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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 790 di venerdì 5 maggio 2017

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

La seduta comincia alle 9,30.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

RAFFAELLO VIGNALI, Segretario, legge il processo verbale della seduta di ieri.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

  (È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Battelli, Michele Bordo, Brunetta, Caparini, Capelli, Dambruoso, Dellai, Di Gioia, Epifani, Fedriga, Ferranti, Gregorio Fontana, Fontanelli, Giancarlo Giorgetti, Iacono, La Russa, Laforgia, Locatelli, Lupi, Marcon, Migliore, Rampelli, Realacci, Sanga, Sani, Tancredi e Valeria Valente sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente novantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Modifica nella composizione di gruppi parlamentari.

PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data 4 maggio 2017, il deputato Luigi Lacquaniti, già iscritto al gruppo parlamentare Partito Democratico, ha dichiarato di aderire al gruppo parlamentare Misto, cui risulta pertanto iscritto.

Svolgimento di interpellanze urgenti.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Chiarimenti in relazione a dichiarazioni sulle operazioni di salvataggio di migranti in mare effettuate da alcune organizzazioni non governative – n. 2-01781)

PRESIDENTE. Passiamo alla prima interpellanza urgente all'ordine del giorno Quartapelle Procopio ed altri n. 2-01781 (Vedi l'allegato A).

Chiedo alla deputata Quartapelle Procopio se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Grazie Presidente. Io, oggi, vorrei affrontare una questione, che sta a cuore non solo a me ma a più di settanta colleghi parlamentari del Partito Democratico, che hanno sottoscritto questo atto; quindi, una grossa parte del gruppo del nostro partito. È una questione sollevata per prima dal procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, che, in un'audizione al Comitato Schengen alla Camera, ha ventilato che ci sia la possibilità che tra alcune delle organizzazioni non governative che salvano le vite nel canale di Sicilia possano esserci legami con gli scafisti, che invece trafficano persone dalla costa libica.

La questione, poi, è stata ovviamente ripresa da esponenti politici, a partire dal Vicepresidente della Camera Luigi Di Maio, che ha definito in modo, a mio giudizio, vergognoso le ONG “taxi del mare”, facendo una generalizzazione, strumentalizzandola per ragioni meramente elettorali, e ha animato e sta animando il dibattito politico italiano ormai da qualche settimana.

In questa questione ci sono alcuni fatti e alcune opinioni. Io inizierei dai fatti, perché le parole che sono stato usate sono parole molto pesanti e, siccome si tratta di organizzazioni che fanno un lavoro prezioso, è giusto iniziare dai fatti.

In primo luogo, inizierei dalla gravità della situazione nel Golfo di Sicilia. Nonostante le operazioni navali della Marina militare italiana, della nostra Guardia costiera, della missione Eunavfor-Med e di alcune organizzazioni governative, che hanno mandato di ricerca e soccorso, il 2016 è stato l'anno con più vittime nella traversata del Mediterraneo. Sono state oltre 4.500 le persone morte nel 2016 e nel 2017 le vittime sono state più di mille, 1.002 per la precisione, di cui più di 150 bambini. Le operazioni di salvataggio nel 2016 hanno permesso di portare in salvo più di 180.000 persone, 49.000 delle quali sono state portate in salvo dalle operazione delle ONG, il resto sono state portate in salvo dalle operazioni della Marina militare italiana, della Guardia costiera, da Eunavfor-Med. Va detto che le operazioni delle ONG avvengono sempre in stretto coordinamento con le autorità navali italiane, come testimoniato, in audizione in Commissione difesa al Senato, sia da responsabili di Medici senza frontiere che dal capo della Guardia costiera italiana.

Senza queste operazioni - va detto e va chiarito - non diminuirebbero le partenze, ma le morti aumenterebbero. Questo è quello che è successo, quando è stata interrotta l'operazione Mare Nostrum, che già all'epoca venne accusata, esattamente come sono accusate oggi le ONG, di funzionare come un fattore di attrazione delle migrazioni. Mare Nostrum venne accusata da Frontex, che è una delle organizzazioni che in questo momento sta diffondendo informazioni contrastanti sul ruolo che le ONG giocano nel Mediterraneo.

Si può dire, quindi, che quella nel Golfo di Sicilia è una crisi senza precedenti, non ci sono altri luoghi nel mondo, se si esclude forse il conflitto siriano, in cui muoiano in un giorno solo o in una ripetizione di giorni così tante persone come accade, purtroppo, ancora, a volte, nel Golfo di Sicilia. Questa crisi umanitaria senza precedenti richiede la continuazione delle operazioni di salvataggio, che, appunto, sono operazioni assolutamente necessarie per provare a contenere le morti.

Ora passo alle opinioni e le opinioni, purtroppo, sono quelle del procuratore Zuccaro, che ha detto agli organi di stampa che, a suo avviso, potrebbero esistere legami tra ONG e scafisti, ma di non avere assolutamente prove utilizzabili in sede giudiziaria, suggerendo quindi che potesse esserci nelle sue mani del materiale proveniente da dossier di servizi segreti.

Io, le dichiarazioni del procuratore Zuccaro, le qualifico come opinioni, perché sono state poi smentite da altre dichiarazioni, tenute in altre audizioni parlamentari da altri esponenti della magistratura, e poi anche dall'ammiraglio Credendino, dal capo della Guardia costiera.

Prima di tutto, il procuratore capo di Siracusa ha detto che non esistono prove di legami obliqui o inquinati tra le ONG e gli scafisti, mentre il presidente del Copasir, il senatore Stucchi, senatore della Lega Nord, ha dichiarato che non esistono dossier dei servizi segreti italiani sui rapporti tra ONG e scafisti. Le opinioni di Zuccaro si scontrano anche con la testimonianza dell'ammiraglio Credendino e con il capo delle Capitanerie di porto, l'ammiraglio Melone, che ieri, in audizione, ha detto che non c'è una responsabilità chiara della Libia sulle proprie acque territoriali e ha definito, quindi, un buco nero quello che sono le acque territoriali libiche, quello che avviene oltre le acque territoriali italiane; ha detto che è necessario che ogni nave in mare sia responsabilizzata a soccorrere e salvare e che le operazioni della Marina militare italiana, della Guardia costiera italiana, di Eunavfor-Med non sono abbastanza, che servono più risorse e che le ONG certamente danno un aiuto in questo senso.

Alle opinioni di Zuccaro ha risposto la politica, purtroppo in alcuni casi, perché ci sono state le dichiarazioni di Di Maio, che sono state, appunto, dichiarazioni drammatiche - devo dire -, perché hanno creato una generalizzazione e una confusione senza precedenti. Poi ci sono state alcune dichiarazioni puntuali e utili da parte del Governo. I Ministri Orlando e Minniti hanno invitato ad evitare pericolose generalizzazioni, che non servono ad appurare la verità; il Ministro Orlando ha chiesto che Zuccaro parli attraverso l'utilizzo di dati e di prove in giudizio e da più parti, a partire dal Presidente del Consiglio Gentiloni, è arrivato il riconoscimento del lavoro dei tanti volontari che si adoperano per salvare le vite in mare.

In questo panorama, devo dire che ci sono state delle dichiarazioni abbastanza contrastanti del Ministro Alfano, il quale si è detto sostanzialmente al cento per cento d'accordo con quanto affermato dal procuratore Zuccaro. Al netto del fatto che le dichiarazioni del procuratore Zuccaro sono un po' cambiate, tra la prima audizione alla Camera e l'ultima audizione al Senato, la nostra interpellanza ha l'obiettivo di capire se il Ministero degli esteri, che è il Ministero che ha a che fare di più con le ONG, per quanto contenuto nella legge n. 125, abbia degli elementi in più per far dire al Ministro Alfano di essere al cento per cento d'accordo con il procuratore Zuccaro. Grazie.

PRESIDENTE. Il Vice Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Mario Giro, ha facoltà di rispondere.

MARIO GIRO, Vice Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale. Grazie, Presidente. Credo, innanzitutto, che il dibattito di questi giorni sulle notizie circa i presunti legami fra alcune ONG e i trafficanti di uomini non debba farci perdere di vista il principale obiettivo del Governo: stabilizzare la Libia, gestire l'emigrazione insieme ai nostri partner africani, per mettere un argine ai flussi, contrastare il traffico di esseri umani. Vogliamo rispondere alle esigenze del nostro Paese di avere attorno a sé uno scenario di maggior sicurezza, che corrisponde tra l'altro anche a quello della Libia, spegnendo le tensioni, contribuendo a concrete prospettive di pace nel Mediterraneo centrale ed orientale, contrastando ogni estremismo e combattendo senza tregua il terrorismo.

Come più volte affermato sia dal Premier Gentiloni che dal Ministro Alfano, stiamo mettendo in campo una serie complessa di misure, allo scopo di gestire al meglio i flussi, trattenere nei Paesi di origine i migranti, dando loro prospettive, contrastare e stroncare il traffico di essere umani. In Libia siamo impegnati in accordi, sia a nord che a sud, con il Governo di Al Sarraj e con le tribù del sud libico, allo scopo di contrastare le milizie che trafficano in esseri umani; con il Niger e altri Paesi di transito, per sostenerli nel controllo delle loro frontiere; con i Paesi di origine, per favorire i rimpatri volontari assistiti e il trattenimento delle partenze. A quest'ultimo scopo, ricordo lo strumento di investimenti europeo, External Investment Plan, voluto dall'Italia, che sarà il vero game changer, permettendo di investire in maniera cospicua in Africa laddove la cooperazione non è sufficiente a creare le condizioni per lo sviluppo.

Per riprendere ancora le parole del Ministro Alfano siamo “campioni del mondo” nel salvataggio di vite nel Mediterraneo e di accoglienza a chi scappa da guerre, fame, persecuzioni. Ogni vita umana che si salva è sempre un risultato per l'umanità intera. Siamo un Paese che non ha dovuto rinunciare a solidarietà e sicurezza, perché solidarietà e sicurezza possono camminare insieme, restare umani e assieme fermare i traffici. Per raggiungere tale obiettivo, la cooperazione allo sviluppo è uno strumento strategico, come il Ministro Alfano ha sottolineato in un incontro tenutosi alla Farnesina lo scorso 8 febbraio, proprio ai rappresentanti delle tre maggiori reti italiane delle ONG. In quest'ottica e in tale contesto vanno lette le recenti affermazioni del Ministro citate dall'onorevole interpellante. Il Ministro Alfano ha, infatti, ben scandito che, lo cito: “Il procuratore Zuccaro non ha generalizzato, non ha accusato genericamente tutte le ONG né ha inteso criticare l'impegno di salvataggio che resta un nostro vanto nazionale”. Ha posto semplicemente un problema di opportunità sulla base degli elementi sin qui emersi e, lo cito: “è per questo che l'indagine merita di essere portata in fondo, senza rovinarla con la polemica politica”. Il Ministro Alfano desidera offrire sostegno al bisogno di verità che potrebbe derivare dall'inchiesta di alcune procure, tra cui quella di Catania, sulla base di notizie riferite da Frontex. Lo stesso Vice presidente del CSM ha assicurato ieri ogni sostegno possibile, perché le indagini possano svolgersi con la massima efficacia e celerità.

Come molti altri, tra cui anche il Ministro della giustizia, Andrea Orlando, il Ministro Alfano auspica che tali indagini si “concludano presto”, senza strumentalizzazioni né nessun tipo di generalizzazioni. È emersa, in altre parole, come ribadito dal Ministro Alfano, lo cito: “la necessità di alcuni approfondimenti”. Il Ministro crede che sia interesse di tutti che eventuali azioni illecite vengano fermate; è sempre interesse di ordine generale che la legge sia rispettata anche per preservare l'attività delle stesse ONG che svolgono, come ancora ha detto ieri il Premier Gentiloni, un'opera preziosa in questo come in altri campi.

PRESIDENTE. La deputata Quartapelle Procopio ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Ringrazio molto il viceministro Giro per le puntualizzazioni che, davvero, danno un'idea più complessiva degli interventi dell'Italia sul tema delle migrazioni. Credo, in primo luogo, che se c'è qualcosa da indagare lo si debba fare bene e presto, senza generalizzazioni e senza dare cifre e numeri che allargano una questione che può probabilmente riguardare una operazione, qualche caso isolato, ci auguriamo di no, ma può essere. Credo che arrivare alla verità il prima possibile sia il primario interesse non solo dei cittadini italiani, ma proprio di quegli operatori che, tutti i giorni, lavorano con grande fatica, grande sacrificio e anche straordinaria generosità in mare per salvare le persone; credo che a loro, per primi, noi dobbiamo la verità, il prima possibile, e, quindi, mi associo alle richieste che sono venute da più parti, affinché le indagini, se hanno bisogno di più risorse, effettivamente, le abbiano, ma si concludano, in particolare, il prima possibile.

Dico però, per suo tramite, al Ministro Alfano, che, purtroppo, non è presente oggi, che su questi temi, sul tema, in particolare, della gestione delle migrazioni, non servono opinioni, ma servono fatti. Quelli che lei ha evidenziato sono, effettivamente, dei fatti, che l'Italia fa da molti anni, in alcuni casi essendo anche precursore di un'azione europea, in particolare nei confronti del continente africano, e sono i fatti che, in questo caso, spazzano via la demagogia. Su un tema serio, come il tema, appunto, della gestione delle migrazioni, dei viaggi, della sicurezza di chi lavora in mare e di chi cerca di attraversare il mare, appunto, non serve fare della polemica politica, serve esserci, con trasparenza, con buone intenzioni, con i mezzi necessari. Capisco, in un certo senso, l'uso politico che delle dichiarazioni del procuratore Zuccaro ha fatto il MoVimento 5 Stelle alla ricerca di qualche voto in più, probabilmente, da strappare alla Lega; ho più difficoltà a capirlo se un discorso di questo tipo viene fatto da forze che stanno al Governo e, quindi, ringrazio per il chiarimento rispetto alla posizione del Ministro, perché il risultato della campagna di screditamento delle ONG di questi giorni, che ormai è diventata quasi una campagna d'odio, lo abbiamo visto, purtroppo, tragicamente, ieri, nell'assalto da parte di Forza Nuova alla sede dell'Organizzazione mondiale delle migrazioni e lo abbiamo visto nella preoccupazione che alcune ONG hanno mostrato sul tema delle donazioni.

Sono più di 400.000 i cittadini italiani che, ogni anno, affidano una parte di risorse, anche piccola, piccole donazioni, perché le ONG possano lavorare e alcune ONG in questi giorni hanno detto che queste donazioni rischiano di decrescere, come conseguenza della sfiducia generata dal dibattito politico di questi giorni e abbiamo visto, in particolare, alcune ONG che proprio in questi giorni si sono riunite per rafforzare i presidi di sicurezza nei progetti che hanno di accoglienza in Italia. Noi non possiamo permettere che alcune dichiarazioni incaute della politica mettano in discussione il tanto capitale di solidarietà e di impegno che c'è in Italia e all'estero per opera di tutti coloro che lavorano in questo settore, che è un settore fondamentale della cooperazione ed è un settore fondamentale per la nostra risposta ai grandi temi e alle grandi sfide globali. Quindi, ringrazio, davvero, per il chiarimento che mi sembra doveroso soprattutto fatto in una sede istituzionale.

(Chiarimenti in ordine all'applicazione del tetto relativo alle retribuzioni pubbliche ai titolari di contratti aventi ad oggetto prestazioni artistiche in favore della RAI – n. 2-01777)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Brunetta e Occhiuto n. 2-01777 (Vedi l'allegato A).

Chiedo al deputato Elio Vito se intenda illustrare l'interpellanza, che ha sottoscritto in data odierna, o se si riservi di intervenire in sede di replica.

ELIO VITO. Signora Presidente, la illustro, perché la vicenda sull'applicabilità del tetto dei compensi delle star televisive al servizio della Rai sta assumendo davvero contorni sempre più sfocati. I vertici di viale Mazzini, anziché fare chiarezza su una questione fondamentale per la gestione di un'azienda come la Rai, nonché per la tutela del servizio pubblico radiotelevisivo, non stanno facendo altro che prorogare l'adozione di una misura che, in realtà, è già prevista dalla legge. All'atteggiamento ondivago dei vertici Rai, si contrappone un comportamento piuttosto chiaro da parte del Governo che sembrerebbe essersi schierato proprio in difesa dei maxi cachet dei volti noti della TV di Stato. Lo scorso 20 aprile, il sottosegretario allo sviluppo economico Antonio Giacomelli ha spedito una lettera ai vertici di viale Mazzini che in forza del parere dell'Avvocatura dello Stato sull'interpretazione della legge n. 198 del 2016 propende per la piena legittimità della tesi che non include i contratti caratterizzati da prestazioni di natura artistica nel perimetro di applicazione del limite dei maxi stipendi. Tale esclusione è argomentata con espressioni lessicali, tra l'altro, che suscitano più di una perplessità, sulla base di tre ordini di argomentazioni. In primo luogo si sostiene che la clausola contenuta all'articolo 3, comma 44, della legge n. 244 del 2007 di esclusione delle prestazioni artistiche continui ad operare, in quanto mai espressamente abrogata. La tesi esposta è irragionevole, perché dopo la legge del 2007, il legislatore è intervenuto in ben quattro occasioni: con la legge n. 69 del 2009, il decreto-legge n. 201 del 2011, il decreto ministeriale n. 166 del 2013 e la legge n. 189 del 2016, regolando la medesima materia dei limiti alle retribuzioni erogabili dalle pubbliche amministrazioni e dalle società pubbliche disciplinandone i presupposti applicativi, contenuti, effetti e limitazioni, senza mai prevedere alcuna eccezione circa l'applicabilità del tetto ai compensi delle star. Per di più, la legge del 2007 è da ritenersi tacitamente abrogata, anche perché è evidente come la nuova disciplina attualmente in vigore regoli l'intera materia.

In seconda battuta, l'Avvocatura sostiene che, in ogni caso, il personale artistico non possa essere ascritto alla categoria dei collaboratori, alla quale fa espressamente riferimento il limite agli stipendi; anche tale assunto non appare convincente; più che alla medesima nozione di collaboratore, deve intendersi in riferimento a tutti i soggetti che svolgono una prestazione lavorativa in favore di un'amministrazione o di una società e non sulla base di un contratto di lavoro subordinato, bensì sulla base di un titolo negoziale autonomo. La genericità della dizione “collaboratori” impone, infatti, di intendere la relativa categoria secondo la più ampia latitudine semantica.

Infine, l'argomentazione avanzata dall'Avvocatura cosiddetta sistematica, secondo la quale i contratti artistici non compromettono il corretto utilizzo del canone se producono benefici, è totalmente inconsistente, poiché ad essere rilevante sul piano giuridico è la norma attualmente in vigore e non la fonte di finanziamento della società. Insomma, il Governo e la Rai stanno rendendo inapplicabile la misura adottata, che può considerarsi un passo estremamente importante verso quella trasparenza per cui ci battiamo a gran voce da almeno dieci anni. L'interpellanza, appunto, a prima firma del presidente Brunetta, che di questa battaglia ha fatto una delle sue caratteristiche dell'attività politica, anche quando era Ministro, è un timido segnale per smascherare quel silenzio che aleggia nei corridoi di viale Mazzini e che contraddistingue da sempre le vicende della TV di Stato pagata con il canone dei cittadini.

Il quadro della situazione attuale in Rai è piuttosto chiaro e, se permettete, piuttosto aberrante. Siamo, infatti, in presenza di conduttori che pretendono di essere remunerati in funzione diretta dei propri ascolti, alimentando in questo modo un circolo vizioso sul quale si deve necessariamente intervenire. Ci troviamo di fronte a conduttori e vertici dell'azienda che sono subito scesi in campo affermando che un adeguamento dei compensi Rai alle norme che regolano le pubbliche amministrazioni sarebbe un regalo alle reti concorrenti, nonché un danno per la stessa TV pubblica, sostenendo addirittura che la Rai sarebbe destinata a morire. Tale situazione è inaccettabile, insostenibile nei confronti di tutti i cittadini che pagano il canone, tra le mille difficoltà della loro esistenza attuale, per avere un servizio pubblico degno di essere considerato tale.

Se volgiamo lo sguardo oltre i confini nazionali, non serve andare molto lontano per apprendere buone pratiche sul tema. In Gran Bretagna, ad esempio, la nuova Royal Charter, entrata in vigore lo scorso gennaio, ha previsto l'obbligo verso lo Stato di rendere pubblici gli importi pagati annualmente a persone fisiche dipendenti della TV pubblica: tutti i dipendenti, comprese le star televisive. All'articolo 37 è prescritto che la BBC debba rendere pubblico il suo rapporto annuale, includendo anche tutti i compensi, versati nell'esercizio finanziario precedente, che superino le 150 mila sterline e che siano finanziati da ricavi del canone. Prendendo ad esempio il modello inglese, il tetto ai compensi Rai produrrebbe effetti benefici sull'intera offerta, oltre a calmierare un mercato televisivo che non ha più ragioni morali e di mercato per garantire ai big della TV pubblica simili cifre, e produrrebbe senza alcun dubbio risultati positivi, come il taglio delle retribuzioni esagerate, la scoperta di nuovi talenti, la sensazione nell'opinione pubblica e nel Paese che la Rai non deve considerarsi come luogo degli stipendi d'oro, ma un'azienda pubblica, seria e ordinata.

Il tetto alle retribuzioni pubbliche deve intendersi applicabile anche ai titolari di contratti avente ad oggetto prestazioni artistiche in favore della Rai, con la duplice conseguenza che una deroga alla predetta limitazione può essere autorizzata solo da una nuova disposizione legislativa. Questo chiediamo, dunque, al rappresentante del Governo: di assumere le opportune iniziative al fine di chiarire definitivamente che il tetto alle retribuzioni pubbliche deve intendersi applicabile anche ai titolari di contratti aventi ad oggetto prestazioni artistiche in favore della Rai, oppure, in caso contrario, se non intenda proporre una deroga espressa e specifica a quanto stabilito dall'articolo 9 della legge n. 198 del 2016, attraverso una nuova disposizione legislativa, e quindi assumendosi la responsabilità di percorrere l'unica strada in grado di autorizzare tale deroga, evitando così ogni indebita erogazione di compensi superiori. Chiediamo chiarezza e trasparenza al fine di fare luce in merito alla vicenda sulla quale ci sono ancora molte ombre, per fare in modo che possa essere garantito a tutti i cittadini contribuenti un serio servizio pubblico per una Rai che sia davvero una grande azienda produttrice di cultura.

PRESIDENTE. Il Sottosegretario di Stato per lo Sviluppo economico, Giacomelli, ha facoltà di rispondere.

ANTONELLO GIACOMELLI, Sottosegretario di Stato per lo Sviluppo economico. Grazie, signor Presidente. L'atto di sindacato ispettivo si conclude con la domanda che ora l'onorevole Vito ha ricordato, cioè se il Governo intenda assumere iniziative in relazione alla normativa vigente. Avevo pensato di battere, probabilmente, il record di brevità nella risposta, rispondendo semplicemente “no” alla domanda, ma preferisco interpretare in modo più estensivo le occasioni di sindacato ispettivo, facendone oggetto di un momento in cui il Governo può meglio illustrare il senso della propria posizione e i parlamentari e i gruppi politici trarre le loro libere valutazioni.

Io non credo vi sia alcuna ombra di quelle che vengono evocate nella presentazione dell'onorevole Vito e nel testo dell'atto su questa questione. Il legislatore ha introdotto, con una norma nella legge n. 198, un limite ai compensi dagli amministratori, dei dipendenti e dei collaboratori della TV pubblica. Il Governo lo ha già fatto nella sede parlamentare, lo ha fatto pubblicamente e ha manifestato, come è ovvio e come è giusto, totale rispetto per questa norma che è stata introdotta con una condivisione, come si dice, bipartisan.

Per noi è sempre stato chiaro che questa norma non includeva in alcun modo le prestazioni artistiche all'interno del limite ai compensi e così è stata interpretata.

Quando, alcune settimane fa, la presidente del consiglio d'amministrazione della Rai, Monica Maggioni, e il direttore generale, Antonio Campo Dall'Orto, hanno scritto ai Ministeri dell'economia e dello sviluppo economico, chiedendo di essere supportati da una più esplicita e puntuale interpretazione della norma, il Governo ha valutato che sarebbe stata inopportuna una risposta che semplicemente ribadisse l'opinione del Governo stesso e ha sollecitato, con una iniziativa diretta, una interpretazione terza, tecnica, oggettiva, autorevole, come quella dell'Avvocatura generale dello Stato. E in realtà, è contro il parere dell'Avvocatura generale dello Stato che si rivolge l'atto ispettivo in esame: interpretazione, parere, che il Governo assume e rispetta, non potrebbe che essere così, avendolo esso stesso sollecitato per sottrarre questa discussione ad una questione di natura politica, legittima, ma incapace di produrre un aiuto, per sottrarla ad interpretazioni di parte, a valutazioni in qualche modo interessate in vario modo. È, dunque, un parere oggettivo che è stato richiesto a chi, per ruolo e mandato, è in grado esattamente di darlo, non essendo parte nelle dinamiche politiche di contrapposizione, di scelta e quant'altro. E, come è stato ricordato, l'Avvocatura, per più aspetti e più motivi, esclude che le prestazioni artistiche siano oggetto del limite ai compensi, in modo argomentato, motivato esaustivo, convincente.

Quindi, l'Avvocatura di Stato conferma, con la sua autorevolezza, l'interpretazione che il Governo aveva sempre dato, ossia che la norma, introdotta dal legislatore, non include le prestazioni artistiche. Tuttavia, l'Avvocatura va oltre questa risposta - che era, per la verità, nelle cose - e chiarisce che questo non significa affatto lasciare, come dire, ad interpretazioni momentanee, di comodo o arbitrarie, la determinazione di cosa sia una prestazione artistica rispetto a una generica collaborazione professionale ed esplicita, nella parte finale del suo parere: “si intende” - cito testualmente - “che nei casi concreti spetterà ai competenti organi gestionali della concessionaria valutare nella propria autonoma responsabilità e nel rispetto dei principi della contabilità separata se la prestazione abbia natura artistica”. Dunque, il Governo ha preso atto del parere, che confermava l'interpretazione che per il Governo era già in re ipsa, ha trasmesso, l'ho fatto personalmente, il parere dell'Avvocatura agli organi della Rai che avevano sollecitato l'interpretazione della norma e ha richiamato - questo è il senso della lettera - nella lettera di trasmissione questo concetto che l'Avvocatura ha espresso, e cioè che questo non significa in alcun modo che la Rai, che gli organi gestionali della Rai si intendano esonerati dall'obbligo di determinare esattamente parametri e criteri che consentano una trasparente indicazione delle prestazioni artistiche e il senso di una loro utilità rispetto alla missione della Rai stessa.

Se, dunque, le cose stanno così, e stanno così perché ho solo ricordato gli atti e il loro scorrere, che senso avrebbe una iniziativa legislativa, di proposta legislativa del Governo per ripetere, per ribadire nuovamente un concetto che è già nella norma che il legislatore ha approvato e che l'Avvocatura conferma, su richiesta del Governo, essere già all'interno della norma vigente? Non avrebbe, dunque, alcun senso una iniziativa del Governo, che condivide, invece, la norma approvata con larghissima maggioranza, in modo condiviso fra gli schieramenti, dal legislatore.

Semmai, onorevole Vito, mi faccia dire, l'iniziativa dovrebbe avere il coraggio di assumerla chi non condivide questa norma ed è perfettamente legittimo che parlamentari o gruppi politici assumano l'iniziativa, se lo ritengono, di proporre esattamente l'estensione del limite dei compensi anche alle prestazioni artistiche e tentino di fare approvare questo concetto nei due rami del Parlamento. Questo avrebbe significato, questo avrebbe senso, questo è nelle cose per come, ad oggi, la normativa è posta.

Naturalmente, richiamo in anticipo una valutazione, che pure il collega Vito ha citato, ma che io voglio nuovamente sottolineare; lo dico per dire in anticipo quale sarebbe la posizione del Governo se un gruppo politico o un parlamentare proponesse una norma che include le prestazioni artistiche nel limite ai compensi. L'Avvocatura richiama il fatto che una norma di questo tipo, che includesse le prestazioni artistiche nei limiti ai compensi, creerebbe un'evidente asimmetria nel settore televisivo, atteso che Rai sarebbe l'unico operatore soggetto all'obbligo di cui si sta parlando.

Allora, da questo punto di vista, è perfettamente comprensibile che si assumano iniziative di questo tipo; naturalmente, già l'opinione dell'Avvocatura - ma è l'opinione del Governo - dice che una iniziativa di questo tipo non potrebbe che avere l'effetto di favorire l'attività di gruppi privati che operano nello stesso settore, legando le mani a Rai, a cui si chiede, nello stesso tempo, di svolgere attività concorrenziale con i criteri del mercato, ma a cui si impedisce di adottare gli stessi criteri con una norma che la renderebbe incapace di avere lo stesso strumento dei suoi concorrenti.

Il Governo ritiene che abbia molto più senso, se davvero si ha a cuore la trasparenza e la corretta amministrazione, chiedere - come il Governo ha fatto con numerosi atti e puntuali richiami - che ogni scelta aziendale sia inquadrata dentro atti generali, come un piano editoriale, un piano industriale, una chiara determinazione nell'utilizzo delle risorse rispetto alla funzione di servizio pubblico e rispetto alla sua natura commerciale; e chiedere che venga resa evidenza di come ogni progetto di utilizzazione artistica abbia l'effetto o neutrale rispetto alle risorse del canone, dunque, non impoverisca la mole di risorse che è destinata al servizio pubblico o, al contrario, porti un beneficio in termini di risorse a quegli strumenti di Rai. E questo lo si fa non semplicemente con la pubblicazione di un solo dato, cioè il compenso di uno dei soggetti che interviene, perché questo non ha alcuna evidenza né alcuna utilità nel calcolare il beneficio. Lo si fa chiedendo che ogni progetto editoriale, ogni serie, ogni trasmissione, ogni format abbia una chiara indicazione complessiva dei costi e dei benefici, perché sia evidente se quell'attività editoriale rispetta i principi di una corretta amministrazione ed è in grado di apportare il beneficio richiesto all'attività di pubblico servizio.

Per il complesso di questi motivi, credo sia evidente che il Governo ritiene non vi sia alcuna necessità di una iniziativa per ribadire un concetto che è già nella normativa approvata dal legislatore e non condividerebbe una iniziativa assunta da parlamentari o forze politiche che, al contrario, modificasse l'assetto normativo attuale.

PRESIDENTE. Il deputato Vito ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta all'interpellanza Brunetta e Occhiuto n. 2-01777, di cui è cofirmatario.

ELIO VITO. Signora Presidente, io sono assolutamente insoddisfatto della risposta del Governo, che, in qualche modo, giudico anche provocatoria nei confronti del Parlamento. Il Parlamento ha deliberato, come ha ricordato il sottosegretario Giacomelli, a grandissima maggioranza, su questa materia: non ha previsto alcuna deroga. Questa norma del 2009 va applicata a tutte le pubbliche amministrazioni, va applicata per intero alla Rai. Quando il Parlamento ha voluto prevedere una deroga per le star artistiche lo ha fatto, come andava fatto, espressamente nel 2007. La legge del 2009 regola l'intera materia, come prescrive l'articolo 15 delle Preleggi ha tacitamente abrogato le normative precedenti, compresa la deroga che il Parlamento volle introdurre nel 2007.

Ora il Governo sfida il Parlamento a voler prevedere, chissà perché adesso, una inclusione espressa che non va fatta e sulla quale darebbe anche parere contrario. E no: è il Governo, se ne ha il coraggio, che deve espressamente dire all'opinione pubblica e al Parlamento che vuole prevedere una deroga per le star artistiche e motivarcela. Ma la legge oggi non prevede deroghe e, quindi, va applicata a tutte le pubbliche amministrazioni in base ai principi di trasparenza e di correttezza, che sono dovuti all'opinione pubblica e a chi paga il canone e che sono dovuti anche per le star televisive. Punto.

O il Governo assume una deroga, un provvedimento legislativo, o si applica la legge del 2009 che non prevede deroghe. Tirare in ballo tutte le altre cose, come la concorrenza privata, è francamente un fuor d'opera, è qualcosa di scorretto, per la volontà che il Parlamento ha già espresso a larghissima maggioranza. State esponendo la Rai, oltre che a critiche da parte dell'opinione pubblica, ad una singolare responsabilità (il Governo e l'Avvocatura) nella quale oggi - non ne dubitavamo - il Governo si riconosce: cioè, la state esponendo alla responsabilità di non applicare una norma di legge, che esiste, che è stata votata e che, mi spiace ripetermi, signora Presidente, non prevede deroghe per le star televisive.

Quindi, noi chiediamo semplicemente, visto che il Governo non intende proporre per via legislativa una deroga come c'era nel 2007, prima della nuova legge del 2009, per le star televisive, che si applichi la legge del 2009, che prevede il tetto, che prevede la pubblicità e che la prevede, genericamente e generalmente, per tutti. Non è una misura punitiva nei confronti dell'azienda e del servizio pubblico, che ha oneri ed onori, altrimenti dovremmo ritenere questa norma punitiva nei confronti di tutte le amministrazioni pubbliche, di qualunque settore, nei confronti di tutte le aziende private di qualunque settore. Non è così: sono gli oneri della pubblicità e della trasparenza per quello che deriva dal lavorare, dallo svolgere servizi e attività nei confronti di pubbliche amministrazioni o di aziende a ciò riconducibili.

Quindi, io la ringrazio della risposta, ma è una risposta insoddisfacente e, in qualche misura, preoccupante, che vorrebbe scaricare sull'azienda la responsabilità di non applicare una norma di legge che esiste. La norma di legge esiste, prevede la pubblicità, prevede il tetto, lo prevede per tutti, senza deroghe e, quindi, anche per le star televisive, per il personale artistico, come è stato definito nel 2007.

Non c'è nulla di personale in questa battaglia che il presidente Brunetta e il gruppo di Forza Italia stanno facendo: semplicemente è una questione di trasparenza, di applicare una legge del 2009 voluta a grande maggioranza dal Parlamento, che la Rai è tenuta a rispettare e che il Governo, naturalmente, non può cercare di fare in modo che non venga integralmente applicata.

(Iniziative volte a coprire il debito maturato nei confronti del Consorzio ricostruzione 8, per i lavori effettuati a seguito del sisma del 1980 in Irpinia – n. 2-01780)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Scotto e Laforgia n. 2-01780 (Vedi l'allegato A).

Chiedo al deputato Scotto se intenda illustrare la sua interpellanza.

ARTURO SCOTTO. Signora Presidente, signori del Governo, gentile sottosegretario Migliore, la storia è molto lunga e, per chi conosce una realtà molto difficile come quella di Napoli, rischia di essere anche una vicenda che può dare il colpo mortale alla tenuta della nostra città, una città difficile, una città che lentamente è uscita dal dissesto economico e che ovviamente oggi rischia, qualora dovesse ripagare interamente il debito verso il Consorzio ricostruzione 8, di andare sostanzialmente in default. Già oggi ci troviamo in una condizione estremamente particolare: il Consorzio ricostruzione 8, che era stato destinato ad eseguire i lavori all'indomani del terremoto di Napoli e dell'Irpinia del 1980, chiede al comune di Napoli 125 milioni, e ha prodotto un pignoramento di questa natura, sospendendo nei fatti i pagamenti ai fornitori e mettendo seriamente a rischio il pagamento degli stipendi.

La responsabilità di questo ritardo nel pagamento non può essere attribuita alla città di Napoli, all'attuale amministrazione, a questa attuale esperienza. È ovvio che questa esperienza sta faticosamente lavorando per risanare definitivamente i conti della città, ma qualora dovesse integralmente sostenere questo debito, che, tra l'altro, al 90 per cento dovrebbe essere attribuito al concessionario pubblico, dunque allo Stato, rischierebbe una condizione estremamente difficile. Tra l'altro, come è noto a tutti, i comuni oggi sono profondamente in difficoltà, gravati da debiti molto alti e da tagli che sono continuati nel corso dell'ultimo decennio. E una città come Napoli, che è una città che ha dati di disoccupazione elevatissima, che ha una condizione sociale molto, molto più difficile rispetto ad altri comuni del nostro Paese, difficilmente riuscirebbe a uscire da questa difficoltà. C'è stata un'attivazione da parte del comune presso il Consorzio, che ha prodotto anche un accordo, parziale, ma questo accordo parziale viene giudicato insoddisfacente, e comunque non risolverebbe il problema. Noi chiediamo che venga aperto immediatamente un tavolo tra il Governo e l'amministrazione, per poter arrivare a un accordo dove lo Stato, il Governo, faccia la propria parte attraverso un impegno diretto.

PRESIDENTE. Il Sottosegretario di Stato per la Giustizia, Gennaro Migliore, ha facoltà di rispondere.

GENNARO MIGLIORE, Sottosegretario di Stato per la Giustizia. Signora Presidente, in riferimento all'interpellanza urgente dell'onorevole Scotto, concernente la situazione finanziaria del comune di Napoli, intendo rappresentare, per quanto di competenza, quanto segue. Il contenzioso, come è stato ricordato dall'onorevole e a cui si riferisce l'interpellante, origina da una complessa vicenda giudiziaria relativa alla gestione della ricostruzione post-sisma del 1980, e in particolare all'affidamento, da parte del sindaco di Napoli, nella sua qualità di commissario straordinario del Governo, ai sensi della legge n. 219 del 1981, della programmazione e dell'attuazione degli interventi di edilizia residenziale ed infrastrutturali al consorzio C.R. 8.

Dopo un iter giudiziario particolarmente complesso, la corte di appello di Napoli, con sentenza n. 39 del 2016, ha confermato un lodo arbitrale del 2004. Avverso la sentenza pende attualmente ricorso per Cassazione. A seguito di attività transattiva tra le parti, il pignoramento originariamente disposto a carico del comune di Napoli e a favore del consorzio C.R. 8 per circa 83 milioni di euro più interessi è stato oggetto di parziale rinuncia. Il Governo, non appena investito della questione, con leale spirito di collaborazione istituzionale, ha ritenuto di convocare appositi incontri presso Palazzo Chigi con i rappresentanti del comune di Napoli e il commissario straordinario di Governo per il contenzioso e il trasferimento delle opere di cui alla legge n. 219 del 1981.

Tuttavia, nonostante tali incontri e le ulteriori interlocuzioni, non è ancora condivisa tra comune e Governo, come è stato evidenziato, la quota di debito imponibile allo Stato. Il Governo, infatti, sulla scorta degli atti processuali nonché delle indicazioni fornite dal Commissario straordinario di Governo per il contenzioso e il trasferimento delle opere di cui alla legge n. 219 del 1981, ritiene non condivisibile che una parte rilevantissima del debito del comune nei confronti del suddetto consorzio venga accollata allo Stato. La posizione del Governo - è importante chiarirlo - si basa sulle seguenti considerazioni. In primo luogo, non si può prescindere dalla constatazione che gli oneri oggetto di contenzioso sono legati a eventi successivi al 31 marzo 1996, quindi alla gestione della ricostruzione affidata al sindaco di Napoli protempore. In secondo luogo, risulta che il comune non si sia adeguatamente difeso nelle sedi giudiziarie e stragiudiziali competenti, in particolare - e qui è il punto - non eccependo l'errore materiale in cui è incorso il collegio arbitrale nel computo degli interessi. Infatti, gli interessi erano pari a euro 2.132.000,15, e il collegio arbitrale ne ha invece computati ben 22.913.200,14, con una differenza di più di 20 milioni di euro, per errore materiale non eccepito in nessuna sede dal comune di Napoli. Né il comune di Napoli può imputare allo Stato la mancata iscrizione nel proprio bilancio comunale della necessaria provvista di risorse a valere sul Fondo rischi, previsto dalla legislazione contabile vigente, per gli oneri derivanti dal contenzioso. Il Governo, pertanto, ribadendo le obiettive divergenze di valutazione esistenti al momento in merito alla ripartizione del quantum degli oneri inerenti il contenzioso per il consorzio C.R. 8, è aperto a ogni ulteriore confronto con i rappresentanti del comune di Napoli per addivenire alla soluzione più rapida, equa e ragionevole della vicenda.

PRESIDENTE. Il deputato Scotto ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

ARTURO SCOTTO. Signora Presidente, ringrazio il sottosegretario Migliore, credo che sia un segnale importante questa apertura a una soluzione. È ovvio, tuttavia, che, di fronte a questa disponibilità, che apprezziamo, ci sono alcune divergenze che vorremmo sottolineare. La prima: l'apertura al confronto non si traduce immediatamente in un tavolo, noi chiediamo la convocazione di un tavolo, perché occorre, da questo punto di vista, costituire una sede formale rispetto a un tema che riguarda una grande capitale del nostro Paese, la capitale del Mezzogiorno. Secondo: c'è una divergenza rispetto a una valutazione con il Governo, ma anche con i Governi precedenti: questa vicenda non può essere attribuita - come veniva illustrata, così lunga, così complessa -, per onestà intellettuale, all'attuale Governo, come non può essere attribuita all'attuale amministrazione del comune di Napoli.

Ma gli addebiti mossi riguardano, nella massima parte, circa il 90 per cento, il concedente pubblico che era lo Stato e dunque la quota più rilevante di questo debito dovrebbe essere attribuita allo Stato, dovrebbe essere messa in carico allo Stato. Aggiungo l'ultima considerazione: è chiaro che in questa lungo contenzioso, in questo lungo lodo ci sono stati errori, che venivano sottolineati prima, che hanno portato ad una lievitazione del debito e che hanno prodotto il surplus di 20 milioni di debito per errori materiali che probabilmente, anzi sicuramente, sono dovuti ad una scarsa attenzione da parte delle amministrazioni precedenti, dei loro organismi e probabilmente ad una sottovalutazione dell'impatto che ci sarebbe stato nei tempi successivi rispetto a tale vicenda. Ritengo, signora Presidente, gentile sottosegretario, che occorra aprire un focus più serio rispetto alla condizione di alcuni grandi comuni come il comune di Napoli che faticosamente stanno uscendo da una situazione di difficoltà finanziaria, che stanno producendo investimenti importanti sul terreno delle infrastrutture, che hanno firmato il patto per Napoli e che vanno nella direzione di una nuova stagione per la città, di rilancio sia sul terreno produttivo sia sul terreno turistico: una zavorra così pesante come questo debito rischierebbe di ammazzare il bambino nella culla e penso che non solo Napoli ma il sistema Paese non possa permetterselo. Pertanto auspico una leale collaborazione istituzionale e l'apertura di un tavolo in tempi rapidi.

(Iniziative volte ad evitare l'interruzione dei servizi pubblici nella provincia di Caserta a seguito della dichiarazione di dissesto finanziario – n. 2-01760)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Sgambato ed altri n. 2-01760 (Vedi l'allegato A).

Chiedo alla deputata Sgambato se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

CAMILLA SGAMBATO. Grazie Presidente. Grazie sottosegretario, la questione che poniamo oggi è gravissima e si protrae da ben tre anni. Se oggi il Governo non interviene avremo la morte di un ente pubblico previsto in Costituzione, quale la provincia, che non potrà più garantire le funzioni obbligatorie essenziali che le sono proprie negando così diritti essenziali ai cittadini, agli studenti, alle famiglie e ai dipendenti della provincia stessa. La provincia di Caserta con deliberazione del consiglio provinciale del 2015, esecutiva come per legge, ha dichiarato lo stato di dissesto finanziario ai sensi dell'articolo 244 del decreto legislativo n. 267 del 2000 a causa della sopravvenuta impossibilità di garantire l'assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili, determinata dall'imposizione da parte della manovra finanziaria per il 2015, la legge n. 190 del 2014, di insostenibili obblighi di contenimento della spesa, accompagnati da conseguenti oneri di riversamento dei risparmi, così conseguiti nelle casse dello Stato. Il contributo richiesto per il 2015 alla provincia di Caserta, infatti, è stato di un'entità tale - più di 31 milioni di euro - da risultare, secondo noi, palesemente dissimile rispetto a quelli richiesti agli altri enti in ambito regionale e in ambito nazionale. A mero scopo esemplificativo diamo qualche dato: in ambito regionale, ad esempio, la provincia di Salerno ha versato quasi 25 milioni di euro, quindi oltre 6 milioni di euro in meno rispetto a Caserta; a livello nazionale, ad esempio, Bologna ha versato poco più di 5 milioni di euro; Brescia 23 milioni di euro; Varese 4 milioni di euro; Genova 5 milioni di euro e così via e tali città metropolitane e province si sono viste imporre contributi certamente più sostenibili pur in presenza di un tessuto socio-economico più strutturato rispetto a quello casertano dal punto di vista finanziario.

Tra l'altro la quantificazione del contributo complessivo per il 2016, 41 milioni di euro circa, conduce al paradossale risultato che le risorse disponibili nel bilancio della provincia di Caserta considerate al netto del contributo de quo sono largamente insufficienti alla copertura delle spese che lo stesso Ministero dell'interno ha certificato come inderogabili. Nelle condizioni date la provincia è venuta a trovarsi nell'oggettiva impossibilità di procedere all'approvazione di un bilancio di previsione stabilmente riequilibrato, non essendo il livello della spesa ulteriormente comprimibile in misura sufficiente a colmare lo squilibrio ammontante in termini previsionali in più di 63 milioni di euro. Diversi incontri e manifestazioni si sono tenuti tra i sindaci, associazioni, sindacati e hanno visto la partecipazione anche dei dirigenti scolastici perché tutto ciò si riversa pesantemente sulle scuole del casertano. Infatti la grave situazione finanziaria non consente nemmeno di provvedere a fare la manutenzione straordinaria e ordinaria degli istituti scolastici. Se è vero che questa è la condizione di molte, quasi tutte le province italiane, la provincia di Caserta presenta peculiarità assolutamente eccezionali, non equiparabili a nessun'altra provincia italiana in quanto a compromettere irrimediabilmente le condizioni finanziarie dell'ente è bastata la singolare quantificazione del contributo per l'anno 2015 che non ha avuto eguali a livello nazionale. Pertanto solo il mancato consolidamento, a decorrere dall'esercizio in corso, degli oneri di cui trattasi a partire dalla quota 2015, può offrire alla provincia di Caserta l'opportunità di evitare l'imminente blocco totale di tutte le attività e di non rinunciare al ruolo istituzionale riconosciutole dalla nostra Costituzione. L'esercizio finanziario 2017 risulta, quindi, ad oggi privo di una programmazione contabile cui si possa riconoscere carattere autorizzatorio della gestione finanziaria, ponendo con straordinaria urgenza il problema della continuità stessa delle funzioni e delle attività dell'ente. Il decreto-legge recante misure in favore degli enti locali, tra cui le province, in cui speravamo tanto, approvato nell'ultimo Consiglio dei ministri di martedì 11 aprile 2017, non contiene alcuna norma o stanziamento che possa alleviare o far superare alla provincia di Caserta la drammatica situazione finanziaria che vive l'ente ed eliminare l'emergenza per le scuole, per le strade della provincia di Terra di Lavoro, a rischio di imminente chiusura per l'impossibilità della stessa provincia di garantire la manutenzione anche ordinaria delle infrastrutture e degli immobili, oltre che le spese fisse per utenze e funzionamento. Chiediamo quindi se il Governo intenda assumere iniziative quanto prima per l'adozione di un provvedimento ad hoc per la provincia di Caserta al fine di scongiurare l'interruzione di pubblici servizi oltre che evitare dolorose ripercussioni sui cittadini del territorio.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'Interno, Domenico Manzione, ha facoltà di rispondere.

DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'Interno. Grazie, Presidente. Con l'interpellanza urgente all'ordine del giorno l'onorevole Sgambato, unitamente ad altri deputati, segnalava la grave situazione finanziaria in cui versa la provincia di Caserta - l'abbiamo sentito or ora - per la quale è stato dichiarato lo stato di dissesto. Al riguardo chiede l'adozione di iniziative ad hoc mirate a consentire all'ente l'assolvimento delle funzioni connesse allo svolgimento dei servizi pubblici essenziali che rischierebbero altrimenti di subire interruzioni. La questione posta dall'onorevole interpellante è nota al Governo anche perché è già oggetto di esame in sede parlamentare e altresì sottoposta più volte alla sua attenzione dai vertici della stessa provincia di Caserta. In effetti, come rammentato nell'atto di sindacato ispettivo, con la legge di stabilità per il 2015 è stato previsto un concorso alla finanza pubblica da parte delle province e delle città metropolitane delle regioni a statuto ordinario e delle regioni Sicilia e Sardegna, concorso in ragione del quale è stata disposta una riduzione complessiva della spesa corrente dei predetti enti. Tale opzione è legata sostanzialmente al risparmio di spesa che il comparto in questione avrebbe dovuto conseguire con il processo di riforma delle funzioni previsto dalla legge n. 56 del 2014, la cosiddetta legge Delrio.

Tuttavia, nella piena consapevolezza sia dei tempi necessari alla definizione dell'iter complessivo della citata riforma sia delle difficoltà finanziarie incontrate dagli enti in questione, il legislatore ha disposto in loro favore l'attribuzione di specifiche risorse finanziare con diversi provvedimenti normativi succedutisi nel tempo, da ultimo il decreto-legge n. 50 del 2017, entrato in vigore la settimana scorsa.

In particolare, per l'anno 2016, a fronte di un taglio di 1 miliardo e 800 milioni di euro, sono state assegnate risorse per 913 milioni di euro, di cui 595 milioni per le funzioni di viabilità ed edilizia scolastica, ai sensi della legge di stabilità 2016 e del decreto-legge n. 113 del 2016. Per il triennio 2017-2019, invece, a fronte di un taglio annuale di 2 miliardi e 700 milioni di euro, sono state concesse risorse complessivamente pari a 1 miliardo e 665 milioni per il 2017 e a 1 miliardo e 370 milioni per ciascuno degli anni 2018 e 2019, di cui 470 milioni annui destinati specificamente alla viabilità e all'edilizia scolastica. Limitatamente all'anno 2017, sono previsti inoltre contributi a favore delle province e città metropolitane pari a 75 milioni di euro per il trasporto disabili e a 220 milioni di euro per il finanziamento dei centri per l'impiego.

Sempre nella medesima direzione si pone ora il decreto-legge n. 50 del 24 aprile scorso, adottato sulla base di uno specifico accordo raggiunto in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali. L'articolo 20 del provvedimento d'urgenza ha destinato alle province delle regioni a statuto ordinario fondi pari a 110 milioni di euro per l'anno in corso e a 80 milioni di euro a decorrere dal 2018, ai fini dell'esercizio delle funzioni fondamentali loro affidate. Ulteriori 100 milioni sono stati stanziati specificamente per la manutenzione straordinaria delle strade nell'anno in corso. Aggiungo che, a decorrere dal 2019, verrà meno il contributo alla finanza pubblica a carico degli enti in questione di cui all'articolo 47 del decreto-legge n. 66 del 2014, per un importo annuo complessivo di circa 517 milioni.

Alle misure finanziarie fin qui illustrate si è aggiunta, a testimonianza dell'attenzione che viene prestata alla situazione economico-finanziaria delle province e delle città metropolitane, l'adozione di disposizioni di carattere speciale, che hanno riconosciuto la facoltà di approvare il bilancio di previsione limitato a una sola annualità piuttosto che al triennio, nonché di applicare al bilancio l'avanzo di amministrazione libero e destinato.

Ricordo anche che, solo per tali enti, il Ministro, quindi il Ministero dell'interno, ha prorogato al prossimo 30 giugno il termine per l'approvazione del bilancio di previsione per il 2017.

Concludo con questa panoramica di carattere generale, rappresentando che, anche dopo l'emanazione del decreto-legge n. 50, permane il confronto fra il Governo e l'Unione province d'Italia, al fine di stabilire il nuovo quadro finanziario di riferimento a regime per le province e le città metropolitane, alla luce delle funzioni fondamentali individuate dalla legge n. 56 del 2014, che ho appena citato, e delle disposizioni in materia di spending review e di riduzione della spesa del personale.

In tale contesto si inserisce la problematica della provincia di Caserta, che effettivamente ha subito anch'essa, come già è stato detto, riduzione delle risorse a disposizione, in ragione degli obblighi di concorso alle politiche di contenimento della spesa pubblica. Tuttavia segnalo che, nell'ambito delle operazioni di ripartizione delle risorse finalizzate ad allentare l'impatto di tali riduzioni sugli enti di area vasta, la provincia di Caserta è stata destinataria di diversi contributi finanziari. Con il decreto-legge n. 113 del 2016 è stato assegnato a tale ente l'importo di circa 4 milioni 120 mila euro, quale quota parte del contributo a favore delle province per il finanziamento delle spese connesse alle funzioni essenziali; allo stesso titolo il decreto-legge n. 50 del 2017 ha attribuito all'ente, per il quadriennio 2017-2020, poco più di 3 milioni 700 mila euro l'anno, che diventeranno circa 2 milioni 500 mila a decorrere dal 2021. La provincia di Caserta potrà beneficiare di altre somme in sede di ripartizione dei fondi che, come ho già riferito, sono stati stanziati in favore degli enti in questione dall'articolo 20 dello stesso decreto-legge n. 50. Il provvedimento di ripartizione sarà adottato dal Ministero dell'interno, di concerto con quello dell'economia e delle finanze, entro il prossimo 15 maggio, previe intese in sede di Conferenza Stato-città e autonomie locali.

Infine, ulteriori risorse, pari a circa 20 milioni 900 mila euro, sono state recentemente destinate alla provincia in questione a seguito della ripartizione, avvenuta con decreto del Presidente del Consiglio del 10 marzo scorso, in corso di registrazione alla Corte dei conti, del Fondo per il finanziamento di interventi a favore degli enti territoriali, istituito dalla legge di bilancio 2017.

Per quanto riguarda, infine, la specifica richiesta di un provvedimento ad hoc, che preveda ulteriori risorse a favore della provincia di Caserta, evidenzio che, anche alla luce delle misure già adottate dal Governo e in precedenza ricordate, ogni ulteriore intervento dovrà essere disposto sulla base di una preliminare valutazione politica nelle sedi parlamentari competenti e, comunque, previa individuazione delle necessarie risorse finanziarie. Grazie, Presidente.

PRESIDENTE. La deputata Sgambato ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

CAMILLA SGAMBATO. Soddisfatta non del tutto, perché le risorse di cui parlava il sottosegretario, nella prima parte, riguardano tutte le province che non si trovano certo nella condizione drammatica in cui si trova la provincia di Caserta, perché sono alcune in pre-dissesto. Soltanto la provincia di Caserta - e quella di Vibo Valentia - è in una situazione di dissesto, essendo Biella uscita da questo. Un ente in dissesto non può procedere al riequilibrio di bilancio in presenza di ulteriori gravami e non comprendiamo perché, solo per aver dichiarato il dissesto un anno dopo rispetto alle province di Vibo Valentia e di Biella, non possa essere esonerata dai contributi come le province precedenti.

Noi non nascondiamo che la condizione di disastro finanziario in cui versa la provincia di Caserta è frutto anche di un'amministrazione precedente, che certamente non ha brillato e che certamente avrebbe potuto non solo dichiarare il dissesto l'anno precedente, ma avrebbe potuto amministrare meglio; pur tuttavia, le risorse stanziate per la provincia di Caserta non sono assolutamente sufficienti.

Allora, non ci sono alternative, visto che la provincia resta un ente previsto in Costituzione: o togliamo loro le funzioni o diamo alle province stesse le risorse necessarie per svolgerle. La provincia di Caserta ha un'entrata di 62 milioni di euro circa e 42 milioni sono le somme da versare allo Stato attualmente, di questi, 23 milioni sono le spese per il personale e per l'ammortamento dei mutui. Capirete bene che la provincia, così, non può provvedere alle altre spese obbligatorie: la sicurezza, la manutenzione stradale e quella delle scuole. L'ultima lettera è quella del procuratore capo di Napoli nord che ricorda alla provincia l'obbligatorietà delle sue funzioni.

Solo con questa deroga, che noi chiediamo, e con rigore gestionale si arriverebbe al riequilibrio, ridando ai lavoratori, agli studenti, alle famiglie, ai cittadini in genere, pari dignità ed uguali diritti. In una sede legislativa prossima noi presenteremo un emendamento e speriamo che avremo il parere favorevole del Governo. Grazie.

(Iniziative di competenza a tutela delle forze dell'ordine nelle manifestazioni pubbliche – n. 2-01782)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Vito ed altri n. 2-01782 (Vedi l'allegato A).

Chiedo al deputato Elio Vito se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

ELIO VITO. Grazie, signora Presidente. La illustro brevemente, perché la vicenda è davvero di una gravità sconcertante.

Nel corso di una recente manifestazione, che si è tenuta a Torino, i cui contenuti naturalmente non sono qui oggetto della nostra interpellanza, appartengono - ci mancherebbe - al diritto a manifestare liberamente, dalle immagini che sono state riprodotte più volte da organi di stampa e sui social network, avrebbe manifestato, sarebbe stato esposto un furgone che, caricaturalmente, ma in maniera gravemente offensiva, riportava due poliziotti, due agenti delle forze dell'ordine investiti. E sono naturalmente proprio quei poliziotti, che sono oggetto della particolare attenzione, ad avere il compito di garantire la pubblica incolumità e l'ordinato svolgimento delle manifestazioni pubbliche.

Noi riteniamo che questa provocazione, se la vogliamo così definire, sia una provocazione, oltre che probabilmente – lo dovrà accertare la magistratura - un reato inaccettabile, inaccettabile nei confronti delle forze dell'ordine, alle quali va naturalmente la nostra solidarietà anche in questa occasione; inaccettabile - immagino - per tutte le forze politiche, immagino certamente anche da parte del Governo, ma che non può restare senza reazione da parte del Parlamento e del Governo.

Il senso della nostra interpellanza urgente è stato proprio questo: un episodio così grave di provocazione, di offesa, nei confronti delle forze dell'ordine, addirittura pubblicamente investite da un furgone, alle quali, invece, va il nostro plauso e la nostra gratitudine, non può restare in silenzio.

Io mi aspettavo, signora Presidente, lo dico senza ombra di polemica, che ci sarebbero stati altri atti di sindacato ispettivo, altre dichiarazioni da parte dei gruppi parlamentari e delle forze politiche; questo non è accaduto e francamente mi pare grave. Per fortuna, ciò è accaduto da parte dei sindacati delle Forze di polizia che, giustamente, hanno ripreso quanto è accaduto, con i toni e con le forme giuste, rilevando una protesta per quello che era accaduto e che è inaccettabile. Quindi, noi vorremmo sapere l'opinione del Governo e, naturalmente, nell'ambito delle sue prerogative e dei suoi poteri, che tipo di iniziative il Governo può assumere o intende assumere per evitare il ripetersi di episodi così gravi, naturalmente, anche nei confronti di un episodio, invece, così grave che, purtroppo, è già accaduto.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'Interno, Manzione, ha facoltà di rispondere.

DOMENICO MANZIONE, Sottosegretario di Stato per l'Interno. Grazie, Presidente. Con l'interpellanza all'ordine del giorno, gli onorevoli Vito, Brunetta e Palmizio richiamano l'attenzione sulla manifestazione antiproibizionista denominata “Cannabis Parade”, organizzata a Torino per iniziativa del centro sociale Gabrio, attivo nelle politiche finalizzate alla legalizzazione generalizzata delle sostanze stupefacenti. In particolare, gli interpellanti evidenziano la messa in scena dell'incidente a poliziotti fantoccio e, pertanto, chiedono di conoscere quali iniziative si intendano porre in essere per prevenire simili rappresentazioni “allegoriche”, uso l'espressione tra virgolette. La manifestazione richiamata nell'atto di sindacato ispettivo tenutasi nel pomeriggio dello scorso 29 aprile era stata regolarmente preavvisata dai promotori che hanno assunto l'impegno scritto di svolgerla nel rigoroso rispetto della legislazione vigente in materia di sostanze stupefacenti e psicotrope. Essa si è concretizzata in un corteo a cui hanno partecipato circa 4.000 persone che hanno percorso alcune vie del centro, secondo l'itinerario prestabilito. All'interno del corteo, come previsto, erano presenti diversi automezzi allestiti a tema, fra cui quattro grandi autocarri contenenti strumentazione di amplificazione sonora e allegorie varie. Tra gli automezzi utilizzati è stata subito notata la presenza di un furgone che esibiva, nella parte anteriore, due fantocci rappresentanti agenti della Polizia di Stato, con un'uniforme del reparto mobile, nella posa di essere investiti dal veicolo. Il dirigente del servizio di ordine pubblico, in accordo con il personale della DIGOS, ha ritenuto opportuno non bloccare il corteo né inibire la partecipazione del veicolo alla manifestazione e identificare, quindi, nell'immediato gli occupanti, procedendo, invece, ai rilievi di polizia scientifica finalizzata alla successiva identificazione delle persone responsabili. La manifestazione si è svolta senza alcuna turbativa per l'ordine e la sicurezza pubblica; al termine della medesima, la DIGOS ha immediatamente riferito sui fatti descritti all'autorità giudiziaria. Sono tuttora in corso, ovviamente, le indagini per l'identificazione delle persone che avevano in uso il veicolo in questione.

Su un piano più generale, la vicenda sopra descritta evidenza che l'attività delle Forze di polizia, impegnata nei servizi di ordine pubblico, presenta profili di ovvia delicatezza, dovendo realizzare, come già rammentava l'interrogante, un equo contemperamento tra la garanzia dei diritti costituzionali di riunione e di manifestazione del pensiero e l'esigenza del mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica. La difficoltà del compito scaturisce anche dal fatto che tali tipi di servizi richiedono spesso valutazioni e decisioni tempestive in scenari complessi, connotati da criticità operative. Abbiamo visto quali siano quelle che sono state assunte nel corso della manifestazione in questione.

In considerazione della necessità di bilanciare con un atteggiamento di fermezza ogni eventuale forma di violenza o di illegalità, l'intervento immediato, finalizzato a incidere sullo svolgimento delle manifestazioni, è limitata ai casi di effettivo rischio per la sicurezza pubblica e ciò anche per evitare di innescare più gravi tensioni, come è avvenuto anche nel caso di specie: eventuali fatti illeciti posti in essere durante le manifestazioni vengono attentamente monitorati da personale di polizia specializzato e le persone individuate come responsabili vengono, poi, deferito all'autorità giudiziaria per le valutazioni di competenza in ordine alla sussistenza di profili penali.

Mi preme sottolineare che le Forze di polizia, prima di ciascuna manifestazione, svolgono una costante attività di prevenzione, attraverso un'accurata raccolta finalizzata a cogliere il minimo segnale di turbativa dell'ordine pubblico e di deviazione dalle regole del diritto e della pacifica convivenza.

Concludendo, sento, innanzitutto, l'esigenza di esprimere pieno apprezzamento delle Forze dell'ordine per la professionalità, la lucidità e l'equilibrio dimostrati anche in questa circostanza; è anche grazie alla linea di condotta da esse tenuta che, come ho già rammentato, la manifestazione si è conclusa senza problemi di ordine e di sicurezza pubblica. Quanto all'episodio dei “poliziotti fantoccio”, uso l'espressione ancora una volta fra virgolette, comunque lo si voglia definire: una macabra messa in scena, una inaccettabile rappresentazione allegorica, una becera provocazione o persino una goliardata, rimane, in ogni caso, al di là delle conclusioni che vorrà trarre l'autorità giudiziaria, un gesto estremamente irriguardoso nei confronti delle Forze di polizia e di lavoratori e lavoratrici quotidianamente al servizio delle istituzioni e del bene comune. Gesto che, a titolo personale e, ovviamente, a nome di tutto il Governo, ritengo doveroso stigmatizzare con assoluta nettezza.

PRESIDENTE. Il deputato Vito ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

ELIO VITO. Signora Presidente, sì, posso dichiararmi soddisfatto della risposta che ha dato il Governo, perché il nostro intendimento era, da una parte, proprio ottenere questa dichiarazione conclusiva, da parte del rappresentante del Governo, cioè la testimonianza di solidarietà e vicinanza alle Forze dell'ordine e, naturalmente, la critica rispetto alla manifestazione che c'è stata. Per il resto non entro nel merito né delle decisioni che prenderà l'autorità giudiziaria, naturalmente, né della scelta che è stata assunta dai responsabili dell'ordine pubblico sul luogo, in quel preciso momento, perché naturalmente non tocca al Parlamento, non tocca a me, non tocca alla funzione legislativa e, comunque, è una decisione che rispetto.

Il punto è proprio quello che era stato colto alla fine dal rappresentante del Governo: guai se non ci fosse stata questa levata di scudi da parte del Parlamento e del Governo a difesa delle Forze dell'ordine così gravemente offese. Non è, come il sottosegretario sa, una goliardata, è qualcosa di molto più grave.

Esiste, oggi, nel nostro Paese e, purtroppo, si sta diffondendo un sentimento di odio nei confronti delle Forze dell'ordine verso le quali, invece, va rispetto, va amore, alle quali va data sicurezza, va dato apprezzamento. Questo sentimento si percepisce sui social, si percepisce da varie pagine, si percepisce da tante cose, da parte naturalmente di persone che non hanno a cuore il rispetto, invece, dei principi di legalità, di sicurezza, dello Stato di diritto che le stesse Forze dell'ordine sono tenute a garantire e garantiscono in nome della nostra Costituzione, anche nei confronti di manifestazioni che portano a questa così grave provocazione nei loro confronti. Ed è questo sentimento di odio nei confronti delle Forze dell'ordine che va combattuto; è un sentimento naturalmente minoritario nel Paese, questo è evidente, ma il fatto che sia minoritario, non vuol dire che non vada fortemente combattuto, cercando, invece, ad ogni livello ed in ogni occasione, di infondere il sentimento di apprezzamento nei confronti delle Forze dell'ordine, del loro operato e di quello che fanno.

Quindi, sarebbe stato grave se a una provocazione così grave, non ci fosse stata una reazione da parte del Parlamento e del Governo e noi abbiamo inteso sollecitarla, sollecitandola con un atto urgente e crediamo di avere raggiunto lo scopo, perché episodi così gravi, carri allegorici che prevedono l'investimento delle nostre Forze dell'ordine, dei rappresentanti delle Forze dell'ordine, che pure in quell'occasione hanno garantito l'incolumità, la tutela e la possibilità di svolgere una simile manifestazione, sono del tutto inaccettabili. Le conseguenze, gli effetti di simili atti, naturalmente, saranno accertati in altre sedi e da altre autorità; per quanto ci riguarda abbiamo voluto manifestare, invece, un sentimento contrario a quanto manifestato con quella “allegoria” che è del tutto inaccettabile, cioè la solidarietà e l'apprezzamento per l'operato delle Forze dell'ordine, mostrato anche in quell'occasione, ma non solo in quell'occasione, direi, quotidianamente, ed è un apprezzamento e una solidarietà che non possono essere naturalmente taciuti quando ci sono degli episodi così gravi.

(Iniziative in materia di prestito sociale cooperativo, con particolare riguardo alla possibile istituzione di un fondo a garanzia dei sottoscrittori – n. 2-01776)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Marchi ed altri n. 2-01776 (Vedi l'allegato A).

Chiedo al deputato Gandolfi se intenda illustrare l'interpellanza di cui è cofirmatario o se si riservi di intervenire in sede di replica. Prego, onorevole.

PAOLO GANDOLFI. Grazie Presidente, anche per la pronta iscrizione dell'interpellanza. Grazie, sottosegretario. L'interpellanza si rivolge ad un tema che è già stato trattato legislativamente nel nostro Paese, quindi ha già un quadro di riferimento, che, però, in questa fase, sta evidentemente dimostrando alcune lacune, per questo abbiamo chiesto con urgenza di poterlo trattare in quest'Aula. Il tema è quello del ruolo e della funzione, sia dal punto di vista sociale che dal punto di vista economico, delle imprese cooperative ed in particolare, nello specifico, per il caso che vogliamo trattare e che ha generato le ragioni di quest'urgenza, per il settore delle cooperative di costruzioni.

Il sistema cooperativo, indubbiamente in alcune parti d'Italia più che altrove, ma sicuramente ha generato un valore economico molto ampio, riuscendo però, al contempo, a garantire ai territori in cui questo si è insediato una grossissima capacità, da un lato, di redistribuzione del reddito su ampie fasce della popolazione, quindi garantendo un'emancipazione economica e sociale di interi territori e non di singole persone, e, dall'altro, è stato anche lo strumento stesso di emancipazione del ruolo e della funzione dei lavoratori e della loro possibilità di entrare nel mondo del lavoro in maniera dignitosa. Questa è stata la sua funzione originale, questi sono stati l'attività e i benefici che questo sistema economico ha prodotto soprattutto nel territorio da cui provengo, in particolare dalla provincia di Reggio Emilia.

La recente crisi economica, come sa, sottosegretario, ha colpito direttamente in maniera inequivocabile e molto dura il settore delle costruzioni, settore che evidentemente aveva una dimensione forse più ampia del necessario all'inizio della crisi e che è stato ridimensionato. Alcune grandi cooperative di costruzioni - pur avendo in alcuni casi, in altri forse no, previsto alcuni strumenti per tutelarsi di fronte al progredire e, soprattutto, al perdurare di questa crisi - si sono poi trovate, in realtà, nella difficoltà. Forse questo glielo sottolineo, sottosegretario, anche in ragione della peculiare forma di impresa della cooperativa, che è una forma di impresa che, evidentemente, in momenti espansivi ha una grossa capacità di garantire il reinvestimento dei redditi prodotti e, quindi, di essere espansiva al tempo stesso, ed evidentemente, in momenti di difficoltà, in momenti di ristrettezza e in momenti di ripiegamento dell'economia, ha forse qualche difficoltà in più di altre imprese a garantire, invece, strumenti di riorganizzazione e di ridimensionamento proprio per la sua natura collettiva, per quanto poi questa natura collettiva in parte sia stata snaturata, però questo rimane. Ed evidentemente questa difficoltà ha portato le cooperative di costruzioni a fallire, che nel nostro territorio sono state nell'ordine quattro: Orion, CMR, Coopsette e, per ultima, Unieco. Questi fallimenti hanno prodotto un problema di natura occupazionale, di cui chiediamo di occuparsi in termini proprio molto concreti nelle funzioni e nei ruoli che il Governo ha. Al tempo stesso, lo abbiamo chiesto anche - non noi personalmente, ma certamente altri - anche alla regione Emilia Romagna, che ha competenze specifiche sul lavoro, ma riteniamo che il tema occupazionale sia un tema fondamentale e su cui, quindi, porre l'attenzione per azioni future.

Però esiste un altro problema, che riguarda, sì, queste specifiche cooperative, cioè questi soggetti che sono oggetto di fallimento, ma che riguarda più in generale quel sistema. Il sistema cooperativo è un sistema che ha anche una funzione di raccolta e tutela del risparmio, garantendo la possibilità per questo risparmio di essere sostanzialmente una forma di risparmio che non entra nel sistema dell'investimento, quindi che rimane una forma di risparmio molto simile - o, quanto meno, con caratteristiche simili, perché sono oggettivamente due cose diverse - al risparmio normale che le famiglie possono scegliere di fare presso le banche. Così come avviene nel resto del mondo, quindi, il risparmio in sede cooperativa ha una sua caratteristica di essere la forma attraverso cui le famiglie, in qualche maniera, si garantiscono il mantenimento dei propri piccoli capitali.

Da questo punto di vista, in realtà, nel nostro Paese non esistono forme di tutela specifiche di questa forma di risparmio e questa interpellanza nasce proprio dal fatto che, siccome di recente abbiamo assunto, a nostro giudizio ovviamente, in maniera molto positiva e corretta strumenti di tutela del risparmio bancario, non si debba pensare - e per questo chiediamo provvedimenti rapidi - forme di tutela anche del risparmio cooperativo. Nello specifico, l'ipotesi è sia quella di mettere in piedi un sistema che, da un lato, garantisca controllo e verifica delle reali finalità e della gestione delle cooperative, e quindi che ci aiuti anche a mantenere le cooperative dentro il solco per cui sono nate, cioè di forma collettiva di impresa e non mera impresa capitalistica; quindi, diciamo un primo punto è fondamentale. Un secondo punto, però, è quello di costituire un fondo intercooperativo, quindi che possa essere sostenuto dalle cooperative stesse e che possa tutelare i risparmi nelle cooperative secondo i tetti previsti per i quantitativi ammessi nei vari risparmi, che stimiamo non essere mai superiori ai 70 mila euro, ma che possono anche essere diversi a seconda dei casi. Quindi, diciamo, al pari di come provvediamo a garantire agli italiani una stabilità economica per quanto riguarda i loro risparmi in altri settori, pensiamo che sia possibile, anzi doveroso, anzi necessario, produrre qualcosa di simile anche in questo settore, anche perché non sono in gioco solo le cooperative di costruzioni, che sono veicoli di risparmio perché esiste in quel caso il risparmio sociale (nel mondo sono tra i sistemi più ampi di raccolta e gestione del risparmio dei cittadini), ma esistono altre forme di cooperazione, quale la cooperazione di consumo e altre forme, che hanno pure una grossa capacità di raccolta e che, quindi, vanno, in una qualche maniera, messe a tutela, pensando che questa nostra azione sia sempre solo ed esclusivamente rivolta all'interesse dei cittadini e all'interesse del risparmio delle famiglie.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'Economia e le finanze, Pier Paolo Baretta, ha facoltà di rispondere. Prego, sottosegretario.

PIER PAOLO BARETTA, Sottosegretario di Stato per l'Economia e le finanze. Grazie, Presidente. Preliminarmente conviene ricordare che il complesso tema proposto dagli onorevoli interpellanti è già emerso nell'esercizio dell'attività di vigilanza sul settore ed in particolare nei confronti di grandi realtà cooperative, quali quelle appartenenti alla categoria di consumo. In tali casi si è ravveduta la necessità di garantire una maggiore trasparenza nella gestione societaria e già con decreto ministeriale del 18 settembre 2014 sono state varate misure atte a rafforzare il coinvolgimento dei soci nei processi decisionali da cooperativa e garantire una maggiore trasparenza delle gestioni mutualistiche, tra le quali appunto la raccolta del prestito sociale attraverso una maggiore informazione ai soci stessi in ordine alle attività sociali.

È da sottolineare, infatti, che il prestito sociale, considerato spesso dei soci come una forma di investimento, costituisce per la cooperativa un sistema di finanziamento endosocietario, non equiparabile all'esercizio dell'attività bancaria e del quale il socio potrebbe non percepire appieno i rischi che si assume con il conferimento di denaro. Si ritiene, pertanto, di fondamentale importanza che il socio acquisisca la consapevolezza che, da un lato, con l'adesione al prestito sociale finanzia l'attività di impresa della cooperativa di cui fa parte e si assuma il relativo rischio, e, dall'altro, che l'unica garanzia per le somme conferite è rappresentata dal patrimonio della società. Ciò in quanto, allo stato attuale, non sono applicabili al prestito sociale le tutele tipiche del sistema bancario anche in termini di vigilanza.

Ed è proprio alla luce di queste considerazioni che la Banca d'Italia è intervenuta sulla questione, operando una revisione della regolamentazione in essere, che è stata definita di recente con l'emanazione di un provvedimento recante “Disposizioni per la raccolta del risparmio dei soggetti diversi dalle banche” dell'8 novembre 2016, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 271 del 19 novembre 2016 e richiamato nell'interpellanza. Lo scopo della rivista regolamentazione è stato “il rafforzamento dei presidi normativi, patrimoniali e di trasparenza a tutela dei risparmiatori che prestano fondi a soggetti diversi dalle banche, specialmente con riferimento a forme di raccolta che coinvolgono un pubblico numeroso e prevalentemente composto da consumatori”.

In tale ambito, con riferimento alla raccolta del risparmio presso i soci effettuato da società cooperative, la Banca d'Italia, accogliendo anche alcune proposte provenienti dai soggetti che hanno partecipato alla consultazione pubblica sullo schema di provvedimento, ha dettato disposizioni in materia di schemi di garanzia dei prestiti sociali, che devono essere promossi dalle associazioni di categoria o direttamente dalle cooperative allo scopo di aumentarne la credibilità, l'efficacia, la completezza della copertura e la tempestiva attivazione nel caso di bisogno.

Nel provvedimento, che sostituisce integralmente le precedenti disposizioni della Banca d'Italia, entrato in vigore il 1° gennaio 2017, si è inteso: ribadire e rendere più chiaro il divieto per le società cooperative di effettuare raccolta a vista e di pubblicizzare come tale il prestito sociale; ridefinire l'aggregato patrimoniale di riferimento per il calcolo dei limiti alla raccolta presso soci, adottando un approccio consolidato per evitare aggiramenti attraverso operazioni intragruppo; rafforzare le caratteristiche contrattuali e finanziarie delle garanzie esterne prestate da intermediari vigilati o da appositi schemi di garanzia, richieste dalla normativa, affinché la raccolta della società cooperativa possa superare il limite di tre volte il patrimonio fino a un massimo di cinque; introdurre obblighi di informativa al pubblico sulle caratteristiche e sulla rischiosità della raccolta effettuata sotto forma di prestito sociale.

Sono state altresì segnalate alla Banca d'Italia ulteriori proposte di riforma emerse nella medesima sede di consultazione, riferite, in particolare: ad una complessiva revisione della normativa del prestito sociale, volta, tra l'altro, a ricondurre la disciplina delle grandi cooperative a quella delle altre società; a finalizzare la raccolta tra soci all'attività mutualistica; ad imporre vincoli di durata minima per tale forma di raccolta; a separare l'attività finanziaria dall'attività non finanziaria svolte da una cooperativa.

Si fa presente inoltre che, nel novembre 2016, la Camera ha approvato il dispositivo riformulato della mozione Ciprini ed altri, con il parere favorevole del Governo, finalizzato, tra l'altro, ad adottare iniziative normative per le cooperative che fanno ricorso al prestito sociale, prevedendo controlli adeguati e la fissazione di stringenti parametri di liquidità, di solidità finanziaria, di trasparenza, di informazione e di pubblicità dei bilanci e degli investimenti da parte delle cooperative a favore del socio aderente.

Per quanto concerne l'attività di vigilanza, il Ministero dello sviluppo economico verifica, nel rispetto del principio della non sovrapposizione dei controlli, il rispetto delle modalità e dei limiti della raccolta del prestito dai soci; vigila sulla salvaguardia della funzione sociale dell'istituto, quindi, per la tutela del risparmio dei soci.

I revisori, nello specifico, hanno il compito di controllare e relazionare in merito al rispetto di alcuni imprescindibili obblighi, quali il rispetto della previsione statutaria, la raccolta del prestito solo con i soci e che tale raccolta sia finalizzata esclusivamente per il conseguimento dell'oggetto sociale; l'adozione di un regolamento interno che regoli la raccolta del prestito approvato dall'assemblea dei soci; la sottoscrizione di un contratto in forma scritta; il rispetto dei limiti massimi del deposito complessivo da parte di ciascun socio e del limite massimo del tasso di interesse da corrispondere. In presenza di criticità, i revisori invitano l'ente a regolarizzare la posizione e provvedono, eventualmente, tramite gli uffici del Ministero dello sviluppo economico, ad inviare una segnalazione alle altre amministrazioni in considerazione di tutti i possibili risvolti istituzionali ed operativi.

In conclusione, per quanto sopra esposto, si ritiene che siano molteplici gli spunti di interesse che offrono sia il recente provvedimento della Banca d'Italia sia le riportate ulteriori proposte di riforma avanzate in sede di consultazione e che sono meritevoli di adeguati approfondimenti. Confermo in tal senso la disponibilità e l'interesse del Governo ai temi descritti, privilegiando a tal fine l'accoglimento di proposte di autoregolamentazione che provengano, in primis, dal sistema cooperativo.

PRESIDENTE. Il deputato Marchi ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

MAINO MARCHI. Grazie, Presidente. Ringrazio il Governo ed esprimo un apprezzamento per le valutazioni del Governo sul ruolo della cooperazione e anche sul lavoro fatto relativamente al prestito sociale. Credo sia importante ribadire questo ruolo, nonostante le difficoltà delle imprese cooperative e, in particolare, della produzione lavoro, che sono state coinvolte dalla crisi dell'edilizia, dalla crisi del settore immobiliare, che hanno avuto problemi di risposte strategiche alle caratteristiche della crisi e che hanno portato, quindi, a conseguenze negative. Resta, però, il valore ideale della cooperazione, resta la validità di avere più modelli di impresa, come è sancito dalla Costituzione, e di una partecipazione diretta o dei soci lavoratori o dei soci conferitori o dei soci consumatori. Complessivamente, va anche detto che c'è una crescita della cooperazione del nostro Paese: pensiamo, ad esempio, a tutto il settore del welfare. Occorre, però, fare una riflessione sul modello cooperativo, ma dobbiamo farla per rilanciarlo e rinnovarlo, non certo per affossarlo. È importante anche occuparsi delle prospettive di lavoro per le imprese cooperative che sono fallite: c'è un ruolo in questo senso del sistema cooperativo in primo luogo, c'è un ruolo, ovviamente, delle istituzioni per quanto riguarda, appunto, questa materia.

Per venire al prestito sociale, io credo che faccia parte del valore del modello cooperativo e dobbiamo, credo, ragionare su cosa è per i soci, per il singolo socio più nella sostanza che nella forma. Più che un investimento è visto dal singolo socio come una forma di risparmio e di tutela del proprio risparmio insieme ad un aiuto concreto all'impresa cooperativa di cui è socio o è stato socio durante la sua vita lavorativa. Questo nel senso comune. Non è, certamente, formalmente credito, ma con il senso comune dei cittadini la politica e le istituzioni devono fare i conti, altrimenti rischiamo che si parlino linguaggi diversi e non ci si capisca più. D'altra parte, non si capirebbe altrimenti perché la Banca d'Italia si sia occupata di questa questione, se non siamo comunque dentro un ambito che è di forma di risparmio.

Credo che bisogna comprendere il dramma di chi rischia di perdere buona parte dei propri risparmi, se non tutti, e in diversi casi questo avviene insieme alla perdita del posto di lavoro. Per cui è necessario che le istituzioni si pongano il tema di intervenire: per la valenza sociale della questione, credo che non possiamo permetterci il lusso di stare a guardare e allargare le braccia.

Quindi, bene che il lavoro che sta facendo il Governo vada avanti, che, in modo particolare, sta facendo il Ministero dell'economia e della finanza in rapporto con il mondo della cooperazione: ne aveva riferito in questo senso, già alcuni mesi fa, il Viceministro Morando in un convegno tenutosi proprio a Reggio Emilia. Bene le iniziative della Banca d'Italia, l'idea di organismi di vigilanza, di norme molto più approfondite su questo aspetto: occorre, credo, accelerare, su questo terreno, il lavoro che ancora resta da fare. Però, si è dimostrato, in sostanza, che il decreto ministeriale del 2014 non è sufficiente e riteniamo, per quello che sta avvenendo, che forse, molto probabilmente, non lo sono nemmeno del tutto le norme della Banca d'Italia. Ad esempio, la questione relativa a tre volte il patrimonio non ci tutela sul fatto che, poi, possano avvenire fallimenti che rischiano di far perdere completamente il prestito sociale, perché a quel livello difficilmente ci si arriva.

Sono, comunque, strumenti che possono agevolare interventi preventivi, evidenziazioni di realtà che possono portare anche a fallimenti delle imprese ben prima che questi avvengano; in sostanza, un controllo più efficace sui bilanci e sulle attività delle cooperative che mettono prestito sociale sulle condizioni del prestito - questo è certamente un aspetto positivo - e organi di vigilanza a cui i soci risparmiatori possono rivolgersi.

Però, noi pensiamo che questo non sia sufficiente: possono sempre verificarsi situazioni come quelle che hanno caratterizzato, negli ultimi anni, diverse cooperative di Reggio Emilia, che abbiamo ricordato. In quei casi, il problema è come si tutelano i risparmiatori: può essere con la solidarietà volontaria delle altre imprese cooperative. In passato, questa è stata una buona medicina, ha affrontato, se non totalmente, in buona parte il problema. Ora non lo è più, perché si sono ristrette le forze di chi è chiamato alla solidarietà e di chi l'ha fatta in passato - che adesso sono stati coinvolti anche direttamente da questi fallimenti - e perché non sempre questa volontà c'è.

Quindi, occorre un'altra medicina, preventiva e automatica. Noi pensiamo che chi utilizza il prestito sociale debba, per legge - pensiamo ci voglia un'azione normativa, probabilmente non bastano solo gli atti unilaterali, nemmeno da parte del mondo cooperativo, quindi in questo senso c'è un ruolo della politica e delle istituzioni -, destinare una parte di questo prestito per un fondo che possa garantire e tutelare automaticamente i soci risparmiatori in caso di problemi come quelli che si sono manifestati. Un fondo obbligatorio, non su base volontaria, con modalità che prendano a riferimento le regole del settore del credito. Quindi, invitiamo il Governo a valutare questo aspetto, questa ipotesi, di fronte a quello che è successo, e a fare in modo che non succeda in futuro. Ma oltre a questo, riteniamo che occorra pensare non solo al futuro ma anche al presente, vista la realtà che abbiamo di fronte. A quelle persone che oggi vivono un dramma, occorre in poco tempo dare delle risposte; è compito in primo luogo, certamente, del mondo cooperativo stesso, anche a sua tutela, perché i rischi che poi ci siano fughe dal prestito sociale, se si verificano situazioni in cui chi lo fa concretamente perde buona parte di questo risparmio, sono rischi evidenti.

Pensiamo, però, che tutto questo debba essere sorretto anche da un'azione politica delle istituzioni. Quindi, un fondo per il futuro, ma con un intervento a partire dalle realtà presenti. In questo senso, manifesto questa opinione. Siamo parzialmente soddisfatti della risposta, nel senso che ha evidenziato il lavoro fin qui intrapreso, i rapporti col mondo della cooperazione, la volontà di regole più efficaci su questo tema - e su questo certamente, per quello che rimane ancora da fare, bisogna operare con la massima celerità possibile -, ma invitiamo anche a prendere in considerazione un intervento più forte, dal punto di vista normativo, che permetta davvero di mettere in condizioni di sicurezza chi fa il prestito sociale. Comprendiamo che, per certi versi, è un investimento, ma, ripeto, con il senso comune dei cittadini e con il ruolo che di fatto poi il prestito sociale ha avuto in questi anni, credo che tutti siamo chiamati a fare i conti, a misurarci e a trovare delle risposte innovative rispetto al passato, perché la situazione si è recentemente modificata in termini negativi, e pensiamo che occorra trovare nuove risposte a questo problema.

(Chiarimenti in ordine al procedimento di rivalsa verso le amministrazioni responsabili di violazioni sanzionate dalla Corte di giustizia dell'Unione europea – n. 2-01779)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Mannino ed altri n. 2-01779 (Vedi l'allegato A). Chiedo alla deputata Mannino se intenda illustrare la sua interpellanza.

CLAUDIA MANNINO. Sì, Presidente. Allora, la condanna dell'Europa nei confronti del Paese Italia sulle discariche abusive è una faccenda che seguiamo puntualmente da più di tre anni. Credo che la vicenda sia nota, però negli ultimi tempi sta veramente acquisendo, dal mio punto di vista, dei risvolti molto preoccupanti. Tutto inizia, sappiamo bene, nel 2007, quando la Corte di giustizia dell'Unione Europea invita il nostro Paese a mettere a norma tutta una serie di discariche - circa 200, presenti su tutto il territorio nazionale, diciotto regioni su venti - che non erano a norma nella loro gestione o nella loro composizione. Il 2 dicembre 2014 arriva quindi la sentenza definitiva, che condanna il nostro Paese a pagare una somma forfettaria di 40 milioni per questo non rispetto di alcuni articoli delle direttive europee. Ma come se ciò non bastasse, essendo che, dal 2007 al 2014, il nostro Paese non ha operato in maniera tempestiva di fronte ai continui solleciti da parte dell'Unione europea, l'Unione ha anche valutato la necessità di dover sanzionare il nostro Paese semestralmente, fino a quando appunto le discariche non fossero state bonificate o messe in sicurezza. In particolare, la sanzione viene calcolata con 400 mila euro ogni sei mesi per le discariche che presentano rifiuti pericolosi, e di 200.000 euro ogni sei mesi per le discariche che presentano rifiuti non pericolosi.

Bene, alla luce di questa sentenza, ad oggi abbiamo pagato ben 141 milioni di euro. Nello specifico, abbiamo pagato oltre 40 milioni di sanzione forfettaria dal dicembre 2014, e abbiamo aggiunto altri 39,8 milioni a luglio del 2015, con il primo semestre; altri 33,4 milioni a dicembre del 2015; altri 27,8 milioni a luglio del 2015, per una somma, quindi, di 141 milioni; e ancora, anche se siamo arrivati a maggio 2017, non abbiamo notizie, né dal sito del Ministero che è stato appositamente costituito, né da parte degli organi europei, della quarta rata, quella di dicembre 2016, la cui somma ancora non ci è nota.

Ma a parte questo, il nostro Paese cosa ha fatto? Nella legge di stabilità del 2016 ha previsto, da una parte, l'erogazione dei fondi per pagare queste sanzioni dell'Unione europea, in particolare ha previsto 50 milioni per il 2016 e 100 milioni per ogni anno dal 2017 al 2020, ma seguendo il trend delle sanzioni semestrali, ovviamente queste quote non sono assolutamente sufficienti. Inoltre, avvalendosi anche di un articolo del regolamento dell'Unione, ha avviato il procedimento di rivalsa nei confronti degli enti inadempienti, in particolare gli amministratori di quei territori dove si trovano le discariche abusive. Qual è l'aggiornamento a fronte di tutto questo? L'aggiornamento è che il TAR del Lazio, pochi giorni fa, ha accolto i ricorsi di alcuni territori in cui si trovano queste discariche abusive, nello specifico il ricorso della regione Friuli-Venezia Giulia e dei comuni di Leonforte, Paternò, Siculiana, Racalmuto e La Spezia, che si erano opposti al principio di rivalsa avviato con la legge di stabilità dal Governo e hanno, quindi, interrotto questo recupero da parte dello Stato nei confronti degli enti locali. Perché? Perché, come dice la norma, il criterio di rivalsa non si può applicare in maniera indiscriminata su un ente locale, che poi lo distribuisce o, anche per mancati trasferimenti, taglia quindi i servizi al territorio, ma lo Stato centrale deve individuare in quei territori quei soggetti che protempore sono stati inadempienti in tutta questa fase del procedimento. Questa interpellanza vuole essenzialmente chiedere al Governo, vista la legge di stabilità del 2016, a che punto è, e come si sta muovendo il Governo in termini di rivalsa nei confronti dei territori, e se ha agito anche con mancati trasferimenti o con tagli puntuali su quei territori, quindi come intende attivarsi.

PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'Economia e le finanze, Pier Paolo Baretta, ha facoltà di rispondere.

PIER PAOLO BARETTA, Sottosegretario di Stato per l'Economia e le finanze. Presidente, al riguardo si comunica che il caso in parola riguarda la mancata esecuzione della prima sentenza di condanna del 26 aprile 2007, la violazione della direttiva rifiuti n. 75/442/CEE, modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE, della direttiva n. 91/689/CEE e della direttiva n. 1999/13/CE, in riferimento a 200 discariche presenti nel territorio in diciotto regioni italiane. Il 2 dicembre 2014, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha condannato l'Italia al pagamento, per le suddette violazioni, di una sanzione forfettaria di circa 40 milioni di euro, e di una penalità semestrale di oltre 42 milioni di euro da pagarsi sino all'esecuzione completa della sentenza. Nella sentenza era, inoltre, indicato il criterio che permette di detrarre, per ogni semestre successivo alla sentenza, 400.000 euro per la messa a norma di ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi e 200.000 euro per la messa a norma di ciascuna altra discarica contenente rifiuti non pericolosi.

Ad oggi con una notifica dell'ingiunzione di pagamento della quarta penalità semestrale con la decisione della Commissione europea n. D/6030 del 18 aprile 2017 sono state messe in regola 98 discariche per una detrazione complessiva di 21,2 milioni di euro. Come riportato dagli onorevoli interroganti, il Ministero dell'economia e delle finanze si è attivato nel mese di aprile 2016, intraprendendo la procedura per il reintegro delle somme anticipate per il pagamento della sanzione forfettaria - è la prima sanzione semestrale dovuta in esecuzione della medesima sentenza della Corte di giustizia - individuando, nei provvedimenti di rivalsa, i singoli comuni territorialmente competenti in relazione alle discariche situate nella regione interessata con quantificazione della responsabilità patrimoniale ascrivibile a ciascun singolo comune. I provvedimenti di rivalsa sono stati notificati, oltre che alla regione debitrice, anche a tali comuni onde consentire alla regione di disporre di un titolo che successivamente possa agevolare l'esercizio dell'eventuale azione di rivalsa. Circa la ripartizione degli oneri con detti provvedimenti il dipartimento della Ragioneria generale dello Stato ha adottato come modalità di suddivisione degli oneri l'unico criterio desumibile dalla sentenza di condanna stessa per il calcolo delle penalità sia forfettaria che semestrale che distingue tra la somma di 400.000 euro per la non conformità di ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi e la somma di 200.000 euro per la non conformità di ciascun altra discarica contenente rifiuti non pericolosi. Si osserva in effetti che la sentenza della Corte di giustizia non individua una differenziazione in ragione al diverso grado di inadempimento, ovvero dello stato di attuazione degli interventi utili ad adeguarsi alla statuizione giudiziale.

I termini della procedura, quindi, per i motivi sopra esposti, sono stati oggetto di sospensione sancita nella seduta della Conferenza unificata del 26 maggio 2016, accogliendo la proposta di aprire un tavolo di confronto al fine di individuare possibili soluzioni condivise. A seguito di quanto stabilito nella seduta della Conferenza unificata, gli stessi tavoli sono stati riavviati a decorrere dal 1° gennaio 2017. Nel contenzioso amministrativo citato dall'onorevole interrogante tuttora pendente, promosso dalla regione Friuli-Venezia Giulia e dai comuni di Leonforte, Paternò, Siculiana, Racalmuto e La Spezia avverso tali provvedimenti di rivalsa, il tribunale amministrativo del Lazio nelle recenti sentenze pronunciate in primo grado ha accolto in parte le argomentazioni mosse dagli enti locali ricorrenti. Tali censure sono fondate su una interpretazione astratta della norma che rimanda allo svolgimento di una fase propedeutica a quella dell'esercizio dell'azione di rivalsa, vale a dire all'individuazione delle relative responsabilità per il mancato esercizio del potere di provvedere da parte degli enti responsabili dell'attuazione degli interventi di messa a norma delle discariche abusive che sono oggetto della sentenza. Inoltre, il giudice di primo grado osserva che tali responsabilità possono sussistere sia in capo allo Stato sia in capo alle regioni sia in capo agli enti locali. Si comunica, infine, che sono in corso di adozione le misure opportune per conformarsi a quanto stabilito dal TAR del Lazio con la necessaria collaborazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.

PRESIDENTE. La deputata Mannino ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

CLAUDIA MANNINO. Grazie, Presidente. Sinceramente, oltre a ripetere o puntualizzare di nuovo tutto quello che è già oggetto del testo dell'interpellanza stessa, sinceramente non posso ritenermi soddisfatta per molti motivi veramente. Primo, all'indomani della condanna del 2 dicembre 2014, la cosa più logica che mi è sembrato opportuno fare è stata quella di depositare presso la Corte dei conti della regione Lazio un esposto per danno erariale nei confronti di tutti i soggetti che, ai vari livelli, dal 2007 alla condanna del 2014, sono risultati inadempienti, quindi a partire dal Primo Ministro, a partire dal Ministro dell'ambiente a seguire con i presidenti delle regioni, gli assessori regionali, gli assessori comunali e sindaci dei comuni in cui si trovano le discariche.

Su questo percorso si sta muovendo - devo dire anche in maniera di cui sono contenta - la Corte dei conti della regione Campania, che sta facendo praticamente lo stesso percorso: sta individuando proprio i soggetti che, puntualmente, sono stati inadempienti sulla questione dei rifiuti in Campania. Faccio questo collegamento perché, in questo Paese, in Italia, parliamo sempre di procedure di infrazione ma non diciamo quasi mai quelle che poi vanno a compimento e il nostro Paese, oltre ai 141 milioni sulle discariche abusive, che aggiorno con gli ulteriori 21 milioni per la semestralità di dicembre 2016 e a cui a breve aggiungeremo evidentemente quella di agosto-settembre 2017, raggiunge quindi per le discariche abusive la quota di 162 milioni.

Abbiamo anche un'altra situazione pendente che è giornalmente in evoluzione, i rifiuti in Campania, per il quale paghiamo da 683 giorni circa 120.000 euro al giorno per un totale di 82 milioni. Paghiamo ancora ogni sei mesi la sentenza su Venezia e Chioggia, su cui siamo arrivati a 42 milioni di euro, e queste sono situazioni tutte in evoluzione e abbiamo già pagato e concluso la vertenza di 60 milioni di euro per i contratti di formazione e lavoro su cui siamo stati condannati. Quindi, non mi ritengo soddisfatta essenzialmente per lo stesso motivo che ha affermato la Corte di giustizia dell'Unione europea cioè l'eccessiva lentezza con cui si procede a bonificare e a mettere in sicurezza le discariche. Siamo ancora a quota 98 e quindi abbiamo a malapena superato il 50 per cento delle discariche e a questo ritmo nel 2020 saremo per davvero ancora qui a pagare le sanzioni. Di recente - non capisco sinceramente perché il Governo non lo abbia citato - mi risulta che sia stato anche nominato un commissario per le discariche abusive. Quindi mi aspettavo nella risposta del Governo anche l'attività che questo Commissario ha messo in azione sulle discariche o se sta avendo delle difficoltà, ad esempio se è dotato di una struttura adeguata che lo supporti per l'attività che deve svolgere. Mi stupisco anche che il Governo in qualche modo, in questo fantomatico tavolo tecnico con le regioni e gli enti locali, non coinvolga anche la Corte dei conti, anche a seguito non solo del mio esposto, come prima firmataria alla Corte dei conti della regione Lazio, ma anche di quello di diversi colleghi, i quali hanno presentato analoghi esposti nelle varie sezioni regionali della Corte dei conti. Poi c'è l'annosa situazione che alcune di queste discariche abusive si trovano in alcuni siti di interesse nazionale, quindi anche in questo caso la competenza non è tanto degli enti locali o delle regioni ma proprio dello Stato. Quindi, sinceramente non mi reputo soddisfatta, ribadisco, sia per la lentezza con cui si sta procedendo perché si continuano a pagare sanzioni, oltre al danno ambientale ma non è il Ministero di riferimento in questa fase, sia perché non vedo all'orizzonte, anche in vista della manovrina e della prossima legge di bilancio, iniziative che possano in qualche modo accelerare questo iter.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

  Lunedì 8 maggio 2017, alle 16:

1.  Discussione sulle linee generali della proposta di legge:

S. 1349 – D'INIZIATIVA DEI SENATORI: MARCUCCI ed altri: Iniziative per preservare la memoria di Giacomo Matteotti e di Giuseppe Mazzini (Approvata dalla 7a Commissione permanente del Senato). (C. 3844-A)

Relatrice: Narduolo.

2.  Discussione sulle linee generali dei disegni di ratifica:

Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa contro il traffico di organi umani, fatta a Santiago de Compostela il 25 marzo 2015, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno. (C. 3918-A)

Relatori: Amoddio, per la II Commissione; Nicoletti, per la III Commissione.

S. 2186 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo fra il Governo della Repubblica italiana e il Governo dello Stato di Israele in materia di pubblica sicurezza, fatto a Roma il 2 dicembre 2013 (Approvato dal Senato). (C. 4225)

Relatore: Fedi.

La seduta termina alle 11,30.