Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 31 marzo 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la Carta di Milano, vuoi essere un «patto sul cibo» da consegnare al pianeta per vincere la sfida alimentare globale. Una reale assunzione di responsabilità da parte degli Stati e dei cittadini del mondo per garantire il diritto a un cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti;
    la Carta nasce dalla sintesi di un percorso di ricerca, di confronto, di idee e di culture sul tema di Expo 2015 «Nutrire il Pianeta, energie per la vita», avviato da Laboratorio EXPO fin dal 2013 e proseguito in vari incontri, fino all'evento organizzato il 7 febbraio 2015 a Milano «Expo delle Idee» articolato in 42 tavoli di lavoro suddivisi in quattro percorsi di studio: le dimensioni dello sviluppo tra equità e sostenibilità, la cultura del cibo, l'agricoltura gli alimenti e la salute per un futuro sostenibile, la città umana e i futuri possibili tra smart e slow city;
    la versione finale della Carta verrà presentata al pubblico il 28 aprile 2015; il testo sarà, poi, condiviso il 4 giugno con i Ministri dell'agricoltura dei 147 Paesi partecipanti ad Expo 2015 e, infine, il 16 ottobre il documento verrà consegnato al segretario generale dell'Onu Ban ki-moon, in occasione della sua visita all'Expo;
    la Carta rappresenta un percorso bottom-up, ovvero dal basso verso l'alto: essa, infatti, vedrà protagonisti i cittadini, la società civile e le imprese che saranno chiamate, dal 1o maggio, a sottoscrivere la Carta assumendosi la responsabilità di dare attuazione a precisi impegni. La Carta, infatti, conterrà una serie di impegni per cittadini, società civile e imprese contro lo spreco alimentare, per l'alimentazione sostenibile, per il diritto alla nutrizione, contro l'uso scorretto del suolo e delle risorse naturali. Saranno poi i cittadini, la società civile e le imprese a chiedere ai Governi e ai Parlamenti di tutto il mondo di assumere ulteriori impegni, giuridici e politici, puntualmente indicati dalla Carta;
    in questo senso la Carta rappresenta un modello del tutto innovativo di «protocollo» per il cibo: non sono i Governi a imporre dall'alto gli impegni, ma sono cittadini, società civile e imprese a impegnarsi in prima persona e a chiedere ai Governi di impegnarsi per raggiungere gli obiettivi del Millennio;
    sostenendo la Carta di Milano, il Governo italiano fa propria la sfida di un sistema alimentare globale sostenibile attraverso azioni mirate a combattere lo spreco di cibo, favorire l'agricoltura sostenibile e contrastare fame e obesità. La strada da percorrere è indicata dalle parole di Maurizio Martina, Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali con delega a Expo 2015: «La principale eredità di Expo è di contenuto, e l'Italia darà anima al grande tema Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita con la Carta di Milano, un protocollo per tutti i Paesi che decideranno di aderirvi e che in autunno arriverà a New York nella sede Onu per la definizione dei nuovi Obiettivi del Millennio». Un'eredità, dunque, di contenuto e di sostanza: immateriale nella sua definizione ma concreta, operativa e tangibile nella sua attuazione;
    secondo la Commissione europea la produzione e il consumo di cibo generano il 20-30 per cento di tutti gli impatti ambientali dell'Europa, il 17 per cento delle emissioni di gas serra, il 28 per cento di consumo di risorse materiali, e altri impatti come consumo di suolo, perdita di biodiversità, deforestazione. Negli ultimi anni, inoltre, il settore agro-alimentare è divenuto terreno di numerose illegalità gestite anche dalla criminalità organizzata. Ma l'agricoltura può in realtà divenire un'importante prospettiva di futuro per il nostro pianeta, sul piano economico e ambientale, ma anche culturale e sociale. Questo è possibile se si riscopre e si coltiva una relazione stretta fra cibo e produzione, se sono valorizzate e privilegiate le numerose pratiche agricole sostenibili, che da anni dimostrano di essere efficaci e di rappresentare una valida alternativa, se si favorisce la diffusione di un modello di agricoltura multifunzionale;
    il cibo che si mangia, il modo in cui lo si produce, gli effetti sul nostro pianeta. Questi sono i temi di Expo 2015 e su questi temi tutto il mondo è chiamato a dare un contributo. Expo è un incrocio di culture. Fin dalla prima edizione londinese del 1851, le Expo servono soprattutto a questo: fare incontrare culture, etnie e comunità nazionali. A Milano ci saranno rappresentanti di 147 Pesi e turisti da tutto il mondo;
    per la prima volta nella storia delle Esposizioni universali, i Paesi partecipanti verranno raggruppati, anziché per criteri geografici, secondo identità tematiche e filiere alimentari. Sono nove i cluster telematici presenti a Expo Milano 2015: riso, cacao, caffè, frutta e legumi, spezie, cereali e tuberi, bio-Mediterraneo, isole mare e cibo, zone aride. Al loro interno saranno visitabili aree comuni – mercato, mostra, eventi, degustazioni – e spazi espositivi individuali, in cui ciascun Paese interpreterà a modo proprio i temi dell'Esposizione;
    se si guarda al sistema alimentare globale ci si accorge di tre grandi paradossi del nostro tempo riguardanti il cibo: a fronte di un numero elevatissimo di persone che non vi hanno accesso, un terzo della produzione nel mondo è destinato ad alimentare gli animali e una quota crescente dei terreni agricoli è dedicata alla produzione di biocarburanti per alimentare le auto. E a fronte di quasi un miliardo di persone al mondo che patiscono la fame o sono malnutrite, circa un miliardo e mezzo soffre le conseguenze dell'eccesso di cibo, aumentando il rischio di diabete, tumori e patologie cardiovascolari. Ogni anno si registrano 36 milioni di decessi per assenza di cibo e 29 milioni di decessi per eccesso di cibo, 144 milioni di bambini sono sottopeso, 155 milioni di bambini sono obesi o in sovrappeso. Infine, ogni anno viene sprecato un terzo della produzione alimentare globale, per un totale di circa 1.3 milioni di tonnellate all'anno, una quantità che sarebbe sufficiente a nutrire quasi un miliardo di persone che soffrono la fame o sono malnutrite. Nei Paesi in via di sviluppo le perdite più significative si concentrano nella prima parte della filiera agroalimentare, soprattutto a causa dei limiti nelle tecniche di coltivazione, raccolta e conservazione, o per la mancanza di adeguate infrastrutture per il trasporto e l'immagazzinamento. Nei Paesi industrializzati la quota maggiore degli sprechi avviene nelle fasi finali della filiera agroalimentare (consumo domestico e ristorazione, in particolare);
    compito di Expo è fornire una valida risposta alla domanda se la crescita esponenziale dell'accaparramento delle terre (land grabbing), l'intensificazione dell'agricoltura mediante un eccessivo input di fertilizzanti e pesticidi, l'introduzione di organismi geneticamente modificati, siano gli unici strumenti che si hanno per sfamare il mondo oppure se sia nostro dovere, in primo luogo, rendere l'intera filiera del cibo, dalla produzione alla trasformazione e consumo inclusi stili di vita alimentari, più efficiente e sostenibile;
    di «ritorno alla terra» in Italia si parla ormai da diversi anni. La crisi e la disoccupazione spingono i più giovani a cercare nuove strade: anche in professioni, quelle agricole, che fino a qualche anno fa erano snobbate e considerate un retaggio del passato. È un fenomeno ancora marginale da un punto di vista numerico, ma che porta nuova linfa – e nuove competenze – nell'agricoltura italiana e che va seguito con attenzione;
    in tale contesto si segnala l'importanza del progetto, WE-Women for Expo, che parla di nutrimento mettendo al centro la cultura femminile, con la convinzione che la sostenibilità del pianeta passa attraverso una nuova alleanza tra cibo e cultura e che le artefici di questo nuovo sguardo e nuovo patto per il futuro debbano essere le donne;
    l'acqua è destinata a diventare una risorsa strategica quanto il petrolio, se non di più. Già oggi la scarsità d'acqua colpisce circa 1,2 miliardi di persone in ogni continente, e altre 500 milioni di persone si troveranno presto a fare i conti con la siccità a causa del cambiamento climatico. Il consumo d'acqua potabile è cresciuto a velocità doppia rispetto alla crescita della popolazione nell'ultimo secolo. La produzione di cibo è in assoluto uno dei fattori che incidono di più sul consumo d'acqua potabile, e ridurre l'impronta idrica degli alimenti è una priorità strategica;
    senza ricerca non c’è futuro, anche nel settore agroalimentare. La Carta di Milano è l'occasione per definire strategie di sviluppo scientifico dalla pesca sostenibile al consumo di suolo, dalle biotecnologie all'agricoltura di precisione, dagli OGM alla gestione degli scarti alimentari, dal food packaging al food-print;
    a fine 800 esistevano circa 8000 varietà di frutta. Oggi ce ne sono meno di 2000. Le motivazioni sono diverse: l'industrializzazione dei processi produttivi, il cambiamento climatico e quello delle abitudini alimentari. Le varietà sopravvissute sono quelle più convenienti da produrre e più adatte al trasporto. È necessario sostenere tutti quei processi che favoriscono il ritorno ad un maggiore biodiversità. La biodiversità comprende la vita in tutte le sue forme e implica la centralità della tutela di tutte le specie viventi sulla terra. L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha sancito il valore di tale patrimonio nel 1992 – a Rio De Janeiro – siglando la convenzione sulla diversità biologica. Quando si rinuncia alla biodiversità in agricoltura si corrono gravi rischi perché si rende facile la vita dei parassiti e si mettono a repentaglio intere filiere produttive;
    la sicurezza alimentare è una questione complessa che coinvolge l'intera filiera agro-alimentare. Attiene ai rischi diretti e indiretti per la salute pubblica connessi a cibi, mangimi e materiali a contatto; ma anche alle contraffazioni, alla tracciabilità, alle etichettature. Nonostante i piani nazionali integrati e gli accordi comunitari, le sfide da affrontare sono ancora difficili e richiedono soluzioni globali;
    l'educazione alimentare è senza dubbio un investimento importante per il futuro. Tutti gli studi dimostrano come un'alimentazione corretta sia il principale alleato nella prevenzione di malattie cardiovascolari e tumori, le malattie da cui deriva la maggior parte della spesa sanitaria;
    in tale contesto la dieta mediterranea, patrimonio culturale immateriale dell'Unesco, è un vero e proprio stile di vita che incorpora saperi, sapori, elaborazioni, prodotti alimentari, coltivazioni e spazi sociali legati ai territori. Proprio per valorizzare i valori legati alla dieta mediterranea e rivendicare una sorta di «orgoglio mediterraneo», l'EXPO, su proposta del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali italiano, dedicherà una settimana di incontri, dibattiti, sperimentazioni alla «Dieta mediterranea patrimonio dell'Umanità UNESCO», dal 14 al 20 settembre 2015;
    le indicazioni geografiche DOP (denominazione di origina protetta) e IGP (indicazione geografica protetta) sono strumenti fondamentali per tutelare il made in Italy. I prodotti DOP e IGP italiani, infatti, rappresentano il 40 per cento dell'intera produzione a denominazione comunitaria, con un fatturato complessiva alla produzione di circa 7 miliardi di euro;
    dal falso olio extravergine di oliva ai prodotti Italian sounding che abbondano sui mercati internazionali: la contraffazione dei prodotti alimentari è una minaccia per la sicurezza dei consumatori e un danno per le imprese del settore, in particolare quelle che operano sui prodotti di alta qualità;
    dalle mozzarelle ai terreni agricoli, dai ristoranti all'autotrasporto, il business dell'agromafia fattura in Italia circa 14 miliardi di euro, trovando terreno fertile proprio nel tessuto economico indebolito dalla crisi, e offrendo alla criminalità organizzata un appetibile strumento per riciclare denaro frutto di attività criminose;
    la creazione di un modello di consumo e produzione sostenibili necessita di un intervento globale in cui le azioni dei Governi e delle istituzioni siano tese alla protezione e alla conservazione delle risorse del pianeta, allo sviluppo sostenibile, ad un uso efficiente delle risorse, alla lotta contro la fame e ad affermare il diritto alla sicurezza alimentare per tutti gli abitanti del pianeta ed è importante che la Carta di Milano sia il luogo d'assunzione di impegni di buone pratiche e modelli sostenibili in termini di politiche agricole,

impegna il Governo:

   ad assumere il diritto al cibo come un diritto fondamentale anche valutando l'opportunità di adottare iniziative per inserirlo nella Carta costituzionale;
   ad adoperarsi affinché la Carta di Milano sancisca un «patto per il cibo» che sia una reale assunzione di responsabilità da parte degli Stati per garantire il diritto a un cibo sano, sicuro e sufficiente per tutti, prevedendo, in particolare, i seguenti impegni:
    a) individuazione di un meccanismo che permetta ai Governi e ai sistemi di produzione, trasformazione e commercializzazione della filiera agroalimentare il raggiungimento di risultati dichiarati in modo esplicito e trasparente, prevedendo ad esempio che ogni singolo Paese sia tenuto a comunicare le finalità che intende raggiungere e gli obiettivi realizzati nell'ambito dei rapporti Ocse in modo che possano essere monitorati e giudicati dai cittadini;
    b) contenimento e riduzione del consumo di suolo in modo da limitarne l'impermeabilizzazione ed incremento delle food policies in modo da concentrare l'attenzione sulle funzioni ambientali ed agricole del suolo piuttosto che sugli usi urbanistici, per il contrasto al dissesto idrogeologico e per la produzione di cibo;
    c) incremento delle risorse per la ricerca scientifica ed applicata in agricoltura, per sviluppare modelli di adattamento delle colture ai cambiamenti climatici e per i migliorare la produttività agricola nell'ambito della biodiversità, con particolare riguardo alle principali colture euro-mediterranee;
    d) predisposizione di politiche agricole a sostegno dell'agricoltura contadina familiare, dei modelli di aziende biologiche, degli agricoltori che lavorano in modo ecosostenibile, e dei piccoli agricoltori locali che consentano il recupero e la coltivazione dei prodotti tradizionali, che preservino la biodiversità e la varietà delle sementi, delle reti di acquisto di prodotti a chilometro zero, e che migliorino le condizioni sociali ed economiche dei piccoli agricoltori;
    e) promozione dell'agricoltura urbana attraverso l'impulso alla creazione di orti urbani e di spazi destinati alla coltivazione assegnati dai comuni in comodato ai cittadini;
    f) implementazione delle esperienze di agricoltura sociale e degli aspetti connessi alla multifunzionalità agricola e delle politiche connesse al ricambio generazionale e al sostegno delle donne in agricoltura, anche attraverso l'istituzione a tale scopo di banche dati nazionali delle terre incolte e abbandonate;
    g) promozione di azioni educative nella scuola sulla base o tre assi principali: quali cibi figurano nella dieta; cosa e quanto si spreca in particolare come consumatori finali, ma anche durante l'intera filiera; come si produce (rispetto agli impatti sulle risorse naturali e sulla salute);
   in considerazione delle dimensioni assunte dal fenomeno dello spreco alimentare e soprattutto dalla portata dei suoi impatti, a sostenere le azioni necessarie a contrastare il fenomeno ed in particolare;
   a dare un significato univoco ai termini food losses e food waste ed armonizzare a livello internazionale la raccolta dei dati statistici;
   a comprendere le ragioni degli sprechi alimentari nelle varie filiere agroalimentari e a valutarne meglio gli impatti;
   ad investire prima nella riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari e poi sul loro recupero; 
   ad avviare iniziative di recupero degli sprechi non ancora eliminati attraverso la distribuzione a persone svantaggiate, e l'impiego come mangime o, come ultima alternativa, per la produzione di bioenergia;
   a favorire lo sviluppo di accordi di filiera tra agricoltori, produttori e distributori per una programmazione più corretta dell'offerta alimentare;
   a rendere il consumatore consapevole dello spreco e a insegnargli come rendere più sostenibili l'acquisto, la conservazione, la preparazione e lo smaltimento finale del cibo;
   ad istituire la «settimana della dieta mediterranea» coinvolgendo scuole, enti di ricerca, soggetti pubblici e privati, al fine di diffondere, sensibilizzare l'opinione pubblica e far conoscere la cultura del mangiare mediterraneo e i suoi effetti benefici non solo sulla salute ma anche sui territori, sul paesaggio, sulla biodiversità agricola;
   ad individuare le possibili modifiche, nell'ambito dell'Unione europea alle direttive in materia di appalti pubblici, prevedendo, misure premiali per le aziende biologiche nell'affidamento dei servizi di ristorazione nelle mense scolastiche.
(1-00769) «Speranza, Dellai, Oliverio, Sani, Fregolent, Martella, Luciano Agostini, Antezza, Anzaldi, Capozzolo, Carra, Cenni, Cova, Dal Moro, Fiorio, Lavagno, Marrocu, Mongiello, Palma, Prina, Romanini, Taricco, Tentori, Venittelli, Zanin, Fauttilli».


   La Camera,
   premesso che:
    la crisi economica evidenzia ogni giorno di più l'esigenza di una rinnovata e prioritaria attenzione, in particolare per il Sud, ai problemi dell'occupazione, del lavoro, dei redditi e dell'impresa;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'attuale politica governativa, per molti aspetti sembra non abbia ancora una strategia indirizzata al miglioramento e all'innovazione del contesto, con un evidente vuoto d'iniziativa che emerge come grave di fronte ad una crisi che colpisce particolarmente l'economia meridionale dispiegando effetti drammatici, anche se talvolta meno visibili a causa della frammentazione del tessuto imprenditoriale e del peso dell'economia cosiddetta a-legale, sospesa tra sommerso e illegalità;
    a fronte di questa situazione disastrosa l'impegno del Governo per il Mezzogiorno sembrerebbe racchiuso nell'unica promessa del raccordo dei fondi strutturali, cosa di per sé positiva ma del tutto insufficiente a risolvere l'enorme problema;
    v’è sovente inefficienza o vero e proprio spreco nel mancato utilizzo delle risorse europee per le regioni del Sud. Ma è noto anche che non basta mettere in elenco le risorse dei fondi europei per risolvere la questione perché i dati che sono sotto gli occhi di tutti non possono essere modificati con le semplici buone intenzioni, né con la sola stigmatizzazione delle regioni inadempienti. Occorre viceversa comprendere che la crisi del Mezzogiorno è la crisi dell'intero Paese e occorre agire di conseguenza con interventi urgenti e prioritari;
    al Sud vi è un gap infrastrutturale, in termini di trasporti, logistica, ricerca e innovazione, rispetto al resto del Paese; le conseguenze della presenza delle associazioni mafiose nel Mezzogiorno si intrecciano in modo complesso con l'economia del Sud, stravolgendo le regole del «fare impresa» e scoraggiando gli investimenti stranieri, oltre che creando un grave e indiscusso disagio sociale. Tutto ciò appare paradossale se solo si pensa che ogni iniziativa di carattere pubblico adottata nella storia repubblicana in favore del Sud va regolarmente a patire gli effetti della corruzione e dello sperpero. A tal proposito è opportuno fare appena cenno a quanto accaduto negli ultimi decenni: il Sud ha fruito, infatti, dapprima dei fondi della Cassa per il Mezzogiorno, durata dal 1950 al 1992, la quale dal 1957 in avanti erogò contributi a fondo perduto e crediti agevolati. Nel primo ventennio circa di attività la Cassa per il Mezzogiorno sembrò funzionare, ma la qualità del suo servizio andò progressivamente declinando mano a mano che i partiti invadevano e inquinavano la vita pubblica. La Cassa per il Mezzogiorno tramontò malinconicamente, abbandonata agli scandali e rappresentò uno dei più gravi esempi di corruzione e di interrelazione fra affari, politica e malavita nel Sud;
    poi fu la volta dei fondi della legge n. 488 del 1992, oggetto di frodi e di truffe fino alla sua conclusione avvenuta nel 2008. La legge n. 488 del 1992 è stata lo strumento attraverso il quale il Ministero delle attività produttive aveva messo a disposizione delle imprese che intendevano promuovere programmi di investimento, nelle aree depresse, agevolazioni sotto forma di contributi in conto capitale («a fondo perduto»);
    nel frattempo si erano aggiunti i fondi europei, destinati dall'Unione europea alle politiche di coesione, ma anche questi non hanno fatto una fine migliore. La sintesi migliore la offrì il Governatore della Banca d'Italia pro tempore Draghi nelle «considerazioni finali» di una delle sue relazioni in Banca d'Italia: «Il Mezzogiorno ha goduto in questo decennio (1998-2008) di fondi paragonabili per entità a quelli dell'intervento straordinario e che equivalevano a circa 45 miliardi di euro o a quasi tre punti di PIL». E tuttavia non esiste evidenza di vantaggi visibili;
    un esempio su tutti è quello legato al capitolo di spesa privilegiato dalla riprogrammazione dei programmi della convergenza, ossia dell'Agenda digitale europea: 1.140 milioni di euro destinati agli investimenti nel Sud per la banda ultra larga, 118,9 milioni di euro per la banda larga fino a 2 mega, 320 milioni di euro per i data center;
    allo stesso modo si rammentano i 1.242 milioni di euro destinati esclusivamente alle quattro regioni obiettivo convergenza (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia), o i 142 milioni di euro per il credito di imposta per l'occupazione, o ancora le risorse per la rete dei trasporti, cui erano stati assegnati 1,2 miliardi di euro: per strade (866 milioni di euro) e aeroporti (28 milioni di euro);
    ma la sequenza di interventi che tardano a dispiegare effetti non finisce qui: si pensi alla legge n. 191 del 2009 che ha previsto la nascita di una banca con l'obiettivo di finanziare progetti di investimento nel Mezzogiorno, di erogare credito alle piccole e medie imprese, di favorire la nascita di nuove imprese e l'imprenditorialità giovanile e femminile, nonché di promuovere l'aumento dimensionale e l'internazionalizzazione di tali imprese, di finanziare attività di ricerca e innovazione, il tutto come detto, nelle regioni del sud Italia. Per questo motivo, il 1o agosto 2011 Poste Italiane spa aveva acquisito, per 136 milioni di euro, il 100 per cento di Unicredit Mediocredito Centrale e, pertanto, da settembre 2011, la nuova denominazione societaria è Banca del Mezzogiorno – Mediocredito Centrale spa operativa dal 2 febbraio 2012;
    tuttavia anche in questo caso, nonostante siano i soldi pubblici a sostenere l'impresa, non pare che detto strumento abbia dato respiro alle piccole e medie imprese del Sud. Nel corso della XVII legislatura sono stati già presentati diversi atti di sindacato ispettivo nei quali vengono richiesti i dettagli delle erogazioni della Banca del Mezzogiorno perché sovente destinati a gruppi industriali estranei alla «mission» meridionalista dell'istituto finanziario;
    da tali esperienze consegue che, per uscire dall'angolino dove la storia lo ha confinato, il Mezzogiorno ha bisogno di buona amministrazione, di correttezza, di lungimiranza e non di farsesche vicende di comuni, di municipalizzate e di privilegi regionali;
    è fondamentale che lo Stato rafforzi la propria presenza in tali territori, consolidando i tribunali, presidio di legalità e freno alla criminalità; occorre un intervento capace di promuovere sviluppo ed occupazione nel Mezzogiorno, al fine di favorire la ripresa dell'economia meridionale, come base per la crescita e lo sviluppo dell'intero Paese anche favorendo, sin dall'età scolare, percorsi educativi volti a stimolare un cambio culturale che determini già in età giovanile l'educazione all'impresa. In questo momento di crisi molte imprese sono costrette alla chiusura, non rientrando nei parametri degli studi di settore e il complesso scenario economico italiano, aggravato dalle conseguenze della crisi finanziaria, pone ancora una volta in primo piano la questione di un Paese con due differenti velocità di sviluppo: nel Mezzogiorno si produce solo un quarto del prodotto interno e si genera soltanto un decimo delle esportazioni italiane;
    il Mezzogiorno italiano è ancora privo di quella rete di infrastrutture essenziale per lo sviluppo e negli ultimi anni si è avvertita l'assenza, nei programmi di Governo, di un respiro strategico, volto a ridurre il gap economico, infrastrutturale e sociale del Sud;
    come già descritto nel presente atto di indirizzo, per lungo tempo si è assistito alla distorsione delle risorse destinate al Sud perché oggetto ora di dissennati tagli operati sulla dotazione del fondo per le aree sottoutilizzate per finanziare interventi di diversa natura o fatti oggetto di corruttela o non sempre corrispondenti a finalità di sviluppo e quasi sempre non localizzati nel Mezzogiorno. Ed invece il Meridione, grazie alla posizione geografica ed alla dotazione di porti e aeroporti, potrebbe svolgere un ruolo di cerniera negli scambi commerciali tra Europa, Mediterraneo e Paesi del far East e raccogliere le nuove opportunità del contesto competitivo internazionale;
    altresì si consideri che oltre un terzo dei laureati del Mezzogiorno under 34 è inattivo e la differenza con le regioni settentrionali diventa enorme se si considera il tasso di inattività dei diplomati under 34; i tassi di scolarizzazione in Italia presentano divari sfavorevoli al Meridione e sono accompagnati da un parallelo aumento del tasso di abbandono, dovuto alle condizioni di degrado sociale e familiare. Negative sono anche le evidenze in termini di «qualità» della formazione, dal momento che gli studenti meridionali che terminano la loro carriera accademica hanno maggiori difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro. Si genera così un ampio fenomeno migratorio dei «cervelli» che lasciano le regioni del Sud, provocando un depauperamento del capitale umano disponibile;
    il sistema produttivo del Mezzogiorno è legato a fattori strutturali di debolezza che riguardano le dimensioni piccole o piccolissime delle imprese di quest'area, spesso a gestione familiare, operanti prevalentemente in settori a basso valore aggiunto e con una conseguente scarsa propensione a investire nell'innovazione e in ricerca e sviluppo; inoltre, come già detto, permane una forte presenza della criminalità organizzata, che tenta di infiltrarsi nei grandi appalti per opere pubbliche e tenta di condizionare l'attività di impresa, e della microcriminalità che peggiora la qualità della vita nei centri urbani, aumentando il disagio sociale;
    eppure il Sud avrebbe modo di risollevare le sorti occupazionali già solo attraverso l'industria del turismo, tuttavia i dati relativi al turismo nel Meridione sono paradossali: su 100 stranieri che visitano l'Italia, meno di uno va in Calabria (0,9 per cento per chi ama l'esattezza), ancora meno in Molise. In Basilicata si raggiunge lo 0,1 per cento e in Abruzzo lo 0,6 per cento. Sommando le otto regioni meridionali, includendo Sicilia e Sardegna, si arriva al 13,2 per cento. Fa di più il solo Trentino Alto Adige, con il 14,2 per cento. Le politiche del turismo sono pertanto fallimentari;
    vari studi hanno tentato di quantificare, in termini di ritorno economico e occupazionale, lo sviluppo turistico del Sud anche per sollecitare un cambiamento culturale in tal senso ma nulla sembra essersi modificato in questi anni e la causa non è la mancanza di fondi (le recenti difficoltà del Programma operativo interregionale «Attrattori culturali, naturali e turismo» confermano che le criticità sono spesso politiche): i contributi europei arrivati al Sud non hanno generato virtuose sinergie tra destinazioni, operatori e investitori esterni, né hanno dato vita a poli di eccellenza che potessero «contaminare» positivamente i territori;
    è necessario promuovere lo sviluppo sostenibile del territorio e coniugare il tutto con le imprescindibili logiche di mercato del turismo che impongono prodotti, servizi e infrastrutture in grado di far fronte a una domanda che ha sempre più alternative a disposizione. Occorre selezionare, previa individuazione, le strutture, i siti e i beni di più grande interesse siti nel Meridione e abbandonati a sé stessi – ve ne sono di innumerevoli – e procedere per la loro valorizzazione sul piano nazionale;
    il drastico calo di investimenti pubblici dovuti ad una riduzione della spesa in conto capitale pari a circa 5 miliardi di euro (periodo 2009-2013) ha fatto tornare i livelli degli investimenti pubblici e privati ai dati del 1996;
    l'articolo 12 del decreto-legge n. 133 del 2014, cosiddetto «sblocca Italia», convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014, interviene di nuovo sulla materia della spesa dei fondi comunitari. Si affidano nuove funzioni al Presidente del Consiglio dei ministri al fine di accelerare l'impiego delle relative risorse ed evitare il rischio di incorrere nell'attivazione delle sanzioni comunitarie;
    va detto che una ragione rilevante dell'incapacità di spesa consiste nel patto di stabilità comunitario. La quota dell'Unione europea non si riesce a spendere perché le regioni, in particolare quelle del Sud, non possono mettere a bilancio le risorse di cofinanziamento, altrimenti sforerebbero il patto di stabilità;
    nel vertice sul lavoro del 9-10 ottobre 2014 l'Italia ha avanzato la proposta di escludere dal calcolo del deficit il cofinanziamento nazionale dei fondi europei;
    il sistema produttivo del Mezzogiorno evidenzia limiti di debolezza strutturali che riguardano le dimensioni piccole o piccolissime delle imprese di quest'area, spesso a gestione familiare, operanti prevalentemente in settori a basso valore aggiunto e con una minima propensione a investire nell'innovazione, nella ricerca e nello sviluppo;
    il sistema produttivo ed in generale tutto il tessuto economico, inoltre, sono fortemente compromessi dalla presenza della criminalità organizzata, che pervade il territorio infiltrandosi in ogni tipo di realtà;
    il tasso di scolarizzazione continua a presentare rilevanti criticità le quali continuano ad incidere per oltre il 13 per cento in regioni come la Basilicata e la Calabria cui si collega anche il fenomeno dell'abbandono scolastico dovuto alle condizioni di degrado sociale e familiare;
    occorre un rilancio del settore turistico nonché la valorizzazione del patrimonio storico monumentale del Mezzogiorno, riconoscendo un grande significato e considerando una grande opportunità la nomina di Matera capitale europea della cultura nel 2019;
    la crisi economica ha inciso e sta incidendo in misura significativa sulla produzione, sui consumi e sull'attività delle piccole e medie imprese, soprattutto allocate nel Mezzogiorno d'Italia,

impegna il Governo:

   a verificare, avvalendosi della collaborazione del Cipe, le quote di cofinanziamento già assegnate alle regione e rimaste inutilizzate al fine di prevedere una nuova riassegnazione che comunque mantenga gli stanziamenti già previsti così da determinare una disponibilità immediata delle risorse;
   a porre, in sede comunitaria, il tema dell'esclusione, dal calcolo del Patto di stabilità e crescita, del cofinanziamento nazionale alla politica di coesione, in coerenza peraltro con la risoluzione approvata dal Parlamento europeo dell'8 ottobre 2013 «sugli effetti dei vincoli di bilancio per le autorità regionali e locali con riferimento alla spesa di Fondi strutturali dell'Ue negli Stati membri»;
   a procedere rapidamente ad un censimento delle risorse ancora disponibili e non ancora utilizzate nell'ambito degli strumenti della programmazione negoziata, finalizzato alla predisposizione di un piano di rilancio industriale, improntato sulle specificità e sulle eccellenze produttive presenti nel Mezzogiorno, avviando una nuova stagione di utilizzo degli strumenti sopra citati, ivi compresi i contratti d'area, i patti territoriali, i contratti di programma e i contratti di localizzazione, sulla base delle migliori pratiche e delle esperienze di successo del passato;
   a valorizzare il patrimonio culturale, turistico e paesaggistico del Sud, riservando parte della dotazione disponibile a partire dal residuo della programmazione 2007-2013 per le politiche di creazione, recupero, valorizzazione e promozione di grandi poli di attrazione, di siti Unesco e di prossimi eventi sportivi internazionali – come ad esempio i mondiali di kite surf – che potrebbero essere un importante volano per l'economia turistica del meridione;
   ad adottare le più opportune azioni anche in sede comunitaria, al fine di introdurre in favore delle regioni del Mezzogiorno una serie di misure, anche in via temporanea, di carattere eccezionale, sia di alleggerimento fiscale e contributivo, che finanziarie volte a consentire la nascita di nuove aziende e la prosecuzione delle attività delle aziende in conclamata difficoltà gestionale ed economica, al fine di tutelare il personale qualificato e formato proveniente da aziende affini e conformi, come nel caso Getek ed Infocontact, tutelando il più possibile le competenze ed evitando la dispersione di professionalità acquisite oppure la dequalificazione dei lavoratori attraverso fenomeni di dumping salariale;
   a prevedere azioni concrete dirette alla realizzazione di un programma di messa in sicurezza del patrimonio edilizio pubblico, in particolare degli edifici scolastici ed universitari ma anche in ambito di edilizia sanitaria e carceraria, e di opere legate alla messa in sicurezza del territorio e al contrasto dei fenomeni di dissesto idrogeologico che caratterizzano il Mezzogiorno;
   a riservare alle regioni del Mezzogiorno parte della dotazione disponibile per quanto riguarda la programmazione 2014-2020 per gli investimenti in energie rinnovabili, nel piano gestione delle acque e per le politiche ambientali, nonché per il prosieguo dei processi di bonifica e messa in sicurezza dei siti di interesse nazionale, con particolare riferimento all'area della Legnochimica di Rende in provincia di Cosenza e della Pertusola in provincia di Crotone e dei siti caratterizzati dalla presenza di particolari lavorazioni impattanti e per una promozione della diffusione della raccolta differenziata e del riciclo al fine di migliorare gli attuali livelli che vedono il Sud ancora mediamente in ritardo;
   a potenziare i progetti che prevedono nuove linee ad alta velocità con particolare attenzione per la direttrice Napoli-Reggio Calabria fino a Messina e Palermo e soprattutto per la direttrice ionica Taranto-Reggio Calabria, prevedendo la riorganizzazione dei principali nodi ferroviari urbani, riportando lo standard tecnologico della tratta a livelli conformi alle direttive europee, a partire dalla sua completa elettrificazione, garantendo la manutenzione ordinaria e straordinaria dell'intera tratta della ferrovia silana, inserendo la stessa tra le proposte per la mobilità sostenibile e il turismo della Strategia nazionale per le aree interne da finanziare attraverso le risorse della programmazione comunitaria 2014/2020;
   a prevedere la definizione di alcune priorità infrastrutturali tra cui quelle riguardanti i 491 chilometri della strada statale n. 106 ionica tra Taranto e Reggio Calabria, programmando sia interventi di adeguamento e messa in sicurezza della strada statale n. 106 esistente nei punti di maggiore pericolosità, sia la realizzazione di nuovi tratti in variante a quattro corsie per la realizzazione di un itinerario di lunga percorrenza, integrando il tutto con la Salerno-Reggio Calabria attraverso il completamento e la messa in sicurezza delle arterie trasversali di collegamento come la nuova strada statale n. 182 «Trasversale delle Serre», già in parte in esecuzione, la strada statale n. 280 «dei Due Mari» e la strada statale n. 534 tra lo svincolo di Firmo (autostrada A3) e Sibari (Megalotto 4);
   ad assumere iniziative dirette ad ottimizzare l'arretrato sistema fognario/depurativo presente in diverse zone del Meridione, con particolare riferimento alla provincia di Cosenza dove la situazione è oramai al tracollo sia dal punto di vista ambientale che da quello della salute, al fine di realizzare nuove e più efficienti condotte e un risparmio energetico dato dalla realizzazione di impianti fotovoltaici per la produzione di energia;
   a destinare quota parte dei fondi strutturali al fine di provvedere ad urgenti interventi per la messa in pristino dell'acquedotto pugliese, finalizzandoli all'ottimizzazione delle risorse idriche con particolare riferimento alle aree del Salento in quanto particolarmente popolate nel periodo estivo, alla costruzione di nuovi depuratori nonché all'adeguamento di quelli già esistenti anche al fine di ovviare alla deprecabile prassi dello sversamento di liquami in mare già oggetto di procedura di infrazione comunitaria.
(1-00770) «Barbanti, Baldassarre, Segoni, Mucci, Rizzetto, Rostellato, Prodani, Turco, Bechis, Artini».


   La Camera,
   premesso che:
    i recenti episodi verificatisi in Europa e in diversi Paesi dello scacchiere mediorientale hanno evidenziato l'innalzamento della minaccia terroristica di matrice jihadista e gli interventi sia di prevenzione che di repressione messi in campo dal Governo italiano con il decreto-legge 18 febbraio 2015 si ispirano al principio secondo cui la lotta al terrorismo internazionale va realizzata in maniera unitaria senza far distinzione tra sicurezza interna ed esterna, come dimostrato proprio dal fenomeno dei cosiddetti foreign fighters;
    in questo preoccupante contesto le scuole e gli educatori si confrontano ogni giorno con realtà sociali sempre più complesse che derivano spesso da una esasperata ricerca di identità o percorsi di integrazione non riusciti. Gli attacchi alla redazione di Charlie Hebdo a Parigi, i due attacchi in Danimarca e la recente adesione di ragazzi occidentali – con un buon livello di istruzione – al cosiddetto «Stato islamico» sono solo alcuni esempi della difficile sfida educativa che gli studenti da un lato e gli insegnanti dall'altro devono affrontare. Gli educatori svolgono, pertanto, un ruolo fondamentale per l'individuazione del disagio e la prevenzione del rischio di radicalizzazione dei ragazzi e occorre creare una vera e propria rete sociale che partendo proprio dalla scuola coinvolga famiglie, associazionismo, istituzioni, e accompagni i bambini, sin dai primi anni di vita, nel loro percorso di sviluppo del pensiero critico e di rifiuto di ogni forma di estremismo;
    nel 2010 l'Unione europea ha adottato una «strategia di sicurezza interna» tra i cui obiettivi è incluso quello della prevenzione del terrorismo e del contrasto alla radicalizzazione. La maggior parte dei Paesi dell'Unione europea ha promosso politiche nazionali di contro-radicalizzazione aventi ad oggetto:
     a) misure general-preventive (quali dialogo interreligioso e programmi a favore dell'integrazione) dirette a sacche di popolazione particolarmente esposte al rischio di radicalizzazione;
     b) misure mirate su specifici soggetti che manifestano segni di radicalizzazione, per il loro recupero e reinserimento;
     c) programmi di de-radicalizzazione di soggetti già radicalizzati, inclusi i cosiddetti foreign fighters di ritorno;
    la maggior parte di tali attività sono incentrate sulla cooperazione della società civile che viene considerata parte fondamentale nell'opera di prevenzione della radicalizzazione, e svolgono una funzione complementare – benché non sostitutiva – alle misure repressive tradizionali;
    un progetto di grande interesse è stato elaborato, in occasione della conferenza RAN sulla radicalizzazione e l'istruzione (Manchester, 3-4 marzo 2015), da oltre 90 educatori provenienti da tutti gli Stati membri dell'Unione europea ed è stato, poi, trasmesso ai Ministri dell'istruzione europei per il loro incontro a Parigi del 17 marzo 2015 sui medesimi temi. Tra i vari interventi esaminati in quella sede i più significativi riguardano: la formazione specializzata e il supporto psicologico degli educatori anche mediante l'impiego di linee telefoniche o siti dedicati; la definizione di una vera e propria strategia contro la radicalizzazione e l'estremismo da perseguire con il dialogo, la diffusione di materiale informativo e corsi sul corretto utilizzo dei siti web per contrastare la propaganda estremista; il contributo delle organizzazioni non governative che operano in territori di guerra per offrire testimonianze anche mediante il coinvolgimento di ragazzi provenienti da quelle aree geografiche in veste di ambasciatori della gioventù e «consiglieri anti-pregiudizi»; l'incremento delle iniziative di prevenzione del fenomeno favorendo la cooperazione tra gli istituti scolastici e le best practice in essi sperimentate,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di introdurre nel nostro Paese una strategia nazionale di contro-radicalizzazione mediante la formazione di operatori qualificati e una campagna di prevenzione che coinvolga la società civile e le istituzioni a tutti i livelli.
(1-00771) «Dambruoso, Mazziotti Di Celso».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 337-ter del codice civile recita «Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i propri parenti di ciascun ramo genitoriale», ma sempre più spesso sembra che questo nella realtà non avvenga, a danno dei minori coinvolti;
    la necessità di permettere ai figli di famiglie separate un rapporto continuativo con entrambi i genitori è sentito anche fuori dal nostro Paese, ad esempio all'interno della nuova legge quadro per le pari opportunità per la donna, il Senato francese in data 17 settembre 2013, sull'esempio del Belgio, ha approvato la «residence partagée paritarie», che prevede un uguale impegno per i genitori nei confronti del figlio, che ospitano in ugual misura;
    con l'entrata in vigore della legge n. 54 del 2006, è stato introdotto, come modalità ordinaria, l'istituto dell'affido condiviso dei figli minori tra i due coniugi introducendo il principio della bigenitorialità che sancisce il diritto del bambino ed il suo preminente interesse; grazie a questo principio entrambi i genitori ex coniugi conservano la potestà genitoriale e devono provvedere al sostentamento economico dei figli in proporzione al reddito, prendendo insieme tutte le decisioni di relative all'istruzione, alla salute e all'educazione dei figli, rendendo possibile, di conseguenza, per i figli di mantenere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori e impegnando gli ex coniugi ad essere maggiormente collaborativi;
    le nuove norme hanno rappresentato una svolta storica con la introduzione di un concetto moderno di genitorialità, atto ad archiviare il modello di affidamento esclusivo conosciuto fino a quel momento e i dati Istat riferiti al 2010 mostrano come oramai l'affido condiviso rappresenti la regola, essendo previsto nell'89,8 per cento delle separazioni di coppie con figli, con l'obbligo di entrambi i genitori di mantenere la prole e l'interesse del minore a crescere con la presenza di entrambi i genitori ampiamente tutelato;
    l'aumento esponenziale delle separazioni e dei divorzi non costituisce più, come in passato, un'esperienza rara: in Italia la famiglia sta vivendo momenti difficili; ogni anno vi sono circa 84 mila separazioni e circa 53 mila divorzi; nel 2010 il 68,7 per cento delle separazioni e il 58,5 per cento dei divorzi hanno riguardato coppie con figli: i figli coinvolti nella crisi coniugale dei propri genitori sono stati 103.478 nelle separazioni e 49.853 nei divorzi;
    nel nostro Paese ci sono 150 mila padri separati che hanno perso ogni contatto con i propri bambini, mentre sono 950 mila quelli che possono vedere i figli soltanto un pomeriggio a settimana spesso, perché non hanno un posto dove farli dormire, anche perché molte volte sono i padri stessi che non hanno una casa dove dormire;
    contrariamente all'immaginario diffuso, il divorzio è molto presente anche nelle fasce sociali medio-basse, tra operai, impiegati, insegnanti con uno stipendio medio di 1.300 euro: in questi casi, se i padri non hanno l'aiuto delle famiglie d'origine, si ritrovano sul lastrico per via dell'assegno di mantenimento da versare a moglie e figli, ma anche le madri sono penalizzate spesso e volentieri, dovendo molto spesso rinunciare alle proprie aspirazioni di vita e dedicarsi, quando possono, completamente ai figli senza alcun aiuto, oppure poiché perdono per vari motivi la casa (è il caso delle case in affitto) dove vivevano coi figli e, se non lavorano, sono costrette a ritornare dai genitori in situazioni difficili in cui, in alcuni casi, i figli rischiano anche l'affidamento alle case-famiglia. Per chi invece ha una casa coniugale di proprietà vi è il problema del mutuo che molti genitori separati devono pagare;
    secondo i dati dell'Ami, l'Associazione degli avvocati matrimonialisti, su 4 milioni di papà separati, 800 mila sono sulla soglia di povertà: un esercito di nuovi poveri destinato ad infoltirsi per il continuo aumento di divorzi e separazioni che negli ultimi dieci anni sono raddoppiati;
    questa vera e propria emergenza sociale rischia di trasformare la legge sull'affido condiviso, approvata nel 2006, in una scatola vuota: la bi-genitorialità, la responsabilità congiunta nell'educazione dei figli, è difficilmente realizzabile quando i genitori non hanno una casa e vivono in macchina o in situazioni precarie; molti rinunciano al loro ruolo di genitori perché si vergognano delle loro condizioni, e, a questo punto, come in un circolo vizioso, il Tribunale per i minorenni spesso sottrae i figli affidandoli alle case-famiglia, ma un genitore con uno stipendio medio deve avere la possibilità di continuare a esserlo anche dopo la separazione;
    a volte, la separazione crea una vera e propria lontananza fisica tra un genitore e l'altro, poiché con la divisione della coppia possono subentrare difficoltà economiche che costringono un coniuge a trasferirsi altrove, oppure a rientrare nel proprio nucleo familiare di origine, o anche soltanto a traslocare in un quartiere dall'altro capo della città;
    tematiche come quelle sull'affidamento dei figli, in caso di separazione e divorzio dei genitori, irrompono nell'immaginario collettivo solo quando si verificano gesti eclatanti e le cronache dei giornali sono piene di avvenimenti di questo tipo, che inducono a trattare nuovamente un tema spinoso e delicato come il diritto a poter vivere e godere serenamente la paternità anche dopo la fine di un legame matrimoniale, unitamente al diritto di ogni bambino ad avere un padre e una madre vicini in un percorso di crescita sereno;
    va facendosi strada, nelle più recenti ricerche di psicologia dell'età evolutiva ed anche nella coscienza collettiva, l'importanza di un recupero dei ruoli genitoriali, in posizione paritaria, per l'educazione dei figli non solo nella famiglia unita, ma anche e soprattutto nella separazione; sembra di fondamentale importanza quindi che, nella separazione, non ci siano genitori di serie A e di serie B, ma si sviluppi un rapporto di collaborazione e di dialogo fra i genitori separati in funzione dell'interesse dei figli, poiché lo sviluppo di un clima di rapporto pacato è essenziale per la loro serenità;
    spiega Matteo Villanova – neuropsichiatra infantile e criminologo – che l'evidenza clinica mostra che l'allontanamento di uno dei genitori provoca disturbi alimentari, bassa autostima, problemi di linguaggio e apprendimento fino ad arrivare alla devianza e alla inclinazione alle dipendenze, e una volta adulto, l'individuo senza modelli familiari adeguati, quasi sicuramente sarà a sua volta incapace di affrontare in modo sereno la sua genitorialità;
    in molti casi poi i conflitti concernenti l'affidamento dei figli, divenuti un vero e proprio «bottino di guerra» provocano l'emergenza di altre problematiche. Pur se ancora non riconosciuta dalla comunità scientifica, la PAS – sindrome da alienazione genitoriale (PAS, dall'acronimo di Parental Alienation Syndrome), verrebbe di fatto riscontrata nella quotidiana pratica di molti operatori di settore: l'operazione vendicativa di screditamento di un coniuge contro l'altro condurrebbe il bambino a disfunzioni della personalità. La PAS è indipendente dal genere e colpisce sia madri che padri, solo la prevalenza dell'affido alle madri come genitore collocatario fa in modo che i secondi siano la maggioranza di quelli che la subiscono;
    sulla rivista dell'Associazione degli psicologi americani è stato pubblicato recentemente un articolo scientifico che contiene una revisione dei più autorevoli studi mondiali sul tema dell'affido condiviso di bambini sotto i 4 anni: Hildegunde Suenderhauf ha selezionato gli unici 50 studi sulle modalità di affido dei minori pubblicati tra il 1977 e il 2014 su riviste internazionali scientificamente riconosciute e nella sua metanalisi ha analizzato in modo rigoroso le conclusioni dei singoli studi e le loro interazioni, traendone una valutazione complessiva, le cui considerazioni finali appaiono inequivocabili: due studi (4 per cento) hanno dato risultati negativi rispetto all'affido materialmente condiviso; in undici studi sono stati segnalati effetti negativi neutralizzati da altri effetti positivi; mentre trentasette degli articoli presi in considerazione (74 per cento), hanno prodotto inequivocabili risultati positivi per l'affido materialmente condiviso. L'articolo conclude testualmente: «In generale i risultati degli studi rivisitati in questo documento sono favorevoli ai piani genitoriali che bilanciano il tempo dei bambini piccoli tra le due case in modo il più uguale possibile. Il pernottamento dei bambini nella casa del papà non crea problemi, ma favorisce nei bambini la consapevolezza che l'accudimento è compito di entrambi i genitori e non di uno solo di loro (Warshak, 2014)»;
    uno studio su 164.580 ragazzi svedesi di 12 e 15 anni, figli di genitori separati, ha evidenziato che i parametri migliori relativamente al benessere fisico, psicologico e sociale alla soddisfazione sulle relazioni coi propri genitori separati sono quelli dei minori che spendono tempi sostanzialmente eguali presso i due genitori (Bergström et al. 2013), confermando i risultati di una precedente ricerca di Jablonska e Lindbergh su 15.428 minori che aveva evidenziato, con significativa statistica, livelli di stress mentale più alto nelle famiglie monogenitoriali;
    un'altra ricerca pubblicata su Children&society nel 2012 e condotta da ricercatori indipendenti delle Università di Bethesda, della Groenlandia, di Stoccolma, di Yvaskula (Finlandia), di Copenaghen, di Akureyri (Islanda), di Göteborg, su 184.496 minori in 36 società occidentali (Italia inclusa) (Bjarnason et al. 2012), ha osservato che i bambini che vivono in sistemazione di collocamento materialmente congiunto (suddivisione approssimativamente paritaria dei tempi) riportano un più alto livello di soddisfazione di vita rispetto ad ogni altra sistemazione di famiglia separata, solo un quarto di rango (-0,26) più basso, dei bambini nelle famiglie unite;
    con la legge n. 176 del 27 maggio 1991 «Dichiarazione dei diritti del fanciulli», è entrata in vigore in Italia la convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo di New York 20 novembre 1989 e più in generale, in base ai trattati internazionali che ne regolano la promozione e l'attuazione, gli Stati del mondo (tranne gli Stati Uniti d'America, Somalia e Sudan) si impegnano a rispettare i diritti enunciati nella Convenzione ed a garantirli ad ogni fanciullo sottoposto alla loro giurisdizione; tra questi diritti vi sono quelli di cui all'articolo 3 secondo il quale in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private, di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse, superiore del fanciullo deve essere considerato, senza eccezioni, interesse preminente, e di cui all'articolo 9, per il quale «Gli Stati partecipanti vigilano affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà e che sia rispettato il diritto del fanciullo»;
    tali principi sono stati recepiti dall'ordinamento giuridico del nostro Paese, con la legge di ratifica n. 176 del 1991;
    il diritto dei figli a fruire dell'apporto educativo e affettivo di entrambi i genitori, con i quali intrattenere rapporti equilibrati e continuativi e dai quali essere accudito nella sua quotidianità, si configura – per effetto dei sopra ricordati principi della Costituzione e delle prescrizioni del codice civile – come soggettivo, permanente e indisponibile, legato alla sua persona a prescindere dai rapporti tra genitore e genitore,

impegna il Governo:

   a promuovere ed incentivare una nuova cultura della separazione rispettosa dei diritti dei minori e dei soggetti più deboli, mirante alla effettiva salvaguardia dei figli nel difficile contesto della separazione, in sintonia con quanto stabilito dalla Costituzione italiana, dalla «Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia», ratificata dall'Italia con la legge n. 176 del 1991, dall'articolo 155 del codice civile e dall'articolo 6, comma 2, della legge sul divorzio n. 898 del 1970;
   ad assumere iniziative, nell'ambito delle sue competenze, in modo da tutelare il diritto dei genitori a svolgere un ruolo genitoriale in condizione paritetica nella cura, nell'educazione e nell'istruzione e il diritto del minore ad avere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori, garantendo così la piena applicazione della legge n. 54 del 2006 di cui in premessa, sempre nel rispetto delle sentenze dei giudici relative all'affidamento esclusivo del minore;
   ad attivarsi al fine di rispondere all'emergenza abitativa dei genitori separati che costituiscono gran parte dei nuovi poveri, attraverso interventi anche di tipo normativo che possano promuovere l'istituto dell'alloggio collettivo temporaneo che consiste nell'accoglienza dei genitori separati in temporanea difficoltà all'interno di contesti che assicurino ampia autonomia e autogestione, per promuovere il benessere familiare e sociale dandola possibilità ai genitori separati di ospitare la prole, nell'ottica della salvaguardia del diritto di visita e del rafforzamento dei legami familiari in seguito a separazione dei coniugi;
   ad attivarsi in modo che siano riservate, relativamente alle nuove costruzioni di unità abitative di edilizia residenziale pubblica e/o in edilizia convenzionata, delle unità abitative da destinare a progetti di alloggio collettivo temporaneo per genitori separati con redditi medio-bassi e di valutare, relativamente alle nuove costruzioni di unità abitative private e invendute, seconde case, o immobili in disuso, sgravi fiscali per l'utilizzo delle stesse per questo genere di progetti;
   a sostenere azioni volte alla promozione del benessere psico-sociale dei genitori separati, per supportarli nel fronteggiare eventuali difficoltà nei rapporti intergenerazionali e allo stesso tempo implementare, nelle sedi ritenute opportune, azioni volte all'educazione alla bi-genitorialità in relazione a problemi inerenti alla genitorialità dopo la delicata fase della separazione o del divorzio;
   a potenziare, per quanto di competenza, le attività esistenti d'informazione, ascolto, orientamento, counselling e auto-aiuto rivolte ai genitori separati o divorziati anche coinvolgendo enti pubblici e soggetti del privato sociale in modo gratuito, al fine di creare un ponte con i servizi territoriali deputati, in particolare, ai minori e alla famiglia;
   a realizzare un'indagine sui genitori separati/divorziati per approfondire bisogni, difficoltà e disagi maggiormente presenti nelle famiglie separate, al fine di individuare i maggiori indicatori di rischio relativo al fenomeno preso in esame in premessa, della perdita di una delle figure genitoriali a seguito della separazione;
   a riattivare dinamiche virtuose di collaborazione tra i rappresentanti dello Stato, cioè le istituzioni pubbliche e gli organismi che si impegnano a tradurre le esigenze del territorio e a trasformarle in interventi di sviluppo locale, e gli enti del terzo settore.
(1-00772) «Castelli, Sorial, Lorefice, Grillo, Silvia Giordano, Colonnese, Cancelleri, Cariello, Caso, D'Incà, Brugnerotto».

Risoluzioni in Commissione:


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    il suolo ci fornisce cibo, biomasse, materie prime ed è una risorsa sostanzialmente non rinnovabile. Genericamente per suolo si intende lo strato superiore della crosta terrestre che rappresenta l'interfaccia tra terra, aria, acqua e ospita gran parte della biosfera,
    il degrado del suolo in Europa è un fenomeno complesso causato da pratiche agricole inadeguate, attività industriali, proliferazione urbana, opere di edificazione;
    il degrado del suolo ha ripercussioni dirette sulla qualità delle acque e dell'aria, ma può anche incidere sulla salute dei cittadini europei e mettere in pericolo la sicurezza dei prodotti destinati all'alimentazione umana e animale;
    dall'adozione della comunicazione del 2002 COM(2002) 179 ai giorni nostri l'Unione ha elaborato una serie di misure ed orientamenti atti a limitare il consumo del suolo;
    nel 2006 viene ufficializzata la «Strategia tematica per la protezione del suolo» attraverso lo strumento della Comunicazione, COM (2006)231. Tale strategia si propone e si articola su quattro pilastri fondamentali:
     a) adozione di una legislazione quadro finalizzata principalmente alla protezione e all'uso sostenibile del suolo;
     b) integrazione della protezione del suolo nella formulazione e nell'attuazione delle politiche nazionali e comunitarie;
     c) riduzione del divario oggi esistente di termini di conoscenze di alcuni settori della protezione del suolo, sostenendo la ricerca attraverso programmi di ricerca comunitari e nazionali;
     d) maggiore sensibilizzazione in merito alla necessità di difendere il suolo;
    la proposta legislativa che la Commissione ha ritenuto più idonea all'attuazione di tale strategia è stata la direttiva quadro, strumento flessibile, rispettoso della sussidiarietà grazie alla quale gli stati membri possono «modulare» il grado di accettabilità del rischio, il livello di ambizione in merito agli obiettivi da raggiungere, e la scelta delle misure più adeguate per realizzarli;
    è stato questo lo spirito con il quale il legislatore europeo ha presentato alla Commissione la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per la protezione del suolo COM (2006)236;
    il Parlamento europeo ha approvato, in prima lettura, la proposta di direttiva quadro sul suolo nel novembre 2007 con una maggioranza di circa 2 terzi, ma, una minoranza (Francia, Germania, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Malta e Austria) ha impedito che il Consiglio si esprimesse all'unanimità decretandone così il fallimento;
    preso atto della situazione, la Commissione europea, nonostante il suo impegno a conseguire la protezione del suolo (OJ C 163 del 28 maggio 2014), ha ritirato dalla sua agenda la proposta di direttiva quadro sul suolo (OJ C 153 del 21 maggio 2014);
    il quadro regolatorio europeo risulta monco se si pensa che l'Unione dispone già di una norma sulla qualità dell'aria sia di una norma qualità delle acque;
    il 2015 è stato indicato dall'ONU come l'anno internazionale dei suoli e che il primo maggio, a Milano, si inaugurerà l'Expo, evento mondiale che il nostro Paese ha scelto di dedicare ai temi summenzionati, che ha per titolo «Nutrire il Pianeta, Energia per la vita»,

impegna il Governo

a promuovere una cooperazione rafforzata ai sensi dell'articolo 20 TUE, paragrafo 2, e degli articoli 326-334 Tfue.
(7-00647) «Mannino, De Rosa, Micillo, Busto, Daga, Terzoni, Zolezzi».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    l'annata 2014 segna un drammatico calo produttivo del settore olivicolo ed oleario nazionale, con una riduzione di oltre il 30 per cento rispetto alla media degli anni precedenti;
    ancorché il calo produttivo dello scorso anno dovesse risultare occasionale, la crisi in cui versa l'intero comparto richiede interventi strutturali urgenti al fine di arrestare la perdita di competitività, la scarsa innovazione, l'abbandono delle produzioni e la continua esposizione dell'olio italiano, una delle più preziose eccellenze del made in italy, al fenomeno della contraffazione e dell’italian sounding;
    nonostante il nostro Paese sia stato, almeno fino agli anni ‘80 dello scorso secolo, il primo produttore mondiale di olio di oliva detenendo il primato quantitativo e qualitativo, la totalità dell'olivicoltura nazionale era costituita di sistemi colturali tradizionali, con bassissimo livello di meccanizzazione e vasti areali che si caratterizzavano per la produzione di olio lampante da avviare ad usi industriali o alla raffinazione;
    ad oggi in tutti i Paesi produttori di olio gli oliveti sono divenute piantagioni da reddito e la olivicoltura è ottenuta con coltivazioni altamente produttive, competitive, di qualità crescente e in grado di competere sui mercati allo stesso livello delle qualità italiane, mentre l'Italia fatica ad imporsi nel nuovo scenario produttivo mondiale e la sua produzione, che copre solo la metà del proprio fabbisogno, rappresenta appena il 13 per cento di quella totale;
    i principali Paesi olivicoli europei, quali Spagna e Grecia, si attestano ai primi posti con produzioni di qualità e a prezzi relativamente contenuti; in Spagna, non ostante la stragrande maggioranza della olivicoltura sia tradizionale, l'associazionismo e il rafforzamento della filiera, nonché adeguati ed efficienti piani olivicoli hanno consentito un eccezionale sviluppo del comparto, mentre nell'area mediterranea è in atto una forte spinta al miglioramento tecnologico soprattutto in Marocco e in Turchia; al di fuori dell'area mediterranea si stanno sviluppando interessanti realtà olivicole sia negli USA che nell'America latina e, seppur ininfluenti per il mercato nazionale, rappresentano minacce concrete per le esportazioni;
    l'olivicoltura italiana si fonda su una decina di cultivar maggiori che coprono la maggior parte della produzione complessiva e tra le criticità maggiori che si riscontrano vi è la mancanza di trasferimento tecnologico, di assistenza tecnica, di alfabetizzazione del mondo produttivo agricolo; inoltre, le aziende, a causa della marginalità economica, limitano le operazioni colturali;
    l'ultima campagna, anche a causa dell'attacco della mosca olearia e dell'incapacità di effettuare i necessari trattamenti, ha evidenziato tutte le criticità del comparto e ha confermato una previsione di produzione inferiore alle attese;
    la ristrutturazione del settore appare pertanto indispensabile ed urgente e dovrebbe attuarsi attraverso un intenso lavoro di programmazione che preveda la ricostituzione di una struttura produttiva efficiente e moderna adatta alle mutate esigenze agro economiche e tecnologiche con evidenti vantaggi paesaggistici e ambientali, oltre che forti ricadute in termini occupazionali,

impegna il Governo:

   a predisporre urgentemente un piano olivicolo nazionale che: incrementi la produzione nazionale, attraverso la razionalizzazione della coltivazione degli oliveti tradizionali, il rinnovamento degli impianti e lo studio di nuovi sistemi colturali; tuteli l'olivicoltura a valenza paesaggistica, di difesa del territorio e storica, non razionalizzabile e non rinnovabile; stimoli il consumo «informato» attraverso una capillare e sistematica inculturazione sull'olio extra vergine di oliva e valorizzi il «made in italy» mediante la promozione della qualità e della biodiversità;
    a valutare la possibilità di sostenere con opportuni interventi finanziari le attività di ricerca anche attraverso la promozione, in accordo con le autorità regionali, di gruppi operativi di cui al regolamento  (Unione europea) n. 1305/2013 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del FEASR.
(7-00645) «L'Abbate, Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, Gallinella, Parentela».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    il tema delle catture di tonno rosso, il riordino delle quote assegnate all'Italia e da questa ai pochi e fortunati pescatori italiani, e la recente raccomandazione dell'I.C.C.A.T. di elevare la quota pescabile di tonno rosso assegnata all'Unione europea e, di conseguenza, all'Italia, merita una discussione approfondita da parte della Commissione agricoltura;
    il sistema immediatamente precedente alla nuova decisione dell'I.C.C.A.T. ha causato numerosi disagi alla marineria nazionale, interessata da provvedimenti difformi dalle disposizioni comunitarie vigenti in materia ed emanati dalla direzione generale della pesca e dell'acquacoltura del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
    con la raccomandazione del novembre 2014 ICCAT n. 04-14 è aumentata di circa il 20 per cento la quota destinata all'Italia per l'anno 2015;
    tale incremento di quote, senza ledere alcun diritto acquisito in passato dai fruitori storici delle quote assegnate, permette all'Italia in quanto destinataria dell'incremento di circa 350 tonnellate sempre per l'anno 2015, di iniziare a risolvere l'annosa questione delle «quote tonno», ma quel che è più importante mette a disposizione una base di programmazione triennale di aumento graduale della quota disponibile da assegnare, che alla fine del periodo porterà ad un aumento complessivo superiore al 60 per cento rispetto alla quota assegnata per l'anno 2014;
    si ha necessità di programmare, su base triennale, dove e quali siano le criticità della pesca italiana interessata e mettere in campo tutte le azioni concrete che oggi è possibile attuare nell'immediato e pianificare nel triennio;
    le raccomandazioni ICCAT ed i vigenti regolamenti comunitari, che sicuramente ci pongono dei limiti, allo stesso tempo danno un indirizzo chiaro e preciso delle azioni possibili ed attuabili;
    il vigente regolamento dell'Unione europea 302/2009, all'articolo 4, relativamente al piano di pesca annuale, stabilisce che la quota sia assegnata alla singola imbarcazione e non alle regioni e/o ad altri organismi di gestione;
    assegnare le quote alle regioni o a loro enti/organismi, sembrerebbe irrealizzabile per un principio di opportunità, nella misura in cui bisognerebbe istituire un principio discrezionale in base al quale decidere a quale regione ed in quale misura, rispetto alle altre;
    di fronte ad una quasi totalità delle imbarcazioni italiane sprovviste di quota, per evitare disparità, occorre stabilire un principio uniforme che non privilegi e penalizzi alcuno;
    le uniche leve su cui si può agire e puntare in conformità alle raccomandazioni I.C.C.A.T. ed ai regolamenti dell'Unione europea, sono le catture «by-catch» e/o accessorie/accidentali, ad oggi interessate da provvedimenti difformi che ne hanno penalizzato il corretto e puntuale utilizzo e l'applicazione;
    tale strumento, normato in maniera corretta, consentirebbe a tutte le barche da pesca impegnate nella loro legittima attività di sbarcare e contingentare tutti i tonni catturati durante le attività di pesca autorizzate, come previsto dal regolamento 302 del 2009 e dalla raccomandazione ICCAT 14-04;
    i rigetti a mare sono fra i migliori esempi di carenze della politica comune della pesca e sono impossibili da giustificare di fronte ai pescatori e all'opinione pubblica;
    i pescatori degli altri Stati membri dell'Unione europea hanno già adottato alcune buone iniziative volte a ridurre i rigetti, ma queste rimangono ancora troppo sporadiche e, al contempo, aumenta l'opposizione dell'opinione pubblica contro questa pratica generatrice di sprechi;
    un obiettivo condivisibile dovrebbe essere, invece, quello di rendere la pesca più selettiva e fornire dati più affidabili sulle catture;
    per consentire ai pescatori di adattarsi al cambiamento, l'obbligo di sbarco sarà introdotto gradualmente tra il 2015 e il 2019 per tutti i tipi di pesca commerciale (specie soggette a TAC o sotto le taglie minime) nelle acque europee;
   l'ICCAT nella riunione plenaria tenutasi Genova nel mese di novembre 2014 con Doc. n. PA2-606A/2014 ha statuito il principio per cui, ove la legislazione dello Stato membro preveda l'obbligo di sbarco, non venga applicata la percentuale del 5 per cento come limite massimo di pesci mantenuti a bordo catturati accidentalmente per ovvi motivi ambientali e pratici;
    tali sono le previsioni della raccomandazione ICCAT 13-07 e di quella più recente 14-04, rispettivamente ai punti 32 e 29;
    nel regolare svolgimento della specifica pesca con l'attrezzo «palangaro di superficie derivante», mirato alla cattura di grandi pelagici e/o migratori quali pescespada e tonno bianco (alalunghe), è normalità effettuare catture accessorie di tonno rosso (vista l'alta presenza delle specie nel mediterraneo);
    il regolamento (CE) n. 302/2009 del Consiglio del 6 aprile 2009 all'articolo 11 recita: «Le navi da cattura comunitarie che non praticano la pesca attiva del tonno rosso non sono autorizzate a detenere a bordo catture di tonno rosso superiori al 5 per cento delle catture totali presenti a bordo in peso e/o numero di esemplari. Le catture accessorie sono detratte dal contingente assegnato allo Stato membro di bandiera. Quando è aperta la pesca del tonno rosso è vietato rigettare in mare gli esemplari morti delle catture accessorie di cui al paragrafo 1, che devono essere imputati al contingente dello Stato membro di bandiera. Alle catture accessorie di tonno rosso si applicano gli articoli 17, 18, 21, 23 e 34»;
    l'articolo 11 si pone a tutela e disciplina le catture accessorie durante una normale battuta di pesca, ad una ben determinata specie bersaglio, senza porre limiti temporali, rispetto al periodo dell'anno in cui si effettua la cattura, né limiti quantitativi annuali;
    l'unica previsione specifica è prevista dal 2o paragrafo rispetto al divieto di rigetti in mare degli esemplari catturati morti durante l'apertura della pesca al tonno rosso, per un evidente e logico principio di salvaguardia della specie con obbligo di contingentamento;
    la normativa nazionale, invece, restringe il disposto comunitario applicando alle catture accidentali uno specifico contingente di cattura, assimilando di fatto le catture accessorie e/o accidentali ad uno specifico sistema di pesca controllabile nei tempi, nei modi e nelle quantità,

impegna il Governo:

   a prevedere un contingente adeguato da destinare alle catture accessorie effettuate da imbarcazioni dedite esclusivamente alla pesca dei grandi pelagici con l'attrezzo «palangaro di superficie»;
   ad assumere iniziative per definire una specifica normativa che abroghi, per le imbarcazioni di cui al comma 1 dell'articolo 11 del Regolamento dell'Unione europea 302/2009, il massimale di cattura previsto dall'articolo 4 del decreto ministeriale 27 luglio 2000;
   ad assumere iniziative per definire una specifica disciplina normativa delle catture accessorie nell'ambito del 5 per cento del pescato in caso di esaurimento del contingente;
   ad assumere iniziative per definire un'idonea disciplina normativa delle catture accessorie di esemplari morti eccedenti il 5 per cento durante la campagna di tonno rosso.
(7-00646) «Catanoso, Faenzi, Russo, Abrignani, Nizzi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   LATRONICO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   gli istituti scolastici vivono da molto tempo in uno stato di emergenza: un numero considerevole di edifici scolastici italiani versa in una situazione estremamente precaria per quanto attiene a sicurezza, vivibilità e salubrità;
   sono numerose le indagini e le ricognizioni che si sono svolte in questi anni ed emerge che su 41.000 edifici monitorati, più della metà possiedono impianti idraulici, termici ed elettrici malfunzionanti; circa 10.000 hanno intonaci pericolanti; 3.600 necessitano di interventi sulle strutture portanti; l'adeguamento alle normative antisismiche è assente in una metà abbondante degli edifici scolastici italiani, mentre ammontano a circa 2.000 le scuole che espongono circa 340.000 studenti ai rischi che derivano dalla presenza di amianto negli ambienti scolastici;
   i casi di crolli verificatisi e di incidenti riscontrabili da Nord a Sud sono numerosi e nell'ultimo anno si sono verificati decine di incidenti e sono state evitate altrettante tragedie a causa di crolli di solai, controsoffitti e intonaci;
   fino a oggi le iniziative adottate e le numerose azioni di carattere normativo non sono state in grado di affrontare realmente il problema e non si è intervenuto adeguatamente in un settore fondamentale per la crescita del Paese come quello dell'edilizia scolastica;
   le ragioni di tali carenze sono da ricondurre in buona parte al patto di stabilità, ai tagli insistiti delle risorse perpetrati nel tempo, a un mancato e corretto dialogo con gli enti locali. Una legislazione estremamente farraginosa non ha di certo agevolato l'indispensabile speditezza nell'adozione dei provvedimenti, costituendo spesso un vero e proprio ostacolo;
   il Governo Renzi, sin dall'inizio del suo insediamento, ha annunciato interventi per la «Buona scuola» e per lo sblocco del patto di stabilità per l'edilizia scolastica, ma in realtà a giudizio dell'interrogante sono state sottratte costantemente le risorse finanziarie essenziali per il funzionamento ordinario delle scuole;
   nel comune di Scanzano Jonico (MT) la costruzione di una nuova scuola fu resa necessaria nel 2008 dallo sgombero di un vecchio edificio scolastico per le condizioni di grave vulnerabilità sismica. Il sindaco, nell'agosto 2011, informava che era stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana il bando di gara per l'appalto dei lavori di «Costruzione della nuova Scuola Elementare»; l'intervento era necessario a seguito dell'inagibilità del vecchio edificio di via Tratturo del Re e i lavori sarebbero terminati nell'arco di 20 mesi;
   a causa dei ritardi legati al rispetto da parte della regione del patto di stabilità i lavori si sono bloccati e gli alunni continuano a svolgere le loro attività didattiche in luoghi provvisori e inidonei; potranno vedere la scuola ultimata non prima di otto anni –:
   quali orientamenti il Governo intenda esprimere in riferimento a quanto esposto e quali iniziative intenda assumere al fine di addivenire ad una significativa riforma della disciplina dei vincoli del patto di stabilità volta ad assicurare le spese di investimento nell'edilizia scolastica. (3-01398)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella regione Calabria, il costo medio del servizio idrico integrato (e dunque acquedotto, depurazione laddove esistente e fognatura, oltre alla quota fissa), per una famiglia-tipo composta da tre persone, su base regionale (282 euro) è di gran lunga al di sotto di quello stimato a livello nazionale (355 euro);
   sul fronte del servizio idrico la Calabria non è tra le regioni più esose anche se resta a distanza rispetto a quelle più virtuose (meglio di tutti fa la Valle d'Aosta con i suoi 220 euro);
   all'interno di quel pur confortante dato-medio di 282 euro si nascondono profonde differenze delle quali si fatica quasi ad individuare logica e motivazioni considerando che si tratta di un'unica regione. Così si va dai 473 euro di Reggio (con un incremento rispetto al 2007 del 173,1 per cento), la città più cara, ai 171 euro di Cosenza (-0,2 per cento), la più conveniente, passando per i 230 euro di Catanzaro (+24,9 per cento), i 245 euro di Crotone (+14,3 per cento) ed i 294 euro di Vibo Valentia (+54,7 per cento);
   quanto finora asserito emerge da uno studio di Cittadinanzattiva – che per il decimo anno consecutivo ha analizzato i costi sostenuti dai cittadini per il servizio idrico integrato – ha anche puntato i riflettori sul dato (sempre relativo al 2014) della dispersione idrica: in Italia in media il 37 per cento dell'acqua immessa nelle tubature va sprecata. Una quota che è in aumento di tre punti percentuali rispetto al 2013;
   in merito alla dispersione idrica le maggiori criticità si verificano nelle aree meridionali del Paese, contraddistinte da perdite ben al di sopra della media nazionale. In questo contesto spicca in negativo la Calabria – «primatista» in buona compagnia con il Lazio – con il 60 per cento di media (situazione aggravata rispetto al 2007 quando sempre su base regionale la quantità di acqua che si perdeva era poco meno della metà, il 49 per cento, di quella erogata);
   lo spreco maggiore si registra a Cosenza (77 per cento nel 2007 era il 67 per cento), seguono Vibo Valentia (64 per cento), Catanzaro (59 per cento rispetto al 57 per cento nel 2007) e Reggio (38 per cento). Nessun dato nello studio è invece disponibile per Crotone (nel 2007 era il 24 per cento). È, dunque, un autentico fiume quello che finisce nel sottosuolo senza arrivare ai rubinetti di case, negozi ed aziende, mediamente il triplo di quanto accade in Valle d'Aosta (con il 20 per cento di dispersione);
   a quanto sinora esposto si aggiunga che poco meno della metà delle famiglie calabresi non si fida e di conseguenza non utilizza per berla o per altri scopi alimentari – l'acqua di rubinetto. Come dire, una famiglia su due. Un dato che è quasi il doppio rispetto a quello rilevato a livello nazionale che si attesta intorno al 28 per cento (all'incirca oltre una famiglia su quattro). È quanto emerge dallo studio annuale sulla fiducia degli italiani nell'acqua erogata dai gestori sul territorio diffuso dall'Istat alla vigilia della celebrazione della Giornata mondiale dell'acqua, istituita dall'Onu;
   il deficit di fiducia a livello nazionale, ancora percentualmente molto alto su base nazionale anche se in deciso calo (dal 40,1 per cento del 2002 si è passati al 28 per cento del 2014), assume dunque contorni ben più marcati in alcune aree del Paese tra queste la Sardegna (primatista con il 53,4 per cento), la Calabria – dove l'indice di sfiducia nella qualità dell'acqua di rubinetto tocca il 48,5 per cento ed al terzo posto, la Sicilia (46,2 per cento);
   la rilevazione annuale dell'Istat analizza poi la spesa media mensile delle famiglie per l'acquisto di acqua minerale. Qui nel 2013 ci si è attestati, sempre su base nazionale, a 11,42 euro, con un decremento del 4,5 per cento rispetto al 2012. Ad aumentare notevolmente (+74 per cento) è stata invece la spesa media mensile effettiva delle famiglie per l'acqua nell'abitazione principale: in questo caso si è passati da 12,16 euro – dato medio rilevato nel 2008 – ai 21,18 euro del 2013;
   la quota di carichi inquinanti civili trattati negli impianti di depurazione di tipo secondario o avanzato – ha certificato l'Istat – rispetto ai carichi inquinanti generati nel territorio, è del 57,6 per cento nel 2012: in leggero aumento rispetto al 2008 (56,5 per cento). Nel 2014, la Sicilia risulta essere la regione con il maggior numero di agglomerati (riferimenti territoriali relativi ai sistemi di fognatura e trattamento delle acque reflue urbane) sotto procedura di infrazione della normativa in materia di trattamento dei reflui. Sono infatti 175, segue la Calabria con 130;
   il 22 marzo 2015 si è svolta la Giornata mondiale dell'acqua. Un appuntamento voluto dalle Nazioni Unite che invitano le nazioni a dedicare questo giorno a espletare le raccomandazioni raggiunte con l'Assemblea generale e alla promozione di attività concrete all'interno dei loro Paesi –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo nell'ambito delle proprie competenze per porre rimedio alle sopraesposte criticità rilevate nel servizio idrico integrato nazionale specialmente nelle aree del Sud Italia, come la Calabria, che versano già, allo stato attuale, in condizioni emergenziali. (5-05205)

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Finmeccanica rappresenta senza dubbio una delle realtà produttive più importanti d'Italia, anche con riferimento alla regione Campania, dove è presente con oltre dieci stabilimenti;
   tuttavia, l'interrogante, in occasione degli incontri sul territorio, registra tra la cittadinanza una forte e crescente preoccupazione legata soprattutto alle notizie che si sono diffuse negli ultimi mesi e nelle ultime settimane. Basti pensare, da ultimo, a quanto riportato dalla stampa circa il trasferimento della produzione del velivolo C-27J da Napoli Capodichino a Torino che fino ad oggi consentiva l'impiego di alcune centinaia di unità;
   in sostanza, il timore grave è che gli attuali piani industriali di Finmeccanica prevedano un disimpegno dell'azienda sul territorio campano con spaventose conseguenze sui livelli occupazionali — e, quindi, sull'economia — della regione con particolare riferimento alla provincia di Napoli;
   ulteriore elemento di forte preoccupazione è legato alle ripetute segnalazioni relative a discriminazioni tra lavoratori di diversa nazionalità. Risulta, infatti, così come l'interrogante ha denunciato nell'interrogazione a risposta scritta a sua prima firma n. 4-07812 pubblicata il 5 febbraio 2015, che non ha ancora avuto risposta nonostante il decorso del termine previsto dall'articolo 134 del regolamento della Camera, che in molti stabilimenti dell'Alenia tra cui di recente anche quello di Pomigliano d'Arco (Napoli), si assista a discriminazioni in relazione alla nazionalità dei dipendenti. Nello specifico, i dipendenti di origine romena avrebbero trattamenti salariali peggiori anche a fronte di impegni orari maggiori rispetto ai loro colleghi italiani –:
   se il Governo non intenda intervenire, per quanto nelle sue possibilità in qualità di azionista di maggioranza relativa di Finmeccanica, affinché l'azienda accantoni eventuali piani industriali di disimpegno nella regione Campania e affinché cessi ogni eventuale discriminazione dello status giuridico ed economico dei lavoratori in ragione della loro nazionalità, alleviando così il senso di disperazione che assilla centinaia di famiglie campane.
(4-08621)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SCAGLIUSI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il presidente della commissione esteri della Duma e capo della delegazione russa all'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa (APCE) Alexey Pushkov ha comunicato, con lettera ufficiale datata 6 febbraio 2015 all'indirizzo della presidente dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa Anne Brasseur, la decisione della delegazione russa di interrompere per tutto il 2015 tutti i contatti ufficiali con l'organismo, precisando che tuttavia i rapporti proseguiranno solo con i singoli deputati dei parlamenti nazionali;
   l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa è un importante strumento di cooperazione interparlamentare, uno dei due principali organi statutari del Consiglio d'Europa e si occupa di problemi della società contemporanea e di vari aspetti della politica internazionale. Ne fanno parte, con diritto di voto decisivo, le delegazioni di 47 Paesi;
   va ricordato che con una risoluzione, nell'aprile 2014, a seguito dell'annessione della Crimea e per la situazione determinatasi in Ucraina, è stato sospeso ai parlamentari russi il diritto di voto fino ad aprile 2015 e la possibilità di partecipare agli organi statutari e alle attività di monitoraggio dell'Assemblea;
   il Consiglio d'Europa è pronto a ridiscutere la posizione di Mosca nel mese di aprile 2015 a patto che la Russia rispetti alcune richieste tra cui il ritiro delle proprie truppe dal territorio ucraino e la liberazione di tutti i prigionieri trattenuti illegalmente;
   a seguito dell'aggravarsi della crisi ucraina, l'Unione europea, gli Stati Uniti e altri Paesi hanno anche emanato pacchetti di sanzioni nei confronti della Federazione russa, in risposta quali il 7 agosto 2014 le autorità russe hanno disposto un embargo annuale su svariate tipologie di prodotti agroalimentari provenienti da Unione europea, USA, Australia, Canada e Norvegia; il nostro Paese risulta il terzo più danneggiato di tutta l'Unione europea dalle sanzioni imposte dalla Federazione russa come ritorsione e le conseguenze si stanno facendo pesantemente sentire non soltanto in termini di mancate esportazioni, ma anche di indebolimento della struttura della rete commerciale e della distribuzione, con conseguente chiusura di aziende e perdita di occupati –:
   quale sia la posizione del Governo in ordine alle determinazioni del Consiglio d'Europa di aprile 2015 di cui in premessa e alla revoca, ovvero all'allentamento, delle sanzioni economiche Unione europea alla Russia. (5-05203)

Interrogazione a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 2 marzo 2015 un peschereccio italiano della Italfish di Martinsicuro (Teramo) è stato sequestrato in Gambia per presunte violazioni delle normative di pesca;
   furono arrestati il capitano dell'imbarcazione Sandro De Simone, abruzzese di Silvi (Teramo) e il capitano di macchina Massimo Liberati, marchigiano di San Benedetto del Tronto (Ascoli Piceno);
   il rilascio è stato possibile in seguito alle garanzie finanziare da parte dell'armatore in merito all'ammenda comminata dal giudice di Banjul;
   è slittata al 22 aprile prossimo l'udienza programmata per mercoledì scorso relativa al ritorno in patria del capitano Sandro De Simone. Non si conoscono le cause che hanno portato le autorità locali e la società armatrice Italfish a fissare un nuovo incontro, si spera risolutivo della vicenda, per mercoledì 22 aprile;
   ci saranno oltre tre settimane per la negoziazione fra le parti. Tuttavia, sulla vicenda vi sono dei punti poco chiari sul presunto riscatto di cui si parla da tempo. Pare che le autorità locali avrebbero paventato «garanzie immobiliari» per sbloccare la trattativa;
   secondo i familiari il comandante è stato trattato in maniera inaccettabile e incivile;
   sono sempre attivi sul posto le diplomazie, tra cui il console del Senegal (con territorialità anche in Gambia) e altri rappresentanti diplomatici africani;
   intanto, Sandro De Simone resta a disposizione delle autorità di Banjul; durante la giornata gli è concesso di stare anche sull'imbarcazione, requisita al porto della capitale del Gambia;
   i familiari e le comunità marittime abruzzesi sono giustamente preoccupate e hanno chiesto un urgente intervento delle autorità italiane e della Farnesina e del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, in particolare per accelerare il ritorno in Italia del comandante –:
   quali iniziative il Governo stia assumendo per risolvere questa grave emergenza che coinvolge un nostro corregionale costretto a rimanere in Gambia. (4-08617)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   ROSTELLATO, RIZZETTO, PRODANI, MUCCI, SEGONI, BALDASSARRE, BECHIS, ARTINI, TURCO e BARBANTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella XVI legislatura è stata presentata dai deputati radicali, primo firmatario Maurizio Turco, l'interrogazione a risposta scritta 4-18712 — rimasta senza risposta – con la quale si chiedeva quali fossero le ragioni del ritardo con il quale il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare aveva richiesto i verbali delle udienze preliminari al fine di costituirsi parte civile nel processo contro alcuni amministratori della raffineria Tamoil di Cremona, visto che durante l'udienza tenutasi il 19 novembre 2012 il giudice Guido Salvini aveva reso noto di aver ricevuto tale richiesta solo il 31 ottobre 2012 quando appena il 27 ottobre aveva ammesso gli imputati al rito abbreviato;
   in data 18 luglio 2014 è stata emessa una sentenza con la quale sono stati condannati i dirigenti della raffineria Tamoil di Cremona:
    GILBERTI ENRICO per il reato di cui agli articoli 81-434 del codice penale alla pena di anni sei di reclusione e per quello di cui all'articolo 257 del decreto legislativo n. 152 del 2006 alla pena di sei mesi di arresto e 9.000 euro di ammenda e BILLI GIULIANO GUERRINO per il reato di cui agli articoli 81-434 del codice penale alla pena di anni tre di reclusione oltre al pagamento in solido delle spese processuali relative al reato cui la condanna si riferisce e l'interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e li dichiara altresì in stato di interdizione legale durante l'espiazione alla pena;
   ABULAIHA MOHAMED SALEH e COLOMBO PIERLUIGI alla pena di un anno e otto mesi di reclusione ciascuno per il reato di cui all'articolo 449 del codice penale e alla pena di quattro mesi di arresto e di 6.000 euro di ammenda per il reato di cui all'articolo 257 del decreto legislativo n. 152 del 2006 oltre al pagamento in solido delle spese processuali relative al reato cui la condanna si riferisce concedendogli il beneficio della sospensione condizionale della pena subordinando tale beneficio alla prosecuzione dei necessari interventi di bonifica e ripristino ambientale;
   GILBERTI, BILLI, ABULAIHA e COLOMBO al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali cagionati alle costituite parti civili che saranno liquidati in separato giudizio civile assegnando alle parti civili una provvisionale immediatamente esecutiva;
   al Comune di Cremona – che al pari del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non si è costituito parte civile – è stata riconosciuta una provvisionale di 1 milione di euro in ragione del fatto che il dottor Gino Ruggeri, segretario dell'associazione radicale Piero Welby di Cremona, iscritto nelle liste elettorali del comune di Cremona si è avvalso, in ragione del mancato intervento del comune, della facoltà di cui all'articolo 9 del Testo unico degli enti locali;
   nella sentenza si legge: «il comune di Cremona, rimasto estraneo al processo, affermi brevemente nella delibera in data 25 maggio 2012 che ha portato alla scelta di non costituirsi che dalla condotta della TAMOIL non sarebbero derivati al comune di Cremona danni di natura patrimoniale diversi dal danno ambientale di esclusiva pertinenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare»;
   «appare infine opportuno ricordare (...) che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonostante la natura dei reati contestati agli imputati, e pur ritualmente e più volte informato (ad esempio la comunicazione di questo ufficio al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 17 maggio 2012, 9 luglio 2012 e 9 ottobre 2012 non seguite da alcun intervento), non ha presenziato alle udienze né si è costituito parte civile» –:
   visto che la prima comunicazione del Giudice per le indagini preliminari di Cremona è del 17 maggio 2012, a cui sono seguiti i solleciti del 9 luglio e 9 ottobre 2012, se risulti agli atti per quali motivi il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia richiesto i verbali delle udienze preliminari al fine di costituirsi parte civile nel processo contro alcuni amministratori della raffineria Tamoil solo il 31 ottobre 2012, giusto 4 giorni dopo che il giudice aveva ammesso gli imputati al rito abbreviato;
   se risulti agli atti quando il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ricevuto l'informazione inviata il 17 maggio dal tribunale di Cremona e quale procedura è stata seguita per questa e le successive informazioni del 9 luglio e del 9 ottobre per arrivare al 31 ottobre, data in cui il Ministero ha richiesto – in tempo non più utile – i verbali delle udienze preliminari al fine di costituirsi parte civile;
   se e quanto sia stato speso e/o sia previsto di spendere nella bonifica della raffineria Tamoil di Cremona. (4-08616)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta immediata:


   GRIMOLDI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GUIDESI, INVERNIZZI, MARCOLIN, MOLTENI, GIANLUCA PINI, RONDINI e SIMONETTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3 della legge europea n. 97/2013 interviene a seguito della procedura di pre-infrazione (EU Pilot 4277/12/MARK) riferita a violazioni della direttiva «servizi» (2006/123/CE) da parte di leggi regionali, che consentono l'esercizio della professione di guida turistica soltanto nel territorio regionale di competenza; tale procedura è stata attivata al fine di consentire la libera prestazione di servizi da parte guide turistiche di altri Stati membri su tutto il territorio nazionale;
   ai sensi del comma 2 dell'articolo 3, i cittadini comunitari, che abbiano ottenuto l'abilitazione in un altro Stato membro per operare in regime di libera prestazione di servizi, non necessitano, invece, di autorizzazioni o abilitazioni, ad eccezione che per i siti di particolare interesse storico, artistico o archeologico da individuare con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   alla professione di guida turistica, in quanto professione regolamentata, non si deve applicare la direttiva 2006/123/CE (servizi), ma deve essere applicata, più correttamente, la disciplina prevista dalla direttiva «professioni» (2005/36/CE) recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 206 del 2007;
   bisogna tenere presente la distinzione tra la guida turistica, specializzata nell'illustrazione di un determinato patrimonio culturale, e l'accompagnatore turistico, che svolge un'altra attività con funzioni di assistenza tecnica e logistica a favore dei clienti nel corso di un viaggio;
   la guida turistica affianca i visitatori nella lingua da loro scelta, interpreta il patrimonio culturale e naturale di un territorio e possiede, normalmente, una qualificazione specifica per un determinato territorio; tale qualificazione è rilasciata e riconosciuta dall'autorità competente del Paese visitato;
   al contrario, l'accompagnatore turistico conduce e supervisiona lo svolgimento del viaggio per conto del tour operator, assicurando il compimento del programma, e fornisce informazioni pratiche sui luoghi visitati;
   l'esercizio della professione in Italia è regolamentato e vi si accede tramite esami volti ad accertare le competenze al fine del rilascio dell'abilitazione che ha valore all'interno di un ambito territoriale delimitato – provinciale, regionale – visto che sarebbe impossibile effettuare visite guidate su tutto il territorio italiano, il cui patrimonio va dalla preistoria all'arte contemporanea e conta centinaia di migliaia di beni culturali;
   inoltre, il regime fiscale iniquo costringe alla chiusura molte partite iva, mentre gli stranieri, che non pagano le tasse in Italia, si avvantaggiano delle leggi in sfavore del cittadino italiano;
   il 29 gennaio 2015 il Ministro interrogato ha firmato un decreto in cui si stabiliscono i criteri generali di accesso alla professione di guida turistica, delegando in via concorrente alle regioni le verifiche del caso;
   per le guide già abilitate, con regolari esami pubblici, iscritte in regolari elenchi pubblici regionali o provinciali, si richiede di sostenere esami per poter estendere la validità delle abilitazioni provinciali ad altri siti cosiddetti protetti, in cui solo le guide fornite di questa ulteriore specializzazione potranno esercitare;
   l'Etoa, la potente associazione di tour operator europei, ha sempre sostenuto tali posizioni; interessi analoghi sono sostenuti dalle società di servizi aggiuntivi, alle quali vengono concessi in affido i servizi di biglietteria, pulizia, vendita di libri e che invece vendono anche i servizi di visite guidate, condotte da personale non abilitato, quindi contravvenendo alle leggi vigenti e sottopagando il personale;
   il mercato dei «servizi aggiuntivi», cioè la gestione delle biglietterie e dei bookshop dei principali siti archeologici e musei d'Italia, è appannaggio di pochissimi operatori: la Coopculture assieme all’Electa, Civita cultura, società strumentale dell'associazione Civita (con al vertice Gianni Letta), il cui presidente è Luigi Abete, Gebart (fondata da Luigi Abete), Zetema: fondata da Civita insieme ad Acea e Costa edutainment, poi acquisita al 100 per cento dal comune di Roma, attiva nelle gestione indiretta degli istituti culturali di proprietà del Campidoglio. Curioso il fatto che l'amministratore delegato di Zetema, Albino Ruberti, siede anche nei vertici di Federculture, cui aderisce Zetema;
   le convenzioni dei servizi aggiuntivi sono scadute da diversi anni; ma, invece di fare un concorso pubblico, sono state sempre «prorogate» e continuano ad esserlo;
   desta perplessità sapere che il direttore generale per la valorizzazione del patrimonio (nel Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo) è Anna Maria Buzzi, sorella di Salvatore Buzzi, il capo della Coop 29 giugno coinvolta nello scandalo di «Mafia capitale» –:
   se intenda ritirare il decreto ministeriale del 29 gennaio 2015 fino all'emanazione di una legge di riforma complessiva della professione di guida turistica e se intenda dare attuazione a quanto promesso, già da molto tempo, e cioè di effettuare gare pubbliche per l'affidamento dei servizi aggiuntivi presso i siti museali.
(3-01407)


   PICCOLI NARDELLI, COSCIA, ASCANI, BLAZINA, BOSSA, CAROCCI, COCCIA, CRIMÌ, D'OTTAVIO, GHIZZONI, MALISANI, MALPEZZI, MANZI, NARDUOLO, ORFINI, PES, RAMPI, ROCCHI, ANDREA ROMANO, PAOLO ROSSI, SGAMBATO, VENTRICELLI, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nella conferenza stampa del 19 febbraio 2015 il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha annunciato l'avvio di una collaborazione con la Consip, mirata ad assicurare meccanismi trasparenti ed efficienti per gli affidamenti dei servizi da svolgere nei nuovi musei autonomi e nei poli museali regionali, con l'obiettivo di realizzare un servizio di biglietteria, prenotazione e prevendita a livello nazionale, fruibile da tutti i siti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e facoltativamente dagli enti locali;
   alcuni operatori dei «servizi aggiuntivi» – pur rilevando l'interesse per una procedura di grande innovazione – esprimono il timore che possa essere bandita una gara nazionale avente ad oggetto il solo servizio di biglietteria per tutti i siti culturali, servizio che verrebbe, in questo modo, ad essere separato dalle attività di valorizzazione da affidare in concessione, privando, di fatto, il concessionario di una fondamentale leva finanziaria e commerciale che costituisce uno dei pilastri del marketing culturale, parte integrante di un servizio completo che è rischioso parcellizzare;
   la riforma del codice dei beni e delle attività culturali – decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 117 – precisa che i «servizi aggiuntivi» possono essere gestiti in forma integrata con i servizi di pulizia, di vigilanza e di biglietteria –:
   con quali tempi e modalità il Ministro interrogato intenda procedere alla sottoscrizione dell'annunciato accordo con la Consip, con particolare riferimento alle modalità relative al servizio di biglietteria, prenotazione e prevendita a livello nazionale, tenuto conto dei timori sopra esposti. (3-01408)


   RAMPELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la società Eur spa, incaricata della tutela, gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare costituito dalle opere realizzate per l'Esposizione universale del 1942, tutelato ai sensi del codice dei beni culturali di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e da un vasto patrimonio di parchi e giardini di pregio, anch'esso sottoposto a vincolo da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, nel 2007 ha dato avvio alla realizzazione del Nuovo centro congressi, la cosiddetta Nuvola, progettata dall'architetto Massimiliano Fuksas;
   per far fronte agli oneri derivanti dalla realizzazione di tale opera, la società, che sinora aveva sempre chiuso i bilanci in utile, ha cominciato a registrare un decremento nei risultati di esercizio, passando da un volume di ricavi pari a 20 milioni di euro nel 2006 ad appena 700.000 euro nel 2013;
   a fronte dell'indebitamento della Eur spa per sostenere gli oneri connessi all'ultimazione dei lavori della «Nuvola», sino al mese di novembre 2014 il Ministero dell'economia e delle finanze, socio maggioritario di Eur spa, aveva dichiarato che avrebbe ricapitalizzato la stessa società per un importo di 140 milioni di euro, garantendo la continuità aziendale;
   in data 12 dicembre 2014, invece, a fronte della mancata ricapitalizzazione, il consiglio di amministrazione di Eur spa si è trovata costretta a deliberare la richiesta di ammissione alla procedura di concordato preventivo ai sensi dell'articolo 161, comma 6, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, che è stata accolta dal tribunale di Roma il 23 dicembre 2014;
   in base alle indicazioni del tribunale, la società dovrà predisporre entro il 24 aprile 2015 una proposta di concordato preventivo in continuità aziendale, ovvero il deposito di una domanda di accordo di ristrutturazione del debito;
   il 16 febbraio 2014 si è svolta un'assemblea straordinaria dei soci della società Eur spa che ha approvato una modifica statutaria finalizzata a poter procedere alla dismissione di alcuni degli immobili appartenenti al patrimonio della stessa;
   gli immobili destinati all'alienazione sembrerebbero essere Palazzo delle arti e tradizioni popolari, Palazzo della scienza universale, Palazzo dell'arte moderna, Palazzo dell'agricoltura e delle bonifiche e Palazzo dell'Archivio di Stato, Palazzo dell'urbanistica;
   questi palazzi sono veri e propri gioielli storici e artistici e, attraverso la redditività delle superfici in locazione e lo sviluppo dei servizi connessi, hanno consentito ad Eur spa di mantenere stabile il livello dei valori locativi con i quali si è da sempre autofinanziata;
   la sottrazione di tali edifici dal patrimonio immobiliare dell’Eur spa, a fronte di un ricavo una tantum e che dovrà comunque essere destinato al completamento del centro congressi e al ripianamento del debito, determinerà una perdita economica per circa 20 milioni di euro l'anno, alle quali si andrebbero a sommare altre decine milioni di euro di penali per l'estinzione anticipata dei mutui contratti con le banche, con le ovvie ripercussioni negative sulla solidità finanziaria della società e sui livelli occupazionali della stessa;
   inoltre, il passaggio della proprietà di tali beni in capo a società quali Invimit, Cassa depositi e prestiti e Inail, che allo stato sembrano essere gli acquirenti pubblici interessati, o addirittura a società private, significa consegnarli nelle mani di soggetti a parere dell'interrogante inesperti e privi di qualunque know how in materia di gestioni immobiliari di alto valore artistico e culturale, distraendoli, di fatto, dalle finalità di conservazione e valorizzazione promosse dalla società Eur spa –:
   se non ritenga di avviare le opportune ed urgenti verifiche di competenza rispetto alla liceità delle alienazioni di cui in premessa, nonché ogni iniziativa utile al fine di mantenere la proprietà di tali edifici alla società Eur spa per la loro tutela e valorizzazione in base alle previsioni del codice dei beni culturali, anche attraverso l'istituzione di un tavolo con il Ministero dell'economia e delle finanze volto ad elaborare una diversa modalità di copertura degli oneri che gravano su Eur spa. (3-01409)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALIANTE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   Paestum, che in età greca era chiamata Poseidonia, venne fondata agli inizi del VI sec. a.C. da achei provenienti da Sibari che si stanziarono nella fertile pianura a sud del Sele e la resero una delle più importanti città della Magna Grecia. Dopo 2500 anni dalla sua fondazione oggi è possibile visitare un'ampia zona in cui, tra l'altro, sono visibili tre celeberrimi templi dorici, splendidamente conservati, esempi dell'archeologia greca paragonabili per bellezza soltanto al Partendone di Atene: il tempio di Cerere, il tempio di Hera e il tempio di Nettuno. Nell'area pubblica si conservano edifici di età greca come l’ekklesiasterion e l’heroon (la tomba ipogeica dell'eroe fondatore della città) e romani come il foro, il tempio italico, l'anfiteatro e i quartieri di abitazioni. La città antica è circondata dalle mura con quattro porte in corrispondenza dei punti cardinali. Riconosciuta tra i patrimoni dell'umanità dell'Unesco è tra le mete turistiche della provincia di Salerno più ammirate e conosciute dai turisti italiani e stranieri, uno dei principali parchi archeologici d'Europa. Tutta la zona dove insistono gli scavi archeologici è sottoposta a vincolo di tutela e inedificabilità, ai sensi della legge 5 marzo 1957, n. 220 («Costituzione di zona di rispetto intorno all'antica città di Paestum e divieto di costruzioni entro la cinta muraria»);
   è convinzione profonda che l'area archeologica di Paestum per la straordinaria importanza e il valore culturale artistico abbia necessità di un programma di valorizzazione più compiuto, che interessi anche e soprattutto l'acquisizione da parte del demanio di una vasta area di quel patrimonio, che tuttora è in mano ai privati per poterne garantire una effettiva tutela, così come necessario è pensare a progetti specifici di valorizzazione coinvolgendo i sindaci dei territori interessati –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere per tutelare e valorizzare questo inestimabile sito archeologico ed avviare un percorso finalizzato alla graduale cessione di tutta l'area archeologica al demanio. (5-05204)

Interrogazione a risposta scritta:


   NICCHI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   archivi e biblioteche attirano studiosi e investimenti dall'estero, ma soprattutto risultano fondamentali per il progresso civile, essendo una risorsa necessaria per allinearsi ai livelli dell'Europa più avanzata, pensando almeno alla Francia, alla Germania e alla Gran Bretagna;
   l'Italia per la sua storia può vantare un patrimonio librario di qualità per nulla inferiore a quello conservato nei Paesi appena ricordati;
   da anni, le sue principali biblioteche risultano fra le più arretrate. In particolar modo, nella Biblioteca nazionale di Firenze i servizi all'utenza sono decisamente inferiori agli standard minimi oggi richiesti (dall'accoglienza alle risorse informatiche, dalla comodità di accesso all'effettiva disponibilità delle collezioni) e da anni il settore vive il blocco del turn-over, del personale e l'assenza di un'idonea politica di sviluppo che contempli investimenti e progettualità di medio lungo termine;
   la Biblioteca nazionale centrale di Firenze, la più antica delle biblioteche nazionali italiane, nota per una dotazione eccezionale di sei milioni di libri e venticinquemila manoscritti, presenta difficoltà crescenti, poiché è impossibile accedere alla lettura di volumi recenti, anche quando catalogati;
   l'accesso alle collezioni di periodici, materiale di inestimabile lavoro, è stato escluso a tempo indeterminato ormai da due anni. La Biblioteca, ospitata in un edificio di notevole pregio architettonico, necessita di restauri della facciata e dei locali interni. L'impianto di climatizzazione è inefficiente, i locali di servizio sono al di sotto degli standard minimi di accoglienza che si richiedono a un istituto che dovrebbe godere di un prestigio internazionale, situazione aggravata da continui guasti e malfunzionamenti (porte bloccate, bagni spesso inagibili, locali chiusi e altro). Problemi ancor più evidenti nei caso di maltempo, quando l'acqua penetrata all'interno a causa della rottura di alcuni vetri infranti dalla grandine ed attraverso le finestre e porte spalancate dal vento ha arrecato danni a volumi di inestimabile valore;
   come si evince dalle tabelle ministeriali relative al finanziamento della Biblioteca nazionale di Firenze, le risorse sono così ripartite per il corrente anno e per il prossimo biennio: 2015, 196.397 euro; 2016, 154.593 euro; 2017, 154.593 euro;
   in questo anno finanziario pertanto il fondo di funzionamento è stato ridotto di oltre l'80 per cento da 1.111.000 euro a 196.397 euro, quello che permette di aprire le porte ogni mattina, di pagare le bollette e altro;
   il Ministro interrogato il 6 marzo 2015 ha annunciato che la Biblioteca nazionale nel 2015 avrà un contributo di 1.091.000 euro;
   a cavallo del 2014-15, sono stati conferiti alla Biblioteca oltre 1.100.000 euro per spese di restauro e messa in sicurezza, implicitamente riconoscendo la totale insufficienza dei fondi previsti dalle tabelle ministeriali –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per garantire che alla Biblioteca nazionale centrale di Firenze siano destinate risorse pubbliche certe e continuative per non ricorrere all'esercizio emergenziale, soprattutto risorse che non siano, ogni volta, ridotte;
   quali azioni intenda intraprendere per garantire il turn over dell'organico del personale. (4-08612)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta immediata:


   BRUNETTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   di recente, il tema dell'opacità nella gestione del debito pubblico italiano è stato più volte portato all'attenzione del Governo e del Ministro interrogato, anche attraverso l'utilizzo degli strumenti di sindacato ispettivo a disposizione dei parlamentari, senza ottenere risposte soddisfacenti;
   quello dei titoli derivati stipulati dal Ministero dell'economia e delle finanze italiano per ridurre l'incertezza sul servizio del debito pubblico è un tema cruciale di cui si discute da tempo, senza avere, però, a disposizione i dati reali del fenomeno;
   i dati reali sono fondamentali per fare chiarezza su una questione avvolta da troppe zone d'ombra: relazioni potenzialmente perverse con le controparti, automatismi non meglio specificati, conflitti di interesse, probabili connivenze, assenza di regole e totale mancanza di controllo dimostrata in tutti questi anni di gestione autoreferenziale;
   quanto emerge dalle poche informazioni disponibili (a partire da quelle offerte di recente dal direttore generale del debito pubblico del Ministero dell'economia e delle finanze, dottoressa Maria Cannata, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli strumenti finanziari derivati deliberata dalla Commissione finanze della Camera dei deputati) non ha, infatti, contribuito a fare chiarezza sulle questioni, in quanto non sono stati forniti né i contenuti dei contratti di derivati dello Stato italiano ancora in essere, né informazioni sulle controparti e sugli importi, né i dati in merito ai tempi e alle clausole degli stessi;
   la totale opacità di gestione e il muro di silenzio dinnanzi alle continue richieste di garanzia del principio di total disclosure, stabilito sin dal decreto legislativo n. 150 del 2009 e proprio di tutta l'attività della pubblica amministrazione, non fanno altro che alimentare sospetti, così come ingiustificati e ingiustificabili sono i ripetuti appelli del Ministero dell'economia e delle finanze alla riservatezza delle informazioni per evitare la reazione dei mercati;
   è per questo che abbiamo già chiesto, anche attraverso lo strumento dell'interpellanza urgente, nonché con una specifica richiesta di accesso agli atti avanzata dall'interrogante e dai deputati della Commissione bilancio, tesoro e programmazione della Camera dei deputati del gruppo Forza Italia, innanzitutto total disclosure, ovvero la totale messa a disposizione di tutte le informazioni, con riferimento ai contratti derivati collegati ai titoli di Stato emessi dal Ministero dell'economia e delle finanze italiano, e la pubblicazione integrale degli stessi. Chiamato a rispondere all'interpellanza urgente, il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Pier Paolo Baretta rispondeva semplicemente che «tutte le informazioni possibili sono già presenti sul sito del Ministero, con un livello di trasparenza più ampio di quello della maggior parte degli emittenti sovrani»;
   alla richiesta di accesso agli atti avanzata dai parlamentari del gruppo Forza Italia non abbiamo ottenuto ancora formale risposta;
   abbiamo, inoltre, invocato trasparenza su un altro aspetto inquietante della gestione opaca del debito sovrano italiano: il tema delle «porte girevoli». Molti direttori generali del Ministero dell'economia e delle finanze e molti Ministri, infatti, persone tutte qualificate e rispettabilissime, hanno infatti svolto attività lavorativa per quelle stesse banche con le quali avevano stipulato, dal Ministero dell'economia e delle finanze, contratti miliardari;
   abbiamo, inoltre, predisposto un'ulteriore interpellanza urgente, con una trentina di domande molto puntuali, che avrebbero potuto aiutare a chiarire molti punti oscuri; il Vice Ministro Luigi Casero, chiamato a rispondere in rappresentanza del Ministero dell'economia e delle finanze, non ha però saputo offrire a giudizio dell'interrogante alcuna risposta precisa ai quesiti posti;
   la stessa dottoressa Cannata, con provvedimento del 25 febbraio 2015, proprio a seguito di un'analoga richiesta di accesso agli atti inviata dai deputati delle Commissioni bilancio e finanze della Camera dei deputati del MoVimento 5 Stelle, ha negato l'accesso alla documentazione relativa ai contratti aventi ad oggetto derivati stipulati dallo Stato italiano;
   il diniego di accesso è stato motivato su rilievi ostativi destituiti di fondamento; se, infatti, il Ministero dell'economia e delle finanze obietta che, ai sensi del decreto legislativo n.33 del 2013, «non appare sussistere in capo al Ministero obbligo di ostensione dei documenti richiesti», allo stesso tempo non indica le disposizioni di legge ritenute ostative all'accesso ai documenti richiesti, sicché il provvedimento di diniego ad avviso dell'interrogante risulta assolutamente illegittimo in quanto carente di motivazione;
   è, quindi, evidente che non sono state indicate le disposizioni preclusive all'accesso semplicemente perché non esistono; infatti, dalla lettura del decreto legislativo citato, da valersi ormai come l'unica fonte degli obblighi di trasparenza della pubblica amministrazione, non solo non si ricava alcuna previsione che impedisca l'ostensione della documentazione richiesta (non essendo ascrivibile la fattispecie considerata e nessuna di quelle contemplate all'articolo 4, rubricato «limiti alla trasparenza»), ma, al contrario, si rinvengono disposizioni positive che sanciscono il relativo obbligo;
   il combinato disposto degli articoli 1 («Principio generale di trasparenza») e 23 («Obblighi di pubblicazione concernenti i provvedimenti amministrativi»), comma 1, lettera d), costituisce, infatti, la fonte dell'obbligo di pubblicare tutti i dati relativi agli accordi stipulati dall'amministrazione con soggetti privati e non consta alcuna esclusione (infatti non indicata), dall'ambito applicativo oggettivo di tali disposizioni, dei contratti aventi ad oggetti strumenti finanziari (come quelli in oggetto);
   ne consegue che, alla stregua della normativa citata, il Ministero dell'economia e delle finanze è obbligato a pubblicare i contratti in oggetto e, in ogni caso, a renderli conoscibili a chiunque eserciti il diritto all'accesso civico, nelle forme e con le modalità stabilite dall'articolo 5 del decreto legislativo suddetto;
   inoltre, i richiedenti l'accesso ai documenti sono deputati assegnati alla commissione parlamentare che si occupa di bilancio e di finanza pubblica, sicché tale richiesta non può intendersi come finalizzata ad un «controllo generalizzato dell'operato della pubblica amministrazione», e, come tale, vietato secondo il disposto di cui all'articolo 24, comma 3, della legge n. 241 del 1990. La richiesta è, infatti, preordinata all'esercizio delle funzioni parlamentari e, quindi, supportata da un interesse diretto, concreto ed attuale alla conoscenza della documentazione richiesta;
   a tal proposito la giurisprudenza ha, infatti, chiarito che «l'esercizio del diritto di accesso non è consentito per finalità di mero controllo della legalità dell'azione amministrativa, ma la sua istanza dev'essere sorretta da un interesse giuridicamente rilevante, così inteso come un qualsiasi interesse che sia serio, effettivo, autonomo, non emulativo, non riducibile a mera curiosità e ricollegabile all'istante da uno specifico nesso» (ex multis Consiglio di Stato, sezione V, 20 gennaio 2015, n. 166). E pare davvero difficile negare i predetti caratteri (per come stabiliti da una costante giurisprudenza amministrativa) nella posizione soggettiva del deputato, che, per ragioni inerenti all'esercizio del suo mandato parlamentare (e non per mera curiosità o per finalità emulative), intenda conoscere i documenti amministrativi che gli servono per svolgere le sue prerogative nella commissione parlamentare che si occupa della materia interessata dagli atti oggetto della richiesta di accesso –:
   in quali tempi il Ministero dell'economia e delle finanze intenda garantire la piena attuazione del principio di total disclosure che deve governare tutta l'attività dell'amministrazione pubblica, ai sensi di quanto stabilito sin dal decreto legislativo n. 150 del 2009, pubblicando in versione integrale tutti i contratti derivati in essere dello Stato italiano, al fine di rendere note a tutti tutte le informazioni in merito ai contenuti, alle controparti, agli importi e alle clausole degli stessi, e, in ogni caso, quando intenda assicurare accesso alla documentazione relativa ai contratti derivati, così come da richiesta formale trasmessa dai deputati del gruppo Forza Italia il 27 marzo 2015, posto che, non essendovi alcuna normativa ostativa all'accesso, deve riconoscersi tale diritto alla stregua della disciplina legislativa richiamata in premessa. (3-01410)

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dal 29 marzo 2015, in seconda serata su Italia 1, riparte La Casa degli Assi. Si inizia dalle puntate speciali dedicate ai casting dal vivo, che andranno avanti fino al 2 aprile. Dopo le puntate sui provini inizierà subito la seconda stagione della trasmissione vera e propria. Il palinsesto Mediaset prevede una programmazione che andrà avanti per un mese intero, dal 3 aprile all'8 maggio 2015, escludendo i giorni di sabato e domenica;
   la formula vincente del programma è ormai nota: al momento dell'entrata nella casa maltese ogni partecipante riceverà 15.000 chip e potrà rimanerci fino a quando non le avrà esaurite, con la possibilità di incrementare questo «stack» attraverso sfide di abilità all'interno della casa e prove in esterna. Il concorrente con più gettoni (detto chip leader) potrà godere di alcuni privilegi, che saranno svelati nel corso del programma, mentre quello con meno gettoni verrà penalizzato nello svolgimento delle varie attività;
   nel corso dello show diretto dal Team PokerStars Pro Luca Pagano i giocatori che avevano partecipato ai tornei on-line di PokerStars.it proveranno a prendere il posto degli inquilini entrati dalle selezioni live per aggiungere un po’ di attrattività alla ricetta che mette in palio 50.000 euro in gettoni d'oro;
   mentre si lavora per cercare di costruire una cultura di gioco che possa essere intrattenimento e non investimento, l'interrogante ritiene che questa trasmissione sia a dir poco inopportuna anche perché, benché andrà in onda in seconda serata, essa promuove il gioco del poker, che è vietato, ma che a causa di un vuoto normativo e di pronunce di alcuni TAR, è praticato in oltre mille circoli privati italiani –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere, anche promuovendo apposite campagne informative, per costruire una cultura di gioco che non induca dipendenza e dipendenza grave, fenomeni che, ad avviso dell'interrogante, rischiano di essere accresciuti da programmi come quello di cui in premessa. (3-01400)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   CAPEZZONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi si è registrata una pronuncia della Corte Costituzionale la quale ha sancito l'incostituzionalità, per violazione degli articoli 3, 51 e 97 della Costituzione, di una norma relativa a nomine dirigenziali operate nell'ambito dell'Agenzia delle entrate e dell'Agenzia delle dogane in assenza di concorso pubblico;
   costituisce un fatto triste e notorio che non sempre, in Italia, la competenza e il merito individuale siano stati gli effettivi e unici criteri di selezione all'interno di questo e di altri settori delle pubbliche amministrazioni;
   ciò determina un riverbero particolarmente negativo nel settore tributario, essendo noti i casi di interpretazioni della disciplina difformi tra ufficio a ufficio e tra territorio e territorio, ed essendo purtroppo sterminata in materia la casistica di atti illegittimi o vessatori o comunque errati a danno dei contribuenti, con relative, spossanti procedure – dall'esito sempre incerto – per opporvisi;
   sul piano del merito si pone inoltre la questione circa la legittimità degli atti posti in essere dai funzionari la cui nomina a dirigente è stata annullata;
   infatti la tesi, sostenuta dalla direzione centrale affari legali e contenzioso dell'Agenzia delle entrate, secondo cui «la pronuncia di illegittimità della Consulta non produce effetti sugli atti firmati dal personale incaricato di funzioni dirigenziali. In termini molto chiari, nella decisione è affermato che gli atti emessi sono legittimi. [...] Ai fini della legittimità dell'atto, è sufficiente che lo stesso provenga e sia riferibile all'ufficio che lo ha emanato. [...] La sentenza non si riflette sulla funzionalità dell'Agenzia né sulla idoneità degli atti emessi ad esprimere la volontà all'esterno dell'amministrazione finanziaria la cui legittimità è pertanto fuori discussione. [...] Sarebbero prive di fondamento e, quindi, perdenti le iniziative di contribuenti che intendessero far valere in giudizio l'illegittimità degli atti firmati da personale incaricato di funzioni dirigenziali» risulta molto discutibile sotto molteplici punti di vista;
   nella sua posizione in merito l'Agenzia delle entrate fa infatti impropriamente riferimento all'inciso con il quale la Corte costituzionale, nel negare che la funzionalità delle Agenzie potesse essere condizionata dalla validità degli incarichi dirigenziali previsti dalla norma poi dichiarata incostituzionale, opera un richiamo alle sentenze della Corte di Cassazione del 9 gennaio 2014, n. 220, e del 10 luglio 2013, n. 17044, in cui la Corte si limitava tuttavia ad affermare che gli atti dell'Agenzia delle entrate non devono essere necessariamente sottoscritti dal direttore generale, fattispecie evidentemente ben diversa da quella in discussione;
   occorre invece ricordare come risulti pacifico che l'avviso di accertamento sia nullo se non reca la sottoscrizione del capo dell'ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva dallo stesso delegato e che, in caso di contestazioni, grava sull'amministrazione finanziaria la prova del corretto esercizio del potere di delega (come sancito dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 14942/2013);
   pertanto, al di fuori di ipotesi molto circoscritte, l'atto sottoscritto da funzionario meramente incaricato di funzioni dirigenziali non può che essere considerato affetto da nullità insanabile, con evidenti ripercussioni sulla validità degli atti impositivi sottoscritti da funzionari meramente incaricati di funzioni dirigenziali e, conseguentemente, sul contenzioso in essere;
   in tale contesto, appare dunque all'interrogante quanto meno avventato e temerario dichiarare, come hanno fatto esponenti politici e dell'amministrazione finanziaria, che il problema non sussiste;
   risulta, al contrario, assolutamente ragionevole che un cittadino contribuente abbia pieno diritto di ritenere che un atto compiuto da un dirigente sprovvisto di requisiti di merito sia per ciò stesso viziato e pertanto impugnabile sul piano della legittimità –:
   come si intenda provvedere a rendere noto, in particolare ai cittadini interessati dai loro atti, i nominativi dei dirigenti coinvolti dalla decisione della Consulta, con relativa indicazione della data della cessazione dalla funzione dirigenziale e come si intenda, anche con un'iniziativa normativa di assoluta urgenza, definire le modalità attraverso cui i cittadini potranno chiedere l'annullamento dei provvedimenti illegittimi, anche riaprendo – se necessario – i termini per le relative opposizioni. (5-05211)


   BUSIN, CAPARINI e GUIDESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   gli impianti di risalita, in ragione della loro funzione di mezzo pubblico di trasporto in regime di concessione e a tariffa, sono stati da sempre ricompresi nella categoria catastale E/1 (Stazioni per servizi di trasporto, terrestri, marittimi ed aerei): nel 2007, però, a seguito dell'approvazione del decreto-legge n. 262 del 2006 che, all'articolo 2, commi 40 e seguenti, ha disposto la revisione catastale per le unità immobiliari iscritte nelle categorie del gruppo E, l'Agenzia del territorio ha disposto, con provvedimento 2 gennaio 2007 e circolare 4/13 aprile 2007, la riclassificazione degli impianti di risalita dalla categoria E/1 alla categoria D/8 in cui sono invece ricompresi i «fabbricati costruiti o adattati per le speciali esigenze di un'attività commerciale e non suscettibili di destinazione diversa senza radicali trasformazioni»; successivamente è intervenuta anche la nota protocollare 90253 del 19 novembre 2007 della direzione centrale cartografia, catasto e pubblicità immobiliare, che ha specificato che non siano da censire nella categoria E/1 «gli impianti di risalita quali: funivie, sciovie, seggiovie e simili, quando hanno destinazione esclusivamente o prevalentemente commerciale in quanto non assimilabile a servizio di trasporto, ma al soddisfacimento di fini ricreativi, sportivi o turistico-escursionistici»;
   da ultimo, la Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 4541 del 2015, ha accolto il ricorso dell'Agenzia del territorio-Agenzia delle entrate contro la sentenza dalla commissione tributaria regionale del Veneto-Mestre 80/06/11 del 5 ottobre 2011 che rigettava l'appello dell'amministrazione ferroviaria sul nuovo classamento di un immobile di pertinenza di una società di gestori funiviari del Veneto;
   la sentenza della Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso, ha affermato quindi l'illegittimità della tipologia catastale assegnata all'immobile per la non sussistenza del presupposto del classamento come «mezzo pubblico di trasporto» assegnato ad un impianto di risalita che svolgerebbe invece, ad avviso della Corte, una «funzione commerciale di ausilio ed integrazione dell'uso delle piste sciistiche»;
   la Corte di Cassazione ne deduce che a, una tale fattispecie risulta pienamente applicabile l'articolo 1-quinquies decreto-legge n. 44 del 2005, di interpretazione autentica dell'articolo 4 del regio decreto-legge 13 aprile 1939, n. 652, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1939, n. 1249 per la definizione di «immobili urbani» ai fini catastali: l'articolo 1-quinquies stabilisce che l'immobile urbano «si interpreta nel senso che i fabbricati e le costruzioni stabili sono costituiti dal suolo e dalle parti ad esso strutturalmente connesse, anche in via transitoria, cui possono accedere, mediante qualsiasi mezzo di unione, parti mobili allo scopo di realizzare un unico bene complesso. Pertanto, concorrono alla determinazione della rendita catastale, ai sensi dell'articolo 10 del citato regio decreto-legge, gli elementi costitutivi degli opifici e degli altri immobili costruiti per le speciali esigenze dell'attività industriale di cui al periodo precedente anche se fisicamente non incorporati al suolo»;
   ne deriva che i soggetti gestori degli impianti di risalita vedranno riclassificare i propri immobili con conseguente ridefinizione della rendita catastale incidente nel calcolo dell'Imposta municipale unica;
   le considerazioni di diritto che hanno portato, ad un simile dispositivo non sembrano però del tutto condivisibili: sebbene queste infrastrutture svolgano infatti funzione di sostegno ad attività economiche a scopo commerciale, soprattutto con fini sportivi, non si può però certo considerare questa funzione come prevalente ma accidentale, essendo, queste, le uniche strutture che permettano il raggiungimento di aree del territorio altrimenti inaccessibili;
   già nel 1977, con l'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica 27 luglio 1977, n. 616, che trasferiva alle regioni le funzioni amministrative relative ai servizi pubblici di trasporto esercitati con linee filoviarie, funicolari e funiviarie, l'articolo 84 definiva quali «servizi pubblici di trasporto di persone e di merci» quelli esercitati con «linee tranviarie, metropolitane, filoviarie, funicolari e funiviari di ogni tipo»: di conseguenza, le leggi regionali che regolano i servizi pubblici di trasporto di persone esercitati con linee filoviarie, funicolari e funiviarie hanno definito come «veicoli destinati al trasporto di persone o per trainare le persone su apposita pista» gli impianti funiviari «in servizio pubblico» per il trasporto di persone nei quali «una o più funi vengono utilizzate per costruire vie di corsa e per regolare il moto, anche su apposita sede terrestre»;
   oltre alle argomentazioni giuridiche non si possono poi non tenere in considerazione le gravi conseguenze economiche che questa sentenza potrà avere in un settore, comparto strategico dell'economia delle zone montane, già duramente colpito dalla crisi economica e continuamente soggetto all'imprevedibilità delle condizioni meteorologiche –:
   se non ritenga opportuno intervenire con adeguati provvedimenti, di natura anche interpretativa, al fine di ricomprendere, senza alcun dubbio e in maniera definitiva, le stazioni filoviarie, funicolari e funiviarie all'interno della categoria catastale E/1 e non nella categoria D/8, affinché sia correttamente riconosciuto a simili strutture, da un punto di vista giuridico, anche ai fini fiscali, la funzione pubblica di trasporto, non dissimilmente da altri impianti e infrastrutture esplicanti il medesimo servizio di trasporto. (5-05212)


   CAUSI e GINATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 14 della legge 11 marzo 2014, n. 23, ha delegato al Governo il compito di attuare il riordino delle disposizioni vigenti in materia di giochi pubblici, raccogliendole in un codice in modo sistematico ed organico ma al tempo stesso procedendo al loro adeguamento ai più recenti principi, anche di fonte giurisprudenziale, stabiliti al livello dell'Unione europea;
   l'attuazione della delega legislativa costituisce pertanto una straordinaria occasione per sottoporre ad analisi costruttiva gli aspetti dell'attuale quadro regolatorio in materia di giochi che hanno rivelato meno efficienza nel tempo e che, d'altro canto, risultano più rilevanti dal punto di vista dai parametri comunitari di riferimento;
   il settore in assoluto più coinvolto dall'evoluzione dei principi comunitari in cui l'assetto regolatorio sembra non essere più attuale è quello delle scommesse;
   nell'arco degli ultimi quindici anni, accanto alle reti fisiche ufficiali di imprese dedite alla raccolta delle scommesse secondo il modello della concessione di Stato per la gestione delle relative attività, si sono fortemente sviluppate reti fisiche parallele di imprese (centri trasmissione dati-CTD) che raccolgono anch'esse scommesse – per conto di società di riferimento con sede legale nello Spazio economico europeo ma, di fatto, operando come vere e proprie sale scommesse – in un regime di sostanziale migliore concorrenza rispetto alle imprese concessionarie. Reti alternative e parallele la cui attuale dimensione, pari ormai a circa la metà della rete ufficiale, impone di non potere più ignorare il fenomeno;
   tra i diversi aspetti che caratterizzano il gap concorrenziale emerge, dal punto di vista degli interessi statali, il fatto che i CTD si sottraggono con ogni mezzo – nel migliore dei casi ritardandone notevolmente la riscossione – alla fiscalità italiana sul gioco e che le società di loro regia, in quanto dislocate all'estero, non assolvono in Italia l'IRES ma versano imposte nei Paesi di rispettiva residenza ad aliquote oggettivamente più concorrenziali; con l'effetto finale che i servizi di queste reti alternative riescono ad essere offerti a prezzi più vantaggiosi degli analoghi servizi offerti dalle reti ufficiali dei concessionari di Stato; non si conoscono i dati riguardanti il fatto che i CTD scontino, in Italia, almeno l'Irpef o l'Ires sui loro margini di ricavo;
   le reti alternative inoltre, sottraendosi al regime regolatorio delle concessioni di Stato, non sono collegate ai totalizzatori né rispettano i palinsesti nazionali, ossia gli strumenti che, in Italia, perimetrano, legittimandoli, la tipologia e la quantità di eventi – sportivi ed ippici – sui quali nel nostro Paese è consentito ufficialmente raccogliere scommesse: questa situazione impedisce, tra l'altro, di poter assicurare all'intera platea dei giocatori parità di garanzie in ordine alla qualità dei servizi-scommesse, giacché, relativamente alle reti alternative, occorre esclusivamente affidarsi al senso di autoresponsabilità di chi vende scommesse nei CTD e delle loro società estere di riferimento e regia; tale situazione, peraltro, aumenta il gap competitivo, in quanto presso i CTD possono essere acquistate scommesse che non possono essere offerte dai concessionari di Stato che devono rispettare le regole di totalizzazione e palinsesto;
   la propensione delle reti fisiche alternative di raccolta delle scommesse a non accettare l'attuale modello regolatorio nazionale trova più recente testimonianza nell'attuazione prevista dall'articolo 1, comma 643, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante la procedura di regolarizzazione dei soggetti attivi alla data del 30 ottobre 2014, che offrono scommesse con vincite in denaro in Italia, senza essere collegati al totalizzatore nazionale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli; come appare dai primi dati appresi, solo un terzo circa della consistenza delle reti alternative sarebbe emersa, avvalendosi delle opportunità di questa procedura;
   le maggiori società estere che organizzano le reti italiane di CTD stanno tentando con ogni mezzo di contrastare l'eventualità di una prevalenza dell'assetto regolatorio nazionale di riferimento mediante la citazione innanzi ai giudici civili con la richiesta del risarcimento di tutti i possibili danni patrimoniali conseguenti ad una mancata disapplicazione delle norme nazionali repressive, e ciò nel presupposto che tali norme non sarebbero compatibili con l'ordinamento comunitario;
   in particolare, è stata intimata una diffida ai vertici nazionali dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ad adottare ogni atto necessario perché al personale dipendente – e le forze di polizia che li coadiuvano – venga disposto di non attuare il predetto sistema di norme repressive della raccolta di scommesse fuori dalle reti fisiche organizzate dai concessionari di Stato;
   tale atto pregiudicherebbe il funzionamento e l'assetto legale nazionale in materia di raccolta di scommesse, con una caduta verticale della sua credibilità agli occhi delle imprese che hanno creduto nel sistema organizzativo italiano di riferimento ed hanno investito nelle attività di offerta dei servizi-scommesse all'interno del mercato di riferimento;
   l'assunto dal quale muove la citata azione di diffida e giudiziaria per il risarcimento di pretesi danni consiste nel fatto che la Corte di giustizia ha dichiarato, in sentenze passate, che le imprese che governano le reti di CTD sarebbero state illegittimamente impedite nella partecipazione alle gare pubbliche di affidamento delle concessioni di raccolta delle scommesse, ed in tal modo discriminate, e che in quanto tali non sarebbero state punibili nel momento in cui avessero di fatto comunque raccolto scommesse in Italia: un'affermazione, questa, che continua praticamente a tenere in piedi una sorta di «salvacondotto comunitario» per le reti alternative che, invocandolo, riescono a conseguire l'assolvimento presso molte sedi giudiziarie penali nel momento della verifica della legittimità degli atti di repressione delle scommesse raccolte fuori dalle reti ufficiali;
   più recenti sentenze della Corte di giustizia dell'Unione europea (l'ultima in ordine di tempo del 22 gennaio 2013, nella causa C-463/13) hanno invece non solo confermato, specialmente nel settore delle scommesse, la legittimità comunitaria dell'assetto organizzativo delle reti ufficiali italiane di raccolta del gioco basato sul rilascio di una concessione di Stato e sul conseguimento previo di titoli abilitativi di polizia ai sensi del testo unico delle leggi in materia di polizia e sicurezza, ma, nello stesso settore, hanno affermato come non sia stata discriminatoria la gara pubblica per la selezione dei soggetti che raccolgono scommesse bandita ai sensi dell'articolo 10, comma 9-octies del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, appositamente prevista proprio per offrire agli organizzatori storici delle reti di CTD in Italia l'opportunità di entrare nel perimetro delle concessionarie di Stato per la raccolta di scommesse;
   ancor più di recente il TAR del Lazio, che si è pronunciato con sentenza 5 marzo 2015, appunto applicando il principio di diritto stabilito dalla Corte di giustizia dell'Unione europea con la citata decisione del 22 gennaio 2015, ha decisamente respinto la domanda di una società italiana che, attirata emulativamente dall'esempio delle reti dei CTD, pretendeva di essere autorizzata dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli ad avviare attività di raccolta di scommesse senza necessità di rispetto alcuno per il quadro regolatorio nazionale di riferimento;
   si può confidare sul fatto che il Consiglio di Stato, dal quale è partito il quesito pregiudiziale che si è al momento concluso con l'affermazione di diritto fatta dalla Corte di giustizia dell'Unione europea con la decisione 22 gennaio 2015 e che dovrà conseguentemente concludere il suo processo entro breve, farà propria tale affermazione, respingendo le doglianze della storica società di organizzazione di una rete di CTD in Italia, se è vero che lo stesso, già nel momento in cui formulava il quesito pregiudiziale, anticipava di «non aderire alla richiesta di diretta disapplicazione della norma nazionale in punto di durata delle concessioni messe in gara (...) permanendo il convincimento negativo del Collegio (...) costituente il punto di vista del Collegio nella soluzione della questione pregiudiziale» posta;
   nondimeno una divaricazione fra la giurisprudenza dei giudici amministrativi e dei giudici penali – rispetto alla quale è peraltro ancora del tutto imprevedibile quella del giudice civile investito più di recente dei giudizi di risarcimento del danno sopra detti –, frutto di un paradigma logico certamente non sviluppato in tutte le sue implicazioni proprio dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, è tale per cui, se da un lato è ben accetto a livello europeo il modello organizzativo italiano di raccolta delle scommesse, basato sul binomio concessione di Stato-titolo abilitativo di polizia, dall'altro però è pure consentito – sempre in nome di principi comunitari – a chi sfrutta la concorrenza transfrontaliera nell'offerta di scommesse in reti fisiche in Italia di approfittare del salvacondotto per la non punibilità nei riguardi delle norme repressive nazionali del gioco non in concessione, tanto che a quest'ultimo è consentito di perpetuare con veemenza atteggiamenti di immunità dall'applicazione del sistema regolatorio nazionale;
   la situazione complessiva genera tanto maggiore incertezza, sia dal punto di vista dell'ordine pubblico e della sicurezza, oltre che della salute, sia dal punto di vista della confidabilità degli investimenti, anche esteri, in Italia, quanto più vicino è l'approssimarsi della scadenza – a metà del prossimo anno – di tutte le concessioni rilasciate dallo Stato per la raccolta di scommesse secondo il quadro regolatorio vigente; una scadenza sicuramente superata ampiamente dai tecnici di risoluzione per sola via giudiziaria dei profili di incertezza sopra detti –:
   quali iniziative intenda assumere, anche con l'avallo da parte della Commissione europea, nella predisposizione del decreto legislativo delegato di attuazione dell'articolo 14 della legge n. 23 del 2014, al fine di superare i profili di incertezza giuridica che si sono determinati e ristabilire le necessarie regole di concorrenza tra reti ufficiali e reti alternative di raccolta scommesse in Italia. (5-05213)


   SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 3 del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, ha introdotto un credito d'imposta a favore delle imprese che investono in attività di ricerca e sviluppo;
   l'articolo 1, comma 35, della legge 23 dicembre 2015, n. 190 (legge di stabilità 2015) ha introdotto diverse modifiche alla disciplina di tale credito d'imposta, differendo la sua operatività al 2015 e contemporaneamente allungandone il periodo di fruizione fino al 2019;
   in base alla nuova normativa il credito d'imposta per investimenti in ricerca e sviluppo spetta ora a tutte le imprese che investono in tali attività a decorrere dal periodo d'imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e fino a quello in corso al 31 dicembre 2019, indipendentemente dalla forma giuridica (società di capitali, società di persone, ditte individuali e altro), dal settore economico in cui operano, dal regime contabile adottato e anche a prescindere dal fatturato: è stato eliminato, infatti, il limite massimo di fatturato annuo di 500 milioni di euro, prima previsto dal decreto-legge n. 145 del 2013;
   sono ammissibili al credito d'imposta le seguenti attività di ricerca e sviluppo, inclusa la creazione di nuovi brevetti: a) lavori sperimentali o teorici aventi per l'acquisizione di nuove conoscenze; b) ricerca pianificata o indagini critiche dirette ad acquisire nuove conoscenze, da utilizzare al fine di mettere a punto nuovi prodotti, processi o servizi ovvero di migliorare prodotti, processi o servizi esistenti; c) acquisizione di conoscenze per produrre progetti, piani o disegni per prodotti, processi o servizi nuovi, modificati o migliorati; d) produzione e collaudo di prodotti, processi e servizi, purché non impiegati/trasformati in vista di applicazioni industriali o per finalità commerciali;
   sono ammissibili al credito d'imposta per investimenti in ricerca e sviluppo le spese sostenute nel quinquennio 2015-2019 per: a) assunzione di personale «altamente qualificato» impiegato nell'attività di ricerca e sviluppo; b) quote di ammortamento delle spese di acquisizione/utilizzazione di strumenti ed attrezzature di laboratorio, nei limiti dell'importo ottenuto applicando i coefficienti di cui al decreto ministeriale 31 dicembre 1988, e comunque con costo unitario non inferiore a 2.000 euro al netto di IVA; c) costi della ricerca svolta in collaborazione con università e enti o organismi di ricerca e con altre imprese, comprese le start-up innovative; d) competenze tecniche e privative industriali relative ad un'invenzione industriale, biotecnologica o topografica di prodotto a semiconduttori o ad una nuova varietà vegetale anche acquisite da fonti esterne (quest'ultimo tipo di spesa è una novità introdotta dalla legge di stabilità 2015 rispetto a quanto era stato previsto originariamente dal decreto destinazione Italia);
   il credito di imposta spetta fino ad un importo massimo annuale di 5 milioni di euro per ciascun beneficiario (in luogo dei 2,5 milioni di euro previsti dal decreto-legge n. 145), a condizione che, in ciascuno dei periodi d'imposta, la spesa sostenuta per attività di ricerca e sviluppo sia almeno pari a 30.000 euro (prima era previsto che fosse almeno pari a 50.000 euro);
   non si considerano agevolabili le modifiche ordinarie o periodiche di prodotti, linee di produzione, processi di fabbricazione, servizi esistenti ed altre operazioni in corso, anche quando dette modifiche rappresentino miglioramenti;
   a seguito delle modifiche introdotte dalla, legge di stabilità 2015, il credito d'imposta è riconosciuto nella misura del 25 per cento (era 50 per cento con il decreto-legge n. 145) degli incrementi annuali di spesa nella attività di ricerca e sviluppo rispetto alla media dei tre periodi d'imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2015; per le imprese in attività da meno di tre periodi d'imposta la media degli investimenti in attività di ricerca e sviluppo da considerare per il calcolo della spesa incrementale è calcolata sull'intero periodo intercorso dalla loro costituzione, anche se in tal caso è minore di tre anni; viene previsto, tuttavia, che il credito spetti nella misura più elevata del 50 per cento, anziché del 25 per cento, per gli investimenti in ricerca e sviluppo relativi a: a) assunzione di personale altamente qualificato; b) costi della ricerca svolta in collaborazione con università, con enti o organismi di ricerca e con altre imprese, come le start-up innovative;
   il credito va indicato nel modello Unico relativo al periodo d'imposta nel corso del quale lo stesso è maturato, non concorre alla formazione del reddito né della base imponibile IRAP, non rileva ai fini del rapporto di deducibilità degli interessi passivi, è utilizzabile esclusivamente in compensazione;
   ai sensi del comma 15 dell'articolo 3 del decreto-legge n. 145 del 2013, come modificato dall'articolo 1, comma 35, della legge di stabilità 2015, spetta ad un apposito decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, adottare le disposizioni attuative necessarie, nonché le modalità di verifica e controllo dell'effettività delle spese sostenute, le cause di decadenza e revoca del beneficio, le modalità di restituzione del credito d'imposta di cui l'impresa ha fruito indebitamente;
   a causa della mancata emanazione del decreto ministeriale attuativo, per il quale, peraltro, non è previsto alcun termine, l'agevolazione non ha mai trovato concreta applicazione –:
   al fine di incentivare le aziende ad investire in attività di ricerca, sviluppo ed innovazione, entro quale termine sarà emanato il decreto ministeriale cui è demandato il compito di definire nel dettaglio le relative disposizioni operative, nelle more del quale l'utilizzo di questa agevolazione fiscale potrebbe dar luogo a diversi problemi interpretativi. (5-05214)


   CANCELLERI e PESCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la disciplina fiscale dello scambio di partecipazioni mediante conferimento, recata dall'articolo 177, comma 2, del TUIR, stabilisce che: «Le azioni o quote ricevute a seguito di conferimenti in società, mediante i quali la società conferitaria acquisisce il controllo di una società ai sensi dell'articolo 2359, primo comma, n. 1), del codice civile, ovvero incrementa, in virtù di un obbligo legale o di un vincolo statutario, la percentuale di controllo sono valutate, ai fini della determinazione del reddito del conferente, in base alla corrispondente quota delle voci di patrimonio netto formato dalla società conferitaria per effetto del conferimento»;
   con la circolare 33/E del 17 giugno 2010, l'Agenzia delle entrate ha fornito la propria interpretazione della disciplina in commento osservando che essa «non delinea un regime di neutralità fiscale delle operazioni di conferimento ivi regolate, bensì prevede un criterio di valutazione delle partecipazioni ricevute a seguito del conferimento, ai fini della determinazione del reddito del soggetto conferente» (cosiddetto «regime a realizzo controllato»);
   dal summenzionato criterio, ne deriva, secondo l'amministrazione finanziaria, «che i riflessi reddituali dell'operazione di conferimento in capo al soggetto conferente sono strettamente collegati al comportamento contabile adottato dalla società conferitaria.»: qualora quest'ultima decidesse di iscrivere contabilmente la partecipazione acquisita per un ammontare superiore all'ultimo valore fiscalmente riconosciuto in capo al soggetto conferente, questi conseguirebbe una plusvalenza fiscalmente imponibile; viceversa, nell'ipotesi in cui la conferitaria iscrivesse la partecipazione ad un valore inferiore a quello fiscalmente riconosciuto presso il conferente, il conferente medesimo realizzerebbe una minusvalenza: pertanto, l'operazione di scambio delle partecipazioni risulterà fiscalmente neutrale solo nell'ipotesi in cui il valore di iscrizione della partecipazione e, pertanto, l'incremento di patrimonio netto effettuato dalla società conferitaria, risultino pari all'ultimo valore fiscale – presso il socio conferente – delle partecipazioni conferite (cosiddetta «neutralità indotta»): tale impostazione, basata sul menzionato regime del realizzo controllato, si spiega – secondo l'Agenzia delle entrate – alla luce di quanto esposto nella relazione illustrativa all'articolo 5 del decreto legislativo n. 358 del 1997, ossia per la difficoltà di stabilire la continuità dei costi tra il conferente ed il conferitario;
   i principi comunitari che sovraintendono al trattamento fiscale delle operazioni di scambio di partecipazioni sono disciplinati dalla direttiva 2009/133/CE del 19 ottobre 2009 che ha sostituito la previgente direttiva 90/434/CEE: in particolare è stabilito che «il regime fiscale comune dovrebbe evitare un'imposizione all'atto di una fusione, di una scissione, di una scissione parziale, di un conferimento d'attivo o di uno scambio di azioni, pur tutelando gli interessi finanziari dello Stato membro cui appartiene la società conferente o acquisita» e che «l'attribuzione ai soci della società conferente di titoli della società beneficiaria o acquirente non dovrebbe di per se stessa dar luogo a una qualsiasi imposizione dei soci medesimi»; il medesimo criterio è ribadito nell'articolo 8 della menzionata direttiva: «L'assegnazione, in occasione di una fusione, di una scissione o di uno scambio di azioni, di titoli rappresentativi del capitale sociale della società beneficiaria o acquirente a un socio della società conferente o acquistata, in cambio di titoli rappresentativi del capitale sociale di quest'ultima società, non deve di per se stessa comportare alcuna imposizione sul reddito, gli utili o le plusvalenze di detto socio.»; tale principio si applica «a condizione che il socio non assegni ai titoli ricevuti in cambio un valore fiscale superiore a quello che i titoli scambiati avevano immediatamente prima della fusione, della scissione o dello scambio di azioni»;
   l'articolo 4, comma 2, lettera a) della direttiva 2009/133/CE, seppure con riferimento alle operazioni di fusione, scissione o scissione parziale stabilisce che, per «valore fiscale», deve intendersi «il valore che sarebbe stato preso in considerazione per il calcolo degli utili o delle perdite ai fini della determinazione della base imponibile di un'imposta sul reddito, sugli utili o sulle plusvalenze della società conferente, se questi elementi d'attivo o di passivo fossero stati venduti al momento della fusione, della scissione o della scissione parziale, ma indipendentemente da tali operazioni»: il riferimento appare, dunque, orientato ad una razionale e imparziale stima del potenziale prezzo di mercato delle partecipazioni (fair value) piuttosto che all'arbitrario valore iscritto contabilmente dalla società conferitaria;
   operazioni come lo scambio di partecipazioni, i conferimenti d'attivo, le fusioni e le scissioni, che interessano società di Stati membri diversi possono essere necessarie per il buon funzionamento del mercato interno e, come precisato dalla direttiva 2009/133/CE: «tali operazioni non dovrebbero essere intralciate da restrizioni, svantaggi e distorsioni particolari derivanti, in particolare, dalle disposizioni fiscali degli Stati membri. È opportuno quindi prevedere per queste operazioni regole fiscali neutre nei riguardi della concorrenza, per consentire alle imprese di adeguarsi alle esigenze del mercato interno, di migliorare la loro produttività e di rafforzare la loro posizione competitiva sul piano internazionale»;
   vige, nel nostro ordinamento, il principio del primato del diritto comunitario, con ciò intendendosi quel principio per cui in caso di conflitto, di contraddizione o di incompatibilità tra norme di diritto comunitario e norme nazionali, le prime prevalgono sulle seconde –:
   se ritenga che il trattamento fiscale dello scambio di partecipazioni mediante conferimento, recato dall'articolo 177, comma 2, del TUIR, sia conforme alle normative europee e, in caso contrario quali iniziative intenda assumere per allineare le disposizioni dell'ordinamento interno a quello comunitario, nel rispetto del principio di prevalenza del diritto comunitario sul diritto interno. (5-05215)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i «patti parasociali» sono accordi fra i soci, successivamente intervenuti al di fuori dall'atto costitutivo, con i quali gli stessi dispongono di propri diritti sociali (esempio diritto di voto) vincolandosi reciprocamente ad esercitarli in un modo predeterminato, e rappresentano, pertanto, lo strumento per dare un indirizzo all'organizzazione ed alla gestione della società, per assicurare la stabilità degli assetti proprietari e l'incidenza sulla contendibilità del controllo societario;
   al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di mercati finanziari) ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 2 febbraio 1996, n. 52, (cosiddetta riforma Draghi), con riferimento ai suddetti patti, dedica agli stessi apposite disposizioni al fine di darne definitivo riconoscimento normativo e di affermarne, in linea di principio, la piena validità di uno strumento di controllo delle società per azioni, fino ad allora diffuso solo nella prassi societaria al quale non vi si accompagnavano né obblighi di pubblicità e trasparenza, né limiti di durata;
   in particolare, gli articoli 122 e 123 del suddetto TUF, la cui disciplina mira essenzialmente alla tutela del risparmio e degli azionisti di minoranza delle società emittenti azioni quotate in mercati regolamentati, sanciscono, nel nostro ordinamento, la piena e definitiva legittimazione, nell'ambito dei patti parasociali, dei cosiddetti «sindacati di voto», quelli cioè in forza dei quali i soci aderenti si obbligano a concordare preventivamente le modalità del diritto di voto da esercitare in assemblea ovvero a delegare ad un terzo l'esercizio stesso, e dei «sindacati di blocco», con i quali gli stessi soci si impegnano, nel caso di cessione delle azioni per atto tra vivi, a non trasferirle a terzi senza, il consenso degli altri soci (cosiddetta clausola di gradimento) o a garantire, per finalità «antiscalata» un diritto di prelazione a favore degli altri soci;
   più precisamente, il successivo decreto legislativo 6 febbraio 2004, n. 37, aggiungendo al suddetto articolo 122 il comma 5-bis, ha fugato ogni dubbio sancendo l'inapplicabilità alle società per azioni quotate della disciplina codicistica di cui agli articoli 2341-bis e 2341-ter e stabilendo che i patti parasociali, in qualunque forma stipulati, aventi per oggetto l'esercizio del diritto di voto devono essere comunicati entro cinque giorni dalla loro stipulazione alla CONSOB, pubblicati entro dieci giorni per estratto sulla stampa quotidiana e depositati entro quindici giorni presso il registro delle imprese del luogo ove la società ha la sede legale;
   finalità, per quanto non espressa, della disciplina dell'articolo 122 è quella implicitamente legata agli obiettivi di trasparenza e di contendibilità richiesti dai mercati regolamentati: a tal fine è stato affidato alla CONSOB il compito di stabilire, con proprio regolamento, le modalità e i contenuti della comunicazione, dell'estratto, e della pubblicazione; la stessa Commissione ha poi specificato che devono essere, innanzitutto, indicati la società i cui strumenti finanziari sono oggetto del patto, il numero delle azioni (e degli strumenti finanziari che attribuiscono diritti di acquisto o di sottoscrizione di azioni) complessivamente conferiti, la loro percentuale rispetto al numero totale delle azioni rappresentative del capitale sociale (e degli strumenti finanziari emessi della medesima categoria) e, nel caso di strumenti finanziari, il numero complessivo delle azioni che in virtù di essi possono essere acquistate o sottoscritte;
   particolari problemi possono sorgere quando tra gli azionisti figurano investitori istituzionali magari spinti da esigenze di liquidità, come ad esempio gli enti locali, per i quali modalità di vendita coordinata o addirittura di mandati centralizzati a vendere, capaci di determinare forti distorsioni del mercato, soprattutto laddove esistesse un piano preordinato di cessioni programmate di un forte numero di azioni, possono ripercuotersi pregiudizievolmente sui bilanci degli stessi –:
   se, alla luce della normativa, della giurisprudenza e della prassi, sia da ritenere possibile l'inserimento in un patto di sindacato, di clausole relative ad un obbligo di coordinamento nella vendita delle azioni possedute dai soci contraenti, eventualmente anche attraverso modalità di vendita accentrata determinate da un comitato nominato dagli stessi. (5-05216)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE MARIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, recante misure urgenti per l'emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80, all'articolo 7, sono state introdotte delle agevolazioni fiscali a beneficio dei conduttori di alloggi sociali, così come definiti dal decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 22 aprile 2008; in particolare, sono previste delle detrazioni fiscali IRPEF per il triennio 2014-2016 in favore dei soggetti titolari di contratti di locazione di alloggi sociali adibiti a propria abitazione principale;
   si considera alloggio sociale l'unità immobiliare adibita ad uso residenziale, realizzata o recuperata da soggetti pubblici e privati, nonché dall'ente gestore comunque denominato, da concedere in locazione, per ridurre il disagio abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi alle condizioni di mercato;
   le cooperative a proprietà indivisa realizzano degli immobili di civile abitazione che entrano a far parte del patrimonio della cooperativa stessa e che vengono concessi in godimento ai soci assegnatari, dietro pagamento di un canone di godimento; la veste giuridica che assume il socio assegnatario non è mai quella del proprietario dell'immobile, bensì è assimilabile a quella del locatario, potendosi considerare il corrispettivo che egli versa per il godimento dell'alloggio una sorta di canone di locazione;
   inoltre, le cooperative a proprietà indivisa concedono in assegnazione permanente ai propri soci gli immobili a costi molto inferiori rispetto a quelli di mercato; lo scopo principale di tale categoria di cooperative è infatti la concessione in gradimento di immobili a soggetti in difficoltà o a basso reddito, come le giovani coppie o le famiglie svantaggiate, che non hanno la possibilità di accedere agli alti canoni di locazione del libero mercato –:
   se i soggetti svantaggiati che hanno aderito ad una cooperativa a proprietà indivisa con l'intento di ottenere l'assegnazione in godimento di un alloggio adibito a propria abitazione principale possano sostanzialmente considerarsi titolari di contratti di locazione di alloggi e possano quindi accedere alle agevolazioni fiscali di cui all'articolo 7 del decreto legge n. 147 del 2014. (5-05202)


   GAGNARLI, L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI e LUPO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'attività venatoria in Italia è regolata dalla legge n. 157 dell'11 febbraio 1992, recentemente modificata dalla legge n. 97 del 6 agosto 2013, recante norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio;
   l'articolo 24 della legge n. 157 del 1992 ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e finanze, un Fondo, la cui dotazione è alimentata da un'addizionale, pari a 5,16 euro, alla tassa erariale di licenza di porto di fucile anche per uso di caccia (tassa di rilascio, rinnovo e annuale) di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 641 del 1972;
   la dotazione del Fondo è per la quasi totalità, il 95 per cento destinata alle associazioni venatorie nazionali riconosciute, in proporzione alla rispettiva, documentata consistenza associativa;
   ai sensi dell'articolo 34 della medesima legge n. 157, si considerano riconosciute agli effetti della legge la Federazione italiana della caccia e le associazioni venatorie nazionali (Associazione migratoristi italiani, Associazione nazionale libera caccia, ARCI-Caccia, Unione nazionale Enalcaccia pesca e tiro, Ente produttori selvaggina, Italcaccia). Queste 7 associazioni sono sottoposte alla vigilanza del Ministro dell'agricoltura e delle foreste;
   il restante 4 per cento della dotazione del Fondo è destinato al funzionamento e l'espletamento dei compiti istituzionali del «Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale». L'1 per cento residuo è destinato al pagamento della quota di adesione dello Stato italiano al Consiglio internazionale della caccia e della conservazione della selvaggina;
   le disponibilità del fondo devono essere ripartite entro il 31 marzo di ciascun anno, con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali;
   la ripartizione ed assegnazione delle somme del fondo di cui all'articolo 24, comma 2, lettera c) della legge n. 157 del 1992, effettuata tramite il suddetto decreto, si riferisce alle dichiarazioni di consistenza numerica delle associazioni venatorie nazionali, riferite a 2 anni prima;
   le 7 Associazioni venatorie nazionali riconosciute trasmettono annualmente, sotto la propria responsabilità, le dichiarazioni delle compagnie assicuratrici, controfirmate dai presidenti delle Associazione stesse, attestanti la consistenza numerica dei propri soci iscritti;
   l'attribuzione della dotazione prevista alle Associazioni venatorie nazionali riconosciute non comporta l'assoggettamento delle stesse al controllo della Corte dei conti, previsto dalla legge 21 marzo 1958, n. 259, perché enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria;
   si nota che la dotazione del fondo di cui all'articolo 24 della legge n. 157 del 1992 subisce oscillazioni annuali di decine di migliaia di euro: 1,70 milioni (2012), 1,60 milioni (2013), 1,65 milioni (2014) –:
   se siano previsti dei sistemi di controllo, da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali o da altri enti, sull'effettiva consistenza numerica delle associazioni venatorie nazionali riconosciute ai sensi dell'articolo 34 della legge n. 157 del 1992, destinatarie dei Fondi istituiti dall'articolo 24 della medesima legge, a controprova di quanto da esse autodichiarato, posto che per tali attribuzioni, in quanto ordinarie, non è previsto il controllo della Corte dei conti. (5-05221)


   OLIARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 11, comma 4, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, ha riformulato l'articolo 303 del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 (Testo unico delle leggi doganali) concernente il regime sanzionatorio doganale;
   le sanzioni doganali, applicate precedentemente alla modifica dell'articolo 303 in misura proporzionale in base alla gravità della violazione (la sanzione minima era pari all'ammontare dei maggiori diritti accertati), sono state rideterminate in misura fissa per scaglioni di maggiori diritti doganali accertati;
   in particolare, il novellato articolo 303 del TULD, al crescere fino a 4.000 euro dei maggiori diritti doganali accertati, prevede un inasprimento fino a 30.000 euro della sanzione minima (con incidenza del 750 per cento), dopodiché la sanzione rimane fissa anche a fronte di accertamenti di milioni di euro, con incidenza della sanzione vicina allo zero;
   è stata soppressa la disposizione che riduceva l'importo delle sanzioni nel caso in cui i maggiori diritti accertati derivassero da errori commessi in buona fede (ad esempio errori di calcolo, di conversione di valuta), riscontrabili dalla stessa documentazione allegata alla dichiarazione doganale;
   in tema di sanzioni amministrative vige il principio comunitario della proporzionalità della sanzione; in particolare il codice doganale comunitario stabilisce che le sanzioni doganali, fissate dai singoli Stati membri, devono essere «effettive, proporzionate e dissuasive» (articolo 42 regolamento (UE) n. 952/2013);
   il suddetto principio della proporzionalità è stato anche recentemente ribadito dalla sentenza Equoland del 17 luglio 2014, causa C-272/13;
   l'articolo 10 dello statuto del contribuente (legge n. 212 del 2000) prevede la tutela del contribuente per errori in buona fede;
   la soppressione dell'esimente per gli errori in buona fede comporta che non ci sia più una diversificazione di trattamento sanzionatorio tra chi compie errori di compilazione nella dichiarazione doganale senza intenzione (ed, infatti, contestualmente allega tutta la documentazione con l'indicazione dei dati) e chi volutamente commette errori in frode allo Stato;
   addirittura in alcuni casi, nonostante dalla revisione dell'accertamento doganale scaturisca che l'operatore abbia versato diritti in misura maggiore di quelli effettivamente dovuti, l'applicazione puntigliosa dell'articolo 303 comporta comunque l'applicazione di una sanzione (ad esempio, in un caso reale, a fronte di 70 euro di diritti doganali versati in più è stata applicata una sanzione di 5.000 euro);
   il nuovo regime sanzionatorio del citato articolo 303 risulta violare tanto il principio della proporzionalità, quanto, per violazioni più gravi, anche quello della dissuasione;
   tale regime, punendo in maniera spropositata le violazioni minori, fisiologiche ed ineliminabili, anche se commesse in buona fede, può contribuire ad indurre gli operatori a dirottare il proprio traffico verso dogane meno punitive –:
   se non ritenga opportuno, anche al fine di scongiurare un possibile ricorso degli operatori agli organismi comunitari, di assumere iniziative per modificare l'articolo 303 del TULD al fine di ricondurre il regime sanzionatorio doganale a principi di proporzionalità ed equità. (5-05222)

Interrogazione a risposta scritta:


   RICCIATTI, FERRARA, AIRAUDO, PLACIDO, QUARANTA, PIRAS, KRONBICHLER, SANNICANDRO, SCOTTO, MELILLA e DURANTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   un articolo pubblicato dalla testata l’Espresso nella versione online del 16 marzo 2015, intitolato «Il declino dell'Eni di cui nessuno si preoccupa», a firma della giornalista Paola Pilati, solleva alcuni dubbi sull'attuale stato di salute dell'Eni;
   in particolare l'articolo riporta il calo del trenta percento, nell'ultimo anno, del pay out, che passa dall'1,12 del 2014 all'attuale 0,80, annunciato durante la presentazione del piano strategico 2015 – 2018 a Londra, il 13 marzo 2015;
   la giornalista ricostruisce una serie di decisioni dell'attuale management del gruppo petrolifero, nell'ultimo anno, che avrebbero avuto effetti di «disorientamento» per il mercato. Dalla previsione del costo del petrolio a 200 euro al barile per la fine del decennio, espressa all'inizio dell'anno e ridimensionata ora a 90 dollari; agli annunci di possibili vendite, poi congelate, di Saipem e Eni Gas & Power;
   «in febbraio – riporta la giornalista dell’Espresso – si era diffusa la notizia dell'incarico a Goldman Sachs per studiare lo spin off di Gas & Power, cioè la separazione dall'Eni della costola che vende elettricità e gas al dettaglio, per farne una newco e incassare un po’ di mezzi freschi. Magari caricandola di quel fardello costoso che sono i contratti TAP, take or pay, sempre più difficili di rinegoziare. Vendita che avrebbe dovuto sostituire quella d Saipem, diventata impossibile ora che sugli amministratori della società pende una inchiesta per tangenti», e per l'assenza di adeguate condizioni di mercato per la vendita, come ha spiegato l'amministratore delegato di ENI Descalzi all'audizione tenutasi in Commissione attività produttive della Camera dei deputati il 28 gennaio 2015;
   nel corso della citata presentazione alla comunità finanziaria a Londra, è stato annunciato anche un piano di dimissioni per 8 miliardi di euro, il 70 per cento dei quali nei primi 2 anni –:
   se i Ministri interrogati siano in grado di fornire elementi di chiarimento circa le notizie apparse nel citato articolo di stampa ed in merito allo stato di salute dell'azienda, considerato che ENI rappresenta una delle realtà più strategiche per il Paese. (4-08613)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, ROSTELLATO e SEGONI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la riforma del servizio militare di leva, da anni non più obbligatorio, ha, di fatto, ristretto l'ambito di applicazione della giurisdizione militare a causa dell'abbassamento del numero di militari sottoposti a tale giurisdizione provocando una notevole deflazione del contenzioso penale militare nel territorio italiano;
   oltre a ciò si è assistito alla nascita di un filone giurisprudenziale della Corte Costituzionale che nel corso degli anni ha determinato una progressiva contrazione della giurisdizione speciale militare in favore di quella ordinaria;
   ciò ha sicuramente influito sul numero di procedimenti sopravvenienti di competenza dei tribunali militari che hanno conosciuto un notevole decremento della mole di lavoro per le procure militari e per i relativi tribunali con conseguente, evidente, sovradimensionamento degli apparati della giurisdizione militare, lasciando irrisolti gli interrogativi circa l'opportunità e l'utilità di una struttura di tali dimensioni divenuta, ormai, molto probabilmente, antieconomica;
   la legge 24 dicembre 2007 n. 244, articolo 2, commi da 603 a 611, ha effettuato riduzione nella geografia dei tribunali militari, ma nonostante la soppressione di alcuni Tribunali militari, la permanenza delle tre sedi di tribunale militare a Roma, Napoli e Verona, risulterebbe sproporzionata rispetto ai limitati carichi di lavoro che caratterizzano oggi la giustizia militare;
   la cosiddetta spending review intrapresa con disinvoltura in molti enti pubblici destinati all'erogazione di servizi essenziali al cittadino, non appare invece, ad oggi, essere intervenuta in materia, magari restringendo il numero degli organici della magistratura militare, neppure nell'ottica di consentire il transito od il ricollocamento del relativo personale alla giustizia ordinaria, ormai in cronica carenza di organici;
   per di più i dati relativi agli uffici giudiziari militari d'appello, a quelli di sorveglianza e alla procura generale militare presso la Suprema Corte di cassazione denotano come l'attività giudiziaria sia numericamente molto limitata e, ancora oggi, in tendenziale diminuzione;
   tale quadro potrebbe, quindi, indurre a ritenere che il lavoro e le esigenze degli uffici giudiziari militari, con la sensibile riduzione del personale di leva, siano destinati necessariamente a diminuire;
   si è registrato, altresì, un decremento dei reati tipici commessi dal personale di leva cosiddetti reati di «assenza» (mancanza alla chiamata, diserzione, e altro), in misura minore sono diminuiti i reati cosiddetti di «carattere», soprattutto alcune tipologie di delitti come quelli patrimoniali contro la pubblica amministrazione;
   dai dati per l'anno 2014 delle statistiche degli uffici giudiziari militari giudicanti in primo grado ed appello risulta che al 31 dicembre 2013: gli uffici del giudice per le indagini preliminari costituiti presso i tre tribunali militari hanno complessivamente pendenti solamente 335 procedimenti, a loro volta ripartiti in cifre molto ridotte: 189 a Roma, 97 a Napoli e 49 a Verona; i collegi dibattimentali di primo grado hanno pendenti in totale 200 procedimenti, 68 a Roma, 54 a Napoli e 78 a Verona; la Corte militare di appello ha pendenti a fine anno solamente 84 procedimenti;
   ulteriormente, gli uffici del giudice per le indagini preliminari costituiti presso i tre tribunali militari, hanno complessivamente trattato 2.156 procedimenti e fra questi si sottolinea che il 77 per cento (cioè 1.672) sono stati oggetto di archiviazione, quale indice dell'elevato tasso di infondatezza dei reati che connota i procedimenti avviati dalle procure militari;
   ulteriore dato emblematico è costituito dal numero dei procedimenti esauriti dalle tre sedi in primo grado nei giudizi dibattimentali, il numero dei proscioglimenti (116) è di poco inferiore a quello delle condanne (125), in totale nel 2013 il dato dei provvedimenti emessi si attesta a 252;
   agli operatori del settore risulta che i tre tribunali militari di Roma, Napoli e Verona, sono a loro volta articolati in due sezioni giudicanti, di cui una presieduta dal presidente dell'organo giudiziario militare come da nomina formale intervenuta con decreto del Ministro della difesa e l'altra da altro magistrato in servizio presso la stessa sede;
   come già indicato dalle più recenti statistiche giudiziarie militari risulta palese che il carico di lavoro degli stessi uffici, soprattutto se parametrato al carico di lavoro degli uffici giudiziari ordinari, non è in grado di giustificare l'articolazione interna in sezioni dei tre tribunali militari oggi esistenti, tipica, invece, degli uffici giudiziari ordinari che si trovano a dover gestire un carico di migliaia di procedimenti ciascuna;
   potrebbe anche presentarsi la situazione nella quale l'eventuale attribuzione di indennità accessoria dirigenziale al magistrato militare cui è attribuita la presidenza della seconda sezione dei tribunali militari di Roma, Napoli e Verona, risulterebbe del tutto ingiustificata ed irrazionale nonché inutilmente onerosa per le finanze pubbliche posto anche l'effettivo ridotto carico di procedimenti dei medesimi uffici giudiziari militari che in nessun modo spiega la ripartizione in sezioni dei tribunali militari medesimi –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se ai magistrati militari cui è attribuita la presidenza della seconda sezione dei tribunali militari di Roma, Napoli e Verona, competa l'attribuzione di un'indennità accessoria dirigenziale a titolo del detto incarico attribuito, ulteriore rispetto alla retribuzione base;
   se, in presenza della richiamata indennità accessoria dirigenziale, s'intenda porre in essere ogni più opportuno intervento, anche a carattere normativo, affinché la medesima indennità sia soppressa ovvero sia, comunque, eliminata la ripartizione in sezioni dei tribunali militari di Roma, Napoli e Verona. (5-05206)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   COVELLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   le acque del torrente Grima a causa delle piogge torrenziali di queste ultime ore hanno eroso il terreno sotto la sede stradale della statale 18 tirrenica, lasciando praticamente l'asfalto sospeso per aria in un tratto compreso tra Falerna e Gizzeria in provincia di Catanzaro;
   sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco e i tecnici dell'Anas ed è stata immediatamente disposta l'immediata chiusura del tratto stradale con deviazione del traffico sull'autostrada Salerno-Reggio Calabria;
   la situazione della viabilità calabrese si complica ulteriormente dopo la chiusura, il 2 marzo 2015, a seguito del crollo di un viadotto che ha provocato la morte di un operaio, del tratto dell'A3 tra Mormanno e Laino Borgo;
   il perdurare delle avverse condizioni meteo sta mettendo in ginocchio anche la viabilità minore evidenziando una criticità insostenibile del sistema infrastrutturale calabrese –:
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda attivare, d'intesa con la regione Calabria, al fine di affrontare le emergenze della Viabilità calabrese ed individuare un piano straordinario di interventi per le infrastrutture stradali della Calabria. (5-05208)


   DAGA, DE ROSA, TERZONI, BUSTO, MANNINO, ZOLEZZI e MICILLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il precedente piano nazionale degli aeroporti, presentato dall'allora Ministro Passera, non prevedeva Pisa e Firenze quali aeroporto strategici, mentre l'ultimo piano nazionale aeroporti suddivide il territorio nazionale in dieci bacini di traffico, avente ognuno un aeroporto strategico, con l'unica eccezione del bacino CentroNord, avente 2 aeroporti strategici (BOLOGNA e PISA/FIRENZE). Grazie a quella che appare agli interroganti una artificiosa aggregazione finanziaria tra la società Sat (Pisa) e la Adf (Firenze) (attuata mediante la vendita di quote pubbliche delle due società a vantaggio della Corporacion America), viene attribuito lo status di aeroporto strategico al nuovo gruppo Toscana Aeroporti Spa;
   prima della fusione, con l'aeroporto di Firenze ancora a maggioranza pubblica, il presidente di ADF Marco Carrai aveva chiesto pubblicamente al Governo un finanziamento di 120 milioni di euro per l'ampliamento del complesso aeroportuale. Con il decreto-legge «Sblocca Italia», il Governo ha stanziato 50 milioni di euro come cofinanziamento per la nuova pista di Firenze Peretola, ad avviso degli interroganti a tutto vantaggio della holding argentina che controlla lo scalo;
   la Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea, del 4 aprile 2014 — C 99/3 (p. 12 e 86) definisce le caratteristiche di bacino di utenza in 100 chilometri la distanza minima fra aeroporti. La stessa direttiva fa espresso divieto di aiuti di Stato per gli aeroporti ove questi non abbiano i requisiti; a tal ragione si ricorda che Firenze dista in linea d'aria 70 chilometri da Pisa e 85 chilometri da Bologna;
   in data 20 novembre 2014 il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti Nencini ha pubblicamente dichiarato che «la carenza di spazi presso tale aeroporto di Pisa, nonché le limitazioni operative, non consentono di prevede ne un potenziamento adeguato alla prevista crescita di traffico civile commerciale» dimenticandosi di un masterplan presentato con nuova pista per i 747 ovviamente in autofinanziamento e ha pertanto ritenuto necessario intervenire «sullo scalo di Firenze», attraverso la progettazione di un nuovo terminal passeggeri e di una pista di volo di 2400 metri classificata 4D performante per voli intercontinentali, senza opportunamente considerare le carenze tecniche del progetto e degli input regionali di classificazione pista 3C ovvero City Airport: infatti l'aeroporto di Firenze dovrebbe operare solo in regime monodirezionale per evitare il sorvolo della città e non si garantirebbe una opportuna gestione degli scali;
   moltissimi professionisti di settore, con comprovata esperienza in tale campo, come il Generale S.A. Luciano Battisti (ex ispettore ANSV ed ex consulente aeronautico dell'assessore Marson) e l'ex comandante pilota Gianni Conzadori da sempre hanno pubblicamente affermato, l'incongruenza della scelta della costosa e pericolosa pista da 2400m orientata 120o/300o, rispetto alla soluzione più economica e sicura di potenziare Peretola con l'allungamento dell'attuale pista;
   l'università di Firenze ha presentato osservazioni su alcuni importanti aspetti inerenti la sicurezza del volo quali:
    a) la presenza del raccordo autostradale rettilineo, con fonti luminose, che potrebbe indurre in errore gli equipaggi, in caso di nebbia (in Italia si contano già tre incidenti mortali di velivoli commerciali che hanno scambiato strade illuminate per piste) a tal riguardo il «Regolamento ENAC per la Costruzione e l'Esercizio degli Aeroporti», (al Cap. 6: «Aiuti visivi luminosi», paragrafo I, sottoparagrafo 1, pagina I) evidenzia tale pericolo;
    b) l'elevata probabilità d'avere emergenze in decollo ed atterraggio per l'impatto con volatili, abbondanti nella vicina discarica e nelle zone umide intorno alla pista (la quale dovrebbe addirittura attraversare il cosiddetto lago di Peretola). Infatti il citato regolamento (al capo 4, paragrafo 12, pagina 29), menziona come «Pericolo per la Navigazione Aerea», la presenza di uccelli di grosse dimensioni, quali: aironi, anatre, cavalieri d'Italia, gabbiani, può provocare la perdita di potenza od incendio dei motori, con conseguente caduta del velivolo (USA 2009 – Fiume Hudson);
    c) la pericolosa preannunciata sopraelevazione del raccordo autostradale confinante, oltre alla convergente sopraelevazione degli argini del Fosso Reale deviato, costituirebbero un pericolosissimo ostacolo, in caso di atterraggio corto (recente incidente di San Francisco) o fuoriuscita di pista in decollo (Ottobre 2001-Linate);
    d) i preoccupanti sorvoli della città che in base alle documentazioni fornite a corredo della variante stessa da parte della regione i quali attestano in 15 per cento circa ovvero 10.000/anno fra atterraggi e partenze da/verso Firenze, con altezze di sorvolo in fase di discesa a partire da 300m da terra il cui centro storico è dal 1982 Patrimonio Unesco, passando ai 63 metri da terra dal progettando stadio Arena/Cittadella dello Sport (circa 40.000 spettatori, 4000 posti auto) per finire ai 57m (dal suolo e non dal tetto) della Scuola marescialli, il cui comando generale di Roma visitato da rappresentati di comitati locali ha confermato in 40 metri l'altezza della scuola per cui gli aerei potrebbero passare in un range di 17/25 metri massimo. Infatti la teorica monodirezionalità sulla Piana non potrà essere rispettata, perché l'aereo decolla e atterra contro vento ed in presenza di particolari fenomeni meteorologici (ad esempio, il windshear) che spingono l'aereo verso gli ostacoli sottostanti, pseudo prescrizioni di monodirezionalità potrebbero risultare insufficienti, oltre al fatto che la nuova struttura dovrà obbligatoriamente rispettare (per i nuovi aeroporti non sono ammesse deroghe all'Annex 14 ICAO) il C.U. del 95 per cento (coefficiente di utilizzo) che obbligatoriamente permette partenze ed arrivi da entrambe le testate pista e quindi anche verso Firenze, di fatto escludendo quello che oggi viene concesso in deroga al vecchio aeroporto con dirottamento a Pisa e Bologna a causa di particolari condizioni meteo;
    e) le eventuali interferenze tra il sistema d'atterraggio di precisione, il traffico autostradale e le emissioni delle apparecchiature del CNR;
    f) prevedibili tamponamenti in AI e AII, causati dalla distrazione indotta dagli aerei (si verificano già in AII, a Tassignano, durante i lanci paracadutisti);
    g) la presenza di fattori di rischio che possono creare pericolo d'incendio o amplificazione del danno ad attività ad elevato affollamento (stadi, cinema, alberghi, autostrade, stazioni di servizio, centri commerciali e congressuali, ristoranti, caselli autostradali; impianti chimici e farmaceutici e altro) incompatibili con la costruzione della nuova pista 12/30. Il capoverso 9 del citato regolamento dell'Enac obbliga i comuni a determinare le zone di rischio aeroportuale, nelle quali non si possono edificare tali strutture in quanto incompatibili col piano di rischio aeroportuale, che obbligatoriamente condiziona la pianificazione urbanistica;
    h) la devastazione del sistema idrogeologico della zona, per la deviazione del Fosso Reale e l'attraversamento della nuova pista del cosiddetto lago di Peretola, da bonificare. Infatti la sezione provinciale di Isde Italia, facendo riferimento a studi nazionali ed internazionali, e delle dichiarazioni verbalizzate nelle commissioni regionali del Consorzio di bonifica medio Valdarno dichiarano che «l'attuazione di questo progetto aeroportuale provocherebbe anche un rischio idrogeologico, per la deviazione del Fosso Reale (un corso d'acqua di circa 6 km, che attraversa i comuni di Sesto Fiorentino e Campi Bisenzio e raccoglie le acque di numerosi canali della Piana), danneggiando inoltre il Polo Scientifico di Sesto Fiorentino sede di distaccamento di Unifi & CNR che vedrebbe cancellate le casse di espansione con rischio idrogeologico, l'oasi Wwf di Focognano appartenente a “Natura 2000” che dovrebbe esser trasferita come richiesto da ENAC a causa del rischio “Bird Strike” vanificando di fatto il Parco della Piana fiorentina, “Soggetto Ordinatore” come chiaramente stabilisce la delibera 61/16-7-14 della regione Toscana»;
   il 30 aprile 2013 l'allora commissario europeo ai trasporti Siim Kailas, ha pubblicamente dichiarato che «né Pisa né Firenze rappresentano un nodo urbano centrale. Non solo, ma sia l'aeroporto di Pisa (dove c’è una stima di passeggeri di circa 4-5 milioni all'anno) sia quello di Firenze (dove transiterebbero circa 1 milione di passeggeri) sono lontani dalla soglia di volume di circa 7-8 milioni di passeggeri. Infatti, in base agli ultimi rapporti annuali ENAC, nel 2012 il numero di passeggeri complessivo del sistema aeroportuale italiano ha registrato una flessione pari all'1,3 per cento (circa 146 milioni di passeggeri), rispetto all'anno precedente; tendenza confermata nel 2013 con un calo dell'1,7 per cento (circa 143,5 milioni di passeggeri). L'aeroporto di Firenze, quindi, con l'ampliamento non raggiungerebbe comunque i numeri per entrare nei core network aeroportuali»;
   se, a fronte delle innumerevoli criticità ambientali e tecniche del progetto di seguito riportate, in considerazione anche di un possibile avvio di procedura di infrazione da parte dell'Unione europea e non ultimo, in nome della sicurezza e dell'incolumità della collettività, il Ministro interrogato non ritenga più ragionevole prevedere di potenziare l'attuale aeroporto fiorentino piuttosto che realizzare una «inadatta» nuova pista di volo. (5-05218)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OTTOBRE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale situazione di crisi incide sull'economia del nostro Paese con effetti negativi anche per quanto riguarda il settore dei trasporti su gomma;
   infatti la concorrenza proveniente dai vettori dei Paesi comunitari penalizza fortemente le imprese italiane di trasporto – il cui ruolo dovrebbe essere quello di rilanciare la nostra economia per far ripartire il sistema produttivo – oltre a rappresentare una perdita in termini di gettito per lo Stato;
   a tal fine si vuole dimostrare che la concorrenza delle aziende straniere (senza l'armonizzazione dei costi fiscali e contributivi) comporta per lo Stato Italiano – per ogni veicolo immatricolato all'estero adibito al trasporto di merci – una perdita presunta di gettito fiscale complessiva pari a euro 83.621,02 ed i dati seguenti hanno lo scopo di dimostrarlo. In particolare:
    con riferimento alla perdita del gettito fiscale sugli utili delle aziende che producono o commercializzano mezzi di trasporto, il valore di mercato per l'acquisto di un complesso veicolare (trattore + semirimorchio) è di euro 110.000,00, ipotizzando un utile del 20 per cento sulla vendita pari a euro 22.000,00 lo Stato perde:
     a) il 27 per cento di Ires pari a euro 6.050,00;
     b) il 4,25 per cento di Irap pari a euro 935,00;
     c) per un totale di euro 6.985,00 inerente alla perdita dello Stato per la vendita di ciascun veicolo al di fuori dei confini nazionali;
   quanto alla perdita del gettito fiscale sulle accise del gasolio, considerando un chilometraggio di 13.000 km/mese e un consumo medio pari a 3,00 lt/km, ciò significa un consumo annuo pari a 52.000 litri che moltiplicato per il costo medio del gasolio al netto dell'iva (calcolato sul 2014) pari a 1,30 euro – da cui si detrae l'accisa rimborsata alle aziende di trasporto pari a euro 0,22 euro al litro – fa registrare un totale di 1,08 euro di costo `netto per l'azienda;
   sul costo del gasolio la parte delle accise è pari al 36 per cento ossia euro 0,25 al litro che moltiplicato per i litri consumati in un anno dal mezzo (preso ad esempi) dà un totale di euro 13.104,00;
   la perdita della tassa sul possesso del veicolo ammonta a un totale di euro 780,00;
   la perdita delle imposte sulle assicurazioni dei mezzi ammonta a un totale di euro 385,32;
   quanto alla perdita delle imposte e dei contributi sul personale (autista), assumendo che ogni mezzo su strada assorba un dipendente – che in caso di disoccupazione percepirebbe le indennità e da cittadino italiano avrebbe diritto all'assistenza sanitaria – con una paga netta annua pari a euro 34.000,00 (comprese le trasferte), ciò si traduce in un mancato gettito per lo Stato relativamente a:
    a) Irpef e addizionali pari a euro 7.300,00;
    b) Inps a carico dell'azienda pari a euro 10.500,00;
    c) Inps a carico del dipendente pari a euro 3.200,00;
    d) Inail pari a euro 3.100,00;
   il totale è di euro 24.100,00;
   se poi si considera che l'autista (nell'esempio considerato pari a euro 34.000,00) possa consumare il suo stipendio netto nell'anno, l'ulteriore perdita di gettito è data dall'aliquota IVA corrente per ciascuna categoria di beni acquistati (per esempio, il 10 per cento per i generi alimentari, il 22 per cento per altri prodotti per un'aliquota media del 16 per cento) con una perdita di gettito IVA per lo Stato sul mancato acquisto di beni da parte dell'autista per un totale di euro 4.689,66 (euro 34.000 per il 16 per cento);
   con riferimento alla perdita delle imposte indirette sugli acquisti effettuati, si considera il gettito IVA perso sull'acquisto dei mezzi (il 22 per cento di euro 110.000,000) ed il 22 per cento sul gasolio (il 22 per cento di euro 66.700,00) la perdita fiscale riferita all'IVA sugli acquisti ammonta a euro 33.577,05;
   a questo dato va aggiunto che le aziende, costrette ad aprire le proprie attività all'estero, hanno un costo per gli autisti che per il netto al dipendente è uguale a quello del lavoratore straniero, mentre per il lordo il costo complessivo è di gran lunga inferiore rispetto al costo sostenuto nel nostro Paese;
   evidentemente le aziende che abbandonano il nostro Paese licenziano i dipendenti italiani (la stampa ha dato ampia visibilità a tale circostanza) per cui lo Stato deve coprire anche i costi della cassa integrazione –:
   se il Ministro intenda promuovere iniziative urgenti per evitare la fuoriuscita dai confini nazionali delle imprese italiane (e conseguentemente tutte le ricadute negative già esposte in premessa) a partire dalla convocazione di un tavolo ministeriale, alla luce dei dati sopraesposti, che coinvolga le associazioni di categoria, gli enti e le istituzioni territoriali e le componenti sociali, sindacali e produttive coinvolte, per invertire questo dato allarmante per l'economia italiana. (4-08619)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MUCCI, PRODANI, ROSTELLATO, TURCO e RIZZETTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con risposta scritta, pubblicata giovedì 8 gennaio 2015 nell'allegato al bollettino in Commissione IX, codesto Ministero sottolineava in risposta all'interrogazione 5-03714: «Quanto alla compatibilità dello scalo di Firenze quale aeroporto strategico con le direttive europee, ricordo che, ai sensi del Regolamento europeo n. 1315/2013, tale aeroporto appartiene alla rete globale europea (TEN-T), così come lo scalo di Pisa»;
   nella risposta all'interrogazione 5-04294 il Ministero precisa «ovviamente i finanziamenti pubblici destinati al potenziamento delle infrastrutture aeroportuali degli aeroporti in parola (Pisa & Firenze) dovranno essere erogati nel rispetto degli Orientamenti europei in materia di aiuti di Stato agli aeroporti ed alle compagnie aeree»;
   lo stesso Ministro in data 2 ottobre 2014 su sollecitazione dell'Autorità di regolazione dei trasporti emanava le linee guida sugli aiuti di Stato richiamando gli «orientamenti prescrittivi dell'UE» menzionati nella Gazzetta Ufficiale UE 99/3/C, però lo faceva solo relativamente alle compagnie aeree, eludendo in toto la questione «Aeroporti»;
   il regolamento Unione europea 1315/2013 stabilisce gli orientamenti, i criteri, le modalità e le prescrizioni ambientali per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti;
   il Piano nazionale degli aeroporti prevede dei requisiti per l'individuazione degli aeroporti di interesse nazionale strategico. «Unica eccezione alla regola di un solo aeroporto strategico per ciascun bacino – si legge – è quella relativa al bacino del Centro-Nord, per il quale gli aeroporti strategici individuati sono tre – Bologna e Pisa/Firenze – in considerazione delle caratteristiche morfologiche del territorio e della dimensione degli scali e a condizione, relativamente ai soli scali di Pisa e Firenze, che tra gli stessi si realizzi la piena integrazione societaria e industriale»;
   tale classificazione non pare corretta anche alla luce degli orientamenti prescrittivi dell'Unione europea ribaditi nella Gazzetta Ufficiale del 4 aprile 2014 C 99/3 dove a pagina 21 Comma «e» [88] si specifica chiaramente che le valutazioni devono essere fatte per singolo aeroporto anche se già parte di aggregazioni;
   il piano nazionale aeroporti prevede un criterio di valutazione per tutti gli aeroporti in base su valutazioni specifiche mentre per Pisa e Firenze tali valutazioni vengono delegittimate;
   l'ex commissario europeo Siim Kallas, rispondendo ad un'interrogazione del parlamentare europeo Claudio Morganti, ha ribadito che «né Pisa né Firenze rappresentano un nodo urbano centrale. Non solo, ma sia l'aeroporto di Pisa (dove c’è una stima di passeggeri di circa 4-5 milioni all'anno) sia quello di Firenze (dove transiterebbero circa 1 milione di passeggeri) sono lontane dalla soglia di volume di circa 7-8 milioni di passeggeri. L'aeroporto di Firenze, quindi, con l'ampliamento non raggiungerebbe comunque i numeri per entrare nei core network aeroportuali»;
   il commissario europeo Violeta Bulc, il 4 marzo 2015, nell'allegata risposta ai Comitati della Piana fiorentina sull'applicazione dei regolamenti europei n. 1315/2013 e n. 1316/2013 sottolinea che, per quanto concerne la classificazione dell'aeroporto di Firenze questo «non è un aeroporto Strategico» e che fra l'altro non può beneficiare di finanziamenti pubblici;
   l'articolo 107 TFUE stabilisce che «la Comunità Europea è tenuta ad ordinare il recupero coatto presso il beneficiario di qualsiasi aiuto illegale che risulti incompatibile con il mercato comune»;
   il Ministero ha assicurato che «l'impegno economico previsto coprirà fino a un massimo di 150 milioni di euro. In particolare per l'aeroporto di Firenze è prevista la realizzazione del nuovo terminal passeggeri e di una pista di volo di 2.400 metri, idonea a sostenere le previsioni di traffico di medio-lungo periodo» come riportato dal comunicato del Sottosegretario Riccardo Nencini del 9 febbraio 2015 –:
   se la risposta all'interrogazione n. 5-03714 possa conciliarsi e in che modo con la risposta della Commissione europea ai Comitati della Piana Fiorentina;
   se il Piano Nazionale degli Aeroporti sia o meno in contrasto con i regolamenti europei;
   se non reputi opportuno assumere iniziative per sospendere immediatamente i finanziamenti pubblici agli aeroporti di Firenze previsti anche dallo «Sblocca Italia» e con quali modalità verrebbero concessi gli ulteriori 100 milioni di euro, alla luce di un possibile avvio della procedura di infrazione dell'Unione europea;
   se intenda specificare la classificazione del nuovo aeroporto di Firenze ovvero se un aeroporto classe 3C e quindi city airport come previsto dalla documentazione regionale, oppure classe 4D e quindi preformante per voli intercontinentali. (4-08626)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con un atto di una gravità inaudita il 22 gennaio 2015 ad Arborea era stato messo in atto un blitz delle forze dell'ordine per lo sgombero di un'azienda agricola;
   il blitz era stato messo in atto con un centinaio di uomini in assetto antisommossa, elicotteri, mezzi e uomini dei vigili del fuoco impegnati ad attuare lo sfratto forzato della famiglia Spanu, disposto dal tribunale, dalla casa e dall'azienda vicino alla strada consortile sulla 22 ovest di Arborea;
   alla luce dell'epilogo che la vicenda ha assunto si tratta di un episodio inaccettabile che vede lo Stato a giudizio dell'interrogante responsabile di quanto accaduto;
   si tratta di una famiglia portata via di peso dalla propria casa da un esercito di Stato in tenuta antisommossa, elicotteri, mezzi blindati, prefetti e questori e ora della vendita dell'azienda ad un prezzo più che doppio rispetto a quello dell'asta di Stato;
   dopo l'atto di forza attuato dallo Stato e la vergogna di un'asta che ha portato via tutto ad una povera famiglia per 150.000 euro, requisiti dalle banche, è la volta di quella che all'interrogante appare una vera e propria speculazione;
   quell'azienda «scippata» in un'asta finisce, dopo nemmeno due mesi da quel blitz, in vendita su tutti i siti immobiliari per 360.000 euro;
   un'asta di Stato che ha di fatto sottratto per piccole somme l'azienda ad una povera famiglia, fagocitata dalle banche e non solo, e poi dopo qualche settimana l'operazione è conclusa con un guadagno di 210.000 mila euro;
   questo è l'epilogo dello schieramento di forze consentito da prefetto e questore;
   è l'inaccettabile condotta di uno Stato che schiera centinaia di uomini armati e in tenuta antisommossa per far uscire dalla propria casa due poveri anziani e agevolare quella che all'interrogante appare la più vergognosa delle operazioni in danno della povera gente;
   uno dei link pubblicati in queste ore svela che l'esercito di Stato schierato contro quella povera famiglia ha avuto di fatto l'effetto di favorire un'operazione secondo l'interrogante indegna;
   se fossimo in uno Stato di diritto tutto questo dovrebbe comportare l'allontanamento dei responsabili di questo misfatto. La realtà, invece, vede tutti schierati contro i deboli;
   il link di uno dei siti di vendite immobiliari riporta immagini eloquenti dell'azienda della famiglia Spanu che il 22 gennaio 2015 era stata oggetto di una vera e propria azione militare per la cacciata della anziana coppia;
   ora più che mai, alla luce di questo epilogo deve essere avviata a giudizio dell'interrogante un'indagine ministeriale che spieghi e giustifichi i costi dell'operazione per il drammatico sfratto della famiglia Spanu di Arborea, durante il quale sono state impegnate decine di agenti di polizia in assetto antisommossa, elicotteri e diversi mezzi blindati;
   si ribadisce che è un fatto di una gravità inaudita che deve essere oggetto di un'indagine ministeriale per conoscere i responsabili di quella che appare all'interrogante la gestione di un'operazione militare grave sul piano sostanziale, inaccettabile su quello sociale;
   è evidente che se non arriveranno risposte esaustive dovrà essere valutato il ricorso ad altri organi dello Stato per verificare eventuali violazioni di legge;
   si registra l'inaccettabile silenzio del presidente della regione nonostante in Sardegna, entro aprile 2015, 700 aziende agricole sarde rischiano di finire all'asta;
   è indispensabile perseguire una normativa nazionale e regionale per il blocco delle aste per tutto l'anno, attraverso un'inderogabile moratoria, e un piano di rilancio, effettuato attraverso la finanziaria regionale, per salvare l'agricoltura sarda;
   schierare un vero e proprio esercito per sottrarre l'azienda venduta all'asta dopo mille vicissitudini è un fatto che dimostra, secondo l'interrogante, che lo Stato usa la forza dando luogo a un sistema oppressivo sia sul piano fiscale che sociale;
   ora con questa operazione la posizione dello Stato si aggrava: ha utilizzato la forza pubblica sostanzialmente ai danni di una povera famiglia –:
   se il Governo ritenga di dover promuovere, per quanto di competenza, un'urgente indagine ministeriale sui fatti richiamati riguardanti l'azienda sottratta alla famiglia Spanu con l'ausilio inaudito e a giudizio dell'interrogante improprio di tanti uomini e mezzi per eseguire uno sfratto;
   se possa indicare il Ministro chi ha deciso tale azione e se fosse a conoscenza della situazione e degli effetti pregiudizievoli che avrebbe comportato;
   se non intenda assumere iniziative normative per evitare, per il futuro, che possano verificarsi situazioni come quella di cui in premessa;
   se non intenda esaminare la possibilità di proporre una moratoria di un anno attraverso un'iniziativa normativa urgente che preveda anche la possibilità di intervenire nel salvataggio delle aziende a rischio di asta giudiziaria. (5-05219)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SILVIA GIORDANO, COLONNESE, TOFALO, MICILLO, PISANO, LUIGI DI MAIO, SIBILIA, LUIGI GALLO, FICO, BARONI, CHIMIENTI, COMINARDI e GRILLO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 30 marzo 2015, su richiesta della procura di Napoli, sono state emesse undici ordinanze di custodia cautelare nei confronti dei vertici della Cpl Concordia, del sindaco di Ischia Giuseppe Ferrandino e di un funzionario del comune di Ischia;
   la Cpl Concordia è un'impresa cooperativa nata nel 1899, ha la sua sede principale Modena, comprende al suo interno 70 società, con una compagine sociale di 806 soci, 1.592 addetti e un fatturato di 413 milioni di euro all'anno;
   la Cpl Concordia si occupa di energia in tutti i suoi aspetti: dall'approvvigionamento e distribuzione alla vendita e contabilizzazione di gas ed elettricità, alla produzione mediante sistemi tradizionali o impianti rinnovabili. Dalla progettazione all'attuazione di soluzioni che migliorano l'efficienza energetica producono risparmio di risorse per clienti pubblici e privati;
   sono 150 i comuni italiani ed esteri in cui CPL Concordia gestisce le reti gas: fra questi l'isola di Ischia e il gasdotto sottomarino di 13 chilometri che collega Napoli all'isola. Anche la vicina isola di Procida sarà a breve servita da un nuovo metanodotto. Tra i progetti salienti spicca il piano di metanizzazione della Sardegna dove, attraverso la holding Ichnusa, CPL Concordia sta realizzando 1.500 chilometri di rete per servire 84 comuni;
   gli arresti sono scattati per l'appalto relativo alla metanizzazione dell'isola di Ischia. Secondo i magistrati il sindaco del Pd Ferrandino avrebbe ricevuto dalla Cpl Concordia la stipula di due «fittizie convenzioni» con l'Hotel Le Querce di Ischia (di proprietà della famiglia del sindaco), ciascuna da 165 mila euro, a fronte della «messa a disposizione» di alcune stanze durante le stagioni estive 2013 e 2014 per i dipendenti della società modenese. Altre «utilità» ottenute dal sindaco sarebbero state l'assunzione del fratello, Massimo Ferrandino, quale consulente della Cpl Concordia e almeno un viaggio tutto spesato in Tunisia. Secondo l'accusa sarebbe stato proprio grazie all'interessamento del sindaco ed alla complicità dell'architetto Silvano Arcamone, dirigente dell'ufficio tecnico di Ischia, che l'appalto di metanizzazione dello stesso comune (capofila del progetto) e di quelli di Lacco Ameno e Casamicciola Terme è stato affidato alla Cpl;
   l'inchiesta coordinata dai pubblici ministeri Woodcock, Carrano e Loreto e condotta dai reparti speciali del Comando per la tutela dell'ambiente del colonnello Sergio De Caprio, è iniziata nell'aprile 2013 ed ha portato alla luce, secondo l'accusa, un sistema di corruzione basato sulla costituzione di fondi neri in Tunisia da parte della Cpl Concordia con cui retribuire pubblici ufficiali per ottenerne i «favori» nell'aggiudicazione di appalti;
   nell'ordinanza di custodia cautelare, il gip di Napoli Amelia Primavera sottolinea, tra l'altro, che «per comprendere fino in fondo e per delineare in maniera completa il sistema affaristico organizzato e gestito dalla Cpl Concordia, appare rilevante soffermarsi sui rapporti intrattenuti tra i vertici della cooperativa e l'esponente politico che è stato per anni il leader dello schieramento politico di riferimento per la stessa Cpl Concordia (...) ovvero l'On. Massimo D'Alema»;
   secondo quanto riportato dal fattoquotidiano.it, «dalle carte dell'inchiesta emergono strettissimi rapporti tra la operativa Concordia e il politico: tre versamenti regolarmente registrati per totali 60 mila euro da Cpl Concordia alla Fondazione Italiani europei (di cui l'on. D'Alema è presidente e fondatore); l'acquisto di 500 libri di D'Alema, per un valore di 4.800 euro, e di 2.000 bottiglie di vino prodotto da sua moglie»;
   l'on. Massimo D'Alema rivendica i suoi rapporti «trasparenti» con la Cpl Concordia, (...) ma sul sito della Fondazione Italiani europei di questi rapporti non c’è traccia, e nel motore di ricerca interno il nome della coop restituisce zero risultati»;
   da notizie di stampa, sempre del 30 marzo 2015, sono riportate le intercettazioni, agli atti dell'inchiesta, in cui il dirigente della CPL arrestato Francesco Simone, parla di Massimo D'Alema sottolineando la necessità di «investire in Italianieuropei dove D'Alema sta per diventare Commissario Europeo» in quanto «... D'Alema (...) ci ha dato delle cose»;
   dagli atti dell'inchiesta emerge che la Cpl ha anche sponsorizzato la presentazione del volume «Non solo euro» dell'ex leader del Pd a Ischia, l'11 maggio 2014, con l'interessamento del sindaco Giosi Ferrandino. Francesco Simone, parlando al telefono con il sindaco, candidato Pd alle elezioni europee sottolinea l'importanza dell'evento: «...sotto la campagna elettorale faremo una cosa...» e poi «...questo pure è un segnale forte che ti appoggia tutto il partito...». «Ferrandino – scrive il gip – si mostra molto entusiasta»;
   in un'altra recente inchiesta, era stato iscritto nel registro degli indagati dell'ex presidente della CPL Concordia, Roberto Casari, per concorso esterno in associazione mafiosa nell'ambito dell'inchiesta sui lavori di metanizzazione compiuti tra il 1999 e il 2003 a Casal di Principe e in altri sei comuni del casertano;
   opere realizzate non a norma, con rischi per la sicurezza dei cittadini, sostiene la direzione distrettuale antimafia di Napoli, in quanto dagli scavi condotti a Casal di Principe è emerso che le tubature erano state interrate a 30 centimetri di profondità invece che ai 60 previsti dalla normativa, mettendo quindi a rischio la sicurezza della popolazione;
   secondo l'ipotesi accusatoria, la Cpl si sarebbe aggiudicata l'appalto a Casal di Principe con l'appoggio della fazione dei Casalesi, guidata da Michele Zagaria, e i subappalti sarebbero stati poi distribuiti alle ditte locali indicate dai boss;
   secondo quanto riportato da un articolo del fattoquotidiano.it del 1o marzo 2015 a firma di Vincenzo Iurillo «L'inchiesta coordinata dai pm Cesare Sirignano, Catello Maresca e Maurizio Giordano e dal Procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli ha preso il via dalle rivelazioni del boss del clan dei Casalesi Antonio Iovine»;
   nei verbali firmati dal collaboratore di giustizia e nelle dichiarazioni rilasciate durante il «processo Fabozzi» sui legami tra camorra e politica negli appalti di Villa Literno, Iovine ha parlato dell'affare della metanizzazione nel Bacino Campania 30, la zona dell'Agro Aversano. Secondo il pentito, la realizzazione della rete del gas nei sette comuni di San Marcellino, Frignano, Villa Literno, Casapesenna, Casal di Principe, San Cipriano d'Aversa e Villa di Briano, avviata negli anni Novanta e affidata a Cpl Concordia in «concessione di servizio pubblico» – che prevede la costruzione e la successiva gestione della infrastruttura – fu di fatto controllata dal clan dei casalesi, attraverso l'intermediazione dell'imprenditore Antonio Piccolo, un uomo di Michele Zagaria –:
   se e quali iniziative intendano intraprendere, al fine di impedire che la criminalità organizzata possa arrivare ad infiltrarsi in appalti e servizi pubblici;
   se si sia proceduto ad attivare un'attività ispettiva da parte del Ministero dello sviluppo economico nei confronti della Cpl Concordia e in caso positivo quali siano stati gli esiti e se ritenga comunque che vi possano essere i presupposti per un commissariamento delle stesse. (4-08624)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 23 gennaio 2013 l'inchiesta della direzione distrettuale antimafia della procura di Bologna denominata Black Monkey portava all'arresto di 29 persone e al sequestro di 90 milioni di euro;
   l'inchiesta riguardava la contraffazione di schede di video poker, finalizzata alla trasmissione di minori introiti all'Agenzia dei monopoli e delle dogane, nonché l'attivazione di un sistema di giochi online non autorizzati;
   il capo dell'organizzazione veniva individuato in Nicola Femia, noto per essere vicino ad ambienti ’ndranghetisti e già condannato per traffico di stupefacenti;
   con lui venivano arrestati anche la figlia Guendalina e il figlio Rocco Maria Nicola, oltre al di lei marito, con ciò configurando la centralità della famiglia all'interno del sodalizio criminale;
   il 22 gennaio 2015 il GUP di Bologna rinvia a giudizio Nicola Femia, i figli e altri 11 per associazione mafiosa;
   il caso assume particolare gravità per le ripetute minacce di Femia al giornalista de L'Espresso Giovanni Tizian, che per primo segnalò i traffici illeciti dell'organizzazione;
   nel settembre 2013 viene registrata la Starvegas di Guendalina Femia, operante nel settore della «produzione e relativa vendita di apparecchi automatici da intrattenimento, produzione, progettazione ed assistenza schede da gioco», e residente in una delle ville già citate nell'inchiesta Black Monkey;
   la ditta viene immediatamente chiusa dal comune di Conselice e unione dei comuni della Bassa Romagna, per effetto dell'interdittiva prefettizia antimafia;
   il ricorso al TAR presentato contro la chiusura da Guendalina Femia viene rigettato nel dicembre 2014;
   nella medesima sede viene registrata nel febbraio 2014 la neocostituita Starvegas srls, con socio e amministratore unico Ioan Roxana Gabriela, compagna di Rocco Maria Nicola Femia, e operante nello stesso settore delle schede da gioco;
   tale società opera regolarmente, al punto da poter essere presente a Enada Primavera 2015, la più importante fiera dell'Europa meridionale dedicata agli apparecchi da intrattenimento e da gioco;
   lo stand promuoveva in particolare «Katun, la nuova scheda di qualità realizzata direttamente dalla stessa azienda. In esposizione anche la piattaforma Gold Play, sistema che fornisce servizi e svago all'utilizzatore»;
   lo stand è stato abitualmente frequentato nei giorni dell'esposizione da Guendalina Femia, attualmente sotto processo per associazione mafiosa e reati collegati proprio all'attività di gioco d'azzardo tramite apparecchi elettronici;
   sono quindi numerosi gli elementi che indicano la presenza di un collegamento fra Starvegas srls e la famiglia Femia –:
   quali iniziative di competenza si intendano adottare, anche attraverso la prefettura di Ravenna, per impedire che attività bloccate per gravissimi reati possano di fatto continuare a sussistere tramite prestanome, società di comodo o comunque legami indiretti ma evidenti. (4-08627)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   nella scuola dell'infanzia comunale Contardo Ferrini, nel quartiere Trieste a Roma, con una delibera del 14 ottobre 2014, si stabilito che: «Il collegio dei docenti decide di non festeggiare la festa della mamma né del papà a causa dei continui cambiamenti della famiglia, ma di evidenziare altre feste»;
   fino a pochi giorni fa, nessuno dei genitori ne era stato messo al corrente: i papà si sono accorti di essere stati espunti dal calendario solo all'uscita di scuola il 19 marzo scorso 2015, la festività di San Giuseppe appunto;
   indignati e infuriati, i genitori delle 9 sezioni dell'istituto Ferrini hanno dapprima chiesto spiegazioni alla coordinatrice scolastica. Poi sono passati alle vie legali. Il 25 marzo 2015 hanno inviato una diffida per chiedere l'immediato annullamento della delibera in modo che i bambini possano riavere almeno la festa della mamma; stando alle informazioni in possesso dei genitori, un'insegnante che aveva comunque permesso ai suoi bimbi di realizzare un disegno per la festa del papà sarebbe stata, per questo, rimproverata dalle colleghe;
   quello del Contardo Ferrini non è un caso isolato: già nel 2013, alla materna Ugo Bartolomei, nel quartiere Africano, i docenti cancellarono la festa del papà per non mettere in difficoltà un bambino che aveva due mamme. Allora la proposta era partita da una psicologa ma, dopo le proteste dei genitori, la ricorrenza fu ripristinata e festeggiata regolarmente;
   particolarmente gravi le dichiarazioni rilasciate a La Repubblica il 30 marzo dall'assessore alla scuola del comune di Roma, Paolo Masini. L'assessore inizia subito con un falso «... secondo quanto comunicato dalla scuola, da poco è venuto a mancare il padre di un bimbo. Così i docenti hanno deciso di non festeggiare, per non far soffrire uno degli alunni», omettendo che si trattava di una decisione presa mesi addietro. Poi imputa ai genitori protestatari di aver avviato «una partita ideologica» a danno dei propri figli («Non si fa un derby sulla pelle dei bambini» è un'espressione che ad avviso degli interpellanti lascia senza fiato), quando in realtà è vero l'esatto contrario e cioè che i docenti hanno deciso che i minori ad essi affidati dovessero soggiacere alla propria impostazione ideologica, senza comunicarla ai genitori;
   le scelte che i collegi dei docenti vanno, adottando negli ultimi anni stanno innalzando il «livello di scontro» con le famiglie, al di là delle tensioni che già si generano a causa della crisi economica che da anni attanaglia il Paese. Tali scelte denotano una presunzione di superiorità culturale dei corpi docenti sui genitori («sappiamo meglio noi cosa va bene per i vostri figli...»), secondo gli interpellanti totalmente inaccettabile, arbitraria, ideologica e soprattutto illegale, in quanto non scritta in alcuna legge; la legge semmai dice il contrario;
   appartengono a questa categoria la decisione di diffondere l'ideologia gender, in contrasto assoluto con i principi della religione cristiana, ma anche di quelle musulmana o induista, come quella di non festeggiare il Natale per non offendere la sensibilità dei bambini di altre religioni o quella di sopprimere la festa della mamma e del papà, perché «i cambiamenti della famiglia impongono altre ricorrenze»;
   quanto questa posizione dei corpi docenti sia arbitraria e generatrice di conflitti lo chiariscono bene le famiglie che hanno proposto la diffida contro il corpo docente della Ferrini: «Vogliamo solo capire l'indirizzo educativo e decidere di conseguenza... Nessuno di noi è contro le famiglie allargate, ciò non toglie che vogliamo che i nostri figli crescano con la consapevolezza dei ruoli»;
   a tutela di questi genitori, come di tutti gli altri, ci sono sia le Convenzioni internazionali sulla libertà dei genitori di educare i propri figli nel modo che ritengono più opportuno sia le norme che tutelano la rappresentanza e la posizione culturale dei genitori nei vari consigli di istituto, contenute nel Testo unico sulle scuole di ogni ordine e grado –:
   se non ritenga opportuno assumere con urgenza un'iniziativa, se del caso normativa, con la quale si imponga ai provveditorati e ai corpi docenti, che qualsiasi decisione dei provveditori o degli istituti che comporti modifiche ai modelli educativi o alle tradizioni culturali consolidate, debba essere preventivamente pubblicizzata, discussa e approvata dalla maggioranza dei genitori, riuniti nei loro organismi di rappresentanza e che possa essere approvata dal provveditore o essere messa in discussione nei consigli di istituto o collegi dei docenti solo previo assenso degli organismi di rappresentanza dei genitori;
   se, in tale ambito, non ritenga opportuno assumere iniziative perché si dichiari la nullità di tutte le deliberazioni scolastiche che non rispettino i principi, i diritti e i poteri delle rappresentanze genitoriali;
   se non ritenga opportuno chiedere al provveditore di Roma l'applicazione di provvedimenti disciplinari nei confronti del collegio dei docenti della scuola dell'infanzia comunale Contardo Ferrini, per violazione delle norme sull'informazione ai genitori, nonché delle norme sui poteri della rappresentanza genitoriale, in relazione ai fatti esposti in premessa.
(2-00915) «Pagano, Roccella».

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio di Stato ha appena accolto il ricorso di 300 giovani medici, che avevano partecipato al concorso nazionale per l'ammissione alle scuole di specializzazione, che si è svolto nel novembre 2014; li ha riammessi «d'ufficio»;
   a suo tempo il Tar Lazio aveva respinto un ricorso Codacons, ma il 26 marzo la CGIL FP Medici, tramite un ricorso patrocinato dagli Avvocati Michele Bonetti e Santi Delia, ha ottenuto raccoglimento di 5 ricorsi straordinari avanzati dinanzi alla II sezione consultiva del Consiglio di Stato;
   i 300 ricorrenti sono stati ammessi immediatamente e in sovrannumero, alla scuola di specializzazione per la quale avevano fatto la loro opzione all'atto della domanda; a questo punto tutti i ricorrenti, anche coloro che avevano ottenuto una sentenza negativa da parte del TAR, potranno, entro 60 giorni, ricorrere in appello al Consiglio di Stato chiedendo di essere ammessi in sovrannumero;
   l'Associazione giovani medici, prendendo spunto dalla contraddittoria alternanza di sentenze, ha affermato: «Prendiamo atto e rispettiamo il pronunciamento del Consiglio di Stato ... ma la Giustizia Amministrativa, ancora una volta, conferma come questo sia il Paese in cui non si riesce a realizzare una adeguata e meritocratica selezione della classe dirigente della sanità». Secondo loro il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, invece di investire e sostenere una riforma epocale che interessava migliaia di medici, per superficialità politica, al netto dell'errore di inversione delle domande commesso dal CINECA, ha vanificato gli effetti innovativi del primo concorso nazionale per l'accesso alle scuole di specializzazione;
   in altri termini gli errori del CINECA, anche se minimizzati dalla Avvocatura dello Stato, i pronunciamenti del Consiglio di Stato che appaiono in flagrante contraddizione con le sentenze del TAR, e gli stessi concorsi regionali, promossi dalle regioni senza rigorosi criteri di trasparenza e meritocrazia, hanno creato una serie di forti perplessità nei confronti del prossimo concorso per le scuole di specializzazione, alla luce dell'esperienza dello scorso anno;
   il timore dei giovani medici in attesa di concorso è che gli effetti dell'ultima sentenza complicheranno ulteriormente il complesso quadro di riferimento. Si teme, infatti, che il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per fare fronte alle nuove ammissioni debba attingere alla dotazione del capitolo di spesa relativo alla formazione medica specialistica prevista per questo anno 2015, già fortemente sottodimensionato rispetto al numero degli aspiranti specializzandi;
   ciò potrebbe rendere ancora più incerta la data di pubblicazione del prossimo bando di concorso nazionale per l'accesso alle scuole di specializzazione, anche se oltre alla data i giovani medici sono in attesa di conoscere in dettaglio il numero delle borse disponibili e le modalità concrete della loro assegnazione –:
   se il Governo non possa e non debba farsi carico dell'adozione di un piano straordinario di stanziamento di fondi necessari ad assorbire, nel volgere di un triennio, il gap esistente tra numero di laureati e contratti di formazione (specialistica e generalista) del post lauream, in modo da garantire a tutti i medici abilitati il diritto alla formazione dopo il conseguimento della laurea;
   se non ritenga necessario verificare con la Conferenza Stato-regioni i criteri in base ai quali le stesse regioni procedono all'assegnazione di borse aggiuntive;
   se non si ritenga utile e conveniente assumere iniziative per provvedere ad una sensibile riduzione dei posti per l'accesso ai corsi di medicina, in modo da compensare gli ingressi in sovrannumero e riprogrammare il fabbisogno di medici.
(3-01399)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CARINELLI, SIMONE VALENTE, LUIGI GALLO, MARZANA, VACCA e BRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'amministrazione del comune di San Donato Milanese, con deliberazione, della giunta comunale n. 21 del 27 gennaio 2015, ha deciso di chiudere le due sezioni della scuola dell'infanzia «Le Pagode», site nella sede distaccata di Bolgiano avente un proprio codice meccanografico, ed afferenti all'istituto comprensivo di via Croce Rossa;
   le sezioni di Bolgiano, che fanno capo alla scuola dell'infanzia «Le Pagode» in quanto partecipano a tutte le attività da essa promosse, si sono costituite sin dall'inizio come una realtà autonoma, rappresentando un esempio tangibile e virtuoso di scuola pubblica, soprattutto in termini di qualità dell'offerta formativa;
   tra le motivazioni addotte dalla delibera comunale vi sono: la razionalizzazione dell'utilizzo dei plessi scolastici e della spesa relativa al loro funzionamento; la possibilità di utilizzare spazi ed aule presso le scuole dell'infanzia di Via Moro e di Via Greppi; la previsione che l'andamento della popolazione scolastica non evidenzia sensibili variazioni che possano incidere sugli aspetti complessivi delle scuole dell'infanzia succitate; la volontà di destinare quegli spazi ad ospitare altri servizi;
   i genitori hanno espresso la loro contrarietà all'ipotesi di chiusura della sede di Bolgiano, chiedendo al Sindaco, all'assessore all'istruzione e al dirigente scolastico dell'istituto comprensivo di via Croce Rossa di continuare questo servizio pubblico, fiore all'occhiello dell'istruzione locale e della comunità;
    l'ambiente piccolo e familiare, il ridotto numero di bambini, la presenza di insegnanti «storiche» preparate professionalmente e dotate di grande passione per il proprio lavoro, sono elementi che contraddistinguono positivamente la scuola e la rendono davvero unica;
   la chiusura delle due sezioni provocherebbe notevoli disagi sia ai bambini che la frequentano, sia ai genitori degli stessi, in termini di reinserimento nelle nuove strutture e di mobilità, che agli insegnanti e al personale ATA;
   le motivazioni del comune a sostegno della chiusura non sono chiare e convincenti: non è prevista la chiusura di tutto il plesso, ma rimarrebbe aperto l'asilo nido «Colibrì» e la mensa, con sede negli stessi locali, di conseguenza i menzionati minor costi non sono così significativi;
   il netto incremento di iscrizioni alla scuola dell'infanzia nel suddetto comune per l'anno 2015/2016 (un incremento di +64 unità) creando così una lista d'attesa di oltre 50 bambini;
   la chiusura della scuola dell'infanzia di Bolgiano avrebbe conseguenze negative sulle altre scuole d'infanzia di San Donato, i bambini si riverserebbero quasi tutti sul plesso di via Martiri di Cefalonia, andando ad aumentare significativamente il numero di bambini per classe, con una evidente ricaduta sulla qualità didattica e gestione delle singole sezioni;
   i risparmi inizialmente previsti derivanti dalla chiusura delle sezioni della scuola di Bolgiano sono per quasi la metà costi indiretti che potrebbero essere evitati anche senza la chiusura della scuola –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito alle ragioni della chiusura della scuola dell'infanzia di via Unica Bolgiano, ubicata nel comune di San Donato Milanese;
   come l'Istituto comprensivo di cui in premessa intenda affrontare la questione relativa alla prevista chiusura delle due sezioni della scuola dell'infanzia di Bolgiano. (5-05220)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAPARINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con DDG del 13 luglio 2011 è stato indetto il concorso per esami e titoli per il reclutamento di dirigenti scolastici per la scuola primaria, secondaria di primo grado, di secondo grado e per gli istituti educativi;
   con sentenza 270 del 2014 il Tar del Lazio, sezione III, ha accolto il ricorso proposto dai partecipanti al concorso in questione, ma è stato proposto dal direttore dell'ufficio scolastico ricorso in appello (966/2014) avanti al Consiglio di Stato per l'annullamento della sentenza del Tar del Lazio in parola;
   il Consiglio di Stato ha respinto l'istanza cautelare avanzata dai ricorrenti, ma purtroppo ad oggi non ha ancora fissato la data dell'udienza in cui far comparire le parti, e quindi ai fini di decidere definitivamente sulla querelle di cui al ricorso in parola –:
   quali iniziative intenda adottare, al fine di pervenire a una positiva conclusione della vicenda che riguarda coloro che hanno partecipato al concorso indetto con DDG del 13 luglio 2011. (4-08625)


   ZAN. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è emerso dagli organi di stampa (tra tutti, La tribuna di Treviso) che Franco Lumachi, professore associato nell'ambito della scuola di medicina dell'università di Padova, condannato in primo grado, il 28 febbraio 2011, a cinque anni di reclusione per violenza sessuale nei confronti di sei pazienti e a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici, dal 2 marzo 2015 insegna al corso di chirurgia generale nella sede decentrata dell'ateneo patavino, a Treviso;
   anche secondo quanto riportato nel sito dell'ateneo patavino, il professore Lumachi, dagli inizi di marzo, risulta docente del corso di studio di laurea magistrale di chirurgia generale a Treviso, attività didattica che svolgerà fino al prossimo 12 giugno 2015 con lezioni frontali;
   fermo restando il principio della non colpevolezza per l'imputato fino all'ultimo grado di giudizio, appare all'interrogante assolutamente irragionevole e inadeguato che venga del tutto ignorata la condanna, seppure in primo grado, per un reato di tale gravità, senza alcuna sospensione cautelativa dell'insegnamento in attesa di sentenza passata in giudicato;
   l’iter giudiziario di secondo grado presso la corte d'appello di Venezia si profila lungo, soprattutto per un reato di tale portata –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se non intenda assumere iniziative normative per far sì che persone che abbiano subito condanne come quelle di cui in premessa non possano continuare a svolgere l'attività di docenza presso le strutture universitarie;
   se il Governo intenda intraprendere iniziative, affinché venga garantita indistintamente a tutti i cittadini una ragionevole durata dei processi e conseguentemente sia tutelato l'interesse dello Stato a perseguire il reato. (4-08628)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SBERNA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   utilizzando l'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), introdotto dal decreto legislativo del 31 marzo 1998, n. 109, i contribuenti a basso reddito in condizioni agevolate possono accedere a prestazioni sociali e servizi di pubblica utilità;

   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 5 dicembre 2013 ed il decreto ministeriale del 7 novembre 2014 sul nuovo modello della dichiarazione sostitutiva unica (DSU), stata varata una riforma dell'ISEE (ex articolo 5 del decreto-legge n. 201 del 6 dicembre 201) con decorrenza 1o gennaio 2015;

   con la circolare n. 48/2015 l'INPS ha comunicato le soglie Isee 2015 ricalcolate con i nuovi criteri previsti dalla riforma;

   l'11 febbraio 2015 il Tar del Lazio con le sentenze numero 2454/15, 245/15 e 2459/125 ha stabilito che il nuovo Isee deve essere rivisto dichiarando l'illegittimità dell'articolo 4 del decreto n. 159 nella parte in cui prevede che nel reddito complessivo siano conteggiate anche le indennità e le pensioni percepite dai soggetti disabili;

   in una delle tre sentenze inoltre il Tar ha ritenuto illegittima la differenza tra le franchigie previste per i maggiorenni con disabilità/non autosufficienti e quelle, più alte, previste per i minori con disabilità non autosufficienti;

   essendo il software in uso all'Inps per le elaborazioni del DSU tarato sulla normativa vigente, senza i correttivi apportati dalle sentenze, potrebbe verificarsi una ulteriore situazione di stallo che porterebbe a ritenere le certificazioni rilasciate a partire dal dicembre 2002 illegittime;

   all'interrogante giungono numerose segnalazioni relative alle criticità che il nuovo ISEE comporta: diffuso il disorientamento per famiglie, caf, sportelli informativi, associazioni, enti locali;

   l'ACB (associazione comuni bresciani) segnala, insieme alle criticità già segnalate da altri soggetti quali la complessità burocratica, il raddoppio dei tempi di espletamento delle pratiche da parte dei Caf, la forte preoccupazione per la sostenibilità economica e di sistema per le amministrazioni locali in relazione alle franchigie per persone con disabilità media o grave e per non autosufficienti, collegate alle prestazioni agevolate di natura sociosanitaria erogate in ambiente residenziale a ciclo continuativo;

   sulla base di simulazioni effettuate si sono evidenziate alcune criticità: il potenziale incremento di spesa a carico dei comuni per le persone già collocate in strutture residenziali; la difficoltà a determinare la reale e attuale situazione reddituale dal momento che il reddito considerato per la determinazione dell'ISEE non fa riferimento alla situazione reddituale al momento dell'ingresso dell'ospite in struttura ma al secondo anno solare precedente la presentazione della DSU; le problematiche relative alla corretta imputazione dei costi tra la quota socio-sanitaria e quella sociale –:

   se il Governo, considerate le criticità su esposte e gli enunciati delle sentenze del Tar Lazio, non intenda procedere ad una tempestiva sospensione dell'applicabilità del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 5 dicembre 2013 in vista di una sua revisione.
(5-05207)


   CIPRINI, TRIPIEDI, COMINARDI, DALL'OSSO, CHIMIENTI, LOMBARDI e ALBERTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con l'entrata in vigore del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22, recante «Disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183» pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 54 del 6 marzo 2015, dal 1o maggio 2015 diventerà operativa una nuova prestazione di sostegno al reddito per quanti si troveranno privi di lavoro, in modo involontario: la cosiddetta Naspi prenderà il posto di Aspi e mini aspi, previste dalla riforma Foriero;
   per accedere alla Naspi, gli interessati devono poter contare – contemporaneamente – su tre presupposti:
    a) lo status di disoccupato ai sensi dell'articolo 1, comma 2, lettera c), del decreto legislativo n. 181 del 2000;
    b) il possesso di contributi per almeno 13 settimane nei quattro anni che precedono la perdita del lavoro;
    c) trenta giornate di lavoro effettivo, nei 12 mesi precedenti l'inizio del periodo di disoccupazione;

   per la vecchia Aspi i requisiti sono i seguenti:
    a) almeno un contributo nei due anni antecedenti il primo giorno di disoccupazione;
    b) almeno un anno di contribuzione nel biennio precedente l'inizio del periodo caratterizzato dall'assenza di lavoro;

   dunque in base alla nuova normativa viene ampliato il periodo: da due anni passa a quattro e le settimane di contribuzione utili sono soltanto 13;
   l'indennità mensile Naspi è pari al 75 per cento della retribuzione mensile media degli ultimi quattro anni utili fino a 1.195 euro, più il 25 per cento della differenza tra tale importo e la retribuzione effettiva media, fino ad un importo mensile massimo spettante di 1.300 euro (nel 2015). L'importo mensile massimo cambia rispetto a quello previsto per l'indennità AspI, passando da 1.165,58 a 1.300 euro lordi;
   la nuova indennità inoltre non segue le logiche dell'età del lavoratore (fino a 50 anni ovvero oltre) che caratterizzano l'Aspi diversificandone la spettanza. L'articolo 5 del decreto n. 22 del 2015 prevede che la nuova indennità «è corrisposta mensilmente, per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni. Ai fini del calcolo della durata non sono computati i periodi contributivi che hanno già dato luogo ad erogazione delle prestazioni di disoccupazione» con l'effetto di favorire chi presenta un periodo temporale di occupazione e relativa contribuzione maggiormente significativo. In concreto ciò significa anche che nel calcolo della durata, non si terrà conto dei periodi di lavoro precedenti, per i quali il dipendente ha già beneficiato dell'assegno di disoccupazione;
   proprio per effetto di quest'ultima norma (articolo 5 del decreto n. 22 del 2015), accade che i lavoratori stagionali del turismo che godevano dell'ASpI o della precedente disoccupazione ordinaria non avranno più completa copertura economica dei periodi non lavorati nell'anno. Un contratto stagionale di 6 mesi ogni anno permetteva il riconoscimento dell'ASpI che quindi copriva i successivi 6 mesi fino alla stagione estiva successiva. Dal 1o maggio 2015, con l'avvento della Naspi, questo meccanismo salterà: potranno ricevere l'assegno solo per la metà delle settimane lavorate, quindi tre mesi, restando per altri tre mesi senza sussidio;
   dunque per tali lavoratori la norma dell'articolo 5 del decreto n. 22 del 2015 si tradurrà nel seguente modo: se un cameriere, un barista o una donna delle pulizie verranno assunti per sei mesi nella prossima stagione primaverile ed estiva, a ottobre potranno appunto ricevere l'assegno per soli tre mesi; l'abolizione dell'ASpI dal 1o maggio 2015 causerà una perdita pesante perché a questi lavoratori mancheranno 3 mesi di durata della indennità;
   per i dipendenti stagionali che godevano dell'ASpI (che non trovino altri lavori durante il periodo invernale) per avere una copertura economica per tutto l'anno, sarebbe necessario avere un contratto a tempo determinato di 8 mesi per poi ottenere 4 mesi di NASpI;
   tuttavia, come denunciato dalla Filcams e Cgil Venezia, questa norma penalizzerebbe in maniera drastica tutti i lavoratori stagionali del litorale della provincia di Venezia poiché nel litorale veneto le possibilità di avere rapporti di lavoro stagionali di 8 mesi sono praticamente inesistenti;
   si tratta di una platea di lavoratori «professionisti» del turismo estivo, per lo più con capacità importanti per le aziende e spesso strategiche per il buon andamento organizzativo e pratico: secondo la Filcams Venezia si tratta di un esercito di 300 mila persone, fatto di camerieri, bagnini, cuochi e animatori di villaggi turistici che vedrà dimezzarsi una tutela su cui, finora, aveva potuto fare affidamento e che non hanno alcuno sbocco lavorativo se non durante la stagione estiva;
   i lavoratori stagionali hanno dato vita ad una petizione on line e chiedono adesso un cambio di rotta lanciando un appello al presidente dell'Inps, Tito Boeri affinché dia un'interpretazione flessibile del decreto che istituisce la Naspi, in modo da non penalizzare troppo gli addetti del settore turistico –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione descritta;
   quali urgenti misure e/o iniziative – anche di tipo normativo – intenda adottare per ovviare alla situazione descritta e garantire un adeguato sussidio per tutto il periodo di disoccupazione ai lavoratori stagionali del sistema turistico e non penalizzare gli addetti del settore turistico. (5-05210)


   SIMONETTI e FEDRIGA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   è dichiarazione del Ministro Poletti del 26 marzo c.a. quella che «nei primi due mesi del 2015 sono stati attivati 79mila contratti a tempo indeterminato in più rispetto ai primi due mesi del 2014» e che a febbraio 2015 i contratti a tempo indeterminato sono stati il 38,4 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2014;
   tali dichiarazioni non specificano tuttavia se i neo contratti a tempo indeterminato hanno effettivamente aumentato il numero delle forze lavoro rispetto allo scorso anno, ovvero si è trattato di una trasformazione di contratti a termine in rapporti a tempo indeterminato, stante l'incentivo della decontribuzione previsto per trentasei mesi a decorrere dal 2015;
   il 13 marzo 2015, anche il Presidente dell'Inps, Tito Boeri, aveva dichiarato con enfasi che «nei primi 20 giorni di febbraio sono 76mila le richieste arrivate dalle imprese per accedere alla decontribuzione per assunzione a tempo indeterminato», osservando che «i primi dati sono incoraggianti» e che «le assunzioni potrebbero essere molte di più»;
   il premier Renzi ha parlato di 200.000 nuovi posti a tempo indeterminato nel 2015, il Ministro dell'economia e delle finanze Padoan di 800.000 nuovi posti di lavoro in 3 anni e la relazione tecnica alla legge n. 190 del 2014, legge di stabilità per il 2015 (provvedimento che ha previsto appunto l'esonero contributivo per il periodo 2015-2018 sulle neo assunzioni effettuate nel corso del 2015, comma 118 dell'articolo 1) addirittura stima in un milione di posti di lavoro aggiuntivi l'effetto dell'intervento normativo;
   a contestare questi dati, divulgati in maniera enfatica, è l'Ufficio parlamentare di bilancio; secondo il presidente Giuseppe Pisauro, infatti, «600 mila potrebbero essere contratti che comunque sarebbero a tempo indeterminato e 400 mila contratti a tempo determinato che si trasformano. Quindi l'impatto sull'occupazione potrebbe essere zero», come si legge sul resoconto della sua audizione in V Commissione permanente (Bilancio, tesoro e programmazione) della Camera del 30 ottobre 2014;
   il combinato dell'azzeramento contributivo e dello sgravio Irap contenuti nella legge di stabilità per il 2015 con il nuovo contratto di lavoro a tutele crescenti inevitabilmente risulta vantaggioso per le aziende; ovvio, a parere degli interroganti, che tale mix venga accolto favorevolmente dal mondo delle imprese e delle professioni;
   preoccupa, invero, secondo gli interroganti l'opera di «macelleria sociale» in atto e che emergerà solo al termine dei vantaggi fiscali: secondo alcune simulazioni il risparmio in termini di decontribuzione e di Irap oscilla dai 9.000 ai 18.000 euro; per altro verso il neoassunto è licenziabile in qualunque momento a fronte di un indennizzo pari a 2 mensilità all'anno;
   è evidente, pertanto, che la permanenza o meno del vantaggio fiscale sarà decisiva ai fini del mantenimento dei posti di lavoro che si creeranno in questo triennio;
   è altrettanto palese il rischio, ad avviso degli interroganti, che possa trattarsi solo di un'operazione di immagine di questo Governo, considerato che, qualora la detassazione o comunque una riduzione del costo del lavoro non fosse strutturale, i primi licenziamenti di massa si verificheranno tra marzo ed aprile del 2018, allo scadere del trentaseiesimo mese e appena dopo le elezioni politiche del 2018; nel frattempo, però, il Governo continuerà ad annunciare dati confortanti sulle assunzioni che lasceranno intendere all'elettorato che davvero la disoccupazione – specie quella giovanile – sembra essere diminuita;
   nella puntata di «Mix24» di Giovanni Minoli del 15 marzo 2015, Andrea Guerra, ex amministratore delegato di Luxottica ora consigliere strategico del premier Renzi, ha detto «penso che dentro al jobs act ci siano tante cose buone ma credo manchi ancora qualcosa di fondamentale che è la protezione dei lavoratori nel lungo periodo» –:
   quanti dei 79 mila contratti a tempo indeterminato attivati nei primi due mesi del 2015 in più rispetto ai primi due mesi del 2014 derivino da una trasformazione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato e quanti, invece, costituiscono neo-assunzioni effettive;
   se ed in qual misura il Governo intenda garantire i posti di lavoro anche al termine del periodo di decontribuzione ovvero se sia allo studio l'eventualità di rendere permanenti le misure di riduzione del costo del lavoro e gli interventi di defiscalizzazione finalizzati all'incremento ed al mantenimento della base occupazionale, onde evitare che il contratto a tutele crescenti si configuri, utilizzando l'espressione del segretario confederale della UIL Guglielmo Loy, un «contratto a termine finanziato». (5-05223)

Interrogazione a risposta scritta:


   LAFORGIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con la nota ufficiale 30 giugno 2014, è stata formalmente dichiarata la volontà del gruppo Rewe, di abbandonare il mercato italiano del ramo supermercati;
   le motivazioni che hanno spinto la società tedesca a ritirarsi dal mercato italiano sono state espresse dalla multinazionale stessa, in un comunicato stampa datato 30 giugno, firmato da Frank Hensel, procuratore generale del gruppo: «(...) Il nostro obbiettivo strategico è quello di raggiungere una posizione rilevante in tutti i mercati in cui siamo presenti. In Italia finora non sfamo stati in grado di raggiungere questo traguardo, nonostante gli investimenti mirati e l'ottimizzazione della rete e sulla base delle nostre attuali stime, non saremo in grado di raggiungerlo nemmeno nel prossimo futuro (...)»;
   questa decisione, presa non per crisi finanziaria ma per spostare il business su altri mercati, in particolare quelli dell'est europeo, ha coinvolto i 3784 lavoratori della società Billa A.G., prestanti servizio nelle filiali, 139 lavoratori della società Rewe Italia e 41 lavoratori della società Billa A.G sede secondaria in Italia, prestanti servizio tra le sedi di Rozzano e Carmignano del Brenta, l'indotto della logistica, fornitori diretti e partner commerciali;
   per i lavoratori di sede a carico della società Rewe Italia e Billa A.G. sede secondaria in Italia, non è stato previsto alcun progetto per la salvaguardia del posto di lavoro, come riportato nel comunicato stampa del 30 giugno 2014;
   dal 2010 ad oggi l'azienda è già intervenuta più volte in tema di riorganizzazione, accorpamento funzioni e drastici tagli al personale, ottenendo più volte dal Ministero i contributi per la cassa integrazione guadagni straordinaria, ancora il 5 marzo 2014, con l'impegno di proseguire con il piano di sviluppo in Italia e annunciando nuovi investimenti per ricominciare a crescere;
   dopo la comunicazione di cessione e prima della comunicazione d'apertura della mobilità, in data 31 ottobre 2014 e in data 18 novembre 2014 i sindacati territoriali e rappresentanze sindacali aziendali hanno incontrato l'azienda chiedendo ricollocazioni presso altre società del gruppo (Penny in Italia, Billa AG in Austria, Rewe In Germania) o presso le società che hanno acquisito le filiali (Conad, Carrefour);
   in data 13 febbraio 2015 e in data 11 marzo 2015 si sono svolti gli incontri a livello nazionale con i sindacati Filcams, Fisascat, Uiltucs e la direzione Rewe Italia srl. Nel primo incontro è stato richiesto all'azienda di valutare una possibile ricollocazione dei lavoratori a tempo indeterminato o, in alternativa, di attivare la cassa integrazione guadagni straordinaria. L'azienda ha invece risposto negativamente, dichiarando che: «tale eventualità non è prevista in quanto le aziende facenti parte del Group ricercano personale con caratteristiche diverse da quello in esubero. Solamente alcuni rari casi potranno essere presi in considerazione in virtù di caratteristiche ed esigenze aziendali particolari, che saranno collocati anche nell'azienda Penny Market»;
   in data 26 marzo si è svolto un incontro presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali in cui è stata proposta all'azienda l'attivazione della cassa integrazione guadagni straordinaria di un anno, con un impegno scritto di ricollocazione di una parte dei lavoratori. L'azienda ha risposto negativamente, vista la volontà entro il 1o luglio 2015 di chiudere definitivamente le sedi e ritirarsi dall'Italia;
   sempre in data 26 marzo i rappresentanti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali hanno richiesto all'azienda una ulteriore verifica su possibili ricollocamenti, prima della convocazione di un secondo incontro in data 17 aprile, non solo in Europa, ma anche in Italia, in «Penny A.G.», parte dello stesso gruppo ed operante nel settore discount, tra i partner e presso le stesse aziende concorrenti;
   l'organizzazione societaria del gruppo può essere funzionale ad un ricollocamento del personale, in quanto esiste un unico soggetto giuridico composto da Billa A.G. in Austria, Billa A.G. con sede in Italia e Penny A.G. Il suddetto soggetto giuridico controlla al 100 per cento la società Standa Commerciale, acquistata nel 2000 da Billa, che a sua volta controlla il 100 per cento di Rewe Italia srl, società di servizi per Billa AG Italia, il 100 per cento di Penny market srl, società di servizi per Penny supermercati. A sua volta Penny market srl controlla il 51 per cento di Repros Immobiliare –:
   se non sia possibile verificare insieme all'azienda, destinataria di contributi statali, la possibilità di reintegro del maggior numero di lavoratori con contratto a tempo indeterminato, vista anche la struttura societaria;
   di quali elementi disponga riguardo al piano di sviluppo dell'azienda in Italia annunciato simultaneamente all'utilizzo dei sussidi rivolti ai lavoratori;
   se, come incentivo al reintegro, non sia possibile assumere iniziative per bloccare le defiscalizzazioni previste dalla legge di stabilità per le società del gruppo coinvolto da questa riorganizzazione interna, evitando un duplice esborso per lo Stato rivolto ai lavoratori licenziati e a quelli eventualmente assunti. (4-08620)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata:


   L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, GAGNARLI, GALLINELLA e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito delle attività svolte dal progetto Cost 873, rete europea di ricerca nel settore fitosanitario, nel luglio 2010 l'Istituto agronomico mediterraneo di Bari è stato indicato dal coordinatore della rete, dottor Jaap Janse, anche in considerazione dell'idoneità delle strutture ivi presenti, come sede di incontro e di attività di ricerca per la definizione dei protocolli di diagnosi dei patogeni da quarantena xylella fastidiosa e candidatus liberibacter;
   al fine di procedere all'ordine del suddetto materiale, l'istituto in parola ha richiesto al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, settore fitosanitario, dei fertilizzanti e dei materiali di propagazione, l'autorizzazione temporanea all'introduzione, detenzione e manipolazione di materiale infetto dai suddetti patogeni per uso di ricerca, così come disposto dagli articoli 45 e 46 del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 214;
   nel mese di agosto 2010 il Ministero citato comunicava all'Istituto agronomico mediterraneo di Bari e al servizio fitosanitario regionale l'approvazione dell'attività di ricerca in questione, autorizzando, relativamente a xylella fastidiosa, l'importazione, nel territorio italiano, di n. 4 ceppi liofilizzati di xylella fastidiosa dal Belgio, collezione Lmg bacteria catalogue, Università di Gent per scopo di sperimentazione e ricerca scientifica, n. 2 vasi di piante di vite inoculate e n. 4 rami secchi di vite infetti;
   sebbene risulti che le attività di importazione, detenzione e manipolazione di ceppi di xylella fastidiosa si siano svolte in ottemperanza a tutte le procedure di sicurezza previste, come emerge dai verbali redatti in tutte le fasi, dall'apertura dei contenitori fino alla distruzione del materiale, nel documento di richiesta è fatto riferimento a quattro ceppi importati, ma non è specificata la sub-specie, né il numero di identificazione della coltura, indispensabile ai fini della verifica in banca dati dell'identità e dall'appartenenza alla sottospecie;
   la mancanza delle suddette specificazioni tecniche rende impossibile dimostrare con certezza che il ceppo di xylella fastidiosa importato sia patogeno solo sulla vite e non anche su altri tipi di vegetali;
   il trasferimento di colture di patogeni da quarantena così pericolosi, come la xylella fastidiosa, non può avvenire per posta ordinaria ma solo per corriere, il quale, peraltro, è tenuto a conoscere nel dettaglio la pericolosità del materiale che trasporta, al fine di adottare le opportune precauzioni –:
   perché nell'autorizzazione all'introduzione, detenzione e manipolazione di materiale infetto dal patogeno xylella fastidiosa nell'ambito delle attività di ricerca del programma Cost 873, secondo quanto risulta agli interroganti non si sia specificata né la sub-specie, né il numero identificativo del ceppo, indispensabili a valutare la qualità del materiale in relazione alla sua idoneità alle prove di laboratorio sulla vite e a garantire che le operazioni di ricerca si svolgessero in condizioni di assoluta sicurezza, evitando ogni qualsiasi rischio di contaminazione. (3-01405)


   GIGLI e FAUTTILLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel corso della manifestazione Vinitaly di Verona è stata sollevata la problematica collegata alle autorizzazioni delle nuove varietà di vite;
   secondo l'Istituto di genomica applicata dell'Università di Udine, nel corso degli anni si sono sviluppate alcune varietà di vite resistenti alle malattie. Si tratta di vitigni che non subiscono gli attacchi della peronospora e dell'oidio, le due principali e più diffuse patologie dei vigneti;
   questi vitigni consentono di produrre vini di qualità, abbattendo al tempo stesso il ricorso ai trattamenti chimici. Con evidenti vantaggi sia sul piano della sostenibilità ambientale, sia di quella economica;
   risulterebbe che queste varietà, in tutto dieci, a oltre due anni dalla domanda non abbiano ancora ottenuto l'iscrizione nel registro nazionale delle varietà di vite, necessaria per passare dalla fase sperimentale alla produzione;
   secondo i tecnici del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, i problemi riguarderebbero le denominazioni adottate, in quanto farebbero riferimento al «parentale» ovvero al vitigno principale (come Cabernet, Merlot o Sauvignon) e che, pertanto, potrebbero generare confusione con le coltivazioni convenzionali;
   tuttavia, nuove varietà resistenti e con analoghe denominazioni, come Cabernet Cortis e Cabernet Carbon, sono già state registrate in Italia, anche se sono state create in Germania;
   questa vicenda rischia di penalizzare i viticoltori italiani rispetto a Paesi in cui l’iter autorizzativo è molto più breve, con il rischio che questi prodotti possano arrivare sul mercato prima di quelli italiani –:
   per quale motivo i dubbi opposti ai vitigni in attesa di iscrizione non siano stati sollevati per i vitigni tedeschi e se non ritenga che tali difficoltà possano essere superate ricorrendo ad un marchio ad hoc per le nuove piante resistenti. (3-01406)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata:


   MOLEA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Ministro della salute dell'8 agosto 2014 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 18 ottobre 2014, n. 243, contiene le linee guida in materia di certificati medici per l'attività sportiva non agonistica, che prevedono per i praticanti detta attività una certificazione basata su alcuni accertamenti clinici e diagnostici;
   l'attività ludico-motoria, in base all'articolo 42-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, non esige alcuna certificazione medica;
   molte associazioni sportive e palestre, non essendo chiara la distinzione fra attività non agonistiche e ludico-motorie in termini di impegno fisico del praticante, caratteristiche e tipologia dell'attività, richiedono comunque una certificazione medica per attività non agonistica, la quale risulta, quindi, spesso essere inappropriata, oltre che onerosa;
   in questo senso desta molte perplessità tra gli operatori la previsione, requisito obbligatorio per la certificazione, dell'elettrocardiogramma «una volta nella vita», intervento di scarsa efficacia preventiva per tutte le persone in buona salute, mentre occorrerebbero opportuni approfondimenti per gli affetti da patologie croniche comportanti un aumentato rischio cardiovascolare;
   una comprovata esperienza scientifica ha dimostrato poi l'inefficacia dell'utilizzo di accertamenti sanitari preventivi a livello di popolazione, se non in presenza di programmi strutturati, supportati da rigorosi studi propedeutici e da un continuo monitoraggio dei risultati;
   l'obbligatorietà di una certificazione sanitaria per accedere a determinate attività è, in modo differente per ogni regione, una misura impegnativa e onerosa, che limita la libertà individuale in relazione alla tutela della salute e dovrebbe, pertanto, essere utilizzata in modo rigoroso e non estesa indiscriminatamente a qualsiasi situazione in cui potrebbe essere esposta a rischio la salute individuale;
   l'onerosità di tale certificazione obbligatoria discrimina le persone con un basso livello di reddito e quei soggetti, in particolare disabili e minori, che avrebbero più necessità di accedere alla pratica motoria;
   la prescrizione di un gran numero di elettrocardiogrammi a riposo finalizzati al rilascio del certificato, anche se spesso diversamente motivati, provoca l'aumento delle liste d'attesa e un aggravio immotivato dei costi per il sistema sanitario nazionale;
   alcune regioni, tra cui l'Emilia-Romagna, si sono attrezzate per garantire a minori e disabili la gratuità del rilascio delle certificazioni di idoneità non agonistica e la possibilità di accedere agli esami necessari in tempi ragionevoli, comunque entro i 30 giorni;
   il suddetto decreto del Ministero della salute dell'8 agosto 2014 elude il tema più volte sollevato della differenza di trattamento tra le attività organizzate da associazioni e società sportive iscritte al registro del Coni e le medesime attività proposte al di fuori dell'organizzazione sportiva, ancorché organizzate da soggetti privati for profit o associativi non sportivi, per le quali non viene richiesta alcuna certificazione ai praticanti, differenziando così la tutela della salute degli sportivi in relazione all'organizzatore e non al tipo di attività –:
   quali urgenti iniziative intenda porre in essere per garantire l'uniformità dell'applicazione del decreto ministeriale citato in premessa su tutto il territorio nazionale, evitare le richieste di certificazione inappropriate, tutelare nello stesso modo gli sportivi praticanti attività simili indifferentemente dallo status degli organizzatori e se non ritenga opportuno assumere iniziative per assicurare almeno per i minori e i disabili la gratuità del rilascio delle certificazioni di idoneità non agonistica. (3-01401)


   DORINA BIANCHI, CALABRÒ e ROCCELLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il fenomeno della contraffazione e dell'importazione illegale di farmaci registra, a livello mondiale, una forte crescita;
   anche in Italia la tendenza è confermata dai numerosi sequestri di prodotti illegali o falsificati effettuati in ambito doganale e sul territorio nella rete di distribuzione illegale;
   il problema è in larga parte legato al moltiplicarsi di farmacie web non autorizzate, che vendono prodotti illegali, come, ad esempio, farmaci per le disfunzioni erettili o per la perdita di peso, a prezzi vantaggiosi e senza richiedere la ricetta medica, eludendo tutte le misure previste dalla normativa vigente nel nostro Paese a tutela della salute pubblica;
   una direttiva europea, la n. 62/2011, consentirà a breve anche nel nostro Paese la vendita e l'acquisto di farmaci attraverso siti web autorizzati, arricchiti da un bollino europeo e dal dominio ad hoc «pharmacy» di riconoscimento per le farmacie on line certificate e affidabili –:
   a che punto sia il processo di approvazione dei decreti attuativi in Italia della direttiva europea n. 62/2011, la quale, consentendo l'acquisto di farmaci attraverso siti web autorizzati, accrescerà l'affidabilità dei prodotti, nonché la sicurezza dei cittadini. (3-01402)


   NICCHI, SCOTTO, DANIELE FARINA, SANNICANDRO, COSTANTINO, PELLEGRINO, MELILLA, PALAZZOTTO, QUARANTA e MATARRELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è ormai improcrastinabile avviare in Parlamento e nel Paese un confronto, nel rispetto reciproco di posizioni diverse, sul ruolo che deve avere lo Stato e la sua legislazione rispetto alle decisioni individuali che riguardano la propria vita e al diritto di ciascun individuo di scegliere le modalità di interruzione della propria esistenza, nel caso di patologie non curabili e in fase terminale;
   il 18 marzo 2014, l'allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, era intervenuto auspicando un intervento normativo sul tema: «il Parlamento non dovrebbe ignorare il problema delle scelte di fine vita ed eludere un sereno e approfondito confronto di idee sulle condizioni estreme di migliaia di malati terminali in Italia»;
   nel caso di un individuo affetto da patologie non curabili e pervenute alla fase terminale non appare insensato, ma anzi diventa un dovere giuridico e morale, attribuirgli la facoltà di scegliere la modalità della propria esistenza, definendo con chiarezza una normativa che impedisca abusi e tenga conto dell'effettiva volontà della persona malata;
   il 13 settembre 2013 è stata presentata alla Camera dei deputati una proposta di legge d'iniziativa popolare, recante «Rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell'eutanasia», che si unisce ad altre proposte di legge di iniziativa parlamentare già depositate e riguardanti l'eutanasia e il cosiddetto «testamento biologico»;
   nella sua relazione illustrativa, la suddetta proposta di legge d'iniziativa popolare ricorda come «ben oltre la metà degli italiani, secondo ogni rilevazione statistica, è a favore dell'eutanasia legale, per poter scegliere, in determinate condizioni, una morte opportuna invece che imposta nella sofferenza. I vertici dei partiti e la stampa nazionale, invece, preferiscono non parlarne: niente dibattiti su come si muore in Italia, tranne quando alcune storie personali si impongono: Eluana e Beppino Englaro, Giovanni Nuvoli, i leader radicali Luca Coscioni e Piero Welby» –:
   quali siano gli orientamenti e le eventuali iniziative del Governo in merito all'introduzione di una disciplina volta a regolamentare il «fine vita». (3-01403)


   BECHIS, BALDASSARRE, ARTINI, BARBANTI, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO, ROSTELLATO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 16 della legge 22 maggio 1978, n. 194, recante: «Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza», prevede quanto segue: «Entro il mese di febbraio, a partire dall'anno successivo a quello dell'entrata in vigore della presente legge, il Ministro della sanità presenta al Parlamento una relazione sull'attuazione della legge stessa e sui suoi effetti, anche in riferimento al problema della prevenzione. Le regioni sono tenute a fornire le informazioni necessarie entro il mese di gennaio di ciascun anno, sulla base di questionari predisposti dal Ministro. Analoga relazione presenta il Ministro di grazia e giustizia per quanto riguarda le questioni di specifica competenza del suo Dicastero.»;
   parrebbe che in data odierna il Ministro interrogato non abbia ancora ottemperato agli obblighi di legge di cui sopra –:
   quali siano le motivazioni dettagliate per cui il Ministro interrogato non abbia ancora provveduto ad ottemperare agli obblighi di legge. (3-01404)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GELLI. — Al Ministro della salute, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la chiusura definitiva, su tutto il territorio nazionale, di tutti gli ospedali psichiatrici giudiziari rappresenta indubbiamente un segnale importante di civiltà atteso dopo il percorso di riforma che ha posto fine a questa esperienza;
   è ovvio che si tratta di una decisione molto delicata in quanto non basta chiudere delle strutture al cui interno fino ad oggi hanno vissuto oltre 700 persone per considerare il problema risolto;
   il nostro Paese è chiamato ad avviare una serie di investimenti per rendere le nuove strutture, i Rems (Residenza per l'esecuzione di misure di sicurezza detentiva), in grado di accogliere queste persone nel rispetto del diritto alla cura e all'inclusione sociale oltre che a garantire la misura detentiva e la sicurezza per i cittadini –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per una immediata mappatura della situazione nelle diverse realtà regionali anche al fine di adottare le opportune iniziative in caso di ritardi e inadempienze nonché per definire nel miglior modo possibile la filiera di presa in carico dei soggetti interessati e verificare gli standard di sicurezza per i cittadini. (5-05209)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MORETTO e MIOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro della salute nelle scorse settimane ha predisposto il decreto per aggiornare i livelli essenziali di assistenza che attendevano una revisione dal 2001;
   il decreto è all'attenzione delle regioni e se ne prevede un rapido esame allo scopo di poter dare attuazione alle attese di molti pazienti che chiedono di poter accedere alle nuove prestazioni contenute nel documento;
   da una prima analisi del provvedimento emergono alcune criticità come quella che «la responsabilità clinica delle cure domiciliari di terzo livello è affidata al medico di medicina generale, al pediatra di libera scelta, secondo gli indirizzi regionali»;
   la responsabilità clinica della cure di terzo livello per patologie che presentano un elevato grado di complessità (quali malattie ematologiche oncologiche e non, neoplasie in fase di cure specifiche, AIDS, patologie rare, fibrosi cistica e altro) viene demandata unicamente al medico di medicina generale e al pediatra di libera scelta, che pur essendo figure professionali di grande importanza, non possono gestire la complessità e l'intensità richieste per le cure specialistiche dedicate ai pazienti ematologici;
   i pazienti non possono quasi mai trovare nelle strutture distrettuali competenze specialistiche in grado di gestire clinicamente (nel senso decisionale e prescrittivo, oltre che operativo) le problematiche insorte in fasi di non autosufficienza, anche transitoria e, nel caso delle malattie ematologiche, si citano a titolo esemplificativo le cure domiciliari di supporto in dimissione protetta post-trapianto di cellule staminali emopoietiche e post-chemioterapia ad alte dosi, l'erogazione a domicilio di chemioterapie e terapie antitumorali biologiche per pazienti non autosufficienti, la gestione delle complicanze infettive con stretto monitoraggio infettivologico e terapeutico, il supporto trasfusionale intensivo con globuli rossi e piastrine anche a domicilio;
   le varie esperienze consolidate di continuità di cure specialistiche ematologiche sul territorio nazionale rappresentano una risposta adeguata agli specifici bisogni dei pazienti, validata in numerosi studi che evidenziano una riduzione dell'inappropriatezza degli accessi ai DEA e dei ricoveri nei reparti di degenza;
   nel Lazio, in Lombardia, e in altre regioni si sta lavorando proprio su specifici percorsi terapeutici e assistenziali domiciliari, in cui appare essenziale il ruolo di coordinamento e responsabilità svolto dai medici curanti dalla UOC di ematologia;
   vi è infatti un rapporto diretto fra il personale (medici ed infermieri che operano in ospedale e quelli dell'assistenza domiciliare) così da garantire a domicilio la stessa assistenza dell'ospedale. Il rischio è quello di tornare indietro rispetto ai livelli essenziali di assistenza del 2001, senza tenere conto della necessità di interscambiabilità dei setting di cura (ospedale-domicilio) sia nelle fasi iniziali che nelle fasi avanzate di malattie complesse. Appare dunque necessario che sia mantenuta anche la modalità assistenziale di ospedalizzazione domiciliare con responsabilità quindi del medico ospedaliero, per i casi di cure domiciliari con erogazione di prestazioni ad elevata complessità, secondo gli specifici indirizzi regionali. Tale modalità è peraltro prevista nel recente decreto del Ministro della salute «Definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera» del 21 luglio 2014 e sua modifica del 15 gennaio 2015 dove, al capitolo 10 denominato continuità ospedale-territorio dell'allegato 1 (pagina 33), si individua nei programmi di «ospedalizzazione domiciliare per particolari ambiti patologici» uno dei modi più efficaci per attuare appunto la continuità ospedale territorio –:
   alla luce dei fatti esposti se il Ministro non ritenga opportuno chiarire se, nel decreto che contiene i nuovi livelli essenziali di assistenza, la responsabilità clinica delle cure domiciliari di terzo livello è affidata unicamente al medico di medicina generale, escludendo la responsabilità ospedaliera già prevista dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dei livelli essenziali di assistenza del 2001, e come intenda rassicurare le persone colpite da malattie ematologiche sulla qualità della cura e dell'assistenza che, anche a domicilio, si deve avvalere di esperienze specialistiche. (4-08610)


   GIACHETTI. — Al Ministro della salute, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 marzo 2015 il quotidiano online FOGGIATODAY pubblica una notizia così titolata «Malato di sclerosi fermato e portato in caserma: Marijuana era per uso terapeutico»;
   la notizia fa riferimento al fermo di Andrea Trisciuoglio (segretario dell'Associazione no profit LapianTiamo) e di un suo amico perché in possesso di Bedrocan, il farmaco a base di cannabis che Trisciuoglio usa da 7 anni con regolare prescrizione della ASL per curare la malattia da cui è affetto, la sclerosi multipla;
   scrive FOGGIATODAY nel citato articolo: «Tutto è accaduto giovedì 26 marzo, quando Andrea Trisciuoglio, insieme a un suo amico, è stato fermato da una pattuglia dei Carabinieri in una zona, secondo le forze dell'ordine, ad alta densità di spaccio. I due, non appena i militari percepivano odore di cannabis, mostravano il barattolino di Bedrocan (medicinale a base di cannabis, ndr) prontamente sequestrato, venivano condotti in caserma. Peccato che le forze dell'ordine non sapessero che il Bedrocan venisse utilizzato dai due fermati come cura per la sclerosi multipla, su regolare prescrizione medica, da 7 anni. “A nulla è servito far presente che al primo piano di quella caserma c'era il team che aveva perquisito la mia abitazione il 29 giugno 2010 per aver acquistato online 5 semi di cannabis” – spiega Trisciuoglio. “A nulla serviva la mia amicizia col comandante loro (avevo diritto – sulla classica scena da film – a fare una sola telefonata all'avvocato). Insomma la storia si ripete ancora”. Non è dunque la prima volta che Trisciuoglio, segretario dell'Associazione LapianTiamo (Onlus che promuove proprio l'uso della Cannabis a scopo terapeutico) viene fermato dalle forze dell'ordine e scambiato per uno spacciatore. Il tutto è avvenuto in Puglia, regione che ha deliberato la legge che approva il progetto promosso dall'Associazione sulla coltivazione di Cannabis destinata all'uso terapeutico. Indignazione da parte di tutti i membri dell'associazione LapianTiamo: “Le scuse non varranno certamente quanto le accuse, che di fondamento hanno solo il colore grigio dell'asfalto e del cervello. Piccolo forse o troppo impegnato a costruire film quello degli ufficiali che hanno mostrato inettitudine e incapacità nel gestire quella che per noi malati è la ‘semplicità della terapia’. A maggior ragione ci sentiamo di affermare ciò quando il fatto accade nella città di Foggia, una delle prime in Italia ad ospitare annualmente convegni, incontri sul tema Cannabis e addirittura a due passi dalla sede foggiana di LapianTiamo. E mentre due stampelle facevano da sostegno il caro Andrea si preparava a vivere per la prima volta l'esperienza dell'accompagnamento forzato in caserma a bordo di una volante dei Carabinieri. Non si contano le volte in cui abbiamo speso buone parole per le forze dell'ordine e non bisogna fare di tutta un'erba un fascio, ma come si fa a restare in silenzio mentre il frastuono della rabbia ti fa tremare quasi fino a cadere ? Vorremmo spendere realmente tutti i nostri pensieri non verso la divisa indossata dagli uomini (ricordando che l'abito non fa il monaco) ma soprattutto verso la diversa abilità mentale di questi ‘mostri d'umanità’ che si arrogano il diritto di sequestrare barattoli, confezioni e quant'altro contenente Cannabis terapeutica destinata alla gestione di una grave patologia di un cittadino munito di regolare prescrizione medica, autorizzato dal Ministero della Salute, ad importare tramite farmacia ospedaliera questi prodotti”, il commento apparso sul sito ufficiale dell'associazione» –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali interventi ritengano di porre in atto affinché non siano più umiliate e trattate come spacciatrici le persone gravemente malate autorizzate all'uso della cannabis terapeutica;
   se non ritengano di dover diramare un'informativa indirizzata a tutte le forze di polizia affinché siano portate a conoscenza del fatto che dal 2007, grazie al decreto ministeriale n. 98 del 28 aprile, è previsto sebbene ben poco applicato nella pratica — l'uso terapeutico della cannabis.
(4-08615)


   RICCIATTI, PANNARALE, NICCHI, QUARANTA, PIRAS, KRONBICHLER, MELILLA, SCOTTO e FRATOIANNI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 marzo 2015 i maggiori organi di stampa hanno riportato la notizia della decisione della commissione tecnico scientifica dell'AIFA di consentire l'assunzione della cosiddetta pillola dei cinque giorni dopo senza ricetta medica, ad eccezione dei casi in cui a farne richiesta siano delle minorenni;
   con la decisione dell'AIFA scompare anche l'obbligo di eseguire il test di gravidanza per poter richiedere la pillola;
   il Consiglio superiore di sanità, con parere richiesto dal Ministro interrogato, differentemente da quanto deciso dall'Agenzia, si era espresso a favore della prescrizione obbligatoria per tutte, a prescindere dall'età;
   la decisione della commissione tecnico scientifica dell'AIFA, oltre ad essere di segno opposto rispetto al parere del Consiglio superiore di sanità, si discosta parzialmente dalle indicazioni dell'Agenzia europea del farmaco;
   secondo quanto dichiarato dal direttore dell'AIFA Luca Pani «il farmaco non ha grandi problematiche, ma sull'uso ripetuto e incontrollato non ci sono dati sufficienti per garantirne la sicurezza. (...) Per tutelare le più giovani e visto che in Italia esiste la possibilità di prescrivere la pillola in ogni momento in ospedali e consultori, è stato deciso di lasciare il limite» –:
   come intenda garantire, il Ministro interrogato l'attuazione di tale provvedimento su tutto o il territorio nazionale;
   quali iniziative intenda adottare per monitorare eventuali inadempienze rispetto alle previsioni in materia di pillola abortiva RU-486. (4-08622)


   SAMMARCO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il commissario unico dei tre IRCCS di Roma dottor Alberti ha predisposto il ROF (Regolamento di organizzazione e funzionamento), documento propedeutico alla «fusione» gestionale, amministrativa e sanitaria degli ospedali San Gallicano, Regina Elena e Spallanzani, operanti nel territorio del comune di Roma;
   detto piano rischierà di screditare il carattere scientifico di eccellenza e alta specializzazione dell'istituto oncologico e di quello dermatologico;
   tale rischio risulta evidenziato dai medici operanti negli istituti che, nel corso di una assemblea generale del personale, nel proclamare lo stato di agitazione, hanno mosso ai vertici aziendali il rilievo di non aver affatto compreso le esigenze di pazienti ed operatori;
   il piano di riorganizzazione porterebbe ad un depotenziamento della ricerca sperimentale e al declassamento della «oncoematologia», al depotenziamento della «medicina nucleare», di fatto azzerando la «psiconcologia», che ha finora consentito di assistere i malati oncologici nei gravissimi problemi relazionali e sociali derivanti dalla grave affezione subìta;
   il personale medico interessato lamenta che il nuovo Regolamento di organizzazione e funzionamento non tiene in alcun conto la recente evoluzione clinico-scientifica della lotta ai fenomeni tumorali, per nulla considerando lo sviluppo dei nuovi farmaci, le terapie palliative e le riabilitazioni oncologiche, tutti elementi indispensabili in istituti oncologici di eccellenza;
   anche l'Istituto dermatologico San Gallicano, nella riorganizzazione proposta dal commissario vede ridotta la sua struttura amministrativa a sole due strutture complesse;
   il nuovo Regolamento di organizzazione e funzionamento introdotto dal commissario Alberti lascia intravedere anche la fusione con l'Istituto malattie infettive Spallanzani, con conseguente accorpamento di personale, laboratori, corsie e ambulatori, senza tener alcun conto delle diversissime patologie dei pazienti in cura;
   nella totale assenza di confronto con il personale medico e paramedico, nel contempo, il commissario Alberti ha ritenuto, con delibera n. 174 del 9 ottobre 2014, procedere ad un aumento degli emolumenti del commissario stesso, dei direttori scientifici, dei direttori amministrativi e sanitari, oltre che del collegio sindacale e dell'OIV;
   l'accorpamento, a giudizio dell'interrogante del tutto discrezionale, di tre eccellenze di natura così diversa e la drastica e incongruente riduzione strutturale potrebbero comportare una forte diminuzione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) con conseguente limitazione dei posti letto e inevitabile allungamento delle liste di attesa –:
   se non ritenga opportuno verificare, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari regionali, se il processo di riorganizzazione descritto in premessa, oltre a comportare un aumento degli oneri stipendiali in favore della attuali dirigenze dei tre istituti, a giudizio dell'interrogante, irragionevole in quanto adottato prima del processo di ristrutturazione e non alla sua conclusione a fronte di maggiori responsabilità, non rischi di produrre anche una riduzione dei livelli essenziali di assistenza e più in generale dalla qualità dei servizi prestati dalle tre eccellenze della sanità laziale. (4-08623)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   fondata nel 1872 e quotata alla Borsa di Milano dal 1922, Pirelli è tra i principali produttori mondiali di pneumatici (6,15 miliardi di euro i ricavi 2013) con un posizionamento distintivo sulla gamma alta, ossia pneumatici Premium ad elevato contenuto tecnologico;
   attraverso partnership con le migliori case automobilistiche Prestige e Premium, Pirelli dispone di un portafoglio di oltre 1.200 pneumatici omologati;
   presente in 13 Paesi con 19 stabilimenti, Pirelli produce pneumatici per auto, moto, autocarro, autobus e macchine agricole; il gruppo ha un'ampia presenza commerciale (oltre 160 Paesi) distribuita tra mercati maturi ed emergenti;
   Pirelli si distingue per una lunga tradizione industriale coniugata con capacità di innovazione, qualità del prodotto e forza del brand;
   attualmente, il 51,197 per cento del capitale è detenuto dal mercato, il 26,19 per cento da Camfin (i cui soci sono Nuove Partecipazioni, Unicredit, Intesa San Paolo e Rosneft) ed il restante è ripartito tra soci minori;
   il 22 marzo è stato dato l'annuncio da parte del consiglio d'amministrazione di Camfin della firma dell'accordo vincolante che permetterà alla China National Chemical, attraverso la controllata China National Tire & Rubber (CNRC) di assumere il controllo del gruppo con la nascita di una nuova società, Bidco, che comprerà il 26,2 per cento di Pirelli dall'attuale holding e poi lancerà un'opera pubblica di acquisto obbligatoria sul resto del capitale a 15 euro per azione ed un'opa volontaria sulle azioni di risparmio condizionata al raggiungimento di almeno il 30 per cento del capitale, sempre a 15 euro ad azione;
   a seconda delle adesioni all'Opa, ChemChina potrà avere un controllo del gruppo che andrà dal 51 al 65 per cento;
   secondo il CEO di Pirelli, Marco Tronchetti Provera, «l'accordo rappresenta una grande opportunità in quanto l'approccio al business e la visione strategica di Cnrc garantiscono lo sviluppo e la stabilità necessarie a Pirelli» e inoltre «non avrà alcun impatto sull'occupazione»: secondo Tronchetti Provera, «le nostre fabbriche e più in generale l'occupazione non potranno che beneficiare, in prospettiva, dell'ingresso del nuovo azionista. I Partner cinesi ci apprezzano per la nostra capacità di produrre pneumatici di altissima qualità e per i nostri stabilimenti all'avanguardia in tutto il mondo». Per il Presidente di ChemChina, Jianxin Ren, è importante costruire insieme un gruppo di portata mondiale e leader nel mercato dell'industria globale del pneumatico «con una doppia sfida industriale che prevede il rafforzamento dei piani di Pirelli che puntano sull'alta gamma e il raddoppio dei volumi di vendita, da 6 a 12 milioni di gomme, sul segmento industriale»;
   nell'accordo, secondo il comunicato del Consiglio di amministrazione, verrebbe difesa la specificità della tecnologia italiana in quanto «il Centro ricerca e sviluppo e l'Headquarters di Pirelli continueranno ad essere situati in Italia» e per autorizzare lo spostamento della sede, come «il trasferimento a terzi della proprietà intellettuale di Pirelli» serviranno maggioranze rafforzate pari al 90 per cento;
   l'operazione di acquisizione, da parte di soggetti stranieri, di asset industriali italiani, che riguarda in questo caso il gruppo Pirelli, segue quello che ormai dal 2009 è diventato un trend costante, riguarda molteplici segmenti produttivi ed ha comportato finora (senza la pretesa di nominarle tutte): la cessione alla giapponese Hitachi delle due divisioni ferroviarie dell'Ansaldo, Sts e Breda, di proprietà Finmeccanica, l'acquisizione, da parte della Shanghai Electric Corporation attraverso la regia della Banca centrale cinese, del 40 per cento di Ansaldo Energia in capo al Fondo strategico della Cassa depositi e prestiti e del 35 per cento delle reti infrastrutturali di gas ed elettricità, sempre della Cassa depositi e prestiti, l'acquisizione di quote di minoranza da parte della stessa People Bank of China, di molte tra le principali aziende nazionali, da Fiat Chrysler ad Eni passando per Mediobanca, Generali, Enel, Telecom, Prysmian, e altre acquisizioni di intere aziende, anche nel settore della moda, con Krizia e quello della nautica di lusso Ferretti;
   secondo KPMG, nel 2014, solo gli operatori cinesi hanno investito quasi 4,8 miliardi di euro in aziende italiane: inoltre, dal 2011 al 2014, secondo la banca dati di S&P Capital IQ, le operazioni di acquisizione perfezionate da aziende e gruppi esteri in Italia sono state 198, per un valore di 53,9 miliardi di euro –:
   quale sia l'orientamento del Governo in merito alle prospettive industriali ed occupazionali del gruppo Pirelli conseguenti alla scelta di Camfin e, più in generale, agli effetti sull'economia italiana derivanti dall'aumento degli investimenti commerciali e degli scambi con la Repubblica popolare cinese, soprattutto in riferimento alla partecipazione ed all'acquisizione del controllo in importanti asset industriali italiani.
(2-00916) «Benamati, Epifani, Martella, Taranto, Lacquaniti, Bargero, Senaldi, Bini».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRAGOMELI e SENALDI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le direttive dell'Authority per l'energia, in osservanza di quanto previsto dall'Unione europea per il 2020, prescrivono che i contatori del gas (gruppi di misura, GdM) siano dotati di un dispositivo che ne consenta la telelettura secondo un piano già avviato per i GdM di fascia alta (i «Grandi Consumatori») e che ne prevede l'estensione ai gruppi di misura domestici, con percentuali crescenti, dal 2016 al 2020;
   a quest'obbligo debbono provvedere i gestori della distribuzione del Gas con oneri che saranno remunerati con un costo aggiuntivo in bolletta per le famiglie;
   il sistema di trasmissione delle informazioni dal gruppo di misura al punto di raccolta («Concentratore») opera in un ambito locale (alcune centinaia di metri) e prevede, per i GdM di fascia alta, dei collegamenti detti punto a punto (PP) realizzati con i sistemi di telefonia cellulare (SIM M2M, ovvero SIM dedicate al trasporto di informazioni da «Macchina a Macchina»); per i GdM domestici sono invece attualmente in fase di sperimentazione – da ottobre 2014 per l'esattezza – sistemi radio definiti «multi-servizio» operanti nella banda non licenziata dei 169 Mega hertz;
   l'opportunità data da tale sistema è quella di costituire delle reti di trasporto di informazioni utili nell'ambito urbano ovvero a basso contenuto di informazioni (nel nostro caso per il gas e, in previsione, per l'acqua: si tratta di poche cifre da trasmettere al giorno) partendo proprio dalle reti di distribuzione del gas;
   le reti cosiddette multi-servizio, ovvero le sopracitate reti operanti attraverso sistemi radio su banda non licenziata a 169 Mega hertz rappresentano, di fatto, lo stato dell'arte nella gestione di contatori «super-intelligenti», in grado di telegestire contemporaneamente la fornitura di gas, luce, acqua e di dare informazioni sull'efficienza e sul risparmio energetico: esse rappresentano senz'altro il punto di arrivo di un progetto più ampio di smart metering multi-servizio in grado di favorire anche l'applicazione reale del concetto di smart city;
   le reti multi-servizio, se utilizzate – come accade attualmente – senza l'implementazione di un numero elevato di funzioni, risultano di contro essere totalmente antieconomiche: la limitatezza dell'utilizzo pone, secondo studi preliminari, problemi di ritorno dell'investimento che inevitabilmente si ripercuoteranno sulle società di distribuzione e in ultima istanza sugli utenti finali, ovvero sulle utenze domestiche;
   per anticipare la diffusione della telettura dei gruppi di misura del Gas – e, in prospettiva, dei gruppi di misura della distribuzione idrica – prima dell'implementazione delle suddette reti «multi-servizio» è applicabile la modalità «condivisa attraverso la rete elettrica», ovvero mediante la tecnologia di trasmissione dati PLC (Power Line Communication);
   in attesa di un consolidamento delle funzionalità proprie delle reti multi-servizio a 169 Mhz, la raccolta dati effettuata tramite PLC costituirebbe a tutti gli effetti – in misura ridotta ed economicamente sostenibile – un sistema multi-servizio «base» per elementi a basso contenuto di informazioni e a bassa frequenza di consultazione. Tale soluzione porterebbe con sé molteplici vantaggi: non richiederebbe la costruzione di nuove infrastrutture per reti radio dedicate, garantirebbe un evidente risparmio di risorse finanziarie e, da ultimo, eviterebbe anche un ulteriore incremento dei valori di inquinamento elettromagnetico;
   attraverso l'implementazione di semplici dispositivi aggiuntivi – definiti come «add-on» – dotati di interfaccia radio integrata a portata limitata da applicare sui gruppi di misura per la fornitura di gas, elettricità e acqua, sarebbe perciò possibile gestire, in maniera sicuramente economica ed efficiente, la comunicazione e lo scambio di dati tra i suddetti gruppi di misura; tali congegni sono dei dispositivi di facile progettazione e realizzazione i quali avrebbero la funzione di raccogliere le informazioni proveniente dai gruppi di misura smart e di concentrarla sulla via di comunicazione PLC su cui oggi già transita l'informazione relativa al consumo elettrico. Verrebbero posizionati in prossimità dei contatori stessi ed alimentati dalla rete elettrica. Ove vi siano concentrazioni di gruppi di misura (ad esempio nei condomini) sarebbe poi sufficiente che solo uno o due contatori elettrici venissero eletti a concentratori (ovvero punti di raccolta dati) e dotati di add on per la raccolta delle informazioni provenienti dai gruppi di misura smart del gas o dell'acqua –:
   se il Ministro non ritenga utile valutare l'opportunità di incentivare la diffusione della telelettura dei gruppi di misura del gas e della distribuzione idrica in modalità condivisa attraverso la rete elettrica, ovvero attraverso l'utilizzo della tecnologia di trasmissione dati PLC (power line communication), in tal caso quali provvedimenti intenda adottare. (5-05217)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARIANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i 130 lavoratori della Dema di Brindisi, azienda che opera da decenni nel settore aeronautico e che 7111 realizza le fusoliere per gli elicotteri di AgustaWestland, rischiano il licenziamento a causa della riduzione delle commesse;
   il nuovo piano industriale di Finmeccanica obbligherebbe Agusta a internalizzare una serie di lavorazioni, tra le quali quelle svolte da Dema, azienda nata, cresciuta e vissuta prevalentemente grazie alle commesse del colosso del settore elicotteristico;
   lo stabilimento di Brindisi potrebbe essere chiuso già a giugno 2015, nonostante le risorse pubbliche di cui ha beneficiato, insieme al partner Agusta, risorse stanziate con lo scopo di raggiungere precisi obiettivi, tra i quali l'aumento dell'occupazione in una realtà che sopporta tassi di disoccupazione notevoli;
   l'eventuale chiusura di Dema si ripercuoterebbe pesantemente non solo sui 130 lavoratori impiegati e sulle loro famiglie, ma anche su un indotto considerevole e un comparto d'eccellenza sostenuto da investimenti pubblici massicci;
   il gruppo Finmeccanica, il cui maggiore azionista è il Ministero dell'economia e delle finanze, non può ignorare gli investimenti acquisiti anche attraverso l'attività di Dema, né può impostare una politica industriale che prescinde dalla rilevanza degli impegni sostenuti dal settore pubblico per favorire l'insediamento, la crescita e il radicamento di un polo di assoluta eccellenza, riconosciuto come tale a livello europeo;
   l'amministratore delegato di Alenia, anch'essa azienda del gruppo Finmeccanica, nel corso di un'audizione alla regione Puglia, ha sostenuto che le norme del cosiddetto Jobs-Act avrebbero favorito l'assunzione diretta di personale dipendente da parte di Alenia, la quale avrebbe di conseguenza, potuto diradare il ricorso alla somministrazione di personale da parte delle agenzie interinali, nonché l'esternalizzazione di specifiche fasi di lavorazione ad altre aziende;
   lo stesso principio dovrebbe valere per il personale di Dema che potrebbe essere assorbito da Agusta, nel momento in cui quest'ultima dovesse procedere a internalizzare le funzioni svolte dai lavoratori di Dema –:
   se il Ministro intenda aprire con la necessaria urgenza un tavolo di confronto con le parti interessate, per salvaguardare l'occupazione e scongiurare il rischio concreto di una completa dismissione della sede di Brindisi della Dema ed il conseguente licenziamento dei dipendenti.
(4-08611)


   RICCIATTI, FERRARA, PLACIDO, AIRAUDO, QUARANTA, PIRAS, KRONBICHLER, SANNICANDRO, SCOTTO, MELILLA, DURANTI, MARCHETTI e LUCIANO AGOSTINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i dati Istat segnalano una brusca inversione sul fronte del fatturato delle industrie, che a gennaio 2015 è diminuito dell'1,6 per cento rispetto a dicembre 2014, con una flessione dello 0,9 per cento sul mercato interno e del 3,1 per cento su quello estero. Su base annua la riduzione di gennaio è pari al 2,5 per cento;
   per gli ordinativi totali, si registra una diminuzione congiuntura del 3,6 per cento, sintesi di un aumento dello 0,7 per cento degli ordinativi interni e un calo del 9,0 per cento di quelli esteri. Nel confronto con il mese di gennaio 2014, l'indice grezzo degli ordinativi segna una variazione negativa del 5,5 per cento –:
   se il Ministro interrogato sia in grado di spiegare le ragioni di un calo così vistoso, soprattutto in merito agli ordinativi dall'estero;
   quali azioni di politica industriale intenda adottare per incrementare e stabilizzare la crescita di fatturati ed ordinativi delle aziende italiane. (4-08614)


   MOSCATT. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito del decreto-legge n. 145 del 2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 9 del 2014, cosiddetto «Destinazione Italia» del dicembre 2013 fu previsto lo stanziamento di finanziamenti a fondo perduto per la digitalizzazione e l'ammodernamento tecnologico delle piccole e medie imprese mediante la concessione di voucher dell'importo massimo di 10.000 euro;
   per rendere la misura operativa era però necessario un apposito decreto del Ministro dello sviluppo economico che disciplinasse le modalità per accedere ai voucher, nonché un decreto del Ministro dell'economia per definire la misura delle risorse disponibili;
   il decreto interministeriale Ministero dello sviluppo economico – Ministero dell'economia e delle finanze del 23 settembre 2014, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 269 del 19 novembre 2014, ha definito lo schema standard di bando e le modalità di erogazione di contributi in forma di voucher per l'acquisto di software, hardware o servizi;
   allo stato attuale però risulta ancora inapplicabile, in quanto non vi è il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze che definisca la misura delle risorse disponibili;
   le aziende stanno manifestando notevole interesse verso la misura agevolativa, ma purtroppo si vedono costrette a rimandare gli investimenti, poiché l'ammissibilità delle spese non è retroattiva e per di più non c’è nessuna certezza sulla data di pubblicazione del tanto atteso decreto direttoriale, dipendente a sua volta dal decreto di ripartizione delle somme da parte del Ministero dell'economia e delle finanze;
   è evidente che il ritardo sta provocando considerevoli disagi, in quanto le aziende hanno necessità di procedere con gli investimenti, e com’è altrettanto evidente il rinvio delle dotazioni ICT può comportare significativi mancati guadagni (e dunque costi) per le aziende interessate –:
   quali siano le ragioni dello stallo della misura indicata e quali siano i tempi necessari per renderla finalmente esecutiva. (4-08618)


   LACQUANITI, REALACCI, ALBANELLA, CHAOUKI, DALLAI, NARDUOLO, VILLECCO CALIPARI, MARCO DI MAIO, PIAZZONI, IACONO e TIDEI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 23 gennaio 2015, il tribunale di Brescia ha condannato per maltrattamenti e uccisione di animali il responsabile, il direttore e il veterinario dell'allevamento di cani beagle per la sperimentazione «Green Hill» di Montichiari (Brescia), disponendo anche una serie di sanzioni accessorie;
   i reati nei confronti della società «Green Hill 2001 srl» sono stati denunciati nel giugno 2012;
   nel corso del dibattimento, la difesa della società «Green Hill 2001 srl» ha prodotto il certificato emesso dall'organismo di certificazione – UNI Ente italiano di normazione – «Italcert srl» di Milano n.458SGQ00 emesso il 12 aprile 2010 e valido fino all'11 aprile 2013 con la quale attestava la conformità al sistema di gestione per la qualità UNI EN ISO 9001:2008 «per i processi di produzione, allevamento e vendita di cani razza beagle (colonia Marshall Farms) a scopo scientifico e tecnologico» firmato dal professore dottore Carlo Tribuno;
   sul sito della società www.italcert.it si legge che «la Società è contraddistinta da serietà e competenza, grazie anche alla forte valenza tecnica dei principali Soci universitari che sono il Politecnico di Milano, il Politecnico di Torino e l'Università degli Studi di Salerno, uniti alla imprenditorialità dei soci privati Nortec S.r.l., Associazione Esperti di Sicurezza AES e Laboratori Protex S.A.»;
   in considerazione delle rilevanti funzioni di certificazione svolte da Italcert Srl, con autorizzazione delle competenti autorità italiane, si chiede come sia possibile per la «Italcert srl» certificare la conformità di un'azienda che, in ambito penale, è stata ritenuta colpevole di violazioni tali che non possono essere certo annoverate nel capitolo «qualità» –:
   quali iniziative si intendano intraprendere nei confronti di Italcert Srl, società operante con autorizzazione delle competenti autorità italiane;
   quali azioni si intendano intraprendere per evitare che possa ripetersi un caso del genere, al fine di non minare l'autorevolezza degli organismi di certificazione e dei sistemi di gestione per la qualità, vista anche la preannunciata uscita dell'edizione 2015 di ISO 9001. (4-08629)


   BARONI, LOMBARDI, DI BATTISTA, VIGNAROLI, DAGA, RUOCCO, NUTI, D'AMBROSIO, SARTI, CECCONI, TOFALO, BUSINAROLO, D'UVA, LUIGI GALLO, DALL'OSSO, CASTELLI, D'INCÀ, SIMONE VALENTE, CARIELLO, BONAFEDE, CIPRINI, GRILLO, LOREFICE, DI BENEDETTO, BRESCIA, VALLASCAS, FANTINATI, L'ABBATE, GAGNARLI, TERZONI, BUSTO, MICILLO, VILLAROSA, PISANO, NICOLA BIANCHI, LIUZZI, CRIPPA, DA VILLA, GALLINELLA, PARENTELA e BENEDETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   gli sviluppi della vicenda relativa all'inchiesta «Mondo di Mezzo» e altri recenti fatti di cronaca continuano a sollevare pesanti interrogativi sul sistema delle cooperative;
   dal sito del comune di Roma, a tutt'oggi non risulta allegato, da parte del sindaco Ignazio Marino il rendiconto, ex legge n. 515 del 1993 articoli 6 e 7, delle spese elettorali sostenute e dei contributi ricevuti completo di tutte le voci, ma risulta scritta a penna solamente la somma delle spese effettuate divisa per capitoli piuttosto generici;
   dai documenti dell'inchiesta «Mondo di Mezzo» istruita dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Roma risultano due bonifici uno di 10.000 (diecimila) euro proveniente dalla Cooperativa 29 GIUGNO e uno di 20.000 (ventimila) euro proveniente dal consorzio Eriches 29, entrambi facenti capo a Salvatore Buzzi arrestato nel corso della medesima inchiesta che sarebbero finiti a finanziare la campagna elettorale del futuro sindaco Ignazio Marino;
   da fonti di stampa si apprende che, con apposita delibera (312/2014), il comune di Roma ha dato in concessione alla Cooperativa 29 GIUGNO l'immobile di Via Pomona 63/65, una delle sedi della cooperativa stessa, ad un prezzo di 14.752,80, ben l'80 per cento al di sotto dei prezzi di mercato di quella zona, valutato dall'ufficio stime del Campidoglio in 73.764 euro, e, sebbene lui si sia difeso dicendo che in precedenza la Cooperativa 29 GIUGNO occupasse quegli stessi locali a titolo gratuito, vale qui la pena ricordare la legge n. 241 del 1990 che all'articolo 12 modificato dal decreto legislativo n. 33 del 2013 sulla pubblicità e trasparenza nella pubblica amministrazione che così recita: «La concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi» e che è stata totalmente mancante;
   in data 4 marzo 2015 i carabinieri del ROS (Raggruppamento operativo speciale) hanno acquisito la documentazione in oggetto dopo un'ispezione negli uffici del Campidoglio;
   i carabinieri, su richiesta del pubblico ministero Paolo Ielo che si occupa, insieme ad altri colleghi, dell'inchiesta «Mondo di mezzo», hanno proceduto al sequestro dell'intera documentazione riguardante la delibera n. 88 del 2013 che dispone la vendita di 751 immobili di proprietà del comune di Roma;
   in particolare i giudici hanno acquisito agli atti dell'inchiesta tutto l’iter che ha portato all'approvazione della suddetta delibera, comprese le trascrizioni stenografiche e dei verbali di tutte le sedute, sia di consiglio che della commissione patrimonio presieduta dal consigliere del PD Pierpaolo Pedetti, compresi tutti gli emendamenti presentati al fine di comprendere come sia stato possibile inserire tra gli immobili comunali in dismissione proprio la sede della Cooperativa 29 giugno che tante polemiche dopo l'uscita sugli organi di stampa delle notizie relative all'inchiesta «Mondo di mezzo» avevano provocato;
   Pierpaolo Pedetti non risulta indagato nell'inchiesta Mafia Capitale ma risulta indagato per corruzione nell'inchiesta per i parcheggi «CAM»;
   in base al materiale investigativo pubblicato dal quotidiano la Repubblica, risulterebbe un tentativo di corruzione operato dal Buzzi sul Pedetti: «La prossima settimana vado a pranzo con Carlini e Pedetti – dice Buzzi – mi compro pure lui, gli compreremo casa»;
   secondo quanto pubblicato dal quotidiano il Tempo «Pedetti è ritenuto nell'incartamento investigativo “punto di riferimento per tutto ciò che concerne Patrimonio e politiche abitative e speciali”. Al politico sono date “utilità in cambio di favori elargiti”. Interessante, a tal riguardo, uno stralcio della relazione dei Ros, che così conclude: “Nel novembre 2013, Buzzi curava o contatti con Pierpaolo Pedetti, Mirella Di Giovine e Dina Paone, per ottenere una riduzione dell'80% sul valore di vendita di immobili del Comune che sarebbero stati dismessi a breve, tra cui sede della cooperativa 29 Giugno”»;
   in data 12 febbraio 2014 Pierpaolo Pedetti presentava alcuni emendamenti alla proposta di delibera n. 88 protocollo 16580/2013, che conteneva alcune disposizioni favorevoli agli interessi delle società del gruppo criminale, ed in particolare: «che per le Onlus di servizi sociali di interesse dell'Amministrazione e da essa riconosciuti, il prezzo di vendita degli immobili non commerciali è pari al prezzo di mercato diminuito del 40 per cento»; «detto abbattimento si applicherà anche ai conduttori, Associazioni no profit ed Onlus» e inoltre «per le Onlus di servizi sociali di interesse dell'Amministrazione e da essa riconosciuti i 5 anni suddetti vengono ridotti a 3»;
   fra le carte della stessa inchiesta si è evidenziato anche che Salvatore Buzzi contava di acquistare la sede della Cooperativa 29 giugno «a dù lire» per ottenere finanziamenti da un istituto bancario con il pretesto di eventuali lavori di ristrutturazione;
   dopo l'acquisizione dei documenti da parte del ROS dei carabinieri, non si è in grado di stabilire con certezza se l'immobile sito in via Pomona 63 oggetto della delibera 88/2013 sia proprio quello ove è stabilita la sede della Cooperativa 29 giugno e quale sia l'importo di vendita a base d'asta dell'immobile stesso, dato che fonti di stampa parlano di circa 900.000 euro, ossia meno di 1.000 euro al metro quadrato, prezzo molto basso se rapportato alla media del valore di mercato per quella zona e tenuto conto che nella citata delibera tale importo non è specificato –:
   di quali elementi disponga rispetto ai fatti in premessa;
   se il Ministro dello sviluppo economico abbia attivato i necessari controlli sulla Cooperativa 29 GIUGNO, che secondo gli interroganti devono necessariamente riguardare anche l'eventuale volontà di acquistare l'immobile ove e ubicata la sua sede principale. (4-08630)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Famiglietti e altri n. 1-00685, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 dicembre 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Zappulla, Capodicasa.

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Venittelli e altri n. 7-00644, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Capozzolo.

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Russo e altri n. 4-08573, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 marzo 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Romele, D'Alessandro.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Gagnarli n. 4-08581, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 400 del 26 marzo 2015.

   GAGNARLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è noto che l'inalazione di fibre d'amianto volatili nell'organismo umano è stata dichiarata all'unanimità dalle autorità sanitarie internazionali quale causa certa di tumori;
   nel 2013, l'Unione europea, riconosce tra le cause di cancro dovute all'amianto anche quella da ingestione. Nella risoluzione «sulle minacce per la salute sul luogo di lavoro legate all'amianto e le prospettive di eliminazione di tutto l'amianto esistente (2012/2065(INI))», si «sottolinea che tutti i tipi di malattie legate all'amianto [...] come pure diversi tipi di tumori causati anche dall'ingestione di acqua contenente tali fibre, proveniente da tubature in amianto, sono stati riconosciuti come un rischio per la salute e possono manifestarsi addirittura dopo alcuni decenni, in alcuni casi anche dopo più di quarant'anni»;
   la presenza di manufatti in cemento-amianto (m.c.a.) non costituisce di per sé rischio per la salute dei cittadini e/o per la tutela ambientale, in quanto il rischio dipende dalla probabilità di una dispersione di fibre amiantifere in aria e/o nel suolo. La probabilità della cessione è a sua volta connessa alla perdita di compattezza del m.c.a., il che si realizza per una lunga esposizione agli agenti atmosferici e/o per danneggiamento ad opera dell'uomo;
   la mappa del Ministero dell'ambiente indica che sui 33.610 siti censiti, solo 832 sono quelli bonificati, 339 solo parzialmente risanati e ben 30.309 quelli in cui la bonifica non è neppure cominciata. I dati Arpat sulla situazione dell'amianto in Toscana sono fermi al 2007;
   la ASL 10 e l'ARPAT Firenze hanno elaborato un piano per proporre ai sindaci, quali autorità competenti in tema di tutela e protezione della salute della popolazione e della gestione del territorio, una procedura utile per disporre di elementi per conoscere la presenza di manufatti in cemento amianto all'esterno di residenze o in aree accessibili al pubblico, nonché all'interno di abitazioni o condomini, nonché il relativo livello di rischiosità. La proposta è stata posta all'attenzione dei comuni della provincia fiorentina, appartenenti al bacino di competenza della ASL 10, fra la fine del 2009 e gli inizi 2010;
   l'amministrazione comunale di Poggibonsi (Siena), con ordinanza datata 23 marzo 2012, ha mappato le aree del territorio con presenza di coperture in cemento-amianto (eternit) e disposto di valutarne lo stato di conservazione, rendicontando un totale di 57 mila metri quadrati di superficie. Di tale mappatura, tuttavia, non si riescono ad avere aggiornamenti perlomeno annuali;
   i consiglieri M5S di Poggibonsi hanno pertanto interrogato il sindaco per chiedere un aggiornamento dei dati sulle coperture in cemento-amianto sugli edifici pubblici e quale sia ad oggi la situazione sulle tubature in amianto dell'acqua (potabile e di scarico) gestite da Acque spa;
   la giunta comunale di Poggibonsi, in data 3 marzo 2015, ha risposto alla interrogazione evidenziando che il comune può intervenire solo qualora si presentino dei casi di pericolo per la salute, che tutti gli edifici comunali presentano elementi di amianto compatto e non friabile, senza precisare a quando risalgano gli ultimi controlli. La risposta, tuttavia, omette di indicare dati in merito ad una vasta area di una ex-fornace «Le Piaggiole», e in merito alle tubature per l'acqua in amianto, che a Poggibonsi sono circa 14 chilometri, come dichiarato dal gestore stesso Acque spa;
   in merito all'area ex Piaggiole, già segnalata da un gruppo di cittadini residenti con una raccolta firme, risulta agli interroganti che sia il comune di Poggibonsi che l'ARPAT toscana non conoscano con precisione l'estensione della superficie in amianto, come dimostra anche l'elenco consultabile online;
   il decreto ministeriale (sanità) del 6 settembre 1994, al punto 4, dispone che il responsabile dell'area contenente amianto dovrebbe effettuare controlli periodici e manutenzione, in particolare «nel caso siano in opera materiali friabili provvedere a far ispezionare l'edificio almeno una volta all'anno, da personale in grado di valutare le condizioni dei materiali, redigendo un dettagliato rapporto corredato di documentazione fotografica. Copia del rapporto dovrà essere trasmessa alla USL competente la quale può prescrivere di effettuare un monitoraggio ambientale periodico delle fibre aerodisperse all'interno dell'edificio»;
   è evidente che senza disporre di dati aggiornati e soprattutto senza che le verifiche siano fatte anche sullo stato di manutenzione del materiale in cemento-amianto, i sindaci sono impossibilitati a verificare se ci siano i presupposti del «pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica» –:
   se il Ministro interrogato, sia a conoscenza del livello di aggiornamento dei dati concernenti la presenza e lo stato di manutenzione e sicurezza delle coperture e delle tubature contenenti cemento amianto (m.c.a.) sul territorio nazionale, e in particolare nel comune di Poggibonsi;
   se tali dati risultino adeguati e aggiornati e quali iniziative intenda assumere nel caso in cui non lo fossero. (4-08581)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta orale Molea n. 3-01221 dell'11 dicembre 2014;
   interrogazione a risposta in Commissione Ottobre n. 5-04506 del 20 gennaio 2015.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Gagnarli e altri n. 4-04872 del 19 maggio 2014 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05221;
   interrogazione a risposta scritta Oliaro n. 4-07852 dei 10 febbraio 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-05222;
   interrogazione a risposta in Commissione Rostellato e altri n. 5-05185 del 26 marzo 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-08616.