All'esito di un lungo e complesso iter parlamentare, con la legge n. 110 del 2017 sono stati introdotti nell'ordinamento i reati di tortura e di istigazione alla tortura.
Numerosi atti internazionali affermano che nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti: tra gli altri, la Convenzione di Ginevra del 1949, relativa al trattamento dei prigionieri di guerra; la Convenzione europea dei diritti dell'uomo del 1950 (ratificata dalla L. 848/1955), la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici del 1966 (ratificato dalla L. 881/1977), la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 2000, la Convenzione ONU del 1984 contro la tortura ed altri trattamenti e pene crudeli, inumani e degradanti (la cd. CAT), ratificata dall'Italia con la legge n. 489/1988; lo Statuto di Roma, istitutivo della Corte penale internazionale del 1998 (L. 232/1999). La maggior parte di tali atti si limita a proibire la tortura ma non ne fornisce una specifica definizione.
Per un confronto tra questa definizione e quelle contenute nello Statuto della Corte penale internazionale nonché nella più datata Dichiarazione ONU del 1975, si rinvia al dossier n. 149 del Servizio Studi.
Nel corso dell'esame parlamentare della proposta di legge per l'inserimento nel codice penale del delitto di tortura (AC. 2168), la Commissione giustizia nel maggio 2014 ha svolto una indagine conoscitiva nel corso della quale ha sentito l'allora Capo della Polizia, dott. Alessandro Pansa, e numerosi rappresentanti dei sindacati della Polizia di Stato e della Polizia penitenziaria, rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati e dell'Unione delle camere penali, il dott. Alfredo Mantovano, giudice presso la Corte d'Appello di Roma, i professori di diritto penale Francesco Viganò e Tullio Padovani, il rappresentante del Consiglio europeo per la cooperazione nell'esecuzione penale del Consiglio d'Europa ed i rappresentanti delle associazioni Amnesty International Italia e Antigone.
Dopo un articolato iter parlamentare (cfr. Senato AS. 10 e abb.; Camera, AC. 2168), l'articolo 1 della legge n. 110 del 2017 ha introdotto nel codice penale - titolo XII (Delitti contro la persona), sez. III (Delitti contro la libertà morale) - i reati di tortura (art. 613-bis) e di istigazione alla tortura (art. 613-ter), connotando l'illecito in modo solo parzialmente coincidente con la Convenzione ONU del 198 che, in particolare, definisce la tortura come reato proprio del pubblico ufficiale.
L'articolo 613-bis c.p. punisce con la reclusione da 4 a 10 anni chiunque, con violenze o minacce gravi ovvero agendo con crudeltà cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza ovvero che si trovi in situazione di minorata difesa, se il fatto è commesso con più condotte ovvero comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.
Rispetto all'art. 1 della Convenzione ONU del 1984, che prevede una condotta a forma libera da parte dell'autore del reato, l'art. 613-bis prevede esplicitamente che la tortura si realizza mediante violenze o minacce gravi o crudeltà (ovvero con trattamento inumano e degradante).
La necessità della pluralità delle condotte (violenze o minacce) non sembra, quindi, consentire di contestare il reato di tortura in presenza di un solo atto di violenza o minaccia. Peraltro, dalla formulazione del testo si realizza il reato di tortura anche qualora si sia determinato un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona. In tale ultima ipotesi, per la contestazione del reato, si dovrebbe prescindere dalla pluralità delle condotte.
Sono poi previste dall'art. 613-bis fattispecie aggravate del reato di tortura:
La legge 110 introduce, poi, nel codice penale l'art. 613-ter con cui si punisce l'istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura. In particolare, è prevista la reclusione da sei mesi a tre anni per pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che, nell'esercizio delle funzioni o del servizio, istiga in modo concretamente idoneo altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l'istigazione non è accolta ovvero se l'istigazione è accolta ma il delitto non è commesso.
Viene introdotta dalla legge una disposizione procedurale che - novellando il codice di procedura penale - stabilisce l'inutilizzabilità, nel processo penale, delle dichiarazioni eventualmente ottenute per effetto di tortura. La norma fa eccezione a tale principio solo nel caso in cui tali dichiarazioni vengano utilizzate contro l'autore del fatto e solo al fine di provarne la responsabilità penale.
La riforma coordina con l'introduzione del resto di tortura l'art. 19 del testo unico immigrazione (d.lgs. 286/1998): sono così vietate le espulsioni, i respingimenti e le estradizioni ogni volta che sussistano fondati motivi di ritenere che, nei Paesi nei confronti dei quali queste misure amministrative dovrebbero produrre i loro effetti, la persona rischi di essere sottoposta a tortura. La disposizione - sostanzialmente aderente al contenuto dell'art. 3 della Convenzione ONU - precisa che tale valutazione tiene conto se nel Paese in questione vi siano violazioni "sistematiche e gravi" dei diritti umani.
L'articolo 4 della legge n. 110 del 2017 esclude il riconoscimento di ogni "forma di immunità" per gli stranieri che siano indagati o siano stati condannati per il delitto di tortura in altro Stato o da un tribunale internazionale (comma 1). L'immunità diplomatica riguarda in via principale i Capi di Stato o di governo stranieri quando si trovino in Italia nonché il personale diplomatico-consolare eventualmente da accreditare presso l'Italia da parte di uno Stato estero.
Viene poi previsto l'obbligo di estradizione verso lo Stato richiedente dello straniero indagato o condannato per il reato di tortura; nel caso di procedimento davanti ad un tribunale internazionale, lo straniero è estradato verso il Paese individuato in base alla normativa internazionale.
Si segnala che, in data 16 giugno 2017, alla vigilia dell'approvazione finale da parte della Camera, il Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, Nils Muiznieks, ha indirizzato ai Presidenti di entrambe le Camere, delle Commissioni Giustizia di ciascuna di esse e al senatore Manconi, quale Presidente della Commissione straordinaria per i diritti umani costituita presso il Senato, una nota con cui rappresenta talune preoccupazioni su alcuni aspetti del testo approvato dal Senato e ritrasmesso alla Camera, che, a suo avviso, sembrano in contrasto con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, con le raccomandazioni del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e con la Convenzione delle Nazioni Unite sulla tortura – UNCAT.
In particolare, le preoccupazioni manifestate dal Commissario si riferiscono al fatto che, per la configurabilità del reato di tortura, siano necessarie "più condotte di violenza o minacce gravi ovvero crudeltà"; che la tortura si configuri anche in presenza di trattamenti inumani e degradanti (laddove l'articolo 3 della Convenzione EDU prevede la disgiuntiva "trattamenti inumani o degradanti"); inoltre, quanto alla tortura di tipo psicologico, che essa cagioni un trauma verificabile sotto tale profilo. La nota del Commissario europeo sottolinea ancora che vi sono altri aspetti di divergenza della definizione contenuta nella proposta di legge rispetto a quella di cui all'art. 1 della Convenzione ONU sulla tortura e che ciò comporta il rischio che episodi di tortura o di pene e trattamenti inumani o degradanti restino non normati, dando luogo a casi di impunità. Inoltre la nota, considerato che il testo approvato dal Senato adotta una definizione ampia di tortura che ricomprende anche i comportamenti di privati cittadini, sottolinea l'importanza di garantire che questo non conduca a indebolire la tutela contro le torture inflitte per mano di pubblici ufficiali.
In conclusione, il Commissario rileva che le nuove disposizioni dovrebbero prevedere pene adeguate per i responsabili di atti di tortura o pene e trattamenti inumani o degradanti, avendo quindi un effetto deterrente e dovrebbero garantire che la punibilità per questo reato non sia soggetta a prescrizione, né sia possibile emanare in questi casi misure di clemenza, amnistia, indulto o sospensione della sentenza.