Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Martedì 12 maggio 2015

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta del 12 maggio 2015.

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capezzone, Casero, Castiglione, Chaouki, Cicchitto, Cirielli, Cominelli, Costa, D'Alia, D'Ambrosio, Dadone, Dambruoso, Damiano, De Menech, De Micheli, Del Basso de Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Dieni, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Lorenzin, Lotti, Lupi, Lupo, Madia, Manciulli, Merlo, Meta, Migliore, Orlando, Pes, Pisicchio, Pistelli, Polverini, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Schullian, Scotto, Sereni, Sisto, Tabacci, Tidei, Valeria Valente, Velo, Vignali, Vito, Zanetti, Zolezzi.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta)

  Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Alfreider, Amici, Artini, Baldelli, Baretta, Bellanova, Dorina Bianchi, Bindi, Biondelli, Bobba, Bocci, Bonifazi, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Brambilla, Bratti, Bressa, Brunetta, Caparini, Capezzone, Casero, Castiglione, Chaouki, Cicchitto, Cirielli, Cominelli, Costa, D'Alia, D'Ambrosio, Dadone, Dambruoso, Damiano, De Menech, De Micheli, Del Basso de Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Luigi Di Maio, Dieni, Epifani, Faraone, Fedriga, Ferranti, Fico, Fioroni, Gregorio Fontana, Fontanelli, Formisano, Franceschini, Gentiloni Silveri, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Lorenzin, Lotti, Lupi, Lupo, Madia, Manciulli, Merlo, Meta, Migliore, Orlando, Pes, Pisicchio, Pistelli, Polverini, Portas, Rampelli, Ravetto, Realacci, Domenico Rossi, Rossomando, Rughetti, Sanga, Sani, Scalfarotto, Schullian, Scotto, Sereni, Sisto, Tabacci, Tidei, Valeria Valente, Velo, Vignali, Vito, Zanetti, Zolezzi.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 11 maggio 2015 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
   LIBRANDI: «Destinazione facoltativa dell'importo della rivalutazione dei trattamenti pensionistici, restituito in applicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 10 marzo 2015, a fini di equità intergenerazionale» (3111);
   MORASSUT: «Introduzione dell'articolo 1122-quater del codice civile, in materia di interventi urgenti a tutela della sicurezza negli edifici condominiali, e modifica dell'articolo 71 delle disposizioni per l'attuazione del codice civile e disposizioni transitorie, concernente il registro pubblico degli amministratori di condominio» (3112);
   NESCI e NUTI: «Modifiche al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, concernente l'elezione della Camera dei deputati, e al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, concernente l'elezione degli organi delle amministrazioni comunali, nonché altre norme in materia elettorale» (3113).

  Saranno stampate e distribuite.

Trasmissione dal Presidente del Senato.

  Il Presidente del Senato, con lettera in data 7 maggio 2015, ha comunicato che la 5a Commissione (Bilancio) del Senato ha approvato, ai sensi dell'articolo 144, commi 1 e 6, del Regolamento del Senato, una risoluzione sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 1304/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo europeo per gli investimenti strategici e che modifica i regolamenti (UE) nn. 1291/2013 e 1316/2013 (COM(2015) 10 final) (atto Senato Doc. XVIII, n. 91), che è trasmessa alla V Commissione (Bilancio) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Trasmissioni dal Ministro della salute.

  Il Ministro della salute, con lettere del 4 maggio 2015, ha trasmesso tre note relative all'attuazione data agli ordini del giorno NASTRI n. 9/2629-AR/100, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 29 ottobre 2014, concernente l'accelerazione delle procedure per la definizione del nuovo accordo di programma presentato dalla regione Piemonte, con particolare riferimento alla Città della salute di Torino e alla Città della salute e della scienza di Novara, Silvia GIORDANO ed altri n. 9/2679-bis-A/169 e MIOTTO ed altri n. 9/2679-bis-A/241, accolti dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 30 novembre 2014, riguardanti la piena rimborsabilità dei medicinali innovativi, in particolare di quelli destinati alla cura dell'epatite C.
  Le suddette note sono a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare e sono trasmesse alla XII Commissione (Affari sociali) competente per materia.

Trasmissione dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale.

  Il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con lettera del 5 maggio 2015, ha trasmesso una nota relativa all'attuazione data, per la parte di propria competenza, all'ordine del giorno RIZZO n. 9/2598-AR/32, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 17 settembre 2014, concernente la preventiva comunicazione alle Camere sulle eventuali ulteriori iniziative volte di invio in Iraq di armi e di personale militare.
  La suddetta nota è a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare ed è trasmessa alla III Commissione (Affari esteri) competente per materia.

Trasmissione dal Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento.

  Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 12 maggio 2015, ha trasmesso il parere reso dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, ai sensi dell'articolo 22 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, su uno schema di decreto-legge recante disposizioni urgenti in materia di rilancio del settore lattiero caseario, di sostegno alle imprese agricole colpite da eventi di carattere eccezionale e di razionalizzazione delle strutture del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, di cui al disegno di legge di conversione atto Camera n. 3104).
  Questo parere è trasmesso alla XIII Commissione (Agricoltura).

Trasmissione dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri per le politiche e gli affari europei.

  Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri per le politiche e gli affari europei, con lettera in data 30 aprile 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 13, comma 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, la relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, riferita all'anno 2014 (Doc. LXXXVII, n. 3).
  Questo documento è trasmesso a tutte le Commissioni permanenti e alla Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Annunzio di progetti di atti dell'Unione europea.

  La Commissione europea, in data 11 maggio 2015, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, la proposta di decisione del Consiglio relativa alla posizione che l'Unione deve adottare in seno al sottocomitato per il commercio e lo sviluppo sostenibile istituito dall'accordo di associazione tra l'Unione europea e la Comunità europea dell'energia atomica e i loro Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Moldova, dall'altra (COM(2015) 197 final), corredata dal relativo allegato (COM(2015) 197 final – Annex 1), che è assegnata, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla III Commissione (Affari esteri), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Comunicazione concernente una procedura d'infrazione.

  Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri per le politiche e gli affari europei, con lettera in data 6 maggio 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 15, comma 3, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, una comunicazione concernente gli sviluppi della procedura d'infrazione n. 2014/2140, avviata, ai sensi dell'articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, per mancato recupero degli aiuti di Stato concessi agli alberghi dalla regione Sardegna.
  Questa comunicazione è trasmessa alla X Commissione (Attività produttive) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Trasmissione dal difensore civico della regione Toscana.

  Il difensore civico della regione Toscana, con lettera pervenuta in data 5 maggio 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 16, comma 2, della legge 15 maggio 1997, n. 127, la relazione sull'attività svolta dallo stesso difensore civico nell'anno 2014 (Doc. CXXVIII, n. 35).
  Questa relazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali).

Comunicazione di nomine ministeriali.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 7 maggio 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 19, comma 9, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la comunicazione concernente il conferimento, ai sensi dei commi 4 e 10 del medesimo articolo 19, dei seguenti incarichi di livello dirigenziale generale nell'ambito del Ministero dell'economia e delle finanze:
   alla dottoressa Angela Stefania Lorella Adduce, l'incarico di consulenza, studio e ricerca presso il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato;
   al dottor Rocco Aprile, l'incarico di ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la spesa sociale presso il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato;
   alla dottoressa Laura Belmonte, l'incarico di direttore dell'Ufficio centrale del bilancio presso il Ministero della difesa, nell'ambito del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato;
   al dottor Mauro D'Amico, l'incarico di Direttore dell'Ufficio centrale del bilancio presso il Ministero dell'economia e delle finanze, nell'ambito del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato;
   alla dottoressa Valentina Gemignani, l'incarico di direzione dell'Ufficio di gabinetto del Ministro dell'economia e delle finanze;
   al dottor Federico Giammusso, l'incarico ad interim di direttore della Direzione I – analisi economico-finanziaria, nell'ambito del Dipartimento del tesoro;
   al dottor Marco Montanaro, l'incarico di consulenza, studio e ricerca con funzioni di coordinamento delle attività degli Uffici del Ragioniere generale dello Stato.

  Questa comunicazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla V Commissione (Bilancio).

Richiesta di parere parlamentare su proposta di nomina.

  Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 12 maggio 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1 della legge 24 gennaio 1978, n. 14, la richiesta di parere parlamentare sulla proposta di nomina del generale di corpo d'armata Massimiliano Del Casale a presidente della Cassa di previdenza delle Forze armate (45).
  Questa richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla IV Commissione (Difesa).

Richiesta di parere parlamentare su atti del Governo.

  Il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 11 maggio 2015, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 9 della legge 7 ottobre 2014, n. 154, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo recante disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2006/783/GAI relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca (166).
  Questa richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla II Commissione (Giustizia) nonché, ai sensi del comma 2 dell'articolo 126 del Regolamento, alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), che dovranno esprimere i prescritti pareri entro il 21 giugno 2015. È altresì assegnata, ai sensi del comma 2 dell'articolo 96-ter del Regolamento, alla V Commissione (Bilancio), che dovrà esprimere i propri rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario entro il 1o giugno 2015.

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

Annunzio di risposte scritte ad interrogazioni.

  Sono pervenute alla Presidenza dai competenti Ministeri risposte scritte ad interrogazioni. Sono pubblicate nell’Allegato B al resoconto della seduta odierna.

INTERPELLANZE E INTERROGAZIONE

Iniziative in ambito internazionale per la tutela della libertà religiosa, con particolare riferimento alle persecuzioni contro i cristiani – 2-00757

A) Interpellanza

   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
   in data 2 luglio 2014 la Camera dei deputati ha approvato a grandissima maggioranza una mozione unitaria che aveva come oggetto la tutela della libertà religiosa;
   la Dichiarazione universale dei diritti umani, all'articolo 18, stabilisce che: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti»;
   la mozione impegnava il Governo su vari fronti e, in particolare, vale la pena ricordarne alcuni, anche perché nel tempo sono andati moltiplicandosi gli episodi di intolleranza con grave pregiudizio non solo per la libertà, ma anche per la vita delle persone. La mozione sollecitava il Governo: a denunciare ogni forma di persecuzione nei confronti delle minoranze religiose, in particolare quelle cristiane, nei contesti in cui sono maggiormente vulnerabili; a promuovere misure di prevenzione dell'intolleranza e di sostegno alle iniziative di promozione del dialogo interreligioso; a rafforzare le politiche per la cooperazione internazionale, specialmente nei Paesi in cui le minoranze religiose, in particolare quelle cristiane, sono pesantemente discriminate; ad adottare le opportune iniziative, anche in sede Onu, in materia di libertà religiosa, per monitorare gli episodi di persecuzione religiosa, impegnando i diversi Stati ad intervenire tempestivamente nella prevenzione dell'intolleranza e del fanatismo religioso; ad assumere iniziative presso il Governo del Pakistan per rafforzare il rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo e, in particolare, del diritto di libertà religiosa; infine ad assumere iniziative a sostegno delle minoranze religiose con particolare attenzione all'educazione;
   le persecuzioni contro i cristiani sono cresciute in modo esponenziale nell'attuale situazione in Iraq e in altri Paesi del Medio Oriente dove il sedicente «califfato» islamico marchia con una «N» come nazareni le case dei cristiani, costretti a fuggire in massa. La lettera «N» da marchio d'infamia è diventata simbolo di una battaglia di libertà religiosa. Un marchio della vergogna non per chi lo subisce ma per gli jihadisti che lo impongono, come è avvenuto sulle case dei cristiani a Mosul: «N» come nazareno, cioè cristiano;
   fino al 1990, anno della prima guerra del Golfo, i cristiani in Iraq erano circa 600.000, il 3,2 per cento della popolazione, stimata in 18 milioni. Con gli anni dell'embargo (1990-2003) inizia il calo: sono circa 554.000 nel 2003, così ripartiti: 370.000 caldei; 100.000 siriaci cattolici e ortodossi; 50.000 assiri; 20.000 armeni; 10.000 protestanti; 4.000 latini. Nel 2003, con l'occupazione dell'Iraq e l'inizio degli attentati contro chiese e clero, si accelerano l'esodo verso Nord e l'emigrazione all'estero. Nel 2010 i cristiani sono stimati attorno ai 400.000. Con l'occupazione di Mosul e di parte della piana di Ninive, la presenza cristiana è a rischio estinzione. Oggi i cristiani sono stimati attorno ai 250.000, meno dell'1 per cento della popolazione;
   la polizia pachistana ha arrestato, all'inizio di novembre 2014, 44 sospetti per la barbara uccisione di una coppia cristiana bruciata viva perché accusata di blasfemia. Oltre 460 persone sono state denunciate per aver partecipato al linciaggio avvenuto in una fornace di mattoni in un villaggio a circa 60 chilometri da Lahore, dove i due coniugi di nome Shama e Shehzad lavoravano. Il governatore del Punjab, Shahbaz Sharif (fratello del Premier Nawaz), ha deciso di formare una commissione di inchiesta per accelerare le indagini. Ha rafforzato la sicurezza nei quartieri dove vive la minoranza cristiana spesso perseguitata nel Paese mussulmano. Anche l'opposizione del Partito popolare pachistano (Ppp), il partito della famiglia Bhutto, ha condannato l'orrendo crimine. A gran voce si sente ripetere: l'Onu intervenga. C’è molta preoccupazione tra i cristiani del Pakistan che scenderanno in piazza a Lahore per manifestare il loro sdegno e chiedere giustizia e rispetto della legalità;
   il Ministro Gentiloni ha fermamente condannato l'efferata uccisione dei due cristiani bruciati vivi in Pakistan. «Un atto vergognoso che solleva profonda indignazione» ha detto il Ministro, che esorta il Governo del Pakistan a fare tutto il possibile per assicurare immediatamente i colpevoli alla giustizia. «L'Italia continuerà ad essere in prima linea in tutti consessi internazionali in difesa della libertà di religione e nel contrasto a ogni forma di discriminazione religiosa» ha concluso il titolare della Farnesina. Era quanto chiedeva la mozione votata a luglio 2014, a cui però non sono seguite, per adesso, azioni concrete;
   numerose organizzazioni cristiane e gruppi della società civile insieme a cittadini musulmani chiedono con urgenza un intervento dell'Onu per un esame obiettivo sulla legge di blasfemia, sulla sua strumentalizzazione e sulle sue conseguenze: urge un'analisi attenta e neutrale. Se questa legge non sarà fermata e corretta vi saranno altri incidenti e tragedie come questa;
   «la difesa della libertà religiosa è la cartina di tornasole per verificare il rispetto di tutti gli altri diritti umani in un Paese». Così disse Giovanni Paolo II nell'ottobre del 2003 ai partecipanti all'Assemblea parlamentare dell'Osce. Se in un Paese la libertà religiosa non è rispettata, difficilmente lo saranno gli altri diritti umani;
   in quella, come in molte altre occasioni, Wojtyla sottolineò «la dimensione internazionale del diritto alla libertà di religione e la sua importanza per la sicurezza e la stabilità della comunità delle nazioni», incoraggiandone la difesa e la promozione da parte dei singoli Stati e di altri organismi internazionali;
   oggi circa il 74 per cento della popolazione mondiale – quasi 5,3 miliardi di persone – vive in Paesi in cui la libertà religiosa è soggetta a più o meno gravi violazioni e limitazioni, che si traducono spesso in vere e proprie persecuzioni religiose. Sono 116 i Paesi nel mondo in cui si registrano violazioni della libertà religiosa;
   recenti studi dimostrano che circa i tre quarti dei casi di persecuzioni religiose nel mondo riguardano i cristiani. Sono almeno 500 milioni i cristiani che vivono in Paesi in cui subiscono persecuzione, mentre altri 208 milioni vivono in Paesi in cui sono discriminati a causa del proprio credo;
   anche il numero di cristiani uccisi ogni anno in ragione della propria fede è tristemente elevato. Le stime variano da 100 mila a poche migliaia. Non è tuttavia rilevante sapere se vi è un cristiano ucciso in odio alla fede ogni cinque minuti, oppure ogni giorno. È comunque troppo;
   tra i colpevoli di discriminazioni e persecuzioni ai danni di gruppi religiosi vi sono numerosi Governi. «La libertà religiosa è qualcosa che non tutti i Paesi hanno – ha ricordato Papa Francesco rientrando dal suo viaggio in Terra Santa – Alcuni esercitano un controllo, altri prendono misure che finiscono in una vera persecuzione. Ci sono martiri oggi, martiri cristiani, cattolici e non cattolici. In alcuni posti non puoi portare un crocifisso, avere una Bibbia, o insegnare il catechismo ai bambini. E io credo che in questo tempo ci siano più martiri che nei primi tempi della Chiesa»;
   in Corea del Nord la libertà religiosa è completamente negata. Il Governo controlla le attività religiose e chiunque partecipi ad attività religiose non autorizzate è arrestato e soggetto a torture o perfino esecuzioni. Migliaia di nordcoreani sono internati nei campi di lavoro per motivi religiosi – almeno 15 mila su un totale di 150 mila prigionieri – e, se rifiutano di rinunciare alla loro fede, subiscono abusi perfino peggiori di quelli cui sono soggetti gli altri detenuti. Molto simile la situazione dell'Eritrea, nota non a caso come la «Corea del Nord d'Africa», dove si contano dai 2 mila ai 3 mila prigionieri di coscienza arrestati a causa del loro credo religioso. Prigionieri che subiscono atroci torture e sono costretti a vivere in condizioni disumane;
   in Cina il controllo dello Stato sulle attività religiose è andato tristemente aumentando negli ultimi anni, così come il numero degli arresti di cristiani, buddisti e musulmani e la distruzione di edifici religiosi. Recentemente nella provincia di Zhejang oltre sessanta chiese sono state demolite o danneggiate. La Costituzione riconosce sulla carta la libertà di religione, ma autorizza le sole attività religiose «normali», senza tuttavia fornirne alcuna definizione. Chiunque partecipi a riunioni o manifestazioni religiose non «autorizzate» è arrestato e può subire torture e abusi. Stessa sorte è toccata ai numerosi cattolici che, per fedeltà al Papa, hanno rifiutato di aderire all'Associazione patriottica cattolica cinese;
   lo stretto controllo governativo limita in modo rilevante la libertà religiosa anche in altri Paesi asiatici, quali Laos, Vietnam, Malesia, Kazakhistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Vietnam;
   uno dei Paesi in cui la libertà religiosa è meno tutelata è senza dubbio il Pakistan. Qui lo strumento d'elezione per la discriminazione e la persecuzione delle minoranze religiose è la cosiddetta legge antiblasfemia – corrispondente ad alcuni articoli del codice penale pachistano – che punisce con la pena di morte chi insulta il Profeta Maometto e con il carcere a vita chi profana il Corano. In Pakistan sono detenute 36 delle 43 persone arrestate con l'accusa di blasfemia in tutto il mondo. 17 di queste sono state condannate alla pena capitale, mentre le altre stanno scontando una pena detentiva a vita. Senza contare le migliaia di omicidi extra-giudiziali compiuti a causa di tale norma. Ne sono un tragico esempio i due coniugi cristiani gettati vivi in una fornace il 4 novembre del 2014, a seguito di un'accusa di blasfemia;
   anche se tra gli accusati non mancano appartenenti alla maggioranza musulmana, i dati dimostrano come la legge – che non prevede l'onere della prova per chi accusa e si presta, dunque, facilmente ad un uso improprio – è soprattutto utilizzata per colpire le minoranze religiose. Nel 2013 su 32 casi registrati, 12 hanno riguardato imputati cristiani: si tratta del 40 per cento delle denunce, in un Paese in cui la minoranza cristiana rappresenta appena il 2 per cento della popolazione;
   un'altra piaga che colpisce le minoranze religiose del Pakistan è il rapimento e la conversione forzata all'Islam di adolescenti e bambine. Secondo i dati ufficiali, ogni anno circa 750 giovani cristiane e 250 indù sarebbero rapite e obbligate a convertirsi per contrarre matrimonio islamico. Ma, dal momento che la percentuale dei crimini riportati è minima, si ritiene che i casi siano almeno il doppio;
   nei mesi scorsi il caso di Meriam Yahya Ibrahim Ishaq, la donna sudanese condannata a morte per apostasia, ha portato all'attenzione internazionale il dramma in atto nei Paesi in cui è vietato convertirsi dall'Islam ad altra religione. In 21 Paesi il reato di apostasia è regolato dal codice penale e alcuni di questi, tra cui Iran, Sudan, Arabia Saudita, Egitto, Somalia, Afghanistan, Qatar, Yemen, Pakistan e Mauritania, contemplano la pena di morte per questo tipo di reato;
   gravi sono le violazioni alla libertà religiosa nei Paesi in cui la legge islamica è fonte di diritto, sia che questa venga applicata a tutti i cittadini – come ad esempio in Sudan – sia che sia fatta distinzione tra musulmani e non musulmani. In 17 dei 49 Paesi a maggioranza islamica, l'Islam è riconosciuto come religione di Stato. Un primato sancito dalla Costituzione che implica molteplici conseguenze: dall'esclusione delle minoranze dalla pratica religiosa – è questo il caso dell'Arabia Saudita – fino a forme di tolleranza vincolate a rigidi controlli delle attività religiose;
   in Medio Oriente, in seguito alla cosiddetta primavera araba, si è assistito ad un aumento della pressione di gruppi fondamentalisti ed una crescente ostilità nei confronti della minoranza cristiana. In Egitto nel solo 2013 sono stati distrutti o danneggiati oltre 200 tra chiese, edifici religiosi e attività gestite da cristiani;
   in alcune aree di diversi Paesi del mondo arabo – tra cui Egitto, Iraq e Siria – gli estremisti pretendono dai cristiani il pagamento della jizya, la tassa imposta ai non musulmani durante l'impero ottomano;
   la radicalizzazione dei gruppi fondamentalisti ha contribuito ad alimentare il massiccio esodo di cristiani dal Medio Oriente. Se appena un secolo fa essi rappresentavano circa il 20 per cento della popolazione mediorientale, oggi raggiungono a stento il 4 per cento. Tra i fattori che spingono i cristiani ad abbandonare il proprio Paese vi è la concezione, tradizionalmente diffusa nelle società islamiche, che i non musulmani siano cittadini di seconda classe. Tale concezione non di rado porta a gravi discriminazioni in ambito scolastico e lavorativo e perfino a disparità nell'applicazione della giustizia;
   uno dei Paesi simbolo delle difficoltà cristiane nell'area è senza dubbio l'Iraq, che negli ultimi 25 anni ha visto diminuire la propria comunità cristiana da un milione e mezzo di fedeli a poco più di 300 mila. La conquista di vaste aree del Paese da parte dello Stato islamico rischia oggi di porre fine alla millenaria presenza cristiana. Più di 120 mila cristiani sono fuggiti nel Kurdistan iracheno ed ora versano in drammatiche condizioni, stipati nelle scuole e negli edifici abbandonati, condividendo in più famiglie uno stesso appartamento;
   anche in molte aree dell'Africa la pressione dei gruppi fondamentalisti islamici è andata fortemente aumentando, con gravi conseguenze per la popolazione locale e, in particolar modo, per i non musulmani. Caso emblematico è quello della Nigeria, dove dal 2009 ad oggi si sono intensificati gli attacchi della setta islamica Boko Haram. Nel Nord a maggioranza islamica i fondamentalisti hanno distrutto o danneggiato centinaia di chiese e ucciso migliaia di persone, oltre 2 mila soltanto negli ultimi 12 mesi. Da una ricerca condotta nell'ottobre del 2012 è risultato che su 1.201 cristiani uccisi in odio alla fede durante l'anno, ben 791 avevano trovato la morte in Nigeria. Dal 2001 all'ottobre 2013 nel Paese sono stati uccisi 32 mila cristiani, di cui 12 mila tra il 2011 e l'ottobre 2013. Il Governo è stato più volte accusato di non aver saputo reagire in maniera adeguata, anche a causa della dilagante corruzione che caratterizza l'apparato statale;
   la cooperazione allo sviluppo è parte integrante della politica estera italiana ed è gestita dalla direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri. La cooperazione italiana tiene conto di linee guida e impegni concordati nel più ampio contesto internazionale (Onu, Unione europea). In termini di priorità le iniziative sono focalizzate principalmente sul continente africano (Africa sub-sahariana), sui Paesi nei quali sono stati assunti importanti impegni internazionali (Afghanistan, Libano), nonché in aree nelle quali la presenza del nostro Paese ha radici profonde (America latina, Medio Oriente e Mediterraneo). In termini di aree tematiche e settori le priorità sono: l'ambiente e beni comuni, con particolare attenzione allo sviluppo rurale, all'agricoltura biologica o convenzionale, alla ricerca di fonti alternative e rinnovabili; le politiche di genere e, in particolare, l’empowerment delle donne, accanto ai tradizionali interventi sulla salute e sull'educazione;
   la maggior parte delle organizzazioni internazionali offre a laureandi e neolaureati la possibilità di effettuare tirocini, che comportano l'acquisizione di una certa familiarità con l'ambiente delle organizzazioni internazionali, l'esercizio pratico delle attitudini di flessibilità e apertura mentale, la continua pratica nelle lingue straniere. Il tirocinio, quindi, costituisce una prima reale opportunità per cominciare ad accumulare quell'esperienza lavorativa necessaria per una successiva occupazione più stabile nelle organizzazioni internazionali –:
   a conclusione del semestre italiano di Presidenza del Consiglio dell'Unione europea, se non ritenga opportuno, nelle sedi istituzionali europee, richiedere l'istituzione di una giornata europea dei martiri cristiani per ricordare i cristiani del nostro tempo uccisi in odio alla fede;
   se non ritenga opportuno rendere il rispetto della libertà religiosa uno dei requisiti necessari alla concessione di aiuti a Paesi terzi, all'instaurazione con questi di relazioni di carattere economico, nonché infine ad esigere che parte degli aiuti destinati ad altri Paesi siano devoluti a progetti per la promozione delle minoranze religiose, con particolare attenzione all'educazione (esempio: borse di studio per appartenenti alle minoranze religiose);
   se non si ritenga utile organizzare con regolarità incontri tra rappresentanti del Governo ed esponenti delle minoranze religiose di diversi Paesi per acquisire informazioni dirette e poter realizzare interventi più efficaci;
   quali iniziative intenda porre in essere al fine di favorire periodi di tirocinio (stage) per giovani studenti o neolaureati all'interno di strutture internazionali, con molti vantaggi sul piano formativo, soprattutto nelle aree ad alta complessità socio-economica;
   quali iniziative intenda porre in essere al fine di valorizzare lo strumento della cooperazione internazionale allo sviluppo dell'Italia come contributo ai processi di pacificazione, tutela dei diritti e promozione della democrazia nei Paesi del Mediterraneo e in Medio Oriente, rafforzando le partnership con i Paesi del Mediterraneo per supportarne lo sviluppo economico e i diritti sociali;
   se non valuti opportuno favorire una visione condivisa e la collaborazione tra istituzioni e società civile per un'azione coordinata e coerente di cooperazione del «sistema Italia» nel Mediterraneo e in Medio Oriente;
   quali strumenti ritenga utile porre in essere al fine di contribuire all'identificazione di strumenti operativi per potenziare la cooperazione italiana allo sviluppo in Mediterraneo e Medio Oriente (tra cui progetti di co-sviluppo, crediti e altro);
   quali iniziative, anche di natura normativa, intenda porre in essere al fine di agevolare, nei diversi livelli dell'istruzione, lo studio storico ed introduttivo di tutte le religioni, al fine di creare un contesto culturale finalizzato alla riduzione progressiva di ogni discriminazione, almeno in Italia.
(2-00757) «Binetti».


Iniziative di competenza per evitare l'applicazione di misure antidumping, da parte della Commissione europea, relative alle importazioni di prodotti laminati piatti di acciai al silicio detti «magnetici» a grani orientati – 3-01482

B) Interrogazione

   DONATI, IMPEGNO, DE MENECH, MORANI, DALLAI, GADDA, ROSTELLATO, PARRINI, CARBONE, VAZIO, COVELLO, FREGOLENT, TACCONI, ZARDINI, CARRESCIA, PRINA, MARTELLA, TARANTO, MANCIULLI, MARCO DI MAIO, SBROLLINI, GINATO, CRIMÌ, D'INCECCO, ERMINI, GALPERTI, FANUCCI, ASCANI, BECATTINI, ANZALDI, MONTRONI, BARGERO e BONACCORSI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea sembra intenzionata ad adottare misure antidumping provvisorie sul prodotto laminati piatti di acciai al silicio detti «magnetici» a grani orientati (GOES), individuato con i codici della nomenclatura doganale CN 72251100 e 72261100, per il materiale importato dalla Repubblica popolare cinese, dal Giappone, dalla Repubblica di Corea, dalla Russia e dagli Stati Uniti d'America;
   le misure antidumping proposte dalla Commissione europea comporterebbero un dazio pari al 28,7 per cento sui prodotti importati dalla Repubblica popolare cinese, tra il 34,2 per cento ed il 35,9 per cento sui prodotti importati dal Giappone, del 22,8 per cento sui prodotti importati dalla Repubblica di Corea, del 21,6 per cento sui prodotti importati dalla Russia e del 22 per cento sui prodotti importati dagli Stati Uniti d'America;
   l'adozione di tali misure è all'esame in questi giorni da parte degli uffici tecnici della Commissione europea;
   i laminati piatti di acciai al silicio detti «magnetici» a grani orientati (GOES) sono utilizzati quasi esclusivamente nella costruzione di trasformatori elettrici;
   a livello europeo i produttori di trasformatori rappresentano una parte importante del comparto relativo alla produzione di apparecchiature, componenti e sistemi per la trasmissione e distribuzione di energia elettrica, con un fatturato approssimativo di 3,7 miliardi di euro all'anno e l'impiego di oltre 200 mila addetti;
   in Italia operano circa 50 società nell'ambito della filiera dei trasformatori, di cui circa 35 sono utilizzatori del prodotto oggetto della procedura antidumping;
   gli addetti diretti delle aziende costruttrici di trasformatori sono circa 4.000, con un fatturato superiore a 600 milioni di euro, a cui si devono aggiungere altrettanti addetti impiegati dalle società che operano nell'indotto;
   le imprese italiane costruttrici di trasformatori hanno stabilimenti produttivi localizzati sul territorio nazionale o, in rari casi, in altri Paesi dell'Unione europea;
   al fine di ridurre i consumi di energia elettrica nell'Unione europea, anche attraverso le riduzioni delle perdite nei trasformatori, è stato emanato il regolamento «EcoDesign» sui trasformatori elettrici n. UE/548/2014, che determina i livelli massimi di perdite (a vuoto e a carico), con standard più elevati in termini di efficienza, per i trasformatori che potranno essere immessi sul mercato dell'Unione europea a partire dal 1o luglio 2015;
   per poter conseguire questi obiettivi l'industria dei trasformatori ha necessità di utilizzare maggiori quantità di lamierino magnetico a grani orientati ad alta efficienza nella produzione di trasformatori;
   il conseguente aumento della domanda di queste tipologie di lamierini magnetici nel breve-medio termine, già riscontrato dall'industria nazionale ed europea, provocherà uno sbilanciamento a livello europeo tra domanda ed offerta di lamierino magnetico, che potrà risolversi solo attraverso la possibilità di importare lamierini magnetici da altri Paesi terzi a prezzi competitivi;
   i costruttori di trasformatori segnalano come in Europa esista di fatto un unico produttore in grado di produrre lamierini magnetici ad alta efficienza di qualità corrispondente a quella dei produttori dei Paesi terzi;
   l'introduzione dei dazi proposti dalla Commissione europea potrebbe causare un insufficiente approvvigionamento di lamierino magnetico (e conseguentemente un innalzamento dei prezzi) da parte dell'unico produttore europeo;
   diretta conseguenza di un simile scenario sarebbe una repentina e proporzionale perdita di competitività sui mercati europei e mondiali da parte dell'industria italiana ed europea dei trasformatori, in quanto i costruttori di trasformatori extraeuropei potrebbero approvvigionarsi di lamierino magnetico a grani orientati fuori dall'Europa a prezzi decisamente più competitivi e senza l'aggravio dei dazi;
   questo scenario rischia di condizionare fortemente i produttori europei di trasformatori elettrici, spingendoli a delocalizzare la propria produzione in Paesi terzi, con ricadute negative sia sul piano occupazionale quanto per il ruolo di leader che l'industria italiana ed europea dei trasformatori elettrici riveste sul mercato globale in termini di innovazione e livello tecnologico;
   a partire da gennaio 2014, i prezzi del lamierino magnetico, anche a fronte dell'emanazione del regolamento UE/548/2014 prima richiamato, hanno registrato un costante e consistente incremento, confermato anche nel primo trimestre 2015. Sarebbe, pertanto, necessaria una verifica da parte della Commissione europea della situazione attuale relativa ai prezzi praticati dai produttori di Paesi terzi rispetto a quelli praticati dai produttori dell'Unione europea, prima dell'emanazione di misure provvisorie;
   vanno pertanto tenute in conto le ragioni sopra esposte legate alle conseguenze che l'introduzione delle misure antidumping paventate dalla Commissione europea potrebbero determinare –:
   quali azioni urgenti il Governo, per quanto di competenza, intenda porre in essere per evitare che la Commissione europea assuma la decisione di imporre misure antidumping provvisorie sui prodotti laminati piatti di acciai al silicio detti «magnetici» a grani orientati, capaci di provocare gravi ed immediate ripercussioni negative su un comparto industriale d'eccellenza per il nostro Paese e per l'Europa tutta. (3-01482)


Iniziative normative per inasprire le pene per i reati contro il patrimonio pubblico, alla luce di un'inchiesta per peculato a carico dell'ex direttore dell'Agenzia territoriale per la Casa di Asti – 2-00744

C) Interpellanza

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   Asti in questi giorni è alla ribalta nazionale per un caso di cronaca giudiziaria che porta al non invidiabile primato di città in cui si è verificato il più clamoroso episodio di peculato mai scoperto in Italia. Infatti, la procura della Repubblica di Asti, con il procedimento penale 1386/14, ha accertato la sottrazione di una somma monstre di 12 milioni di euro dalle casse dell'istituto Case popolari di Asti ad opera del suo direttore generale, Pierino Santoro. La cosa incredibile, secondo quanto è emerso dalle indagini, è che l'artefice di questa maxitruffa ha agito da solo e indisturbato per un periodo che va dal 2004 al 2014. Scoperto, Pierino Santoro ha immediatamente ammesso le sue responsabilità e ha chiesto il patteggiamento per usufruire dello sconto di pena previsto ai sensi dell'articolo 314, comma 2, del codice penale;
   la vicenda ha scosso l'opinione pubblica del territorio astigiano non solo per le modalità e la durata di questa maxitruffa, ma anche perché questi fondi venivano indebitamente sottratti alle fasce di popolazione più disagiate che da anni vivono l'emergenza abitativa. A fronte di una domanda di alloggi di edilizia pubblica residenziale inevasa e di un compendio immobiliare dell'ente in molti casi fatiscente, dalle casse dell'Agenzia territoriale per la casa di Asti venivano sottratte ingenti somme di denaro che l'ex direttore Pierino Santoro utilizzava per finalità prettamente personali e che, come è emerso da querele e segnalazioni dei condomini dell'Atc di Asti, cercava di ottenere oneri che i denunzianti qualificano come non dovuti;
   numerose sono le ombre di questa oscura vicenda che lascia ancora aperti numerosi interrogativi. In primis: sui presumibili sostegni e complicità interne ed esterne all'ente godute dall'ex direttore generale; su quelle che all'interpellante appaiono le gravi omissioni di quanti all'interno e all'esterno dell'Agenzia del territorio di Asti erano preposti al controllo della gestione finanziaria dell'ente. Infatti, nel verbale di interrogatorio del 23 aprile 2014, avanti il pubblico ministero dottor Giorgio Vitari e la dottoressa Elisa Pazè, lo stesso Santoro fa intendere che i suoi movimenti non potevano non essere «notati»: «Ci tengo a precisare che non è vero quanto ho letto negli atti depositati per il riesame cautelare reale: non è vero cioè che nessuno sapesse dell'abuso della carta di credito dell'ente. Ne erano perfettamente a conoscenza i dipendenti dell'ufficio ragioneria dell'Atc. Lo sapevano per certo, in quanto vedevano gli estratti conto quotidiani della tesoreria dell'Atc e quindi vedevano» che «ogni 15 del mese veniva evidenziato l'addebito della carta di credito. Nessuno, però, ha mai fatto commenti al riguardo». Ancora più evidenti, dalle sue dichiarazioni, sono le responsabilità degli organi di indirizzo e di controllo dell'ente, quali il consiglio di amministrazione e il collegio sindacale, in particolare quando lo stesso Santoro dichiara, sempre nel suddetto verbale, che: «Il collegio sindacale era al corrente della possibilità di avere carte di credito in base alla convenzione con la tesoreria: io personalmente l'avevo informato di ciò al momento dell'insediamento», mentre il consiglio di amministrazione era più «interessato» al sistema degli appalti. In particolare, il suo presidente che invitava a partecipare «alcune imprese, sia perché a lui note per motivi amicali, sia perché a lui vicine politicamente (era stato nominato in quota PdL), come pure capitava che per motivi politico-clientelari venissero fatti favori negli alloggi di inquilini a lui noti presentati o si operasse un cambio di alloggio». Queste gravi dichiarazioni evidenziano senza ombra di dubbio l’humus politico clientelare che ha permesso a Pierino Santoro di agire indisturbato per più di dieci anni, appropriandosi di ingenti quantità di risorse pubbliche a danno dell'agenzia senza che nessuno intervenisse;
   la cosa che più sorprende l'interpellante è che l'esito giudiziario di questa oscura vicenda si prospetta per rivelarsi l'ennesima beffa ai danni dello Stato e dei cittadini onesti del nostro Paese, in quanto, a fronte di 12 milioni di euro sottratti, l'unico imputato rischia di non farsi nemmeno un giorno di carcere. Infatti, se il giudice non accetterà le aggravanti dell'articolo 61, comma 7, del codice penale, ovvero il danno di rilevante entità, appunto, per l'enorme mole di denaro pubblico sottratto alla collettività, e dell'articolo 478 del codice penale, falsificazione di atti pubblici, come chiedono le parti lese costituite in giudizio (Atc di Asti, comune di Asti e coordinamenti per la lotta alla casa), il Santoro non si farà un solo giorno di carcere;
   oltre all'evidente gravità penale, ancora più intollerabile è la gravità sociale della condotta di Pierino Santoro, in quanto è notorio che nel territorio astigiano è da anni profonda la crisi abitativa, che la gestione fraudolenta dell'Agenzia territoriale per la casa di Asti, l'ente preposto a dare risposte alla tensione abitativa, invece di lenire ha aggravato, poiché sono venuti meno fondi essenziali a dare efficaci risposte al bisogno abitativo dei ceti sociali meno abbienti, con potenziali conseguenze sul piano della coesione sociale e dell'ordine pubblico –:
   se i Ministri interpellati siano a conoscenza di quanto in premessa e se non ritengano opportuno promuovere e assumere iniziative normative volte ad inasprire le pene per i responsabili di tali odiosi reati contro il patrimonio pubblico, estendendo tale inasprimento anche contro tutti coloro che a qualsiasi titolo non hanno adempiuto al loro dovere di verifica e controllo.
(2-00744) «Paolo Nicolò Romano».


Iniziative per la tutela del patrimonio boschivo del Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano ed Alburni, anche alla luce di un episodio di taglio boschivo non autorizzato verificatosi nel novembre 2013 – 2-00307

D) Interpellanza

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   il 9 novembre 2013, anche a seguito delle proteste e delle pubbliche denunce di cittadini e delle associazioni ambientaliste locali, il Corpo forestale dello Stato dell'ufficio di coordinamento di Vallo della Lucania ha posto sotto sequestro, in località Temponi e Piano degli Zingari del comune di Piaggine (Salerno), un'area boscata di circa 110 ettari – nella quale si stava realizzando un taglio boschivo in carenza di autorizzazioni – ed il materiale legnoso già tagliato e giacente a terra nell'area di cantiere per un totale di circa 1.000 quintali. Sono stati, inoltre, denunciati all'autorità giudiziaria i titolari delle due ditte boschive, che eseguivano i tagli, per i reati di taglio boschivo non autorizzato, danneggiamento e deturpamento di bellezze naturali di una zona di alto pregio ambientale;
   in tale area forestale, il Corpo forestale dello Stato aveva infatti verificato che, su terreno di proprietà comunale, era in corso il taglio di utilizzazione di un bosco governato ad alto fusto di specie faggio;
   grazie alle indagini condotte, alle acquisizioni documentali esperite ed alle verifiche sul campo, il Corpo forestale dello Stato ha accertato che le attività di taglio ed utilizzazione boschiva venivano eseguite in carenza delle necessarie autorizzazioni, mentre, ove le autorizzazioni sono state rilasciate, le medesime attività risultano in contrasto con la vocazione cui le aree in questione sono destinate;
   i tagli sinora effettuati hanno arrecato seri danni all’habitat forestale tutelato ed alla biodiversità, con l'abbattimento di circa 1200-1500 piante di faggio, in gran parte di alto fusto, alcune di dimensioni monumentali con tronchi di diametro anche superiore ad 1 metro;
   i tagli sono stati effettuati persino sul ciglio di doline ed inghiottitoi carsici, con conseguente grave danno anche paesaggistico e con modalità distruttive, come l'apertura di piste di esbosco con mezzi cingolati, che hanno gravemente danneggiato il soprasuolo della faggeta;
   l'area ove è avvenuta la devastazione ambientale si trova nel cuore del Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano ed Alburni, a circa 1.400 metri di altitudine nella suggestiva cornice del Monte Cervati, dove il faggio trova il proprio habitat ideale;
   il taglio boschivo ha interessato 5 particelle boschive (49, 51, 55, 57, 58) del previgente «piano di assestamento forestale» ed è stato autorizzato dal comune con propria delibera n. 43 del 14 giugno 2012;
   detti tagli boschivi ricadono in zona B1 di «riserva generale orientata» secondo la zonizzazione definita dal «piano del Parco», in vigore dal 14 giugno 2010;
   il bosco oggetto del danneggiamento fa parte della rete «Natura 2000», istituita in attuazione della direttiva europea 92/43/CE, poiché ricade nell'ampia zona a protezione speciale «Monte Cervati e dintorni» IT8050046;
   detta area è anche ricompresa nel sito di importanza comunitaria «Monte Cervati, Centaurino e Montagne di Laurino» IT8050024, costituendo una delle aree forestali meglio conservate dell'intero Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano ed Alburni, posta ai piedi del versante settentrionale del Monte Cervati (metri 1899 sul livello del mare);
   nel bosco è accertata la nidificazione del picchio nero, dryocopus martius, specie a rischio di estinzione elencata nell'allegato I alla direttiva europea «uccelli selvatici» 2009/147/CE, oggetto pertanto della speciale disciplina di tutela prevista dall'articolo 4 della direttiva in parola «mediante misure speciali di conservazione per quanto riguarda l’habitat»;
   le località Temponi e Piano degli Zingari sul Monte Cervati rientrano in quelle aree denominate riserva generale orientata, nelle quali il piano di gestione dell'ente parco prevede per i boschi di alto fusto solo tagli per prevalenti fini protettivi e non mai tagli con finalità produttiva ed economica, come accertato nella circostanza –:
   quali siano, alla luce di quanto esposto in premessa, gli intendimenti del Ministro interpellato per preservare e difendere il patrimonio boschivo del Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano ed Alburni;
   a parte la benemerita azione posta in atto dal locale ufficio del Corpo forestale dello Stato, quale sia stata e quale sia l'attività di controllo da parte degli uffici del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   quale sia stata l'azione di verifica e salvaguardia dei boschi da parte degli uffici del suddetto parco nazionale;
   quali azioni si intenda intraprendere affinché venga rispettata la vocazione e la destinazione naturale delle aree inserite e tutelate nei parchi nazionali;
   quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, si intendano adottare nei confronti di quanti hanno consentito lo scempio sopra illustrato, con interventi che mettono a rischio o, ancor peggio come nel caso in esame, distruggono aree di alto valore ambientale in palese contrasto con gli strumenti di tutela, pianificazione e gestione del territorio, ma autorizzati dalla locale amministrazione comunale e con, addirittura, il nulla osta degli uffici della regione e dell'ente parco.
(2-00307) «Pellegrino, Zan, Zaratti, Migliore, Giancarlo Giordano, Ferrara, Ragosta, Scotto».


Iniziative per garantire adeguata protezione a Giorgio Grimaldi, sindaco di San Giorgio Jonico (Taranto), a fronte di atti intimidatori rivolti contro la sua persona e la sua famiglia – 2-00697

E) Interpellanza

   Le sottoscritte chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   nella notte del 27 settembre 2014 il sindaco di San Giorgio Jonico (comune a pochi chilometri da Taranto), Giorgio Grimaldi, ha subito un atto intimidatorio. Ignoti hanno incendiato dei copertoni dinanzi al portone dell'abitazione ed al garage del primo cittadino, provocando alcuni danni;
   non è la prima volta che il sindaco Grimaldi e la sua famiglia sono oggetto di intimidazioni. Sia il 4 febbraio 2012 che il 13 ottobre 2013 si sono verificati atti analoghi, regolarmente denunciati all'autorità giudiziaria;
   negli ultimi anni nella provincia di Taranto sono sensibilmente aumentati i casi intimidatori nei confronti degli amministratori pubblici –:
   se sia a conoscenza di quanto espresso in premessa;
   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per assicurare al più presto una doverosa e duratura protezione al sindaco Grimaldi, nonché per contribuire, per quanto di competenza, a fare luce sulla natura e sull'origine degli atti intimidatori illustrati.
(2-00697) «Duranti, Pannarale».


Iniziative contro lo sfruttamento dei migranti nell'ambito della raccolta della frutta nel comune di Saluzzo (Cuneo) – 2-00784

F) Interpellanza

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro della giustizia, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   a Saluzzo, località in provincia di Cuneo, lavoratori migranti sono arrivati alla ricerca di lavoro nella raccolta della frutta, molti di essi hanno lavorato «a chiamata» per poche settimane, spesso in maniera irregolare e con paghe inferiori al minimo sindacale. La situazione che si è generata è quella di una comunità accampata, costretta a dormire in una tendopoli improvvisata, in condizioni disumane di salute e degrado. Molti di loro provengono da zone di guerra, come la Libia ed altre zone del bacino del Mediterraneo, si sono, pertanto, avvalsi dello status di «protezione sussidiaria», che, al pari di quello di rifugiato, viene riconosciuto dalla commissione territoriale competente in seguito alla presentazione di domanda di protezione internazionale, che recita: «Cittadino di un Paese terzo o apolide, che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondanti motivi per ritenere che, se tornasse nel suo Paese di origine, correrebbe il rischio effettivo di subire un grave danno» (decreto legislativo n. 251 del 2007): molti di loro quando è finito il progetto di accoglienza si sono ritrovati senza nessun tipo di garanzia;
   in data 30 ottobre 2014 il coordinamento bacciantile saluzzese, insieme ad altre associazioni solidali, ha inoltrato una richiesta al vescovo di Saluzzo, per verificare la possibilità di destinare una struttura vuota ed inutilizzata a lavoratori e disoccupati migranti e rifugiati che in questo momento vivono in strada. In particolare, la richiesta era relativa all'immobile «ex-Ial», agenzia di formazione professionale, di proprietà di enti ecclesiastici, inutilizzato dal 2010, sito a Saluzzo e facente parte del complesso dell'ex seminario vescovile. Il vescovo ha verificato l'effettivo inutilizzo di tale immobile e si è dimostrato attento alle durissime condizioni vissute dai lavoratori migranti ultra-precari, costretti a spostarsi perpetuamente da una campagna all'altra d'Italia come manodopera a basso costo e dequalificata ed alloggiati in tendopoli o accampamenti emergenziali che non offrono alcuna prospettiva di stabilità, ma attraverso cui si istituzionalizza una «zona di indistinzione», per cui l'accesso ai diritti non è garantito, ma sottoposto a costante discrezionalità da parte di soggetti sia pubblici che privati;
   in seguito, in data 6 novembre 2014 il coordinamento bracciantile saluzzese, insieme all'assemblea braccianti e disoccupati accampati al Foro Boario, ha indirizzato una lettera al sindaco di Saluzzo, ai sindaci dei comuni limitrofi e alla diocesi: «Richiesta di intervento in merito al disagio abitativo e sanitario vissuto da lavoratori e disoccupati senza tetto presenti sul territorio, titolari di permesso di soggiorno per protezione sussidiaria, motivi umanitari, asilo politico, lavoro subordinato»; nel testo si legge: «Alla luce dell'inagibilità del campo solidale di Saluzzo dovuta alle difficili condizioni climatiche e alla luce dell'avvenuta o imminente chiusura di tutte le strutture adibite all'ospitalità dei lavoratori stagionali presenti sul territorio intendiamo rivolgere ai sigg. sindaci e ai sigg. consiglieri comunali (...) le seguenti osservazioni: alcuni lavoratori mantengono attualmente un contratto di lavoro in essere ed altri sono in attesa di percepire le ultime retribuzioni; alcuni utenti dello sportello legale, vittime di incidenti stradali nel corso dell'estate, hanno procedure legali in corso e pertanto l'esigenza di essere reperibili sul territorio al fine di non pregiudicarne l'esito; la maggior parte dei lavoratori è titolare di permesso per protezione sussidiaria, protezione umanitaria ed asilo politico, si tratta di persone arrivate nelle campagne del saluzzese in quanto espulse da percorsi di accoglienza lacunosi nell'ambito di un sistema nazionale strutturalmente inadeguato rispetto alle reali necessità; molti lavoratori e disoccupati sono affetti da patologie legate al freddo. In particolare, un censimento effettuato in data 5 novembre 2014 ha permesso di verificare che nel solo campo solidale di Saluzzo vi sono ad oggi oltre 100 lavoratori e disoccupati accampati, in maggioranza titolari di permesso di soggiorno per protezione sussidiaria, motivi umanitari ed asilo politico. Parte di queste persone non ha oggettivamente né una residenza, né un domicilio effettivo a cui tornare e si trova privo di reddito, oltre che di qualsiasi tutela e sostegno, sia materiale che giuridico; situazioni molto simili interessano tutti coloro che si trovano in accampamenti molto simili molti dei quali già sgomberati»;
   la prassi del lavoro nero è considerata reato regolato dal decreto-legge n. 76 del 2013, recante alcuni interventi urgenti per favorire l'occupazione e, in primo luogo, quella giovanile, che introduce anche alcune misure volte a semplificare i procedimenti relativi all'accesso al lavoro degli stranieri non comunitari. Tali misure intervengono al fine di snellire i procedimenti volti all'emersione del lavoro nero, recando alcune integrazioni all'articolo 5 del decreto legislativo n. 109 del 2012, che disciplina sanzioni e provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (articolo 9, comma 10), e di prevedere che la dichiarazione che il datore di lavoro rende alla questura relativa all'alloggio del lavoratore straniero non comunitario è assolta con la dichiarazione di instaurazione di un rapporto di lavoro (sia con un lavoratore straniero, sia italiano) che il datore di lavoro è tenuto a presentare presso il servizio del lavoro competente per territorio (articolo 9, commi 10-bis e 10-ter);
   quanto accade nel caso dell'emergenza dei braccianti agricoli di Saluzzo viola, ad avviso degli interpellanti, gli articoli 1, 14, 31, 35 e 47, ai capi «dignità», «libertà», «solidarietà» e «giustizia», della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea che garantiscono il diritto alla dignità umana, all'istruzione, a condizioni di lavoro giuste ed eque, alla protezione della salute e a un ricorso effettivo a un giudice imparziale;
   ciò appare in contrasto anche con il decreto legislativo n. 251 del 2007, inerente alla «protezione sussidiaria», anche alla luce delle considerazioni del vescovo di Saluzzo –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali azioni intenda intraprendere;
   se non reputino di adoperarsi, per quanto di competenza, affinché venga contrastata la prassi del lavoro nero, così come previsto dal decreto-legge n. 76 del 2013;
   se i Ministri interpellati non reputino di dover intraprendere, in vista dell'Expo 2015 dedicato al cibo e alla sua economia e del semestre di presidenza italiano dell'Unione europea, azioni atte a tutelare l'immagine dell'Italia nel dibattito europeo e, quindi, di adoperarsi perché vengano prese misure utili a combattere il fenomeno del caporalato, sempre più in crescita nel nostro territorio, soprattutto per quel che riguarda i braccianti agricoli stagionali.
(2-00784) «Zaccagnini, Kronbichler, Franco Bordo, Melilla».


MOZIONI GUIDESI ED ALTRI N. 1-00755, FRANCO BORDO ED ALTRI N. 1-00818, TULLO ED ALTRI N. 1-00819, GAROFALO ED ALTRI N. 1-00820, NICOLA BIANCHI ED ALTRI N. 1-00821, PALESE N. 1-00823, CATALANO ED ALTRI N. 1-00828, RIZZETTO ED ALTRI N. 1-00829 E RAMPELLI ED ALTRI N. 1-00848 CONCERNENTI INIZIATIVE DI COMPETENZA IN ORDINE ALLA RAZIONALIZZAZIONE DELLA RETE DEGLI UFFICI POSTALI

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    Poste italiane spa ha presentato il 16 dicembre 2014 il nuovo piano strategico 2015-2019 in cui si prevede la ridefinizione del servizio universale postale in quanto considerato disallineato rispetto ai reali bisogni delle famiglie e non più sostenibile dal punto di vista economico: previsione più che preoccupante vista la missione di società a capitale interamente pubblico che gestisce i servizi postali in una condizione di sostanziale monopolio e che garantisce l'espletamento del servizio universale sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato;
    nei fatti, stando a quanto riferito da fonti sindacali e dagli organi di stampa, la società, che si impegna nel contratto di servizio a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste, ha previsto, a partire dai prossimi mesi, la progressiva chiusura di ben 455 uffici postali a livello nazionale e la riduzione degli orari di apertura in circa 608 uffici, ritenuti «improduttivi» o «diseconomici»;
    questa decisione unilaterale di Poste italiane spa conferma l'orientamento portato avanti dalla società negli ultimi anni che insegue una logica del guadagno puntando su assicurazioni, carte di credito, telefonia mobile e servizi finanziari in genere a scapito delle esigenze della collettività, sacrificando uffici che ritiene non redditizi, senza considerare la loro importanza dal punto di vista sociale e rinnegando la ratio propria del servizio universale, che – a tutela delle esigenze essenziali degli utenti – impone la fornitura del servizio anche in situazioni di fallimento di mercato, caratterizzate da bassi volumi di domanda ed alti costi di esercizio, tali da rendere l'erogazione delle prestazioni strutturalmente non redditiva ed antieconomica;
    si legge nel rapporto della Consob che: «Le verifiche condotte hanno evidenziato che la società si avvale, nello svolgimento dei servizi di investimento, di meccanismi di pianificazione commerciale e di incentivazione del personale fondati sul perseguimento di specifici interessi “di business” (prevalentemente declinati in termini di redditività) che, affiancati da rilevanti pressioni gerarchiche a tutti i livelli della struttura organizzativa, hanno determinato, a valle del processo distributivo, significative distorsioni nella relazione con la clientela»;
    Consob evidenzia criticità nel rapporto con i risparmiatori: 330 mila clienti su 900 mila hanno un profilo di rischio Mifid (gli altri hanno rapporti avviati prima dell'entrata in vigore della norma, replica l'azienda). Ma il 74,5 per cento dei clienti del BancoPosta si classifica sui tre livelli più elevati di «esperienza e conoscenza», soltanto il 5 per cento ha conoscenze minime. I dubbi sono di una profilazione troppo alta che permette di vendere prodotti ad alta complessità e ad alto rischio. Addirittura, l'80 per cento dei clienti sopra i 70 anni, che hanno comprato una polizza index-linked (una forma di investimento che garantisce il capitale e ha un rendimento legato all'andamento di un indice) hanno un orizzonte di investimento superiore ai 7 anni. La società, «a fronte di una specifica richiesta del team ispettivo, non è stata in grado di estrapolare i dati» relativi alla situazione finanziaria effettiva del cliente. E non considera l'età anagrafica per garantire un periodo di investimento adeguato;
    la delibera n. 342/14/Cons dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nel modificare i criteri di distribuzione degli uffici postali, ha disposto specifici divieti nei confronti di Poste italiane spa a tutela degli utenti del servizio postale universale che abitano nelle zone svantaggiate del Paese: in particolare, sono state previste particolari garanzie per i comuni caratterizzati da una natura prevalentemente montana del territorio e dalla scarsa densità abitativa e per le isole minori in cui sia presente un unico presidio postale. La delibera, inoltre, impone a Poste italiane spa di avvisare con congruo anticipo le istituzioni locali sulle misure di razionalizzazione, al fine di avviare un confronto sull'impatto degli interventi sulla popolazione interessata e per individuare possibili soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale;
    con riguardo specifico all'esigenza di assicurare un'adeguata copertura del territorio nazionale, «incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane», la direttiva n. 97/67/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 1997, recante «Regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e il miglioramento della qualità del servizio», come modificata, da ultimo, dalla direttiva n. 2008/6/CE, sottolinea che «le reti postali rurali, in particolare nelle regioni montuose e insulari, svolgono un ruolo importante al fine di integrare gli operatori economici nell'economia nazionale/globale e al fine di mantenere la coesione sociale e salvaguardare l'occupazione» e si riconosce che «i punti di accesso ai servizi postali nelle regioni rurali e remote possono inoltre costituire un'importante rete infrastrutturale ai fini dell'accesso universale ai nuovi servizi di comunicazione elettronica». Nel successivo considerando si afferma, poi, che «gli Stati membri dovrebbero adottare le misure regolamentari appropriate, per garantire che l'accessibilità ai servizi postali continui a soddisfare le esigenze degli utenti, garantendo, se del caso, un numero minimo di servizi allo stesso punto di accesso e, in particolare, una densità appropriata dei punti di accesso ai servizi postali nelle regioni rurali e remote». Inoltre, nel considerando n. 22, nel sottolineare il contributo significativo che un servizio postale di alta qualità può apportare al conseguimento degli obiettivi di coesione sociale e territoriale, si fa presente che «il commercio elettronico, in particolare, offre alle regioni remote e alle regioni scarsamente popolate nuove possibilità di partecipare alla vita economica»;
    pochi giorni fa Poste italiane spa, nella persona dell'amministratore delegato Francesco Caio, si è ufficialmente impegnata con il Sottosegretario allo sviluppo economico Antonello Giacomelli e il presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Angelo Cardani a coinvolgere regioni e gli enti locali nella fase precedente a quella di razionalizzazione per spiegare come verrà assicurata la tutela del servizio universale per i cittadini, eppure sembra che la chiusura degli uffici sia prevista a partire dal 13 aprile 2015, senza che le amministrazioni locali dei comuni interessati siano state debitamente coinvolte ed informate;
    i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese, sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale. La chiusura degli uffici e la limitazione degli orari di apertura pone, quindi, in seria difficoltà i privati, i turisti e tutto il bacino industriale;
    questa operazione di razionalizzazione si traduce in gravi disservizi, soprattutto per i residenti anziani, che si troveranno a non poter usufruire con la dovuta comodità di servizi essenziali, come il pagamento delle bollette, con la conseguenza di essere costretti a fare lunghe file nei giorni di apertura, ritardare le operazioni o affrontare frequenti e difficili spostamenti. Gli utenti della fascia più debole, quelli di età avanzata, ai quali è già stata negata la possibilità da febbraio 2012 di riscuotere la pensione in contanti e si sono, quindi, visti costretti a lasciare i propri risparmi sui libretti postali, ora si vedono nuovamente danneggiati, non potendo usufruire dei servizi resi dagli uffici periferici, nonostante il regime di servizio universale debba essere finalizzato alla promozione di inclusione sociale di categorie deboli di consumatori;
    l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con la delibera 728/13/Cons, ha manifestato evidenti perplessità sul mantenimento di alcuni servizi all'interno del perimetro del servizio universale, ritenendo che alcuni servizi come la posta assicurata degli invii singoli, la corrispondenza ordinaria degli invii multipli, gli invii di atti giudiziari non dovrebbero essere offerti in regime di esclusiva;
    attualmente, nel nostro Paese, a differenza di quanto accade negli altri Paesi europei, questi prodotti rientrano nel perimetro del servizio universale, godendo dell'esenzione iva qualora forniti da Poste italiane spa, e sono, invece, «ivati» se forniti da operatori diversi, con tutte le conseguenze in termini di limiti alla concorrenza e all'equa competizione tra gli operatori del mercato;
    nel contratto di programma (articolo 2, comma 8), con riguardo all'apertura minima settimanale degli uffici nei comuni con un unico presidio postale, è specificato che «l'apertura deve intendersi effettuata a giorni alterni per un minimo di 18 ore settimanali», che comprendono sia il tempo di accesso del pubblico ai locali, sia quello immediatamente precedente e successivo all'accesso al pubblico (pari ad un massimo di un'ora al giorno), durante il quale vengono espletate attività necessarie a rendere operativo l'ufficio;
    gli uffici postali nelle piccole realtà, soprattutto montane, che vivono spesso condizioni generali di servizio già di per sé disagiate, rappresentano un punto di riferimento e la loro chiusura diventa un problema per tutta la comunità, contribuendo al depotenziamento del territorio e allo spopolamento dei piccoli comuni. Da un'elaborazione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sui dati di Poste italiane spa si evince che il 60 per cento dei 288 comuni privi di un ufficio postale appartiene proprio alla categoria dei comuni rurali e totalmente montani;
    il criterio guida per la distribuzione degli uffici postali stabilito dal decreto ministeriale del 7 ottobre 2008 è costituito, in base alla normativa vigente, dalla distanza massima di accessibilità al servizio, espressa in chilometri percorsi dall'utente per recarsi al presidio più vicino. In particolare, «il fornitore del servizio universale assicura un punto di accesso entro la distanza massima di 3 chilometri dal luogo di residenza per il 75 per cento della popolazione, un punto di accesso entro la distanza massima di 5 chilometri dal luogo di residenza per il 92,5 per cento della popolazione, un punto di accesso entro la distanza massima di 6 chilometri dal luogo di residenza per il 97,5 per cento della popolazione»,

impegna il Governo:

   ad assumere le necessarie iniziative presso Poste italiane spa per fornire una lista dettagliata degli uffici postali coinvolti nella razionalizzazione, specificando per ognuno il rapporto costi/benefici, spread del territorio suddiviso per Nord, Sud e Centro, costi delle locazioni, depositi medi, numero della popolazione servita;
   ad assumere, per quanto di competenza, iniziative conoscitive in merito alla razionalizzazione della rete di uffici postali (chiusura o rimodulazione oraria) da parte di Poste italiane spa, al fine di valutare di volta in volta, in relazione al caso concreto, la portata dei disagi eventualmente arrecati all'utenza, anche in relazione all'età anagrafica della popolazione servita e alle condizioni del trasporto pubblico che collega gli uffici postali, nonché i corrispondenti benefici in termini di miglioramento dell'efficienza complessiva della rete e di riduzione dei costi del servizio universale ricadenti sulla collettività;
   a pubblicare sul sito del Ministero dell'economia e delle finanze l'ammontare complessivo dei contributi statali erogati negli ultimi cinque anni a Poste italiane spa per l'espletamento del servizio pubblico universale;
   a rivedere, valutato il ridimensionamento del servizio pubblico offerto, l'ammontare dei contributi statali e il persistere delle convenzioni in essere;
   a rendere noti i dati relativi all'ammontare dei depositi postali suddivisi per regione;
   a valutare la possibilità che alcuni servizi, non ritenuti strettamente connessi all'espletamento del servizio universale, vengano offerti non in regime di esclusiva da Poste italiane spa;
   a promuovere un rinvio dell'entrata in vigore del nuovo piano di razionalizzazione di Poste italiane spa previsto per il 13 aprile 2015, in attesa di una concertazione fra la società e le amministrazioni locali coinvolte, finalizzata a valutare l'impatto degli interventi sulla popolazione interessata e la possibile individuazione di soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale, così come previsto dalla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che siano in grado di coniugare le esigenze di equilibrio economico con quelle di tutela dell'utenza.
(1-00755) «Guidesi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Matteo Bragantini, Busin, Caon, Caparini, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Prataviera, Rondini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    Poste italiane spa ha presentato il 16 dicembre 2014 il nuovo piano strategico 2015-2019 e nell'ambito di un suo comunicato stampa ha evidenziato che il piano avrebbe previsto un unico gruppo integrato, focalizzato su tre aree: logistica e servizi postali, pagamenti e transazioni, risparmio e assicurazioni, prevedendosi:
     a) un fatturato in crescita verso i 30 miliardi di euro e una profittabilità che dovrebbe tornare a crescere;
     b) investimenti in piattaforme e servizi digitali per circa 3 miliardi di euro, di cui 500 milioni di euro per la sicurezza e la riqualificazione degli uffici postali come luogo di servizio, assistenza e consulenza ai cittadini e alle famiglie;
     c) una crescita nella «logistica pacchi» con l'obiettivo di quota di mercato superiore al 30 per cento nel segmento business to consumer;
     d) lo sviluppo della piattaforma dei pagamenti digitali, incrementando da 20 a 30 milioni di euro le carte di pagamento;
     e) l'ingresso di 8.000 nuove persone (50 per cento di nuove professionalità) e la riqualificazione di 7.000 persone;
     f) la ridefinizione del servizio universale postale in quanto considerato disallineato rispetto ai reali bisogni delle famiglie e non più sostenibile dal punto di vista economico, prima della firma del nuovo contratto di programma 2015-2019 prevista per il mese di marzo 2015;
    nonostante Poste italiane spa riceva significativi contributi da parte dello Stato nell'ambito della legge di stabilità per consentire agli uffici postali periferici di garantire l'erogazione dei servizi postali essenziali, con il citato piano veniva previsto a livello nazionale, nell'ambito dell'avviato processo di privatizzazione, la chiusura e la riduzione degli orari di apertura di centinaia di uffici postali;
    al riguardo appare opportuno rammentare che con la delibera n. 342/14/CONS, che è stata preceduta da una consultazione pubblica, sono stati modificati i criteri di distribuzione degli uffici postali fissati dall'articolo 2 del decreto del Ministro dello sviluppo economico del 7 ottobre 2008, integrandoli con specifiche previsioni a tutela degli utenti del servizio postale universale che abitano nelle zone remote del Paese. Al fine di garantire un livello di servizio adeguato in tali aree, la delibera introduce specifici divieti di chiusura di uffici postali, di cui Poste italiane spa deve tenere conto nella redazione del piano annuale di razionalizzazione degli uffici postali. La delibera, infatti, prevede particolari garanzie per i comuni caratterizzati da una natura prevalentemente montana del territorio e dalla scarsa densità abitativa e per le isole minori in cui sia presente un unico presidio postale. La delibera, infine, impone a Poste italiane spa di avvisare con congruo anticipo le istituzioni locali sulle misure di razionalizzazione, al fine di avviare un confronto sull'impatto degli interventi sulla popolazione interessata e sulla possibile individuazione di soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale;
    nonostante ciò, per mesi si sono diffuse notizie di imminenti decisioni di chiusure di sportelli e uffici in tutta Italia (dalla Toscana all'Emilia-Romagna, dalla Lombardia alla Sicilia, dalla Sardegna all'Abruzzo e in altre regioni);
    la decisione di Poste italiane spa di ridurre il perimetro del servizio universale nei modi anzi descritti, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, confermava la volontà da parte della società di perseguire la mera logica del profitto puntando su assicurazioni, carte di credito, telefonia mobile e servizi finanziari in genere, che nulla hanno a che fare con il servizio universale, a scapito delle esigenze della collettività, chiudendo uffici che ritiene «improduttivi» o «diseconomici», senza considerare che i servizi postali rappresentano un servizio fondamentale per lo svolgimento delle attività quotidiane di numerosissime imprese, famiglie e residenti anziani che si troveranno nella condizione di non poter più usufruire di prestazioni essenziali, quali il pagamento delle bollette o la riscossione della pensione, con la conseguenza di essere costretti a fare lunghe file nei giorni di apertura, ritardare le operazioni o affrontare frequenti e difficili spostamenti nei territori più disagiati;
    non a caso, le proteste da parte dei rappresentanti delle istituzioni regionali e locali non hanno tardato a giungere all'attenzione del Ministero dello sviluppo economico tanto da aver costituito oggetto di specifici incontri tra l'amministratore delegato di Poste italiane spa e il Sottosegretario di Stato con delega alle comunicazioni Giacomelli;
    in particolare, il 12 febbraio 2015, presso il Ministero dello sviluppo economico, si è tenuto un incontro tra il Sottosegretario di Stato, Antonello Giacomelli, l'amministratore delegato di Poste italiane spa, Francesco Caio, e il presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Angelo Cardani. La conclusione condivisa raggiunta è stata l'assicurazione, da parte di Poste italiane spa, circa la realizzazione di un confronto con regioni e comuni che precederà la fase attuativa del piano di razionalizzazione degli uffici postali. Poste italiane spa ha inoltre assicurato che il piano di chiusura degli uffici postali, previsto nel 2015, è conforme ai criteri fissati dalla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e che spetterà all’authority verificare ex post il rispetto degli obblighi previsti dal decreto ministeriale 7 ottobre 2008;
    pertanto, il successivo 19 febbraio 2015 la Conferenza delle regioni e delle province autonome, al fine di discutere il piano industriale, ha incontrato, insieme ai rappresentati dell'Anci, il presidente e l'amministratore delegato di Poste italiane spa, Luisa Todini e Francesco Caio. In questa occasione l'amministratore delegato ha ribadito che il piano industriale dell'azienda comprenderà la chiusura di 450 uffici postali mentre 609 saranno aperti a giorni alterni;
    in tale occasione Francesco Caio ha rivendicato la bontà del piano strategico di Poste italiane spa citando, come possibile soluzione alla chiusura degli uffici postali, il potenziamento del così detto «portalettere telematico», in grado di offrire a domicilio i servizi principali dell'ufficio postale, vale a dire l'accettazione di raccomandate, la ricarica di postepay, l'utilizzo di poste mobile e il pagamento dei bollettini. Ha inoltre ricordato che i pagamenti delle pensioni potranno essere erogati su conti correnti o carte libretto che non richiedono l'accesso agli uffici postali;
    il «portalettere telematico» richiede che si stabilisca un rapporto di conoscenza e fiducia fra l'utente e lo stesso portalettere e che, in mancanza di questo rapporto, l'utenza, come è buona norma suggerita anche dalla Polizia di Stato, non aprirà la porta allo sconosciuto «portalettere telematico» al fine di evitare truffe, furti e rapine da parte di delinquenti oramai specializzati in questo tipo di reati. Il fenomeno appena descritto colpisce maggiormente la popolazione anziana che, secondo le proiezioni demografiche Istat relative al periodo di riferimento 1o gennaio 2011-2065, risulta in aumento. Infatti, gli ultra 65enni aumenteranno fino al 2043, anno in cui oltrepasseranno il 32 per cento. Dopo tale anno, tuttavia, la quota di ultra 65enni si consoliderebbe intorno al valore del 32-33 per cento, con un massimo del 33,2 per cento nel 2056. Il rischio concreto sarà quindi il mancato uso del «portalettere telematico» proprio da parte dell'utenza anziana che, per la ridotta capacità di movimento, ne avrebbe maggiormente bisogno;
    nel corso dell'audizione informale tenutasi presso l'8a Commissione (Lavori pubblici, comunicazioni) del Senato della Repubblica, nella seduta dell'11 marzo 2015, l'amministratore delegato Caio ha segnalato che Poste italiane spa ha effettuato 481 incontri con esponenti di regioni, Anci, prefetti, province e sindaci;
    in tutto il territorio nazionale, sono circa 9.000 i comuni che, direttamente o indirettamente, saranno coinvolti nel piano proposto da Poste italiane spa che, è bene ricordare, si basa su un totale di 1.064 interventi complessivi;
    appare pertanto del tutto evidente che il numero di incontri effettuati da Poste italiane spa risulti essere, per quanto sembra, ancora decisamente esiguo;
    il 7 aprile 2015, Poste italiane spa ha comunicato il differimento dell'attuazione del piano industriale;
    in data 15 aprile 2015, l'amministratore delegato di Poste italiane spa Francesco Caio, intervenendo nell'ambito di un'audizione informale svoltasi presso la Commissione IX (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei deputati, ha dichiarato che: «Se non si interviene con piano strategico importante, la prospettiva di tutta la redditività dell'azienda porta alla non sostenibilità nell'insieme di Poste italiane». I ricavi, ha sottolineato Francesco Caio, «sono passati da 21 a 28 miliardi ma il margine operativo è più che dimezzato nello stesso periodo. Sui ricavi registriamo la raccolta delle polizze vita» mentre «sulla componente della redditività incide l'andamento in forte flessione della corrispondenza». Caio ha poi aggiunto che «il piano industriale, messo a punto a dicembre e iniziato a eseguire a gennaio, dà alle Poste nell'orizzonte 2020 un ruolo di motore di sviluppo inclusivo» per il Paese. «Se saremo bravi, dovremmo invertire il trend in cui l'azienda è da qualche anno e tornare alla crescita anche dei margini»;
    è di queste ultime ore la notizia dell'acquisizione da parte di Poste italiane spa del 10,3 per cento della società di gestione del risparmio Anima da Monte dei Paschi di Siena per 215,2 milioni di euro. Un'acquisizione che secondo Francesco Caio avrebbe «una forte valenza industriale»,

impegna il Governo:

   a valutare l'impatto sociale e occupazionale della razionalizzazione degli uffici;
   ad adoperarsi per garantire la capillarità sul territorio e la permanenza degli uffici postali nei comuni rurali, montani e svantaggiati;
   a favorire il confronto costruttivo già in corso tra Poste italiane spa, regioni e comuni, con l'obiettivo di ridiscutere il piano di razionalizzazione degli uffici postali al fine di assicurare la piena operatività del servizio universale e di evitare che le decisioni assunte arrechino disagi agli abitanti dei comuni più disagiati del Paese, che si vedrebbero privati dell'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, così come previsto dall'accordo siglato tra Poste italiane spa e lo Stato;
   a perseguire con fermezza l'obiettivo di assicurare, durante l’iter di privatizzazione di Poste italiane spa la tutela, la protezione sociale e il mantenimento dei livelli occupazionali attuali di tutti i lavoratori impiegati presso l'ente, con particolare riferimento a quelli operanti nel settore del recapito postale in conformità all'ordine del giorno n. 9/2679-bis-A/26 presentato dal gruppo Sinistra Ecologia Libertà e accolto dal Governo in data 30 novembre 2014;
   a fornire al Parlamento l'indicazione complessiva dei contributi statali erogati negli ultimi cinque anni a Poste italiane spa per l'espletamento del servizio pubblico universale;
   a porre in essere ogni atto di competenza finalizzato a far sì che siano illustrate e diffuse pienamente le opportunità dei nuovi servizi telematici;
   ad assumere iniziative presso Poste italiane spa, per quanto di competenza, affinché, al termine del confronto in atto con regioni e comuni, venga pubblicata la lista completa degli uffici postali prossimi alla chiusura o interessati da una riduzione dell'orario di apertura.
(1-00818) «Franco Bordo, Scotto, Nicchi, Paglia, Piras, Airaudo, Placido, Zaratti, Ricciatti, Ferrara, Marcon, Duranti, Fratoianni, Melilla, Quaranta, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Matarrelli, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Sannicandro, Zaccagnini».


   La Camera,
   premesso che:
    Poste italiane spa ha presentato il 16 dicembre 2014 il nuovo piano strategico 2015-2019 e nell'ambito di un suo comunicato stampa ha evidenziato che il piano avrebbe previsto un unico gruppo integrato, focalizzato su tre aree: logistica e servizi postali, pagamenti e transazioni, risparmio e assicurazioni, prevedendosi:
     a) un fatturato in crescita verso i 30 miliardi di euro e una profittabilità che dovrebbe tornare a crescere;
     b) investimenti in piattaforme e servizi digitali per circa 3 miliardi di euro, di cui 500 milioni di euro per la sicurezza e la riqualificazione degli uffici postali come luogo di servizio, assistenza e consulenza ai cittadini e alle famiglie;
     c) una crescita nella «logistica pacchi» con l'obiettivo di quota di mercato superiore al 30 per cento nel segmento business to consumer;
     d) lo sviluppo della piattaforma dei pagamenti digitali, incrementando da 20 a 30 milioni di euro le carte di pagamento;
     e) l'ingresso di 8.000 nuove persone (50 per cento di nuove professionalità) e la riqualificazione di 7.000 persone;
     f) la ridefinizione del servizio universale postale in quanto considerato disallineato rispetto ai reali bisogni delle famiglie e non più sostenibile dal punto di vista economico, prima della firma del nuovo contratto di programma 2015-2019 prevista per il mese di marzo 2015;
    nonostante Poste italiane spa riceva significativi contributi da parte dello Stato nell'ambito della legge di stabilità per consentire agli uffici postali periferici di garantire l'erogazione dei servizi postali essenziali, con il citato piano veniva previsto a livello nazionale, nell'ambito dell'avviato processo di privatizzazione, la chiusura e la riduzione degli orari di apertura di centinaia di uffici postali;
    al riguardo appare opportuno rammentare che con la delibera n. 342/14/CONS, che è stata preceduta da una consultazione pubblica, sono stati modificati i criteri di distribuzione degli uffici postali fissati dall'articolo 2 del decreto del Ministro dello sviluppo economico del 7 ottobre 2008, integrandoli con specifiche previsioni a tutela degli utenti del servizio postale universale che abitano nelle zone remote del Paese. Al fine di garantire un livello di servizio adeguato in tali aree, la delibera introduce specifici divieti di chiusura di uffici postali, di cui Poste italiane spa deve tenere conto nella redazione del piano annuale di razionalizzazione degli uffici postali. La delibera, infatti, prevede particolari garanzie per i comuni caratterizzati da una natura prevalentemente montana del territorio e dalla scarsa densità abitativa e per le isole minori in cui sia presente un unico presidio postale. La delibera, infine, impone a Poste italiane spa di avvisare con congruo anticipo le istituzioni locali sulle misure di razionalizzazione, al fine di avviare un confronto sull'impatto degli interventi sulla popolazione interessata e sulla possibile individuazione di soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale;
    nonostante ciò, per mesi si sono diffuse notizie di imminenti decisioni di chiusure di sportelli e uffici in tutta Italia (dalla Toscana all'Emilia-Romagna, dalla Lombardia alla Sicilia, dalla Sardegna all'Abruzzo e in altre regioni);
    la decisione di Poste italiane spa di ridurre il perimetro del servizio universale nei modi anzi descritti, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, confermava la volontà da parte della società di perseguire la mera logica del profitto puntando su assicurazioni, carte di credito, telefonia mobile e servizi finanziari in genere, che nulla hanno a che fare con il servizio universale, a scapito delle esigenze della collettività, chiudendo uffici che ritiene «improduttivi» o «diseconomici», senza considerare che i servizi postali rappresentano un servizio fondamentale per lo svolgimento delle attività quotidiane di numerosissime imprese, famiglie e residenti anziani che si troveranno nella condizione di non poter più usufruire di prestazioni essenziali, quali il pagamento delle bollette o la riscossione della pensione, con la conseguenza di essere costretti a fare lunghe file nei giorni di apertura, ritardare le operazioni o affrontare frequenti e difficili spostamenti nei territori più disagiati;
    non a caso, le proteste da parte dei rappresentanti delle istituzioni regionali e locali non hanno tardato a giungere all'attenzione del Ministero dello sviluppo economico tanto da aver costituito oggetto di specifici incontri tra l'amministratore delegato di Poste italiane spa e il Sottosegretario di Stato con delega alle comunicazioni Giacomelli;
    in particolare, il 12 febbraio 2015, presso il Ministero dello sviluppo economico, si è tenuto un incontro tra il Sottosegretario di Stato, Antonello Giacomelli, l'amministratore delegato di Poste italiane spa, Francesco Caio, e il presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, Angelo Cardani. La conclusione condivisa raggiunta è stata l'assicurazione, da parte di Poste italiane spa, circa la realizzazione di un confronto con regioni e comuni che precederà la fase attuativa del piano di razionalizzazione degli uffici postali. Poste italiane spa ha inoltre assicurato che il piano di chiusura degli uffici postali, previsto nel 2015, è conforme ai criteri fissati dalla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e che spetterà all’authority verificare ex post il rispetto degli obblighi previsti dal decreto ministeriale 7 ottobre 2008;
    pertanto, il successivo 19 febbraio 2015 la Conferenza delle regioni e delle province autonome, al fine di discutere il piano industriale, ha incontrato, insieme ai rappresentati dell'Anci, il presidente e l'amministratore delegato di Poste italiane spa, Luisa Todini e Francesco Caio. In questa occasione l'amministratore delegato ha ribadito che il piano industriale dell'azienda comprenderà la chiusura di 450 uffici postali mentre 609 saranno aperti a giorni alterni;
    in tale occasione Francesco Caio ha rivendicato la bontà del piano strategico di Poste italiane spa citando, come possibile soluzione alla chiusura degli uffici postali, il potenziamento del così detto «portalettere telematico», in grado di offrire a domicilio i servizi principali dell'ufficio postale, vale a dire l'accettazione di raccomandate, la ricarica di postepay, l'utilizzo di poste mobile e il pagamento dei bollettini. Ha inoltre ricordato che i pagamenti delle pensioni potranno essere erogati su conti correnti o carte libretto che non richiedono l'accesso agli uffici postali;
    il «portalettere telematico» richiede che si stabilisca un rapporto di conoscenza e fiducia fra l'utente e lo stesso portalettere e che, in mancanza di questo rapporto, l'utenza, come è buona norma suggerita anche dalla Polizia di Stato, non aprirà la porta allo sconosciuto «portalettere telematico» al fine di evitare truffe, furti e rapine da parte di delinquenti oramai specializzati in questo tipo di reati. Il fenomeno appena descritto colpisce maggiormente la popolazione anziana che, secondo le proiezioni demografiche Istat relative al periodo di riferimento 1o gennaio 2011-2065, risulta in aumento. Infatti, gli ultra 65enni aumenteranno fino al 2043, anno in cui oltrepasseranno il 32 per cento. Dopo tale anno, tuttavia, la quota di ultra 65enni si consoliderebbe intorno al valore del 32-33 per cento, con un massimo del 33,2 per cento nel 2056. Il rischio concreto sarà quindi il mancato uso del «portalettere telematico» proprio da parte dell'utenza anziana che, per la ridotta capacità di movimento, ne avrebbe maggiormente bisogno;
    nel corso dell'audizione informale tenutasi presso l'8a Commissione (Lavori pubblici, comunicazioni) del Senato della Repubblica, nella seduta dell'11 marzo 2015, l'amministratore delegato Caio ha segnalato che Poste italiane spa ha effettuato 481 incontri con esponenti di regioni, Anci, prefetti, province e sindaci;
    in tutto il territorio nazionale, sono circa 9.000 i comuni che, direttamente o indirettamente, saranno coinvolti nel piano proposto da Poste italiane spa che, è bene ricordare, si basa su un totale di 1.064 interventi complessivi;
    appare pertanto del tutto evidente che il numero di incontri effettuati da Poste italiane spa risulti essere, per quanto sembra, ancora decisamente esiguo;
    il 7 aprile 2015, Poste italiane spa ha comunicato il differimento dell'attuazione del piano industriale;
    in data 15 aprile 2015, l'amministratore delegato di Poste italiane spa Francesco Caio, intervenendo nell'ambito di un'audizione informale svoltasi presso la Commissione IX (Trasporti, poste e telecomunicazioni) della Camera dei deputati, ha dichiarato che: «Se non si interviene con piano strategico importante, la prospettiva di tutta la redditività dell'azienda porta alla non sostenibilità nell'insieme di Poste italiane». I ricavi, ha sottolineato Francesco Caio, «sono passati da 21 a 28 miliardi ma il margine operativo è più che dimezzato nello stesso periodo. Sui ricavi registriamo la raccolta delle polizze vita» mentre «sulla componente della redditività incide l'andamento in forte flessione della corrispondenza». Caio ha poi aggiunto che «il piano industriale, messo a punto a dicembre e iniziato a eseguire a gennaio, dà alle Poste nell'orizzonte 2020 un ruolo di motore di sviluppo inclusivo» per il Paese. «Se saremo bravi, dovremmo invertire il trend in cui l'azienda è da qualche anno e tornare alla crescita anche dei margini»;
    è di queste ultime ore la notizia dell'acquisizione da parte di Poste italiane spa del 10,3 per cento della società di gestione del risparmio Anima da Monte dei Paschi di Siena per 215,2 milioni di euro. Un'acquisizione che secondo Francesco Caio avrebbe «una forte valenza industriale»,

impegna il Governo:

   a valutare l'impatto sociale e occupazionale della razionalizzazione degli uffici;
   ad adoperarsi per garantire la capillarità sul territorio e la permanenza degli uffici postali nei comuni rurali, montani e svantaggiati;
   a favorire la prosecuzione del confronto costruttivo già in corso tra Poste italiane spa, regioni e comuni, con l'obiettivo di ridiscutere il piano di razionalizzazione degli uffici postali al fine di assicurare la piena operatività del servizio universale e di evitare che le decisioni assunte arrechino disagi agli abitanti dei comuni più disagiati del Paese, che si vedrebbero privati dell'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, così come previsto dall'accordo siglato tra Poste italiane spa e lo Stato;
   a considerare ogni atto di competenza finalizzato ad assicurare, durante l’iter di privatizzazione di Poste italiane spa la tutela, la protezione sociale e il mantenimento dei livelli occupazionali attuali di tutti i lavoratori impiegati presso l'ente, con particolare riferimento a quelli operanti nel settore del recapito postale in conformità all'ordine del giorno n. 9/2679-bis-A/26 presentato dal gruppo Sinistra Ecologia Libertà e accolto dal Governo in data 30 novembre 2014;
   a fornire al Parlamento l'indicazione complessiva dei contributi statali erogati negli ultimi cinque anni a Poste italiane spa per l'espletamento del servizio pubblico universale;
   a porre in essere ogni atto di competenza finalizzato a far sì che siano illustrate e diffuse pienamente le opportunità dei nuovi servizi telematici;
   ad assumere iniziative presso Poste italiane spa, per quanto di competenza, affinché, al termine del confronto in atto con regioni e comuni, venga pubblicata la lista completa degli uffici postali prossimi alla chiusura o interessati da una riduzione dell'orario di apertura.
(1-00818)
(Testo modificato nel corso della seduta). «Franco Bordo, Scotto, Nicchi, Paglia, Piras, Airaudo, Placido, Zaratti, Ricciatti, Ferrara, Marcon, Duranti, Fratoianni, Melilla, Quaranta, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Matarrelli, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Sannicandro, Zaccagnini».


   La Camera,
   premesso che:
    Poste italiane spa è la più grande infrastruttura di servizi in Italia, grazie alla presenza capillare su tutto il territorio nazionale, fornisce servizi logistico-postali, di risparmio e pagamento, assicurativi e di comunicazione digitale a oltre 32 milioni di clienti;
    il suo capitale è detenuto dallo Stato italiano per il 65 per cento e dalla Cassa depositi e prestiti per il 35 per cento (a sua volta partecipata per il 70 per cento dallo Stato e per il 30 per cento da fondazioni bancarie);
    Poste Italiane spa è attiva tramite le controllate: Postel, Poste Vita, PosteShop, Postemobile, Sda Express Courier, Poste Assicura, Europa Gestioni Immobiliari, Mistral Air, Postecom, BancoPosta Fondi Sgr, Poste Tutela e Poste Energia;
    nel complesso Poste italiane spa impiega 143 mila lavoratori e nel 2013 il gruppo ha registrato ricavi totali pari a 29 miliardi di euro, un risultato operativo che si attesta a 691 milioni di euro, un utile netto di 212 milioni di euro, con un totale di risparmio amministrato, diretto e indiretto, pari a 459 miliardi di euro;
    il 28 gennaio 2015 si è svolto al Ministero dell'economia e delle finanze un incontro sul processo di privatizzazione di Poste italiane spa, nel corso del quale sono stati vagliati obiettivi, sequenza temporale e misure necessarie per procedere alla quotazione della società, per la quale sembra essere confermata la scadenza 2015 e l'alienazione non superiore al 40 per cento del capitale in più fasi;
    il processo di armonizzazione e liberalizzazione del mercato postale, previsto dalle direttive europee e completato dalla direttiva 2008/6/CE, recepita con decreto legislativo 31 marzo 2011, n. 58, ha determinato, progressivamente, un'erosione dell'area dei prodotti universali riservati ai fornitori del servizio universale;
    Poste italiane spa è tenuta a presentare annualmente all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni l'aggiornamento del piano di razionalizzazione delle strutture che non garantiscono condizioni di equilibrio economico redatto in conformità alla vigente normativa;
    il piano del 2014 è stato presentato da Poste italiane spa il 29 settembre del 2014 e prevede la chiusura di 445 uffici postali e una rimodulazione degli orari in 608 uffici;
    gli interventi previsti dal piano di razionalizzazione devono essere definiti nel pieno rispetto degli obblighi del servizio universale e dei vincoli di distribuzione degli uffici postali sul territorio italiano di cui al decreto ministeriale 7 ottobre 2008 recante «Criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale pubblica» e alla recente delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 342/14/CONS;
    il citato decreto ministeriale 7 ottobre 2008 definisce vincoli di presenza territoriale e con riferimento ai criteri di distribuzione degli uffici postali stabilisce: le distanze massime tra gli uffici postali ed i luoghi di residenza sulla base delle percentuali di popolazione nazionale residente; l'obbligo di assicurare l'operatività di almeno un ufficio postale nel 96 per cento dei comuni italiani; il divieto di soppressione di uffici postali che siano presidio unico sul territorio comunale (con orario minimo di 3 giorni e 18 ore settimanali);
    per tutelare in maniera maggiore le realtà più piccole e remote del Paese, la delibera n. 342/14/CONS dell'Autorità di settore ha integrato tali criteri prevedendo: il divieto di chiusura di uffici ubicati in comuni qualificati nel contempo rurali e montani (secondo i più recenti dati Istat), salvo siano presenti più di 2 uffici ed il rapporto abitanti per ufficio postale sia inferiore a 800, e il divieto di chiusura di uffici postali che siano presidio unico di isole minori;
    Poste italiane spa è quindi chiamata a conciliare una rete efficiente e capillare di uffici postali che rispetti i criteri di distribuzione previsti dalla normativa e, al contempo, ad adottare azioni per una gestione efficiente che sani eventuali diseconomie;
    i finanziamenti statali coprono, infatti, solo parzialmente l'onere di servizio universale e la legge di stabilità 2015 ha, inoltre previsto una riduzione consistente di risorse pubbliche destinate al finanziamento del servizio universale (262,4 milioni di euro annui nel periodo 2015-2019, rispetto ai circa 350 milioni di euro annui stanziati nel 2011 e nel 2012);
    l'utilizzo della rete degli sportelli postali per l'erogazione di servizi ulteriori rispetto a quelli rientranti nel perimetro del servizio universale ha consentito, in questi anni, il conseguimento di una maggiore efficienza nella gestione della rete;
    Poste italiane spa peraltro, al fine di migliorare la facilità di accesso della clientela ai propri servizi, ha sviluppato, già da tempo, opportunità di servizio alternative, che consentano a quest'ultima di usufruire di molteplici servizi direttamente da casa, dando avvio, già a partire dal 2007, al progetto «postino telematico», che prevede la dotazione progressiva del palmare a tutti i portalettere e che consentirà di disporre di una piattaforma tecnologica in grado di supportare nuovi servizi di Poste italiane spa a domicilio della clientela;
    recentemente, tuttavia, Poste italiane spa ha intrapreso un processo di internalizzazione del servizio recapiti, riducendo il numero delle agenzie di recapito esterne nonché il numero di città coperte dal servizio stesso. Ciò ha comportato la chiusura di numerose aziende di recapito con conseguente perdita di posti di lavoro, a fronte dell'assunzione da parte di Poste italiane spa di 8.000 persone con contratti a tempo determinato, scelta che potrebbe far perdere al servizio la qualità raggiunta grazie all'esperienza pluridecennale e un know how di basilare rilevanza per l'erogazione del servizio;
    il piano strategico di Poste italiane spa 2015-2019, secondo quanto esposto dall'amministratore delegato Francesco Caio alle competenti Commissioni permanenti della Camera dei deputati e del Senato della repubblica, persegue un obiettivo di sostenibilità del servizio universale nel lungo periodo, bilanciando adeguatamente la propria missione di azienda sociale e di mercato in un contesto di profonda discontinuità rispetto al passato;
    secondo l'amministratore delegato, la ricerca di un difficile punto di equilibrio tra i diversi fattori, che devono sostenere la trasformazione di Poste italiane spa, impone anche: una forte accelerazione nei prossimi 5 anni in termini di investimenti per l'innovazione dei servizi anche a favore del sistema Paese; di sostenere costi crescenti per la fornitura del servizio postale universale a fronte del declino della corrispondenza tradizionale e delle dinamiche concorrenziali; di mantenere i livelli occupazionali e al contempo di investire in formazione e rinnovamento delle competenze, per migliorare gli obiettivi di redditività;
    nell'audizione di mercoledì 15 aprile 2015 nella sede della Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni alla Camera dei deputati, l'amministratore delegato Caio ha difeso, in particolare, la strategia del gruppo affermando che il processo di razionalizzazione della presenza di uffici postali sul territorio è normato da regole precise e che il piano presentato nel settembre 2014 è molto al di sopra dei vincoli minimi indicati dalla legge, mantenendo un livello di presenza capillare degli uffici sul territorio tra i più alti d'Europa;
    lo stesso Francesco Caio ha ricordato che la legge di stabilità 2015, accanto al taglio del contributo pubblico per il servizio universale, introduce meccanismi di flessibilità nel servizio di recapito coerenti con le richieste che arrivano dal mercato e dai cittadini. I cittadini chiedono certezza della consegna più che velocità e per avere velocità sono disposti a pagare un po’ di più. Inoltre, il quadro normativo delineato dalla legge di stabilità è funzionale anche a dare certezze agli investitori in occasione della prevista privatizzazione di Poste italiane spa;
    poiché il servizio universale costa 1 miliardo di euro l'anno, per raggiungere l'obiettivo della sua sostenibilità finanziaria, secondo Caio, andrebbero ripensate – nell'ambito del nuovo contratto universale quinquennale in corso di definizione con il Ministero dello sviluppo economico – le regole d'ingaggio tra Poste italiane spa e Stato e la definizione stessa di servizio universale, prevedendo ad esempio nuovi servizi nell'ambito dell'Agenda digitale della pubblica amministrazione, che Poste italiane spa può contribuire ad accelerare; Poste italiane spa potrebbe diventare l'interfaccia digitale della pubblica amministrazione nei rapporti con cittadini e fornitori, assumendo un ruolo di diffusione dell'alfabetizzazione digitale, utilizzando gli uffici postali come punto d'appoggio;
    l'articolo 18 del disegno di legge sulla concorrenza approvato dal Consiglio dei ministri, intende abrogare, a partire dal 10 giugno 2016, l'articolo 4 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, liberalizzando il servizio di notifica a mezzo postale degli atti giudiziari e delle violazioni al codice della strada, in tal modo eliminando la riserva disposta a suo tempo a favore di Poste italiane spa; in tal modo Poste italiane spa perderà lo storico monopolio della notifica degli atti giudiziari e delle sanzioni e con esso altri 233 milioni di euro l'anno di ricavi;
    l'eliminazione della residua area di riserva è funzionale al processo di privatizzazione di Poste italiane spa in quanto consente di rimuovere un elemento potenzialmente lesivo della concorrenza, la cui permanenza mal si concilia con i cambiamenti connessi all'ingresso di soci privati nel capitale di Poste italiane spa;
    nel frattempo Poste italiane spa, su sollecitazione del Governo e del Parlamento, ha rinviato l'attuazione del piano che comporterebbe la chiusura di 445 uffici,

impegna il Governo:

   a garantire, anche in vista del processo di privatizzazione in atto, la sostenibilità economica del servizio universale postale e a valorizzare tutti gli asset di Poste italiane spa: servizi di logistica e corrispondenza, prodotti finanziari e prodotti assicurativi, salvaguardando la presenza capillare della società, che deve essere considerata nella sua unicità, su tutto il territorio nazionale, ottimizzando le sinergie tra i diversi settori di attività;
   a valutare con particolare attenzione l'impatto sociale del piano di razionalizzazione degli uffici di Poste italiane spa per gli anni 2015-2019, sollecitando ulteriormente Poste italiane spa affinché, nel confronto in atto con i diversi livelli istituzionali ponga particolare attenzione alla necessità di garantire il servizio nelle situazioni più critiche con particolare attenzione alle aree pedemontane caratterizzate dalla presenza di località o frazioni collinari e/o montane isolate ricomprese in comuni di pianura e alle comunità di cittadini in prevalenza anziani a ridotta mobilità;
   ad intervenire presso l'azienda Poste italiane spa perché, nell'ambito dell'attuazione del piano, sia posta una particolare attenzione allo sviluppo dei servizi innovativi e ad una loro più adeguata politica di informazione e di conoscenza dirette alle comunità interessate, con particolare riferimento alle potenzialità offerte dalle nuove tecnologie come l'utilizzo di palmari da parte dei portalettere per offrire servizi «in mobilità», su appuntamento, l'accettazione a domicilio delle raccomandate, il pagamento di tutte le tipologie di bollettini, la tracciatura della corrispondenza fino al momento della consegna, la notifica degli atti esattoriali ed altro;
   a chiedere a Poste italiane spa di precisare l'impatto occupazionale del piano di razionalizzazione della rete degli uffici postali nella sua attuazione a regime;
   a rilanciare con spirito costruttivo un nuovo modello di sviluppo nel settore della logistica di recapito, anche in considerazione dalle nuove possibilità che la diffusione che l’e-commerce offre, attraverso l'istituzione di un tavolo di concertazione tra tutti i soggetti interessati al processo – come quello che ha prodotto il memorandum del 2007 fra Ministero delle comunicazioni, Poste italiane spa e agenzie di recapito – per individuare un percorso comune tra la strategia industriale di Poste italiane spa e la valorizzazione del know how presente nelle aziende private.
(1-00819) «Tullo, Bonaccorsi, Bonomo, Brandolin, Bruno Bossio, Cardinale, Carloni, Castricone, Coppola, Crivellari, Culotta, Ferro, Cinzia Maria Fontana, Gandolfi, Pierdomenico Martino, Massa, Mauri, Minnucci, Mognato, Mura, Pagani, Malisani, Plangger, Iacono, Fabbri».


   La Camera,
   premesso che:
    Poste italiane spa è la più grande infrastruttura di servizi in Italia, grazie alla presenza capillare su tutto il territorio nazionale, fornisce servizi logistico-postali, di risparmio e pagamento, assicurativi e di comunicazione digitale a oltre 32 milioni di clienti;
    il suo capitale è detenuto dallo Stato italiano per il 65 per cento e dalla Cassa depositi e prestiti per il 35 per cento (a sua volta partecipata per il 70 per cento dallo Stato e per il 30 per cento da fondazioni bancarie);
    Poste Italiane spa è attiva tramite le controllate: Postel, Poste Vita, PosteShop, Postemobile, Sda Express Courier, Poste Assicura, Europa Gestioni Immobiliari, Mistral Air, Postecom, BancoPosta Fondi Sgr, Poste Tutela e Poste Energia;
    nel complesso Poste italiane spa impiega 143 mila lavoratori e nel 2013 il gruppo ha registrato ricavi totali pari a 29 miliardi di euro, un risultato operativo che si attesta a 691 milioni di euro, un utile netto di 212 milioni di euro, con un totale di risparmio amministrato, diretto e indiretto, pari a 459 miliardi di euro;
    il 28 gennaio 2015 si è svolto al Ministero dell'economia e delle finanze un incontro sul processo di privatizzazione di Poste italiane spa, nel corso del quale sono stati vagliati obiettivi, sequenza temporale e misure necessarie per procedere alla quotazione della società, per la quale sembra essere confermata la scadenza 2015 e l'alienazione non superiore al 40 per cento del capitale in più fasi;
    il processo di armonizzazione e liberalizzazione del mercato postale, previsto dalle direttive europee e completato dalla direttiva 2008/6/CE, recepita con decreto legislativo 31 marzo 2011, n. 58, ha determinato, progressivamente, un'erosione dell'area dei prodotti universali riservati ai fornitori del servizio universale;
    Poste italiane spa è tenuta a presentare annualmente all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni l'aggiornamento del piano di razionalizzazione delle strutture che non garantiscono condizioni di equilibrio economico redatto in conformità alla vigente normativa;
    il piano del 2014 è stato presentato da Poste italiane spa il 29 settembre del 2014 e prevede la chiusura di 445 uffici postali e una rimodulazione degli orari in 608 uffici;
    gli interventi previsti dal piano di razionalizzazione devono essere definiti nel pieno rispetto degli obblighi del servizio universale e dei vincoli di distribuzione degli uffici postali sul territorio italiano di cui al decreto ministeriale 7 ottobre 2008 recante «Criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale pubblica» e alla recente delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 342/14/CONS;
    il citato decreto ministeriale 7 ottobre 2008 definisce vincoli di presenza territoriale e con riferimento ai criteri di distribuzione degli uffici postali stabilisce: le distanze massime tra gli uffici postali ed i luoghi di residenza sulla base delle percentuali di popolazione nazionale residente; l'obbligo di assicurare l'operatività di almeno un ufficio postale nel 96 per cento dei comuni italiani; il divieto di soppressione di uffici postali che siano presidio unico sul territorio comunale (con orario minimo di 3 giorni e 18 ore settimanali);
    per tutelare in maniera maggiore le realtà più piccole e remote del Paese, la delibera n. 342/14/CONS dell'Autorità di settore ha integrato tali criteri prevedendo: il divieto di chiusura di uffici ubicati in comuni qualificati nel contempo rurali e montani (secondo i più recenti dati Istat), salvo siano presenti più di 2 uffici ed il rapporto abitanti per ufficio postale sia inferiore a 800, e il divieto di chiusura di uffici postali che siano presidio unico di isole minori;
    Poste italiane spa è quindi chiamata a conciliare una rete efficiente e capillare di uffici postali che rispetti i criteri di distribuzione previsti dalla normativa e, al contempo, ad adottare azioni per una gestione efficiente che sani eventuali diseconomie;
    i finanziamenti statali coprono, infatti, solo parzialmente l'onere di servizio universale e la legge di stabilità 2015 ha, inoltre previsto una riduzione consistente di risorse pubbliche destinate al finanziamento del servizio universale (262,4 milioni di euro annui nel periodo 2015-2019, rispetto ai circa 350 milioni di euro annui stanziati nel 2011 e nel 2012);
    l'utilizzo della rete degli sportelli postali per l'erogazione di servizi ulteriori rispetto a quelli rientranti nel perimetro del servizio universale ha consentito, in questi anni, il conseguimento di una maggiore efficienza nella gestione della rete;
    Poste italiane spa peraltro, al fine di migliorare la facilità di accesso della clientela ai propri servizi, ha sviluppato, già da tempo, opportunità di servizio alternative, che consentano a quest'ultima di usufruire di molteplici servizi direttamente da casa, dando avvio, già a partire dal 2007, al progetto «postino telematico», che prevede la dotazione progressiva del palmare a tutti i portalettere e che consentirà di disporre di una piattaforma tecnologica in grado di supportare nuovi servizi di Poste italiane spa a domicilio della clientela;
    recentemente, tuttavia, Poste italiane spa ha intrapreso un processo di internalizzazione del servizio recapiti, riducendo il numero delle agenzie di recapito esterne nonché il numero di città coperte dal servizio stesso. Ciò ha comportato la chiusura di numerose aziende di recapito con conseguente perdita di posti di lavoro, a fronte dell'assunzione da parte di Poste italiane spa di 8.000 persone con contratti a tempo determinato, scelta che potrebbe far perdere al servizio la qualità raggiunta grazie all'esperienza pluridecennale e un know how di basilare rilevanza per l'erogazione del servizio;
    il piano strategico di Poste italiane spa 2015-2019, secondo quanto esposto dall'amministratore delegato Francesco Caio alle competenti Commissioni permanenti della Camera dei deputati e del Senato della repubblica, persegue un obiettivo di sostenibilità del servizio universale nel lungo periodo, bilanciando adeguatamente la propria missione di azienda sociale e di mercato in un contesto di profonda discontinuità rispetto al passato;
    secondo l'amministratore delegato, la ricerca di un difficile punto di equilibrio tra i diversi fattori, che devono sostenere la trasformazione di Poste italiane spa, impone anche: una forte accelerazione nei prossimi 5 anni in termini di investimenti per l'innovazione dei servizi anche a favore del sistema Paese; di sostenere costi crescenti per la fornitura del servizio postale universale a fronte del declino della corrispondenza tradizionale e delle dinamiche concorrenziali; di mantenere i livelli occupazionali e al contempo di investire in formazione e rinnovamento delle competenze, per migliorare gli obiettivi di redditività;
    nell'audizione di mercoledì 15 aprile 2015 nella sede della Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni alla Camera dei deputati, l'amministratore delegato Caio ha difeso, in particolare, la strategia del gruppo affermando che il processo di razionalizzazione della presenza di uffici postali sul territorio è normato da regole precise e che il piano presentato nel settembre 2014 è molto al di sopra dei vincoli minimi indicati dalla legge, mantenendo un livello di presenza capillare degli uffici sul territorio tra i più alti d'Europa;
    lo stesso Francesco Caio ha ricordato che la legge di stabilità 2015, accanto al taglio del contributo pubblico per il servizio universale, introduce meccanismi di flessibilità nel servizio di recapito coerenti con le richieste che arrivano dal mercato e dai cittadini. I cittadini chiedono certezza della consegna più che velocità e per avere velocità sono disposti a pagare un po’ di più. Inoltre, il quadro normativo delineato dalla legge di stabilità è funzionale anche a dare certezze agli investitori in occasione della prevista privatizzazione di Poste italiane spa;
    poiché il servizio universale costa 1 miliardo di euro l'anno, per raggiungere l'obiettivo della sua sostenibilità finanziaria, secondo Caio, andrebbero ripensate – nell'ambito del nuovo contratto universale quinquennale in corso di definizione con il Ministero dello sviluppo economico – le regole d'ingaggio tra Poste italiane spa e Stato e la definizione stessa di servizio universale, prevedendo ad esempio nuovi servizi nell'ambito dell'Agenda digitale della pubblica amministrazione, che Poste italiane spa può contribuire ad accelerare; Poste italiane spa potrebbe diventare l'interfaccia digitale della pubblica amministrazione nei rapporti con cittadini e fornitori, assumendo un ruolo di diffusione dell'alfabetizzazione digitale, utilizzando gli uffici postali come punto d'appoggio;
    l'articolo 18 del disegno di legge sulla concorrenza approvato dal Consiglio dei ministri, intende abrogare, a partire dal 10 giugno 2016, l'articolo 4 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, liberalizzando il servizio di notifica a mezzo postale degli atti giudiziari e delle violazioni al codice della strada, in tal modo eliminando la riserva disposta a suo tempo a favore di Poste italiane spa; in tal modo Poste italiane spa perderà lo storico monopolio della notifica degli atti giudiziari e delle sanzioni e con esso altri 233 milioni di euro l'anno di ricavi;
    l'eliminazione della residua area di riserva è funzionale al processo di privatizzazione di Poste italiane spa in quanto consente di rimuovere un elemento potenzialmente lesivo della concorrenza, la cui permanenza mal si concilia con i cambiamenti connessi all'ingresso di soci privati nel capitale di Poste italiane spa;
    nel frattempo Poste italiane spa, su sollecitazione del Governo e del Parlamento, ha rinviato l'attuazione del piano che comporterebbe la chiusura di 445 uffici,

impegna il Governo:

   a garantire, anche in vista del processo di privatizzazione in atto, la sostenibilità economica del servizio universale postale e a valorizzare tutti gli asset di Poste italiane spa: servizi di logistica e corrispondenza, prodotti finanziari e prodotti assicurativi, salvaguardando la presenza capillare della società, che deve essere considerata nella sua unicità, su tutto il territorio nazionale, ottimizzando le sinergie tra i diversi settori di attività;
   a valutare con particolare attenzione l'impatto sociale del piano di razionalizzazione degli uffici di Poste italiane spa per gli anni 2015-2019, sollecitando ulteriormente Poste italiane spa affinché, nel confronto in atto con i diversi livelli istituzionali ponga particolare attenzione alla necessità di garantire il servizio nelle situazioni più critiche con particolare attenzione alle aree pedemontane caratterizzate dalla presenza di località o frazioni collinari e/o montane isolate ricomprese in comuni di pianura e alle comunità di cittadini in prevalenza anziani a ridotta mobilità;
   ad intervenire presso l'azienda Poste italiane spa perché, nell'ambito dell'attuazione del piano, sia posta una particolare attenzione allo sviluppo dei servizi innovativi e ad una loro più adeguata politica di informazione e di conoscenza dirette alle comunità interessate, con particolare riferimento alle potenzialità offerte dalle nuove tecnologie come l'utilizzo di palmari da parte dei portalettere per offrire servizi «in mobilità», su appuntamento, l'accettazione a domicilio delle raccomandate, il pagamento di tutte le tipologie di bollettini, la tracciatura della corrispondenza fino al momento della consegna, la notifica degli atti esattoriali ed altro;
   a chiedere a Poste italiane spa di precisare l'impatto occupazionale del piano di razionalizzazione della rete degli uffici postali nella sua attuazione a regime;
   a rilanciare lo spirito costruttivo di un nuovo modello di sviluppo nel settore della logistica di recapito, rappresentato anche dalle nuove possibilità che la diffusione dell’e-commerce offre, riprendendo una sistematicità di confronto tra tutti i soggetti in gioco come quello intrapreso con il memorandum del 2007 fra Ministero delle comunicazioni, Poste italiane spa e agenzie di recapito.
(1-00819)
(Testo modificato nel corso della seduta). «Tullo, Bonaccorsi, Bonomo, Brandolin, Bruno Bossio, Cardinale, Carloni, Castricone, Coppola, Crivellari, Culotta, Ferro, Cinzia Maria Fontana, Gandolfi, Pierdomenico Martino, Massa, Mauri, Minnucci, Mognato, Mura, Pagani, Malisani, Plangger, Iacono, Fabbri».


   La Camera,
   premesso che:
    Poste italiane spa rappresenta una realtà aziendale sana che produce utili e che si è caratterizzata in questi anni, oltre che per un importante dinamismo imprenditoriale, anche per avere offerto il servizio universale postale ai cittadini del nostro Paese;
    il processo di armonizzazione e di liberalizzazione del mercato postale, previsto dalle direttive europee, completato dalla direttiva 2008/6/CE, recepita con il decreto legislativo 31 marzo 2011, n. 58, ha determinato, in modo progressivo, una trasformazione profonda del settore che ha comportato una diminuzione dell'area dei servizi postali universali riservati ai fornitori del servizio universale;
    il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, ha determinato il passaggio delle funzioni di regolamentazione e la vigilanza di Poste italiane spa all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Poste italiane spa è tenuta a presentare annualmente il piano di razionalizzazione delle strutture alla stessa Autorità;
    in ottemperanza al citato decreto-legge, il piano industriale 2015 è stato presentato da Poste italiane spa il 29 settembre 2014 con una previsione di chiusura di 455 uffici postali e di rimodulazione di orari in 609 uffici. Tale piano prevede, inoltre: un fatturato in crescita verso i 30 miliardi di euro ed una profittabilità che, dopo anni di flessione, potrà tornare a crescere; investimenti in piattaforme e servizi digitali per circa 3 miliardi di euro, di cui 500 milioni di euro per la sicurezza e la riqualificazione degli uffici postali come luogo di servizio; assistenza e consulenza ai cittadini ed alle famiglie. Secondo quanto sostenuto dall'amministratore delegato di Poste italiane spa le chiusure e le razionalizzazioni degli uffici postali preserveranno la capillarità della rete. Dopo l'attuazione del piano, il 92,49 per cento della popolazione avrà, infatti, uno sportello entro 3 chilometri, a fronte di un vincolo previsto dalla normativa vigente del 75 per cento e il 97,79 per cento lo avrà entro 5 chilometri, contro il 95 per cento fissato dalla legge;
    il contratto di programma vigente prescrive che Poste italiane spa trasmetta all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con cadenza annuale, l'elenco degli uffici postali e delle strutture di recapito che non garantiscono condizioni di equilibrio economico e che l'Autorità, nell'esercizio dei propri poteri di vigilanza, abbia la possibilità di integrare lo stesso piano;
    gli interventi previsti dal piano di razionalizzazione devono essere definiti nel pieno rispetto degli obblighi del servizio universale e dei vincoli di distribuzione degli uffici postali sul territorio italiano, come previsti dal decreto ministeriale 7 ottobre 2008 e alla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 342/14/CONS. Tale delibera, nel modificare i criteri di distribuzione degli uffici postali, ha disposto limitazioni a Poste italiane spa a tutela degli utenti del servizio postale universale che abitano in zone svantaggiate del Paese. In particolare, la delibera citata ha disposto il divieto di chiusura di uffici ubicati in comuni qualificati nel contempo rurali e montani, salvo siano presenti più di due uffici ed il rapporto abitanti per ufficio postale sia inferiore a 800, e il divieto di chiusura di uffici postali che siano presidio unico di isole minori. Inoltre, possono essere razionalizzati fino a garantire un orario minimo di 12 ore per 2 giorni settimanali gli uffici postali unici di un comune con meno di 500 abitanti, se entro 3 chilometri ci sia un ufficio aperto almeno 15 ore e 3 giorni la settimana;
    è da sottolineare, inoltre, come il contratto di programma vigente preveda che Poste italiane spa si impegni a dare completa attuazione ai progetti ed agli interventi programmati nel piano d'impresa e nel contratto, con particolare riguardo al mantenimento dell'offerta qualitativa dei servizi ed al contenimento dei costi connessi all'erogazione del servizio postale universale;
    risulta essenziale, pertanto, che Poste italiane spa si confronti con gli enti locali al fine di valutare l'effetto del proprio piano industriale sui servizi offerti, garantendo la piena operatività del servizio universale, in particolare modo per i cittadini che risiedono nelle aree svantaggiate del Paese, prendendo in considerazione anche l'età anagrafica delle persone coinvolte. Tale confronto è indispensabile per evitare che le decisioni assunte in modo unilaterale provochino criticità nei riguardi degli abitanti dei comuni più disagiati del Paese che, in questo modo, si vedrebbero privati dell'erogazione di un servizio pubblico di qualità, così come previsto dall'accordo siglato tra Poste italiane spa e lo Stato;
    Poste italiane spa è pertanto chiamata ad affrontare il complesso compito di coniugare l'esigenza del servizio universale da fornire agli utenti con l'efficienza della gestione. Infatti, in ottemperanza a quanto previsto dalla normativa vigente, deve dotarsi di una rete di uffici postali che rispetti un criterio di distribuzione degli stessi e favorisca l'utenza del servizio postale;
    è opportuno, inoltre, che Poste italiane spa precisi l'impatto occupazionale del piano di razionalizzazione della rete degli uffici postali dopo la sua attuazione;
    inoltre, è importante che Poste italiane spa ponga una maggiore attenzione allo sviluppo dei servizi innovativi con particolare riguardo alle offerte derivanti dalle nuove tecnologie. In particolare, occorre favorire la realizzazione del progetto «postino telematico». Tale progetto secondo il piano depositato dall'amministratore delegato di Poste italiane spa presso la Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera dei deputati, raggiungerà nel 2016 un livello di copertura pari al 100 per cento del territorio,

impegna il Governo:

   ad attuare, per quanto di competenza, interventi diretti a far sì che Poste italiane spa garantisca il servizio pubblico universale che presuppone un'adeguata copertura del territorio nazionale;
   ad accertarsi che il processo di consultazione con gli enti locali avvenga, così come previsto, tramite un confronto con gli stessi per valutare attentamente la ricaduta che il piano potrà comportare sulle diverse aree del Paese salvaguardando, al contempo, tutte le aree dell'Italia che sono particolarmente svantaggiate, e a pubblicare, al termine del confronto, la lista completa degli uffici postali prossimi alla chiusura o interessati ad una riduzione dell'orario di apertura precisando le modalità sostitutive dei servizi;
   ad intervenire presso Poste italiane spa perché, nell'ambito dell'attuazione del piano, sia posta una maggiore attenzione e rapidità allo sviluppo di servizi innovativi e tecnologici in modo da consentire ai cittadini di poter effettuare direttamente dalla propria abitazione un serie di operazioni che attualmente sono disponibili solo presso gli sportelli postali;
   a chiedere a Poste italiane spa di precisare l'impatto occupazionale del piano di razionalizzazione degli uffici postali dopo la sua attuazione;
   a monitorare con maggiore attenzione i bandi pubblici per l'assegnazione dei servizi postali in capo alle pubbliche amministrazioni, troppo spesso oggetto di affidamento diretto, in contrasto con quanto previsto dalle normative europee;
   ad operare, in linea con le principali esperienze a livello internazionale, una riduzione del perimetro del servizio universale con riguardo ai prodotti inclusi, lasciando al suo interno solo la posta consumer ed escludendo la posta spedita dalle aziende, al fine di limitare l'impegno economico dello Stato per quel segmento postale che riguarda la posta massiva che può essere liberamente gestita dal mercato, considerato che i proventi aggiuntivi in termini di gettito IVA dall'eventuale riforma potrebbero essere destinati a incrementare il fondo di compensazione per l'espletamento del servizio;
   ad assumere iniziative per prevedere che alcuni servizi, non strettamente connessi all'espletamento del servizio universale, vengano offerti non in regime di esclusiva da Poste italiane spa.
(1-00820) «Garofalo, Dorina Bianchi, Piso».


   La Camera,
   premesso che:
    Poste italiane spa rappresenta una realtà aziendale sana che produce utili e che si è caratterizzata in questi anni, oltre che per un importante dinamismo imprenditoriale, anche per avere offerto il servizio universale postale ai cittadini del nostro Paese;
    il processo di armonizzazione e di liberalizzazione del mercato postale, previsto dalle direttive europee, completato dalla direttiva 2008/6/CE, recepita con il decreto legislativo 31 marzo 2011, n. 58, ha determinato, in modo progressivo, una trasformazione profonda del settore che ha comportato una diminuzione dell'area dei servizi postali universali riservati ai fornitori del servizio universale;
    il decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, ha determinato il passaggio delle funzioni di regolamentazione e la vigilanza di Poste italiane spa all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Poste italiane spa è tenuta a presentare annualmente il piano di razionalizzazione delle strutture alla stessa Autorità;
    in ottemperanza al citato decreto-legge, il piano industriale 2015 è stato presentato da Poste italiane spa il 29 settembre 2014 con una previsione di chiusura di 455 uffici postali e di rimodulazione di orari in 609 uffici. Tale piano prevede, inoltre: un fatturato in crescita verso i 30 miliardi di euro ed una profittabilità che, dopo anni di flessione, potrà tornare a crescere; investimenti in piattaforme e servizi digitali per circa 3 miliardi di euro, di cui 500 milioni di euro per la sicurezza e la riqualificazione degli uffici postali come luogo di servizio; assistenza e consulenza ai cittadini ed alle famiglie. Secondo quanto sostenuto dall'amministratore delegato di Poste italiane spa le chiusure e le razionalizzazioni degli uffici postali preserveranno la capillarità della rete. Dopo l'attuazione del piano, il 92,49 per cento della popolazione avrà, infatti, uno sportello entro 3 chilometri, a fronte di un vincolo previsto dalla normativa vigente del 75 per cento e il 97,79 per cento lo avrà entro 5 chilometri, contro il 95 per cento fissato dalla legge;
    il contratto di programma vigente prescrive che Poste italiane spa trasmetta all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con cadenza annuale, l'elenco degli uffici postali e delle strutture di recapito che non garantiscono condizioni di equilibrio economico e che l'Autorità, nell'esercizio dei propri poteri di vigilanza, abbia la possibilità di integrare lo stesso piano;
    gli interventi previsti dal piano di razionalizzazione devono essere definiti nel pieno rispetto degli obblighi del servizio universale e dei vincoli di distribuzione degli uffici postali sul territorio italiano, come previsti dal decreto ministeriale 7 ottobre 2008 e alla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 342/14/CONS. Tale delibera, nel modificare i criteri di distribuzione degli uffici postali, ha disposto limitazioni a Poste italiane spa a tutela degli utenti del servizio postale universale che abitano in zone svantaggiate del Paese. In particolare, la delibera citata ha disposto il divieto di chiusura di uffici ubicati in comuni qualificati nel contempo rurali e montani, salvo siano presenti più di due uffici ed il rapporto abitanti per ufficio postale sia inferiore a 800, e il divieto di chiusura di uffici postali che siano presidio unico di isole minori. Inoltre, possono essere razionalizzati fino a garantire un orario minimo di 12 ore per 2 giorni settimanali gli uffici postali unici di un comune con meno di 500 abitanti, se entro 3 chilometri ci sia un ufficio aperto almeno 15 ore e 3 giorni la settimana;
    è da sottolineare, inoltre, come il contratto di programma vigente preveda che Poste italiane spa si impegni a dare completa attuazione ai progetti ed agli interventi programmati nel piano d'impresa e nel contratto, con particolare riguardo al mantenimento dell'offerta qualitativa dei servizi ed al contenimento dei costi connessi all'erogazione del servizio postale universale;
    risulta essenziale, pertanto, che Poste italiane spa si confronti con gli enti locali al fine di valutare l'effetto del proprio piano industriale sui servizi offerti, garantendo la piena operatività del servizio universale, in particolare modo per i cittadini che risiedono nelle aree svantaggiate del Paese, prendendo in considerazione anche l'età anagrafica delle persone coinvolte. Tale confronto è indispensabile per evitare che le decisioni assunte in modo unilaterale provochino criticità nei riguardi degli abitanti dei comuni più disagiati del Paese che, in questo modo, si vedrebbero privati dell'erogazione di un servizio pubblico di qualità, così come previsto dall'accordo siglato tra Poste italiane spa e lo Stato;
    Poste italiane spa è pertanto chiamata ad affrontare il complesso compito di coniugare l'esigenza del servizio universale da fornire agli utenti con l'efficienza della gestione. Infatti, in ottemperanza a quanto previsto dalla normativa vigente, deve dotarsi di una rete di uffici postali che rispetti un criterio di distribuzione degli stessi e favorisca l'utenza del servizio postale;
    è opportuno, inoltre, che Poste italiane spa precisi l'impatto occupazionale del piano di razionalizzazione della rete degli uffici postali dopo la sua attuazione;
    inoltre, è importante che Poste italiane spa ponga una maggiore attenzione allo sviluppo dei servizi innovativi con particolare riguardo alle offerte derivanti dalle nuove tecnologie. In particolare, occorre favorire la realizzazione del progetto «postino telematico». Tale progetto secondo il piano depositato dall'amministratore delegato di Poste italiane spa presso la Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera dei deputati, raggiungerà nel 2016 un livello di copertura pari al 100 per cento del territorio,

impegna il Governo:

   ad attuare, per quanto di competenza, interventi per far sì che Poste italiane spa si occupi e garantisca pienamente il servizio pubblico universale che presuppone la prossimità e la copertura del territorio nazionale;
   a valutare che il processo di consultazione con gli enti locali avvenga, così come previsto, tramite un confronto con gli stessi per valutare attentamente la ricaduta che il piano potrà comportare sulle diverse aree del Paese salvaguardando, al contempo, tutte le aree dell'Italia che sono particolarmente svantaggiate, e a sollecitare Poste italiane affinché pubblichi al termine del confronto la lista completa degli uffici postali destinati alla chiusura o interessati ad una riduzione dell'orario di apertura al fine di assicurare il rispetto degli obblighi in capo al fornitore del servizio universale quali in particolare il mantenimento dell'operatività di un ufficio postale nel 96 per cento dei comuni italiani;
   a valutare tutti gli spazi nell'ambito dell'attuazione del piano di Poste italiane e del nuovo contratto di servizio per porre una maggiore attenzione allo sviluppo di servizi innovativi e tecnologici in modo da consentire ai cittadini di poter effettuare direttamente dalla propria abitazione un serie di operazioni che attualmente sono disponibili solo presso gli sportelli postali;
   a chiedere a Poste italiane spa di precisare l'impatto occupazionale del piano di razionalizzazione degli uffici postali dopo la sua attuazione;
   a sollecitare le pubbliche amministrazioni a valorizzare sempre la concorrenza anche con riferimento all'acquisto dei servizi offerti dalle imprese del settore postale;
   a valutare in linea con le principali esperienze a livello internazionale, una riduzione del perimetro del servizio universale al fine di limitare l'impegno economico dello Stato ed utilizzare gli eventuali risparmi per incrementare il fondo di compensazione per l'espletamento del servizio;
   ad assumere iniziative per prevedere che alcuni servizi, non strettamente connessi all'espletamento del servizio universale, vengano offerti non in regime di esclusiva da Poste italiane spa.
(1-00820)
(Testo modificato nel corso della seduta). «Garofalo, Dorina Bianchi, Piso».


   La Camera,
   premesso che:
    la regolazione del settore postale, soggetta ad un'opera di armonizzazione a livello europeo, è contenuta nel decreto legislativo n. 261 del 1999, recante «Attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio», come da ultimo modificato dal decreto legislativo n. 58 del 2011, recante «Attuazione della direttiva 2008/6/CE che modifica la direttiva 97/67/CE, per quanto riguarda il pieno completamento del mercato interno dei servizi postali della Comunità»;
    sulla base del decreto legislativo n. 58 del 2011 sopra richiamato Poste italiane spa, controllata a livello totalitario dal Ministero dell'economia e delle finanze, risulta affidataria per quindici anni e quindi fino al 2026 del servizio universale postale, che comprende, ai sensi del disposto dell'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 261 del 1999, e successive modificazioni: «a) la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione degli invii postali fino a 2 kg; b) la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione dei pacchi postali fino a 20 kg; c) i servizi relativi agli invii raccomandati ed agli invii assicurati»;
    i rapporti tra lo Stato e il fornitore del servizio universale sono disciplinati nel dettaglio dal contratto di programma. Il contratto di programma tra il Ministero dello sviluppo economico e Poste italiane spa per il triennio 2009-2011 è stato approvato con legge n. 183 del 2011 (comma 31 dell'articolo 33), fatti salvi gli adempimenti previsti dalla normativa comunitaria;
    la legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190 del 2014), al comma 274, ha previsto che: «a) il contratto di programma per il triennio 2009-2011, stipulato tra il Ministero dello sviluppo economico e la società Poste italiane spa, approvato dall'articolo 33, comma 31, della legge 12 novembre 2011, n. 183, resta efficace fino alla conclusione della procedura di approvazione del nuovo contratto di programma per il quinquennio 2015-2019 secondo le previsioni di cui al comma 275 del presente articolo»;
    il successivo comma citato prevede che «Il contratto di programma di cui al comma 274, lettera b), è sottoscritto tra il Ministero dello sviluppo economico e il fornitore del servizio postale universale entro il 31 marzo 2015 e contestualmente notificato alla Commissione europea per le valutazioni di competenza»;
    la stessa legge di stabilità, ai commi 277 e seguenti, prevede che il contratto di programma 2015-2019 per il servizio postale possa contenere misure di razionalizzazione del servizio e di rimodulazione della frequenza settimanale di raccolta e recapito sull'intero territorio nazionale, ferme restando le competenze dell'autorità di regolamentazione (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni), derogando per tal via agli obblighi di servizio universale postale di Poste italiane spa;
    sebbene la legge di stabilità di cui sopra fissava quale termine ultimo per la sottoscrizione del contratto di programma 2015-2019 il 31 marzo 2015, lo stesso non risulta ancora essere stato sottoscritto;
    come noto, infatti, l'affidamento del servizio universale postale comporta, in ossequio alle previsioni del legislatore comunitario, a carico della società affidataria l'obbligo di rispettare specifici livelli qualitativi e quantitativi del servizio offerto, che deve essere prestato in modo omogeneo all'interno del territorio nazionale e deve essere offerto a tariffe accessibili;
    la vigilanza sull'attività di Poste italiane spa nell'espletamento dei propri compiti di servizio universale è affidata al Ministero dello sviluppo economico e all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, secondo diversi ambiti di rispettiva competenza;
    la delibera n. 342/14/Cons dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni prevede criteri specifici di distribuzione degli uffici postali con divieto di chiusura di uffici situati in comuni rurali che rientrano anche nella categoria dei comuni montani e di uffici che sono presidio unico nelle isole minori. La delibera, inoltre, impone a Poste italiane spa di avvisare con congruo anticipo le istituzioni locali sulle misure di razionalizzazione, al fine di avviare un confronto sull'impatto degli interventi sulla popolazione interessata e sulla possibile individuazione di soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale;
    da un'elaborazione dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni sui dati di Poste italiane spa si evince che il 60 per cento dei 288 comuni privi di un ufficio postale appartiene alla categoria dei comuni rurali e totalmente montani;
    nel quadro descritto è noto che il Governo con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, approvato nel Consiglio dei ministri n. 16 del 2014, ha avviato un processo di privatizzazione del 40 per cento del capitale azionario di Poste italiane spa da collocarsi attraverso un'offerta pubblica di vendita rivolta al pubblico dei risparmiatori in Italia, inclusi i dipendenti del gruppo Poste italiane spa, e/o a investitori istituzionali italiani e internazionali;
    Poste italiane spa ha presentato il 16 dicembre 2014 il nuovo piano strategico 2015-2019, che, tra le altre cose, intende ridefinire gli obblighi di servizio universale postale posti a carico della società dalla normativa europea e nazionale, da un punto di vista economico, logistico e organizzativo. La società si impegna con il nuovo piano industriale a raggiungere determinati obiettivi di qualità, prevedendo, però, a partire dai prossimi mesi, in numerose regioni, la progressiva chiusura di ben 455 uffici postali a livello nazionale e la riduzione degli orari di apertura in circa 608 uffici, ritenuti «improduttivi» o «diseconomici»;
    la nuova politica aziendale che Poste italiane spa intende perseguire sta determinando diffuse preoccupazioni nei cittadini, in particolar modo nei piccoli centri urbani, spesso isolati, così come evidenziato anche dai sindacati dei pensionati, nonché da sindacati regionali di categoria come Spi (Sindacato pensionati italiani) della Cgil, Fnp (Federazione nazionale pensionati) della Cisl e Uilp (Unione italiana lavoratori pensionati) della Uil, che criticano l'iniziativa in ottica di livelli occupazionali, nonché in virtù delle gravi ripercussioni che si determineranno nella fascia di popolazione più debole, composta da disabili e anziani;
    dal piano presentato emerge che Poste italiane spa intende puntare su assicurazioni, e-commerce, carte di credito, telefonia mobile e servizi finanziari in genere, anziché garantire il servizio universale, a scapito delle esigenze della collettività, chiudendo uffici che ritiene «improduttivi» o «diseconomici», senza considerare che i servizi postali rappresentano un servizio fondamentale per lo svolgimento delle attività quotidiane di numerosissime imprese, cittadini ed in particolare delle famiglie;
    le zone maggiormente colpite dalle annunciate chiusure risultano essere quelle aree nelle quali insistono numerosi comuni e frazioni interessati dal ridimensionamento messo in atto da Poste italiane spa. In tali zone attualmente vengono offerti servizi destinati a frazioni contigue già prive di uffici postali. Appare, quindi, ulteriormente inopportuna l'attuazione del piano, soprattutto nelle regioni nei cui territori insistono uffici che sono stati già oggetto di altri piani di razionalizzazione locale;
    il 27 marzo 2015 la Commissione europea ha bocciato la parte del piano di Poste italiane spa che prevede la consegna della posta a giorni alterni, perché in violazione del diritto di accesso al servizio di posta universale che garantisce la consegna giornaliera della posta presso la sede della persona;
    nel piano illustrato dall'amministratore delegato di Poste italiane spa Francesco Caio in audizione presso la IX Commissione Trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera dei deputati, si fa riferimento a una progressiva digitalizzazione dei servizi offerti dal gruppo Poste italiane spa funzionale alla progressiva riduzione e razionalizzazione degli uffici postali presenti sul territorio;
    a distanza di un anno dall'avvio del processo di privatizzazione, non sono ancora chiare le modalità operative attraverso le quali si provvederà alla vendita di quote della società di cui in parola. Restano, dunque, fondate le preoccupazioni circa un possibile scorporo di Poste italiane spa con la creazione di una cosiddetta good company oggetto della privatizzazione e una cosiddetta bad company dedita al servizio universale postale a carico dello Stato,

impegna il Governo:

   a rivedere l'operazione di privatizzazione di Poste italiane spa e, quindi, a rivalutare l'opportunità di procedere alla cessione di quote della società;
   ad intervenire presso Poste italiane spa per chiedere una profonda revisione del piano industriale, nel pieno rispetto degli obblighi di servizio universale previsti dalla normativa europea e nazionale;
   a garantire la piena operatività del servizio universale, in particolare modo per i cittadini che risiedono in aree svantaggiate del Paese, incentivando forme di consultazione obbligatoria delle popolazioni coinvolte;
   ad intervenire presso Poste italiane spa affinché nel processo di riorganizzazione degli uffici postali si continui a garantire l'accessibilità ai servizi postali nelle regioni rurali e remote, anche attraverso la previsione di criteri ulteriori a quelli già previsti nella normativa vigente, quali i tempi di percorrenza per il raggiungimento dell'ufficio più vicino, l'età anagrafica media degli abitanti, l'offerta di trasporto di cui i cittadini possono avvalersi per raggiungere i medesimi uffici;
   ad intervenire presso Poste italiane spa affinché il rinnovato piano industriale punti con maggiore decisione sulla digitalizzazione dei processi, prevedendo, da un lato, che il gruppo Poste italiane spa si faccia carico di programmi di alfabetizzazione digitale dei propri utenti (in particolare in favore delle fasce più deboli della cittadinanza) e, dall'altro, che eventuali interventi di razionalizzazione dei punti fisici di accesso alla rete postale siano preceduti dalla piena operatività di servizi digitali e da valutazioni indipendenti circa l'impatto di tali nuovi servizi sulla popolazione interessata;
   a salvaguardare gli attuali livelli occupazionali, con particolare riferimento ai contratti di lavoro già in essere anche alla luce del progetto di crescita illustrato dall'amministratore delegato di Poste italiane spa.
(1-00821) «Nicola Bianchi, Dell'Orco, Liuzzi, Spessotto, Carinelli, De Lorenzis, Paolo Nicolò Romano, Grillo, Frusone, Businarolo, Parentela, Gagnarli, Battelli, Pesco, Tripiedi, Cominardi, Castelli, Sorial, Caso, Brugnerotto, Cariello, Colonnese, D'Incà, Gallinella».


   La Camera,
   premesso che:
    Poste italiane spa è una società che si occupa della gestione del servizio postale in Italia. Fondata nel 1862 come azienda autonoma che gestiva in monopolio i servizi postali e telegrafici per conto dello Stato, attualmente è una società per azioni il cui capitale è detenuto al 100 per cento dallo Stato italiano tramite il Ministero dell'economia e delle finanze;
    negli ultimi anni la società ha dato vita ad un processo di razionalizzazione degli uffici tramite la riduzione degli orari di apertura, l'accorpamento o la loro definitiva chiusura, provocando disfunzioni nell'offerta del servizio e arrecando danni ai cittadini, in particolar modo per coloro che vivono in territori disagiati;
    tale riduzione negli anni ha provocato una diminuzione del personale impiegato con contestuale blocco del turn-over, che, da un lato, ha comportato un notevole aumento della mole di lavoro individuale e, dall'altro, un abbassamento del livello di qualità del servizio offerto;
    il rapporto tra Stato e Poste italiane spa richiede che la società consegua obiettivi di qualità, tra i quali quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste, obiettivi che non possono non tenere conto delle esigenze manifestate dalle autorità locali come espressione delle necessità degli utenti del servizio stesso;
    in data 16 dicembre 2014, Poste italiane spa ha presentato il piano strategico 2015-2020 in cui è prevista la progressiva chiusura di 455 uffici postali a livello nazionale e la riduzione degli orari di apertura di altri 600, ritenuti improduttivi nonché anti-economici;
    dalla decisione si può evincere che nel business plan messo in atto da Poste italiane spa predomina una politica del profitto, che investe su assicurazioni, carte di credito ricaricabili, telefonia cellulare e servizi finanziari, a discapito delle reali necessità della popolazione che necessiterebbe della fornitura di servizi, anche in condizioni del mercato in perdita;
    i servizi postali, in primis per le famiglie e le imprese, sono di vitale importanza per l'esecuzione di tantissime attività quotidiane, quali il prelievo di contante per i titolari di conti correnti postali, il pagamento delle utenze, il deposito di valuta nei libretti postali al portatore, l'invio di comunicazioni urgenti, soprattutto quelle di carattere giudiziario. La paventata chiusura o la limitazione degli orari degli uffici pone in gravi difficoltà cittadini, turisti e aziende;
    in particolare, nei piccoli comuni, e specialmente in quelli montani, la soppressione di un ufficio postale, al pari di una farmacia, di un presidio medico o di uno sportello bancario, rappresenterebbe il venire meno di un servizio essenziale per una comunità, in particolar modo per quei cittadini anziani o con handicap fisici, per i quali un eventuale accorpamento degli uffici significherebbe raggiungere un comune distante a piedi o con mezzi pubblici: in entrambi i casi la persona per ritirare la corrispondenza, effettuare pagamenti, o utilizzare un qualsiasi servizio offerto da Poste italiane spa (sportello bancario, servizi finanziari, assicurativi ed altri) sarà costretta ad impiegare molto tempo in più;
    è evidente che ci sia da parte dell'azienda una reale quanto imprescindibile necessità di orientare la gestione dei servizi alla sostenibilità economica, ma ciò avviene a discapito del mantenimento di alcuni presidi, soprattutto in zone periferiche come quelle montane che anche a causa di questi processi di razionalizzazione saranno sempre più soggette all'abbandono, ancor più se si considera che, in base alla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, le zone rurali e montane sono meritevoli di specifica considerazione nell'ambito del servizio postale universale. Al fine di garantire un livello di servizio adeguato in tali aree, Poste italiane spa dovrebbe tener conto delle particolari esigenze da garantire ai comuni che si caratterizzano per la natura prevalentemente montana del territorio e per la scarsa densità abitativa;
    per quanto concerne, specificatamente, la necessità di garantire un'adeguata diffusione nel territorio nazionale, la direttiva n. 97/67/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, e successive modificazioni e integrazioni, recante «Regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e il miglioramento della qualità del servizio», sottolinea l'importanza delle reti postali rurali, in particolar modo nelle zone impervie, al fine di mantenere la coesione sociale e la salvaguardia dell'occupazione;
    l'eventuale privatizzazione totale dell'azienda o la soppressione del servizio a livello locale, proprio per la loro specificità e rilevanza, non possono essere trattati unilateralmente dall'azienda o dal Governo, poiché necessiterebbero di un'ampia condivisione anche a livello parlamentare;
    nella transizione economica e normativa verso un mercato aperto, la previsione e la regolamentazione del servizio universale postale garantisce a tutti i cittadini la possibilità di fruire di un servizio di pubblica utilità, indipendentemente da fattori come il reddito o la collocazione geografica. In Italia, il servizio universale postale è affidato a Poste italiane spa fino al 2026. Sull'affidamento il Ministero dello sviluppo economico effettua, ogni 5 anni, una verifica sulla base di un'analisi dell'Autorità;
    l'11 marzo 2015, con la sentenza n. 1262/15, la VI sezione del Consiglio di Stato ha ribaltato la precedente pronuncia di primo grado del tribunale amministrativo regionale, accogliendo l'appello di un piccolo comune della Campania e ribadendo la pubblica utilità degli uffici postali e la loro «influenza sociale», in special modo per quei piccoli centri situati in zone rurali e montane;
    la decisione del Consiglio di Stato si fonda su due argomentazioni, la prima delle quali è legata al criterio di distribuzione degli uffici nella distanza massima di accessibilità al servizio espressa in chilometri percorsi dall'utente, fissato dal decreto del Ministero dello sviluppo economico del 7 ottobre 2008, recante «Criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale pubblica»;
    la seconda considerazione, su cui si basa la sentenza del Consiglio di Stato e che trova fondamento anche in altre pronunce favorevoli ai comuni, riguarda le motivazioni su cui è basata la chiusura dell'ufficio postale, che nel caso specifico hanno avuto riguardo al solo profilo economico e gestionale;
    in sostanza, Poste italiane spa non può porre in essere politiche di spending review recando un danno ai piccoli comuni, determinando disservizi e disagi, soprattutto, alla popolazione anziana e a quella priva di strumenti tecnologici, perché le chiusure devono tenere conto della dislocazione degli uffici postali, con particolare riguardo alle aree rurali e montane, ma anche delle conseguenze che la relativa presenza produce sull'utilità sociale;
    il 18 marzo 2015 Poste italiane spa ha ufficialmente sospeso il piano di razionalizzazione degli uffici postali, rinviando i tagli previsti e concedendo così più tempo ai comuni per formulare le loro controproposte;
    il 27 marzo 2015, con le delibere n. 163/15/CONS e 164/15/CONS, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha stabilito due consultazioni pubbliche sulle nuove modalità di recapito degli invii postali a giorni alterni e sulle tariffe e sugli standard di qualità del servizio universale di corrispondenza;
    l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha previsto che la consegna a giorni alterni della corrispondenza non dovrebbe interessare i 5.296 comuni, come previsto dal «piano Caio», ma 4.721 comuni, intervenendo, di fatto, con un ridimensionamento di quanto previsto dal piano di ristrutturazione di Poste italiane spa,

impegna il Governo:

   a verificare che sia confermato il differimento comunicato da Poste italiane spa fino al termine del confronto in atto con regioni e enti locali;
   a scongiurare l'ipotesi che non a tutti i cittadini italiani sia data la possibilità di fruire di un servizio di pubblica utilità, quale quello postale, indipendentemente da fattori quali il reddito e la collocazione geografica;
   ad adoperarsi presso la società Poste italiane spa e l'Anci affinché continui il confronto costruttivo già in corso, finalizzato a discutere il piano di razionalizzazione degli uffici postali;
   a far sì che Poste italiane spa e le amministrazioni locali intraprendano un confronto costruttivo per evitare che le decisioni unilaterali assunte arrechino disagi agli abitanti dei comuni più disagiati del Paese, che si vedrebbero privati dell'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, così come previsto dall'accordo siglato fra Poste italiane spa e lo Stato;
   ad attuare, per quanto di competenza, interventi per far sì che Poste italiane spa si occupi e garantisca pienamente il servizio pubblico essenziale che presuppone la prossimità e la copertura del territorio nazionale, anche per meglio fornire, come accade già in logica di mercato, gli altri servizi.
(1-00823) «Palese».


   La Camera,
   premesso che:
    Poste italiane spa è una società che si occupa della gestione del servizio postale in Italia. Fondata nel 1862 come azienda autonoma che gestiva in monopolio i servizi postali e telegrafici per conto dello Stato, attualmente è una società per azioni il cui capitale è detenuto al 100 per cento dallo Stato italiano tramite il Ministero dell'economia e delle finanze;
    negli ultimi anni la società ha dato vita ad un processo di razionalizzazione degli uffici tramite la riduzione degli orari di apertura, l'accorpamento o la loro definitiva chiusura, provocando disfunzioni nell'offerta del servizio e arrecando danni ai cittadini, in particolar modo per coloro che vivono in territori disagiati;
    tale riduzione negli anni ha provocato una diminuzione del personale impiegato con contestuale blocco del turn-over, che, da un lato, ha comportato un notevole aumento della mole di lavoro individuale e, dall'altro, un abbassamento del livello di qualità del servizio offerto;
    il rapporto tra Stato e Poste italiane spa richiede che la società consegua obiettivi di qualità, tra i quali quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste, obiettivi che non possono non tenere conto delle esigenze manifestate dalle autorità locali come espressione delle necessità degli utenti del servizio stesso;
    in data 16 dicembre 2014, Poste italiane spa ha presentato il piano strategico 2015-2020 in cui è prevista la progressiva chiusura di 455 uffici postali a livello nazionale e la riduzione degli orari di apertura di altri 600, ritenuti improduttivi nonché anti-economici;
    dalla decisione si può evincere che nel business plan messo in atto da Poste italiane spa predomina una politica del profitto, che investe su assicurazioni, carte di credito ricaricabili, telefonia cellulare e servizi finanziari, a discapito delle reali necessità della popolazione che necessiterebbe della fornitura di servizi, anche in condizioni del mercato in perdita;
    i servizi postali, in primis per le famiglie e le imprese, sono di vitale importanza per l'esecuzione di tantissime attività quotidiane, quali il prelievo di contante per i titolari di conti correnti postali, il pagamento delle utenze, il deposito di valuta nei libretti postali al portatore, l'invio di comunicazioni urgenti, soprattutto quelle di carattere giudiziario. La paventata chiusura o la limitazione degli orari degli uffici pone in gravi difficoltà cittadini, turisti e aziende;
    in particolare, nei piccoli comuni, e specialmente in quelli montani, la soppressione di un ufficio postale, al pari di una farmacia, di un presidio medico o di uno sportello bancario, rappresenterebbe il venire meno di un servizio essenziale per una comunità, in particolar modo per quei cittadini anziani o con handicap fisici, per i quali un eventuale accorpamento degli uffici significherebbe raggiungere un comune distante a piedi o con mezzi pubblici: in entrambi i casi la persona per ritirare la corrispondenza, effettuare pagamenti, o utilizzare un qualsiasi servizio offerto da Poste italiane spa (sportello bancario, servizi finanziari, assicurativi ed altri) sarà costretta ad impiegare molto tempo in più;
    è evidente che ci sia da parte dell'azienda una reale quanto imprescindibile necessità di orientare la gestione dei servizi alla sostenibilità economica, ma ciò avviene a discapito del mantenimento di alcuni presidi, soprattutto in zone periferiche come quelle montane che anche a causa di questi processi di razionalizzazione saranno sempre più soggette all'abbandono, ancor più se si considera che, in base alla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, le zone rurali e montane sono meritevoli di specifica considerazione nell'ambito del servizio postale universale. Al fine di garantire un livello di servizio adeguato in tali aree, Poste italiane spa dovrebbe tener conto delle particolari esigenze da garantire ai comuni che si caratterizzano per la natura prevalentemente montana del territorio e per la scarsa densità abitativa;
    per quanto concerne, specificatamente, la necessità di garantire un'adeguata diffusione nel territorio nazionale, la direttiva n. 97/67/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, e successive modificazioni e integrazioni, recante «Regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e il miglioramento della qualità del servizio», sottolinea l'importanza delle reti postali rurali, in particolar modo nelle zone impervie, al fine di mantenere la coesione sociale e la salvaguardia dell'occupazione;
    l'eventuale privatizzazione totale dell'azienda o la soppressione del servizio a livello locale, proprio per la loro specificità e rilevanza, non possono essere trattati unilateralmente dall'azienda o dal Governo, poiché necessiterebbero di un'ampia condivisione anche a livello parlamentare;
    nella transizione economica e normativa verso un mercato aperto, la previsione e la regolamentazione del servizio universale postale garantisce a tutti i cittadini la possibilità di fruire di un servizio di pubblica utilità, indipendentemente da fattori come il reddito o la collocazione geografica. In Italia, il servizio universale postale è affidato a Poste italiane spa fino al 2026. Sull'affidamento il Ministero dello sviluppo economico effettua, ogni 5 anni, una verifica sulla base di un'analisi dell'Autorità;
    l'11 marzo 2015, con la sentenza n. 1262/15, la VI sezione del Consiglio di Stato ha ribaltato la precedente pronuncia di primo grado del tribunale amministrativo regionale, accogliendo l'appello di un piccolo comune della Campania e ribadendo la pubblica utilità degli uffici postali e la loro «influenza sociale», in special modo per quei piccoli centri situati in zone rurali e montane;
    la decisione del Consiglio di Stato si fonda su due argomentazioni, la prima delle quali è legata al criterio di distribuzione degli uffici nella distanza massima di accessibilità al servizio espressa in chilometri percorsi dall'utente, fissato dal decreto del Ministero dello sviluppo economico del 7 ottobre 2008, recante «Criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale pubblica»;
    la seconda considerazione, su cui si basa la sentenza del Consiglio di Stato e che trova fondamento anche in altre pronunce favorevoli ai comuni, riguarda le motivazioni su cui è basata la chiusura dell'ufficio postale, che nel caso specifico hanno avuto riguardo al solo profilo economico e gestionale;
    in sostanza, Poste italiane spa non può porre in essere politiche di spending review recando un danno ai piccoli comuni, determinando disservizi e disagi, soprattutto, alla popolazione anziana e a quella priva di strumenti tecnologici, perché le chiusure devono tenere conto della dislocazione degli uffici postali, con particolare riguardo alle aree rurali e montane, ma anche delle conseguenze che la relativa presenza produce sull'utilità sociale;
    il 18 marzo 2015 Poste italiane spa ha ufficialmente sospeso il piano di razionalizzazione degli uffici postali, rinviando i tagli previsti e concedendo così più tempo ai comuni per formulare le loro controproposte;
    il 27 marzo 2015, con le delibere n. 163/15/CONS e 164/15/CONS, l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha stabilito due consultazioni pubbliche sulle nuove modalità di recapito degli invii postali a giorni alterni e sulle tariffe e sugli standard di qualità del servizio universale di corrispondenza;
    l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha previsto che la consegna a giorni alterni della corrispondenza non dovrebbe interessare i 5.296 comuni, come previsto dal «piano Caio», ma 4.721 comuni, intervenendo, di fatto, con un ridimensionamento di quanto previsto dal piano di ristrutturazione di Poste italiane spa,

impegna il Governo:

   a verificare che sia confermato il differimento comunicato da Poste italiane spa fino al termine del confronto in atto con regioni e enti locali;
   a scongiurare l'ipotesi che non a tutti i cittadini italiani sia data la possibilità di fruire di un servizio di pubblica utilità, quale quello postale, indipendentemente da fattori quali il reddito e la collocazione geografica;
   ad adoperarsi presso la società Poste italiane spa e l'Anci affinché continui il confronto costruttivo già in corso, finalizzato a discutere il piano di razionalizzazione degli uffici postali;
   a far sì che Poste italiane spa e le amministrazioni locali proseguano un confronto costruttivo per evitare che le decisioni unilaterali assunte arrechino disagi agli abitanti dei comuni più disagiati del Paese, che si vedrebbero privati dell'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, così come previsto dall'accordo siglato fra Poste italiane spa e lo Stato;
   ad attuare, per quanto di competenza, interventi per far sì che Poste italiane spa si occupi e garantisca pienamente il servizio pubblico essenziale che presuppone la prossimità e la copertura del territorio nazionale, anche per meglio fornire, come accade già in logica di mercato, gli altri servizi.
(1-00823)
(Testo modificato nel corso della seduta). «Palese».


   La Camera,
   premesso che:
    Poste italiane spa ha presentato il 16 dicembre 2015 il nuovo piano strategico 2015-2019 in cui si prevede la ridefinizione del servizio universale postale in quanto considerato disallineato rispetto ai reali bisogni delle famiglie e non più sostenibile dal punto di vista economico: previsione più che preoccupante vista la missione di società a capitale interamente pubblico che gestisce i servizi postali in una condizione di sostanziale monopolio e che garantisce l'espletamento del servizio universale sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato;
    stando a quanto riferito da fonti sindacali e dagli organi di stampa, la società, che è obbligata nel contratto di servizio a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste, ha previsto, a partire dai prossimi mesi, la progressiva chiusura di ben 455 uffici postali a livello nazionale e la riduzione degli orari di apertura in circa 608 uffici, ritenuti «improduttivi» o «diseconomici»;
    tali interventi per motivi economici rischiano di compromettere la qualità del servizio universale, che – a tutela delle esigenze essenziali degli utenti – impone, invece, la fornitura del servizio anche in situazioni di fallimento di mercato, caratterizzate da bassi volumi di domanda ed alti costi di esercizio, tali da rendere l'erogazione delle prestazioni strutturalmente non redditiva ed antieconomica;
    la delibera n. 342/14/Cons dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nel modificare i criteri di distribuzione degli uffici postali, ha disposto specifici divieti nei confronti di Poste italiane spa a tutela degli utenti del servizio postale universale che abitano nelle zone svantaggiate del Paese: in particolare, sono state previste particolari garanzie per i comuni caratterizzati da una natura prevalentemente montana del territorio e dalla scarsa densità abitativa e per le isole minori in cui sia presente un unico presidio postale. La delibera, inoltre, impone a Poste italiane spa di avvisare con congruo anticipo le istituzioni locali sulle misure di razionalizzazione, al fine di avviare un confronto sull'impatto degli interventi sulla popolazione interessata e per individuare possibili soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale;
    pochi giorni fa Poste italiane spa, nella persona dell'amministratore delegato Francesco Caio, si è ufficialmente impegnata con il Sottosegretario per lo sviluppo economico Antonello Giacomelli e il presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Angelo Cardani a coinvolgere regioni ed enti locali nella fase precedente a quella di razionalizzazione per spiegare come verrà assicurata la tutela del servizio universale per i cittadini, eppure sembra che la chiusura degli uffici sia prevista a partire dal 13 aprile 2015 senza che le amministrazioni locali dei comuni interessati siano state debitamente coinvolte;
    la chiusura degli uffici e la limitazione degli orari di apertura conseguenti alla razionalizzazione determineranno particolari difficoltà per gli utenti appartenenti alle fasce di età più avanzate e per quelli delle zone più isolate o periferiche, sacrificando, quindi, in parte l'interesse alla coesione sociale e territoriale del Paese;
    l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con la delibera 728/13/Cons, ha manifestato evidenti perplessità sul mantenimento di alcuni servizi all'interno del perimetro del servizio universale, ritenendo che alcuni di essi, quali la posta assicurata degli invii singoli, la corrispondenza ordinaria degli invii multipli, gli invii di atti giudiziari, non dovrebbero essere offerti in regime di esclusiva;
    attualmente, nel nostro Paese, a differenza di quanto accade negli altri Paesi europei, questi prodotti rientrano nel perimetro del servizio universale, godendo dell'esenzione iva qualora forniti da Poste italiane spa e sono, invece, soggetti a iva se forniti da operatori diversi, con tutte le conseguenze in termini di limiti alla concorrenza e all'equa competizione tra gli operatori del mercato;
    come evidenziato dal documento ufficiale inviato dal Governo a Bruxelles il 20 febbraio 2015, è intenzione del Governo stesso completare entro la fine del 2015 la parziale privatizzazione di Poste italiane spa, tramite la vendita del 40 per cento delle relative azioni;
    la chiusura degli uffici e la limitazione degli orari di apertura conseguenti alla razionalizzazione determineranno particolari difficoltà per gli utenti appartenenti alle fasce di età più avanzate e per quelli delle zone più isolate o periferiche, sacrificando, quindi in parte, l'interesse alla coesione sociale e territoriale del Paese;
    pur non potendosi escludere la necessità di porre comunque in essere un piano di razionalizzazione degli uffici postali, ingenti risorse, utili a mitigarne gli effetti, potrebbero essere ricavate da una più incisiva lotta agli sprechi e, in particolare, ai fenomeni illeciti frequentemente denunciati, posti in essere da dipendenti o da terzi, che colpiscono il servizio postale e il patrimonio della società;
    una vera riforma strutturale non può prescindere da una reale liberalizzazione del mercato, da effettuarsi previamente o contestualmente alla privatizzazione,

impegna il Governo:

   a sollecitare, in qualità di socio unico, l'amministratore delegato a rafforzare i controlli interni sulla gestione dei costi e in particolare:
    a) ad avviare una verifica degli appalti esistenti nell'azienda, anche alla luce delle determinazioni assunte dall'Autorità nazionale anticorruzione, in modo da individuare diseconomie, correggerle e così recuperare risorse da destinare agli impegni nel servizio postale;
    b) ad effettuare un controllo dei trasferimenti interni di personale intercorsi negli ultimi anni per verificare che la priorità nelle richieste di trasferimento sia stata effettivamente accordata agli aventi diritto allo stesso ai sensi della legge n. 104 del 1992;
    c) a porre in essere più efficaci strumenti di gestione dei turni di ferie per minimizzare la necessità per il gruppo di ricorrere a forme di lavoro interinale;
    d) a garantire, in contemporanea con la diffusione dei servizi di postino telematico, la sicurezza dei lavoratori destinati a tali funzioni, a fronte delle criticità insite nella possibilità per gli utenti di corrispondere agli stessi denaro contante;
   a presentare al più presto alle Camere lo schema del prossimo contratto di servizio universale per le comunicazioni postali, al fine di avviare un confronto sui contenuti dello stesso e, in particolare, di assicurare una reale copertura delle aree disagiate;
   a promuovere la creazione di un mercato postale liberalizzato;
   a studiare la possibilità di affidare il servizio universale postale tramite bandi di gara divisi in lotti;
   ad instaurare un tavolo di lavoro, con la partecipazione di Poste italiane spa, dei principali concorrenti attivi nei diversi settori del mercato postale, delle società che forniscono servizi informatici e prodotti digitali per detto mercato, al fine di individuare nuove metodologie di lavoro e di collaborazione, finalizzate, attraverso il miglior utilizzo delle innovazioni tecnologiche, a garantire la più ampia soddisfazione delle esigenze degli utenti dei servizi di recapito;
   a porre in essere effettive ed efficaci interconnessioni tra i sistemi telematici di sicurezza interna di Poste italiane spa e le banche dati pubbliche, al fine di garantire la tutela del risparmiatore.
(1-00828) «Catalano, Mazziotti Di Celso, Oliaro, Sottanelli».


   La Camera,
   premesso che:
    Poste italiane spa ha presentato il 16 dicembre 2015 il nuovo piano strategico 2015-2019 in cui si prevede la ridefinizione del servizio universale postale in quanto considerato disallineato rispetto ai reali bisogni delle famiglie e non più sostenibile dal punto di vista economico: previsione più che preoccupante vista la missione di società a capitale interamente pubblico che gestisce i servizi postali in una condizione di sostanziale monopolio e che garantisce l'espletamento del servizio universale sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato;
    stando a quanto riferito da fonti sindacali e dagli organi di stampa, la società, che è obbligata nel contratto di servizio a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste, ha previsto, a partire dai prossimi mesi, la progressiva chiusura di ben 455 uffici postali a livello nazionale e la riduzione degli orari di apertura in circa 608 uffici, ritenuti «improduttivi» o «diseconomici»;
    tali interventi per motivi economici rischiano di compromettere la qualità del servizio universale, che – a tutela delle esigenze essenziali degli utenti – impone, invece, la fornitura del servizio anche in situazioni di fallimento di mercato, caratterizzate da bassi volumi di domanda ed alti costi di esercizio, tali da rendere l'erogazione delle prestazioni strutturalmente non redditiva ed antieconomica;
    la delibera n. 342/14/Cons dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nel modificare i criteri di distribuzione degli uffici postali, ha disposto specifici divieti nei confronti di Poste italiane spa a tutela degli utenti del servizio postale universale che abitano nelle zone svantaggiate del Paese: in particolare, sono state previste particolari garanzie per i comuni caratterizzati da una natura prevalentemente montana del territorio e dalla scarsa densità abitativa e per le isole minori in cui sia presente un unico presidio postale. La delibera, inoltre, impone a Poste italiane spa di avvisare con congruo anticipo le istituzioni locali sulle misure di razionalizzazione, al fine di avviare un confronto sull'impatto degli interventi sulla popolazione interessata e per individuare possibili soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale;
    pochi giorni fa Poste italiane spa, nella persona dell'amministratore delegato Francesco Caio, si è ufficialmente impegnata con il Sottosegretario per lo sviluppo economico Antonello Giacomelli e il presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni Angelo Cardani a coinvolgere regioni ed enti locali nella fase precedente a quella di razionalizzazione per spiegare come verrà assicurata la tutela del servizio universale per i cittadini, eppure sembra che la chiusura degli uffici sia prevista a partire dal 13 aprile 2015 senza che le amministrazioni locali dei comuni interessati siano state debitamente coinvolte;
    la chiusura degli uffici e la limitazione degli orari di apertura conseguenti alla razionalizzazione determineranno particolari difficoltà per gli utenti appartenenti alle fasce di età più avanzate e per quelli delle zone più isolate o periferiche, sacrificando, quindi, in parte l'interesse alla coesione sociale e territoriale del Paese;
    l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con la delibera 728/13/Cons, ha manifestato evidenti perplessità sul mantenimento di alcuni servizi all'interno del perimetro del servizio universale, ritenendo che alcuni di essi, quali la posta assicurata degli invii singoli, la corrispondenza ordinaria degli invii multipli, gli invii di atti giudiziari, non dovrebbero essere offerti in regime di esclusiva;
    attualmente, nel nostro Paese, a differenza di quanto accade negli altri Paesi europei, questi prodotti rientrano nel perimetro del servizio universale, godendo dell'esenzione iva qualora forniti da Poste italiane spa e sono, invece, soggetti a iva se forniti da operatori diversi, con tutte le conseguenze in termini di limiti alla concorrenza e all'equa competizione tra gli operatori del mercato;
    come evidenziato dal documento ufficiale inviato dal Governo a Bruxelles il 20 febbraio 2015, è intenzione del Governo stesso completare entro la fine del 2015 la parziale privatizzazione di Poste italiane spa, tramite la vendita del 40 per cento delle relative azioni;
    la chiusura degli uffici e la limitazione degli orari di apertura conseguenti alla razionalizzazione determineranno particolari difficoltà per gli utenti appartenenti alle fasce di età più avanzate e per quelli delle zone più isolate o periferiche, sacrificando, quindi in parte, l'interesse alla coesione sociale e territoriale del Paese;
    pur non potendosi escludere la necessità di porre comunque in essere un piano di razionalizzazione degli uffici postali, ingenti risorse, utili a mitigarne gli effetti, potrebbero essere ricavate da una più incisiva lotta agli sprechi e, in particolare, ai fenomeni illeciti frequentemente denunciati, posti in essere da dipendenti o da terzi, che colpiscono il servizio postale e il patrimonio della società;
    una vera riforma strutturale non può prescindere da una reale liberalizzazione del mercato, da effettuarsi previamente o contestualmente alla privatizzazione,

impegna il Governo:

   a sollecitare, in qualità di socio unico, l'amministratore delegato a valutare l'opportunità di rafforzare i controlli interni sulla gestione dei costi, con particolare riguardo alla gestione degli appalti e del personale;
   a presentare al più presto alle Camere lo schema del prossimo contratto di servizio universale per le comunicazioni postali, al fine di avviare un confronto sui contenuti dello stesso e, in particolare, di assicurare una reale copertura delle aree disagiate;
   a promuovere la creazione di un mercato postale liberalizzato;
   a studiare la possibilità di affidare il servizio universale postale tramite bandi di gara divisi in lotti;
   a valutare la possibilità di instaurare un tavolo di lavoro, con la partecipazione di Poste italiane spa, dei principali concorrenti attivi nei diversi settori del mercato postale, delle società che forniscono servizi informatici e prodotti digitali per detto mercato, al fine di individuare nuove metodologie di lavoro e di collaborazione, finalizzate, attraverso il miglior utilizzo delle innovazioni tecnologiche, a garantire la più ampia soddisfazione delle esigenze degli utenti dei servizi di recapito.
(1-00828)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Catalano, Mazziotti Di Celso, Oliaro, Sottanelli».


   La Camera,
   premesso che:
    Poste italiane spa è una società con partecipazione pubblica totalitaria, il cui oggetto sociale è costituito – anche se non in via esclusiva gestendo anche l'attività di Bancoposta – dal servizio postale universale, che, in quanto destinato a soddisfare interessi pubblici di preminente interesse generale, rientra a pieno titolo nella categoria dei servizi pubblici;
    è evidente, dunque, che la società, prestando un servizio pubblico essenziale, deve garantire ai cittadini-utenti la fruizione dello stesso secondo standard di qualità e di efficienza;
    nel mese di dicembre 2014 Poste italiane spa ha approvato un piano industriale e strategico per il periodo 2015-2020 che stanzia 3 miliardi di euro di investimenti in 5 anni, per arrivare ad un fatturato di 30 miliardi di euro alla fine del quinquennio. L'amministratore delegato di Poste italiane spa, Francesco Caio, ha dichiarato che si tratta di «un piano di sviluppo» che tra gli obiettivi si propone di procedere ad una riconsiderazione di quello che deve essere il servizio universale postale, poiché attualmente non risulta essere in linea con le esigenze degli utenti e non più sostenibile economicamente;
    già da tempo la società ha annunciato che in attuazione del nuovo piano strategico è previsto un progetto di razionalizzazione per il quale si vuole procedere alla chiusura di 455 uffici postali a livello nazionale e alla riduzione degli orari di apertura di altri 600, ritenuti improduttivi nonché diseconomici;
    sul piano di razionalizzazione degli uffici e, dunque, sulla chiusura di un considerevole numero di sedi sono intervenute ben presto le accese proteste sia dei cittadini che degli amministratori locali. Sono numerosi anche gli atti di sindacato ispettivo presentati al Governo, per scongiurare l'attuazione del piano. Vi è, infatti, il timore che le decisioni assunte unilateralmente da Poste italiane spa su tutto il territorio nazionale possano determinare un grave calo della qualità e della fruibilità del servizio per i cittadini che risiedono in zone svantaggiate, come quelle di montagna;
    in Friuli Venezia Giulia, ad esempio, rispetto alle annunciate chiusure degli uffici postali ad essere danneggiati sono i piccoli uffici, indispensabili, soprattutto, alle persone anziane sprovviste di mezzi per spostarsi. È la provincia di Udine ad essere più penalizzata con il 70 per cento delle chiusure regionali. Tale regione già qualche anno fa è stata interessata da una prima tornata di chiusure che ha decimato soprattutto le zone di montagna. Sul punto, se è vero che non tutti gli uffici raggiungono la produttività ricercata dal management centrale, non può non tenersi conto che per un adeguato servizio dovrebbe essere presente almeno una sede per ciascun comune. Gli amministratori locali hanno, quindi, cercato un confronto con la società per evidenziare il disagio che si determinerebbe per la chiusura degli uffici e individuare delle soluzioni alternative;
    sulle annunciate chiusure in Friuli Venezia Giulia è stata presentata un'interrogazione (la n. 5-04731) al Ministero dello sviluppo, per evitare che Poste italiane spa proceda unilateralmente alla chiusura di uffici in zone svantaggiate con conseguente danno ai cittadini, che vengono ingiustamente privati di un adeguato servizio pubblico. Inoltre, si è richiesta l'adozione di provvedimenti affinché la società non disponga l'attuazione del piano, in assenza di una preventiva e necessaria concertazione con gli enti locali interessati. Non soddisfacente è stata la risposta del Ministero dello sviluppo economico che ha dichiarato genericamente, in sostanza, che le disposte chiusure sono conformi ai criteri previsti dalle disposizioni in materia. Il Ministero ha giusto tentato di dare delle rassicurazioni, affermando che, su propria richiesta a Poste italiane spa, il piano di razionalizzazione degli uffici verrà attuato solo con il completamento di un dialogo avviato con le istituzioni locali e che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni continuerà a vigilare sulla corrispondenza degli interventi ai criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale;
    ebbene, si ritiene necessario un cambio di politica da parte della dirigenza di Poste italiane spa, che troppo spesso assume unilateralmente decisioni senza un'idonea e concreta concertazione con le istituzioni centrali e locali. Non può essere consentito alla società di attuare le misure in questione, alla luce di una logica ragionieristica, che non considera né la fondamentale funzione sociale di un servizio pubblico, né le esigenze e peculiarità dei singoli territori coinvolti dagli interventi del piano di razionalizzazione;
    dunque, ricordando che la società ha un capitale che è detenuto al 100 per cento dallo Stato italiano, è chiaro che non può procedere all'attuazione di interventi di rilievo in esclusiva autonomia, soprattutto quando questi hanno serie ripercussioni non solo rispetto agli utenti, ma altresì verso i lavoratori della società stessa. Infatti, il nuovo piano strategico fa temere conseguenze negative anche da un punto di vista occupazionale, per il personale attualmente addetto presso le agenzie di recapito, sebbene l'amministratore delegato abbia dichiarato che, trattandosi di un piano di sviluppo, non sono previsti licenziamenti ma proseguirà il programma di uscite agevolate iniziato nel 2010,

impegna il Governo:

   ad adottare le iniziative di competenza affinché non sia attuato il nuovo piano di razionalizzazione di Poste italiane spa sino a quando non si proceda, concretamente, alla necessaria concertazione con le amministrazioni locali interessate, per esaminare le conseguenze delle misure previste dal piano e valutare soluzioni alternative, qualora vi sia il rischio di non poter garantire standard di qualità e di efficienza del servizio a tutti i cittadini, con particolare attenzione per i territori svantaggiati, come quelli di montagna;
   a promuovere iniziative affinché nell'attuazione del nuovo piano venga garantita la salvaguardia dei posti di lavoro della società.
(1-00829) «Rizzetto, Barbanti, Rostellato, Mucci, Baldassarre, Artini, Prodani, Segoni, Turco, Bechis».


   La Camera,
   premesso che:
    Poste italiane spa è una società con partecipazione pubblica totalitaria, il cui oggetto sociale è costituito – anche se non in via esclusiva gestendo anche l'attività di Bancoposta – dal servizio postale universale, che, in quanto destinato a soddisfare interessi pubblici di preminente interesse generale, rientra a pieno titolo nella categoria dei servizi pubblici;
    è evidente, dunque, che la società, prestando un servizio pubblico essenziale, deve garantire ai cittadini-utenti la fruizione dello stesso secondo standard di qualità e di efficienza;
    nel mese di dicembre 2014 Poste italiane spa ha approvato un piano industriale e strategico per il periodo 2015-2020 che stanzia 3 miliardi di euro di investimenti in 5 anni, per arrivare ad un fatturato di 30 miliardi di euro alla fine del quinquennio. L'amministratore delegato di Poste italiane spa, Francesco Caio, ha dichiarato che si tratta di «un piano di sviluppo» che tra gli obiettivi si propone di procedere ad una riconsiderazione di quello che deve essere il servizio universale postale, poiché attualmente non risulta essere in linea con le esigenze degli utenti e non più sostenibile economicamente;
    già da tempo la società ha annunciato che in attuazione del nuovo piano strategico è previsto un progetto di razionalizzazione per il quale si vuole procedere alla chiusura di 455 uffici postali a livello nazionale e alla riduzione degli orari di apertura di altri 600, ritenuti improduttivi nonché diseconomici;
    sul piano di razionalizzazione degli uffici e, dunque, sulla chiusura di un considerevole numero di sedi sono intervenute ben presto le accese proteste sia dei cittadini che degli amministratori locali. Sono numerosi anche gli atti di sindacato ispettivo presentati al Governo, per scongiurare l'attuazione del piano. Vi è, infatti, il timore che le decisioni assunte unilateralmente da Poste italiane spa su tutto il territorio nazionale possano determinare un grave calo della qualità e della fruibilità del servizio per i cittadini che risiedono in zone svantaggiate, come quelle di montagna;
    in Friuli Venezia Giulia, ad esempio, rispetto alle annunciate chiusure degli uffici postali ad essere danneggiati sono i piccoli uffici, indispensabili, soprattutto, alle persone anziane sprovviste di mezzi per spostarsi. È la provincia di Udine ad essere più penalizzata con il 70 per cento delle chiusure regionali. Tale regione già qualche anno fa è stata interessata da una prima tornata di chiusure che ha decimato soprattutto le zone di montagna. Sul punto, se è vero che non tutti gli uffici raggiungono la produttività ricercata dal management centrale, non può non tenersi conto che per un adeguato servizio dovrebbe essere presente almeno una sede per ciascun comune. Gli amministratori locali hanno, quindi, cercato un confronto con la società per evidenziare il disagio che si determinerebbe per la chiusura degli uffici e individuare delle soluzioni alternative;
    sulle annunciate chiusure in Friuli Venezia Giulia è stata presentata un'interrogazione (la n. 5-04731) al Ministero dello sviluppo, per evitare che Poste italiane spa proceda unilateralmente alla chiusura di uffici in zone svantaggiate con conseguente danno ai cittadini, che vengono ingiustamente privati di un adeguato servizio pubblico. Inoltre, si è richiesta l'adozione di provvedimenti affinché la società non disponga l'attuazione del piano, in assenza di una preventiva e necessaria concertazione con gli enti locali interessati. Non soddisfacente è stata la risposta del Ministero dello sviluppo economico che ha dichiarato genericamente, in sostanza, che le disposte chiusure sono conformi ai criteri previsti dalle disposizioni in materia. Il Ministero ha giusto tentato di dare delle rassicurazioni, affermando che, su propria richiesta a Poste italiane spa, il piano di razionalizzazione degli uffici verrà attuato solo con il completamento di un dialogo avviato con le istituzioni locali e che l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni continuerà a vigilare sulla corrispondenza degli interventi ai criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale;
    ebbene, si ritiene necessario un cambio di politica da parte della dirigenza di Poste italiane spa, che troppo spesso assume unilateralmente decisioni senza un'idonea e concreta concertazione con le istituzioni centrali e locali. Non può essere consentito alla società di attuare le misure in questione, alla luce di una logica ragionieristica, che non considera né la fondamentale funzione sociale di un servizio pubblico, né le esigenze e peculiarità dei singoli territori coinvolti dagli interventi del piano di razionalizzazione;
    dunque, ricordando che la società ha un capitale che è detenuto al 100 per cento dallo Stato italiano, è chiaro che non può procedere all'attuazione di interventi di rilievo in esclusiva autonomia, soprattutto quando questi hanno serie ripercussioni non solo rispetto agli utenti, ma altresì verso i lavoratori della società stessa. Infatti, il nuovo piano strategico fa temere conseguenze negative anche da un punto di vista occupazionale, per il personale attualmente addetto presso le agenzie di recapito, sebbene l'amministratore delegato abbia dichiarato che, trattandosi di un piano di sviluppo, non sono previsti licenziamenti ma proseguirà il programma di uscite agevolate iniziato nel 2010,

impegna il Governo:

   a verificare che sia confermato il differimento comunicato il 7 aprile 2015 da Poste italiane Spa, in attesa di una concertazione tra la società e le amministrazioni locali coinvolte, finalizzata a valutare l'impatto degli interventi sulla popolazione interessata e la possibile individuazione di soluzioni alternative, qualora vi sia il rischio di non poter garantire standard di qualità e di efficienza del servizio a tutti i cittadini, con particolare attenzione per i territori svantaggiati, come quelli di montagna;
   a promuovere iniziative affinché nell'attuazione del nuovo piano venga garantita la salvaguardia dei posti di lavoro della società.
(1-00829)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Rizzetto, Barbanti, Rostellato, Mucci, Baldassarre, Artini, Prodani, Segoni, Turco, Bechis».


   La Camera,
   premesso che:
    Poste italiane spa è una società a capitale pubblico, individuata quale affidataria del servizio postale universale ai sensi del decreto legislativo n. 261 del 1999, attraverso contratti di programma stipulati con il Ministero dello sviluppo economico;
    la legge di stabilità per il 2015 ha previsto la proroga dell'efficacia del contratto di programma 2009-2011 fino alla sottoscrizione del nuovo contratto di programma, che dovrà avere durata quinquennale e coprire il periodo 2015-2019;
    all'atto dell'affidamento del servizio postale universale la società deve garantire il proprio impegno a realizzare determinati standard di qualità, tra i quali il numero e la distribuzione degli uffici sul territorio, l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste e i tempi per la distribuzione;
    la società Poste italiane spa è riconosciuta ex lege quale fornitore del servizio universale fino al 2026;
    nel mese di febbraio 2015 la dirigenza di Poste italiane spa, in sede di Conferenza delle regioni, ha reso note le linee guida del nuovo piano industriale della società, che prevede la razionalizzazione degli uffici postali sul territorio nazionale;
    il piano fa riferimento alla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni del 29 giugno 2014, n. 342/14/Cons, che interviene sui punti di accesso alla rete postale, modificando i criteri di distribuzione degli uffici di Poste italiane spa secondo le previsioni del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 7 ottobre 2008 e integrandoli con specifiche previsioni a tutela degli utenti che abitano nelle zone remote del Paese;
    la vigente normativa in materia di gestione del servizio postale universale, di cui al decreto legislativo n. 261 del 1999, stabilisce che le prestazioni rientranti nel servizio universale debbono essere fornite «permanentemente in tutti i punti del territorio nazionale, incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane», e che debba essere assicurata «l'attivazione di un congruo numero di punti di accesso», sulla base di criteri di ragionevolezza, al fine di tener conto delle esigenze dell'utenza;
    infatti, fa espresso riferimento alle aree geografiche remote del territorio nazionale, individuandole come «situazioni particolari» meritevoli di specifica considerazione nell'ambito dello stesso servizio;
    in particolare, al fine di garantire un livello di servizio adeguato nelle isole minori e nelle zone rurali e montane, la delibera introduce specifici divieti di chiusura di uffici postali, che si caratterizzano per la natura prevalentemente montana del territorio e per la scarsa densità abitativa in base a dati demografici e classificazioni Istat, e per le isole minori in cui sia presente un unico presidio postale;
    tali previsioni, dettate dalla necessità di garantire la fruizione del servizio universale anche in situazioni caratterizzate da bassi volumi di domanda ed alti costi di esercizio, sono in parte controbilanciate, al fine di consentire il perseguimento degli obiettivi di contenimento degli oneri del servizio universale previsti dal contratto di programma, da una riduzione dell'orario di apertura minimo, da tre giorni e 18 ore settimanali a due giorni e 12 ore settimanali, che potrà, tuttavia, riguardare solo un numero limitato di uffici: uffici postali che siano presidio unico di comuni con popolazione residente inferiore a 500 abitanti, a condizione che in prossimità (entro 3 chilometri di distanza) vi sia un ufficio che, nei restanti giorni lavorativi della settimana, assicuri alla popolazione locale la fruizione dei servizi postali;
    la delibera, infine, impone a Poste italiane spa di avvisare con congruo anticipo le istituzioni locali sulle misure di razionalizzazione, al fine di avviare un confronto sull'impatto degli interventi sulla popolazione interessata e sulla possibile individuazione di soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale;
    in base all'annunciato nuovo piano industriale nel 2015 dovrebbero chiudere circa quattrocento uffici postali sul territorio nazionale ed è altresì prevista la riduzione degli orari di molti uffici;
    i tagli proposti stanno suscitando la preoccupazione e il disappunto di numerose regioni ed enti locali, che stanno rivendicando un ruolo attivo nel processo di razionalizzazione;
    in conseguenza alle critiche al piano esposte dalle suddette categorie, Poste italiane spa lo ha sospeso, ma nella nota che la società ha diffuso si parla espressamente solo di rinvio per il tempo necessario a un confronto con le regioni e i comuni interessati per «conciliare le esigenze aziendali con le istanze e le possibili eccezioni rappresentate dai territori», senza intaccarne, sembrerebbe, la sostanza;
    l'annunciato piano di riorganizzazione penalizzerà gravemente l'utenza e nell'ambito di questa in modo particolare i soggetti che hanno difficoltà a spostarsi in altre località per accedere ai servizi;
    gli uffici postali rappresentano un presidio dello Stato sul territorio, oltre che un servizio a imprese e cittadini,

impegna il Governo:

   a valutare l'adozione delle misure adeguate affinché Poste italiane spa continui a svolgere il servizio universale in ottemperanza ai criteri previsti, permettendo il pieno accesso ai servizi a tutta l'utenza;
   ad attivarsi affinché, ai fini della distribuzione degli uffici postali sul territorio nazionale, siano considerati ulteriori criteri, quali la distanza chilometrica da percorrere per raggiungere gli stessi e i mezzi di trasporto disponibili a tal fine, l'età media della popolazione dei comuni nei quali si ipotizzano le chiusure e i comuni che siano oggetto di particolari flussi turistici in alcuni periodi dell'anno;
   nella realizzazione del processo di riorganizzazione della rete postale, a favorire il confronto con gli enti locali, in ottemperanza a quanto previsto dalla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 342/14/Cons, e ad operare ai fini della salvaguardia dei livelli occupazionali.
(1-00848) «Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    Poste italiane spa è una società a capitale pubblico, individuata quale affidataria del servizio postale universale ai sensi del decreto legislativo n. 261 del 1999, attraverso contratti di programma stipulati con il Ministero dello sviluppo economico;
    la legge di stabilità per il 2015 ha previsto la proroga dell'efficacia del contratto di programma 2009-2011 fino alla sottoscrizione del nuovo contratto di programma, che dovrà avere durata quinquennale e coprire il periodo 2015-2019;
    all'atto dell'affidamento del servizio postale universale la società deve garantire il proprio impegno a realizzare determinati standard di qualità, tra i quali il numero e la distribuzione degli uffici sul territorio, l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste e i tempi per la distribuzione;
    la società Poste italiane spa è riconosciuta ex lege quale fornitore del servizio universale fino al 2026;
    nel mese di febbraio 2015 la dirigenza di Poste italiane spa, in sede di Conferenza delle regioni, ha reso note le linee guida del nuovo piano industriale della società, che prevede la razionalizzazione degli uffici postali sul territorio nazionale;
    il piano fa riferimento alla delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni del 29 giugno 2014, n. 342/14/Cons, che interviene sui punti di accesso alla rete postale, modificando i criteri di distribuzione degli uffici di Poste italiane spa secondo le previsioni del decreto del Ministero dello sviluppo economico del 7 ottobre 2008 e integrandoli con specifiche previsioni a tutela degli utenti che abitano nelle zone remote del Paese;
    la vigente normativa in materia di gestione del servizio postale universale, di cui al decreto legislativo n. 261 del 1999, stabilisce che le prestazioni rientranti nel servizio universale debbono essere fornite «permanentemente in tutti i punti del territorio nazionale, incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane», e che debba essere assicurata «l'attivazione di un congruo numero di punti di accesso», sulla base di criteri di ragionevolezza, al fine di tener conto delle esigenze dell'utenza;
    infatti, fa espresso riferimento alle aree geografiche remote del territorio nazionale, individuandole come «situazioni particolari» meritevoli di specifica considerazione nell'ambito dello stesso servizio;
    in particolare, al fine di garantire un livello di servizio adeguato nelle isole minori e nelle zone rurali e montane, la delibera introduce specifici divieti di chiusura di uffici postali, che si caratterizzano per la natura prevalentemente montana del territorio e per la scarsa densità abitativa in base a dati demografici e classificazioni Istat, e per le isole minori in cui sia presente un unico presidio postale;
    tali previsioni, dettate dalla necessità di garantire la fruizione del servizio universale anche in situazioni caratterizzate da bassi volumi di domanda ed alti costi di esercizio, sono in parte controbilanciate, al fine di consentire il perseguimento degli obiettivi di contenimento degli oneri del servizio universale previsti dal contratto di programma, da una riduzione dell'orario di apertura minimo, da tre giorni e 18 ore settimanali a due giorni e 12 ore settimanali, che potrà, tuttavia, riguardare solo un numero limitato di uffici: uffici postali che siano presidio unico di comuni con popolazione residente inferiore a 500 abitanti, a condizione che in prossimità (entro 3 chilometri di distanza) vi sia un ufficio che, nei restanti giorni lavorativi della settimana, assicuri alla popolazione locale la fruizione dei servizi postali;
    la delibera, infine, impone a Poste italiane spa di avvisare con congruo anticipo le istituzioni locali sulle misure di razionalizzazione, al fine di avviare un confronto sull'impatto degli interventi sulla popolazione interessata e sulla possibile individuazione di soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale;
    in base all'annunciato nuovo piano industriale nel 2015 dovrebbero chiudere circa quattrocento uffici postali sul territorio nazionale ed è altresì prevista la riduzione degli orari di molti uffici;
    i tagli proposti stanno suscitando la preoccupazione e il disappunto di numerose regioni ed enti locali, che stanno rivendicando un ruolo attivo nel processo di razionalizzazione;
    in conseguenza alle critiche al piano esposte dalle suddette categorie, Poste italiane spa lo ha sospeso, ma nella nota che la società ha diffuso si parla espressamente solo di rinvio per il tempo necessario a un confronto con le regioni e i comuni interessati per «conciliare le esigenze aziendali con le istanze e le possibili eccezioni rappresentate dai territori», senza intaccarne, sembrerebbe, la sostanza;
    l'annunciato piano di riorganizzazione penalizzerà gravemente l'utenza e nell'ambito di questa in modo particolare i soggetti che hanno difficoltà a spostarsi in altre località per accedere ai servizi;
    gli uffici postali rappresentano un presidio dello Stato sul territorio, oltre che un servizio a imprese e cittadini,

impegna il Governo:

   a sollecitare Poste italiane Spa affinché continui a confrontarsi con gli Enti Locali al fine di concordare gli effetti del proprio piano industriale sui servizi offerti anche a seguito di precedenti interventi di razionalizzazione, garantendo la piena operatività del servizio universale, in particolar modo per i cittadini che risiedono in aree svantaggiate del Paese e/o in condizioni di minore mobilità, in considerazione anche dell'età anagrafica;
   a considerare ogni atto di competenza affinché siano salvaguardati gli attuali livelli occupazionali di tutti i lavoratori impiegati presso l'Ente, anche alla luce del progetto di crescita illustrato da Poste.
(1-00848)
(Testo modificato nel corso della seduta). «Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Taglialatela, Totaro».


MOZIONI VEZZALI ED ALTRI N. 1-00557, SEGONI ED ALTRI N. 1-00834, GIANCARLO GIORDANO ED ALTRI N. 1-00835, GAGNARLI ED ALTRI N. 1-00836, BINETTI ED ALTRI N. 1-00837, MALPEZZI ED ALTRI N. 1-00839, FAENZI ED ALTRI N. 1-00841, RONDINI ED ALTRI N. 1-00842 E GIGLI ED ALTRI N. 1-00844 CONCERNENTI INIZIATIVE PER LA PROMOZIONE DELL'EDUCAZIONE ALIMENTARE NELLE SCUOLE

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    nonostante le linee guida per l'educazione alimentare nella scuola italiana, pubblicate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in data 22 settembre 2011, lo spreco di cibo nella società odierna è sempre più alto e non è più sostenibile;
    si vive in una società paradossale e ambivalente che offre una scelta e un'abbondanza di cibo senza precedenti, proponendo al contempo ideali di magrezza, spesso irrealistici, come sinonimi di successo personale e sociale. Questi fattori possono incidere molto sul rapporto che gli adolescenti instaurano col cibo e col proprio corpo che, nelle difficoltà e criticità tipiche di quest'età, possono essere vissuti in modo molto conflittuale;
    quello che in sostanza non va dimenticato e che rende ragione dell'intervento degli psicologi in molte iniziative di educazione alimentare nelle scuole è che il rapporto col cibo è inestricabilmente connesso al rapporto con il proprio corpo, la propria identità e i propri affetti;
    è attraverso il cibo che si instaurano i primi fondamentali scambi affettivi ed è attraverso di esso che si continua a rimarcare relazioni d'intimità, l'appartenenza a un gruppo, l'identità, il bisogno di affetto e di essere amati, ma tuttavia è attraverso il cibo che possono nascere scontri e conflitti in adolescenza, perché spesso si è portati a uniformarsi alle mode e alle tendenze del gruppo dei pari con l'ostinato rifiuto di cibo per evitare o controllare emozioni e situazioni che non si è in grado di gestire;
    interventi formativi e informativi sui corretti stili di vita alimentare favoriscono l'apprendimento dei rischi connessi ai disturbi dell'alimentazione, quali anoressia e bulimia, e una corretta educazione alimentare nelle scuole è tesa a indurre nei giovani l'adozione di stili di vita sani e la rivalutazione di prodotti tipici del territorio;
    per ottenere dei cambiamenti si deve appunto partire dall'educazione dei ragazzi, ma non si può insegnare agli studenti l'importanza del cibo in aula per poi metterli di fronte all'evidenza di operatori addetti alla mensa scolastica, costretti a buttare nella spazzatura gli alimenti non avanzati;
    con l'Expo 2015 partirà il progetto di educazione alimentare nelle scuole avviato dai Ministeri dell'istruzione, dell'università e della ricerca e delle politiche agricole, alimentari e forestali;
    detto progetto ha il giusto obiettivo di inserire un progetto sperimentale di educazione alimentare;
    l'alimentazione sana e corretta, come l'educazione sull'importanza del cibo e contro lo spreco alimentare, inizia, infatti, sui banchi della scuola. Ma una semplice fase sperimentale di un programma di educazione alimentare che coinvolgerà tutto il sistema scolastico italiano con visite didattiche e percorsi dedicati agli studenti all'interno dell'area che ospiterà l'Esposizione universale non sarà sufficiente a colmare il vuoto educativo di oggi;
    oltre 8 miliardi di euro si sprecano ogni anno in Italia per cibo buttato nella spazzatura, dati che emergono dal rapporto 2014 Waste watcher – knowledge for Expo;
    la sensibilizzazione allo spreco deve passare attraverso un'azione culturale anziché attraverso norme e leggi,

impegna il Governo:

ad assumere iniziative per inserire l'educazione alimentare nei piani di offerta formativa nelle scuole di ogni ordine e grado unitamente ad un piano di semplificazione normativa ed economica delle regole per il recupero del cibo avanzato.
(1-00557) «Vezzali, Mazziotti Di Celso, Molea, Antimo Cesaro, Galgano, Matarrese, Sottanelli, Cimmino, Librandi, D'Agostino, Vecchio, Capua, Tinagli, Oliaro, Rabino».


   La Camera,
   premesso che:
    nonostante le linee guida per l'educazione alimentare nella scuola italiana, pubblicate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in data 22 settembre 2011, lo spreco di cibo nella società odierna è sempre più alto e non è più sostenibile;
    si vive in una società paradossale e ambivalente che offre una scelta e un'abbondanza di cibo senza precedenti, proponendo al contempo ideali di magrezza, spesso irrealistici, come sinonimi di successo personale e sociale. Questi fattori possono incidere molto sul rapporto che gli adolescenti instaurano col cibo e col proprio corpo che, nelle difficoltà e criticità tipiche di quest'età, possono essere vissuti in modo molto conflittuale;
    quello che in sostanza non va dimenticato e che rende ragione dell'intervento degli psicologi in molte iniziative di educazione alimentare nelle scuole è che il rapporto col cibo è inestricabilmente connesso al rapporto con il proprio corpo, la propria identità e i propri affetti;
    è attraverso il cibo che si instaurano i primi fondamentali scambi affettivi ed è attraverso di esso che si continua a rimarcare relazioni d'intimità, l'appartenenza a un gruppo, l'identità, il bisogno di affetto e di essere amati, ma tuttavia è attraverso il cibo che possono nascere scontri e conflitti in adolescenza, perché spesso si è portati a uniformarsi alle mode e alle tendenze del gruppo dei pari con l'ostinato rifiuto di cibo per evitare o controllare emozioni e situazioni che non si è in grado di gestire;
    interventi formativi e informativi sui corretti stili di vita alimentare favoriscono l'apprendimento dei rischi connessi ai disturbi dell'alimentazione, quali anoressia e bulimia, e una corretta educazione alimentare nelle scuole è tesa a indurre nei giovani l'adozione di stili di vita sani e la rivalutazione di prodotti tipici del territorio;
    per ottenere dei cambiamenti si deve appunto partire dall'educazione dei ragazzi, ma non si può insegnare agli studenti l'importanza del cibo in aula per poi metterli di fronte all'evidenza di operatori addetti alla mensa scolastica, costretti a buttare nella spazzatura gli alimenti non avanzati;
    con l'Expo 2015 partirà il progetto di educazione alimentare nelle scuole avviato dai Ministeri dell'istruzione, dell'università e della ricerca e delle politiche agricole, alimentari e forestali;
    detto progetto ha il giusto obiettivo di inserire un progetto sperimentale di educazione alimentare;
    l'alimentazione sana e corretta, come l'educazione sull'importanza del cibo e contro lo spreco alimentare, inizia, infatti, sui banchi della scuola. Ma una semplice fase sperimentale di un programma di educazione alimentare che coinvolgerà tutto il sistema scolastico italiano con visite didattiche e percorsi dedicati agli studenti all'interno dell'area che ospiterà l'Esposizione universale non sarà sufficiente a colmare il vuoto educativo di oggi;
    oltre 8 miliardi di euro si sprecano ogni anno in Italia per cibo buttato nella spazzatura, dati che emergono dal rapporto 2014 Waste watcher – knowledge for Expo;
    la sensibilizzazione allo spreco deve passare attraverso un'azione culturale anziché attraverso norme e leggi,

impegna il Governo:

a promuovere presso le istituzioni scolastiche percorsi mirati all'educazione ad una corretta e sana alimentazione, alla sensibilizzazione contro lo spreco degli alimenti, ferma restando l'autonomia delle stesse nella definizione dei piani dell'offerta formativa.
(1-00557)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Vezzali, Mazziotti Di Celso, Molea, Antimo Cesaro, Galgano, Matarrese, Sottanelli, Cimmino, Librandi, D'Agostino, Vecchio, Capua, Tinagli, Oliaro, Rabino».


   La Camera,
   premesso che:
    dal rapporto 2014 Waste watcher – knowledge for Expo più di 8 miliardi di euro di cibo all'anno vengono gettati nella spazzatura;
    nonostante gli italiani abbiano diminuito gli sprechi domestici, ancora oggi ogni cittadino butta nella spazzatura 76 chili di prodotti alimentari. Anche secondo un'indagine della Coldiretti, divulgata in occasione della giornata di prevenzione dello spreco alimentare in Italia istituita dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sei italiani su dieci (il 60 per cento) nel 2014 hanno sprecato di meno;
    anche a causa della crisi il 75 per cento fa la spesa più attentamente, il 56 per cento utilizza gli avanzi nel pasto successivo, il 37 per cento riduce le quantità acquistate, il 34 per cento guarda con più attenzione la data di scadenza e l'11 per cento dona in beneficenza;
    a livello mondiale un terzo del cibo prodotto viene sprecato per un totale di 1,3 miliardi di tonnellate, che sarebbero ampiamente sufficienti a sfamare la popolazione che soffre di fame cronica, secondo l'analisi della Coldiretti su dati Fao;
    gli sprechi alimentari hanno raggiunto le 670 milioni di tonnellate nei Paesi industrializzati e le 630 milioni di tonnellate in quelli in via di sviluppo;
    vi è un poi dato preoccupante: da uno studio effettuato dagli esperti dell'Osservatorio nutrizionale Grana padano i bambini italiani in sovrappeso sono il 30 per cento, i bambini obesi il 15 per cento, con un totale complessivo di bambini con peso in eccesso del 45 per cento e capire l'importanza di una sana alimentazione è il primo passo da compiere;
    l'indagine dell'Osservatorio ha valutato le abitudini alimentari, l'attività fisica e i dati antropometrici di 2.062 bambini e ragazzi di età compresa fra i 6 e i 13 anni, di cui 1.390 in età fra 6-10 anni e 672 in età compresa tra 11-13 anni, confermando una tendenza negativa sull'eccesso di peso dei bambini, che vede l'Italia ai primi posti della classifica europea, nonostante il nostro Paese sia rinomato nel mondo per la dieta mediterranea e stia preparando l'Expo 2015 proprio sul tema dell'alimentazione;
    dall'indagine emerge che i bimbi più piccoli (6-10 anni) consumano meno frutta e verdura dei bambini più grandi e, in particolare, introducono significativamente meno legumi, pomodori, broccoli, cavolfiore, cavoletti, carote, zucchine, fagiolini, peperoni e verdure verdi (spinaci, bieta, coste ed altro), ma anche meno frutta (mele, anguria e melone);
    emerge, inoltre, che i più piccoli consumano poco pesce rispetto ai ragazzi più grandi (circa la metà);
    l'alimentazione ha assunto nella società in cui si vive oggi un ruolo fondamentale nella determinazione della qualità della vita;
    l'educazione alimentare, in età scolare, rappresenta lo strumento essenziale per la prevenzione e la cura di malattie e, quindi, contribuisce al mantenimento di uno stato di salute ottimale e offre anche moltissimi spunti di crescita personale, culturale ed umana, nella prospettiva della formazione della personalità nelle sue diverse dimensioni (fisica, affettiva, sociale, morale, intellettuale, spirituale ed estetica);
    per gli alunni imparare a costruire un corretto rapporto con il cibo è essenziale, anche per una vita sana in età adulta, e in tale prospettiva il momento scolastico assume particolare importanza, con il duplice obiettivo, nutrizionale ed educativo, di ruolo primario per la salute, il benessere fisico e la socializzazione dei giovani;
    è importante riconoscere l'importanza dell'alimentazione, riportare le abitudini del bambino alla piramide alimentare, far conoscere la composizione e il valore nutritivo degli alimenti anche attraverso la lettura delle etichette, far conoscere l'importanza e la funzione dei vari alimenti (ad esempio, storia del grano e dei suoi derivati, il latte e i suoi derivati e altro), far sviluppare nell'adolescente un comportamento responsabile nella scelta dei cibi e far conoscere gli effetti di un'alimentazione eccessiva o insufficiente e le varie patologie legate all'alimentazione (celiachia e altre allergie e intolleranze alimentari, diabete, obesità e altro) e, di conseguenza, promuovere anche la prevenzione dei disturbi del comportamento alimentare;
    attribuire valore al cibo e ristabilire l'importanza della sua qualità potrebbe forse far riscoprire e riapprezzare l'identità umana e sociale,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative affinché nel primo e nel secondo ciclo di istruzione vengano impartite le conoscenze relative alla corretta alimentazione attraverso la disciplina denominata «educazione alimentare»;
   ad assumere iniziative volte a prevedere nelle scuola dell'infanzia che tale acquisizione venga realizzata mediante appositi percorsi formativi finalizzati all'insegnamento dell'importanza dell'alimentazione e della funzione dei vari alimenti;
   a sensibilizzare e promuovere, anche attraverso campagne mediatiche, l'utilizzo corretto degli alimenti, per bambini ed adulti, al fine di poter sviluppare nella collettività un comportamento sempre più responsabile nella scelta dei cibi, in maniera tale da far conoscere gli effetti di un'alimentazione eccessiva o insufficiente e le varie patologie legate all'alimentazione (celiachia e altre allergie e intolleranze alimentari, diabete, obesità e altro) e, di conseguenza, promuovere la prevenzione dei disturbi del comportamento alimentare.
(1-00834) «Segoni, Rostellato, Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Mucci, Prodani, Rizzetto, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    dal rapporto 2014 Waste watcher – knowledge for Expo più di 8 miliardi di euro di cibo all'anno vengono gettati nella spazzatura;
    nonostante gli italiani abbiano diminuito gli sprechi domestici, ancora oggi ogni cittadino butta nella spazzatura 76 chili di prodotti alimentari. Anche secondo un'indagine della Coldiretti, divulgata in occasione della giornata di prevenzione dello spreco alimentare in Italia istituita dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sei italiani su dieci (il 60 per cento) nel 2014 hanno sprecato di meno;
    anche a causa della crisi il 75 per cento fa la spesa più attentamente, il 56 per cento utilizza gli avanzi nel pasto successivo, il 37 per cento riduce le quantità acquistate, il 34 per cento guarda con più attenzione la data di scadenza e l'11 per cento dona in beneficenza;
    a livello mondiale un terzo del cibo prodotto viene sprecato per un totale di 1,3 miliardi di tonnellate, che sarebbero ampiamente sufficienti a sfamare la popolazione che soffre di fame cronica, secondo l'analisi della Coldiretti su dati Fao;
    gli sprechi alimentari hanno raggiunto le 670 milioni di tonnellate nei Paesi industrializzati e le 630 milioni di tonnellate in quelli in via di sviluppo;
    vi è un poi dato preoccupante: da uno studio effettuato dagli esperti dell'Osservatorio nutrizionale Grana padano i bambini italiani in sovrappeso sono il 30 per cento, i bambini obesi il 15 per cento, con un totale complessivo di bambini con peso in eccesso del 45 per cento e capire l'importanza di una sana alimentazione è il primo passo da compiere;
    l'indagine dell'Osservatorio ha valutato le abitudini alimentari, l'attività fisica e i dati antropometrici di 2.062 bambini e ragazzi di età compresa fra i 6 e i 13 anni, di cui 1.390 in età fra 6-10 anni e 672 in età compresa tra 11-13 anni, confermando una tendenza negativa sull'eccesso di peso dei bambini, che vede l'Italia ai primi posti della classifica europea, nonostante il nostro Paese sia rinomato nel mondo per la dieta mediterranea e stia preparando l'Expo 2015 proprio sul tema dell'alimentazione;
    dall'indagine emerge che i bimbi più piccoli (6-10 anni) consumano meno frutta e verdura dei bambini più grandi e, in particolare, introducono significativamente meno legumi, pomodori, broccoli, cavolfiore, cavoletti, carote, zucchine, fagiolini, peperoni e verdure verdi (spinaci, bieta, coste ed altro), ma anche meno frutta (mele, anguria e melone);
    emerge, inoltre, che i più piccoli consumano poco pesce rispetto ai ragazzi più grandi (circa la metà);
    l'alimentazione ha assunto nella società in cui si vive oggi un ruolo fondamentale nella determinazione della qualità della vita;
    l'educazione alimentare, in età scolare, rappresenta lo strumento essenziale per la prevenzione e la cura di malattie e, quindi, contribuisce al mantenimento di uno stato di salute ottimale e offre anche moltissimi spunti di crescita personale, culturale ed umana, nella prospettiva della formazione della personalità nelle sue diverse dimensioni (fisica, affettiva, sociale, morale, intellettuale, spirituale ed estetica);
    per gli alunni imparare a costruire un corretto rapporto con il cibo è essenziale, anche per una vita sana in età adulta, e in tale prospettiva il momento scolastico assume particolare importanza, con il duplice obiettivo, nutrizionale ed educativo, di ruolo primario per la salute, il benessere fisico e la socializzazione dei giovani;
    è importante riconoscere l'importanza dell'alimentazione, riportare le abitudini del bambino alla piramide alimentare, far conoscere la composizione e il valore nutritivo degli alimenti anche attraverso la lettura delle etichette, far conoscere l'importanza e la funzione dei vari alimenti (ad esempio, storia del grano e dei suoi derivati, il latte e i suoi derivati e altro), far sviluppare nell'adolescente un comportamento responsabile nella scelta dei cibi e far conoscere gli effetti di un'alimentazione eccessiva o insufficiente e le varie patologie legate all'alimentazione (celiachia e altre allergie e intolleranze alimentari, diabete, obesità e altro) e, di conseguenza, promuovere anche la prevenzione dei disturbi del comportamento alimentare;
    attribuire valore al cibo e ristabilire l'importanza della sua qualità potrebbe forse far riscoprire e riapprezzare l'identità umana e sociale,

impegna il Governo:

   a promuovere nel primo e nel secondo ciclo di istruzione percorsi mirati all'educazione ad una corretta e sana alimentazione, ferma restando l'autonomia delle istituzioni scolastiche nella definizione dei piani dell'offerta formativa;
   a promuovere iniziative volte a favorire l'educazione ad un'alimentazione sana e corretta a partire dalla scuola dell'infanzia, mediante percorsi mirati in particolare alla comprensione dell'importanza dell'alimentazione e alla funzione dei vari alimenti, ferma restando l'autonomia delle istituzioni scolastiche nella definizione dei piani formativi;
   a sensibilizzare e promuovere, anche attraverso campagne mediatiche, l'utilizzo corretto degli alimenti, per bambini ed adulti, al fine di poter sviluppare nella collettività un comportamento sempre più responsabile nella scelta dei cibi, in maniera tale da far conoscere gli effetti di un'alimentazione eccessiva o insufficiente e le varie patologie legate all'alimentazione (celiachia e altre allergie e intolleranze alimentari, diabete, obesità e altro) e, di conseguenza, promuovere la prevenzione dei disturbi del comportamento alimentare.
(1-00834)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Segoni, Rostellato, Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Mucci, Prodani, Rizzetto, Turco».


   La Camera,
   premesso che:
    in Europa e in Nord America si stima che i consumatori buttino via tra i 95 e i 115 chili pro capite di cibo l'anno. La Fao stima che a livello mondiale la quantità di cibo che finisce tra i rifiuti ammonti a 1,3 miliardi di tonnellate e che 925 milioni di persone nel mondo sono a rischio di denutrizione. La popolazione mondiale ipernutrita è pari a quella sottonutrita e denutrita;
    nell'Unione europea oltre 79 milioni di persone vivono ancora al di sotto della soglia di povertà, mentre 18 milioni di persone dipendono dagli aiuti alimentari. Al contempo, le percentuali degli sprechi alimentari sono così ripartite: il 42 per cento dalle famiglie, il 39 per cento dai produttori, il 5 per cento dai rivenditori e il restante 14 per cento dal settore della ristorazione;
    nel nostro Paese, ogni famiglia butta tra i 200 grammi e i 2 chilogrammi di alimenti ogni settimana e ogni anno lo spreco domestico costa agli italiani 8,7 miliardi di euro, circa 7,06 euro settimanali a famiglia;
    è indispensabile fin dai primi anni di scuola promuovere dei modelli di consumo alimentare sani, sostenibili e responsabili, sensibilizzando i ragazzi alla necessità etica, prima ancora che economica, di una lotta allo spreco alimentare laddove gli squilibri relativi al diritto all'accesso al cibo sono ormai sempre più inaccettabili, sia a livello nazionale che planetario;
    sotto questo aspetto, quindi, la scuola può e deve avere un ruolo importantissimo per contribuire alla formazione di consumatori consapevoli. Consapevoli dello stretto legame tra qualità del cibo, un'alimentazione sana e la propria salute, nonché quanto le scelte alimentari siano strettamente connesse alla tutela dell'ambiente e del territorio. Consapevoli che scegliere prodotti locali, privilegiando la filiera corta, riduce i costi di trasporto e, quindi, le emissioni di anidride carbonica e sostiene l'economia locale; così come scegliere produzioni biologiche significa optare per prodotti più sani con evidenti benefici ambientali connessi, tra l'altro, al mancato utilizzo di prodotti chimici in agricoltura e altro;
    è, peraltro, evidente come quanto sopra esposto debba essere coerente e, quindi, accompagnato con politiche nazionali e comunitarie volte a incentivare l'alimentazione di qualità ed avviare efficaci iniziative normative per contrastare lo spreco alimentare: dalle vendite con ribasso del cibo prossimo a scadenza alla donazione dei prodotti invenduti, all'introduzione di criteri premianti negli appalti pubblici dei servizi di ristorazione collettiva per chi distribuisce gratuitamente le eccedenze;
    il 16 dicembre 2014 la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza ha approvato il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sulla povertà e il disagio minorile. Nel documento si segnala, tra l'altro, la diffusione di due fattori di rischio molto significativi per la salute dei minori: l'obesità e il sovrappeso;
    detti fattori di rischio risultano strettamente correlati al concetto di povertà come assenza o carenza di opportunità e ciò comporta, tra l'altro, che il divario sociale si traduca in un divario di salute che, nonostante i progressi della medicina e i livelli di offerta sanitaria nel nostro Paese, non risulta ancora colmato;
    dai dati 2014 risulta che i bambini in sovrappeso sono il 20,9 per cento e i bambini obesi sono il 9,8 per cento, compresi i bambini severamente obesi, che da soli sono il 2,2 per cento. Il suddetto documento conclusivo evidenzia che le regioni del Sud – sulla base di uno studio condotto dal Ministero della salute che ha riguardato i bambini di età tra 8-9 anni che frequentano la terza elementare – hanno una quota decisamente più alta di cittadini obesi o in sovrappeso, quindi a rischio di ammalarsi di diabete. Alcune regioni evidenziano, in questa fascia d'età, un 40 per cento di soggetti in condizioni di sovrappeso; e una gran parte degli obesi si trovano proprio nelle regioni del Sud. «Nelle regioni del Sud, quindi, tende ad affermarsi un modello nutrizionale sempre più simile a quello esistente nei Paesi del Sud del mondo, in cui si abbandona la tradizione alimentare nazionale a favore di un consumo eccessivo del cosiddetto junk food, il cibo ipercalorico a scarso valore nutrizionale, che però vanta un costo basso»;
    si evidenzia, inoltre, come la pubblicità di cibi «spazzatura» (junk food), rivolta ai bambini e non solo, contribuisce all'eccessivo consumo di snack nell'alimentazione quotidiana che ha snaturato la cultura del rispetto e della conservazione del cibo, che è stata falsata dalle multinazionali nella composizione dei valori nutrizionali, come, per esempio, nell'alterazione del contenuto dei grassi, degli zuccheri e del sale, al fine di rendere il cibo «appetitoso» e maggiormente prossimo al consumo immediato;
    è, peraltro, indispensabile prestare maggiore attenzione ai crescenti disturbi del comportamento alimentare. Spesso i primi sintomi di questi disturbi insorgono proprio in età evolutiva;
    nel corso degli ultimi anni si è registrato un aumento del tasso di incidenza e, contemporaneamente, un abbassamento dell'età di insorgenza di questi fenomeni. Il fatto che questi disturbi non riguardino più solo gli adolescenti, ma che si stiano diffondendo anche in età pre-adolescenziale, rende fondamentale il ruolo che può essere svolto dalle scuole;
    una corretta educazione alimentare attraverso un'appropriata conoscenza dei principi alimentari e la promozione di un sano rapporto con il cibo aiuterebbero i ragazzi a sviluppare consapevolezza critica verso messaggi mediatici sbagliati che associano bellezza e magrezza e li accompagnerebbe verso un equilibrato sviluppo e benessere psico-fisico. Sotto questo aspetto, progetti nelle scuole, iniziative e campagne di sensibilizzazione dovrebbero servire a prevenire anche queste patologie, sempre più diffuse ma spesso taciute;
    l'Organizzazione mondiale della sanità ha recentemente emanato le linee guida sull'assunzione dello zucchero presente negli alimenti. Le raccomandazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità riguardano l'assunzione di monosaccaridi (glucosio e fruttosio) e disaccaridi (saccarosio), aggiunti ad alimenti e bevande, e di zuccheri naturalmente presenti in miele, sciroppi, succhi di frutta e concentrati di succhi di frutta e prevedono la limitazione dell'assunzione di zuccheri semplici (quali quelli tipici delle merendine) al 10 per cento del fabbisogno calorico giornaliero, con l'esortazione a ridurre ulteriormente questa soglia a meno del 5 per cento. E questo con particolare attenzione ai più giovani;
    a parere del Ministero della salute italiano, che a quanto risulta è l'unico Paese dell'Unione europea a essersi dichiarato in disaccordo con dette raccomandazioni, le linee guida appaiono eccessivamente restrittive, soprattutto allorché propongono una riduzione del consumo di zuccheri semplici al di sotto del 5 per cento;
    come riportato anche dalle agenzia di stampa, il 19 novembre 2014 il Ministro Beatrice Lorenzin, parlando a margine della seconda conferenza internazionale sulla nutrizione, dichiarava riguardo alle nuove raccomandazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità sullo zucchero: «No a diktat senza base scientifica. È un'aggressione alle nostre tradizioni dolciarie (...) Dobbiamo fare esattamente l'opposto, cioè proporre il modello della dieta mediterranea, educare famiglie e bambini in età scolare a mangiare bene e anche a fare una giusta attività fisica. Ma non è facendo questo tipo di divieti che noi costruiamo la cultura dell'alimentazione»;
    un'ulteriore criticità, emersa nel corso dell'indagine conoscitiva sulla povertà e il disagio minorile sopra citata, ha riguardato le mense scolastiche, che spesso risultano scarsamente accessibili ai minori che vivono in nuclei familiari con difficoltà economiche. Sotto questo aspetto è stata sottolineata l'opportunità di offrire un servizio gratuito alle famiglie e ai bambini in condizioni di povertà certificata. Chiaramente questo tema si inserisce nella complessa questione delle risorse destinate alla scuola,

impegna il Governo:

   a introdurre, fin dalla scuola dell'obbligo, programmi di studio di educazione alimentare che si riconnettano anche alla gestione ecosostenibile delle risorse naturali, attraverso un approccio multidisciplinare alle diverse tematiche relative al cibo, in quanto strettamente connesse ad ambiti quali lo spreco alimentare, la salute, l'agronomia, il benessere animale, l'ambiente e la biodiversità, l'economia;
   ad avviare, comunque quanto prima, apposite campagne informative nelle scuole, rivolte a genitori e alunni, sulla conoscenza e sensibilizzazione degli squilibri esistenti a livello internazionale e nel nostro Paese sull'accesso al cibo e sullo spreco alimentare, nonché sull'educazione al cibo di qualità e a una produzione alimentare ecosostenibile;
   a prevedere l'avvio di progetti e campagne di sensibilizzazione nelle scuole sui disturbi del comportamento alimentare, che troppo spesso insorgono proprio nell'età evolutiva, per favorire un'appropriata conoscenza dei principi alimentari e la promozione di un sano rapporto con il cibo, nonché per sviluppare consapevolezza critica verso messaggi mediatici sbagliati che associano bellezza e magrezza, accompagnandoli verso un equilibrato sviluppo e benessere psico-fisico;
   a incentivare, per quanto di competenza, la diffusione di orti didattici fin dalle scuole d'infanzia statali e paritarie degli enti locali, quali strumenti didattici con cui i bambini possono imparare la coltura di ortaggi e frutti, piantare i semi e vederli gradualmente trasformarsi in piante, imparando ad osservare la natura, i suoi ritmi, il ciclo delle stagioni, e raccogliere e consumarne i prodotti;
   ad adottare opportune iniziative normative, in accordo con gli enti territoriali, volte a privilegiare l'utilizzo dei prodotti biologici nelle mense scolastiche e degli alimenti a filiera corta, in conseguenza della loro migliore qualità e dei loro maggiori benefici ambientali;
   ad avviare efficaci iniziative in ambito scolastico volte a disincentivare, soprattutto tra i più giovani, il consumo eccessivo del cosiddetto junk food (cibo «spazzatura»), cibo ipercalorico e a scarso valore nutrizionale;
   a predisporre più efficaci iniziative normative per la lotta alla deprivazione alimentare, per contrastare lo spreco alimentare, favorendone il recupero e prevedendo adeguati strumenti normativi volti ad incentivare la donazione dei prodotti alimentari invenduti, la vendita con ribasso del cibo prossimo a scadenza, nonché a introdurre criteri premianti negli appalti pubblici dei servizi di ristorazione collettiva per chi distribuisce gratuitamente le eccedenze a cittadini indigenti, anche attraverso enti non profit;
   a garantire, d'intesa con gli enti territoriali, il servizio della mensa scolastica gratuito per le famiglie e i bambini in condizioni di povertà certificata;
   a recepire le raccomandazioni contenute nelle linee guida emanate dall'Organizzazione mondiale della sanità sulla riduzione dello zucchero presente negli alimenti, con particolare riferimento ai bambini/consumatori.
(1-00835) «Giancarlo Giordano, Pannarale, Nicchi, Franco Bordo, Zaccagnini, Scotto, Pellegrino, Zaratti, Matarrelli, Costantino».


   La Camera,
   premesso che:
    in Europa e in Nord America si stima che i consumatori buttino via tra i 95 e i 115 chili pro capite di cibo l'anno. La Fao stima che a livello mondiale la quantità di cibo che finisce tra i rifiuti ammonti a 1,3 miliardi di tonnellate e che 925 milioni di persone nel mondo sono a rischio di denutrizione. La popolazione mondiale ipernutrita è pari a quella sottonutrita e denutrita;
    nell'Unione europea oltre 79 milioni di persone vivono ancora al di sotto della soglia di povertà, mentre 18 milioni di persone dipendono dagli aiuti alimentari. Al contempo, le percentuali degli sprechi alimentari sono così ripartite: il 42 per cento dalle famiglie, il 39 per cento dai produttori, il 5 per cento dai rivenditori e il restante 14 per cento dal settore della ristorazione;
    nel nostro Paese, ogni famiglia butta tra i 200 grammi e i 2 chilogrammi di alimenti ogni settimana e ogni anno lo spreco domestico costa agli italiani 8,7 miliardi di euro, circa 7,06 euro settimanali a famiglia;
    è indispensabile fin dai primi anni di scuola promuovere dei modelli di consumo alimentare sani, sostenibili e responsabili, sensibilizzando i ragazzi alla necessità etica, prima ancora che economica, di una lotta allo spreco alimentare laddove gli squilibri relativi al diritto all'accesso al cibo sono ormai sempre più inaccettabili, sia a livello nazionale che planetario;
    sotto questo aspetto, quindi, la scuola può e deve avere un ruolo importantissimo per contribuire alla formazione di consumatori consapevoli. Consapevoli dello stretto legame tra qualità del cibo, un'alimentazione sana e la propria salute, nonché quanto le scelte alimentari siano strettamente connesse alla tutela dell'ambiente e del territorio. Consapevoli che scegliere prodotti locali, privilegiando la filiera corta, riduce i costi di trasporto e, quindi, le emissioni di anidride carbonica e sostiene l'economia locale; così come scegliere produzioni biologiche significa optare per prodotti più sani con evidenti benefici ambientali connessi, tra l'altro, al mancato utilizzo di prodotti chimici in agricoltura e altro;
    è, peraltro, evidente come quanto sopra esposto debba essere coerente e, quindi, accompagnato con politiche nazionali e comunitarie volte a incentivare l'alimentazione di qualità ed avviare efficaci iniziative normative per contrastare lo spreco alimentare: dalle vendite con ribasso del cibo prossimo a scadenza alla donazione dei prodotti invenduti, all'introduzione di criteri premianti negli appalti pubblici dei servizi di ristorazione collettiva per chi distribuisce gratuitamente le eccedenze;
    il 16 dicembre 2014 la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza ha approvato il documento conclusivo dell'indagine conoscitiva sulla povertà e il disagio minorile. Nel documento si segnala, tra l'altro, la diffusione di due fattori di rischio molto significativi per la salute dei minori: l'obesità e il sovrappeso;
    detti fattori di rischio risultano strettamente correlati al concetto di povertà come assenza o carenza di opportunità e ciò comporta, tra l'altro, che il divario sociale si traduca in un divario di salute che, nonostante i progressi della medicina e i livelli di offerta sanitaria nel nostro Paese, non risulta ancora colmato;
    dai dati 2014 risulta che i bambini in sovrappeso sono il 20,9 per cento e i bambini obesi sono il 9,8 per cento, compresi i bambini severamente obesi, che da soli sono il 2,2 per cento. Il suddetto documento conclusivo evidenzia che le regioni del Sud – sulla base di uno studio condotto dal Ministero della salute che ha riguardato i bambini di età tra 8-9 anni che frequentano la terza elementare – hanno una quota decisamente più alta di cittadini obesi o in sovrappeso, quindi a rischio di ammalarsi di diabete. Alcune regioni evidenziano, in questa fascia d'età, un 40 per cento di soggetti in condizioni di sovrappeso; e una gran parte degli obesi si trovano proprio nelle regioni del Sud. «Nelle regioni del Sud, quindi, tende ad affermarsi un modello nutrizionale sempre più simile a quello esistente nei Paesi del Sud del mondo, in cui si abbandona la tradizione alimentare nazionale a favore di un consumo eccessivo del cosiddetto junk food, il cibo ipercalorico a scarso valore nutrizionale, che però vanta un costo basso»;
    si evidenzia, inoltre, come la pubblicità di cibi «spazzatura» (junk food), rivolta ai bambini e non solo, contribuisce all'eccessivo consumo di snack nell'alimentazione quotidiana che ha snaturato la cultura del rispetto e della conservazione del cibo, che è stata falsata dalle multinazionali nella composizione dei valori nutrizionali, come, per esempio, nell'alterazione del contenuto dei grassi, degli zuccheri e del sale, al fine di rendere il cibo «appetitoso» e maggiormente prossimo al consumo immediato;
    è, peraltro, indispensabile prestare maggiore attenzione ai crescenti disturbi del comportamento alimentare. Spesso i primi sintomi di questi disturbi insorgono proprio in età evolutiva;
    nel corso degli ultimi anni si è registrato un aumento del tasso di incidenza e, contemporaneamente, un abbassamento dell'età di insorgenza di questi fenomeni. Il fatto che questi disturbi non riguardino più solo gli adolescenti, ma che si stiano diffondendo anche in età pre-adolescenziale, rende fondamentale il ruolo che può essere svolto dalle scuole;
    una corretta educazione alimentare attraverso un'appropriata conoscenza dei principi alimentari e la promozione di un sano rapporto con il cibo aiuterebbero i ragazzi a sviluppare consapevolezza critica verso messaggi mediatici sbagliati che associano bellezza e magrezza e li accompagnerebbe verso un equilibrato sviluppo e benessere psico-fisico. Sotto questo aspetto, progetti nelle scuole, iniziative e campagne di sensibilizzazione dovrebbero servire a prevenire anche queste patologie, sempre più diffuse ma spesso taciute;
    l'Organizzazione mondiale della sanità ha recentemente emanato le linee guida sull'assunzione dello zucchero presente negli alimenti. Le raccomandazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità riguardano l'assunzione di monosaccaridi (glucosio e fruttosio) e disaccaridi (saccarosio), aggiunti ad alimenti e bevande, e di zuccheri naturalmente presenti in miele, sciroppi, succhi di frutta e concentrati di succhi di frutta e prevedono la limitazione dell'assunzione di zuccheri semplici (quali quelli tipici delle merendine) al 10 per cento del fabbisogno calorico giornaliero, con l'esortazione a ridurre ulteriormente questa soglia a meno del 5 per cento. E questo con particolare attenzione ai più giovani;
    a parere del Ministero della salute italiano, che a quanto risulta è l'unico Paese dell'Unione europea a essersi dichiarato in disaccordo con dette raccomandazioni, le linee guida appaiono eccessivamente restrittive, soprattutto allorché propongono una riduzione del consumo di zuccheri semplici al di sotto del 5 per cento;
    come riportato anche dalle agenzia di stampa, il 19 novembre 2014 il Ministro Beatrice Lorenzin, parlando a margine della seconda conferenza internazionale sulla nutrizione, dichiarava riguardo alle nuove raccomandazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità sullo zucchero: «No a diktat senza base scientifica. È un'aggressione alle nostre tradizioni dolciarie (...) Dobbiamo fare esattamente l'opposto, cioè proporre il modello della dieta mediterranea, educare famiglie e bambini in età scolare a mangiare bene e anche a fare una giusta attività fisica. Ma non è facendo questo tipo di divieti che noi costruiamo la cultura dell'alimentazione»;
    un'ulteriore criticità, emersa nel corso dell'indagine conoscitiva sulla povertà e il disagio minorile sopra citata, ha riguardato le mense scolastiche, che spesso risultano scarsamente accessibili ai minori che vivono in nuclei familiari con difficoltà economiche. Sotto questo aspetto è stata sottolineata l'opportunità di offrire un servizio gratuito alle famiglie e ai bambini in condizioni di povertà certificata. Chiaramente questo tema si inserisce nella complessa questione delle risorse destinate alla scuola,

impegna il Governo:

   a promuovere presso le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado percorsi mirati all'educazione ad una sana alimentazione, corretta, sostenibile per l'ambiente, e alla sensibilizzazione contro lo spreco degli alimenti, ferma restando l'autonomia delle stesse nella definizione dei piani dell'offerta formativa;
   ad avviare, comunque quanto prima, apposite campagne informative nelle scuole, rivolte a genitori e alunni, sulla conoscenza e sensibilizzazione degli squilibri esistenti a livello internazionale e nel nostro Paese sull'accesso al cibo e sullo spreco alimentare, nonché sull'educazione al cibo di qualità e a una produzione alimentare ecosostenibile;
   a prevedere l'avvio di progetti e campagne di sensibilizzazione nelle scuole sui disturbi del comportamento alimentare, che troppo spesso insorgono proprio nell'età evolutiva, per favorire un'appropriata conoscenza dei principi alimentari e la promozione di un sano rapporto con il cibo, nonché per sviluppare consapevolezza critica verso messaggi mediatici sbagliati che associano bellezza e magrezza, accompagnandoli verso un equilibrato sviluppo e benessere psico-fisico;
   a incentivare, per quanto di competenza, la diffusione di orti didattici fin dalle scuole d'infanzia statali e paritarie degli enti locali, quali strumenti didattici con cui i bambini possono imparare la coltura di ortaggi e frutti, piantare i semi e vederli gradualmente trasformarsi in piante, imparando ad osservare la natura, i suoi ritmi, il ciclo delle stagioni, e raccogliere e consumarne i prodotti;
   ad adottare opportune iniziative normative, in accordo con gli enti territoriali, volte a privilegiare l'utilizzo dei prodotti biologici nelle mense scolastiche e degli alimenti a filiera corta, in conseguenza della loro migliore qualità e dei loro maggiori benefici ambientali;
   ad avviare efficaci iniziative in ambito scolastico volte a disincentivare, soprattutto tra i più giovani, il consumo eccessivo del cosiddetto junk food (cibo «spazzatura»), cibo ipercalorico e a scarso valore nutrizionale;
   a predisporre più efficaci iniziative normative per la lotta alla deprivazione alimentare, per contrastare lo spreco alimentare, favorendone il recupero e prevedendo adeguati strumenti normativi volti ad incentivare la donazione dei prodotti alimentari invenduti, la vendita con ribasso del cibo prossimo a scadenza, nonché a introdurre criteri premianti negli appalti pubblici dei servizi di ristorazione collettiva per chi distribuisce gratuitamente le eccedenze a cittadini indigenti, anche attraverso enti non profit;
   a promuovere, nell'ambito delle proprie competenze, d'intesa con gli enti territoriali, misure volte a garantire il servizio di mensa gratuito per i bambini appartenenti a famiglie, in condizioni di povertà certificata;
   a recepire le raccomandazioni contenute nelle linee guida emanate dall'Organizzazione mondiale della sanità sulla riduzione dello zucchero presente negli alimenti, con particolare riferimento ai bambini/consumatori.
(1-00835)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Giancarlo Giordano, Pannarale, Nicchi, Franco Bordo, Zaccagnini, Scotto, Pellegrino, Zaratti, Matarrelli, Costantino».


   La Camera,
   premesso che:
    l'obesità rappresenta il più comune disordine nutrizionale nel mondo occidentale e la sua prevalenza è in progressivo aumento, tanto da indurre l'Organizzazione mondiale della sanità ad utilizzare la definizione di pandemia;
    i bambini in sovrappeso o obesi, tra 0 e 5 anni, censiti a livello mondiale dall'Organizzazione mondiale della sanità, sono aumentati dai 31 milioni del 1990 ai 44 milioni nel 2012. Le tendenze del fenomeno indicano ancora un rapido aumento ed a livello globale si stima che nel 2025 i bambini con tale disturbo potranno raggiungere circa i 70 milioni, la maggior parte dei quali sarà concentrata nei Paesi in via di sviluppo. In Italia, i dati 2014 del sistema di sorveglianza nazionale del Ministero della salute mostrano che i bambini in sovrappeso sono il 20,9 per cento, mentre i bambini obesi sono il 9,8 per cento;
    la dieta non sana è uno dei principali fattori di rischio per le malattie non trasmissibili, come l'obesità, ed i rischi presentati da una cattiva alimentazione iniziano già durante l'infanzia, accumulandosi poi nel corso della vita. Questi disturbi alimentari hanno anche un considerevole peso economico sulla spesa sanitaria; in Europa, infatti, si stima che obesità e sovrappeso siano responsabili, per una quota che può arrivare fino all'8 per cento, della spesa sanitaria totale per costi diretti;
    il percorso per combattere il sovrappeso e l'obesità, in particolare quella infantile, per giungere ad uno stile di vita corretto, non può non passare attraverso l'educazione alimentare nella scuola. L'ambiente scolastico è, infatti, il luogo in cui la maggior parte dei bambini e degli adolescenti trascorre buona parte della giornata; le sue finalità educative, le regole organizzative e la scansione della vita scolastica si prestano alla realizzazione di interventi di promozione della salute, ma purtroppo queste materie sono spesso tralasciate e non trovano sufficiente spazio nella scuola italiana;
    alcune proposte di legge e mozioni depositate in Parlamento affrontano l'argomento dell'educazione alimentare per contrastare i disturbi alimentari (si vedano la proposta di legge atto Camera n. 2904 o la mozione n. 1-00744);
    anche l'industria alimentare, in questo scenario, può svolgere un ruolo attivo nel contrastare l'insorgere dell'obesità, riducendo i grassi saturi, gli zuccheri ed i sali negli alimenti ed anche prevedendo un marketing responsabile, con un'attenzione particolare verso bambini e adolescenti. Le forme di marketing alimentare rivolte ai bambini sono, infatti, molto diffuse a livello planetario, in particolare la pubblicità televisiva;
    in Italia, né il codice di autoregolamentazione tv e minori, né la legge n. 122 del 1998, né la successiva «legge Gasparri», né il recente codice di consumo hanno dettato disposizioni specificamente rivolte alla regolamentazione della pubblicità di prodotti alimentari. Pertanto, si fa riferimento alle normative comunitarie che definiscono principi, parametri minimi e disposizioni specifiche a tutela dei minori, come il divieto di inserire la pubblicità nei programmi di cartoni animati;
    nel nostro Paese, tuttavia, si sono riscontrati numerosi casi di violazione evidente di tali disposizioni comunitarie, come il passaggio di spot durante la trasmissione di cartoni animati, la pubblicizzazione di birra o bevande analcoliche energetiche con alto tenore di caffeina nella fascia protetta;
    nel settore privato, come si evince dalla risoluzione WHA63.14 dell'Organizzazione mondiale della sanità del 2010, sono già stati compiuti dei passi in avanti verso la riduzione della commercializzazione di alimenti ad alto contenuto di grassi saturi, acidi grassi trans, zuccheri liberi e sali oltre, che di bevande non alcoliche ai bambini, ed in molti Paesi membri dell'Organizzazione mondiale della sanità sono già in vigore alcune norme applicate al marketing alimentare rivolto ai bambini. In Australia, per esempio, è vietata la pubblicità diretta ai giovani sotto i 14 anni, in Olanda il limite è portato a 12 anni ed in Svezia i personaggi dei cartoon non possono pubblicizzare alimenti per bambini;
    i grassi vegetali, contenuti negli snack e nei dolci, insieme a zuccheri, sodio, coloranti e conservanti, possono essere considerati tra i principali responsabili dell'obesità infantile; in particolare, una percentuale molto alta di questi prodotti è realizzata con olio di palma che contiene dal 45 al 55 per cento di grassi saturi a catena lunga, come l'acido palmitico, e favorisce l'aumento dei livelli di colesterolo;
    sempre in merito alle cattive abitudini alimentari, si segnala la grande diffusione dei distributori automatici, dove acquistano 23 milioni di italiani, tra i quali ben 10 milioni regolarmente, che, pertanto, necessita di un'innovazione e regolamentazione più rigida, soprattutto nei luoghi frequentati da bambini, che punti a privilegiare prodotti naturali, di stagione e made in Italy, con obiettivi salutistici ma anche di formazione;
    bisogna, inoltre, considerare che il consumo di alimenti di origine animale, legato al modello culturale ed economico dei Paesi industrializzati, è destinato a crescere, con implicazioni sulla salute, sulla spesa sanitaria, sull'ambiente e sulla sicurezza alimentare, considerato che, secondo i dati Fao, nel 2050 la popolazione arriverà oltre i 9 miliardi di persone, con il conseguente problema di raddoppiare la produzione globale di cibo, mentre le risorse sostenibili sono limitate;
    dagli anni ’60, infatti, l'Italia ha visto quasi triplicare i propri consumi di carne, da 31 a 87 chili nel 2011, contrariamente alle raccomandazioni delle linee guida internazionali sulla salute e alle indicazioni dell'equilibrata dieta mediterranea; il tutto senza considerare, tra le altre cose, che la produzione di alimenti di origine animale e, quindi, l'impatto delle scelte alimentari, oltre che sulla salute, pesano fortemente su diversi aspetti ambientali;
    in Italia sono diverse le iniziative messe in atto per implementare l'educazione alimentare nelle scuole, partendo anche da iniziative, promosse a livello comunitario, come le attività collegate al progetto «Frutta nelle scuole», al quale il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha recentemente destinato specifici fondi per la realizzazione di azioni di formazione rivolte agli insegnanti delle scuole primarie che hanno aderito al programma. Si tratta di seminari gratuiti per insegnanti che affiancheranno i docenti nel percorso di conoscenza dei prodotti;
    tali iniziative, tuttavia, non appaiono una misura sufficiente per la formazione completa degli insegnanti, che andrebbe, piuttosto, affrontata con apposite iniziative legislative, né tantomeno per una reale sensibilizzazione degli alunni e delle loro famiglie, anche considerando che l'educazione alimentare tocca diversi aspetti della vita: da un rapporto diretto tra cittadino e cibo, fino al rapporto tra consumo di cibo e tutela dell'ambiente,

impegna il Governo:

   a promuovere l'educazione alimentare e motoria nelle scuole dell'infanzia, primarie e secondarie di primo grado, attraverso percorsi rivolti ad alunni e docenti inseriti in modo coordinato nelle attività didattiche e formative dei minori e contenenti informazioni su: apparato digerente e gusto, principi e funzioni nutrizionali, etichette, funzione sociale del cibo, piramide alimentare, suddivisione dei pasti, conservazione degli alimenti, provenienza degli alimenti, importanza dei prodotti tipici, biologici, chilometro zero e chilometro utile, igiene della persona, pericolosità di alimenti e bevande che hanno uno scarso apporto nutrizionale, stile di vita attivo, piramide dell'attività fisica, apparato locomotore, attività sportiva;
   a prevedere programmi di educazione alimentare che contemplino anche l'insegnamento del corretto equilibrio tra consumo e rispetto del cibo, per rendere il consumatore consapevole degli sprechi di cibo, acqua ed energia e dei loro impatti ambientali ed economico-sociali, anche al fine di dimostrare come rendere più sostenibile l'acquisto, la conservazione, la preparazione e lo smaltimento finale degli alimenti;
   a prevedere l'applicazione, a livello nazionale, di standard nutrizionali minimi che i cibi somministrati nelle mense scolastiche ed erogati attraverso distributori automatici, nelle scuole dell'infanzia, primarie e secondarie di primo grado, devono rispettare;
   a sostenere e promuovere nell'ambito dell'educazione alimentare la riduzione del consumo di alimenti di origine animale, indirizzando le scelte alimentari, a cominciare dalle scuole e dai giovani, verso modelli culturali, economici e sociali sostenibili e responsabili;
   a garantire nelle mense scolastiche, di tutti i livelli e gradi, un'adeguata disponibilità di menù privi di qualsiasi alimento di origine animale e a introdurre, per un giorno a settimana, la somministrazione solo di menù privi di alimenti di origine animale;
   ad avviare tutte le iniziative di propria competenza, di concerto con le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, per prevedere l'esclusione dagli appalti delle mense pubbliche di istituti scolastici, ospedali e aziende pubbliche, nonché dei distributori automatici in essi collocati, di ditte fornitrici di prodotti a base di olio di palma;
   a valutare l'opportunità di introdurre, posta la presenza delle sole disposizioni comunitarie, norme più restrittive applicate al marketing alimentare rivolto ai bambini, comprese le pubblicità inserite all'interno di trasmissioni esclusivamente dedicate ai minori, prendendo come esempi i casi dell'Australia, Olanda e Svezia, nonché promuovendo campagne di sensibilizzazione per mezzo di specifici spot sugli organi di stampa mainstream e/o con pubblicità progresso in tv per educare ad una sana alimentazione;
   a promuovere accordi con l'industria alimentare nazionale volti a contrastare l'insorgere dell'obesità, attraverso la progressiva riduzione del contenuto di grassi saturi, acidi grassi trans, zuccheri liberi e sali negli alimenti, con particolare attenzione ai prodotti maggiormente consumati dai minori, e ad assumere eventuali iniziative, anche di carattere normativo, per limitare la vendita di gadget associata agli alimenti per colazione e merende dedicate specificamente ai più piccoli;
   ad assumere iniziative, per quanto di propria competenza, per prevedere un sistema di etichettatura chiaro per i prodotti alimentari commercializzati in Italia contenenti grassi saturi, acidi grassi trans, zuccheri e sali liberi, specie per quelli consumati dai minori.
(1-00836) «Gagnarli, Massimiliano Bernini, Busto, Mantero, Simone Valente, Benedetti, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Parentela, Lorefice, Cristian Iannuzzi».


   La Camera,
   premesso che:
    l'obesità rappresenta il più comune disordine nutrizionale nel mondo occidentale e la sua prevalenza è in progressivo aumento, tanto da indurre l'Organizzazione mondiale della sanità ad utilizzare la definizione di pandemia;
    i bambini in sovrappeso o obesi, tra 0 e 5 anni, censiti a livello mondiale dall'Organizzazione mondiale della sanità, sono aumentati dai 31 milioni del 1990 ai 44 milioni nel 2012. Le tendenze del fenomeno indicano ancora un rapido aumento ed a livello globale si stima che nel 2025 i bambini con tale disturbo potranno raggiungere circa i 70 milioni, la maggior parte dei quali sarà concentrata nei Paesi in via di sviluppo. In Italia, i dati 2014 del sistema di sorveglianza nazionale del Ministero della salute mostrano che i bambini in sovrappeso sono il 20,9 per cento, mentre i bambini obesi sono il 9,8 per cento;
    la dieta non sana è uno dei principali fattori di rischio per le malattie non trasmissibili, come l'obesità, ed i rischi presentati da una cattiva alimentazione iniziano già durante l'infanzia, accumulandosi poi nel corso della vita. Questi disturbi alimentari hanno anche un considerevole peso economico sulla spesa sanitaria; in Europa, infatti, si stima che obesità e sovrappeso siano responsabili, per una quota che può arrivare fino all'8 per cento, della spesa sanitaria totale per costi diretti;
    il percorso per combattere il sovrappeso e l'obesità, in particolare quella infantile, per giungere ad uno stile di vita corretto, non può non passare attraverso l'educazione alimentare nella scuola. L'ambiente scolastico è, infatti, il luogo in cui la maggior parte dei bambini e degli adolescenti trascorre buona parte della giornata; le sue finalità educative, le regole organizzative e la scansione della vita scolastica si prestano alla realizzazione di interventi di promozione della salute, ma purtroppo queste materie sono spesso tralasciate e non trovano sufficiente spazio nella scuola italiana;
    alcune proposte di legge e mozioni depositate in Parlamento affrontano l'argomento dell'educazione alimentare per contrastare i disturbi alimentari (si vedano la proposta di legge atto Camera n. 2904 o la mozione n. 1-00744);
    anche l'industria alimentare, in questo scenario, può svolgere un ruolo attivo nel contrastare l'insorgere dell'obesità, riducendo i grassi saturi, gli zuccheri ed i sali negli alimenti ed anche prevedendo un marketing responsabile, con un'attenzione particolare verso bambini e adolescenti. Le forme di marketing alimentare rivolte ai bambini sono, infatti, molto diffuse a livello planetario, in particolare la pubblicità televisiva;
    in Italia, né il codice di autoregolamentazione tv e minori, né la legge n. 122 del 1998, né la successiva «legge Gasparri», né il recente codice di consumo hanno dettato disposizioni specificamente rivolte alla regolamentazione della pubblicità di prodotti alimentari. Pertanto, si fa riferimento alle normative comunitarie che definiscono principi, parametri minimi e disposizioni specifiche a tutela dei minori, come il divieto di inserire la pubblicità nei programmi di cartoni animati;
    nel nostro Paese, tuttavia, si sono riscontrati numerosi casi di violazione evidente di tali disposizioni comunitarie, come il passaggio di spot durante la trasmissione di cartoni animati, la pubblicizzazione di birra o bevande analcoliche energetiche con alto tenore di caffeina nella fascia protetta;
    nel settore privato, come si evince dalla risoluzione WHA63.14 dell'Organizzazione mondiale della sanità del 2010, sono già stati compiuti dei passi in avanti verso la riduzione della commercializzazione di alimenti ad alto contenuto di grassi saturi, acidi grassi trans, zuccheri liberi e sali oltre, che di bevande non alcoliche ai bambini, ed in molti Paesi membri dell'Organizzazione mondiale della sanità sono già in vigore alcune norme applicate al marketing alimentare rivolto ai bambini. In Australia, per esempio, è vietata la pubblicità diretta ai giovani sotto i 14 anni, in Olanda il limite è portato a 12 anni ed in Svezia i personaggi dei cartoon non possono pubblicizzare alimenti per bambini;
    i grassi vegetali, contenuti negli snack e nei dolci, insieme a zuccheri, sodio, coloranti e conservanti, possono essere considerati tra i principali responsabili dell'obesità infantile; in particolare, una percentuale molto alta di questi prodotti è realizzata con olio di palma che contiene dal 45 al 55 per cento di grassi saturi a catena lunga, come l'acido palmitico, e favorisce l'aumento dei livelli di colesterolo;
    sempre in merito alle cattive abitudini alimentari, si segnala la grande diffusione dei distributori automatici, dove acquistano 23 milioni di italiani, tra i quali ben 10 milioni regolarmente, che, pertanto, necessita di un'innovazione e regolamentazione più rigida, soprattutto nei luoghi frequentati da bambini, che punti a privilegiare prodotti naturali, di stagione e made in Italy, con obiettivi salutistici ma anche di formazione;
    bisogna, inoltre, considerare che il consumo di alimenti di origine animale, legato al modello culturale ed economico dei Paesi industrializzati, è destinato a crescere, con implicazioni sulla salute, sulla spesa sanitaria, sull'ambiente e sulla sicurezza alimentare, considerato che, secondo i dati Fao, nel 2050 la popolazione arriverà oltre i 9 miliardi di persone, con il conseguente problema di raddoppiare la produzione globale di cibo, mentre le risorse sostenibili sono limitate;
    dagli anni ’60, infatti, l'Italia ha visto quasi triplicare i propri consumi di carne, da 31 a 87 chili nel 2011, contrariamente alle raccomandazioni delle linee guida internazionali sulla salute e alle indicazioni dell'equilibrata dieta mediterranea; il tutto senza considerare, tra le altre cose, che la produzione di alimenti di origine animale e, quindi, l'impatto delle scelte alimentari, oltre che sulla salute, pesano fortemente su diversi aspetti ambientali;
    in Italia sono diverse le iniziative messe in atto per implementare l'educazione alimentare nelle scuole, partendo anche da iniziative, promosse a livello comunitario, come le attività collegate al progetto «Frutta nelle scuole», al quale il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha recentemente destinato specifici fondi per la realizzazione di azioni di formazione rivolte agli insegnanti delle scuole primarie che hanno aderito al programma. Si tratta di seminari gratuiti per insegnanti che affiancheranno i docenti nel percorso di conoscenza dei prodotti;
    tali iniziative, tuttavia, non appaiono una misura sufficiente per la formazione completa degli insegnanti, che andrebbe, piuttosto, affrontata con apposite iniziative legislative, né tantomeno per una reale sensibilizzazione degli alunni e delle loro famiglie, anche considerando che l'educazione alimentare tocca diversi aspetti della vita: da un rapporto diretto tra cittadino e cibo, fino al rapporto tra consumo di cibo e tutela dell'ambiente,

impegna il Governo:

   a proseguire le iniziative volte alla promozione presso le istituzioni scolastiche di stili di vita attivi attraverso il movimento e l'attività fisica quotidiana nonché di percorsi mirati all'educazione ad una alimentazione sana, corretta, sostenibile per l'ambiente e altresì a favorire la sensibilizzazione al corretto equilibrio tra consumo e rispetto del cibo per rendere il consumatore consapevole degli sprechi alimentari, di acqua, energia e dei loro impatti ambientali ed economico-sociali, ferma restando l'autonomia delle istituzioni scolastiche nella definizione dei piani dell'offerta formativa;
   a prevedere l'applicazione, a livello nazionale, delle linee di indirizzo nazionale sulla ristorazione scolastica;
   a valutare l'opportunità di introdurre, posta la presenza delle sole disposizioni comunitarie, norme più restrittive applicate al marketing alimentare rivolto ai bambini, comprese le pubblicità inserite all'interno di trasmissioni esclusivamente dedicate ai minori, prendendo come esempi i casi dell'Australia, Olanda e Svezia, nonché promuovendo campagne di sensibilizzazione per mezzo di specifici spot sugli organi di stampa mainstream e/o con pubblicità progresso in tv per educare ad una sana alimentazione;
   a promuovere accordi con l'industria alimentare nazionale volti a contrastare l'insorgere dell'obesità, attraverso la progressiva riduzione del contenuto di grassi saturi, acidi grassi trans, zuccheri liberi e sali negli alimenti, con particolare attenzione ai prodotti maggiormente consumati dai minori, e ad assumere eventuali iniziative, anche di carattere normativo, per limitare la vendita di gadget associata agli alimenti per colazione e merende dedicate specificamente ai più piccoli;
   a favorire opportune iniziative per quanto di propria competenza per migliorare la chiarezza del sistema di etichettatura per i prodotti alimentari commercializzati in Italia contenenti grassi saturi, acidi grassi trans, zuccheri e sali liberi, specie per quelli consumati dai minori.
(1-00836)
(Testo modificato nel corso della seduta come risultante dalla votazione per parti separate) «Gagnarli, Massimiliano Bernini, Busto, Mantero, Simone Valente, Benedetti, Gallinella, L'Abbate, Lupo, Parentela, Lorefice, Cristian Iannuzzi».


   La Camera,
   premesso che:
    la salute è un puzzle composto da educazione alimentare, fisica e mentale;
    lo spreco di cibo nella società è sempre più alto e sempre meno sostenibile. L'Expo 2015 che si terrà a Milano proporrà, con il tema «Nutrire il pianeta, energia per la vita», di affrontare il tema della nutrizione per l'uomo ed affermare il diritto ad un'alimentazione sana, sicura e sufficiente per tutti gli abitanti della Terra;
    il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha pubblicato nel 2011 le «Linee guida per l'educazione alimentare nella scuola italiana», valutando come prioritario l'impegno della scuola di ogni ordine e grado rispetto all'educazione alimentare. Le istituzioni scolastiche, infatti, possono assolvere al compito di guidare un processo positivo di educazione alimentare per il loro radicamento territoriale, il dialogo e come presidio costante per un percorso formativo che conduca gli alunni ad un'alimentazione sana e sicura;
    nel nostro Paese, a partire dagli anni ’90, si sono sviluppati, soprattutto nella popolazione giovanile, problemi legati a cattive abitudini alimentari. Infatti, è aumentato il numero di giovani in sovrappeso o con problemi di obesità. Ciò è particolarmente grave, soprattutto se si pensa al possibile incremento delle malattie cronico-degenerative che possono derivare da tale stile di vita. Nonostante dal 2008 a oggi sia diminuito il numero dei bambini di età intorno agli 8-9 anni in sovrappeso o obesi, permangono, tuttavia, elevati livelli di eccesso ponderale, che pongono l'Italia ai primi posti in Europa per sovrappeso ed obesità infantile. Risulta, altresì, che i genitori non sempre hanno un quadro corretto dello stato ponderale del proprio figlio: dai dati 2014 (tratti da «OKkio alla salute», sistema di sorveglianza attivato dal Ministero della salute) emerge che tra le madri di bambini in sovrappeso o obesi, il 38 per cento non ritiene che il proprio figlio sia in eccesso ponderale e solo il 29 per cento pensa che la quantità di cibo da lui assunta sia eccessiva. Inoltre, solo il 41 per cento delle madri di bambini fisicamente poco attivi ritiene che il proprio figlio svolga una scarsa attività motoria; le persone sedentarie e in sovrappeso possono diventare più resistenti agli effetti dell'insulina, con le ovvie conseguenze che creano un circolo vizioso sull'ulteriore sovrappeso;
    risulta, quindi, fondamentale prestare attenzione alla qualità del cibo ed adottare corrette pratiche alimentari, anche attraverso la promozione di un cambiamento dei comportamenti che può essere favorito da politiche di sensibilizzazione e di educazione alla corretta nutrizione in tutte le fasi della vita;
    non basta porre attenzione a quello che si mangia, ma anche a come si mangia e nel progetto di educazione alimentare i giovani debbono comprendere quante e quali varianti facilitano o rendono più difficile l'assimilazione del cibo. Stare a tavola serenamente e correttamente contribuisce a mangiare meglio; lo stress, ad esempio, nella società moderna ha forti implicazioni sulla vita, anche per i ragazzi. Quando si è sotto stress alcune sostanze nutritive vengono esaurite più velocemente e le reazioni da stress in genere ostacolano i processi di digestione e assorbimento;
    è, altresì, necessario favorire l'orientamento a modelli nutrizionali più sani, anche attraverso la predisposizione di campagne informative rivolte ai cittadini per promuovere stili di vita basati sull'attività fisica e lo sport, favorendo, dunque, l'informazione in merito all'origine degli alimenti, alla tracciabilità dei prodotti agricoli e circa l'importanza dello sviluppo delle produzioni biologiche ed integrate;
    in questi anni insegnanti più attenti al tema della corretta nutrizione hanno elaborato del materiale didattico, frutto della collaborazione interdisciplinare con nutrizionisti, pedagogisti e psicologi, per giungere ad una corretta educazione alimentare anche attraverso comportamenti corretti, che favoriscano nei bambini una maggiore assunzione di ortaggi, legumi e frutta. Gli alunni, attraverso un metodo induttivo, ossia passando dalla pratica alla teoria, vengono messi in condizioni di sviluppare più facilmente conoscenza e consapevolezza di una cultura della qualità, privilegiando una didattica legata al concreto, al fare, all'assaggiare, sviluppando il piacere di sperimentare cose nuove;
    sulla base di tali considerazioni, sarebbe, pertanto, opportuno introdurre nelle scuole l'insegnamento dell'educazione alimentare, indispensabile per chi si occupa in prima persona dell'istruzione degli studenti, con attività mirate ad individuare particolari tematiche concernenti gli aspetti sociali e culturali legati all'alimentazione, evidenziando i rischi legati all'obesità;
    l'Italia attraverso programmi («Guadagnare salute») e piani nazionali (piano nazionale della prevenzione) ha rafforzato le azioni volte alla promozione di stili di vita sani, sviluppando interventi diretti a modificare i comportamenti individuali non salutari ed a creare condizioni ambientali che favoriscano corretti stili di vita,

impegna il Governo:

   ad introdurre nelle scuole del nostro Paese l'insegnamento dell'educazione alimentare attraverso esperienze concrete che facilitino l'acquisizione di corretti stili di vita, al contempo favorendo un sano esercizio fisico, anche attraverso il gioco e specifiche attività sportive, soprattutto nei bambini e negli adolescenti, per evitare che la sedentarietà contribuisca ad aggravare una condizione di cattiva nutrizione, per eccesso o per altre ragioni;
   a favorire iniziative in cui i ragazzi possano scoprire insieme ai loro insegnanti i luoghi dove si può trovare il cibo e capire come si passa dai prodotti naturali alla loro trasformazione: la natura, la bottega, la cucina e la tavola, luoghi scelti perché vicini al loro immaginario e al loro vissuto, per approfondire i principi nutrizionali di base e le sane regole alimentari, aiutandoli anche a scoprire come riutilizzare materiali e ingredienti, imparando a dare il giusto peso anche a quello che sembra poco, in linea con la sfida lanciata da Expo Milano 2015;
   ad effettuare campagne di sensibilizzazione dirette a far conoscere alle famiglie l'importanza di un'alimentazione sana, corretta ed equilibrata per assicurare che il comportamento individuale dei soggetti sia rivolto a scelte di vita salutari.
(1-00837) «Binetti, Dorina Bianchi, Calabrò, Roccella».


   La Camera,
   premesso che:
    la salute è un puzzle composto da educazione alimentare, fisica e mentale;
    lo spreco di cibo nella società è sempre più alto e sempre meno sostenibile. L'Expo 2015 che si terrà a Milano proporrà, con il tema «Nutrire il pianeta, energia per la vita», di affrontare il tema della nutrizione per l'uomo ed affermare il diritto ad un'alimentazione sana, sicura e sufficiente per tutti gli abitanti della Terra;
    il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha pubblicato nel 2011 le «Linee guida per l'educazione alimentare nella scuola italiana», valutando come prioritario l'impegno della scuola di ogni ordine e grado rispetto all'educazione alimentare. Le istituzioni scolastiche, infatti, possono assolvere al compito di guidare un processo positivo di educazione alimentare per il loro radicamento territoriale, il dialogo e come presidio costante per un percorso formativo che conduca gli alunni ad un'alimentazione sana e sicura;
    nel nostro Paese, a partire dagli anni ’90, si sono sviluppati, soprattutto nella popolazione giovanile, problemi legati a cattive abitudini alimentari. Infatti, è aumentato il numero di giovani in sovrappeso o con problemi di obesità. Ciò è particolarmente grave, soprattutto se si pensa al possibile incremento delle malattie cronico-degenerative che possono derivare da tale stile di vita. Nonostante dal 2008 a oggi sia diminuito il numero dei bambini di età intorno agli 8-9 anni in sovrappeso o obesi, permangono, tuttavia, elevati livelli di eccesso ponderale, che pongono l'Italia ai primi posti in Europa per sovrappeso ed obesità infantile. Risulta, altresì, che i genitori non sempre hanno un quadro corretto dello stato ponderale del proprio figlio: dai dati 2014 (tratti da «OKkio alla salute», sistema di sorveglianza attivato dal Ministero della salute) emerge che tra le madri di bambini in sovrappeso o obesi, il 38 per cento non ritiene che il proprio figlio sia in eccesso ponderale e solo il 29 per cento pensa che la quantità di cibo da lui assunta sia eccessiva. Inoltre, solo il 41 per cento delle madri di bambini fisicamente poco attivi ritiene che il proprio figlio svolga una scarsa attività motoria; le persone sedentarie e in sovrappeso possono diventare più resistenti agli effetti dell'insulina, con le ovvie conseguenze che creano un circolo vizioso sull'ulteriore sovrappeso;
    risulta, quindi, fondamentale prestare attenzione alla qualità del cibo ed adottare corrette pratiche alimentari, anche attraverso la promozione di un cambiamento dei comportamenti che può essere favorito da politiche di sensibilizzazione e di educazione alla corretta nutrizione in tutte le fasi della vita;
    non basta porre attenzione a quello che si mangia, ma anche a come si mangia e nel progetto di educazione alimentare i giovani debbono comprendere quante e quali varianti facilitano o rendono più difficile l'assimilazione del cibo. Stare a tavola serenamente e correttamente contribuisce a mangiare meglio; lo stress, ad esempio, nella società moderna ha forti implicazioni sulla vita, anche per i ragazzi. Quando si è sotto stress alcune sostanze nutritive vengono esaurite più velocemente e le reazioni da stress in genere ostacolano i processi di digestione e assorbimento;
    è, altresì, necessario favorire l'orientamento a modelli nutrizionali più sani, anche attraverso la predisposizione di campagne informative rivolte ai cittadini per promuovere stili di vita basati sull'attività fisica e lo sport, favorendo, dunque, l'informazione in merito all'origine degli alimenti, alla tracciabilità dei prodotti agricoli e circa l'importanza dello sviluppo delle produzioni biologiche ed integrate;
    in questi anni insegnanti più attenti al tema della corretta nutrizione hanno elaborato del materiale didattico, frutto della collaborazione interdisciplinare con nutrizionisti, pedagogisti e psicologi, per giungere ad una corretta educazione alimentare anche attraverso comportamenti corretti, che favoriscano nei bambini una maggiore assunzione di ortaggi, legumi e frutta. Gli alunni, attraverso un metodo induttivo, ossia passando dalla pratica alla teoria, vengono messi in condizioni di sviluppare più facilmente conoscenza e consapevolezza di una cultura della qualità, privilegiando una didattica legata al concreto, al fare, all'assaggiare, sviluppando il piacere di sperimentare cose nuove;
    sulla base di tali considerazioni, sarebbe, pertanto, opportuno introdurre nelle scuole l'insegnamento dell'educazione alimentare, indispensabile per chi si occupa in prima persona dell'istruzione degli studenti, con attività mirate ad individuare particolari tematiche concernenti gli aspetti sociali e culturali legati all'alimentazione, evidenziando i rischi legati all'obesità;
    l'Italia attraverso programmi («Guadagnare salute») e piani nazionali (piano nazionale della prevenzione) ha rafforzato le azioni volte alla promozione di stili di vita sani, sviluppando interventi diretti a modificare i comportamenti individuali non salutari ed a creare condizioni ambientali che favoriscano corretti stili di vita,

impegna il Governo:

   a promuovere presso le istituzioni scolastiche l'adozione di stili di vita attivi attraverso il movimento e l'attività fisica quotidiana nonché percorsi mirati all'educazione ad una alimentazione sana, corretta, sostenibile per l'ambiente, ferma restando l'autonomia delle stesse nella definizione dei piani dell'offerta formativa;
   a favorire iniziative in cui i ragazzi possano scoprire insieme ai loro insegnanti i luoghi dove si può trovare il cibo e capire come si passa dai prodotti naturali alla loro trasformazione: la natura, la bottega, la cucina e la tavola, luoghi scelti perché vicini al loro immaginario e al loro vissuto, per approfondire i principi nutrizionali di base e le sane regole alimentari, aiutandoli anche a scoprire come riutilizzare materiali e ingredienti, imparando a dare il giusto peso anche a quello che sembra poco, in linea con la sfida lanciata da Expo Milano 2015;
   ad effettuare campagne di sensibilizzazione dirette a far conoscere alle famiglie l'importanza di un'alimentazione sana, corretta ed equilibrata per assicurare che il comportamento individuale dei soggetti sia rivolto a scelte di vita salutari.
(1-00837)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Binetti, Dorina Bianchi, Calabrò, Roccella».


   La Camera,
   premesso che:
    ai giorni nostri il sistema alimentare è caratterizzato a livello globale da un enorme paradosso, per cui a fronte di quasi un miliardo di persone al mondo che patiscono la fame o sono malnutrite, circa un miliardo e mezzo soffre le conseguenze dell'eccesso di cibo, con aumento del rischio di diabete, tumori e patologie cardiovascolari. I dati dicono che ogni anno si registrano 36 milioni di decessi per assenza di cibo e 29 milioni di decessi per eccesso di cibo, 144 milioni di bambini sono sottopeso, 155 milioni di bambini sono obesi o in sovrappeso;
    secondo dati dell'Organizzazione mondiale della sanità, la prevalenza dell'obesità a livello globale è raddoppiata dal 1980 ad oggi, interessando anche le fasce più giovani della popolazione: si stima che nel 2011 ci fossero nel mondo oltre 40 milioni di bambini al di sotto dei 5 anni in sovrappeso;
    anche nel nostro Paese il problema della malnutrizione si presenta con molteplici sfaccettature che richiedono con urgenza un intervento su più versanti: da un lato, la crescente crisi economica, che coinvolge soprattutto i bambini, sta acuendo le situazioni di autentica sottonutrizione, dall'altro, sono in aumento il sovrappeso e l'obesità;
    la più recente indagine «L'obesità infantile: un problema rilevante e di sanità pubblica» (2015), a cura dell'Osservatorio per la salute del dipartimento di sociologia e ricerca sociale dell'università di Milano Bicocca segnala che l'Italia è uno dei Paesi europei in cui si ha il maggiore aumento dell'obesità infantile (circa 3 punti percentuali al di sopra della media Europea); tra gli 8 e 9 anni, il 25 per cento è obeso e il 50 per cento è in sovrappeso; tra le bambine le percentuali scendono rispettivamente al 16 per cento e al 41 per cento; tra i 6 e gli 11 anni si registra un 10 per cento di obesi e in alcune regioni, soprattutto nel sud del Paese, si raggiungono percentuali superiori al 40 per cento; si stimano oltre un milione e centomila bambini con problemi di obesità e sovrappeso (più di un bambino su tre);
    diverse altre ricerche indicano che i fattori principali sono legati al contesto socio-economico familiare e agli stili di vita: solo il 44,7 per cento dei genitori conosce le regole della sana alimentazione (Censi); il 37 per cento delle madri di figli in sovrappeso non ritiene mai «eccessiva» la quantità di cibo somministrato; il 22 per cento dei bambini non mangia tutti i giorni frutta e verdura; 1 bambino su 10 salta la prima colazione;
    ciò si accompagna a un elevato consumo quotidiano di bevande zuccherate o gassate, insaccati, cibi ipercalorici, snack, come conseguenza di disinformazione diffusa e povertà educativa;
    inoltre uno stile di vita sedentario accresce l'obesità: in Italia 1 bambino su 6 svolge attività motoria soltanto un'ora alla settimana, il 44 per cento ha la tv in camera; il 90 per cento dei ragazzi tra i 10 e i 17 anni è connesso ad Internet più di due ore al giorno; solo il 27 per cento va a scuola a piedi o in bicicletta, solo un bambino su 10 fa attività sportiva in modo adeguato;
    oltre al rischio di insorgenza di patologie già citate, l'obesità infantile è all'origine di problemi muscolari, scheletrici e respiratori, oltre a sofferenze di tipo psicologico legate al disagio sociale, che costituiscono inoltre un costo per la collettività;
    come ricordato nel piano 2014-2020 della Commissione europea per il contrasto dell'obesità giovanile è fondamentale una sinergia tra tutti gli attori – centri di ricerca ed industria alimentare compresi – che contribuiscono alla definizione degli stili di vita alimentari dei giovani, supportando le scuole in programmi di sensibilizzazione delle famiglie per una corretta alimentazione;
    tra le iniziative per una corretta alimentazione il Ministero della salute ha avviato interventi come «Guadagnare Salute», «Bimbi in forma, serve un giro di vita» e il sistema di monitoraggio «OKkio alla Salute» del Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ccm). Quest'ultimo ha evidenziato – nei dati riferiti al 2014 – il perdurare di una quota considerevole di bambini sovrappeso o obesi, pur registrando una leggera flessione rispetto al 2008;
    a livello mondiale, la Fao ha quantificato in 1,3 miliardi di tonnellate – pari ad un terzo della produzione – lo spreco di cibo destinato al consumo umano: una quantità che, se riutilizzata, potrebbe idealmente sfamare per un anno intero metà dell'attuale popolazione, ovvero 3,5 miliardi di persone;
    l'osservatorio Waste Watcher quantifica in 8,1 miliardi di euro l'anno lo spreco domestico italiano nel 2014. Nello stesso anno, in Europa, secondo la Commissione europea (direzione generale della salute e della sicurezza alimentare), gli sprechi sarebbero quantificati in 100 tonnellate l'anno, escluse le perdite nella produzione agricola e i rigetti in mare di pesce;
    il Parlamento europeo, con la risoluzione 2011/2175 del 19 gennaio 2012, ha proclamato il 2014 quale «Anno europeo contro gli sprechi alimentari» e ha riconosciuto la sicurezza alimentare come un diritto fondamentale dell'umanità, esercitabile per mezzo di politiche tese a incrementare la sostenibilità e l'efficienza delle fasi di produzione e di consumo;
    il Governo, attraverso il Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare (Pinpas), ha recepito le sollecitazioni dell'Unione europea in materia di riduzione degli sprechi e ha avviato un percorso di consultazione di tutti gli stakeholder e dei protagonisti della filiera agroalimentare italiana: gli enti locali, le istituzioni, le associazioni di volontariato, le aziende, le associazioni di consumatori, i produttori e la grande distribuzione organizzata;
    la parte II, titolo I, capo II, sezione 1 del regolamento (UE) n. 1308/2013 (OCM unica), disciplina i programmi di distribuzione di ortofrutticoli, comprese le banane, e di distribuzione di latte nelle scuole;
    il 30 gennaio 2014 la Commissione europea ha pubblicato una nuova proposta di regolamento (COM(2014)0032) che modifica il regolamento (UE) n. 1308/2013 e il regolamento (UE) n. 1306/2013 per quanto riguarda il finanziamento del regime di aiuti per la distribuzione di ortofrutticoli, banane e latte negli istituti scolastici;
    l'acquisizione di buone abitudini alimentari nella prima fase della vita è poi generalmente mantenuta nel tempo e un'alimentazione sana, in cui è essenziale il consumo di adeguate quantità di frutta e verdura, soprattutto nell'infanzia, svolge un ruolo fondamentale nel ridurre i tassi di obesità e, quindi, il rischio di soffrire di gravi problemi di salute negli anni successivi;
    la «malnutrizione» non è la denutrizione ma uno squilibrio (per carenza o eccesso o per qualità) nell'assunzione di cibo, derivante dalla combinazione di più fattori, pertanto l'importanza dell'educazione alimentare si colloca nella duplice istanza di salvaguardare informazione e la salute, nonché di prevenire le conseguenze patologiche che si manifestano in età adulta;
    l'educazione alimentare è, quindi, senza dubbio, un investimento importante per il futuro; tra pochi giorni si aprirà a Milano l'Esposizione universale del 2015, dedicata al tema della nutrizione e del cibo, intitolata «Nutrire il pianeta, energia per la vita»; tale evento può essere l'occasione per portare l'opinione pubblica ad un livello di consapevolezza maggiore in relazione ai temi dell'alimentazione sostenibile, sicura e nutriente;
    in tale contesto la dieta mediterranea, patrimonio culturale immateriale dell'Unesco, è un vero e proprio stile di vita che incorpora saperi, sapori, elaborazioni, prodotti alimentari, coltivazioni e spazi sociali legati ai territori;
    è necessaria una campagna massiccia di informazione che coinvolga i ragazzi e i genitori, tramite la scuola e le altre agenzie educative, oltre ai media; la scuola si rivela essere, in particolare, il luogo di elezione per fare un'efficace educazione alimentare attraverso il proprio radicamento territoriale, la specifica ricchezza interculturale, il dialogo e l'osservazione quotidiana con i ragazzi, con il presidio costante e interdisciplinare del percorso formativo, con la possibilità di costruire connessioni cognitive mirate. Attraverso questo approccio, essa si configura come l'istituto sociale che prima di ogni altro può assolvere il compito di guidare il processo radicale di riappropriazione e di esplorazione emotiva e culturale del complesso atto alimentare;
    a tal fine è indispensabile sviluppare la sensibilità ai temi del benessere, della salute, della prevenzione, dell'adozione di corretti stili di vita, nonché la conveniente comprensione del processo di nutrizione personale e collettiva, delle funzionalità della filiera alimentare, delle valenze mediche e ambientali, della stagionalità e territorialità dei prodotti alimentari, dei consumi responsabili oltre che dei contesti economici, etici e sociali entro i quali si muove nel suo complesso il «sistema cibo»;
    l'estrema attualità degli argomenti relativi all'alimentazione e nutrizione, alla sicurezza degli alimenti, agli obblighi nazionali e comunitari, suggerisce che tali tematiche costituiscano oggetto di attento studio e riflessione collettiva, in un'ottica interdisciplinare, anche nell'ambito del dialogo interculturale e dell'educazione allo sviluppo sostenibile inteso secondo i criteri di sostenibilità ecologica, sociale ed economica, alla solidarietà, alla pace e alla legalità;
    poiché ancora risulta prevalere la percezione della qualità del cibo come un qualcosa di meramente «tecnico» – che certamente non corrisponde alla qualità globale del sistema alimentazione – è necessario sensibilizzare le giovani generazioni su un'idea di qualità più complessiva, che coinvolga, oltre al benessere del singolo, quello della società in cui vive e quello dell'ambiente da cui ottiene le risorse. È questa la sfida attuale, il salto da operare sul piano culturale attraverso adeguate iniziative di educazione alimentare;
    sul sito del «MIUR verso Expo» si afferma che «il mondo della scuola contribuisce attraverso le sue eccellenze alla stesura della Carta di Milano e alla preparazione delle linee guida sull'educazione alimentare»;
    grazie al protocollo con Expo Milano 2015 e Padiglione Italia, più di 700 scuole presenteranno i loro lavori al pubblico dell'Esposizione universale. Saranno presentate 4 unità didattiche al giorno per un totale di 736 progetti, rappresentativi delle 20 regioni;
    con «Vivaio Ricerca» il Consiglio nazionale delle ricerche presenterà al Padiglione Italia un programma di 24 eventi di carattere interdisciplinare legati al tema agricoltura e ambiente;
    occorre prendere in considerazione un secondo aspetto nell'educazione alimentare che non ha direttamente a che vedere con la quantità/qualità del cibo, ma con il significato simbolico della nutrizione e con l'immagine della corporeità: si tratta dei disturbi del comportamento alimentare, denominazione che sembra quasi volere, ancora una volta, spostare l'attenzione all'oggettività dell'alimentarsi, piuttosto che alla soggettività dei vissuti corporei in relazione alla dimensione dell'essere se stessi/e;
    che i sintomi più diffusi, anoressia e bulimia, accomunati dalla difficoltà di essere e di poter essere il proprio corpo, richiedono altrettanta urgenza educativa nel porre in questione una segreta e dolorosa ferita nell'immagine di sé che spinge giovani ragazze a ricercare anche la morte possibile nell'invisibilità della diafana trasparenza del corpo; si continua a vivere in quei corpi scarnificati sconfinando ambiguamente nel morire; il problema educativo passa in questo caso dalla dignità del corpo, contro ogni forma di negazione, di enfatizzazione o di esibizione della corporeità;
    l'attenzione all'alimentazione nelle scuole può anche essere un primo strumento per cogliere in tempo i primi segnali di disturbi alimentari sempre più diffusi soprattutto in età adolescenziale. Il percorso che ogni adolescente deve compiere per passare dall'infanzia all'età adulta è sempre complesso. Ecco perché alcuni giovani risponderebbero a questo momento di difficoltà modificando il proprio comportamento alimentare ed esprimendo il proprio disagio attraverso vari disturbi del comportamento alimentare. Nessuno, però, è ancora in grado di stabilire quali siano le reali cause dei disturbi del comportamento alimentare. Per molti esperti, si tratta di sintomi risultanti dalla complessa interazione di fattori biologici, genetici, ambientali, sociali, psicologici e psichiatrici. Alcuni insistono sull'influenza negativa che possono avere un eccesso di pressione e di aspettative da parte dei familiari o, al contrario, sull'assenza di riconoscimento e di attenzione da parte dei genitori, degli insegnanti e più generalmente degli adulti che li circondano. Altri sottolineano l'importanza di traumi vissuti durante l'infanzia, come le violenze e gli abusi sessuali, fisici o psicologici. Altri ancora condannano l'impatto che potrebbero avere alcuni messaggi veicolati dalla società: uno dei motivi per cui alcune ragazze inizierebbero a sottoporsi a diete eccessive sarebbe la necessità di corrispondere a determinati canoni estetici che premiano la magrezza, anche nei suoi eccessi;
    l'educazione all'alimentazione non può di per sé essere una risposta alla drammaticità del problema, ma rischia addirittura di essere dannoso, sottovalutando il fatto che, nei disturbi del comportamento alimentare, il cibo, in quanto tale, è solo un pretesto, il sintomo di un malessere molto più profondo. Nel caso dei disturbi del comportamento alimentare, il mangiare o il non-mangiare non hanno più niente a che vedere con la fame;
    interrogarsi sul rapporto tra cibo, corpo e fame attraverso il prisma dei disturbi del comportamento alimentare significa innanzitutto interrogarsi sui meccanismi che portano alcune persone ad utilizzare il corpo e la fame per dire quello che non riescono a dire altrimenti. Nel loro corpo emaciato, le anoressiche sfidano la morte, proprio mentre la portano in giro come una medaglia da mostrare; sfidano i desideri negando i bisogni primari del proprio corpo, proprio mentre il desiderio non riesce più ad emergere; sfidano le norme sociali per sentirsi libere, proprio mentre costruiscono da sole un sistema intransigente di leggi che non possono trasgredire;
    per rendere possibile la costruzione di una nuova immagine di sé occorre un percorso educativo/rieducativo capace di recuperare nuove modalità di rapporto con il proprio corpo come espressione di sé; pur nella complessità delle sfaccettature si può affermare che il cibo rappresenta il nutrimento, il calore, l'amore: la bulimia e l'anoressia sono spesso comportamenti che indicano depressioni «mascherate», dai contorni sfuggenti, nei quali è tuttavia innegabile l'influenza di una cultura del corpo che si fa peso insopportabile e risucchia ogni intenzionalità legata a sé, al mondo e agli altri e si accompagna all'esperienza della solitudine; dall'immagine ideale di un corpo snellissimo fino ai limiti dell'evanescenza incorporea la persona anoressica giunge a negare la fame, la fatica, la stanchezza, in una volontà di movimento senza sosta e senza riposo,

impegna il Governo:

   ad affrontare le attività di educazione alimentare nella scuola mediante un approccio sistemico capace di attivare ampie sinergie che coinvolgano tutti i soggetti della vita sociale – le istituzioni socio sanitarie, gli enti locali, l'industria alimentare, il mondo agricolo, della distribuzione, della vendita e della comunicazione e, soprattutto, le famiglie – univocamente finalizzate alla promozione del benessere, come indispensabile elemento di crescita comune incentivando la consapevolezza dell'importanza del rapporto cibo-salute;
   a promuovere, in tale contesto, una «cultura del benessere» che, da un lato, favorisca la prevenzione dell'insorgenza di patologie dell'età adulta, quali diabete, tumori e patologie cardiovascolari mediante la riduzione dei fattori di rischio connessi alla sedentarietà e ad una scorretta alimentazione e, dall'altro, si riappropri di uno degli aspetti fondamentali della cultura secolare italiana dell'alimentazione quali il «piacere della tavola» e la convivialità, utilizzando concretamente il «valore aggiunto» in termini di salute, benessere e qualità della vita che offre l'alimentazione di tipo mediterraneo;
   a promuovere, nell'ambito delle attività di educazione alimentare, la conoscenza del sistema agroalimentare attraverso la comprensione delle relazioni esistenti tra sistemi produttivi e distributivi, in rapporto alle risorse alimentari, all'ambiente e alla società;
   ad informare ogni attività di educazione alimentare, secondo un'immagine del cibo che ne identifichi: valore nutritivo; sicurezza; caratteristiche sensoriali; rispetto dell'ambiente e delle risorse nella produzione, distribuzione e consumo; valutazione della sostenibilità quale parametro connesso all'impatto che le produzioni agroalimentari hanno sull'ambiente e sull'organizzazione sociale; rispetto dei fondamentali principi etici nella produzione e distribuzione (equità sociale, benessere animale ed altro); gratificazione nell'acquisto e nel consumo;
   a mettere in atto, anche nelle scuole, tutte le azioni necessarie per una piena attuazione del Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare (Pinpas) mediante strumenti e soluzioni che favoriscano e facilitino la donazione delle eccedenze e dei prodotti non consumati attraverso la semplificazione, razionalizzazione e l'armonizzazione del quadro di riferimento normativo procedurale, fiscale e igienico-sanitario;
   a potenziare tutte le strategie pedagogiche possibili per prevenire i disturbi del comportamento alimentare, soprattutto potenziando l'educazione alla soggettività corporea che ancora sconta la mancata individuazione di strategie educative rispetto a ciò che significa crescere come soggetti corporei, nei percorsi formativi scolastici e familiari;
   a favorire, fin dall'infanzia e dall'adolescenza, tramite la scuola e le altre agenzie educative, ma soprattutto coinvolgendo i media, la consapevolezza del valore della propria specificità e unicità esistenziale, incoraggiando il diventare soggetti-corpo, in quanto una delle dimensioni educative fondamentali è quella di conservare la consapevolezza e la responsabilità del corpo che «siamo», iniziando dal nutrimento del un corpo-persona.
(1-00839) «Malpezzi, Gadda, Coscia, Iori, Marzano, D'Incecco, Cenni, Blazina, Ascani, Bossa, Carocci, Coccia, Crimì, D'Ottavio, Ghizzoni, Malisani, Manzi, Narduolo, Pes, Piccoli Nardelli, Rampi, Rocchi, Andrea Romano, Paolo Rossi, Sgambato, Ventricelli, Amoddio, Carra, Fabbri, Carnevali».


   La Camera,
   premesso che:
    il ruolo educativo della scuola, nell'ambito dell'educazione alimentare, rappresenta un elemento fondamentale del processo di sviluppo delle giovani generazioni, nella consapevolezza che i corretti comportamenti alimentari costituiscono fonte di salute e benessere per uno stile di vita ispirato ad una sana alimentazione mediterranea;
    a tal fine, le recenti iniziative in ambito comunitario hanno previsto l'introduzione di programmi destinati a migliorare l'accesso ai prodotti alimentari, con riferimento ai bambini che frequentano scuole materne, istituti d'istruzione primaria o secondaria amministrati o riconosciuti dalle autorità competenti di uno Stato membro;
    il regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013, che istituisce un'organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli, nell'ambito delle misure di applicazione, ha previsto, a tal proposito, una serie di norme di aiuto dell'Unione europea, per la distribuzione ai bambini di ortofrutticoli, anche trasformati, di banane e prodotti derivati, per la fornitura di latte e di prodotti lattiero-caseari, finalizzate a rafforzare il quadro educativo e informativo alimentare nel sistema scolastico, per una corretta alimentazione e migliorare le abitudini degli adolescenti;
    interventi normativi supplementari, di modifica al suesposto regolamento (UE) n. 1308/2013 hanno stabilito, inoltre, nuove misure intese a riunire in un quadro comune due distinti programmi per le scuole: «Frutta nelle scuole» e «Latte nelle scuole», con l'obiettivo di affrontare con maggiore decisione il problema della cattiva alimentazione, rafforzare la dimensione educativa dei programmi e contribuire alla lotta contro l'obesità;
    secondo il Commissario europeo per l'agricoltura e lo sviluppo rurale Dacian Ciolos, attraverso i cambiamenti preposti all'interno della nuova proposta di regolamento (COM(2014)0032) con il nuovo regime di aiuti (che funzionerà nell'ambito di un quadro giuridico e finanziario comune), si permetterà di migliorare e semplificare i requisiti amministrativi dei due programmi esistenti, riducendo gli oneri, in termini di gestione e organizzazione, per le autorità nazionali, le scuole e i fornitori, ma si potrà anche aumentare l'efficacia del programma comunitario;
    al riguardo, nel rinnovato quadro normativo e nelle prospettive che la Commissione europea descrive in materia di educazione alimentare per l'infanzia e l'età adolescenziale, l'alimentazione assume così primaria importanza, in quanto da tempo si sono evidenziati segnali di aumento di numerose patologie legate agli stili di vita a cui si è unito il ruolo fondamentale svolto dall'attività fisica e dalla corretta nutrizione per la protezione della salute (anche con riferimento ai casi di sovrappeso ed obesità); indicatori che rappresentano, a tal fine, un filo conduttore fondamentale all'interno dei contesti scolastici;
    le numerose iniziative attivate negli ultimi anni, sia a livello nazionale che continentale, confermano pertanto l'interesse delle istituzioni in proposito e le azioni trasversali nell'ambito scolastico (di ogni ordine e grado), con richiami ed integrazioni alla conoscenza del cibo, dei consumi alimentari, della funzione degli alimenti e degli aspetti culturali, sanitari ed economici dell'alimentazione e hanno una rilevanza didattico-educativa indubbiamente importante all'interno delle decisioni intraprese degli Stati membri;
    ciononostante il problema dell'obesità infantile, che s'inserisce in un andamento generalizzato in tutto l'Occidente, tanto più grave se considerato alla luce del grandissimo numero di bambini che, all'inverso, soffrono per insufficienza di cibo, rappresenta un fenomeno tuttora complesso e articolato, che coinvolge direttamente il nostro Paese, ai primi posti in Europa in termini di maggiore diffusione;
    gli interventi adottati in sede europea, attraverso i suesposti programmi di sostegno, finalizzati a instaurare un filo diretto tra aziende agricole e scuole (attraverso misure educative destinate a sensibilizzare i bambini sull'importanza di abitudini alimentari corrette e sulla gamma di prodotti agricoli disponibili, nonché sugli aspetti riguardanti la sostenibilità, l'ambiente e i rifiuti alimentari, affiancati alle iniziative di promozione dei singoli Paesi membri), se, da un lato, rappresentano segnali incoraggianti, dall'altro ribadiscono la necessità di perseguire iniziative più rigorose per contrastare il fenomeno dell'obesità, specie quella infantile;
    al riguardo, le attività promozionali sostenute dall'Italia, nell'ultimo periodo, come ad esempio il programma «Frutta nelle scuole» che risulta indubbiamente datato (essendo basato su disposizioni introdotte con i regolamenti (CE) n. 1234/2007 e n.288/2009), finalizzate ad aumentare il consumo di frutta e verdura da parte dei bambini e attuare iniziative che sopportino più corrette abitudini alimentari e una nutrizione maggiormente equilibrata, non sembrano aver conseguito risultati positivi ed utili, in grado di invertire un trend che permane fortemente negativo, come dimostrano gli ultimi dati forniti dal Ministero della salute (che confermano come l'Italia rimanga ai primi posti in Europa per obesità con il 20,9 per cento di bambini in sovrappeso e il 9,8 per cento obeso);
    il programma di educazione sperimentale nelle scuole, annunciato nel marzo del 2014 dal Governo Renzi (che avrebbe dovuto coinvolgere tutte le scuole d'Italia a partire dall'anno scolastico in corso, ma che in realtà non sembra aver conseguito particolare successo), in occasione dell'evento universale dell'Expo 2015, che partirà il 1o maggio 2015, se, da un lato, rappresenta un'iniziativa di sensibilizzazione condivisibile sul tema del cibo sano e sostenibile per i giovani, dall'altro, se non adeguatamente sostenuto, anche attraverso interventi finanziari, rischia di non determinare alcun effetto positivo, in termini di conoscenza e divulgazione e di una corretta educazione alimentare nelle scuole;
    la necessità d'intervenire in maniera più efficace, per migliorare il quadro di salute delle giovani generazioni, attraverso una serie di linee guida in materia di educazione alimentare nelle scuole, risulta a tal fine non più rinviabile, se si valutano il preoccupante aumento della diffusione di sovrappeso e obesità e le future implicazioni socio-sanitarie legate al prevedibile incremento delle malattie cronico-degenerative connesse a questi stati;
    in tale ambito, occorre perseguire all'interno del sistema scolastico nazionale la promozione della cultura alimentare, legata alla dieta mediterranea, riconosciuta come modello virtuoso di salute e patrimonio dell'umanità da parte dell'Unesco dal 2010, rafforzandone il valore, attraverso un approccio sistemico attento sia ai prodotti (incentivando la ricchezza della biodiversità del territorio italiano e la filiera corta, in particolare i prodotti biologici), che alle relazioni tra i soggetti che ad essi li legano;
    con riferimento ai programmi finalizzati a migliorare l'accesso dei prodotti alimentari nelle scuole (siano essi ortofrutticoli o di altro genere), l'incremento della diffusione dei prodotti a «chilometro zero» (provenienti da filiera corta in grado di garantire un limitato apporto di emissioni inquinanti legate alla fase di movimentazione dei prodotti agricoli ed agroalimentari e che mirano a consentirne l'individuazione) rappresenta una misura idonea ed efficace, capace di migliorare la qualità nutrizionale dell'offerta alimentare proposta all'interno della ristorazione scolastica;
    l'imminente avvio dell'Expo 2015 (che porrà al centro dell'attenzione mondiale sul tema: «Nutrire il pianeta, energia per la vita»), darà rilevanza al tema del cibo e dell'alimentazione delle future generazioni, offrendo un'occasione imperdibile per dare centralità ai temi dell'educazione alimentare, sui quali occorrerà accrescere i livelli di attenzione e l'azione del Governo, con argomenti di richiamo e di integrazione nel sistema scolastico italiano che risultano in forte ritardo,

impegna il Governo:

   ad intervenire in sede comunitaria, al fine di una revisione complessiva di un metodo decisionale indirizzato in via principale alla promozione e distribuzione dei prodotti agricoli, potenziando invece la dimensione educativa dei programmi fra cui quello «frutta e latte» nelle scuole, in precedenza richiamato, il cui processo comunicativo volto a migliorare le abitudini alimentari risulta in forte ritardo;
   ad attivarsi in ambito europeo affinché si eviti il rinvio dei lavori della proposta di regolamento (COM(2014)0032) relativo al finanziamento del regime di aiuti per la distribuzione di ortofrutticoli e latte negli istituti scolastici;
   ad assumere iniziative in sede di Unione europea affinché si preveda, attraverso specifici negoziati, che, all'interno della sopradetta proposta di regolamento, siano stabilite specifiche misure in favore delle giovani generazioni, finalizzate a rafforzare il quadro complessivo dell'educazione alimentare all'interno del sistema scolastico, con specifico riferimento ai seguenti obiettivi:
    a) potenziare la dotazione finanziaria annuale destinata agli Stati membri, attribuendo ad essi una percentuale pari al 30 per cento;
    b) aumentare la gamma dei prodotti agroalimentari ammissibili, all'interno delle scuole, riconoscendo una particolare attenzione a quelli facenti parte della dieta mediterranea, che rappresenta un patrimonio culturale condiviso dell'umanità, una componente importante di identità culturale, d'innovazione e sviluppo economico sostenibile e un elemento riconosciuto di prevenzione delle malattie cardiovascolari;
    c) concedere una specifica valenza qualitativa e distintiva alle produzioni agricole e agroalimentari, a partire da quelle di qualità certificata e biologiche e dagli alimenti a «chilometro zero» provenienti da filiera corta, le cui caratteristiche, in termini di qualità nutrizionali, di sicurezza, di eticità e di ecocompatibilità, possono determinare effetti positivi e virtuosi, all'interno del quadro delle misure volte a tutelare la salute delle giovani generazioni;
    d) incrementare l'attività conoscitiva e le linee guida dei metodi educativi alimentari che s'intendono introdurre all'interno delle realtà scolastiche, attraverso un'attività sinergica e di collaborazione, oltre che con le istituzioni nazionali e regionali, anche con il sistema delle imprese agroalimentari, direttamente interessate dalla distribuzione dei prodotti dell'intera gamma agroalimentare, e quello universitario e della ricerca;
    e) includere i prodotti agricoli e agroalimentari relativi alle misure in precedenza indicate tra quelli beneficiari di pagamenti nazionali ad integrazione dell'aiuto unionale di cui all'articolo 217 del regolamento (UE) n. 1308/2013;
    f) aumentare la diffusione del modello agroalimentare attraverso la presenza dei prodotti del made in Italy, il cui valore qualitativo e nutrizionale universalmente riconosciuto è fondamentale per garantire la sicurezza alimentare all'interno delle scuole e ridurre le patologie legate al sovrappeso e all'obesità;
    g) valutare l'opportunità di assumere iniziative normative in materia di educazione alimentare per promuovere l'educazione alimentare nella scuola italiana, nella ricerca di orientamenti innovativi in materia, con specifica attenzione agli aspetti metodologici, considerando le rilevazioni ed i suggerimenti provenienti dal contesto sanitario.
(1-00841) «Faenzi, Centemero, Catanoso, Fabrizio Di Stefano, Riccardo Gallo, Russo, Palese, Ciracì, Marti, Distaso, Fucci».


   La Camera,
   premesso che:
    il ruolo educativo della scuola, nell'ambito dell'educazione alimentare, rappresenta un elemento fondamentale del processo di sviluppo delle giovani generazioni, nella consapevolezza che i corretti comportamenti alimentari costituiscono fonte di salute e benessere per uno stile di vita ispirato ad una sana alimentazione mediterranea;
    a tal fine, le recenti iniziative in ambito comunitario hanno previsto l'introduzione di programmi destinati a migliorare l'accesso ai prodotti alimentari, con riferimento ai bambini che frequentano scuole materne, istituti d'istruzione primaria o secondaria amministrati o riconosciuti dalle autorità competenti di uno Stato membro;
    il regolamento (UE) n. 1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013, che istituisce un'organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli, nell'ambito delle misure di applicazione, ha previsto, a tal proposito, una serie di norme di aiuto dell'Unione europea, per la distribuzione ai bambini di ortofrutticoli, anche trasformati, di banane e prodotti derivati, per la fornitura di latte e di prodotti lattiero-caseari, finalizzate a rafforzare il quadro educativo e informativo alimentare nel sistema scolastico, per una corretta alimentazione e migliorare le abitudini degli adolescenti;
    interventi normativi supplementari, di modifica al suesposto regolamento (UE) n. 1308/2013 hanno stabilito, inoltre, nuove misure intese a riunire in un quadro comune due distinti programmi per le scuole: «Frutta nelle scuole» e «Latte nelle scuole», con l'obiettivo di affrontare con maggiore decisione il problema della cattiva alimentazione, rafforzare la dimensione educativa dei programmi e contribuire alla lotta contro l'obesità;
    secondo il Commissario europeo per l'agricoltura e lo sviluppo rurale Dacian Ciolos, attraverso i cambiamenti preposti all'interno della nuova proposta di regolamento (COM(2014)0032) con il nuovo regime di aiuti (che funzionerà nell'ambito di un quadro giuridico e finanziario comune), si permetterà di migliorare e semplificare i requisiti amministrativi dei due programmi esistenti, riducendo gli oneri, in termini di gestione e organizzazione, per le autorità nazionali, le scuole e i fornitori, ma si potrà anche aumentare l'efficacia del programma comunitario;
    al riguardo, nel rinnovato quadro normativo e nelle prospettive che la Commissione europea descrive in materia di educazione alimentare per l'infanzia e l'età adolescenziale, l'alimentazione assume così primaria importanza, in quanto da tempo si sono evidenziati segnali di aumento di numerose patologie legate agli stili di vita a cui si è unito il ruolo fondamentale svolto dall'attività fisica e dalla corretta nutrizione per la protezione della salute (anche con riferimento ai casi di sovrappeso ed obesità); indicatori che rappresentano, a tal fine, un filo conduttore fondamentale all'interno dei contesti scolastici;
    le numerose iniziative attivate negli ultimi anni, sia a livello nazionale che continentale, confermano pertanto l'interesse delle istituzioni in proposito e le azioni trasversali nell'ambito scolastico (di ogni ordine e grado), con richiami ed integrazioni alla conoscenza del cibo, dei consumi alimentari, della funzione degli alimenti e degli aspetti culturali, sanitari ed economici dell'alimentazione e hanno una rilevanza didattico-educativa indubbiamente importante all'interno delle decisioni intraprese degli Stati membri;
    ciononostante il problema dell'obesità infantile, che s'inserisce in un andamento generalizzato in tutto l'Occidente, tanto più grave se considerato alla luce del grandissimo numero di bambini che, all'inverso, soffrono per insufficienza di cibo, rappresenta un fenomeno tuttora complesso e articolato, che coinvolge direttamente il nostro Paese, ai primi posti in Europa in termini di maggiore diffusione;
    gli interventi adottati in sede europea, attraverso i suesposti programmi di sostegno, finalizzati a instaurare un filo diretto tra aziende agricole e scuole (attraverso misure educative destinate a sensibilizzare i bambini sull'importanza di abitudini alimentari corrette e sulla gamma di prodotti agricoli disponibili, nonché sugli aspetti riguardanti la sostenibilità, l'ambiente e i rifiuti alimentari, affiancati alle iniziative di promozione dei singoli Paesi membri), se, da un lato, rappresentano segnali incoraggianti, dall'altro ribadiscono la necessità di perseguire iniziative più rigorose per contrastare il fenomeno dell'obesità, specie quella infantile;
    al riguardo, le attività promozionali sostenute dall'Italia, nell'ultimo periodo, come ad esempio il programma «Frutta nelle scuole» che risulta indubbiamente datato (essendo basato su disposizioni introdotte con i regolamenti (CE) n. 1234/2007 e n.288/2009), finalizzate ad aumentare il consumo di frutta e verdura da parte dei bambini e attuare iniziative che sopportino più corrette abitudini alimentari e una nutrizione maggiormente equilibrata, non sembrano aver conseguito risultati positivi ed utili, in grado di invertire un trend che permane fortemente negativo, come dimostrano gli ultimi dati forniti dal Ministero della salute (che confermano come l'Italia rimanga ai primi posti in Europa per obesità con il 20,9 per cento di bambini in sovrappeso e il 9,8 per cento obeso);
    il programma di educazione sperimentale nelle scuole, annunciato nel marzo del 2014 dal Governo Renzi (che avrebbe dovuto coinvolgere tutte le scuole d'Italia a partire dall'anno scolastico in corso, ma che in realtà non sembra aver conseguito particolare successo), in occasione dell'evento universale dell'Expo 2015, che partirà il 1o maggio 2015, se, da un lato, rappresenta un'iniziativa di sensibilizzazione condivisibile sul tema del cibo sano e sostenibile per i giovani, dall'altro, se non adeguatamente sostenuto, anche attraverso interventi finanziari, rischia di non determinare alcun effetto positivo, in termini di conoscenza e divulgazione e di una corretta educazione alimentare nelle scuole;
    la necessità d'intervenire in maniera più efficace, per migliorare il quadro di salute delle giovani generazioni, attraverso una serie di linee guida in materia di educazione alimentare nelle scuole, risulta a tal fine non più rinviabile, se si valutano il preoccupante aumento della diffusione di sovrappeso e obesità e le future implicazioni socio-sanitarie legate al prevedibile incremento delle malattie cronico-degenerative connesse a questi stati;
    in tale ambito, occorre perseguire all'interno del sistema scolastico nazionale la promozione della cultura alimentare, legata alla dieta mediterranea, riconosciuta come modello virtuoso di salute e patrimonio dell'umanità da parte dell'Unesco dal 2010, rafforzandone il valore, attraverso un approccio sistemico attento sia ai prodotti (incentivando la ricchezza della biodiversità del territorio italiano e la filiera corta, in particolare i prodotti biologici), che alle relazioni tra i soggetti che ad essi li legano;
    con riferimento ai programmi finalizzati a migliorare l'accesso dei prodotti alimentari nelle scuole (siano essi ortofrutticoli o di altro genere), l'incremento della diffusione dei prodotti a «chilometro zero» (provenienti da filiera corta in grado di garantire un limitato apporto di emissioni inquinanti legate alla fase di movimentazione dei prodotti agricoli ed agroalimentari e che mirano a consentirne l'individuazione) rappresenta una misura idonea ed efficace, capace di migliorare la qualità nutrizionale dell'offerta alimentare proposta all'interno della ristorazione scolastica;
    l'imminente avvio dell'Expo 2015 (che porrà al centro dell'attenzione mondiale sul tema: «Nutrire il pianeta, energia per la vita»), darà rilevanza al tema del cibo e dell'alimentazione delle future generazioni, offrendo un'occasione imperdibile per dare centralità ai temi dell'educazione alimentare, sui quali occorrerà accrescere i livelli di attenzione e l'azione del Governo, con argomenti di richiamo e di integrazione nel sistema scolastico italiano che risultano in forte ritardo,

impegna il Governo:

   ad intervenire in sede comunitaria, al fine di una revisione complessiva di un metodo decisionale indirizzato in via principale alla promozione e distribuzione dei prodotti agricoli, potenziando invece la dimensione educativa dei programmi fra cui quello «frutta e latte» nelle scuole, in precedenza richiamato, il cui processo comunicativo volto a migliorare le abitudini alimentari risulta in forte ritardo;
   ad attivarsi in ambito europeo affinché si eviti il rinvio dei lavori della proposta di regolamento (COM(2014)0032) relativo al finanziamento del regime di aiuti per la distribuzione di ortofrutticoli e latte negli istituti scolastici;
   ad assumere iniziative in sede di Unione europea affinché si preveda, attraverso specifici negoziati, che, all'interno della sopradetta proposta di regolamento, siano stabilite specifiche misure in favore delle giovani generazioni, finalizzate a rafforzare il quadro complessivo dell'educazione alimentare all'interno del sistema scolastico, con specifico riferimento ai seguenti obiettivi:
    a) potenziare la dotazione finanziaria annuale destinata agli Stati membri;
    b) aumentare la gamma dei prodotti agroalimentari ammissibili, all'interno delle scuole, riconoscendo una particolare attenzione a quelli facenti parte della dieta mediterranea, che rappresenta un patrimonio culturale condiviso dell'umanità, una componente importante di identità culturale, d'innovazione e sviluppo economico sostenibile e un elemento riconosciuto di prevenzione delle malattie cardiovascolari;
    c) concedere una specifica valenza qualitativa e distintiva alle produzioni agricole e agroalimentari, a partire da quelle di qualità certificata e biologiche e dagli alimenti a «chilometro zero» provenienti da filiera corta quando le caratteristiche, in termini di sicurezza, di eticità e di ecocompatibilità, sono dimostrate dalla provenienza degli alimenti;
    d) incrementare l'attività conoscitiva e le linee guida dei metodi educativi alimentari che s'intendono introdurre all'interno delle realtà scolastiche, attraverso un'attività sinergica e di collaborazione, oltre che con le istituzioni nazionali e regionali, anche con il sistema delle imprese agroalimentari, direttamente interessate dalla distribuzione dei prodotti dell'intera gamma agroalimentare, e quello universitario e della ricerca;
    e) includere i prodotti agricoli e agroalimentari relativi alle misure in precedenza indicate tra quelli beneficiari di pagamenti nazionali ad integrazione dell'aiuto unionale di cui all'articolo 217 del regolamento (UE) n. 1308/2013;
    f) aumentare la diffusione del modello agroalimentare attraverso la presenza dei prodotti del made in Italy, il cui valore qualitativo e nutrizionale è universalmente riconosciuto;
    g) valutare l'opportunità di assumere iniziative in materia di educazione alimentare per promuovere l'educazione alimentare nella scuola italiana, nella ricerca di orientamenti innovativi in materia, con specifica attenzione agli aspetti metodologici, considerando le rilevazioni ed i suggerimenti provenienti dal contesto sanitario.
(1-00841)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Faenzi, Centemero, Catanoso, Fabrizio Di Stefano, Riccardo Gallo, Russo, Palese, Ciracì, Marti, Distaso, Fucci».


   La Camera,
   premesso che:
    l'educazione alimentare pone le basi per un corretto regime dietetico, indispensabile all'organismo per il mantenimento dello stato di salute e di benessere. Le regole di buona educazione alimentare dovrebbero essere seguite da tutti: paradossalmente, nei Paesi industrializzati una buona fetta di popolazione registra un apporto insufficiente di alcuni micro-nutrienti indispensabili, poiché ha la tendenza a «mangiare troppo e male»;
    le esigenze dell'organismo devono essere sempre soddisfatte: di conseguenza, gli alimenti dovrebbero essere assunti con la consapevolezza del loro valore nutrizionale e del relativo apporto di sostanze nutritive e funzionali, allo scopo di trarre vantaggio dalle loro proprietà intrinseche. La piramide alimentare rappresenta un'ideale composizione della dieta mediterranea, in cui nei diversi settori trasversali sono inseriti tutti gli alimenti che si dovrebbero assumere: la frequenza di assunzione dei cibi rappresentati dovrebbe diminuire man mano che ci si avvicina al vertice;
    l'obesità è una condizione caratterizzata da un eccessivo accumulo di grasso corporeo, condizione che determina gravi danni alla salute. È causata nella maggior parte dei casi da stili di vita scorretti: da una parte, un'alimentazione scorretta ipercalorica e, dall'altra, un ridotto dispendio energetico a causa di inattività fisica. L'obesità è quindi una condizione ampiamente prevenibile;
    l'obesità rappresenta uno dei principali problemi di salute pubblica a livello mondiale sia perché la sua prevalenza è in costante e preoccupante aumento non solo nei Paesi occidentali ma anche in quelli a basso-medio reddito, sia perché è un importante fattore di rischio per varie malattie croniche, quali diabete mellito di tipo 2, malattie cardiovascolari e tumori;
    secondo dati dell'Organizzazione mondiale della sanità la prevalenza dell'obesità a livello globale è raddoppia dal 1980 ad oggi; nel 2008 si contavano oltre 1,4 miliardi di adulti in sovrappeso (il 35 per cento della popolazione mondiale); di questi oltre 200 milioni di uomini e oltre 300 milioni di donne erano obesi (l'11 per cento della popolazione mondiale). Nel frattempo, il problema ha ormai iniziato ad interessare anche fasce più giovani della popolazione: si stima che nel 2011 ci fossero nel mondo oltre 40 milioni di bambini al di sotto dei 5 anni in sovrappeso;
    si stima che il 44 per cento dei casi di diabete tipo 2, il 23 per cento dei casi di cardiopatia ischemica e fino al 41 per cento di alcuni tumori sono attribuibili all'obesità/sovrappeso. In totale, sovrappeso e obesità rappresentano il quinto più importante fattore di rischio per mortalità globale e i decessi attribuibili all'obesità sono almeno 2,8 milioni all'anno nel mondo;
    in Italia, il sistema di monitoraggio «OKkio alla salute» del Centro nazionale di prevenzione e controllo delle malattie (Ccm) del Ministero della salute (raccolta dati antropometrici e sugli stili di vita, dei bambini delle terza classe primaria 8-9 anni di età) ha riportato che il 22,9 per cento dei bambini in questa fascia di età è in sovrappeso e l'11,1 per cento in condizioni di obesità (dati relativi all'anno 2010);
    il progetto Hbsc-Italia (Health Behaviour in School-aged Children – Comportamenti collegati alla salute in ragazzi di età scolare), uno studio multicentrico internazionale a cui aderisce anche l'Italia, con l'obiettivo di approfondire le conoscenze sulla salute dei ragazzi di 11, 13 e 15 anni, nel 2010, ha evidenziato che la frequenza dei ragazzi in sovrappeso e obesi è più elevata negli undicenni (29,3 per cento nei maschi e 19,5 per cento nelle femmine), che nei 15enni (25,6 per cento nei maschi e 12,3 per cento nelle femmine). Questo dato è particolarmente preoccupante, in quanto indica che il fenomeno obesità è in espansione e colpisce più frequentemente le generazioni più giovani;
    fra gli aspetti più critici rilevati vale la pena citare che 1'11 per cento dei bambini non fa la prima colazione e il 28 per cento la fa in maniera non adeguata, l'82 per cento fa merenda a scuola qualitativamente non corretta, il 23 per cento dei genitori dichiara che i propri figli non consumano giornalmente frutta e verdura (solo il 2 per cento dei bambini ne mangia più di 4 porzioni al giorno), il 41 per cento dei bambini beve ogni giorno bevande zuccherate (il 17 per cento più di una volta al giorno), solo 1 bambino su 10 ha un livello di attività fisica raccomandato per la sua età, mentre 1 su 2 trascorre più di due ore al giorno davanti al televisore o a videogiochi e ha un televisore in camera. Infine, circa 4 madri su 10 di bambini in sovrappeso/obesità non ritengono che il proprio figlio abbia un peso eccessivo;
    nella proposta di legge governativa (A.C. 2994) di riforma del sistema scolastico, attualmente in corso di esame presso la Camera dei deputati, si prevede la possibilità per le scuole di ogni ordine e grado di potenziare l'offerta formativa anche attraverso l'introduzione nei POF (Piano offerta formativa) dell'educazione alimentare (articolo 2, comma 3, punto g)) soprattutto come azione preventiva e di sensibilizzazione, anche rispetto alle regole per il recupero del cibo avanzato;
    è importante sensibilizzare gli studenti e le famiglie sui corretti stili di vita alimentare al fine di favorire l'apprendimento dei rischi connessi ai disturbi dell'alimentazione, quali anoressia e bulimia. Si vive infatti in una società che offre una scelta e un'abbondanza di cibo senza precedenti, proponendo al contempo ideali di magrezza, spesso irrealistici, come sinonimi di successo personale e sociale. Questi fattori possono incidere molto sul rapporto che gli adolescenti instaurano con il cibo e con il proprio corpo;
    sono sempre più numerose le iniziative promosse da comuni ed enti locali sull'educazione alimentare nelle scuole, tema che sta avendo grande diffusione a partire dalla scuola primaria fino alla scuola superiore. Complici il crescente aumento di disturbi alimentari in adolescenza e dell'obesità nei bambini. Si tratta di campagne informative a favore di una corretta educazione alimentare nelle scuole tese a indurre nei giovani e giovanissimi l'adozione di stili sani e la rivalutazione di prodotti tipici del territorio, il tutto in linea con le indicazioni del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca fissate già nel 2011;
    un'occasione imperdibile sarà l'imminente Expo 2015, dedicato al tema «Nutrire il Pianeta, Energia per la vita», per il quale è stato stilato un protocollo d'intesa tra Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e Expo per il progetto di educazione alimentare nelle scuole. Nel percorso verso quest'evento le regioni e gli enti territoriali, con il supporto degli uffici scolastici del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, hanno coinvolto centinaia di scolaresche in progetti didattici ed educativi;
    l'educazione alimentare è una materia interdisciplinare, capace di trasmettere la conoscenza del cibo e i comportamenti alimentari: a tal fine, le fattorie didattiche in Italia (circa 2.508) hanno promosso l'educazione al consumo consapevole e hanno messo in contatto le scuole con le tradizioni e i mestieri artigianali che rappresentano le radici delle tradizioni e delle abitudini alimentari del nostro Paese;
    in tale solco appare indifferibile promuovere la sana e corretta alimentazione dei giovani e lanciare l'utilizzo dei prodotti locali nelle mense scolastiche. Con questi obiettivi la predisposizione e la sottoscrizione di protocolli d'intesa di collaborazione tra il mondo dell'agricoltura, la scuola e le istituzioni per la salute e l'educazione alimentare di giovani e famiglie sulla corretta e sana alimentazione,

impegna il Governo:

   a predisporre un progetto che si proponga di porre le basi per un approccio globale di promozione della salute che tenga in considerazione tutti gli aspetti della vita della scuola, mettendo in evidenza e valorizzando intrecci, correlazioni e collegamenti tra territorio, da un lato, e cultura, storia, benessere e alimentazione, dall'altro, ricordando come la qualità e la genuinità del cibo vanno di pari passo con la tradizione consolidata nelle attività delle comunità locali, frutto d'esperienze millenarie sulle quali oggi si innestano forti innovazioni scientifiche e tecnologiche per conseguire, come ultima finalità, il generale miglioramento dello stato di benessere dell'individuo e della collettività, attraverso la promozione del salute nel contesto scolastico;
   ad indicare linee di didattica per cui l'educazione alimentare nelle scuole non sia soltanto informativa, ma intervenga su quello che è il globale rapporto che bambini e ragazzi hanno con il cibo, posto che in ogni famiglia vige una certa cultura alimentare orientata verso la sovralimentazione o salutista, dove quello dei pasti è momento di conflitto, silenzio o riunione dei componenti della famiglia e considerato che questi e altri fattori influenzano il rapporto che bambini e ragazzi sviluppano con il cibo ed un intervento di educazione alimentare nelle scuole deve tenerne conto, magari anche prevedendo l'intervento di psicologi;
   a prevedere percorsi formativi nei quali la fattoria didattica diventi una scuola di ecologia all'aperto per proporre esperienze di vita agricola, come la semina e la raccolta dei prodotti della terra, per i bambini del nido, dell'asilo e delle scuole elementari, iniziative che inseriscono l'azienda agricola nella rete delle istituzioni educative presenti nei territori rurali, anche per concorrere a mantenere vitali tali territori, assicurando lo svolgimento di servizi educativi in aree altrimenti destinate all'abbandono anche al fine di avvicinare i bambini, gli insegnanti e i genitori ad una migliore conoscenza del territorio, degli alimenti e della loro storia.
(1-00842) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    l'educazione alimentare pone le basi per un corretto regime dietetico, indispensabile all'organismo per il mantenimento dello stato di salute e di benessere. Le regole di buona educazione alimentare dovrebbero essere seguite da tutti: paradossalmente, nei Paesi industrializzati una buona fetta di popolazione registra un apporto insufficiente di alcuni micro-nutrienti indispensabili, poiché ha la tendenza a «mangiare troppo e male»;
    le esigenze dell'organismo devono essere sempre soddisfatte: di conseguenza, gli alimenti dovrebbero essere assunti con la consapevolezza del loro valore nutrizionale e del relativo apporto di sostanze nutritive e funzionali, allo scopo di trarre vantaggio dalle loro proprietà intrinseche. La piramide alimentare rappresenta un'ideale composizione della dieta mediterranea, in cui nei diversi settori trasversali sono inseriti tutti gli alimenti che si dovrebbero assumere: la frequenza di assunzione dei cibi rappresentati dovrebbe diminuire man mano che ci si avvicina al vertice;
    l'obesità è una condizione caratterizzata da un eccessivo accumulo di grasso corporeo, condizione che determina gravi danni alla salute. È causata nella maggior parte dei casi da stili di vita scorretti: da una parte, un'alimentazione scorretta ipercalorica e, dall'altra, un ridotto dispendio energetico a causa di inattività fisica. L'obesità è quindi una condizione ampiamente prevenibile;
    l'obesità rappresenta uno dei principali problemi di salute pubblica a livello mondiale sia perché la sua prevalenza è in costante e preoccupante aumento non solo nei Paesi occidentali ma anche in quelli a basso-medio reddito, sia perché è un importante fattore di rischio per varie malattie croniche, quali diabete mellito di tipo 2, malattie cardiovascolari e tumori;
    secondo dati dell'Organizzazione mondiale della sanità la prevalenza dell'obesità a livello globale è raddoppia dal 1980 ad oggi; nel 2008 si contavano oltre 1,4 miliardi di adulti in sovrappeso (il 35 per cento della popolazione mondiale); di questi oltre 200 milioni di uomini e oltre 300 milioni di donne erano obesi (l'11 per cento della popolazione mondiale). Nel frattempo, il problema ha ormai iniziato ad interessare anche fasce più giovani della popolazione: si stima che nel 2011 ci fossero nel mondo oltre 40 milioni di bambini al di sotto dei 5 anni in sovrappeso;
    si stima che il 44 per cento dei casi di diabete tipo 2, il 23 per cento dei casi di cardiopatia ischemica e fino al 41 per cento di alcuni tumori sono attribuibili all'obesità/sovrappeso. In totale, sovrappeso e obesità rappresentano il quinto più importante fattore di rischio per mortalità globale e i decessi attribuibili all'obesità sono almeno 2,8 milioni all'anno nel mondo;
    in Italia, il sistema di monitoraggio «OKkio alla salute» del Centro nazionale di prevenzione e controllo delle malattie (Ccm) del Ministero della salute (raccolta dati antropometrici e sugli stili di vita, dei bambini delle terza classe primaria 8-9 anni di età) ha riportato che il 22,9 per cento dei bambini in questa fascia di età è in sovrappeso e l'11,1 per cento in condizioni di obesità (dati relativi all'anno 2010);
    il progetto Hbsc-Italia (Health Behaviour in School-aged Children – Comportamenti collegati alla salute in ragazzi di età scolare), uno studio multicentrico internazionale a cui aderisce anche l'Italia, con l'obiettivo di approfondire le conoscenze sulla salute dei ragazzi di 11, 13 e 15 anni, nel 2010, ha evidenziato che la frequenza dei ragazzi in sovrappeso e obesi è più elevata negli undicenni (29,3 per cento nei maschi e 19,5 per cento nelle femmine), che nei 15enni (25,6 per cento nei maschi e 12,3 per cento nelle femmine). Questo dato è particolarmente preoccupante, in quanto indica che il fenomeno obesità è in espansione e colpisce più frequentemente le generazioni più giovani;
    fra gli aspetti più critici rilevati vale la pena citare che 1'11 per cento dei bambini non fa la prima colazione e il 28 per cento la fa in maniera non adeguata, l'82 per cento fa merenda a scuola qualitativamente non corretta, il 23 per cento dei genitori dichiara che i propri figli non consumano giornalmente frutta e verdura (solo il 2 per cento dei bambini ne mangia più di 4 porzioni al giorno), il 41 per cento dei bambini beve ogni giorno bevande zuccherate (il 17 per cento più di una volta al giorno), solo 1 bambino su 10 ha un livello di attività fisica raccomandato per la sua età, mentre 1 su 2 trascorre più di due ore al giorno davanti al televisore o a videogiochi e ha un televisore in camera. Infine, circa 4 madri su 10 di bambini in sovrappeso/obesità non ritengono che il proprio figlio abbia un peso eccessivo;
    nella proposta di legge governativa (A.C. 2994) di riforma del sistema scolastico, attualmente in corso di esame presso la Camera dei deputati, si prevede la possibilità per le scuole di ogni ordine e grado di potenziare l'offerta formativa anche attraverso l'introduzione nei POF (Piano offerta formativa) dell'educazione alimentare (articolo 2, comma 3, punto g)) soprattutto come azione preventiva e di sensibilizzazione, anche rispetto alle regole per il recupero del cibo avanzato;
    è importante sensibilizzare gli studenti e le famiglie sui corretti stili di vita alimentare al fine di favorire l'apprendimento dei rischi connessi ai disturbi dell'alimentazione, quali anoressia e bulimia. Si vive infatti in una società che offre una scelta e un'abbondanza di cibo senza precedenti, proponendo al contempo ideali di magrezza, spesso irrealistici, come sinonimi di successo personale e sociale. Questi fattori possono incidere molto sul rapporto che gli adolescenti instaurano con il cibo e con il proprio corpo;
    sono sempre più numerose le iniziative promosse da comuni ed enti locali sull'educazione alimentare nelle scuole, tema che sta avendo grande diffusione a partire dalla scuola primaria fino alla scuola superiore. Complici il crescente aumento di disturbi alimentari in adolescenza e dell'obesità nei bambini. Si tratta di campagne informative a favore di una corretta educazione alimentare nelle scuole tese a indurre nei giovani e giovanissimi l'adozione di stili sani e la rivalutazione di prodotti tipici del territorio, il tutto in linea con le indicazioni del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca fissate già nel 2011;
    un'occasione imperdibile sarà l'imminente Expo 2015, dedicato al tema «Nutrire il Pianeta, Energia per la vita», per il quale è stato stilato un protocollo d'intesa tra Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e Expo per il progetto di educazione alimentare nelle scuole. Nel percorso verso quest'evento le regioni e gli enti territoriali, con il supporto degli uffici scolastici del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, hanno coinvolto centinaia di scolaresche in progetti didattici ed educativi;
    l'educazione alimentare è una materia interdisciplinare, capace di trasmettere la conoscenza del cibo e i comportamenti alimentari: a tal fine, le fattorie didattiche in Italia (circa 2.508) hanno promosso l'educazione al consumo consapevole e hanno messo in contatto le scuole con le tradizioni e i mestieri artigianali che rappresentano le radici delle tradizioni e delle abitudini alimentari del nostro Paese;
    in tale solco appare indifferibile promuovere la sana e corretta alimentazione dei giovani e lanciare l'utilizzo dei prodotti locali nelle mense scolastiche. Con questi obiettivi la predisposizione e la sottoscrizione di protocolli d'intesa di collaborazione tra il mondo dell'agricoltura, la scuola e le istituzioni per la salute e l'educazione alimentare di giovani e famiglie sulla corretta e sana alimentazione,

impegna il Governo:

   a predisporre un progetto che si proponga di porre le basi per un approccio globale di promozione della salute che tenga in considerazione tutti gli aspetti della vita della scuola, mettendo in evidenza e valorizzando intrecci, correlazioni e collegamenti tra territorio, da un lato, e cultura, storia, benessere e alimentazione, dall'altro, ricordando come la qualità e la genuinità del cibo vanno di pari passo con la tradizione consolidata nelle attività delle comunità locali, frutto d'esperienze millenarie sulle quali oggi si innestano forti innovazioni scientifiche e tecnologiche per conseguire, come ultima finalità, il generale miglioramento dello stato di benessere dell'individuo e della collettività, attraverso la promozione del salute nel contesto scolastico;
   a promuovere, ferma restando l'autonomia scolastica nella definizione dell'offerta formativa, linee di didattica per cui l'educazione alimentare nelle scuole non sia soltanto informativa, ma intervenga su quello che è il globale rapporto che bambini e ragazzi hanno con il cibo, posto che in ogni famiglia vige una certa cultura alimentare orientata verso la sovralimentazione o salutista, dove quello dei pasti è momento di conflitto, silenzio o riunione dei componenti della famiglia e considerato che questi e altri fattori influenzano il rapporto che bambini e ragazzi sviluppano con il cibo ed un intervento di educazione alimentare nelle scuole deve tenerne conto, magari anche prevedendo l'intervento di psicologi;
   a promuovere, ferma restando l'autonomia scolastica nella definizione dell'offerta formativa, percorsi formativi nei quali la fattoria didattica diventi una scuola di ecologia all'aperto per proporre esperienze di vita agricola, come la semina e la raccolta dei prodotti della terra, per i bambini del nido, dell'asilo e delle scuole elementari, iniziative che inseriscono l'azienda agricola nella rete delle istituzioni educative presenti nei territori rurali, anche per concorrere a mantenere vitali tali territori, assicurando lo svolgimento di servizi educativi in aree altrimenti destinate all'abbandono anche al fine di avvicinare i bambini, gli insegnanti e i genitori ad una migliore conoscenza del territorio, degli alimenti e della loro storia.
(1-00842)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo i dati contenuti nella IV raccolta dati di «OKkio alla salute», il sistema di sorveglianza promosso dal Ministero della salute che raccoglie informazioni sulla variabilità geografica e l'evoluzione nel tempo dello stato ponderale dei bambini delle scuole primarie, sugli stili alimentari, l'abitudine all'esercizio fisico e le eventuali iniziative scolastiche favorenti la sana alimentazione e l'attività fisica, sarebbe in leggero calo il numero dei bambini in sovrappeso;
    dal 2008 a oggi sono diminuiti i bambini di 8-9 anni in sovrappeso o obesi ma permangono, tuttavia, elevati i livelli di eccesso ponderale, che pongono l'Italia ai primi posti in Europa per sovrappeso e obesità infantile;
    è fondamentale combattere l'obesità sin dall'età evolutiva, perché è l'adolescenza il periodo critico in cui si stabilisce il potenziale di obesità di un individuo, determinato dal numero di adipociti. Nella fase adolescenziale, il numero delle cellule adipose, che è di circa 25-30 miliardi nei soggetti normopeso rispetto ai 40-100 miliardi degli obesi, aumenta significativamente per poi rimanere pressoché invariato per il resto della vita. È dunque importante contenere l'aumento del numero degli adipociti per prevenire l'obesità;
    i dati del 2014 mostrano che i bambini in sovrappeso sono il 20,9 per cento, i bambini obesi sono il 9,8 per cento e le prevalenze più alte si registrano nelle regioni del sud e del centro;
    l'indagine citata rileva che l'8 per cento dei bambini salta la prima colazione, il 31 per cento fa una colazione non adeguata (ossia sbilanciata in termini di carboidrati e proteine), il 52 per cento fa una merenda di metà mattina abbondante, il 25 per cento dei genitori dichiara che i propri figli non consumano quotidianamente frutta e/o verdura, mentre il 41 per cento dichiara che i propri figli assumono abitualmente bevande zuccherate e/o gassate;
    risulta altresì che il 16 per cento dei bambini non ha svolto attività fisica il giorno precedente l'indagine, il 18 per cento pratica sport per non più di un'ora a settimana, il 42 per cento ha nella propria camera la TV, il 35 per cento guarda la TV e/o gioca con i videogiochi più di 2 ore al giorno e solo 1 bambino su 4 si reca a scuola a piedi o in bicicletta;
    molto dipenderebbe dai genitori che non sempre hanno cognizione dello stato ponderale del proprio figlio: tra le madri di bambini in sovrappeso o obesi, il 38 per cento non ritiene che il proprio figlio sia in eccesso ponderale e solo il 29 per cento pensa che la quantità di cibo da lui assunta sia eccessiva. Inoltre, solo il 41 per cento delle madri di bambini fisicamente poco attivi ritiene che il proprio figlio svolga poca attività motoria;
    l'Italia ha rafforzato le azioni volte alla promozione di stili di vita sani attraverso programmi («Guadagnare salute») e piani nazionali (piano nazionale della prevenzione);
    secondo un sondaggio del 2012 condotto dall'Ipsos e promosso dall'Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica (Adi), per contrastare la tendenza al sovrappeso bisognerebbe investire sull'educazione alimentare già a scuola e realizzare interventi strutturali per favorire l'attività fisica nelle città, l'educazione sanitaria e la prevenzione a scuola unite ad una maggiore attività fisica;
    l'obesità e le sue complicanze contribuiscono in misura molto rilevante alla spesa sanitaria dei Paesi occidentali. Oltre ai costi sanitari diretti, occorre valutare anche quelli derivanti da una ridotta produttività lavorativa, sia come giorni di lavoro persi che inabilità ad alcune mansioni, e un incremento degli incidenti sul lavoro e del pensionamento anticipato;
    in particolare, occorre segnalare lo stretto rapporto esistente tra il sovrappeso ed alcune patologie di grande rilievo epidemiologico, quali il diabete alimentare, le malattie cardiovascolari, l'ictus cerebrale e le apnee ostruttive nel sonno;
    si segnala che nell'ambito delle attività collegate al programma europeo «Frutta nelle scuole», il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha incaricato il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria, con il suo centro per la nutrizione, di realizzare, con specifici fondi ministeriali azioni di formazione rivolte agli insegnanti delle scuole primarie aderenti al programma;
    Expo 2015 ha offerto al mondo della scuola la possibilità di sensibilizzare le giovani generazioni alle tematiche sociali legate ad alimentazione e ambiente, rendendole protagoniste del proprio benessere e sostenitrici di una cultura della sicurezza alimentare e della crescita sostenibile;
    il progetto scuola di Expo Milano 2015 coinvolgerà l'intero sistema scolastico nazionale attraverso visite didattiche e percorsi dedicati agli studenti all'interno dell'area che ospiterà l'Esposizione universale;
    nonostante l'Italia si presenti tendenzialmente più attenta agli sprechi e sia migliorata rispetto al 2013, ammonta ancora a più di 8 miliardi di euro il cibo che annualmente viene gettato nella spazzatura, secondo il rapporto 2014 Waste Watcher – Knowledge for Expo;
    l'educazione riveste, pertanto, un ruolo fondamentale per gettare le basi di un futuro migliore, portando l'educazione alimentare nelle scuole, attraverso un programma educativo che includerà anche l'educazione sugli sprechi domestici;
    nell'ambito del provvedimento riguardante la riforma della scuola (A.C. 2994), tra gli obiettivi volti al potenziamento dell'offerta formativa e delle attività progettuali, è prevista anche l'educazione ad un'alimentazione sana, corretta, sostenibile per l'ambiente, che valorizzi le tradizioni agro alimentari locali, che porti, cioè, allo sviluppo di comportamenti ispirati ad uno stile di vita sano con riferimento all'alimentazione, all'educazione fisica e allo sport;
    oltre che sociale ed etica la questione degli sprechi alimentari riveste un'importanza economica in quanto oltre allo lo sperpero di risorse ambientali utilizzate per produrre i beni che poi vanno persi, vi è un costo per la collettività dei prodotti sprecati che diventando rifiuti,

impegna il Governo:

   a porre particolare attenzione alla realizzazione delle iniziative volte ad introdurre programmi di educazione alimentare nelle scuole italiane sin dalla scuola dell'infanzia;
   a prevedere iniziative di sensibilizzazione per prevenire il rischio di sprechi di cibo, attraverso campagne pubblicitarie;
   ad avviare iniziative volte a far acquisire stili di vita più sani, con particolare riferimento all'educazioni fisica e allo sport;
   ad introdurre in tutte le scuole primarie e secondarie di primo grado una rilevazione annuale dell'indice di massa corporea (bmi), anche al fine di segnalare alle famiglie il problema del sovrappeso degli alunni al suo emergere, invitandole ad adottare opportuni interventi correttivi e a consultare il proprio medico di fiducia.
(1-00844) «Gigli, Sberna, Capelli, Dellai».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo i dati contenuti nella IV raccolta dati di «OKkio alla salute», il sistema di sorveglianza promosso dal Ministero della salute che raccoglie informazioni sulla variabilità geografica e l'evoluzione nel tempo dello stato ponderale dei bambini delle scuole primarie, sugli stili alimentari, l'abitudine all'esercizio fisico e le eventuali iniziative scolastiche favorenti la sana alimentazione e l'attività fisica, sarebbe in leggero calo il numero dei bambini in sovrappeso;
    dal 2008 a oggi sono diminuiti i bambini di 8-9 anni in sovrappeso o obesi ma permangono, tuttavia, elevati i livelli di eccesso ponderale, che pongono l'Italia ai primi posti in Europa per sovrappeso e obesità infantile;
    è fondamentale combattere l'obesità sin dall'età evolutiva, perché è l'adolescenza il periodo critico in cui si stabilisce il potenziale di obesità di un individuo, determinato dal numero di adipociti. Nella fase adolescenziale, il numero delle cellule adipose, che è di circa 25-30 miliardi nei soggetti normopeso rispetto ai 40-100 miliardi degli obesi, aumenta significativamente per poi rimanere pressoché invariato per il resto della vita. È dunque importante contenere l'aumento del numero degli adipociti per prevenire l'obesità;
    i dati del 2014 mostrano che i bambini in sovrappeso sono il 20,9 per cento, i bambini obesi sono il 9,8 per cento e le prevalenze più alte si registrano nelle regioni del sud e del centro;
    l'indagine citata rileva che l'8 per cento dei bambini salta la prima colazione, il 31 per cento fa una colazione non adeguata (ossia sbilanciata in termini di carboidrati e proteine), il 52 per cento fa una merenda di metà mattina abbondante, il 25 per cento dei genitori dichiara che i propri figli non consumano quotidianamente frutta e/o verdura, mentre il 41 per cento dichiara che i propri figli assumono abitualmente bevande zuccherate e/o gassate;
    risulta altresì che il 16 per cento dei bambini non ha svolto attività fisica il giorno precedente l'indagine, il 18 per cento pratica sport per non più di un'ora a settimana, il 42 per cento ha nella propria camera la TV, il 35 per cento guarda la TV e/o gioca con i videogiochi più di 2 ore al giorno e solo 1 bambino su 4 si reca a scuola a piedi o in bicicletta;
    molto dipenderebbe dai genitori che non sempre hanno cognizione dello stato ponderale del proprio figlio: tra le madri di bambini in sovrappeso o obesi, il 38 per cento non ritiene che il proprio figlio sia in eccesso ponderale e solo il 29 per cento pensa che la quantità di cibo da lui assunta sia eccessiva. Inoltre, solo il 41 per cento delle madri di bambini fisicamente poco attivi ritiene che il proprio figlio svolga poca attività motoria;
    l'Italia ha rafforzato le azioni volte alla promozione di stili di vita sani attraverso programmi («Guadagnare salute») e piani nazionali (piano nazionale della prevenzione);
    secondo un sondaggio del 2012 condotto dall'Ipsos e promosso dall'Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica (Adi), per contrastare la tendenza al sovrappeso bisognerebbe investire sull'educazione alimentare già a scuola e realizzare interventi strutturali per favorire l'attività fisica nelle città, l'educazione sanitaria e la prevenzione a scuola unite ad una maggiore attività fisica;
    l'obesità e le sue complicanze contribuiscono in misura molto rilevante alla spesa sanitaria dei Paesi occidentali. Oltre ai costi sanitari diretti, occorre valutare anche quelli derivanti da una ridotta produttività lavorativa, sia come giorni di lavoro persi che inabilità ad alcune mansioni, e un incremento degli incidenti sul lavoro e del pensionamento anticipato;
    in particolare, occorre segnalare lo stretto rapporto esistente tra il sovrappeso ed alcune patologie di grande rilievo epidemiologico, quali il diabete alimentare, le malattie cardiovascolari, l'ictus cerebrale e le apnee ostruttive nel sonno;
    si segnala che nell'ambito delle attività collegate al programma europeo «Frutta nelle scuole», il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha incaricato il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria, con il suo centro per la nutrizione, di realizzare, con specifici fondi ministeriali azioni di formazione rivolte agli insegnanti delle scuole primarie aderenti al programma;
    Expo 2015 ha offerto al mondo della scuola la possibilità di sensibilizzare le giovani generazioni alle tematiche sociali legate ad alimentazione e ambiente, rendendole protagoniste del proprio benessere e sostenitrici di una cultura della sicurezza alimentare e della crescita sostenibile;
    il progetto scuola di Expo Milano 2015 coinvolgerà l'intero sistema scolastico nazionale attraverso visite didattiche e percorsi dedicati agli studenti all'interno dell'area che ospiterà l'Esposizione universale;
    nonostante l'Italia si presenti tendenzialmente più attenta agli sprechi e sia migliorata rispetto al 2013, ammonta ancora a più di 8 miliardi di euro il cibo che annualmente viene gettato nella spazzatura, secondo il rapporto 2014 Waste Watcher – Knowledge for Expo;
    l'educazione riveste, pertanto, un ruolo fondamentale per gettare le basi di un futuro migliore, portando l'educazione alimentare nelle scuole, attraverso un programma educativo che includerà anche l'educazione sugli sprechi domestici;
    nell'ambito del provvedimento riguardante la riforma della scuola (A.C. 2994), tra gli obiettivi volti al potenziamento dell'offerta formativa e delle attività progettuali, è prevista anche l'educazione ad un'alimentazione sana, corretta, sostenibile per l'ambiente, che valorizzi le tradizioni agro alimentari locali, che porti, cioè, allo sviluppo di comportamenti ispirati ad uno stile di vita sano con riferimento all'alimentazione, all'educazione fisica e allo sport;
    oltre che sociale ed etica la questione degli sprechi alimentari riveste un'importanza economica in quanto oltre allo lo sperpero di risorse ambientali utilizzate per produrre i beni che poi vanno persi, vi è un costo per la collettività dei prodotti sprecati che diventando rifiuti,

impegna il Governo:

   a promuovere presso le istituzioni scolastiche percorsi mirati al potenziamento dell'educazione alimentare ferma restando l'autonomia delle stesse nella definizione dei piani dell'offerta formativa;
   a prevedere iniziative di sensibilizzazione per prevenire il rischio di sprechi di cibo, attraverso campagne pubblicitarie;
   ad avviare iniziative volte a far acquisire stili di vita più sani, con particolare riferimento all'educazioni fisica e allo sport;
   a valutare l'opportunità di introdurre in tutte le scuole primarie e secondarie di primo grado una rilevazione annuale dell'indice di massa corporea (bmi), anche al fine di segnalare alle famiglie il problema del sovrappeso degli alunni al suo emergere, invitandole ad adottare opportuni interventi correttivi e a consultare il proprio medico di fiducia.
(1-00844)
(Testo modificato nel corso della seduta) «Gigli, Sberna, Capelli, Dellai».


MOZIONI CAPELLI, PIRAS, VARGIU ED ALTRI N. 1-00697, NICOLA BIANCHI ED ALTRI N. 1-00850, NIZZI ED ALTRI N. 1-00851, MURA ED ALTRI N. 1-00854, PISO ED ALTRI N. 1-00855, RAMPELLI ED ALTRI N. 1-00858 E SALTAMARTINI ED ALTRI N. 1-00860 CONCERNENTI INTERVENTI A FAVORE DELLA SARDEGNA

Mozioni

   La Camera,
   premesso che:
    dai dati emersi dalla rilevazione Svimez 2014 continua a registrarsi, per la regione Sardegna, una tendenza fortemente negativa che si riassume con i seguenti dati: diminuzione del prodotto interno lordo rispetto all'anno 2013 pari al 4,4 per cento, perdendo complessivamente negli anni di crisi dal 2007 oltre il 13 per cento di prodotto, tasso di natalità inferiore di due punti percentuale rispetto al tasso di mortalità, ripresa delle emigrazioni con un saldo migratorio (-1,2 per cento), occupazione diminuita del 7,3 per cento nel biennio 2012-2013, tasso di disoccupazione ufficiale pari al 17,5 con tasso di disoccupazione giovanile (giovani con meno di 24 anni) pari al 54 per cento, un aumento della percentuale di laureati emigrati (21,6 per cento) e un tasso di dispersione scolastica pari al 25 per cento, percentuale di famiglie povere pari al 24,8 per cento, saldo fortemente negativo nell'immediato ma con una pesante tendenziale conferma per quel che concerne il numero di cessazioni di imprese, procedure fallimentari e aziende avviate alla liquidazione;
    i dati sopra indicati, comuni peraltro alle regioni del Centro-Sud dell'Italia, si inseriscono in una realtà già gravemente pregiudicata dalla mancata risoluzione di vertenze aperte da troppo tempo con lo Stato italiano;
    la situazione in cui versa la regione è sicuramente anche il frutto del mancato pieno utilizzo delle potenzialità dell'autonomia speciale, ma ancor più gravi sono le responsabilità in capo allo Stato italiano, sempre più patrigno, nella gestione e risoluzione di questioni centrali per l'economia isolana;
    in tale contesto rileva che, a fronte del riconoscimento statutario di quote di compartecipazione alle entrate erariali, spettanti alla regione Sardegna, persistono tuttora difformità di interpretazione in merito ad alcuni tributi erariali e residua un debito statale – di circa un miliardo di euro – da saldare nei confronti della regione sarda, ancora più insopportabile in un momento di forti tagli alla spesa pubblica e tenuto conto che la regione Sardegna attuerà il pareggio di bilancio contribuendo al debito dello Stato per oltre 570 milioni di euro – anni 2013-2014, con una previsione di aumento per il 2015 di 97 milioni di euro. Lo Stato, su questo punto, è inadempiente, come confermato anche dalla sentenza del 2012 della Corte costituzionale e sarebbe necessario trovare urgentemente una soluzione condivisa che detti criteri certi di suddivisione delle quote e determini un maggior rafforzamento del ruolo della regione per risolvere, anche per il futuro, la vertenza;
    in Sardegna oltre 35.000 ettari di territorio sono sotto vincolo di servitù militare. L'isola ospita, infatti, strutture ed infrastrutture al servizio delle Forze armate italiane e della Nato: i poligoni missilistici (Perdasdefogu) e per le esercitazioni aeree (Capo Frasca) e a fuoco (Capo Teulada), aeroporti militari (Decimomannu) e depositi. La necessità di una riduzione della presenza militare nell'isola è ormai stata riconosciuta in tutte le sedi. Il consiglio regionale, con ordine del giorno n. 9 del 17 giugno 2014, ha impegnato la giunta regionale a chiedere, tra gli altri punti, un riequilibrio in termini di compensazione economica rispetto ai danni ambientali, sanitari ed economici subiti nel corso degli anni a causa del gravame militare nell'isola e la progressiva diminuzione delle aree soggette a vincoli militari e la dismissione dei poligoni. Tuttavia, anche su questo tema, il Governo appare arroccato sulle sue posizioni, ritenendo prevalenti i supremi interessi nazionali rispetto agli interessi del territorio. Anzi, con il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, si parificano per le «aree dove si svolgono esercitazioni militari» le concentrazioni di soglia di contaminazione alle «aree industriali», determinando, in tal modo, gravi pregiudizi al territorio limitrofo, prevalentemente residenziale, all'ambiente, all'agricoltura;
    sempre con riferimento alle servitù militari, un discorso a parte merita la vicenda del poligono sperimentale di addestramento interforze (Salto di Quirra), situato a nord di Cagliari che, con i suoi 120 chilometri quadrati di estensione, è la più importante base europea per la sperimentazione di nuovi missili, razzi e radio bersagli. Ebbene, nel gennaio del 2011, si apre un'inchiesta che porterà alla luce la terribile scoperta che il poligono è stato, per anni, utilizzato come una vera e propria discarica di materiale militare dove si è smaltito uranio impoverito e torio radioattivo. Quest'ultimo, a seguito delle indagini e dei prelievi effettuati è stato ritrovato in diversi alimenti umani e nelle ossa di alcuni pastori deceduti, che, per la loro attività, avevano accesso all'interno del poligono;
    sempre in merito alle servitù militari, il Ministro della difesa Roberta Pinotti ha imposto, unilateralmente, per altri 5 anni i vincoli su Santo Stefano. Il Presidente Pigliaru ha presentato ricorso contro l'imposizione della servitù militare su Guardia del Moro alla Maddalena e chiesto al Consiglio dei ministri un riesame del decreto impositivo della servitù, ma resta il dato di fatto: nonostante la regione Sardegna, attraverso il suo consiglio regionale e la sua popolazione, siano apertamente contro le servitù militari, nonostante il mancato rinnovo della servitù nei tempi consentiti e nonostante il contenzioso in atto con il comune di La Maddalena, il Governo è andato avanti unilateralmente, anteponendo ancora una volta i supremi interessi della «difesa nazionale» alle esigenze dei territori. La procedura della reimposizione sarebbe, dal punto di vista amministrativo, improponibile in quanto lesiva dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione introdotti dalla modifica del titolo V della Costituzione. Anche il tribunale amministrativo regionale della Sardegna, con una pronuncia del 2012, ha stabilito che l'interesse alla difesa non è superiore all'interesse della comunità locale, definendo entrambi di massimo rilievo e di natura sensibile e ricordando che «le servitù hanno carattere temporaneo proprio perché legate all'esigenza di valutare e rivalutare le situazioni, tenendo conto dei cambiamenti che vive il territorio su cui sono calate»;
    quando lo Stato italiano avrebbe potuto rimediare almeno in parte di danni subiti da questo territorio, non ha invece adempiuto ai propri impegni in occasione del G8 della Maddalena, privando, dapprima, l'isola della possibilità di una vetrina a livello internazionale e trasferendo d'ufficio il vertice in altra regione e, successivamente, non dando corso agli impegni presi in ordine alla bonifica del territorio – impedendo conseguentemente la realizzazione dell'accordo del 2009 con imprese private (di recente, a causa di tale inadempimento la protezione civile è stata condannata a pagare alla società aggiudicatrice circa 36 milioni di euro). Attualmente, pertanto, le acque che dovevamo essere bonificate risultano ancora inquinate e le strutture costruite in stato di abbandono. In generale, il tema dell'ambiente è uno di quelli maggiormente colpiti dall'incuria statale, in quanto sono diversi i siti inquinati che dovrebbero essere oggetto di attenzione da parte del Governo italiano, in particolare quei siti industriali insediati dalle note aziende partecipate statali, che da Porto Torres al Sulcis, passando per la piana di Ottana nel centro Sardegna, hanno compromesso territori di incomparabile bellezza;
    la negazione da parte dello Stato italiano dell'articolo 14 dello statuto della regione Sardegna che prevede la restituzione al patrimonio regionale di tutte le aree demaniali (comprese quelle costiere) e militari nazionali, che non siano più giudicate strategiche ai fini di interesse pubblico, costituisce un ulteriore freno a possibili opportunità di sviluppo economico, soprattutto in ambito turistico ed ambientale, in vaste aree del territorio sardo;
    attenzione che, comunque, il Governo non sembra di avere in merito ad un altro aspetto. La Sardegna, infatti, potrebbe essere prescelta per lo stoccaggio di scorie nucleari radioattive. La notizia in merito alla destinazione di questi rifiuti, già assunta dal comitato interministeriale, è stata rimandata al 3 gennaio 2015, in quanto la società pubblica Sogin si è presa qualche altro giorno di tempo. A nulla sembrano essere servite le prese di posizione dei cittadini sardi che, già nel 2011, con un referendum consultivo avevano detto «no» al nucleare in Sardegna e del governo regionale che, a settembre 2014 con un ordine del giorno, votato all'unanimità, si è impegnato a portare all'attenzione del Governo l'impegno che: «La Sardegna non deve essere inclusa nella lista delle regioni candidate ad ospitare siti nucleari»;
    una nuova «servitù» sembra contraddistinguere la Sardegna: quella relativa al regime carcerario per i detenuti ai sensi dell'articolo 41-bis. A seguito, infatti, della recente revisione normativa, dove si statuisce «preferibilmente detenuti nelle aree insulari», sembra che l'isola sia stata trasformata nell'area per eccellenza di detenzione di mafiosi, ergastolani e terroristi. Non va dimenticato che, anche di recente, è stata ventilata la demenziale proposta di una possibile riapertura del carcere dell'Asinara. A questo si deve aggiungere la presenza sul territorio sardo di un numero di strutture carcerarie più elevato rispetto alle altre regioni italiane (2.700 posti detentivi per 1 milione e 600 mila abitanti) che determineranno il trasferimento dalla penisola, in contrasto con il principio della «territorializzazione» della pena sancita dall'ordinamento penitenziario, di un numero elevato di detenuti. Ancora una volta, gli interessi nazionali prevalgono sugli interessi del territorio e ancora una volta un nuovo peso si aggiunge a quelli già presenti sul territorio sardo;
    con riferimento, invece, alle calamità naturali che hanno colpito la regione nel novembre 2013, lo Stato deve rispettare i propri impegni anche su tale versante, tenuto conto che, ad oggi, si registrano ritardi nei tempi e nelle entità dei risarcimenti dovuti. Spiace, peraltro, constatare una diversità di trattamento rispetto ad altre regioni che purtroppo hanno dovuto affrontare la stessa problematica – ad esempio, in Emilia-Romagna lo Stato è intervenuto con il decreto-legge n. 74 del 2014, recante disposizioni urgenti per l'Emilia-Romagna. A fronte della catastrofe immane che ha colpito duramente il territorio sardo (19 morti, 2.700 sfollati e circa 700 milioni di danni) lo stesso presidente della regione ha pubblicamente ricordato che lo Stato non ha praticamente dato nulla alla causa sarda e che mancherebbero all'appello circa 474 milioni di euro. Anche di recente si è cercato con emendamenti a diversi provvedimenti all'esame del Parlamento di prevedere l'esclusione dal patto di stabilità di tutti gli stanziamenti per opere e interventi legati all'evento alluvionale, compresi anche i fondi avuti dai comuni in beneficenza, ma il Governo continua ad essere sordo;
    di recente poi, l'articolo 38 del decreto-legge n. 133 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2011, rubricato «Misure per la valorizzazione delle risorse energetiche nazionali», ha tolto di fatto agli enti locali – non solo sardi – il potere di veto su ricerca di petrolio e trivellazioni, trasferendo la competenza delle valutazioni di impatto ambientale su attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e di stoccaggio sotterraneo di gas naturale dalla regione allo Stato. In Sardegna, l'effetto della norma si avrà sulla zona di Arborea, interessata dal cosiddetto progetto Eleonora, rispetto al quale gran parte della popolazione è contraria. In un'area di eccezionale interesse naturalistico, a forte vocazione agricola, si vorrebbe autorizzare la trivellazione per la ricerca di giacimenti di gas naturale;
    in Sardegna, inoltre, la produzione di energia dall'uso idroelettrico è piuttosto diffusa e si concentra sui bacini dei fiumi principali, con modeste attività in alcune altre piccole centrali periferiche. La regione, con legge regionale n. 19 del 2006, è subentrata nella titolarità delle concessioni inerenti l'utilizzo dell'acqua, ma la procedura di subentro non è stata completata per gli invasi sfruttati dall’Enel per uso idroelettrico. Enel continua a gestire secondo i firmatari del presente atto di indirizzo impropriamente le centrali, confidando sull'applicazione del decreto legislativo n. 79 del 1999, che ha prorogato le concessioni fino al 2029. Le parti sembrerebbero vicine ad un accordo per la gestione comune delle acque per evitare un contenzioso dovuto, ancora una volta, ad una contraddizione – almeno lamentata da una delle parti – tra una legge statale e regionale. Occorre che lo Stato, anche su questo punto, riconosca i torti subiti fino ad oggi dalla regione;
    la regione per soddisfare esigenze non proprie sta diventando una grande piattaforma di produzione di energia attraverso la costruzione di impianti fotovoltaici, di impianti eolici, lo scavo di pozzi marini per la ricerca del gas naturale. Ferme restando le responsabilità regionali per la mancanza di un piano energetico, la questione del costo dell'energia resta un problema irrisolto e trascurato che compromette pesantemente lo sviluppo economico dell'isola. Sul punto spicca la questione del riconoscimento del regime di essenzialità per gli impianti di produzione sardi, in particolare per quello di Ottana: infatti, la regione è in attesa della proroga anche per il 2015 e del parere dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico. Il riconoscimento dell'essenzialità è fondamentale per permettere ai gestori delle centrali sarde di vedersi riconosciuti da Terna i costi di produzione dell'energia e garantire pertanto alle imprese sarde di poter fruire di prezzi dell'energia più bassi. Questo avviene in un contesto segnato dalla mancata metanizzazione e da costi per energia altissimi: occorre, infatti, ricordare, che la Sardegna è l'unica regione a non avere il metano (a seguito anche dell'uscita dal progetto Galsi, società sostenuta, oltre che dalla regione, anche da Enel ed Edison) e che l'energia ha il costo più elevato d'Italia – 15 per cento in più – Paese peraltro in cui l'energia ha già un costo maggiore rispetto al resto d'Europa);
    la mobilità è un diritto ancora non pienamente riconosciuto alla Sardegna. Il diritto alla mobilità, riconosciuto dall'articolo 16 della Costituzione, deve essere inteso come garanzia per ogni cittadino del trasporto indipendentemente dalla realtà geografica nella quale vive. La continuità territoriale deve eliminare gli svantaggi delle aree del Paese dovute a distanze o insularità. L'articolo 53 dello statuto sardo dispone che la regione sia rappresentata nell'elaborazione delle tariffe ferroviarie e nella regolamentazione dei servizi nazionali di comunicazione e trasporti terrestri, marittimi ed aerei che possano direttamente interessarla. Fino ad oggi, invece, anche su questo punto si deve registrare un atteggiamento poco rispettoso delle competenze regionali, tanto che la Corte costituzionale, in materia di trasporto marittimo, ha riconosciuto recentemente fondato il ricorso proposto dalla regione volto al riconoscimento del diritto ad una partecipazione effettiva al procedimento in materia di trasporto marittimo. Nelle materie in cui si registra una sovrapposizione di competenze deve essere valorizzato il principio di leale collaborazione; in particolare, ad avviso della Corte costituzionale, le decisioni assunte in materia dallo Stato toccano interessi indifferenziati della regione ed interferiscono in misura rilevante con scelte rientranti nella competenza della regione; pertanto, la regione ha diritto a partecipare ai procedimenti in materia. Occorre, inoltre, vigilare, per evitare, come accaduto in passato, la creazione di pericolosi monopoli nei trasporti marittimi (si deve registrare il caso recente di una pericolosa scalata da parte del gruppo Moby all'interno della società Compagnia italiana di navigazione spa). Si deve, inoltre, ricordare che la regione Sardegna, a seguito dell'accordo stipulato con lo Stato nel 2006 si è accollata interamente le spese sul trasporto pubblico locale che in altre regioni sono finanziate attraverso compartecipazioni a tributi erariali. La provincia di Nuoro, insieme a quella di Matera, è l'unica provincia italiana non servita dalla linea principale a scartamento ordinario delle Ferrovie dello Stato, essendo coperta solo da un tratto a scartamento ridotto, gestito attualmente dall’Arst, società pubblica regionale, e non rientrando nel novero delle grandi opere infrastrutturali dello Stato;
    diversi sono inoltre i casi che hanno interessato la regione sul fronte del lavoro. Per quanto riguarda l'occupazione le responsabilità non sono certamente solo politiche, in quanto è evidente che la produzione industriale rientra in un contesto di mercato e di competitività nazionale, ma occorre ricordare l'assenza di una strategia nazionale industriale e il fatto che la chiusura di molti stabilimenti è la conseguenza degli alti costi di produzione che paga l'insularità (per tutti si cita il caso del sito industriale di Portovesme, uno dei più grandi poli di metallurgia non ferrosa, gestito fino a poco tempo fa da società private come Alcoa, leader mondiale nella produzione di alluminio, la quale ha comunicato la chiusura dello stabilimento sardo nel 2012);
    legato ai problemi dell'insularità e alla crisi occupazionale è la vicenda della compagnia aerea Meridiana (di cui fanno parte, oltre la compagnia aerea, anche Meridiana maintenance, società di manutenzione, Geasar spa, società di gestione dell'aeroporto di Olbia). Ad oggi nessuna soluzione sembra palesarsi all'orizzonte e circa 1.600 dipendenti rischiano il licenziamento. Anche in questo caso l'atteggiamento del Governo italiano è apparso poco incisivo: questo è più che mai evidente, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, nella risposta all'interrogazione n. 3-01155 che il Ministro Lupi ha dato l'11 novembre 2014 nell'aula di Montecitorio;
    anche per quanto riguarda il settore agricoltura non sono state tenute in debita considerazione le specificità sarde, comuni peraltro anche ad altre regioni. Agea, ente nazionale, incurante delle procedure stabilite e validate precedentemente, con un atteggiamento vessatorio verso le peculiarità dell'agricoltura italiana ha dato indicazioni operative ai suoi tecnici rilevatori per una riclassificazione che, ha comportato per la Sardegna e per le altre regioni interessate dalla «macchia mediterranea», la perdita di migliaia di ettari di superficie -280.000 ettari circa di superficie coltivabile e finanziabile precedentemente riconosciuti – con la conseguenza che, per tantissime domande, presentate a valere sul programma di sviluppo rurale e sulla politica agricola comune, oggi sono riscontrabili gravi anomalie particellari e, di conseguenza, il rischio reale che centinaia o migliaia di operatori del settore debbano restituire somme già percepite. Si è richiesto già al Governo – con la risoluzione n. 7-00396 – un intervento presso l'organismo pagatore Agea affinché sospenda gli effetti del nuovo ciclo di refresh, evitando, in particolare, iscrizioni massive nella banca dati debitori di aziende che invece presentano titoli e requisiti per l'accesso ai premi comunitari;
    altro problema è quello relativo al dimensionamento scolastico che rappresenta forse più di ogni altro come le decisioni prese dall'alto poco si adattino a territori con caratteristiche morfologiche del tutto particolari come è la Sardegna. Anche se dalle aule dei tribunali continuano ad arrivare espressioni negative contro la legge che ha disposto le cancellazioni e gli accorpamenti degli istituti – il decreto-legge n. 98 del 2011 ha fissato l'obbligo di fusione degli istituti comprensivi delle scuole dell'infanzia, elementari e medie con meno di 1.000 alunni, ridotti a 500 per le istituzioni site nelle piccole isole, nei comuni montani, nelle aree geografiche caratterizzate da specificità linguistiche – tale provvedimento comunque ha, di fatto, causato la cancellazione di oltre 1.700 scuole. Seppur reputato «costituzionalmente illegittimo» dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 147 del 2012, occorre in questa sede rilevare come la disposizione non solo contrasta con ogni criterio didattico-pedagogico, comportando la creazione di istituti scolastici abnormi, di difficile gestione e governabilità, ma ha effetti ancora più negativi in un territorio come quello sardo, costringendo a gravosi spostamenti intere famiglie e rappresentando un ulteriore deterrente alla prosecuzione del cammino scolastico degli studenti, in una regione, come in precedenza evidenziato, con il più alto tasso di dispersione scolastica;
    infine, a fronte degli oneri e delle servitù gravanti sul territorio sardo, lo Stato italiano continua a dismettere presidi importanti per il territorio (caserme, uffici dei giudici di pace, tribunali, uffici della motorizzazione civile, sedi della Banca d'Italia), proponendo accorpamenti che ancora una volta non tengono conto delle specificità del territorio isolano, costituito da aree con scarsa densità di popolazione e da collegamenti molto spesso difficili;
    le considerazioni sopra esposte evidenziano la persistente prevalenza dell'interesse nazionale rispetto a quello territoriale, segnando profondamente il modo di essere di una regione e, in taluni casi, rischia di compromettere definitivamente la sua vocazione naturale, turistica e culturale;
    sussiste una «specificità» Sardegna dettata anche da un riconoscimento costituzionalmente garantito in merito alla «specialità», che deve essere affrontata autonomamente ed inserita con urgenza nell'agenda dei lavori dal Governo, in modo tale da risolvere definitivamente problematiche che durano da troppo tempo, anche attraverso un ripensamento delle attuali competenze,

impegna il Governo:

   nelle questioni sopra richiamate, ad attivarsi concretamente al fine di superare le criticità esistenti, tenendo nel debito conto gli interessi territoriali in base anche al principio della leale collaborazione tra enti e comunque nel pieno rispetto degli interessi di cui è portatrice la Regione autonoma della Sardegna;
   a prestare un'attenzione «particolare» in termini di assunzione di responsabilità e di riconoscimento delle specificità della realtà e delle problematiche della Sardegna, affinché possano essere superate ed orientate ad una valorizzazione delle vocazioni principali dell'isola stessa;
   ad inserire nell'agenda dei lavori del Governo la questione Sardegna, anche attraverso l'istituzione di uno specifico tavolo di lavoro congiunto Stato-regione per l'esame urgente delle vertenze ancora aperte e per definire, in particolare, tutte le iniziative utili a garantire la loro risoluzione in tempi certi.
(1-00697) «Capelli, Piras, Vargiu, Dellai, Tabacci, Labriola, Di Gioia, Lo Monte, Fauttilli, Pinna».


   La Camera,
   premesso che:
    i dati contenuti nel rapporto Svimez 2014 sull'economia del Mezzogiorno, presentato a Roma il 28 ottobre 2014, offrono una fotografia allarmante della perdurante e gravissima crisi economica, sociale e finanziaria che la regione Sardegna sta attraversando. Nel 2013 nell'isola si è registrato un calo del prodotto interno lordo pari al 4,4 per cento rispetto al 2012. Dallo studio emergono anche altri dati preoccupanti: tasso di disoccupazione ufficiale pari al 17,5 per cento, tasso di disoccupazione giovanile (giovani con meno di 24 anni) pari al 54,2 per cento, percentuale di famiglie residenti monoreddito pari al 53,1 per cento, percentuale di famiglie povere sul totale famiglie (povertà relativa) nel 2013 pari al 24,8 per cento. I numeri che riguardano l'isola si inseriscono in un quadro negativo generale registrato per tutto il Centro-Sud d'Italia. Se si considera il dato cumulato dei sei anni di crisi, dal 2008 al 2013, la riduzione del prodotto interno lordo, che per la Sardegna è del 13 per cento, risulta per quasi tutte le regioni meridionali – ad eccezione del solo Abruzzo (-7,3 per cento) – di entità assai forte;
    è doveroso sottolineare che la situazione di stallo in cui versa oggi la regione Sardegna scaturisce da una serie infinita di scelte opinabili da parte della politica regionale e nazionale nel corso degli ultimi decenni. Gli amministratori locali che si sono succeduti nel tempo non sono stati in grado o non hanno avuto la volontà di attuare una programmazione nel medio e nel lungo periodo e non hanno sfruttato le potenzialità dell'autonomia speciale. Grandi responsabilità restano in capo anche e soprattutto ai Governi nazionali che non hanno mai prestato la dovuta attenzione alle problematiche dell'isola, ritenendo in numerosissime occasioni non prioritaria la ricerca delle soluzioni delle criticità presenti nel territorio;
    innumerevoli sono le vertenze con lo Stato italiano aperte da tempo e mai risolte. Tra i numerosi fallimenti che è impossibile non imputare a una politica incapace negli anni di compiere scelte risolutive è d'obbligo citare, in primo luogo, la perdurante «vertenza entrate», fondata sul riconoscimento dell'articolo 8 dello statuto autonomo. La Regione autonoma della Sardegna vanta da tempo un credito con lo Stato italiano di centinaia di milioni di euro per il mancato trasferimento di una parte consistente di entrate tributarie, come confermato dalla Corte costituzionale nel 2012. Nonostante l'annuncio, il 1o aprile 2015, dell'arrivo nelle casse regionali di 300 milioni di euro dallo Stato, come acconto del credito della regione per gli anni dal 2010 al 2014, la questione rimane ancora non conclusa, risultando pertanto necessario arrivare nel più breve tempo possibile a una soluzione definitiva e condivisa;
    la Sardegna, a causa della sua insularità, dell'ampiezza e della particolare conformazione del territorio, vive da sempre una condizione di svantaggio rispetto alla penisola in termini di erogazione di servizi e di potenzialità di sviluppo economico, aggravata dalla totale inadeguatezza del sistema dei trasporti e della viabilità e da una forte carenza infrastrutturale che ostacolano la circolazione di merci e persone. Il problema dei difficili collegamenti, sia via mare che via aerea, da e per il continente rappresenta una delle più grandi criticità per la regione, tanto da poter affermare che la popolazione sarda subisce costantemente una limitazione del pieno godimento del diritto alla mobilità e dello strumento della continuità territoriale, intesa come capacità di garantire un servizio di trasporto che non penalizzi cittadini residenti in territori meno favoriti. In data 18 luglio 2012 è stata stipulata tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la Compagnia italiana di navigazione spa una convenzione che disciplina gli obblighi e i diritti derivanti dall'esercizio di servizi di collegamento marittimo in regime di pubblico servizio con le isole maggiori e minori, redatta ai sensi dell'articolo 1, comma 998, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e dell'articolo 19-ter del decreto-legge n. 135 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 166 del 2009. A distanza di due anni e mezzo dalla firma è evidente che tale convenzione non ha portato alcun vantaggio alla regione Sardegna, né in termini economici né in termini di servizi offerti al cittadino, risultando pertanto necessaria, in vista della scadenza del primo periodo regolatorio stabilita per il 31 dicembre 2015, una profonda rivisitazione della stessa con miglioramenti e aggiustamenti che siano di reale garanzia degli interessi dell'utenza. I difficili e costosi collegamenti da e per l'isola, inoltre, rappresentano un freno anche per lo sviluppo turistico della regione, settore di rilevanza fondamentale che andrebbe maggiormente sostenuto, valorizzando l'immenso patrimonio naturalistico e artistico che la Sardegna offre;
    se i collegamenti da e per la penisola sono problematici, i trasporti all'interno dell'isola appaiono a loro volta carenti e inadeguati. L'utilizzo dei trasporti su rotaia è costantemente disincentivato a causa delle pessime condizioni in cui versa la rete ferroviaria della regione e del limitato numero di treni che percorre l'isola quotidianamente. La rete principale della Sardegna si compone solamente di quattro linee ferroviarie. Dei 432 chilometri a scartamento ordinario soltanto 51 sono a doppio binario. Interi territori, che comprendono anche comuni molto popolosi, non sono serviti da treni. Talvolta, l'unico modo per raggiungere le stazioni più vicine rispetto al luogo di residenza è utilizzare i mezzi propri. I pendolari sardi, inoltre, sono quotidianamente costretti ad estenuanti attese nelle stazioni e impiegano tempi molto lunghi per percorrere brevi distanze, con tutti i disagi che ne conseguono. Non meno critica è la situazione che riguarda le pericolose strade statali per le quali si aspettano, da tempo, interventi di ammodernamento e di messa in sicurezza. Anche a tal proposito non si può non sottolineare l'assoluta disattenzione nei confronti della Sardegna da parte di uno Stato centrale, che preferisce stanziare miliardi di euro per infrastrutture inutili e dannose a scapito di opere che sono necessarie e urgenti e che richiedono senza dubbio l'utilizzo di minori risorse;
    in Sardegna è in atto o è stato annunciato l'avvio di numerosi processi di privatizzazione di società a capitale pubblico, prevalentemente regionali. Molte delle aziende coinvolte fanno parte del settore dei trasporti, sia marittimi sia aerei. Si possono ricordare, soltanto per citare degli esempi, la Sardegna regionale marittima spa (Saremar), società di gestione del pubblico servizio di linea tra la Sardegna, le isole minori e la Corsica, il cui azionariato è oggi detenuto al 100 per cento dalla regione, e la società della regione Sogeaal spa, che gestisce l'aeroporto «Riviera del Corallo» di Alghero-Fertilia. Tali privatizzazioni, conseguenza di discutibili scelte politiche nazionali e regionali compiute nel tempo ed oggi presentate come unica soluzione per il mantenimento in vita delle società, destano preoccupazioni per il rischio di un abbassamento dei livelli di qualità dei servizi offerti al cittadino e della perdita di posti di lavoro;
    una delle più gravi criticità della Sardegna è l'altissimo tasso di disoccupazione, il cui aumento non pare arrestarsi, arrivando alla fine del 2014 al 18,2 per cento. Risulta pertanto necessaria e non più procrastinabile l'adozione di iniziative urgenti volte concretamente al superamento della drammatica crisi occupazionale che investe il territorio. L'emergenza occupazionale si ricollega indissolubilmente alle numerosissime crisi industriali che stanno attraversando le aziende presenti nella regione. Sono molte le imprese che sono state costrette a dichiarare fallimento o che sono in procinto di farlo, la cui chiusura, oltre a provocare un ulteriore freno allo sviluppo economico dell'isola, sta determinando pesanti perdite di posti di lavoro nell'ordine di decine di migliaia. Tra le maggiori realtà imprenditoriali interessate dalle crisi aziendali è doveroso ricordare, oltre all’Alcoa e all'ex-Ila, la Keller elettromeccanica spa, produttrice di carrozze ferroviarie con stabilimento primario a Villacidro e stabilimento secondario in Sicilia, il cui fallimento è stato recentemente decretato dalla corte d'appello del tribunale di Cagliari, che ha rigettato il ricorso contro la sentenza di primo grado presentato dai lavoratori, dalle organizzazioni sindacali, dalla regione Sardegna e dalla regione Sicilia insieme con il Ministero dello sviluppo economico;
    di grandi dimensioni è la vertenza Meridiana, gruppo di primaria importanza in Italia nel settore del trasporto aereo, che sta vivendo da tempo una profonda crisi aziendale. Il 15 settembre 2014 la compagnia ha comunicato l'avvio della procedura di mobilità e licenziamento collettivo per 1.634 lavoratori in esubero, di cui una rilevante percentuale residente in Sardegna. Dopo l'apertura di un tavolo tecnico interministeriale e la scelta, quasi obbligata, da parte di circa 300 dipendenti dell'esodo «incentivato», soltanto per citare le tappe più significative della vicenda, in data 30 aprile 2015 è stato siglato presso la sede del Ministero dello sviluppo economico un accordo grazie al quale 1.340 lavoratori potranno beneficiare di un altro anno di cassa integrazione straordinaria, il cui pagamento sarà anticipato dalla compagnia dell'Aga Khan. Per i dipendenti del gruppo che rischiano il licenziamento questo passo rappresenta senza dubbio un segnale positivo, ma si tratta soltanto di una soluzione provvisoria, risultando pertanto necessari interventi più incisivi da parte dei Ministeri competenti per scongiurare definitivamente il rischio del licenziamento collettivo, che, se verrà messo in atto, porterà per la Sardegna un ulteriore peggioramento della situazione occupazionale già drammatica;
    scarsa è l'attenzione prestata, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, dai Governi nazionali che si sono susseguiti negli anni rispetto al tema dell'inquinamento ambientale nella regione Sardegna. In particolare, l'industrializzazione e i processi di destrutturazione produttiva di aree di inestimabile bellezza, come il Sulcis-Iglesiente, hanno compromesso gli equilibri naturali, provocando pesanti danni all'ecosistema naturale e alla salute fisica e psichica della popolazione. Un'area gravemente colpita è quella di Portovesme. Nel grande polo industriale specializzato nella metallurgia non ferrosa, unico in Italia per le sue produzioni di alluminio da bauxite, zinco, piombo e acido solforico, oro, argento e alluminio primario, hanno operato a lungo industrie quali EurAllumina spa, Otefal sail spa, Portovesme srl, Alcoa, Rockwool Italia spa, Carbosulcis spa. La presenza di tre discariche di rifiuti industriali nel comune di Carbonia, di cui una dell'azienda Ecodump (di Riverso srl), una della Portovesme srl ed una della Carbosulcis spa, ha avuto conseguenze devastanti per il territorio che non possono essere sottovalutate. La discarica Ecodump, nel 2012, è finita al centro di un'inchiesta per traffico illecito di rifiuti pericolosi, falso ideologico e attività di gestione di rifiuti non autorizzata. Nel 2012 è stata aperta un'indagine per traffico di rifiuti altamente pericolosi prodotti dagli impianti della Portovesme srl che sarebbero stati smaltiti illecitamente in cave del territorio cagliaritano, con un risparmio per la società di circa 3,6 milioni di euro;
    preoccupano le possibili conseguenze negative che potrebbero derivare per l'ambiente e per la salute dei cittadini dai presunti sversamenti di olio combustibile nei terreni sottostanti i serbatoi di alimentazione dei gruppi 1 e 2 della centrale termoelettrica della E.on di Fiume Santo, situata nella zona nord occidentale della Sardegna, i cui dirigenti si sono trovati recentemente al centro delle cronache giudiziarie. Secondo la procura della Repubblica di Sassari, che ha coordinato le attività di polizia giudiziaria per oltre un anno, i manager, per garantire un risparmio di spesa alla multinazionale tedesca, avrebbero omesso di segnalare alle autorità competenti i suddetti sversamenti e avrebbero consentito, in questo modo, la persistente contaminazione dei terreni e delle falde acquifere del sito interessato, provocando un danno ambientale in aree di interesse pubblico;
    i dati sul rischio idrogeologico in tutto il Paese sono allarmanti e da soli sarebbero sufficienti a determinare un'inversione di rotta delle scelte strategiche che riguardano il territorio. La prevenzione del rischio idrogeologico e la messa in sicurezza del territorio sembrano essere non prioritarie rispetto alla realizzazione di opere faraoniche che portano nuovo cemento e continuano a consumare il suolo. In particolare, per quanto riguarda la Sardegna, l'espansione urbanistica di Olbia è stata inarrestabile e solo nel decennio 1997-2007, secondo Il Sole 24 ore, sono sorti «dal nulla» ventitré quartieri e diciassette piani di risanamento, con evidente scarsa attenzione ai potenziali rischi che ne sarebbero derivati. La Sardegna, se si prendono in considerazione soltanto gli ultimi anni, ha dovuto fronteggiare più di un centinaio di situazioni di dissesto idrogeologico che hanno causato morti e feriti e costretto migliaia di cittadini sardi allo sfollamento. L'alluvione che ha colpito decine di comuni della regione il 18 novembre 2013 è soltanto l'evento naturale più noto. È necessario constatare, anche su questo tema, una forte contraddizione da parte dei Governi che si sono succeduti nel Paese, tra ciò che si annuncia e ciò che in realtà viene realizzato. Dopo le buone intenzioni manifestate «a caldo» e gli impegni assunti nell'immediato, oggi si devono purtroppo ancora registrare fortissimi ritardi nella consegna delle risorse necessarie per far fronte ai danni causati dalla calamità naturale e «l'emergenza Sardegna», seppur ancora molto sentita dai cittadini del territorio sardo, a Roma sembra che sia stata dimenticata. A distanza di quasi un anno, inoltre, dalle piogge alluvionali che hanno colpito pesantemente il nord Sardegna e prevalentemente i comuni di Sorso e Sennori il 18 giugno 2014, provocando danni ingenti – in particolare alle colture e alle infrastrutture – che ammontano a circa 36 milioni di euro, nessun intervento, a quanto risulta, è stato adottato dal Governo in merito;
    in Sardegna, soprattutto nelle stagioni calde, si verifica un numero impressionante di incendi. Il 30 per cento del territorio italiano è costituito da boschi, habitat di moltissime specie naturali e vegetali. Il ricco patrimonio forestale del Paese non è adeguatamente tutelato e ogni anno migliaia di ettari di bosco (circa il 12 per cento negli ultimi 30 anni) vengono distrutti da incendi dolosi e colposi. La Sardegna è la prima regione in Italia per numero di morti a causa di roghi: 73 dal 1945 ad oggi. Molto spesso la scarsa disponibilità di mezzi, soprattutto d'aria, rende più complessi e meno tempestivi gli interventi per sedare gli incendi. Nel luglio 2014 in poche ore nell'area collinare di Sibiri e delle campagne che si trovano nel triangolo tra Guspini, Gonnosfanadiga e Arbus sono andate in fumo migliaia di ettari fra boschi di sugherete, macchia mediterranea, pascoli e uliveti. Nonostante la palese necessità di incrementare nei numeri la flotta aerea antincendio dello Stato anziché ridurla, come si è fatto in particolare negli ultimi due anni, anche per il 2015 non risultano iniziative che prevedano un aumento della disponibilità di mezzi aerei per far fronte agli incendi boschivi. Nel 2014, nei mesi di luglio e agosto, sono stati messi a disposizione un massimo di 15 Canadair del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e due Erickson S-64 del Corpo forestale dello Stato. Il 12 agosto 2013 l'allora Presidente del Consiglio dei ministri, Enrico Letta, ha annunciato la vendita di tre dei dieci aerei di Stato, un Airbus A-319 e due Falcon 900, per un valore complessivo di mercato stimato in circa 50 milioni di euro da destinare al potenziamento della flotta antincendio, ma non risulta ai firmatari del presente atto di indirizzo che le suddette risorse siano state trasferite e nessuna notizia si ha ad oggi a proposito della vendita dei mezzi di Stato;
    il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 («Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive»), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, ha tolto alle regioni il potere di veto su ricerca di petrolio e trivellazione. La competenza delle valutazioni di impatto ambientale su attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e di stoccaggio sotterraneo di gas naturale è passata allo Stato. Anche la Sardegna potrebbe essere colpita dagli effetti di tale norma, in particolare per quanto riguarda la realizzazione del cosiddetto «progetto Eleonora» della Saras spa, cui si sta opponendo fortemente la popolazione locale. Se fossero autorizzate le trivellazioni per la ricerca di giacimenti di gas naturale si andrebbe, infatti, a deturpare un territorio, quello di Arborea, di immenso valore naturalistico, posto a circa 200 metri di distanza dalle aree umide di importanza internazionale tutelate dalla Convenzione di Ramsar, dove vige un vincolo paesaggistico e di conservazione integrale, con costi altissimi per la salute dei cittadini, per l'ambiente e per l'economia della zona;
    altra questione di grande rilievo per l'isola è quella relativa al costo dell'energia, problema che non si è mai affrontato con la dovuta attenzione e che ancora oggi non trova soluzioni da parte del Governo. La criticità, già notevole in tutto il territorio italiano, è ancora più accentuata nella regione. I costi per l'energia, già in generale in Italia maggiori rispetto al resto d'Europa, in Sardegna sono i più alti del Paese, nonostante il surplus di produzione regionale. È doveroso constatare, anche a questo proposito, la mancanza di interventi veramente efficaci finalizzati alla riduzione del costo delle bollette dell'energia elettrica da parte di un Governo che ha attuato finora, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, soltanto politiche in materia che si sono rivelate fallimentari;
    in Sardegna più di 35.000 ettari di territorio sono sotto vincolo di servitù militare. L'isola ospita oltre il 60 per cento delle basi militari italiane, strutture e infrastrutture al servizio delle Forze armate italiane o della Nato, un pesante fardello che la regione si porta dietro da decenni. Nonostante la pesante opposizione di cittadini e comitati spontanei che chiedono a gran voce la dismissione dei poligoni e la bonifica dei territori inquinati per i problemi economici e sociosanitari derivanti dalla massiccia presenza militare sull'isola, anche in questo caso la politica, nel corso degli anni, si è mostrata sorda di fronte alle richieste della popolazione. Nel comune di Perdasdefogu, a nord di Cagliari, ha sede il poligono sperimentale e di addestramento interforze del Salto di Quirra che si estende per 120 chilometri quadrati. Un'inchiesta aperta nel 2011 ha rivelato che il poligono è stato utilizzato per lungo tempo come discarica di materiale militare in cui sono stati smaltiti uranio impoverito e torio radioattivo. Quest'ultimo è stato ritrovato, in seguito alle analisi effettuate, in numerosi alimenti destinati all'uomo e nelle ossa di alcuni pastori che prima di ammalarsi e di morire erano transitati nelle aree del poligono. Il poligono permanente per esercitazioni terra-aria-mare di Teulada, il secondo poligono in Italia per estensione, occupa una superficie di 7.200 ettari di terreno e preclude alla navigazione e alla pesca uno specchio d'acqua di circa 450 chilometri quadrati. Il poligono di Capo Frasca si estende per 1.400 ettari a terra lungo la costa occidentale dell'isola e comprende una fascia di 3 miglia a mare interdetta alla navigazione. Oltre a numerose sedi di comandi militari di Esercito, Aeronautica e Marina, in Sardegna è presente anche un aeroporto militare, quello di Decimomannu. Nell'ottobre 2014 il Ministro della difesa ha firmato il decreto di reimposizione della servitù militare su Guardia del Moro a La Maddalena. L'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-04728, a prima firma Emanuela Corda, presentata l'11 febbraio 2015, con cui si chiedevano al Ministro della difesa le motivazioni della reimposizione della servitù di Guardia del Moro, ha ricevuto dal ministro interrogato una risposta del tutto insoddisfacente. Il Ministro, anziché dare spiegazioni agli interroganti, ha dichiarato che fornirà maggiori informazioni di dettaglio in seguito all'esito della relativa determinazione da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri richiesta dalla regione Sardegna. Anche il tribunale amministrativo regionale della Sardegna si è espresso in merito, stabilendo, con una pronuncia del 2012, che l'interesse alla difesa non è superiore all'interesse della comunità locale, definendo entrambi di massimo rilievo e di natura sensibile e affermando che «le servitù hanno carattere temporaneo proprio perché legate all'esigenza di valutare e rivalutare le situazioni, tenendo conto dei cambiamenti che vive il territorio su cui sono calate»;
    in Sardegna sembrerebbe previsto a breve il trasferimento di 92 detenuti sottoposti al regime di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario nella casa circondariale di Sassari-Bancali. La notizia ha destato non poche preoccupazioni tra i cittadini dell'isola, in particolare per i rischi di infiltrazioni e di investimenti della criminalità organizzata che potrebbero derivare da tale trasferimento. Sarebbe pertanto necessario e urgente intervenire per potenziare le forze dell'ordine nel territorio, in modo da garantire maggiore sicurezza alla popolazione, nonché per il riconoscimento dell'autonomia della corte d'appello di Sassari, oggi sede distaccata della corte d'appello di Cagliari, e per la relativa istituzione degli uffici della direzione distrettuale antimafia nella città nel nord dell'isola;
    l'isola de La Maddalena, territorio che può vantare una rara bellezza naturalistica, era stato indicato nel 2009 come luogo ideale per ospitare il vertice dei «grandi della terra», evento che avrebbe portato alla Sardegna grande visibilità a livello nazionale e internazionale, turismo, posti di lavoro e avrebbe dato una grossa mano all'economia regionale. Nonostante ingenti somme di denaro pubblico già spese per avviare opere e per la bonifica del mare, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha stabilito di trasferire la sede del G8 a L'Aquila, dove si è poi tenuto. In tal modo i lavori eseguiti, a tempo di record, fino a quel momento sono stati pressoché inutili. Oggi, a distanza di sei anni dal G8, lo Stato italiano non ha ancora dato corso agli impegni assunti per quanto riguarda le bonifiche. Le acque che dovevano essere bonificate risultano ancora inquinate e le strutture costruite versano in uno stato di abbandono. Per il G8 de La Maddalena, secondo i dati ufficiali, sono stati spesi circa 327 milioni di euro, anche se gli investimenti parrebbero superare il mezzo miliardo di euro. Il milionario progetto privato che consisteva in un polo di lusso per la vela, gestito dalla Mita resort dall'ex presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, di fatto non è mai partito e, a causa delle mancate bonifiche, lo Stato italiano è stato di recente condannato a risarcire l'impresa appaltatrice con 36 milioni di euro;
    la regione sembrerebbe destinata a diventare sede del deposito nazionale di scorie nucleari radioattive, nonostante il netto pronunciamento in occasione del referendum consultivo regionale, svoltosi il 15 e il 16 maggio 2011, da parte della popolazione sarda contro l'installazione in Sardegna di centrali nucleari e di siti per lo stoccaggio di scorie radioattive da esse residuate o preesistenti (848.634 «sì», corrispondenti al 97,13 per cento dei votanti). Il dissenso unanime dei cittadini, dei comitati e delle istituzioni locali e regionali nei confronti dell'individuazione dell'isola come sede del deposito di scorie radioattive scaturisce da precisi motivi, primo fra tutti il reale rischio di compromissione dell'ambiente in un territorio già fortemente penalizzato a causa degli oneri eccessivi delle servitù militari, come sopra esposto. A causa dell'insularità della regione, inoltre, è utile non sottovalutare le implicazioni catastrofiche che potrebbe determinare il trasporto dei materiali radioattivi via mare in caso di incidente, come denunciato anche dall'Enea;
    preoccupano i rischi di inquinamento ambientale che potrebbero essere provocati dall'espansione verso il centro abitato dell'aeroporto di Cagliari-Elmas, così come previsto dal master plan. Il piano di sviluppo aeroportuale prevede, con un investimento totale di 93,9 milioni di euro, un ampliamento del sedime verso nord-est per la realizzazione di un piazzale aeromobili di aviazione generale e aree di sosta, la razionalizzazione e rilocazione dei servizi aeroportuali e delle installazioni militari presenti nelle aree a sud est del sedime per la loro trasformazione in piazzali per aeromobili di aviazione commerciale per passeggeri e merci, la ristrutturazione delle installazioni presenti a ovest del sedime aeroportuale per la creazione di una base tecnica manutentiva e per l'insediamento di un parco logistico e l'ampliamento del lato nord-est dell'aerostazione passeggeri. Il 13 giugno 2014 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo hanno firmato il decreto ministeriale n. 162 che stabilisce la compatibilità ambientale del progetto, cui si stanno opponendo con forza – in particolare per la parte relativa all'ampliamento verso la città – gli abitanti di Elmas;
    anche per quanto riguarda l'agricoltura, un settore produttivo di notevole importanza per l'economia della regione, non sono state considerate nel modo più opportuno le potenzialità del territorio. La nuova classificazione dell'uso del suolo, che ha trasformato in boschi quelli che venivano considerati pascoli a macchia mediterranea, ha provocato notevoli problemi per le aziende agricole sarde che rischiano oggi di perdere milioni di contributi comunitari a causa dell'inserimento nella «lista nera» da parte dell'Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura). Il cambiamento di uso, da agricolo a non agricolo, interessa decine di migliaia di ettari di superficie coltivabile e finanziabile. Secondo le stime, inoltre, le 12 mila aziende sarde perderanno a causa del refresh circa 12 milioni di euro per ciascuna annualità;
    secondo il dossier pubblicato nel 2014 dalla rivista Tuttoscuola sulla dispersione scolastica la regione italiana che nel quinquennio 2009/2014 ha in assoluto perso più studenti della scuola secondaria superiore è stata la Sardegna: 6.903 allievi pari al 36,2 per cento. In un territorio dove i numeri sull'abbandono prematuro degli studi sono impressionanti sono a maggior ragione necessari interventi volti al contrasto di questo fenomeno e che siano finalizzati al superamento degli ostacoli che contribuiscono ad acuire il problema. Per effetto del comma 4 dell'articolo 19 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (”Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, sono state soppresse più di 1.700 scuole e sono stati creati istituti scolastici enormi e difficili da gestire. Ciò ha provocato, tra le altre cose, non pochi disagi per le famiglie, costrette a dover affrontare lunghi e difficoltosi spostamenti quotidiani in un territorio, come già sottolineato, con caratteristiche morfologiche particolari e che pecca di un carente sistema di trasporti. La norma suddetta è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale con la sentenza 4 giugno 2012, n. 147, ma risulta che molte sedi scolastiche non siano state ripristinate;
    è opportuno segnalare, infine, la continua dismissione di presidi importanti per la regione, come uffici dei giudici di pace, tribunali, uffici della motorizzazione civile, sedi della Banca d'Italia, e il relativo accorpamento che, anche in questo caso, non fanno altro che aumentare i disagi per la popolazione sarda,

impegna il Governo:

   ad inserire con urgenza nell'agenda dei lavori dell'Esecutivo l'adozione di iniziative volte al superamento di tutte le criticità evidenziate, valorizzando il principio costituzionale di leale collaborazione tra Stato, regioni ed enti locali nelle materie in cui si registra una sovrapposizione di competenze e rimuovendo ostacoli procedurali, al fine di affrontare concretamente annose problematiche che affliggono il territorio ed arrivare alla soluzione della «questione Sardegna»;
   ad esaminare proficuamente la «questione Sardegna», anche attraverso l'istituzione di un tavolo tecnico di lavoro con la Regione autonoma della Sardegna e con il coinvolgimento degli enti locali al fine di analizzare tutte le problematiche sopra esposte e giungere, in tempi certi, a soluzioni condivise e concrete delle numerose vertenze aperte, tenendo nel debito conto gli interessi territoriali e promuovendo e potenziando le vocazioni principali dell'isola, facendo di queste una forza da sfruttare nel modo più opportuno per avviare rapidamente una ripresa dell'economia della regione;
   a provvedere con urgenza alla consegna delle somme di cui la Regione autonoma della Sardegna è creditrice con lo Stato per il mancato trasferimento di una parte consistente di entrate tributarie, come confermato anche dalla Corte costituzionale nel 2012, al fine di arrivare in tempi rapidi alla conclusione della cosiddetta «vertenza entrate»;
   ad adottare iniziative, anche normative, al fine di garantire un degno sistema di trasporti per la Sardegna, già in una condizione di svantaggio per l'insularità e per la particolare conformazione del territorio, aggravata da un'inadeguatezza dei collegamenti da e per il continente e all'interno dell'isola, affinché sia tutelato il diritto alla mobilità per i cittadini sardi e non sia compromessa la continuità territoriale;
   ad adottare con urgenza iniziative per la messa in sicurezza delle strade statali della regione, attualmente insicure e pericolose, e per la realizzazione o per il completamento di opere infrastrutturali utili per la popolazione, sottraendo risorse a progetti dannosi per l'ambiente e per il territorio e di dubbia necessità oggettiva;
   ad attivarsi per cercare insieme con la Regione autonoma della Sardegna soluzioni comuni, per quanto di competenza e nel rispetto delle disposizioni normative vigenti, per il salvataggio di aziende pubbliche regionali che rischiano la chiusura e per la salvaguardia dei posti di lavoro, anche considerando l'eventualità di non procedere alle operazioni di privatizzazione previste per alcune di queste;
   a promuovere e ad adottare iniziative urgenti e concrete per il necessario superamento della crisi occupazionale in atto in Sardegna, la quale ha ormai raggiunto caratteri allarmanti;
   a prevedere misure urgenti, di concerto con la Regione autonoma della Sardegna, per la salvaguardia dei posti di lavoro dei dipendenti della Sardegna regionale marittima spa (Saremar), società di gestione del pubblico servizio di linea tra la Sardegna, le isole minori e la Corsica;
   ad adottare iniziative urgenti e maggiormente incisive rispetto alle azioni finora intraprese affinché si arrivi ad una rapida conclusione della vertenza Meridiana al fine di scongiurare definitivamente il rischio del licenziamento collettivo per centinaia di dipendenti del gruppo;
   ad adottare tutte le iniziative che riterrà opportune per la prevenzione del rischio idrogeologico nel medio e nel lungo termine, per la messa in sicurezza del territorio, per la prevenzione e per il contrasto degli incendi boschivi, anche con l'incremento della flotta aerea antincendio dello Stato, per preservare il territorio della Sardegna dai rischi derivanti dall'inquinamento ambientale, troppo spesso provocato dalla «mano umana», tutelando con ogni mezzo a disposizione l'inestimabile patrimonio naturalistico della regione e salvaguardando la salute dei cittadini;
   a colmare con urgenza i ritardi nella consegna delle risorse annunciate per far fronte ai pesanti danni provocati dall'alluvione del 18 novembre 2013 e ad adottare ogni iniziativa che riterrà opportuna a favore dei cittadini e, in particolare, degli imprenditori colpiti dal nubifragio della Romangia del 18 giugno 2014;
   a non concedere alcuna autorizzazione per trivellazioni per la ricerca di giacimenti di gas naturale nel territorio sardo, visti gli altissimi costi, già ampiamente calcolati, per la salute dei cittadini, per l'ambiente e per l'economia che potrebbero derivare dalla realizzazione di tali progetti, come il «progetto Eleonora» nella zona di Arborea, considerato il passaggio allo Stato delle competenze per le valutazioni di impatto ambientale su attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e di stoccaggio sotterraneo di gas naturale, come previsto dal decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133;
   ad adottare con urgenza iniziative a tutela dei lavoratori del polo industriale del Sulcis-Iglesiente e a promuovere immediati interventi di bonifica delle aree industriali dismesse con conseguente riqualificazione del territorio;
   ad adottare iniziative affinché si proceda urgentemente ad una verifica della reale entità dei danni ambientali nell'area della centrale di Fiume Santo e affinché siano accelerate, per quanto di competenza, le procedure di bonifica del sito suddetto e si individuino gli strumenti di intervento per mettere in sicurezza il territorio;
   ad adottare ogni iniziativa che riterrà opportuna al fine di tutelare con ogni mezzo a disposizione la salute dei cittadini della Sardegna, considerato che, in modo particolare nelle aree industriali e in quelle che necessitano di bonifica, il tasso di mortalità registrato, soprattutto per malattie causate dall'inquinamento ambientale, è elevatissimo;
   ad adottare iniziative, incisive e concrete, finalizzate alla riduzione del costo dell'energia che in Sardegna oggi è molto elevato;
   ad adottare iniziative volte alla riduzione della massiccia presenza militare sull'isola e alla bonifica dei territori inquinati;
   ad adottare iniziative finalizzate al riconoscimento della corte d'appello di Sassari come sede autonoma e alla relativa istituzione degli uffici della direzione distrettuale antimafia nella città nel nord dell'isola;
   a dare corso agli impegni assunti dallo Stato italiano per quanto riguarda la bonifica del territorio de La Maddalena, anche al fine del potenziamento dello sviluppo turistico dell'area;
   a rispettare la volontà espressa dai cittadini sardi che in occasione del referendum consultivo del 2011 in materia di nucleare si sono largamente dichiarati contrari all'installazione in Sardegna di centrali nucleari e di siti per lo stoccaggio di scorie radioattive da esse residuate o preesistenti;
   ad intervenire affinché non sia realizzata la parte del progetto di ampliamento dell'aeroporto «Mario Mameli» di Cagliari verso il centro abitato, valutando con particolare attenzione le conseguenze negative per la città di Elmas e per le zone limitrofe che potrebbero derivare da tale espansione;
   ad intervenire presso l'Agea affinché si sospendano gli effetti della nuova classificazione dell'uso del suolo per la tutela di moltissime aziende agricole che rischiano di perdere a causa del cambiamento di uso, da agricolo a non agricolo, milioni di euro di contributi comunitari su cui contavano per il mantenimento e per lo sviluppo delle proprie attività;
   ad adottare iniziative volte al contrasto del fenomeno della dispersione scolastica, che in Sardegna ha raggiunto livelli allarmanti anche a causa della chiusura di molte sedi scolastiche.

(1-00850) «Nicola Bianchi, Corda, Vallascas, Sibilia, Capelli».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo quanto risulta da un recente documento elaborato dall'Istat, le prospettive dell'economia italiana per il 2015-2017 indicano un aumento del prodotto interno lordo nel 2015 (+0,7 per cento), cui seguirà una crescita dell'1,2 per cento e dell'1,3 per cento nel biennio successivo, i cui effetti determineranno la conclusione della fase recessiva del triennio precedente;
    al riguardo, i firmatari del presente atto di indirizzo evidenziano che, a fronte di tali indicatori, obiettivamente modesti, che rimangono al di sotto della media europea, permangono evidenti e gravissime componenti macroeconomiche negative, che rallentano fortemente il consolidamento della ripresa della domanda interna e dei consumi nel Paese, i cui timidi segnali di miglioramento rischiano di essere vanificati rapidamente, se dovesse ulteriormente aumentare prossimamente l'iva, come previsto dalla clausola di salvaguardia, a seguito della sentenza della Corte costituzionale sul blocco delle rivalutazioni delle pensioni;
    all'interno del sopra esposto scenario, pertanto, permane fragile il quadro complessivo dell'economia italiana, i cui fattori di debolezza si evidenziano, in particolare, nelle regioni del Mezzogiorno, la cui vastità degli effetti negativi che la crisi economica e finanziaria ha prodotto nel tessuto economico e sociale ha ulteriormente aumentato i divari con le altre aree del Centro-Nord;
    in tale ambito la regione Sardegna, anche a causa della sua insularità che la rende meno concorrenziale rispetto alle altre regioni e per storiche irrisolte questioni, come la continuità territoriale, evidenzia una costante caduta verticale dell'attività economica e produttiva, come dimostrano i principali osservatori nazionali e le analisi della Banca d'Italia, che rilevano come, sia nel 2014 che nel 2015, si siano registrati ulteriori segnali di riduzione della produzione industriale, associati a una diminuzione della domanda di lavoro e alla riduzione del credito alle famiglie e alle imprese della Sardegna;
    le note debolezze strutturali dell'economia regionale isolana, relative al sistema dei trasporti e dei collegamenti stradali, ferroviari e marittimi, le difficoltà legate al diritto alla mobilità, i cui effetti si ripercuotono negativamente sui servizi, sullo spostamento delle persone e delle merci, sul commercio e sui sistemi della logistica e, soprattutto, sull'economia turistica, ribadiscono la necessità di rafforzare le politiche d'intervento in favore dell'area regionale sarda, su cui l'azione del Governo Renzi è stata finora assente e inadeguata, in particolare con riferimento all'insufficienza delle risorse destinate;
    le evidenti politiche di dismissione messe in atto dall'Esecutivo in carica nei riguardi del sistema industriale, artigianale e del terziario della regione Sardegna, come dimostrano il numero delle imprese del Sulcis (pari a 1.250) che hanno cessato l'attività negli ultimi due anni e quelle inattive (oltre 1.110 nel 2014 soggette a procedure concorsuali o in liquidazione), hanno conseguito effetti particolarmente gravi anche nel mercato del lavoro, come dimostrano i dati del primo trimestre del 2015 rilevati dalla Confederazione dell'artigianato e della piccola media impresa sarda;
    la Confederazione nazionale dell'artigianato Sardegna ha infatti evidenziato che, nel primo trimestre del 2015, i lavoratori in uscita risultano pari a 4.820, a fronte di 4.170 assunzioni, con un saldo negativo di -650 posti di lavoro, aggiungendo, inoltre, come lo scenario economico della Sardegna si caratterizzi negativamente dal numero di persone inattive, pari a 446 mila persone, dal tasso di disoccupazione medio al 18,2 per cento (con quello giovanile che raggiunge oltre il 50 per cento), da 25 mila lavoratori in cassa integrazione guadagni e mobilità in deroga, da oltre 2 mila aziende in crisi e circa 350 mila soggetti che vivono sotto la soglia di povertà, a cui si aggiungono oltre 25 mila imprese artigiane che hanno cessato l'attività nel 2014;
    ulteriori profili di criticità associati a quelli in precedenza esposti si rinvengono anche nell'elevata carenza di scolarizzazione: la percentuale dei giovani che nel 2013 ha abbandonato prematuramente gli studi in Sardegna è pari al 24,7 per cento e rappresenta la più alta in Italia, dopo la Sicilia (25,8 per cento), a fronte della media nazionale pari al 17 per cento, e ciò conferma, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, una situazione complessiva sociale ed economica di estrema difficoltà per l'interessata isola;
    a tal fine, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, occorrono politiche d'intervento in netta controtendenza con le misure finora previste dal Governo Renzi, in grado di favorire il processo di crescita e sviluppo per la Sardegna, la cui economia rimane strettamente ancorata alle dinamiche nazionali e del Mezzogiorno;
    al riguardo, risultano urgenti e necessarie misure finalizzate a rafforzare i principi di coesione territoriale, sociale ed economica su cui si fonda il Trattato dell'Unione europea, che individuano nella riduzione delle disparità regionali le condizioni per la crescita e lo sviluppo dell'Unione europea, promuovendo iniziative imprenditoriali pubbliche e private, in favore della regione Sardegna, completando l'infrastrutturazione primaria del territorio sardo e avviando più rapidamente quella secondaria;
    a fronte dei predetti interventi, occorre affiancare ulteriori misure di sostegno attraverso adeguati investimenti, sia per la modernizzazione della viabilità interna, che per il miglioramento della continuità territoriale, costituzionalmente garantita, quale componente fondamentale per la ripresa economica dell'isola, in considerazione degli effetti che riveste sui servizi di trasporto delle persone e delle merci, nonché sui flussi turistici;
    a tal fine, nell'ambito dei sistemi di trasporto marittimo e delle misure d'intervento previste dalla Commissione europea, in merito alla revisione della rete Ten-T, che definisce le scelte strategiche infrastrutturali per i nuovi corridoi trasportistici multimodali, occorre rafforzare le misure d'intervento in favore delle «autostrade del mare»; il ricorso maggiore all'intermodalità, indicato dal piano della logistica come obiettivo chiave dell'economia italiana, consentirà di favorire la regione Sardegna, all'interno della piattaforma logistica del Mediterraneo;
    risultano, altresì, necessari interventi per il completamento delle infrastrutture digitali, rispetto alle quali il Mezzogiorno e la Sardegna sono fortemente in ritardo, in grado di determinare la crescita nel settore della ricerca e dell'innovazione per una nuova linfa imprenditoriale radicata sul territorio, creando nella regione una rete di piccole e medie imprese capaci di produrre indotto;
    nell'ambito delle misure prospettate, occorre, altresì attivare ulteriori iniziative rispetto a quelle già esistenti, attraverso l'estensione in via sperimentale delle zone franche, in grado di garantire agevolazioni fiscali e contributive in favore delle micro e piccole imprese che sono ubicate nei territori dei comuni della regione Sardegna, interessati maggiormente dai livelli di crisi produttiva e occupazionale, al fine di stimolare i consumi e la ripresa della domanda che, secondo l'ufficio studi di Confcommercio (sugli ultimi dati disponibili), segnano un prodotto interno lordo a meno 4,8 per cento rispetto al nazionale;
    a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, necessitano, tra l'altro, adeguati interventi volti alla risoluzione delle difficoltà dei servizi di trasporto ferroviario ed aereo (anche a causa della crisi delle compagnie di volo Meridiana e Alitalia), spesso oggetto di reiterate interruzioni, le cui ricadute negative sui flussi di traffico passeggeri e merci, sulla competitività delle aree, sull'occupazione e sui flussi turistici, in nome di un progetto di complessiva razionalizzazione dei servizi e della rete finalizzato unicamente alla contrazione dei costi, rischiano di accrescere i ritardi rilevanti rispetto alle altre aree del Paese e del Mediterraneo;
    nell'ambito degli accordi di partenariato per il commercio e gli investimenti fra Unione europea e Stati Uniti d'America, volti a sostenere entrambe le economie continentali, la regione Sardegna può svolgere un ruolo fondamentale all'interno dei negoziati, attraverso l'articolo 52 dello statuto speciale (che prevede il coinvolgimento nell'elaborazione dei progetti dei trattati di commercio che il Governo intenda stipulare con Stati esteri nell'ambito degli scambi di specifico interesse della Sardegna), per i meccanismi arbitrali Investor State dispute settlement indicati dal trattato medesimo;
    risulta, pertanto, indifferibile la realizzazione di un piano d'intervento, in favore della regione Sardegna, attraverso i sopra esposti indirizzi strategici da perseguire con convinzione e con i necessari investimenti finalizzati alla creazione di un nuovo modello di sviluppo legato ad una visione non solo nazionale, all'interno di una prospettiva di sviluppo internazionale dell'isola,

impegna il Governo:

   ad assumere le iniziative indicate in premessa, con particolare riferimento alle politiche d'intervento legate al miglioramento dei sistemi infrastrutturali di collegamento e dell'estensione delle zone franche per le aree del territorio ad elevata disoccupazione, al fine di rilanciare lo sviluppo e la crescita della regione Sardegna, i cui livelli di debolezza economici e sociali permangono ancora su livelli elevati;
   ad intervenire in sede comunitaria, sia favorendo iniziative finalizzate ad incrementare il ricorso all'intermodalità attraverso il sistema delle autostrade del mare, tramite lo strumento dell’ecobonus, in grado di migliorare il sistema dell'autotrasporto della Sardegna, che nell'ambito dei negoziati in corso del Ttip (Transatlantic trade and investment partnership), affinché la medesima regione possa svolgere un ruolo primario nell'elaborazione del trattato;
   a prevedere, infine, la realizzazione di un piano d'intervento straordinario in favore della regione Sardegna, attraverso l'istituzione di una cabina di regia rappresentata dalle istituzioni locali e dalle imprese sarde, in grado di realizzare gli indirizzi d'intervento indicati in premessa.
(1-00851) «Nizzi, Vella, Palese, Capelli».


   La Camera,
   premesso che:
    il rapporto Svimez 2014 sull'economia del Mezzogiorno ha rilevato come tra le principali economie industrializzate, principalmente per effetto della crisi di competitività che la colpisce da oltre dieci anni, l'Italia è fra le più lente a recuperare: dal 2001 al 2013 il prodotto interno lordo nazionale ha infatti registrato una flessione dello 0,2 per cento, per effetto dell'ampia forbice tra un Centro-Nord positivo (+ 2 per cento) e un Mezzogiorno fortemente in ribasso (-7,2 per cento);
    in base a valutazioni Svimez, nel 2013 il prodotto interno lordo è crollato nel Mezzogiorno del 3,5 per cento con un calo superiore di quasi due punti percentuali rispetto al Centro-Nord e che per il sesto anno consecutivo registra un segno negativo, a testimonianza della criticità dell'area. Il divario di prodotto interno lordo pro capite tra Centro-Nord e Sud nel 2013 è sceso al 56,6 per cento, tornando ai livelli del 2003, oltre dieci anni fa, con un prodotto interno lordo pro capite pari a 16.888 euro;
    il rapporto Svimez evidenzia due grandi emergenze nel nostro Paese: quella sociale con il crollo occupazionale e quella produttiva con il rischio di desertificazione industriale, che caratterizzano oramai per il sesto anno consecutivo il Mezzogiorno. Nel caso del Sud la peggior crisi economica del dopoguerra rischia di essere sempre più paragonabile, scrive l'istituto di ricerca, alla Grande depressione del 1929;
    in questo quadro, la Sardegna si mostra sempre più povera, con una disoccupazione giovanile allarmante, e in recessione. Nel 2013, il prodotto interno lordo della Sardegna è diminuito del 4,4 per cento, più della media registrata nelle regioni meridionali e insulari. Negli anni della crisi – dal 2007 al 2013 – l'isola ha perso il 13 per cento del suo prodotto, meno di Basilicata e Molise (-16 per cento) ma più di Abruzzo e Campania (-12 per cento). Sempre nel 2013, in tutto il Sud gli occupati sono diminuiti di circa 280 mila unità (-4,6 per cento): 43 mila erano posti di lavoro sardi (-7,3 per cento). E anche la disoccupazione giovanile, nell'isola, è risultata ben più alta della media del Mezzogiorno: 54,2 per cento per cento contro il 46,9 per cento;
    sempre secondo i dati Svimez, in Sardegna si sono registrati: 10 milioni di ore di cassa integrazione nella manifattura, il calo dei consumi (-2 per cento), l'aumento delle famiglie che si trovano in una condizione di povertà relativa (24,8 per cento, una su quattro). Alla desertificazione produttiva e industriale si registra anche quella umana. La Sardegna è, infatti, sempre di più una terra di emigrazione, in cui i morti superano i nati – il tasso di mortalità sardo nel 2013 è stato del 7,2 per mille, quello di mortalità del 9,2 per mille e in tutto il Sud il numero dei nati ha toccato il suo minimo storico ovvero 177 mila, il più basso dal 1861 – e i giovani fanno la fila per staccare un biglietto di sola andata verso il resto d'Italia e del mondo;
    la gravissima situazione economica e sociale dell'isola, così come delineata, si inserisce all'interno della cosiddetta «vertenza Sardegna» e dei rapporti tra Stato e regione, con l'individuazione di una serie di temi che, ancora oggi, non hanno trovato una soluzione e che impongono di inserire nell'agenda dei lavori del Governo la «questione sarda» come vera e propria questione nazionale;
    a tal fine, il presidente della regione autonoma della Sardegna ha convocato un tavolo permanente di consultazione con le forze politiche e sociali per approfondire temi, priorità e modalità di azione per trovare una soluzione a questioni che fino a oggi non hanno trovato alcuna soluzione nel rapporto con lo Stato. Se, da un lato, la giunta sarda ha incassato la cancellazione dei vincoli di spesa sul patto di stabilità (prima regione ad aver ottenuto il solo pareggio di bilancio da rispettare), dall'altro rimangono ancora da risolvere nella loro interezza le seguenti questioni: vertenza entrate, energia, trasporti e continuità territoriale interna ed esterna, superamento del deficit infrastrutturale, servitù militari, G8 de La Maddalena con la gestione delle opere incompiute, insularità e mantenimento della condizione di specialità nell'attuale quadro costituzionale;
    per quanto riguarda la «vertenza entrate», la Sardegna attende ancora una soluzione del mancato versamento di parte delle entrate tributarie dovute dallo Stato alla regione, nel corso degli anni tra il 1991 e oggi. Secondo l'articolo 8 dello statuto della regione Sardegna (legge di rango costituzionale) la regione sarda ha, infatti, diritto a una parte delle entrate tributarie statali riscosse in Sardegna. Tra queste, ad esempio i 7 decimi dell'Irpef e analoghe percentuali di altre imposte, soprattutto indirette (IVA, accise). Secondo le verifiche effettuate, lo Stato ha mancato di versare per intero la quota di compartecipazione sull'Irpef spettante alla Sardegna: avrebbe restituito i 4 decimi del totale riscosso anziché i 7 decimi stabiliti nello statuto. Questa è la voce principale dell'intera «vertenza entrate», ma non l'unica. Il 1o aprile 2015, alla regione sono stati versati i primi 300 milioni di euro, primo acconto per gli anni dal 2010 al 2014, del credito che la regione vanta nei confronti dello Stato. Si tratta solo di un anticipo, giacché all'appello mancano altri trecento milioni di euro, saldo del credito complessivo vantato dalla Sardegna nei confronti dello Stato. Queste somme in ogni caso sono di gran lunga inferiori a quanto lo Stato dovrebbe in realtà versare alla Sardegna in base al suo statuto speciale. Dai 16 miliardi di euro iniziali, un accordo tra regione e Governo ha portato il debito dello Stato italiano a circa 5 miliardi di euro, a fronte di una garanzia di «maggiori entrate» (da inserire nello statuto). L'accordo definitivo sull'entrate attende di trovare una completa definizione in una norma di attuazione dello statuto speciale per la redazione della quale, entro il mese di giugno 2015, la regione ha annunciato una proposta;
    a livello politico si è riacceso il dibattito sulle regioni a statuto speciale e sull'opportunità che il nostro sistema costituzionale ne riconosca ruolo, prerogative e poteri. Si tratta di una prerogativa costituzionale che le regioni hanno assunto in virtù di evidenti condizioni di svantaggio e di peculiarità che sono elemento di forza e di arricchimento nella repubblica italiana. È sbagliato sostenere che le cinque regioni ad autonomie differenziate, tra le quali c’è anche la Sardegna, godano di ingiusti privilegi. Come è noto, e la tesi è sostenuta anche da autorevoli costituzionalisti e dalla giurisprudenza prevalente, la riforma del Titolo V (2001) della Carta costituzionale ha quasi annullato la specialità delle regioni, attribuendo una serie di poteri e funzioni così ampie a quelle «ordinarie» che, di fatto, allinea le realtà speciali a quelle ordinarie. Oggi, quella specialità quasi non esiste, se non nella compensazione di una serie di spese e trasferimenti che ancora non sono sufficienti ad assicurare la parità di condizioni tra tutte le regioni italiane. L'equivalenza tra specialità e privilegi non solo è un assurdo giuridico e storico ma è anche ingiusto sotto il profilo politico. Nel caso della Sardegna, la regione gestisce con il proprio bilancio, senza alcun fondo statale, tutto il servizio sanitario regionale, il trasporto pubblico locale e la continuità territoriale aerea. La presenza di regioni a statuto speciale è ancora utile al Paese e non può essere messa in discussione se non si vuole rompere la coesione territoriale e il principio di solidarietà nazionale;
    altra questione irrisolta è quella delle servitù militari nazionali, il 65 per cento delle quali grava sulla Sardegna. È necessario un equilibrio, poiché, come ha ricordato il presidente della regione Francesco Pigliaru in audizione presso la IV Commissione (Difesa) della Camera dei deputati, si tratta di numeri significativi: 30 mila ettari, di cui 13 mila con limitazioni totali, impegnati dal demanio militare a cui si devono aggiungere gli spazi aerei e circa 80 chilometri di costa. La giunta regionale della Sardegna non ha ancora firmato l'accordo con il Ministero della difesa sulle servitù militari e non lo firmerà in assenza di nuove prospettive per la presenza militare nell'isola. Da tempo, è richiesta una riqualificazione della presenza militare alleggerendo il territorio dal carico delle servitù, nel rispetto delle esigenze di difesa nazionali. Si tratta di prestare una fattiva attenzione alla tutela del territorio a mezzo di bonifiche, del riconoscimento del diritto di fruire anche a fini turistici delle aree costiere attualmente occupate dalle basi militari, nonché dell'investimento di risorse della difesa in ricerca tecnologica applicata anche al campo civile, per un rapporto sostenibile tra presenza militare e contributo allo sviluppo economico del territorio in termini dinamici e non assistenziali. Tutto questo anche al fine di dimostrare che non è vero che la presenza militare in Sardegna rechi soltanto svantaggi;
    la regione autonoma della Sardegna, per soddisfare esigenze non proprie, sta diventando una grande piattaforma di produzione di energia attraverso la costruzione di impianti fotovoltaici ed eolici e lo scavo di pozzi marini per la ricerca del gas naturale. Ferme restando le responsabilità regionali per la mancanza di un piano energetico, la questione del costo dell'energia resta un problema irrisolto e trascurato che compromette pesantemente lo sviluppo economico dell'isola. Sul punto spicca la questione del riconoscimento del regime di essenzialità per gli impianti di produzione sardi, in particolare per quello di Ottana: infatti, la regione è in attesa della proroga anche per il 2015 e del parere dell'Autorità per l'energia elettrica il gas ed il sistema idrico. Il riconoscimento dell'essenzialità è fondamentale per permettere ai gestori delle centrali sarde di vedersi riconosciuti da Terna i costi di produzione dell'energia e garantire pertanto alle imprese sarde di fruire di prezzi dell'energia più bassi;
    questo avviene in un contesto segnato dalla mancata metanizzazione e da costi per energia altissimi. Occorre, infatti, ricordare che la Sardegna è l'unica regione a non utilizzare il metano (a seguito anche dell'uscita dal progetto Galsi, società sostenuta oltre che dalla regione anche da Enel ed Edison) e che l'energia ha il costo più elevato d'Italia (20-30 per cento in più) in una realtà nazionale in cui l'energia ha già un costo maggiore rispetto al resto d'Europa. Tale gap si risolve in un danno economico valutato, ogni anno, in circa 400 milioni di euro sul bilancio di imprese e famiglie. Rispetto al tempo in cui è maturato il progetto Galsi, è cambiata sia la geopolitica mondiale degli scambi commerciali del gas naturale liquido, sia la valutazione sulla consistenza dei giacimenti, sia le tecniche di esplorazione ed estrazione. L'autonomia energetica degli Stati Uniti, derivante dall'utilizzazione di quote sempre più rilevanti di shale gas e shale oil, e la prospettiva che questo Paese diventi addirittura esportatore in Europa di materie prime energetiche, insieme alla messa in produzione di grandi giacimenti in Africa centrale, non connessi ad una significativa rete di trasporto, sta rendendo obbligata e profittevole la scelta tecnologica della liquefazione del gas metano ed il suo trasporto con navi gasiere. Un sistema, questo, che potrebbe rapidamente consentire alla Sardegna, senza opere infrastrutturali di lunga e costosa realizzazione, di avere una disponibilità pressoché immediata di metano. A questo proposito risulta decisiva l'azione del Governo per attuare in tempi rapidissimi la direttiva comunitaria 94/2014/UE, che prevede la realizzazione di infrastrutture di stoccaggio del gas naturale liquido per la realizzazione di una politica europea energetica che agevoli, tra le altre, l'utilizzazione di questa fonte. Il Governo ha la possibilità di «iniziare dalla Sardegna» l'attuazione della direttiva, concordando con la regione procedure autorizzative semplificate, la definizione di chiari standard di sicurezza per gli stoccaggi nelle aree portuali, e la destinazione di risorse, anche comunitarie, per favorire investimenti privati nella creazione di un numero adeguato di siti di stoccaggio, a partire dalle aree industriali attrezzate. Ciò non deve escludere la possibilità, in proseguo, di programmare e favorire la realizzazione di una dorsale sarda (nord/sud) di trasporto del metano, la realizzazione di grandi impianti di rigassificazione e la connessione della Sardegna alla rete nazionale dei gasdotti con una connessione alla Corsica ed al continente. Occorre inoltre agevolare, anche con atti di indirizzo all'autorità competente, la prima diffusione dell'utilizzo del metano tra le famiglie e le imprese, valutando un'eliminazione temporanea o un alleggerimento significativo delle accise sul gas, in modo da compensare rapidamente i costi di allaccio delle utenze;
    collaterale a questo tema, ma con tempi urgentissimi per la definizione della cornice normativa necessaria a garantire la certezza degli investimenti, rimane la ricerca di una soluzione a sostegno dell'industria metallurgica energivora (filiera dell'alluminio e del piombo-zinco) per la quale da tempo è in corso un'inesauribile trattativa tra regione, Stato e Unione europea sulle «compensazioni per i servizi di interrompibilità» in tutte le sue possibili declinazioni;
    rimangono le criticità relative al sistema dei trasporti da e per l'isola, specialmente sul versante della continuità aerea e marittima. Malgrado gli innegabili passi in avanti compiuti in questi ultimi anni, si pone l'esigenza di disegnare una Sardegna più coesa al suo interno e più vicina al resto del continente. La continuità territoriale aerea è totalmente sostenuta dal bilancio della regione per oltre 50 milioni di euro, nonostante il diritto alla mobilità in tutto il territorio italiano debba essere garantito a tutti i cittadini, compresi gli abitanti della Sardegna;
    relativamente alla continuità territoriale marittima, si rende necessaria l'approvazione di una nuova legge sulla continuità territoriale marittima ovvero di norme di attuazione dello statuto speciale, per regolamentare qualità e tipologia dei servizi anche in situazioni come quella attuale in cui un unico armatore risulta titolare di tutte le sovvenzioni statali, la cui erogazione è disciplinata da una convenzione da 72,5 milioni di euro all'anno e scade nel 2020 – sia per il trasporto dei passeggeri che delle merci. Una normativa speciale per la Sardegna, rispettosa delle disposizioni comunitarie e nazionali che disciplinano la materia, che tenga presenti i principi di permanenza (l'insularità è un handicap costante nel tempo), discriminazione positiva (garantire autentica parità con le altre regioni mediante misure volte a bilanciare gli svantaggi) e proporzionalità (tenere conto delle differenti situazioni che sono certamente il ristretto mercato regionale ma anche e soprattutto la distanza degli scali sardi da quelli del continente che nel minimo è di 125 miglia nautiche – praticamente sette ore di navigazione – contro le appena 2 miglia della Sicilia) e finalizzata a garantire un'efficiente mobilità delle persone e delle merci. In definitiva, nuove regole sulla continuità, che confermino la copertura finanziaria in capo allo Stato degli oneri per il servizio di trasporto sovvenzionato, riconoscano alla Sardegna il ruolo preminente nell'individuazione del contenuto degli oneri di servizio e compartecipazione alla responsabilità di selezione, con procedura di evidenza pubblica, delle compagnie di navigazione concessionarie del servizio. Nella prospettiva dell'attuazione della direttiva 2012/33/UE dell'Unione Europea, che impone l'abbattimento dello zolfo nei combustibili per il trasporto marittimo nel Mediterraneo proprio entro il 2020, e la prospettiva di diffusione del gas naturale liquido in Sardegna, la gara internazionale per la scelta dei vettori marittimi potrebbe ben essere associata alla realizzazione di infrastrutture portuali per il rifornimento delle navi nei porti sardi di destinazione delle rotte gravate da oneri di servizio pubblico, nonché da misure che favoriscano l'utilizzazione del gas naturale liquido come carburante pulito nei trasporti marittimi;
    la Sardegna è la regione italiana con i maggiori deficit infrastrutturali: l'indice di dotazione stradale della Sardegna è pari a un valore di 43,9, mentre nel Mezzogiorno e nelle altre isole è al 111,2. L'indice di dotazione ferroviaria è pari al 17,4 a fronte del 102,6 del Sud e delle altre isole. L'Unione europea nella definizione dello spazio unico europeo dei trasporti sostiene che «gli investimenti nell'infrastruttura di trasporto hanno un impatto positivo sulla crescita economica, creano ricchezza e occupazione e migliorano gli scambi commerciali, l'accessibilità geografica e la mobilità delle persone». Tutto ciò, evidentemente, non riguarda la Sardegna, dove il deficit delle infrastrutture si ripercuote negativamente sul tessuto sociale ed economico regionale. L'isola detiene, infatti, il record nazionale di disoccupazione giovanile, oltre il 40 per cento di giovani in età 15-24 anni; è ai primi posti fra le regioni italiane con il maggior numero di disoccupati (il 29 per cento degli italiani in fascia di età 20-64 anni); la percentuale di abbandono scolastico dei giovani sardi (oltre il 25 per cento) è la più alta in Italia; la Sardegna è la regione dove si registra il più alto indice di spopolamento nelle zone interne e svantaggiate;
    in un contesto regionale complessivamente al di sotto dei livelli minimi di infrastrutture e servizi e con complessi problemi demografici, si ripropongono ogni anno più drammatici, gli squilibri territoriali (mai risolti nonostante le numerose direttive e risorse europee destinate a risolvere, strutturalmente e definitivamente, gli squilibri territoriali), per cui in diverse sub-aree geografiche, in particolare ricadenti nell'entroterra sardo e nella Sardegna centro-meridionale, gli indici di cui si è trattato in premessa presentano valori prossimi al dramma e prefigurano situazioni sociali, economiche, demografiche e di ordine pubblico oramai, insostenibili. Si tratta di realtà territoriali particolarmente aspre dal punto di vista morfologico e significativamente distanti dai centri di offerta di servizi essenziali (di istruzione, salute e mobilità), ricche di importanti risorse ambientali e culturali e fortemente diversificate;
    la questione Sardegna come questione nazionale è strettamente legata al tema dell'insularità: alle problematiche legate a questa condizione, che vedono la regione non efficientemente collegata alle reti dell'energia, delle comunicazioni e dei trasporti, con costi aggiuntivi per la popolazione; alla conseguenti difficoltà di cogliere e valorizzare le opportunità che, pure, derivano, dallo stato di insularità, in particolare, vista la centralità della Sardegna nel Mediterraneo, e le connesse potenzialità, che dalla stessa potrebbero derivare, per la costruzione di serie e lungimiranti politiche euro-mediterranee. Quello dell'insularità e del suo riconoscimento in ogni sede è un tema strettamente legato allo sviluppo economico, in particolare per quanto riguarda la mobilità, l'energia e il turismo della Sardegna, ma di tutta l'area euro-mediterranea;
    la Sardegna ha bisogno di un sistema industriale moderno ed ecocompatibile. Devono essere chiuse in tempi rapidi crisi industriali ormai aperte da troppo tempo. In particolare le grandi vertenze del Sulcis, che riguardano gli stabilimenti dell'Alcoa e dell'Eurallumina. Nell'area di Ottana si è prodotto un deserto industriale non più accettabile. Relativamente a Porto Torres, il protocollo d'intesa sulla chimica verde del 2011 prevedeva 1,2 miliardi di euro di investimenti entro 5 anni, eppure finora ne sono stati spesi solo il 25 per cento ed è stato comunicato da Eni che si proseguirà solo sulle bonifiche, cancellando altri investimenti senza una vera ipotesi alternativa alla prospettata centrale a biomasse da 250 milioni di euro;
    poiché il valore degli investimenti relativi alle bonifiche industriali e legate alle aree militari supera i 500 milioni di euro e interessa almeno 5 siti, non si possono ammettere ritardi e serve, soprattutto, che il Governo definisca una regia istituzionale consentendo che, oltre al risanamento, la Sardegna possa beneficiare anche di parte degli investimenti economici e delle competenze professionali e d'impresa necessarie;
    la Sardegna è da considerarsi parte lesa in quello che può essere considerato uno dei più grandi scandali della recente storia italiana: il mancato svolgimento del G8 sull'Isola de La Maddalena. Quattrocentosettanta milioni di euro di denaro pubblico che hanno consegnato al nulla 27 mila metri quadrati di edifici, 90 mila metri di aree a terra e 110 mila metri quadri di mare. Nessun progetto privato fino a oggi è mai partito. Insieme allo spreco di denaro, c’è l'enorme danno ambientale, con i veleni liberati dai fondali della darsena dell'ex arsenale militare, mercurio e idrocarburi pesanti, la cui dispersione ha raggiunto, sedimentandosi in profondità, l'area limitrofa allo specchio di mare del Parco de La Maddalena. Urgono bonifiche urgenti per le quali non esistono risorse sufficienti e anche se si dovessero trovare, l'accordo tra le amministrazioni dello Stato (Presidenza del Consiglio dei ministri, ministero, regione, comune) non è ancora raggiunto. La Protezione civile al termine dei lavori ha consegnato l'hotel e centro congressi al concessionario Mita Resort. Questo, una volta verificato che le bonifiche non erano state fatte e che era impossibile aprire l'albergo in quelle condizioni, senza poter usare la darsena, ha tirato in causa la Protezione civile, ottenendone in un arbitrato la condanna al pagamento dei danni (39 milioni di euro). Nel lodo arbitrale si è deciso, inoltre, che le chiavi delle strutture debbano essere riconsegnate alla Protezione civile, non alla regione, che ne è proprietaria ma non ne è mai venuta in possesso. E viene esplicitamente affermato che la regione Sardegna è estranea alla contesa. Ora la Protezione civile ha presentato un ricorso, prolungando una vicenda giudiziaria che ancora una volta taglia fuori la regione, alla quale rimane soltanto l'obbligo di versare ogni anno circa 500 mila euro di Imu a fronte del canone annuo di 65 mila euro che la società Mita Resort deve alla regione per 40 anni, ma che, dal 2009 a oggi, non ha mai versato;
    nell'anno di Expo 2015 dedicata al cibo, la Sardegna non può essere posta ai margini del sistema agroalimentare nazionale per motivi legati alla peculiarità di alcune produzioni o al mantenimento di alcune condizioni di privilegio di altre regioni più grandi, impedendo la competizione tramite la valorizzazione dei suoi sistemi produttivi. Serve un indirizzo politico del Governo anche nei confronti di uffici che tendono alla conservazione: il fondo di valorizzazione del comparto del latte bovino che oggi esclude il comparto ovicaprino al quale la Sardegna contribuisce con quasi l'80 per cento dell'intero patrimonio nazionale; il comparto ittico che vede la Sardegna esclusa dall'aumento del 20 per cento annuo delle quote europee per l'Italia, come confermano le scelte recenti per la regolamentazione della pesca del tonno rosso, nelle quali è stata del tutto ignorata una richiesta equilibrata della regione; il settore ippico considerato di grande interesse per gli investitori internazionali provenienti dal Medio oriente e che richiede normative più avanzate sulle quali viene opposto un ostacolo incomprensibile alle richieste della regione;
    deve essere garantito il pagamento delle mensilità degli ammortizzatori sociali in deroga, dai quali, in Sardegna, dipendono oltre 43.000 persone nell'isola e per i quali si è fermi ai primi due ratei del 2014. A legislazione vigente solo altre 4 mensilità saranno pagate se non si consente all'isola di accedere alle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione decurtate nel giugno 2014. E infatti, le richieste di accesso agli ammortizzatori sociali in deroga relative all'anno 2014 interessano, in Sardegna, complessivamente, 26.763 lavoratori, dei quali 9.494 per provvedimenti di cassa integrazione in deroga e 17.269 di mobilità in deroga e ad oggi, il Governo ha assegnato, 17.313.000 euro (decreto ministeriale 6 agosto 2014) e 21.641.000 euro (decreto ministeriale 4 dicembre 2014), così che con le prime risorse assegnate sono state pagate due mensilità di trattamento di cassa integrazione guadagni straordinaria in deroga, ma l'Inps dai primi di febbraio 2015 ha interrotto i pagamenti a seguito dell'esaurimento dei fondi. Per il completamento dei pagamenti relativi al 2014 sono necessari ancora 179 milioni di euro, di cui solo 50 arriveranno dopo un prossimo decreto ministeriale che il Ministro del lavoro, Giuliano Poletti, ha annunciato e che consentirà il pagamento di ulteriori tre/quattro mensilità rendendo ancora necessario il reperimento di circa 130 milioni di euro: tali risorse potrebbero essere recuperate considerato che la delibera Cipe 30 giugno 2014, n. 21, nel disporre meccanismi di disimpegno automatico e sanzionatori a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione 2007-2013, ha disposto a carico della regione Sardegna, una decurtazione pari a circa 107 milioni di euro, derivante dall'applicazione di misure sanzionatorie nella misura del 10 per cento, per un importo di circa 24 milioni di euro, e nella misura del 15 per cento, per un valore pari a circa 83 milioni di euro, su interventi che hanno fatto registrare ritardi nell'assunzione delle obbligazioni giuridicamente vincolanti e che la sopra citata delibera Cipe n. 21 del 2014 ha disposto il finanziamento degli «ammortizzatori sociali in deroga», per un importo pari a 100 milioni di euro, a valere sulle decurtazioni operate dalla stessa, e che tali risorse sono confluite tra le fonti generali di finanziamento dei decreti ministeriali di assegnazione delle risorse alle regioni e che al netto delle finalizzazioni operate dalla suddetta delibera Cipe n. 21 del 2014, risulta, quindi, la disponibilità per successive finalizzazioni per un importo complessivo di 182 milioni euro, tra i quali è moralmente indispensabile prevedere la copertura del fabbisogno della cassa integrazione guadagni in deroga nell'isola;
    l'alluvione in Sardegna del 2003 è l'unica tra le calamità naturali avvenute negli ultimi tre anni in Italia i cui danni non siano stati ripagati né alle imprese né alle famiglie. In sede di esame del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 151 (cosiddetto «salva Roma bis») era parso possibile ottenere specifiche misure di sostegno finanziario che furono invece rinviate ad un disegno di legge ordinario rimasto bloccato alla Camera dei deputati. Gli unici interventi finora realizzati sono il finanziamento iniziale di 20 milioni di euro per il ripristino immediato della viabilità temporanea, il mandato di commissario al presidente Anas per il ripristino delle strade provinciali e un intervento di 10 milioni di euro per le scuole primarie introdotto con la legge di stabilità 2015;
    il previsto trasferimento in Sardegna di decine di detenuti sottoposti ai regimi di massima sicurezza, condannati per reati di mafia, ha destato un forte allarme sociale per il timore che possano prodursi infiltrazioni mafiose in una regione impreparata, anche considerato che, a tutt'oggi, non sono conosciuti né il piano dei trasferimenti, né il piano definitivo di razionalizzazione del sistema penitenziario sardo, né la presenza di nuove e ulteriori strutture di prevenzione e sicurezza a partire dalla richiesta di una seconda direzione distrettuale antimafia da parte del sistema istituzionale e giudiziario sardo;
    quella sarda è la più grande minoranza linguistica italiana, composta da oltre un milione e mezzo di persone, come riconosciuto dalle legge n. 482 del 1999, adottata in applicazione dell'articolo 6 della Costituzione. In virtù di questa specificità, da anni la regione autonoma della Sardegna si è dotata di un suo piano della lingua e sostiene la produzione di notiziari radiotelevisivi e programmi in lingua sarda, diffusi anche dal servizio pubblico per effetto di una convenzione stipulata con la Rai-Radiotelevisione italiana. La situazione isolana non solo è assimilabile a quella presente nelle province autonome di Trento e Bolzano e nelle regioni della Valle d'Aosta e del Friuli Venezia Giulia, ma presenta delle sue specificità, essendo in Sardegna presenti delle lingue alloglotte, come il catalano di Alghero, il Sassarese, il Gallurese e il Tabarchino dell'isola di San Pietro. In virtù di questa varietà e ricchezza linguistica e delle leggi già vigenti nell'ordinamento, sarebbe auspicabile estendere alla Sardegna il medesimo trattamento normativo e relativo ai trasferimenti statali previsto per la diffusione di trasmissioni radiofoniche e televisive in lingua tedesca e ladina per la provincia autonoma di Bolzano, in lingua ladina per la provincia autonoma di Trento, in lingua francese per la regione autonoma Valle d'Aosta e in lingua slovena per la regione autonoma Friuli Venezia Giulia,

impegna il Governo:

   a promuovere ogni necessaria iniziativa istituzionale, legislativa, economica-finanziaria e organizzativa finalizzata allo sviluppo locale e alla crescita dell'occupazione in Sardegna, connessa alla più efficace valorizzazione delle principali vocazioni produttive della regione, anche per il particolare ruolo che occupa nel Mediterraneo;
   a riconoscere la «specialità» della condizione di insularità, nella programmazione di tutte le politiche di sviluppo nazionali, insularità comprensiva dell'accezione problematica, come costo aggiuntivo per la popolazione, naturale difficoltà per la Sardegna di essere connessa ai network nazionali e intesa come opportunità, considerata la centralità della Sardegna nel Mediterraneo, e le connesse potenzialità, che dalla stessa potrebbero derivare, per la costruzione di serie e lungimiranti politiche euro-mediterranee;
   ad inserire nell'agenda di Governo la questione sarda, i vincoli allo sviluppo e, insieme, le opportunità legate all'insularità e ai limiti infrastrutturali, anche attraverso la convocazione di uno specifico tavolo istituzionale Stato-regione, all'occorrenza partecipato anche dalle rappresentanze delle autonomie locali e delle forze sociali sarde, per l'esame del complesso delle vertenze aperte, sul fronte istituzionale, finanziario, economico-produttivo e sociale, al fine di una loro progressiva e celere risoluzione;
   a definire la questione energetica con l'avvio immediato di un tavolo tecnico e istituzionale per la metanizzazione dell'isola, che veda l'attuazione privilegiata sia nei tempi sia nelle risorse delle direttive dell'Unione europea 2014/94/UE e 2012/33/UE in materia di infrastrutture di stoccaggio del gas naturale liquido e di abbattimento dello zolfo nei combustibili per il trasporto marittimo; a monitorare e definire procedure chiare, rapide e semplificate per l'autorizzazione di impianti di stoccaggio del gas naturale liquido non solo a terra ma anche nelle aree portuali e per le tecnologie navali di trasporto, utili ad una quanto più veloce dotazione infrastrutturale che consenta l'uso del gas naturale liquido nell'isola;
   a valutare la possibilità di applicare misure fiscali atte a favorire la rapida compensazione dei costi delle famiglie e delle imprese finalizzate alla dotazione tecnologica per l'utilizzazione del metano, anche mediante gli opportuni indirizzi all'Autorità per l'energia il gas e il servizio idrico;
   a promuovere una continuità territoriale aerea e marittima in grado di garantire la concorrenza e il miglior servizio per i cittadini, sardi e non, in particolare, a sostenere e favorire, per quanto di competenza, l'introduzione di una nuova disciplina sulla continuità territoriale marittima ovvero a concorrere con la regione Sardegna alla redazione di norme di attuazione dello statuto speciale in materia di trasporto marittimo;
   a favorire il superamento del deficit infrastrutturale della Sardegna, assegnando alla regione risorse statali e comunitarie aggiuntive e con specifica destinazione, fra le altre, per le aree interne della Sardegna, per interventi volti a superare il deficit stesso, l'inefficienza dei servizi scolastici e sanitari, le problematiche legate all'abbandono del territorio;
   a promuovere la chiusura rapida del confronto sull'applicazione dell'articolo 8 dello statuto e il pieno riconoscimento del debito pregresso come richiesto dalla giunta regionale della Sardegna;
   a definire un nuovo accordo tra la regione e lo Stato che preveda la revisione dell'estensione territoriale delle servitù militari con un accordo con i comuni sui quali gravitano le servitù per l'accesso alle spiagge nella stagione turistica, una programmazione pluriennale per investimenti nel campo della ricerca scientifica e tecnologica che si rapporti con la quantità di territorio utilizzato rendendo sostenibile l'impegno dell'isola nel campo della difesa;
   ad assumere iniziative per estendere alla Sardegna, quale più grande minoranza linguistica italiana, il medesimo trattamento normativo, e relativo ai trasferimenti statali, previsto per la diffusione di trasmissioni radiofoniche e televisive in lingua tedesca e ladina per la provincia autonoma di Bolzano, in lingua ladina per la provincia autonoma di Trento, in lingua francese per la regione autonoma Valle d'Aosta e in lingua slovena per la regione autonoma Friuli Venezia Giulia;
   a promuovere l'apertura di un tavolo generale sulle tre aree di crisi industriali per valutare nell'insieme una strategia produttiva ed energetica per l'isola, una possibile nuova declinazione della vocazione industriale di alcuni territori, portando a conclusione le vertenze industriali ormai aperte da troppo tempo, valutando il possibile utilizzo di alcuni strumenti legislativi già disponibili, come l'istituzione delle aree di crisi complessa, per definire un piano operativo regionale di rilancio delle imprese strategiche (si veda il settore dell'alluminio), come di bonifica delle aree inquinate;
   ad istituire un tavolo istituzionale per individuare le necessarie iniziative normative volte a incentivare il settore agroalimentare al fine del rilancio a livello regionale di un comparto strategico anche alla luce del ruolo di Expo, sia sul fronte della produzione legata al patrimonio ovino che a quello ittico che ad ambiti strategici per gli investitori internazionali;
   ad assumere iniziative per individuare la copertura dei costi del 2014 della cassa integrazione guadagni in deroga per i 43.000 lavoratori sardi attraverso l'adozione di una delibera Cipe di assegnazione, in favore della regione Sardegna, dell'importo derivante dai meccanismi sanzionatori disposti nel giugno 2014 (delibera Cipe n. 21 del 2014, pari a circa 110 milioni di euro, per il finanziamento degli «ammortizzatori sociali in deroga»);
   a definire le vicende relative al mancato svolgimento del G8 sull'isola de La Maddalena, con la conclusione delle bonifiche marine e di superficie e il subentro della regione nelle proprietà ancora in capo alla Protezione civile, pur in costanza di un conflitto giudiziario, per far partire, dopo 7 anni, la conversione dell'economia dell'isola da militare a turistica;
   a ridiscutere il piano carcerario per l'isola, degli interventi a breve e medio termine, compresi quelli relativi al rafforzamento della struttura di prevenzione e di sicurezza per l'isola.
(1-00854) «Mura, Cani, Capelli, Di Gioia, Marrocu, Martella, Marco Meloni, Meta, Pes, Rosato, Francesco Sanna, Giovanna Sanna, Scanu».


   La Camera,
   premesso che:
    in base al rapporto Svimez (diffuso nell'ottobre 2014), nel 2013 il prodotto interno lordo è crollato nel Mezzogiorno del 3,5 per cento, un calo superiore di quasi due punti percentuali rispetto al Centro-Nord (-1,4 per cento); per il sesto anno consecutivo il prodotto interno lordo del Mezzogiorno registra un segno negativo e negli anni di crisi (2008-2013) il Sud ha perso il 13,3 per cento contro il 7 per cento del Centro-Nord; in quest'ambito la Sardegna registra per il 2013 un calo superiore alla media con una riduzione del prodotto interno lordo del 4,4 per cento, mentre per il periodo 2008-2013 il calo è del 13,3 per cento;
    nel 2014, mentre le regioni del Centro-Nord hanno iniziato una faticosa ripresa, il Sud ha continuato nella sua spirale discendente. Per la Sardegna questo significa un calo ulteriore del prodotto interno lordo dello 0,8 per cento; nell'isola il prodotto interno lordo pro capite è pari a 18.620 euro annui, circa la metà della Valle d'Aosta, e il tasso di popolazione in disagio sociale è tra i più elevati d'Italia, il 31,7 per cento. Le famiglie povere sono pari al 24,8 per cento. Il tasso di disoccupazione supera il 19 per cento, il tasso di disoccupazione per i giovani con meno di 24 anni è pari al 54 per cento. Sono in aumento sia la percentuale di laureati emigrati (21,6 per cento), sia il tasso di dispersione scolastica pari al 27 per cento;
    in un'economia ormai in fase di stagnazione, dalla fine del 2013 al settembre 2014 il numero di imprese artigiane della Sardegna è calato del 2,4 per cento. Il rapporto congiunturale sulle imprese artigiane dell'isola, presentato a Cagliari dalla Confederazione nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa a fine ottobre 2014, segnala che in media ogni mese nell'isola falliscono cento aziende artigiane. Assoturismo registra un bilancio negativo anche nell'ambito delle imprese turistiche, con numero di chiusure pari quasi al doppio delle nuove aperture, nonostante il trend turistico indichi per il 2015 un aumento degli afflussi turistici nella regione;
    in questo quadro è opportuno registrare positivamente quanto stabilito dai commi 511 e 514 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2015, nei quali si è stabilito che:
     a) le entrate afferenti al territorio della regione Sardegna siano destinate per 50 milioni di euro alle copertura di spese in conto capitale della regione e per la restante parte alla riduzione del debito della regione Sardegna stessa e degli enti locali del proprio territorio;
     b) la regione potrà usufruire di una maggiore manovrabilità della leva fiscale e di una maggiore autonomia nell'utilizzo delle risorse, anche grazie alla riscrittura dell'articolo 10 dello statuto regionale;
    il 6 maggio 2015 la giunta regionale ha autorizzato l'utilizzo dei primi 150 milioni di euro di riserve erariali per abbattere il debito pubblico della Sardegna; tuttavia, sussiste ancora un contenzioso finanziario dovuto alla difformità di interpretazione in merito all'attribuzione di alcuni tributi erariali e ad un residuo debito statale per circa un miliardo da saldare nei confronti della regione sarda, tenendo conto che la stessa regione ha contribuito al ristoro del debito dello Stato per oltre 570 milioni di euro negli anni 2013-2014, con previsione di un ulteriore apporto a decorrere dal 2015 di 97 milioni di euro (comma 400 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2015);
    in Sardegna oltre 35.000 ettari di territorio, pari al 61 per cento del totale delle aree del territorio nazionale, sono oggetto di servitù e 80 chilometri di coste sono sotto vincolo di servitù militare; ma nell'isola si investe solo il 2 per cento dei costi relativi alla funzione difesa. Nel gennaio 2015 la giunta regionale ha chiesto misure di riequilibrio volte a ridurre e compensare i danni sanitari, ambientali, sociali ed economico-produttivi subiti che derivano dai vincoli delle servitù militari; ha chiesto inoltre la progressiva diminuzione delle aree soggette a vincolo oltre alla dismissione di alcuni poligoni;
    un documento condiviso, siglato dalla regione e dal Ministero della difesa a gennaio 2015, prevede di valutare ipotesi di riequilibrio che riducano il gravame delle servitù militari. Nel mese di aprile 2015 si è aperto uno specifico «tavolo Stato-regione» con l'obiettivo di individuare meccanismi per la mitigazione dell'impatto della presenza militare in Sardegna e la definizione dei costi sia per il mancato sviluppo, sia in relazione ai danni ambientali;
    alle imprese sarde l'energia costa trecento milioni di euro l'anno, il 50 per cento in più rispetto alla media dei Paesi dell'Unione europea, mentre l'Italia si attesta su un +30 per cento rispetto alla media europea. Per ogni impresa sarda si tratta di maggiori costi per oltre 2.700 euro l'anno. Gli alti costi e la crisi economica hanno comportato il crollo dei consumi elettrici: un'elaborazione dell'ufficio studi di Confartigianato relativa alla domanda di energia elettrica delle imprese, su dati Terna del 2012 e 2013, ha evidenziato il dato che a livello regionale si è passati da 7.383 a 5.573 gigawatt/ore, con una riduzione dei consumi del 24,5 per cento;
    in tale ambito sussiste un duplice problema: da un lato, anche a seguito dell'uscita dal progetto Galsi, la Sardegna è l'unica regione a non essere metanizzata; inoltre, occorre ricordare che la regione deve ancora subentrare nella gestione degli invasi sfruttati dall'Enel per uso idroelettrico, che, ai sensi del decreto legislativo n. 79 del 1999 sono in concessione fino al 2029; infine, i gestori delle centrali sarde sono ancora in attesa della deliberazione dell'Autorità per l'energia elettrica il gas e il servizio idrico che proroghi anche per il 2015 il riconoscimento del regime di essenzialità per gli impianti di produzione sul territorio dell'isola; tale decisione è di primaria importanza affinché Terna riconosca ai gestori i costi di produzione dell'energia, in modo da garantire alle imprese sarde di poter fruire di più bassi costi dell'energia;
    contestualmente la Sardegna è divenuta una piattaforma di produzione di energia rinnovabile da impianti fotovoltaici ed eolici ed è interessata da numerosi progetti per la realizzazione di pozzi marini per la ricerca di petrolio e gas naturale; peraltro il decreto-legge «sblocca Italia» n. 133 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014, ha ridotto il potere della regione di decidere su prospezioni e coltivazioni di giacimenti di idrocarburi;
    per quel che riguarda l'attuazione del principio della «continuità territoriale», intesa come fattore di riequilibrio di condizioni permanenti di svantaggio derivanti dall'insularità e volta ad assicurare la parità di trattamento, in termini di mobilità interna all'Unione europea, dopo la privatizzazione della compagnia marittima Tirrenia, il 31 luglio 2014 la regione ha siglato un accordo con la compagnia con il quale si è mantenuto un regime tariffario favorevole, ma sono stati ridotti fortemente non solo le corse, specie nel periodo invernale, ma anche i punti di attracco; si consideri altresì che la Tirrenia continuerà a ricevere dallo Stato 52 milioni di euro l'anno fino al 2020 per compensazioni relative alla continuità territoriale;
    a luglio 2015, cioè alla fine del primo periodo regolatorio, da più parti si richiede una profonda rivisitazione della convenzione in quanto il contratto di servizio è ritenuto carente e fondato su parametri di traffico non corretti e complessivamente non rispettoso delle reali esigenze di collegamento della Sardegna; è anche necessario riconsiderare la continuità territoriale merci, ove si tenga conto che i prodotti della regione continuano a soffrire un gap di competitività dovuto alla distanza dai mercati e che negli ultimi 5 anni è scomparso il 21,4 per cento delle imprese di autotrasporto dell'isola;
    quanto al trasporto aereo, nell'ottobre 2014 è stato ritirato, dopo le osservazioni comunitarie, il decreto relativo alla proposta della «continuità territoriale 2» che avrebbe imposto gli oneri di servizio pubblico per i voli tra gli aeroporti di Alghero, Cagliari e Olbia e gli scali cosiddetti minori della penisola: Bologna, Verona, Torino a Napoli; la decisione comunitaria, basata sull'osservazione che per tali tratte esistono già voli di compagnie low cost, ha posto definitivamente in crisi la Meridiana, con il concreto rischio (poi in parte rientrato) di oltre 1600 licenziamenti nel 2015. Meridiana ha svolto in passato un ruolo importante nella continuità territoriale da e per la Sardegna e la decisione comunitaria di favorire le compagnie low cost non appare del tutto congrua con le esigenze occupazionali, ma soprattutto con le esigenze di copertura del servizio anche al di là della redditività economica; peraltro il 13 novembre 2014 sono stati approvati al Senato della Repubblica alcuni atti di indirizzo con i quali il Governo si è impegnato a verificare la compatibilità del piano industriale di Meridiana con il piano generale del trasporto aereo; a definire un'adeguata strategia con la regione sarda che consenta politiche di trasporto aereo per garantire la continuità territoriale di residenti e non residenti; a garantire in linea con la normativa europea regimi tariffari e un adeguato numero di collegamenti aerei da e per la Sardegna di breve e medio raggio, per favorire la libera circolazione di persone e mezzi;
    in materia di infrastrutture, il 2014 e il primo scorcio del 2015 hanno evidenziato segnali indubbiamente positivi per la Sardegna. Nel corso del 2014 è stata registrata una lieve ripresa dei lavori pubblici essendo stati banditi 1.103 appalti del valore di circa 761 milioni di euro, relativi a 980 gare; inoltre il Cipe nel marzo 2015, ha definitivamente approvato il piano per il Sulcis, dotandolo di 127 milioni di euro; infine, nella tabella E della legge di stabilità per il 2015, è stato previsto un fondo di 700 milioni di euro, grazie al quale la regione ha avviato un piano infrastrutturale in cui sono previsti 259 interventi per oltre 550 milioni di euro;
    con riferimento alla legge obiettivo per le infrastrutture strategiche, la Sardegna ha in programma interventi per 6,3 miliardi di euro, su un valore complessivo degli interventi di 285,2 miliardi di euro. Le disponibilità finanziarie ammontano a 3,2 miliardi di euro mentre il fabbisogno residuo ammonta a 3,1 miliardi di euro. Il progetto «Piastra logistica euro mediterranea della Sardegna» prevede importanti investimenti su due delle principali arterie stradali, la strada statale 131 (circa 1,7 miliardi di euro) e la strada statale 597/199 Sassari-Olbia (927 milioni di euro). Quest'ultima opera è finanziata per un importo pari a 606,5 milioni di euro con le risorse del piano nazionale per il sud ed è considerata prioritaria dal Governo. Si tratta dell'unica infrastruttura regionale del Programma delle infrastrutture strategiche inserita tra le opere prioritarie di cui all'Allegato infrastrutture al Documento di economia e finanza 2015 (aprile 2015); ulteriori opere prioritarie potranno essere individuate in occasione della definizione, entro il mese di settembre 2015, del Documento pluriennale di pianificazione; si rammenta che con il Documento di economia e finanza 2009, oltre alle due opere citate, il Governo si era impegnato anche alla realizzazione della trasversale centrale sarda e del tunnel sotterraneo a Cagliari;
    la Sardegna tuttavia non è ricompresa nell'elenco di progetti infrastrutturali relativi al cosiddetto piano Junker, avviato nel gennaio 2015 con l'intento di rilanciare la crescita economica e in relazione al quale l'Italia ha presentato in tutto 98 progetti per un costo complessivo di oltre 200 miliardi di euro; poiché tale piano non è ancora del tutto definito potrebbe esservi ricompreso il rilancio dell'Alcoa, così come vi è stata compresa l'Ilva di Taranto,

impegna il Governo:

   in relazione al contenzioso finanziario ancora in essere tra lo Stato e la regione Sardegna, ad individuare con urgenza una soluzione condivisa che detti criteri certi di suddivisione delle quote e determini un maggior rafforzamento del ruolo della regione;
   in sede di trattativa Stato-regione Sardegna per quel che riguarda le servitù militari, a valutare l'ipotesi di ridurre le aree della regione soggette a vincolo e contestualmente, nel quadro della trasparenza necessaria sui dati che riguardano la salute dei cittadini, a fornire tutte le informazioni sulle aree contaminate dalle attività militari e una valutazione sugli oneri necessari alla loro bonifica e messa in sicurezza;
   al fine di garantire maggiore competitività alle imprese della regione:
    a) a porre in essere le iniziative necessarie a riequilibrare il differenziale dei costi dell'energia tra la Sardegna e la media dei costi sostenuti nel resto della penisola;
    b) ad avviare le procedure di competenza al fine di istituire in Sardegna una o più zone franche, come previsto dallo statuto speciale della Sardegna;
   in considerazione dei limiti riscontrati nell'applicazione del principio di continuità territoriale:
    a) in vista della prossima revisione prevista per luglio 2015 della convenzione tra Tirrenia e regione Sardegna, ad adoperarsi, per quanto di competenza, per l'ampliamento dei servizi compresi nel contratto di servizio, anche in considerazione del fatto che la Tirrenia, che ha i bilanci in attivo, percepisce contributi dal bilancio dello Stato;
    b) tenuto conto degli atti di indirizzo in materia, approvati dal Senato della Repubblica il 13 novembre 2014, a valutare la possibilità di riproporre il cosiddetto decreto «continuità territoriale 2», secondo modalità che tengano conto delle osservazioni comunitarie;
    c) ad adoperarsi per rafforzare la continuità territoriale merci, che già in passato era stata stabilita per legge mediante applicazione di un regime compensativo in favore delle imprese di trasporto residenti sull'isola, in considerazione del gap competitivo di cui ancora soffrono i beni prodotti in regione e della crisi dell'autotrasporto locale;
    d) a monitorare gli incrementi delle tasse di imbarco nei porti e negli aeroporti della terraferma, a carico dei passeggeri, dei mezzi e delle merci verso la Sardegna, come denunciato dalla regione più volte, intervenendo per una loro riduzione qualora le suddette tasse si configurino come non giustificate;
    e) ad avviare una puntuale analisi e ad assumere, ove necessario, iniziative per la modifica sostanziale delle norme vigenti e della loro applicazione al fine di assicurare la piena mobilità dei cittadini sardi, da e verso la Sardegna;
   in materia di attuazione dei piani infrastrutturali, così come descritti in premessa, in vista della definitiva stesura, prevista per settembre 2015, del documento pluriennale di pianificazione, sentita la regione Sardegna, a dare priorità realizzativa ed adeguata dotazione finanziaria:
    a) agli interventi in materia di adeguamento delle reti stradali e ferroviarie;
    b) agli interventi in ambito portuale;
    c) agli interventi necessari a ridurre il prezzo dell'energia nell'isola, con particolare riferimento al progetto di interconnessione elettrica con l'Italia e agli interventi del piano degli elettrodotti della rete elettrica di trasmissione nazionale;
   con riferimento ai progetti relativi al cosiddetto piano Junker, a valutare se non sia opportuno ricomprendere nei progetti presentati dall'Italia taluni interventi nella regione Sardegna, ivi compreso un piano di rilancio dell'Alcoa, quale industria strategica nazionale.
(1-00855) «Piso, Dorina Bianchi, Capelli».


   La Camera,
   premesso che:
    il rapporto dello Svimez sulla situazione dell'economia del Mezzogiorno nel 2014, per quanto riguarda la Sardegna delinea uno scenario allarmante rispetto ai principali indicatori macroeconomici, e soprattutto con riferimento al tasso di disoccupazione, che si attesta al 17,5 per cento e al calo del Pil, che nell'isola è crollato del 4,4 per cento registrando una flessione molto superiore a quella già negativa del -3,5 per cento rilevata rispetto al Sud nella sua interezza;
    nell'anno preso in esame dal Rapporto pubblicato nell'ottobre del 2014, nel settore manifatturiero sardo sono state concesse quasi dieci milioni di ore di cassa integrazione, si è verificato un calo dei consumi del due per cento e sono aumentate le famiglie che si trovano in una condizione di povertà relativa, arrivate ad essere quasi una su quattro;
    se a questo si aggiunge l'elevato tasso di emigrazione dei giovani in cerca di occupazione, a sua volta sommato al persistente calo demografico, che in tutto il Sud ha toccato il minimo storico delle nascite dal 1861, è agevole comprendere perché lo Svimez paventi il rischio di una «desertificazione umana ed industriale» dell'isola e di tutto il Meridione;
    il Rapporto ha segnalato altresì come l'attuazione del Piano di azione coesione prosegua molto a rilento, posto che a dicembre 2013 risultava realizzato appena l'otto per cento del programmi di spesa, pari ad una somma di 728 milioni di euro a fronte degli oltre nove miliardi previsti;
    sarebbe in ritardo anche la definizione dell'Accordo di partenariato, il documento strategico e programmatico fondamentale per il prossimo ciclo per lo sviluppo e la coesione, che articola undici obiettivi tematici in circa settanta risultati attesi, e restano preoccupanti le condizioni macroeconomiche stabilite nei regolamenti che dovrebbero avvantaggiare le aree in ritardo di sviluppo, se si considerano l'esclusione degli investimenti infrastrutturali per espressa scelta programmatica europea e la mancanza di un Programma nazionale per l'energia;
    la dote finanziaria per le politiche di sviluppo dei prossimi sette anni per le tre regioni Abruzzo, Molise e Sardegna è di poco superiore al miliardo di euro;
    la Sardegna risente di pesanti ritardi nel settore infrastrutturale e di perduranti stati di crisi nei settori industriale e produttivo;
    la Sardegna è l'unica regione d'Italia a non essere ancora metanizzata, e la recente rinuncia al progetto Galsi, vale a dire la realizzazione di un metanodotto per trasportare il gas dall'Algeria in Italia proprio attraversando l'isola, decretata dalla Giunta Pigliaru nella primavera scorsa, fa si che le uniche possibilità per alleviare la condizione di tragico ritardo in cui la stessa si trova in materia di energia siano il metanodotto Piombino-Gallura o, in alternativa, la realizzazione di uno o due rigassificatori;
    l'energia prodotta in Sardegna, infatti, non può essere stoccata e utilizzata nei periodi di maggiore necessità ma viene venduta altrove, in particolare nel centro-sud Italia, e di conseguenza il costo dell'energia nell'isola, consumata soprattutto nel settore industriale, con il 53 per cento, rimane particolarmente elevato, soprattutto se confrontato con i prezzi che sopportano le altre regioni italiane per l'approvvigionamento energetico, risolvendosi in un danno non solo alle famiglie ma anche alla competitività delle imprese;
    l'unica fonte energetica presente nell'isola che può essere messa a confronto con il metano è il GPL, che, tuttavia, ha un costo superiore di ben quattro volte, al netto delle imposte, rispetto al gas naturale;
    il gap infrastrutturale che affligge la Sardegna è pesante anche con riferimento ai collegamenti stradali e ferroviari, se si considera che i tempi di percorrenza in treno sfiorano le quattro ore per duecento chilometri e che in molte zone dell'entroterra le strade che collegano i singoli paesi sono spesso impraticabili per lunghi periodi dell'anno;
    in una realtà territoriale insulare quale è quella sarda assume particolare importanza la continuità territoriale, intesa come equivalenti opportunità di trasferimento da e per l'isola, e costituisce la condizione minima anche solo per poter garantire un'ipotesi di sviluppo turistico del territorio;
    una buona dotazione infrastrutturale riveste un ruolo strategicamente basilare per lo sviluppo dell'economia locale, imperniata sul binomio infrastrutture/competitività;
    in seguito ad alcune sentenze della Corte costituzionale la regione Sardegna è in attesa di ricevere la quota parte delle entrate tributarie ad essa spettanti da parte del Governo centrale perché nel corso degli anni non ha riconosciuto il gettito fiscale stabilito dallo statuto, e quello che è stato versato sinora è stato vincolato all'estinzione del debito pubblico locale, invece di permettere alla stessa regione di effettuare i necessari investimenti;
    il processo di deindustrializzazione che sta avendo luogo nel territorio del Sulcis-Iglesiente in seguito alla sostanziale chiusura del distretto industriale e minerario causata dai crollo del valore dei metalli e dei minerali sui mercati, nonché dall'elevata incidenza dell'energia sui costi di produzione, sta determinando una vera e propria emergenza sociale per le migliaia di lavoratori coinvolti;
    il Piano straordinario per il Sulcis approvato nel 2012, che prevedeva la salvaguardia del tessuto produttivo attraverso iniziative industrialmente sostenibili, la realizzazione del c.d. Polo tecnologico energia, la realizzazione delle necessarie infrastrutture, nonché la definizione di piani e progetti di formazione e riqualificazione professionale e ricollocamento dei lavoratori, non è ancora attuato;
    un'ulteriore problematica che affligge i territori sardi è quella relativa alla dispersione scolastica, acuita da un lato dal problema della viabilità, e, dall'altro, dalla chiusura di istituti scolastici per asserite esigenze di contenimento della spesa pubblica;
    la concessione di deroghe per l'apertura delle prime classi dovrebbe essere improntata anche al rispetto delle caratteristiche delle regioni interessate, anche sotto il profilo della viabilità (strade, servizio di trasporto, distanza tra istituto e paese d'origine) delle sue cittadine e province;
    alcuni paesi del centro della Sardegna, in particolar modo dei paesi della Barbagia (Desulo, Tonara, Beivi, Aritzo), vivono in una preoccupante condizione di isolamento a causa della carenza di infrastrutture viarie e questo penalizza la frequenza scolastica, posto che i ragazzi devono partire la mattina presto per poi fate ritorno solo il pomeriggio tardi o la sera;
    i sindaci di questi paesi lottano quotidianamente contro i vincoli del Patto di stabilità per garantire i servizi ai propri cittadini, valorizzando, al contempo, le tradizioni artigianali, culinarie e agricole dei propri territori;
    si tratta di paesi dalla storia centenaria, che hanno superato indenni guerre, isolamenti e avversità atmosferiche ma che ora stanno soccombendo davanti a Governi che si dimostrano poco sensibili alle richieste e alle necessità delle proprie piccole comunità locali;
    ogni anno in Sardegna bruciano centinaia di ettari di terreno, spesso per mano di piromani che puntano al disboscamento di alcune zone a fini di speculazione edilizia senza che la Protezione civile sia stata dotata né dei mezzi né del personale necessari a combatterli con la necessaria rapidità ed efficacia;
    ancora non sono stati erogati tutti i rimborsi per i danneggiamenti subiti da diverse province in occasione dell'alluvione del novembre 2013, che ha distrutto anche le infrastrutture presenti sul territorio, quali principalmente strade, ponti e tratte ferroviarie,

impegna il Governo

   ad adottare ogni iniziativa di competenza necessaria alla corretta programmazione e finalizzazione delle somme stanziate in favore della regione Sardegna dalla programmazione comunitaria;
   ad elaborare politiche fiscali compensative in materia energetica per rendere competitivi i prezzi al consumo sull'isola, agevolando famiglie e imprese, e, in questo ambito, a sostenere la realizzazione del progetto di metanodotto Piombino-Gallura o dei rigassificatori al fine di consentire il rilancio produttivo delle stesse imprese e per garantire una maggiore sicurezza di approvvigionamento energetico per l'intero territorio nazionale;
   ad attivare con estrema urgenza, nelle more della metanizzazione dell'isola, tutte le iniziative sul piano amministrativo e fiscale dirette alla copertura della differenza di costo tra GPL e metano, al fine di ripristinare la condizione di parità e reciprocità delle famiglie e delle imprese sarde con il resto della nazione;
   a realizzare con la massima tempestività le iniziative di cui al Piano straordinario per il Sulcis, e a completare la creazione delle zone franche urbane dei comuni della provincia di Carbonia-Iglesias, al fine di sostenere le micro e piccole imprese del territorio;
   a corrispondere alla regione Sardegna le somme dovute senza che su di esse gravi un vincolo di spesa;
   a sostenere la regione Sardegna nell'approvazione e realizzazione di ogni misura utile al rilancio degli investimenti e allo sviluppo del tessuto produttivo, anche favorendo, per quanto di competenza, l'accesso al credito per imprese e famiglie;
   a promuovere e sostenere la valorizzazione del patrimonio paesaggistico, artistico e culturale dell'isola, anche ai fini del potenziamento dei flussi turistici;
   a garantire la continuità territoriale, realizzando quella libertà di circolazione prevista dalla nostra Carta costituzionale;
   a prevedere lo stanziamento delle risorse utili a permettere il completamento nell'isola di un piano per lo sviluppo infrastrutturale;
   ad elaborare idonee iniziative per contrastare la dispersione scolastica, tutelando il diritto allo studio;
   ad assumere ogni iniziativa utile per il contrasto degli incendi, sia sotto il profilo del potenziamento dei mezzi terrestri e aerei nell'isola e dell'incremento delle risorse umane, sia sotto il profilo dell'intensificazione delle misure di controllo e di prevenzione, sia, infine, sotto il profilo dell'inasprimento delle sanzioni amministrative e penali nei confronti dei piromani.
(1-00858) «Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    l'ondata di deindustrializzazione che ha colpito il Paese sta portando ad una lenta e progressiva perdita del patrimonio industriale italiano, con risvolti drammatici sul mondo dell'occupazione;
    secondo il «Rapporto sulla Competitività» pubblicato dalla Commissione dell'Unione europea, dal 2007 al 2012, l'Italia ha perso 20 punti percentuali nell'indice di produzione industriale e, con riferimento alla produttività, ha perso molte posizioni anche rispetto a paesi economicamente più deboli;
    la crisi economica che ha colpito il Paese, acquisisce una connotazione più severa in alcune regioni d'Italia che, più di altre, hanno una struttura economica fortemente indebolita dall'alto tasso di dispersione delle risorse produttive ed occupazionali;
    è questo il caso del sistema industriale della Sardegna, con particolare riguardo all'area del Sulcis-Iglesiente, e alla filiera alluminio, il quale riflette, a livello nazionale, la grave mancanza di una pianificazione industriale che sappia affrontare con rigore la crisi del sistema produttivo italiano: dall'insostenibile pressione fiscale alla difficoltà di accesso al credito, passando per un vetusto e asfissiante sistema burocratico e per gli alti costi energetici, assolutamente lontani dai valori medi europei;
    la Sardegna versa da tempo in uno stato di crisi economica che si alimenta anche dell'errore di aver favorito, a livello statale e locale, il proliferare di interventi di tipo assistenzialistico e la dispersione di ingenti risorse in progetti che poi sono risultati inservibili allo sviluppo del territorio, ostacolandone la crescita e rendendolo sempre più dipendente da questi stessi interventi;
    negli ultimi cinque anni la regione ha registrato una forte diminuzione dei livelli occupazionali; i dati Istat del 2013 indicano che sono circa 43.000 le persone che hanno perso il posto di lavoro rispetto all'anno precedente. In particolare, risulta elevato il tasso di disoccupazione giovanile il quale risulta anche in parte legato all'intensificarsi dal fenomeno di abbandono prematuro degli studi;
    è necessario innescare un sistema di intervento più efficiente che miri, in primo luogo, ad un drastico abbattimento delle tasse per rilanciare lo sviluppo del territorio sardo, e più in generale dell'intero Paese, attraverso l'introduzione di una flat tax al 15 per cento su tutto il territorio nazionale, a sostegno della crescita dell'economia locale e del rilancio del sistema industriale e turistico del Paese;
    il turismo in particolare avrebbe dovuto rappresentare un importante volano per la crescita dell'economia sarda ma in realtà anche questo settore attraversa oggi una fase di crisi, essenzialmente legata alla inadeguatezza dei sistemi di collegamento da e per la Sardegna, con il rischio di compromettere ulteriormente la delicata situazione economica e sociale dell'isola;
    a minare la salvaguardia della continuità territoriale è anche la difficile situazione in cui versa la compagnia aerea Meridiana, vettore infrastrutturale strategico per garantire la viabilità aerea da e per la Sardegna; i vertici societari avrebbero infatti evidenziato che con 29 aeromobili e con un trasporto di circa 4 milioni di passeggeri, i 2.500 dipendenti attualmente in forza sarebbero considerati eccessivi dal proprio management per la sopravvivenza stessa della compagnia sul mercato, per cui propongono una veemente ristrutturazione con il 50 per cento degli esuberi;
    appare urgente, anche in previsione di importanti eventi che il Paese si accinge ad ospitare, fra cui l'Expo 2015 e il Giubileo straordinario, potenziare alcuni scali aeroportuali che facciano da perno per un unico sistema aeroportuale aperto a sinergia con i diversi scali territoriali in una logica di sistema macroterritoriale che faccia da volano per l'intero sistema economico;
    un'ulteriore minaccia allo sviluppo dell'economia locale è rappresentata dagli alti oneri energetici sopportati dalle imprese isolane, i quali risultano di circa il 30 per cento, secondo l'Autorità per l'energia elettrica e del gas, superiori alla media nazionale;
    gli alti costi energetici sostenuti dall'Italia rappresentano una delle maggiori cause dello svantaggio competitivo del nostro Paese nei confronti degli altri Paesi dell'Unione europea; il settore energetico è strategico per l'economia del Paese, con un giro di affari, in crescita, attorno al 20 per cento del Pil e con quasi mezzo milione di posti di lavoro creati;
    lo sviluppo del sistema industriale sardo può realizzarsi anche attraverso l'adozione di iniziative che favoriscano i processi di riconversione industriale degli impianti industriali non più competitivi favorendo la realizzazione di progetti industriali ed occupazionali di grande impatto per l'economia locale ed in generale di tutto il Paese;
    esistono molti esempi di successo relativi all'adozione di accordi di sviluppo territoriale per favorire l'insediamento di nuove attività di imprese nelle aree industriali dismesse, realizzando diversi interventi, sia di carattere fiscale che di semplificazione amministrativa, per attrarre e mantenere sul territorio le attività e le risorse necessarie alla crescita e allo sviluppo dello stesso,

impegna il Governo

   ad assumere le necessarie iniziative per il rilancio delle attività produttive nel territorio sardo e più in generale del sistema industriale del Paese scoraggiando, attraverso specifici interventi di natura fiscale e finanziaria, fenomeni di abbandono delle imprese industriali, nonché di delocalizzazione delle attività verso altri Paesi;
   a rendere noti gli aggiornamenti sullo stato della vertenza Meridiana, con particolare riguardo al piano di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale ed al futuro occupazionale dei dipendenti interessati, al fine di scongiurare la dispersione di forza lavoro qualificata come quella attualmente impiegata dalla compagnia aerea, garantendo al contempo la continuità territoriale da e per la Sardegna;
   a sostenere la competitività delle imprese, e in particolare di quelle sarde attraverso l'adozione di misure di riduzione del costo dell'energia, riportandolo sui livelli degli altri Paesi concorrenti;
   a favorire, attraverso lo strumento dell'accordo di programma, l'adozione di specifici percorsi per la riconversione industriale delle aree industriali dismesse che favoriscano la nascita di nuove attività industriali e l'occupazione nel territorio sardo ed in generale in tutto il Paese.
(1-00860) «Saltamartini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Simonetti».


Risoluzione

   La Camera,
   premesso che:
    la continuità politica e programmatica dei governi Monti, Letta e Renzi impone l'esigenza di valutare realisticamente gli atti concreti relativi alla cosiddetta vertenza Sardegna;
    è fin troppo evidente che sulla già complessa questione sarda si registrano ulteriori gravi e colpevoli ritardi legati a mancate decisioni del Governo e in alcuni casi le decisioni, che appaiono contrarie alla risoluzione dei problemi stessi;
    l'esigenza di affrontare con urgenza tali problemi riveste priorità assoluta al fine di non pregiudicare in modo irreversibile le questioni oggetto della vertenza Sardegna;
    in particolar modo, appaiono sin troppo evidenti le questioni relative:
     a) alla questione dei trasporti con l'esigenza improcrastinabile di revocare la convenzione con la Tirrenia per palese violazione dell'interesse pubblico e contributo di Stato di dubbia legittimità, non commisurata e non giustificato rispetto ad un servizio inadeguato e con costi proibitivi sia per i residenti e non residenti;
     b) alla questione relativa alla continuità territoriale aerea con una inaccettabile limitazione a soli nove mesi della tariffa unica e con continue limitazioni alla disponibilità di posti sulle tratte da e per la Sardegna oltre alla limitazione delle tratte di collegamento tra l'isola e il resto del Paese;
     c) alla questione energetica con la pesantissima ricaduta sul sistema economico industriale della Sardegna, dalla mancata realizzazione del metanodotto Sardegna Algeria a favore di lobby protese a realizzare rigassificatori con un gravissimo impatto sia sul fronte costiero che nell'entroterra con la distribuzione su gommato del gas per arrivare alla mancata definizione di un regime tariffario, attraverso contratti bilaterali e regimi di riequilibrio, al fine di consentire la competitività, ora negata, delle attività industriali della Sardegna;
     d) alla vertenza Equitalia e al rischio di fallimento per decine di migliaia di imprese sarde e ai pignoramenti di migliaia di aziende agricole per le quali è indispensabile l'adozione di un urgente decreto per definire un periodo di moratoria di almeno un anno al fine di definire procedure in grado di attivare percorsi economico finanziari capaci di salvaguardare la ripresa produttiva e occupazionale;
     e) alla questione insularità e all'esigenza di dare attuazione all'articolo 22 della legge n. 42 del 2009, considerato che sino ad oggi il divario insulare non solo non è stato limitato ma risulta gravemente ampliato da scelte che hanno anche sul piano infrastrutturale totalmente escluso la Sardegna, come per esempio l'ultimo Def;
     f) alle questioni industriali della Sardegna: dalla chiusura dell'Alcoa, alla mancata realizzazione del sistema integrato Miniera Carbosulcis – Centrale, alla definizione della ripresa produttiva della società Eurallumina, alla ripresa produttiva della Vinilys di Portotorres, alla definizione dell'assetto energetico per gli stabilimenti energivori del Sulcis, quelli della Ottana Energia, ex Enichem di Ottana e E.On di PortoTorres;
     g) alla questione infrastrutturale sarda con la definizione degli interventi nell'ambito della piastra logistica euro mediterranea e degli interventi in grado di eliminare il grave gap infrastrutturale sul fronte ferroviario, stradale e connettivo strategico;
     h) alla definizione di un nuovo regime di entrate per la Sardegna in considerazione della sua condizione insulare con l'attuazione della zona franca integrale come strumento di riequilibrio del divario industriale;
     i) alla definizione concreta della partita delle entrate oggetto di ricorsi alla Corte costituzionale per i quali, ad avviso del firmatario del presente atto, è risultato inaccettabile il comportamento del Governo;
    j) alla dismissione del patrimonio militare relativo a immobili ubicati in aree strategiche per lo sviluppo delle comunità locali e occupate da servitù militari inutilizzate o sottoutilizzate, compresa la riconversione delle aree oggetto di servitù militari di cui la Sardegna continua ad essere gravata;
    ad oggi su questi temi si registra un gravissimo arretramento non solo sostanziale ma anche procedurale considerato che nessun serio e concreto atto è stato messo in campo dal governo e anzi tutte le vertenze languono senza alcuna prospettiva di soluzione,

impegna il Governo:

   ad evitare di aprire tavoli che il firmatario del presente atto ritiene inconcludenti e sinora incapaci di risolvere qualsiasi questione aperta della vertenza Sardegna e a predisporre con somma urgenza atti concreti (iniziative legislative, accordi di programma quadro) che affrontino in modo efficace e immediato le vertenze che costituiscono la più ampia questione Sarda;
   a disporre, in base all'articolo 15 della convenzione con la Tirrenia, la revoca della stessa per manifesta inadempienza rispetto all'interesse pubblico con gravissime limitazioni al servizio di continuità marittima e l'utilizzo di un contributo di 72 milioni di euro che appare sotto ogni punto di vista ingiustificabile e di dubbia legittimità, avviando procedure corrette e trasparenti di evidenza pubblica per la gestione della continuità territoriale marittima da e per la Sardegna;
   ad assumere iniziative per revocare con somma urgenza la limitazione a soli 9 mesi all'anno della tariffa unica per la continuità territoriale e a disporre l'immediata attivazione di procedure al fine di estendere il regime di continuità territoriale anche su altre rotte da e per la Sardegna;
   a dare continuità a quanto sostenuto dal Ministro degli affari esteri relativamente alla realizzazione del metanodotto Algeria – Sardegna – Europa anche in considerazione dell'approvvigionamento sempre più problematico sia con la Libia che con la Russia, anche al fine di non favorire lobby diverse protese a realizzare rigassificatori con un gravissimo impatto sia sul fronte costiero che nell'entroterra con la distribuzione su gommato del gas;
   ad adottare iniziative normative urgenti per arrivare alla definizione di un regime tariffario, attraverso la promozione di contratti bilaterali che norme funzionali all'attuazione di regimi di riequilibrio tariffario elettrico, al fine di consentire la competività, ora negata, delle attività industriali della Sardegna;
   a valutare la gravissima situazione, con il rischio fallimento per decine di migliaia di imprese sarde e con i pignoramenti di migliaia di aziende agricole e predisporre un'iniziativa normativa urgente che preveda un periodo di moratoria di almeno un anno al fine di definire procedure in grado di attivare percorsi economico finanziari in grado di salvaguardare la ripresa produttiva e occupazionale;
   a risarcire le famiglie e le imprese colpite drammaticamente dall'alluvione del 18 novembre 2013 che ancora non hanno visto nessun tipo di risarcimento alla pari di analoghe situazioni che hanno visto, tra gli altri, provvedimenti di natura fiscale a favore degli alluvionati;
   ad affrontare con una concreta iniziativa normativa attuativa la questione, dell'insularità e dell'esigenza di dare attuazione all'articolo 22 della legge n. 42 del 2009, considerato che sino ad oggi il divario insulare non solo non è stato ridotto ma risulta gravemente ampliato da scelte che hanno anche sul piano infrastrutturale totalmente escluso la Sardegna, come per esempio l'ultimo Def, dove la Sardegna è completamente omessa;
   ad agire concretamente sulle questioni industriali della Sardegna considerato che ad oggi nessuna di queste non solo non è stata risolta ma risulta gravemente compromessa, dalla chiusura dell'Alcoa, alla mancata realizzazione del sistema integrato Miniera Carbosulcis – Centrale, alla definizione della ripresa produttiva della società Eurallumina, alla ripresa produttiva della Vinilys di Portotorres, alla definizione dell'assetto energetico per gli stabilimenti energivori del Sulcis e quelli della Ottana Energia, ex Enichem di Ottana, E.On di Porto Torres e Keller di Villacidro;
   ad attivare per lo stabilimento Alcoa di Portovesme procedure analoghe a quelle adottate per l'Ilva, a partire dal riconoscimento strategico dell'alluminio primario e il conseguente riavvio in regime commissariale degli impianti anche in virtù dell'ubicazione dello stesso in un'area ad elevato rischio ambientale;
   a rimodulare le risorse dei vari piani infrastrutturali a favore del riequilibrio verso la Sardegna con la definizione degli interventi nell'ambito della piastra logistica euro mediterranea e interventi in grado di eliminare il grave gap infrastrutturale sul fronte ferroviario, stradale e connettivo strategico con un piano quinquennale destinate all'abbattimento del divario degli indici infrastrutturali;
   a definire urgentemente con apposita iniziativa normativa per la definizione di un nuovo regime di entrate per la Sardegna in considerazione della sua condizione insulare con l'attuazione della Zona Franca Integrale come strumento di riequilibrio del divario industriale a partire dalle previsioni statutarie;
   ad assumere iniziative per definire concretamente la partita delle entrate oggetto di ricorsi alla Corte costituzionale per le quali il comportamento del Governo in carica è risultato, a giudizio del firmatario del presente atto, inaccettabile;
   a predisporre atti concreti tesi all'attuazione dell'articolo 14 dello statuto speciale della Sardegna con l'immediata dismissione del patrimonio militare relativo a immobili ubicati in aree strategiche per lo sviluppo delle comunità locali e occupate da servitù militari inutilizzate o sottoutilizzate;
   a far cessare la distruzione ambientale e naturalistica nelle aree militari della Sardegna e a predisporre un piano di riconversione delle aree oggetto di servitù militari di cui la Sardegna continua ad essere gravata;
   ad escludere la regione Sardegna in virtù del responso referendario e delle specialità statutarie da qualsiasi ipotesi di ubicazione in Sardegna del deposito unico nazionale di scorie nucleari;
   a bloccare il trasferimento in Sardegna di oltre 200 detenuti in regime di 41-bis che costituirebbero secondo tutti gli esperti un gravissimo rischio per le infiltrazioni mafiose nell'isola a seguito del possibile insediamento di nuclei familiari e organizzati;
   ad adottare iniziative normative di rango costituzionale, nel rispetto delle procedure previste dall'ordinamento, volte a prevedere l'effettuazione di un referendum popolare, analogo a quello svoltosi in altri Paesi europei teso a sottoporre ai cittadini sardi il quesito circa la possibilità di un processo di conseguimento di più intense e significative forme di autodeterminazione.
(6-00137) «Pili, Saltamartini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Molteni, Gianluca Pini, Rondini, Simonetti».