenti alla prova colloquio, sebbene già vincitori di concorso pubblico, non sono stati dichiarati idonei;
   tali fatti appaiono agli interroganti in contrasto con i principi di contenimento della spesa e valorizzazione delle risorse della pubblica amministrazione sanciti dall'articolo 30 comma 2-bis, del decreto legislativo 165 del 2001, che stabilisce: «le amministrazioni, prima di procedere all'espletamento di procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico, devono attivare le procedure di mobilità di cui al comma 1, provvedendo, in via prioritaria, all'immissione in ruolo dei dipendenti, provenienti da altre amministrazioni, in posizione di comando o di fuori ruolo, appartenenti alla stessa area funzionale, che facciano domanda di trasferimento nei ruoli delle amministrazioni in cui prestano servizio. Il trasferimento è disposto, nei limiti dei posti vacanti, con inquadramento nell'area funzionale e posizione economica corrispondente a quella posseduta presso le amministrazioni di provenienza; il trasferimento può essere disposto anche se la vacanza sia presente in area diversa da quella di inquadramento assicurando la necessaria neutralità finanziaria»;
   l'articolo 30 del decreto legislativo 165 del 2001 vincola indistintamente tutte le amministrazioni pubbliche, poiché la disciplina della mobilità del personale tra amministrazioni diverse, come ha avuto modo di chiarire la Corte costituzionale sentenza 3-12 novembre 2010, II. 324.), è «materia dell'ordinamento civile» riservata dunque (ex articolo 117, comma 2, lettera m) della Costituzione) alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, e non già a materie di competenza concorrente o residuale delle regioni, ovvero all'organizzazione amministrativa degli altri enti pubblici –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se alla luce dei fatti esposti in premessa non ritenga necessario assumere le iniziative di competenza, anche normative, al fine di definire criteri uniformi, sul tutto il territorio nazionale, in merito alle procedure comparative dei soggetti che richiedono il passaggio tra diverse amministrazioni;
   se intenda assumere iniziative affinché ai fini della valutazione comparativa dei candidati vi sia la predeterminazione di specifici criteri di valutazione che consentano la sindacabilità del giudizio espresso dalla commissione;
   se non ritenga necessario assumere iniziative, anche normative, affinché l'esito negativo del colloquio sia adeguatamente motivato dalla commissione esaminatrice.
(4-08505)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MALISANI, BLAZINA, BRANDOLIN, ROSATO e ZANIN. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste italiane spa è una società a capitale interamente pubblico che gestisce i servizi postali in una condizione di sostanziale monopolio e che garantisce l'espletamento del servizio universale sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato, in cui la società si impegna a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste;
   Poste Italiane spa riceve significativi contributi da parte dello Stato nell'ambito della legge di stabilità per consentire agli uffici postali periferici di garantire l'erogazione dei servizi postali essenziali;
   al piano di riorganizzazione previsto dall'azienda dovrebbe diventare effettivo dal 13 aprile 2015 nell'ambito dell'avviato processo di privatizzazione, e prevede a livello nazionale la chiusura di 455 uffici postali e la riduzione degli orari di apertura in 608 uffici;
   i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese, sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale;
   questa razionalizzazione rischia di tradursi in gravi disservizi soprattutto per i residenti anziani, che si troveranno a non poter usufruire di servizi essenziali quali il pagamento delle bollette o la riscossione della pensione, con la conseguenza di essere costretti a fare lunghe file nei giorni di apertura, ritardare le operazioni o affrontare frequenti e difficili spostamenti, su territori particolarmente disagiati;
   il suddetto piano di riorganizzazione previsto dall'azienda dispone per la regione Friuli Venezia Giulia la chiusura di 19 uffici, 13 in provincia di Udine (Campeglio di Faedis, Carpacco di Dignano, Ciconicco, Cisterna di Coseano, Goricizza e Pozzo (Codroipo), Ipplis, Lavariano, Ospedaletto di Gemona, Percoto, Perteole, Rodeano Basso, Terzo di Tolmezzo e Toreano di Martignacco);
   in data 22 gennaio 2014 il presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni rispondendo a specifica missiva del presidente dell'Intergruppo parlamentare per lo sviluppo della montagna ha ricordato che con apposita delibera l'Autorità ha «ritenuto opportuno inserire (...) specifici divieti di chiusura di quegli uffici che servono gli utenti che abitano nelle zone remote del Paese (...) ritenendo prevalente l'esigenza di garantire la fruizione del servizio nelle zone disagiate anche a fronte di volumi di traffico molto bassi e di alti costi di esercizio»;
   la delibera dell'AGCOM n. 342/14/Cons del 26 giugno 2014 ha integrato i criteri elencati nell'articolo 2 del decreto ministeriale 7 ottobre 2008, prescrivendo all'articolo 2 relativo ai comuni rurali e montani, il divieto di chiusura di uffici postali situati in comuni rurali (quelli con densità abitativa inferiore a 150 abitanti per chilometro quadrato), e obbliga altresì Poste Italiane ad avviare con congruo anticipo con le istituzioni locali delle misure di razionalizzazione per avviare un confronto sulle possibilità di limitare i disagi per le popolazioni interessate individuando soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale;
   il Ministero dello sviluppo economico in data 12 febbraio 2015, a margine dell'incontro tenutosi tra il Sottosegretario alle comunicazioni Antonello Giacomelli, l'amministratore delegato di Poste Italiane Francesco Caio e il presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Angelo Cardani aveva dichiarato che regioni e comuni sarebbero stati coinvolti nel piano di chiusura degli uffici postali e che Poste Italiane avrebbe coinvolto regioni ed enti locali per spiegare come servizi innovativi avrebbero assicurato la tutela del servizio universale per i cittadini;
   il Consiglio di Stato, con la sentenza 1262/2015 depositata l'11 marzo 2015, ha ritenuto fondato il ricorso del comune di Torre Orsaia contro Poste Italiane stabilendo che l'azienda deve garantire un adeguato numero di punti di accesso al servizio su tutto il territorio nazionale comprese le zone montane e rurali;
   quattro mesi fa, il 18 novembre 2014, la regione Friuli Venezia Giulia e Poste Italiane si erano impegnate in un protocollo di intesa per rafforzare il ruolo delle sedi periferiche. Nell'incontro del 17 marzo, convocato dall'Anci e dall'assessore Paolo Panontin, il responsabile delle Poste per il nord est Andriolo ha invece confermato il piano. L'assessore si è perciò impegnato a portare la questione al tavolo nazionale di trattativa, istituito tra la Conferenza delle regioni e Poste Italiane spa –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto, che sembra confermare la decisione unilaterale di Poste Italiane senza alcun confronto con il territorio, e se intenda intervenire perché si possa aprire una concertazione tra la direzione di Poste Italiane spa e le amministrazioni locali, garantendo il rispetto dei disposti stabiliti dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. (5-05091)


   CRIPPA, VALLASCAS e FANTINATI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   tra gli altri, è compito del Gestore servizi energetici (GSE) effettuare controlli documentali e verifiche mediante sopralluogo sugli impianti in esercizio e in costruzione al fine di accertare la sussistenza o la permanenza dei requisiti previsti per le varie forme di incentivazione;
   in particolare, citando il rapporto sulle attività del Gestore servizi energetici 2013, parliamo di:
    1) verifiche sugli impianti fotovoltaici ai sensi del decreto ministeriale 28 luglio 2005, decreto ministeriale 6 febbraio 2006, decreto ministeriale 19 febbraio 2007 e legge 129/2010, decreto ministeriale 6 agosto 2010, decreto ministeriale 5 maggio 2011 e decreto ministeriale 5 luglio 2012;
    2) verifiche sugli impianti alimentati da fonti rinnovabili ai sensi del decreto ministeriale 11 novembre 1999, decreto ministeriale 24 ottobre 2005, decreto ministeriale 18 dicembre 2008 (IAFR) e del decreto ministeriale 6 luglio 2012 (FER);
    3) verifiche sugli impianti di cogenerazione abbinata al teleriscaldamento (CHP + TLR) ai sensi del decreto ministeriale 24 ottobre 2005 e della «Procedura di Qualificazione GSE degli impianti alimentati a idrogeno, celle a combustibile e di cogenerazione abbinati al teleriscaldamento» approvata con decreto ministeriale del 21 dicembre 2007;
    4) verifiche sugli impianti eolici che hanno chiesto la remunerazione della mancata produzione (MPE) ai sensi della delibera dell'AEEGSI ARG/elt n. 05/10 e successive modificazioni e integrazioni;
    5) verifiche sugli impianti ai quali sono stati riconosciuti le garanzie d'origine GO e i certificati RECS e CO-FER ai sensi della direttiva 2009/28/CE, del decreto ministeriale 31 luglio 2009 e del decreto legislativo n. 28 del 2011;
    6) verifiche sugli impianti che operano in regime di cogenerazione ad alto rendimento (CAR) che accedono al meccanismo dei certificati bianchi ai sensi del decreto ministeriale 5 settembre 2011;
    7) verifiche in avvalimento per conto dell'AEEGSI, a partire dal 1o luglio 2010 e fino al 31 dicembre 2015, sugli impianti che accedono ai benefìci previsti dal provvedimento CIP 6/92 e sugli impianti di cogenerazione (CHP), svolte ai sensi delle delibere AEEGSI GOP 42/09, 71/09, 43/10 e 509/2012/E/com;
   citando la relazione sulle attività GSE 2012, sono stati svolti 1.718 controlli per una potenza di 6475 MegaWatt;
   dei controlli sopracitati, si possono rilevare:
    1) 1.546 verifiche su fotovoltaico (582 eseguiti dal GSE per una potenza di 400 MegaWatt, 519 verifiche eseguite da terzi per una potenza di 21 MegaWatt e 445 verifiche eseguite dai gestori di rete per una potenza di 463 MegaWatt) per una potenza complessiva di 884 MegaWatt;
    2) 97 verifiche su impianti alimentati da fonti rinnovabili (IAFR) per una potenza complessiva di 2.216 MegaWatt;
    3) 10 verifiche su impianti dotati di certificazione Renewable Energy Certificate System (RECS) per una potenza complessiva di 401 MegaWatt;
    4) 12 verifiche sulla mancata produzione eolica (MPE) per una potenza complessiva di 287 MegaWatt;
    5) 16 sugli impianti provvisti della qualifica ICO-FER per una potenza complessiva di 863 MegaWatt;
    6) 2 verifiche sugli impianti di cogenerazione abbinata al teleriscaldamento (CHP + TLR) per una potenza complessiva di 31 MegaWatt;
    7) 35 verifiche sugli impianti a regime CIP6/92 + CHP per una potenza complessiva di 1.793 MegaWatt;
    8) escludendo gli impianti fotovoltaici, circa il 26 per cento delle verifiche effettuate nel 2012 ha avuto esito negativo;
   nel caso degli impianti fotovoltaici i controlli GSE con esito negativo sono risultati circa il 34 per cento;
   per esito negativo si intende la non sussistenza o la non permanenza dei requisiti previsti per le varie forme di incentivazione;
   prendendo invece in considerazione la relazione attività GSE 2013, sono stati svolti 2.654 controlli per una potenza di 3.761 MegaWatt;
   dalla relazione si può leggere come «Per tale attività [le verifiche], effettuata su tutto il territorio nazionale, il GSE si è avvalso anche di soggetti terzi, professionisti esterni e società specializzate (ad oggi la società ICIM spa, aggiudicatrice di una gara ad evidenza pubblica), al fine di incrementare significativamente il numero di verifiche»;
   dei controlli sopracitati, si possono rilevare:
    1) 2.508 verifiche su fotovoltaico (231 eseguiti dal GSE per una potenza di 248 MegaWatt, 2.269 verifiche eseguite da ICIMS spa per una potenza di 150 MegaWatt e 8 verifiche eseguite dai gestori di rete per una potenza di 4 MegaWatt) per una potenza complessiva di 402 MegaWatt;
    2) 86 verifiche su IAFR per una potenza complessiva di 629 MegaWatt;
    3) 1 verifica su un impianto RECS per una potenza complessiva inferiore ad 1 MegaWatt;
    4) 3 verifiche su MPE per una potenza complessiva di 88 MegaWatt;
    5) 9 sugli impianti provvisti della qualifica lCO-FER per una potenza complessiva di 66 MegaWatt;
    6) 2 verifiche sugli impianti CHP + TLR per una potenza complessiva di 399 MegaWatt;
    7) 27 verifiche sugli impianti a CIP6/92 + CHP per una potenza complessiva di 2.149 MegaWatt;
    8) 18 verifiche sugli impianti di Cogenerazione ad alto Rendimento (CAR) per una potenza complessiva di 27 MegaWatt;
   in riferimento agli impianti IAFR – MPE – ICO-FER – RECS oggetto di controllo nell'anno 2013, circa il 32 per cento dei procedimenti di verifica conclusi al 31 dicembre 2013, ha avuto esito negativo;
   quanto invece agli impianti fotovoltaici, sul totale dei procedimenti di verifica conclusi nello stesso periodo, la percentuale degli esiti negativi è stata pari al 5 per cento;
   citando la sempre la Relazione attività GSE 2013, si può leggere che «L'esito negativo delle attività di verifica ha comportato in alcuni casi la decadenza dal diritto agli incentivi e in altri il recupero parziale o totale degli incentivi già erogati. Nei casi più gravi il GSE ha applicato le sanzioni previste dagli articoli 23 e 43 del decreto legislativo 28/2011» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei dati sopracitati;
   come giudichi la forte diminuzione di esiti negativi riscontrati per il solo fotovoltaico tra il 2012 e il 2013;
   se vi siano stati controlli puntuali ed efficienti sull'operato di ICIM spa per l'anno 2013 e delle società che hanno provveduto alle verifiche da parte di terzi per l'anno 2012 e, nel caso, con quali modalità si siano svolti tali controlli;
   se non ritenga opportuno fornire fondi sufficienti al GSE in modo che l'ente citato possa provvedere ad effettuare le verifiche oggetto dell'interrogazione in autonomia anziché affidarsi ad una spa terza tramite gara ad evidenza pubblica;
   quali provvedimenti siano stati messi in atto come sanzione agli impianti le cui verifiche sono riscontrate negative;
   a quanto ammontino le sanzioni pecuniarie ad essi comminate e a chi sono state versate;
   vista la carenza di informazioni circa il destino degli impianti da cui le verifiche hanno fatto emergere un esito negativo, quali siano i dati con specificazione di tipologia di impianto e potenza erogata aggiornati circa il numero degli impianti a cui è stata comminata la decadenza dal diritto di incentivazione e quello degli impianti da cui si è provveduto al parziale o totale recupero degli incentivi già erogati;
   quali azioni intenda mettere in campo il Ministro interrogato al fine di aumentare e velocizzare i controlli dato che le verifiche sopracitate hanno di fatto portato al riscontro di irregolarità che potrebbero portare anche a ripercussioni di carattere economico sugli incentivi erogati. (5-05095)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Perrazze è una frazione del comune di Palomonte, situata nella parte nord del comune e completamente distaccata al resto del territorio comunale;
   Perrazze è la frazione più sviluppata commercialmente del comune di Palomonte e dell'alta Valle del Sele, nonché sede di numerose attività di servizio ed artigianali;
   la frazione di Perrazze è, inoltre, situata sull'importante arteria stradale provinciale che collega l'autostrada Salerno-Reggio Calabria con i Comuni di San Gregorio Magno, Ricigliano, Buccino e Palomonte, nonché con la parte sud del comune di Colliano;
   l'ufficio postale di Perrazze, in conseguenza della particolare posizione della frazione, svolge una funzione evidentemente intercomunale rispetto all'utenza del territorio;
   l'ufficio postale in questione nasce all'inizio degli anni ’70 e da subito l'annesso servizio di distribuzione postale serve parte dei comuni di Palomonte, Colliano e Contursi Terme;
   nel corso degli anni e ancora oggi l'ufficio postale di Perrazze è stato utilizzato da residenti di questi comuni per tutti i servizi che l'ente posta offre ai suoi cittadini, dal pagamento delle pensioni ai depositi postali o all'invio di posta ordinaria prioritaria o raccomandata;
   esso è situato a più di 3 chilometri dalla posta centrale di Palomonte, mentre l'altra più vicina, a Bagni di Contursi, dista addirittura oltre 6 chilometri;
   attualmente si va verso la chiusura dell'ufficio postale di Perrazze;
   la sua soppressione, tuttavia, sarebbe un grave danno per le attività e per i cittadini dell'area, molti dei quali pensionati ed in età avanzata che dovrebbero recarsi in altri uffici per espletare servizi che fino adesso hanno potuto espletare con sufficiente comodità;
   bisogna ricordare, peraltro, come nell'area in questione i servizi pubblici di trasporto siano assenti e come non vi sia alcuna alternativa allo spostamento attraverso mezzi di trasporto privati;
   insistendo l'ufficio postale di Perrazze su una importante arteria di comunicazione, esso è utilizzato non solo da persone del posto, ma anche da molti che, trovandosi obbligatoriamente a passare per la frazione Perrazze, approfittano della sua collocazione –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di mantenere in vita l'ufficio postale di Perrazze. (4-08498)


   PALMIZIO. —Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Saipem (Società anonima italiana perforazioni e montaggi, facente parte del gruppo ENI), di Cortemaggiore in provincia di Piacenza, rappresenta una delle realtà storiche più importanti per il territorio regionale, sia dal punto di vista produttivo, che occupazionale, in quanto garantisce impiego per centinaia di addetti;
   nel dicembre 2014, sono circolate informazioni insistenti, su una prossima delocalizzazione degli impianti produttivi dello stabilimento, attraverso il trasferimento dei macchinari presso un nuovo sito produttivo situato nell'est Europa;
   nel gennaio 2015, le notizie ufficiose, sono state effettivamente confermate dai vertici aziendali, i quali hanno annunciato l'apertura di due nuovi stabilimenti produttivi, in Romania e in Croazia, rassicurando tuttavia i lavoratori piacentini sulla continuazione dell'attività nella medesima azienda di Cortemaggiore;
   ciononostante agli stessi operai, la dirigenza della Saipem ha deciso di rinnovare i contratti d'affitto utilizzati per gli alloggi, soltanto fino al prossimo giugno a causa della cessione della produzione e del conseguente impiego all'interno dell'azienda piacentina, stabilendo al contempo, il trasferimento degli impianti e dei macchinari in Romania, entro il 31 agosto 2015;
   l'interrogante evidenzia che il sindaco di Cortemaggiore, allertato dell'evoluzione negativa sul futuro dell'azienda, ha informato i vertici della regione Emilia Romagna, al fine di un rapido intervento risolutorio; tuttavia, attualmente non sembrano essere giunte risposte ufficiali da parte dei rappresentanti del medesimo ente locale;
   a tal fine, l'interrogante rileva come l'assenza di significativi interventi da parte delle autorità locali sia stata confermata anche da parte dell'assessore alle attività produttive, nel corso di una risposta ad una interrogazione, il quale (come riportato dal quotidiano La libertà l'11 marzo 2015) ad avviso dell'interrogante, si è dimostrato evasivo e superficiale sul futuro della Saipem e dei progetti ed investimenti che riguardavano l'azienda sul territorio magiostrino;
   la suesposta vicenda ove fosse confermata, desta a giudizio dell'interrogante, stupore e perplessità, sia con riferimento alle modalità con le quali i dipendenti dello storico stabilimento di Enrico Mattei, hanno ricevuto informazioni sul proprio destino occupazionale che si rivelano essere ambigue e indefinite e che evidenziano una scarsa considerazione da parte della società Saipem nei riguardi dei propri lavoratori, sia in relazione alla mancanza di una serie organizzazione della stessa azienda del gruppo Eni, nel pianificare l'eventuale progetto di delocalizzazione degli impianti verso siti produttivi nell'est Europa, senza prevedere al contempo adeguate rassicurazioni e tutele nei confronti dei lavoratori di Cortemaggiore;
   a tal fine, l'interrogante evidenzia come siano necessari, da parte dei Ministri interrogati, interventi urgenti finalizzati ad accertare quali siano le effettive intenzioni della Saipem di Cortemaggiore, sul futuro aziendale e soprattutto sul destino di centinaia di lavoratori piacentini, la cui eventuale perdita di lavoro rischia di determinare gravissime ripercussioni in ambito locale sulla tenuta sociale dell'intero territorio emiliano-romagnolo –:
   quali orientamenti intendano, esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se trovino conferma le intenzioni della Saipem, di una prossima chiusura dello stabilimento di Cortemaggiore e di una delocalizzazione degli impianti e dei macchinari in Romania e in Croazia;
   in caso affermativo, se non ritengano opportuno convocare in tempi rapidi, i vertici dell'azienda del gruppo Eni, unitamente alle rappresentanze sindacali dei lavoratori, attraverso l'istituzione di un tavolo tecnico, al fine di addivenire ad una soluzione condivisa, in grado di prevedere il proseguimento dell'attività produttiva dello stabilimento in precedenza richiamato;
   quali misure di competenza intendano intraprendere, al fine di tutelare i lavoratori dell'azienda piacentina, nel caso la Saipem decidesse la cessazione definitiva dell'attività produttiva a Cortemaggiore, le cui conseguenze rischiano di accrescere ulteriormente i pericoli e le distanze sulla tenuta e la coesione sociale all'interno della regione Emilia Romagna e del Paese, a causa dei livelli di crisi occupazionali ancora drammatici;
   quali iniziative normative, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano assumere, al fine di evitare il fenomeno della delocalizzazione delle imprese italiane all'estero ed in particolare nell'area dell'est Europa, causato dagli effetti depressivi della crisi economica e dall'elevata tassazione che grava sulle attività produttive del nostro Paese, il cui processo di trasferimento degli impianti oltre confine appare inarrestabile. (4-08503)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Almaviva, leader italiano nel campo dell’information and communication technology, viene fondato nel 1983. Nell'ambito del customer relationship management (CRM, call center) l'azienda opera attraverso la società Almaviva Contact spa presente sul territorio italiano con sedi a Palermo, Roma, Napoli, Milano, Catania e Rende;
   i lavoratori impiegati nel CRM italiano sono circa 10.000, per la maggior parte con contratti part time (circa 650 euro/mese) a tempo indeterminato e 1.500 lavoratori con contratti a progetto (circa 300 euro/mese), che vengono rinnovati, di norma, mensilmente. La sede di Palermo, che è nata nel 2001, impiega circa il 60 per cento del totale dei lavoratori del Gruppo, dislocati su due sedi operative: via Cordova e via Marcellini;
   a livello internazionale Almaviva Contact ha sedi in Brasile, USA, Cina, Colombia e Tunisia, dove sono impiegati oltre 23.000 lavoratori, che rispondono per clienti locali. In base a quanto previsto dal proprio statuto, Almaviva Contact ha deciso di non delocalizzare traffico italiano all'estero, e questa scelta virtuosa, non seguita dagli altri concorrenti, sta mettendo in serio pericolo la tenuta occupazionale del gruppo. In Italia, Almaviva Contact spa gestisce i servizi di customer care per i più importanti committenti telefonici (Wind, Tim, Fastweb, Vodafone); il call center della compagnia aerea Alitalia, oggi CAI; altri clienti quali SKY e Mediaset; servizi per la pubblica amministrazione (INPS, comune di Roma, comune di Milano, regione Toscana) e nell'ambito del settore energetico, ENEL, ENI, AMG gas. Nel 2006, in ottemperanza alla circolare cosiddetta Damiano, Almaviva ha stabilizzato, su tutto il territorio nazionale, 6.400 lavoratori a progetto con contratto part time a tempo indeterminato (circa 1.700 dei quali solo a Palermo);
   secondo quanto segnalato all'interrogante, negli ultimi anni in Italia, il settore delle telecomunicazioni ha risentito di un decremento dei ricavi e di fatturato che ha assunto un valore medio del 10-15 per cento. Gli effetti di tale contrazione sono stati scaricati tutti sull’outsourcing che recupera marginalità attuando processi di delocalizzazione. Nel caso delle telecomunicazioni il servizio pubblico di telecomunicazioni viene affidato dallo Stato in concessione ad operatori privati. Non è ben chiara la ragione per cui un'attività che ha una esclusività pubblica nazionale con dinamiche prodotte esclusivamente sul territorio italiano venga invece lavorata su territori addirittura fuori dall'eurozona, così come non è chiaro dove e da chi vengano pagate le tasse di un servizio pubblico italiano;
   lo spostamento di quote di mercato in lingua italiana all'estero (come, per esempio, in Albania e Romania), dove il costo del lavoro è di gran lunga più basso di quello italiano, e, soprattutto, l'assenza di regole certe sulle gare di appalto hanno fatto sì che nel solo anno 2014 Almaviva Contact perdesse due importanti commesse: comune di Milano e comune di Roma;
   secondo quanto segnalato all'interrogante, inoltre, nelle ultime settimane, il futuro lavorativo di 1.500 dipendenti a tempo indeterminato e di 200 lavoratori a progetto è messo fortemente a rischio dall'ennesima gara tecnica che si sta trasformando in gara al massimo ribasso che vede coinvolta la compagnia telefonica Wind. Si tratta di gare d'appalto che spesso, non tenendo conto dei minimi contrattuali previsti dal contratto collettivo nazionale di lavoro delle telecomunicazioni, vengono sistematicamente vinte da aziende che, per ribassare i costi, spostano parte, se non tutto, il lavoro all'estero;
   sempre secondo quanto segnalato all'interrogante, i lavoratori di Almaviva Contact di tutte le sedi italiane già da tre anni hanno visto ridurre il proprio salario con la sottoscrizione di accordi di fruizione degli ammortizzatori sociali, in particolare contratti di solidarietà, ma la situazione generale non registra miglioramenti di sorta;
   nel giugno 2014, a seguito delle ripetute azioni sindacali, il Governo ha avviato, presso il Ministero dello sviluppo economico, un tavolo di crisi per il settore. In tale occasione le organizzazioni sindacali hanno evidenziato come il recepimento (a loro parere errato diversamente da quanto avvenuto in altri Paesi a causa della mancata estensione delle tutele previste dall'articolo 2112 del codice civile) della direttiva europea 2001/23/CE sulla tutela dei lavoratori nei cambi d'appalto determini in Italia un vuoto normativo che è causa – sempre nell'opinione delle organizzazioni sindacali – di crisi occupazionali create, ad hoc, esclusivamente per ridurre il salario dei lavoratori e ridimensionarne i diritti;
   tutto ciò, grazie anche all'entrata in vigore del cosiddetto jobs act, in uno scenario in cui i contribuenti si troveranno a pagare due volte, in ammortizzatori sociali e in incentivi alle assunzioni, per non creare neanche un posto di lavoro nuovo ma semplicemente per spostare, sul territorio quello già esistente;
   peraltro, sempre secondo quanto segnalato all'interrogante, dai controlli degli ispettori ministeriali scaturiti dal tavolo di crisi del Ministero dello sviluppo economico, si evincono numerose irregolarità nel settore circa l'applicazione dell'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012 che prevede la possibilità di scelta, da parte dell'utente finale, di essere gestito da un operatore italiano o meno e che in caso di chiamata da parte di un call center l'utente deve essere preliminarmente informato sul Paese estero in cui l'operatore sia eventualmente collocato, così come già denunciato dall'interrogante con l'interrogazione a risposta scritta n. 4-06019 pubblicata in allegato al resoconto della seduta n. 290 di lunedì 15 settembre 2014 e ancora senza risposta nonostante il decorso del termine previsto dall'articolo 134 del Regolamento della Camera;
   da tempo, in effetti, viene da più parti rivendicata attenzione su questa normativa spesso disattesa dai committenti e, mentre si attende ancora di vedere applicate le sanzioni previste (10.000 euro al giorno), il Garante della privacy italiano, invece, secondo quanto segnalato all'interrogante, stipula un accordo con il Governo albanese finalizzato all'equiparazione delle disposizioni in materia che, di certo, non va nella direzione della salvaguardia del lavoro all'interno del territorio italiano e che all'interrogante appare, in realtà, come una beffa;
   alla luce di quanto esposto, risulta evidente all'interrogante come in Italia, anziché premiare le aziende che puntano sulla ricerca, l'innovazione e lo sviluppo e che provano a competere sulla qualità e nel rispetto delle norme, si agevolano, invece, gli imprenditori che mirano a scaricare i costi esclusivamente sui lavoratori;
   pertanto, è ormai urgente e non più rinviabile affrontare in maniera organica i problemi che rischiano di mandare al collasso un settore, quale quello dei call center, che in Italia vede impiegati circa 80.000 addetti con contratto a tempo indeterminato ed altrettanti con contratto di collaborazione a progetto;
   si auspica che l'appello non cada nel vuoto e che alle promesse seguano atti concreti e soluzioni tempestive perché non ci si può permettere di perdere un solo posto di lavoro ed i tempi sono ristrettissimi –:
   se ai Ministri interrogati risulti che vi sia una corretta applicazione della normativa sopra citata;
   se i Ministri interrogati non ritengano di dover assumere iniziative per l'istituzione di un sistema di vigilanza e controllo sull'attuazione della normativa citata, al fine di renderne più efficace l'applicazione;
   in quale modo i Ministri intendano proseguire nella conduzione dei tavoli di crisi aperti;
   quali azioni intendano intraprendere i Ministri interrogati al fine di garantire il mantenimento dei livelli occupazionali.
(4-08509)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Famiglietti e altri n. 1-00685, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 dicembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vico.

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  La interrogazione a risposta in Commissione Mucci e altri n. 5-05043, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Quintarelli, Catalano.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Polverini n. 4-08493, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 395 del 19 marzo 2015.

   POLVERINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
   le cronache dei giornali hanno ampiamente riportato le disavventure imprenditoriali di Alberto Veneruso che nel 1996, a seguito della morte del padre, assume le redini delle aziende di famiglia – la Permaflex (famosa azienda di materassi) e la Aviointeriors (nota azienda metalmeccanica che opera nei settori aeronautici e ferroviari) –, iniziando un cammino che ben presto porterà al fallimento della Permaflex e alla chiusura, con relativo fallimento, della Rail Interiors/After, società di interni ferroviari, nata come separazione del comparto ferroviario di Aviointeriors;
   il cammino prosegue con il fallimento della reindustrializzazione del sito ex Good-Year, attraverso la società Meccano Aeronautica, nonostante importanti finanziamenti pubblici;
   per quanto riguarda la società Aviointeriors srl la situazione è più complessa avendo subito dei cambi societari attraverso cessioni di rami d'azienda e scissioni relative, passando attraverso società che si chiamano AvioFin, Agw anch'esse entrambe fallite;
   attualmente la Aviointeriors, nata da una scissione nel febbraio 2011, è la risultanza della cosiddetta «Galassia Veneruso»;
   la crisi attuale di una fabbrica come Avio parrebbe legata ad una cattiva gestione aziendale non adeguata di un settore che ha allontanato, proprio per motivi reputazionali, aziende come, Airbus, Boeing, ATR;
   invece, il settore è in fortissima crescita e tutte le aziende collegato ad esso vivono momenti di grande espansione creando valore e posti di lavoro mentre a Latina un piccolo «gioiello» come Aviointeriors resta ferma al palo e rischia di chiudere –:
   quali urgenti iniziative intenda porre in essere per appurare l'esistenza dei requisiti previsti dalla normativa vigente in merito alla procedura di mobilità nel frattempo avviata dall'azienda in questione in maniera, ad avviso dell'interrogante, del tutto illegittima e se non intenda intervenire con tutti gli strumenti più opportuni per tutelare centinaia di posti di lavoro in una provincia già interessata da preoccupanti cali dei livelli occupazionali e da preoccupanti crisi aziendali, mantenendo al contempo viva una realtà aziendale altrimenti irrecuperabile in un settore in forte espansione. (4-08493)

Ritiro di un documento di sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Gianluca Pini n. 4-08374 dell'11 marzo 2015.