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Il dibattito sulla stepchild adoption
informazioni aggiornate a giovedì, 1 febbraio 2018

Nel corso dell'esame parlamentare di quella che sarebbe poi divenuta la legge n. 76 del 2016 sulle unioni civili, il Senato ha stralciato dal provvedimento una disposizione volta a consentire, nell'ambito dell'unione civile, la c.d. stepchild adoption, ovvero l'adozione del figlio da parte del partner (unito civilmente o sposato) del genitore naturale.

Si tratta di una forma di adozione "mite", che mira a tutelare il diritto del minore ad avere una famiglia in situazioni in cui la legge non avrebbero consentito di giungere all'adozione piena ma nelle quali, tuttavia, rappresentava una soluzione auspicabile. La stepchild viene, quindi, generalmente utilizzata quando due adulti formano una nuova famiglia e uno di loro, o entrambi, hanno un figlio avuto da una precedente relazione. Generalmente queste famiglie (cd. famiglie ricostituite) sono la conseguenza di divorzi, separazioni, famiglie mononucleari o della morte di un coniuge, oppure famiglie omogenitoriali, dove il figlio nasce all'interno della coppia gay o lesbica grazie alla maternità surrogata o all'inseminazione eterologa.

L'istituto è finalizzato, da un lato, a consolidare i legami familiari in una famiglia ricostituita, dall'altro, a tutelare l'interesse del minore a veder garantita l'instaurazione di un rapporto giuridico analogo a quello genitoriale con un soggetto al quale non è legato biologicamente, ma che è determinato ad assumere nei suoi riguardi un ruolo genitoriale e per far inoltre continuare il legame affettivo nei confronti di entrambi i genitori.

In Italia, l'adozione in casi particolari è disciplinata dall'art. 44 della legge n. 184 del 1983, che permette l'adozione del figlio del coniuge, purché vi sia il consenso del genitore biologico e a condizione che l'adozione corrisponda all'interesse del figlio. Il procedimento di adozione non è automatico e si propone avanti il Tribunale per i minorenni che effettua un'indagine sull'idoneità affettiva, la capacità educativa, la situazione personale ed economica, la salute e l'ambiente familiare dell'adottante.

Sino al 2007, l'adozione in casi particolari era ammessa solo per le coppie sposate: successivamente si sono giovate dell'istituto anche conviventi eterosessuali (sentenze dei Tribunali per i minorenni di Milano prima e Firenze) avendo la giurisprudenza ritenuto  che fosse interesse del minore che al rapporto affettivo di fatto corrispondesse anche un rapporto giuridico, consistente in diritti e doveri.

Il primo riconoscimento di fatto di una adozione  in una coppia omosessuale risale al 2014, quando il tribunale dei minori di Roma ha permesso a una donna di adottare la figlia naturale della compagna. Le donne si erano sposate in Spagna e sempre all'estero erano ricorse alla procreazione eterologa assistita per avere un figlio. Il tribunale si basò sull'articolo 44 riconoscendo il «superiore e preminente interesse del minore a mantenere anche formalmente con l'adulto, in questo caso la madre sociale, quel rapporto affettivo e di convivenza già positivamente consolidatosi nel tempo».

Poche settimane dopo l'entrata in vigore della legge sulle unioni civili, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del procuratore generale e ha confermato la sentenza della Corte d'Appello di Roma, con la quale era stata già confermata la sopra menzionata domanda di adozione della minore al Tribunale dei minorenni di Roma. Con la sentenza n. 12962 del 2016, i giudici della Suprema Corte hanno definitivamente confermato questa adozione, affermando che «non determina in astratto un conflitto di interessi tra il genitore biologico e il minore adottando, ma richiede che l'eventuale conflitto sia accertato in concreto dal giudice». Secondo la Cassazione, inoltre, questa adozione «prescinde da un preesistente stato di abbandono del minore e può essere ammessa sempreché, alla luce di una rigorosa indagine di fatto svolta dal giudice, realizzi effettivamente il preminente interesse del minore». Altre tre decisioni, del tribunale dei minori di Bologna hanno ammesso, nel corso del 2017, analoghe forme di adozione di minori nell'ambito di coppie omosessuali (una, del 6 luglio 2017 riguardava una coppia formata da due uomini).

In mancanza di una legge va, tuttavia, segnalato come la giurisprudenza, pur non contestando più l'applicazione a coppie omosessuali dell'art. 44 della legge sull'adozione, non sempre ha ammesso appieno la stepchild adoption.

Dopo che già, dopo la prima sentenza del tribunale dei minori di Roma del 2014, vi erano state decisioni di segno opposto (tribunale per i minorenni di Torino dell'11 settembre 2015 e di Milano del 17 ottobre 2016), più recentemente deve segnalarsi la sentenza 30 luglio 2017 del tribunale dei minori di Palermo. I giudici palermitani hanno infatti respinto la domanda di adozione avanzata dalla mamma non legalmente riconosciuta, sull'assunto che l'articolo 44 – in combinato disposto con gli artt. 48 e 50 legge sull'adozione – comporterebbe la decadenza automatica della madre genetica dalla responsabilità genitoriale. Nel caso di specie, i giudici palermitani non hanno negato che l'adozione ex art. 44 sarebbe stata ammissibile, tuttavia - nonostante la riforma del 2012 sulla filiazione e l'unicità dello status di figlio e l'attribuzione della responsabilità genitoriale congiunta prevista dal codice civile - hanno ritenuto che il genitore biologico avesse prestato un consenso all'adozione (regolarmente acquisito nel corso del procedimento) che risulterebbe viziato, in quanto dato nell'inconsapevolezza di causare così la perdita della propria qualità di genitore esercente la relativa responsabilità.

Per la sua singolarità, va infine segnalata una decisione del Tribunale di Venezia (31 maggio 2017) che, pur aderendo l'indirizzo della Suprema Corte e rilevando in concreto la completa affidabilità della coppia di mamme, ha ritenuto tuttavia di dover evidenziare nella succinta motivazione (in condivisibile ossequio al principio di concisione degli atti processuali) – che le stesse sono (e, si intende, dovranno essere) consapevoli della necessità che i figli si relazionino "con persone di orientamento non omosessuale". 

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Nel corso dell'esame parlamentare di quella che sarebbe poi divenuta la legge n. 76 del 2016 sulle unioni civili, il Senato ha stralciato dal provvedimento una disposizione volta a consentire, nell'ambito dell'unione civile, la c.d. stepchild adoption, ovvero l'adozione del figlio da parte del partner (unito civilmente o sposato) del genitore naturale.

Si tratta di una forma di adozione "mite", che mira a tutelare il diritto del minore ad avere una famiglia in situazioni in cui la legge non avrebbero consentito di giungere all'adozione piena ma nelle quali, tuttavia, rappresentava una soluzione auspicabile. La stepchild viene, quindi, generalmente utilizzata quando due adulti formano una nuova famiglia e uno di loro, o entrambi, hanno un figlio avuto da una precedente relazione. Generalmente queste famiglie (cd. famiglie ricostituite) sono la conseguenza di divorzi, separazioni, famiglie mononucleari o della morte di un coniuge, oppure famiglie omogenitoriali, dove il figlio nasce all'interno della coppia gay o lesbica grazie alla maternità surrogata o all'inseminazione eterologa.

L'istituto è finalizzato, da un lato, a consolidare i legami familiari in una famiglia ricostituita, dall'altro, a tutelare l'interesse del minore a veder garantita l'instaurazione di un rapporto giuridico analogo a quello genitoriale con un soggetto al quale non è legato biologicamente, ma che è determinato ad assumere nei suoi riguardi un ruolo genitoriale e per far inoltre continuare il legame affettivo nei confronti di entrambi i genitori.

In Italia, l'adozione in casi particolari è disciplinata dall'art. 44 della legge n. 184 del 1983, che permette l'adozione del figlio del coniuge, purché vi sia il consenso del genitore biologico e a condizione che l'adozione corrisponda all'interesse del figlio. Il procedimento di adozione non è automatico e si propone avanti il Tribunale per i minorenni che effettua un'indagine sull'idoneità affettiva, la capacità educativa, la situazione personale ed economica, la salute e l'ambiente familiare dell'adottante.

Sino al 2007, l'adozione in casi particolari era ammessa solo per le coppie sposate: successivamente si sono giovate dell'istituto anche conviventi eterosessuali (sentenze dei Tribunali per i minorenni di Milano prima e Firenze) avendo la giurisprudenza ritenuto  che fosse interesse del minore che al rapporto affettivo di fatto corrispondesse anche un rapporto giuridico, consistente in diritti e doveri.

Il primo riconoscimento di fatto di una adozione  in una coppia omosessuale risale al 2014, quando il tribunale dei minori di Roma ha permesso a una donna di adottare la figlia naturale della compagna. Le donne si erano sposate in Spagna e sempre all'estero erano ricorse alla procreazione eterologa assistita per avere un figlio. Il tribunale si basò sull'articolo 44 riconoscendo il «superiore e preminente interesse del minore a mantenere anche formalmente con l'adulto, in questo caso la madre sociale, quel rapporto affettivo e di convivenza già positivamente consolidatosi nel tempo».

Poche settimane dopo l'entrata in vigore della legge sulle unioni civili, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del procuratore generale e ha confermato la sentenza della Corte d'Appello di Roma, con la quale era stata già confermata la sopra menzionata domanda di adozione della minore al Tribunale dei minorenni di Roma. Con la sentenza n. 12962 del 2016, i giudici della Suprema Corte hanno definitivamente confermato questa adozione, affermando che «non determina in astratto un conflitto di interessi tra il genitore biologico e il minore adottando, ma richiede che l'eventuale conflitto sia accertato in concreto dal giudice». Secondo la Cassazione, inoltre, questa adozione «prescinde da un preesistente stato di abbandono del minore e può essere ammessa sempreché, alla luce di una rigorosa indagine di fatto svolta dal giudice, realizzi effettivamente il preminente interesse del minore». Altre tre decisioni, del tribunale dei minori di Bologna hanno ammesso, nel corso del 2017, analoghe forme di adozione di minori nell'ambito di coppie omosessuali (una, del 6 luglio 2017 riguardava una coppia formata da due uomini).

In mancanza di una legge va, tuttavia, segnalato come la giurisprudenza, pur non contestando più l'applicazione a coppie omosessuali dell'art. 44 della legge sull'adozione, non sempre ha ammesso appieno la stepchild adoption.

Dopo che già, dopo la prima sentenza del tribunale dei minori di Roma del 2014, vi erano state decisioni di segno opposto (tribunale per i minorenni di Torino dell'11 settembre 2015 e di Milano del 17 ottobre 2016), più recentemente deve segnalarsi la sentenza 30 luglio 2017 del tribunale dei minori di Palermo. I giudici palermitani hanno infatti respinto la domanda di adozione avanzata dalla mamma non legalmente riconosciuta, sull'assunto che l'articolo 44 – in combinato disposto con gli artt. 48 e 50 legge sull'adozione – comporterebbe la decadenza automatica della madre genetica dalla responsabilità genitoriale. Nel caso di specie, i giudici palermitani non hanno negato che l'adozione ex art. 44 sarebbe stata ammissibile, tuttavia - nonostante la riforma del 2012 sulla filiazione e l'unicità dello status di figlio e l'attribuzione della responsabilità genitoriale congiunta prevista dal codice civile - hanno ritenuto che il genitore biologico avesse prestato un consenso all'adozione (regolarmente acquisito nel corso del procedimento) che risulterebbe viziato, in quanto dato nell'inconsapevolezza di causare così la perdita della propria qualità di genitore esercente la relativa responsabilità.

Per la sua singolarità, va infine segnalata una decisione del Tribunale di Venezia (31 maggio 2017) che, pur aderendo l'indirizzo della Suprema Corte e rilevando in concreto la completa affidabilità della coppia di mamme, ha ritenuto tuttavia di dover evidenziare nella succinta motivazione (in condivisibile ossequio al principio di concisione degli atti processuali) – che le stesse sono (e, si intende, dovranno essere) consapevoli della necessità che i figli si relazionino "con persone di orientamento non omosessuale". 

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