Il primo strumento normativo dell'Unione europea emanato a tutela delle vittime dei reati è stata la decisione quadro 2001/220/GAI, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale. Tale provvedimento, anzitutto, ha fornito una prima definizione della vittima, individuandola nella persona fisica che ha subito un pregiudizio, anche fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati direttamente da atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro.
La decisione quadro richiede che ciascuno Stato membro preveda nel proprio sistema giudiziario penale un ruolo effettivo e appropriato delle vittime. In virtù degli obblighi derivanti dal diritto internazionale, ciascuno Stato membro si adopererà affinché alla vittima sia garantito un trattamento debitamente rispettoso della sua dignità personale durante il procedimento giudiziario.
La decisione-quadro del 2001, mai attuata in Italia, è stata sostituita nel 2012 dalla Direttiva 2012/29/UE, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime dei reati, rivede e integra i principi enunciati nella decisione quadro. La direttiva considera il reato come una violazione dei diritti individuali delle vittime, oltre che come fatto socialmente dannoso, e dunque stabilisce che i diritti in essa previsti vadano assicurati indipendentemente dal fatto che l'autore del reato sia identificato, catturato, perseguito o condannato e indipendentemente dalla relazione familiare tra quest'ultimo e la vittima.
Tra i diritti fondamentali riconosciuti alla vittima vi è in primo luogo quello di ricevere informazioni in modo agevolmente comprensibile sin dal primo contatto con le autorità, al fine di poter prendere parte al procedimento; di conseguenza sarà garantito un servizio di traduzione, nonché di assistenza legale gratuita, per il caso in cui la vittima non possa permettersi un avvocato.
La direttiva prevede, altresì, il diritto della vittima ad essere assistita da ulteriori servizi gratuiti, di supporto sin dal primo contatto con l'autorità giudiziaria ed indipendentemente dalla presentazione di una formale denuncia.
Si stabiliscono, inoltre, diversi diritti di partecipazione al processo penale: in particolare, per i reati più gravi, si prevede la possibilità per la vittima di impugnare le decisioni di non luogo a procedere. Ulteriore previsione concerne il diritto al patrocinio a spese dello Stato, secondo le condizioni stabilite dal diritto nazionale, nonché il diritto all'assenza di contatti con l'autore del reato. E' inoltre prevista una valutazione individuale delle singole esigenze di protezione delle vittime, evidenziando alcune categorie che necessitano, per presunzione, di particolare protezione: i minori, i disabili, le vittime del terrorismo, le vittime di violenza di genere, e coloro che abbiano relazioni strette con l'autore.
Viene, da ultimo, individuata la necessità di istituire possibili forme di giustizia riparativa, quali la mediazione tra vittima e autore del reato, da attuarsi solo previa richiesta ed assenso della vittima stessa, oltre che nell'interesse di quest'ultima.
Più nel dettaglio, il presupposto per poter affermare tutti i diritti di partecipazione della vittima al processo penale previsti dalla Direttiva è che la vittima stessa sia messa in condizione di comprendere e di essere compresa. A tal fine, gli Stati dovranno consentirle:
La Direttiva riconosce alle vittime ampi diritti di informazione, in particolare:
Gli articoli 8 e 9 della Direttiva invitano gli Stati membri a garantire alla vittima, e ai suoi familiari, prima, durante e dopo il procedimento penale, l'accesso a servizi di assistenza, riservati e gratuiti. In particolare:
Gli articoli da 10 a 17 della Direttiva riguardano il coinvolgimento della vittima del reato nel procedimento penale per l'accertamento dell'illecito ed elencano una serie di diritti che gli Stati devono garantire.
In primo luogo, la Direttiva invita gli Stati a garantire il diritto della vittima ad essere sentita ed a fornire elementi di prova (art. 10), adottando le opportune cautele quando la vittima è minorenne.
In secondo luogo, la Direttiva richiede agli Stati di prevedere il diritto della vittima ad essere informata circa la volontà pubblica di esercitare o non esercitare l'azione penale. L'informazione dovrà preludere alla possibile richiesta della vittima, quantomeno in relazione ai reati più gravi, di riconsiderare la decisione di non esercizio dell'azione penale (art. 11).
Inoltre, uno degli elementi innovativi della Direttiva è l'affermazione del diritto della vittima ad essere protetta dal rischio di vittimizzazione secondaria nell'accesso a servizi di giustizia riparativa (art. 12). Si tratta di tutti quei procedimenti che permettono alla vittima e all'autore del reato di partecipare attivamente, se vi consentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l'aiuto di un terzo imparziale. La Direttiva richiede agli Stati di disciplinare tali istituti garantendo che:
La Direttiva (art. 13) impone agli Stati di garantire alle vittime, alle condizioni previste da ciascun ordinamento, l'accesso al gratuito patrocinio. La vittima dovrà inoltre poter ottenere il rimborso delle spese sostenute per la partecipazione al processo penale (art. 14) e, a seguito della decisione dell'autorità giudiziaria, la restituzione senza ritardo dei beni ad essa eventualmente sequestrati (art. 15). Infine, alla persona offesa dal reato lo Stato dovrà garantire il diritto ad ottenere una decisione - entro un ragionevole tasso di tempo - sul risarcimento del danno. Gli Stati sono in particolare invitati a promuovere misure per incoraggiare l'autore del reato a prestare adeguato risarcimento alla vittima (art. 16).
Infine, la direttiva si preoccupa di garantire i diritti delle vittime residenti in uno Stato membro diverso da quello nel quale viene commesso il reato. In particolare, gli Stati dovranno:
Alcune disposizioni della Direttiva sono dedicate alle misure di protezione delle vittime e dei loro familiari da ulteriori patimenti derivanti dalla commissione dell'illecito; l'obiettivo è diminuire il rischio di vittimizzazione secondaria, ovvero di danni emotivi o psicologici scaturenti della denuncia del reato subito. A tal fine gli Stati sono chiamati a:
Sempre in relazione alla partecipazione della vittima al procedimento penale, la Direttiva richiede agli Stati membri (art. 20) di far sì che:
La Direttiva pretende che la vita privata della vittima - e dei suoi familiari - sia protetta, al fine di evitare fenomeni di vittimizzazione secondaria e ripetuta, intimidazioni e ritorsioni. A tal fine richiede agli Stati di escludere dalla divulgazione particolari informazioni relative alla vittima, la sua identità e il luogo in cui si trova. Tale protezione è particolarmente importante in caso di vittime minorenni, delle quali è esclusa la divulgazione di informazioni che ne permettano l'identificazione. Gli Stati sono chiamati, inoltre, a incoraggiare i mezzi di informazione ad adottare misure di autoregolamentazione.
Uno degli elementi caratterizzanti la Direttiva 2012/29/UE è senz'altro la richiesta agli Stati di operare una celere valutazione individuale delle vittime dei reati, al fine di poterne personalizzare le misure di protezione ed evitare la vittimizzazione secondaria e ripetuta (art. 22). La valutazione individuale deve tenere conto:
- delle caratteristiche personali della vittima (età, genere, etnia, razza, religione, orientamento sessuale, salute, disabilità, ma anche presenza della criminalità nella sua zona di residenza);
- delle sue relazioni con la persona indagata;
- del tipo e delle circostanze del reato
La valutazione individuale, da effettuare in stretta collaborazione con la vittima stessa, potrà naturalmente essere aggiornata al mutare di determinate circostanze.
Nella Guida all'attuazione della Direttiva, predisposta dalla Direzione generale giustizia della Commissione europea nel dicembre 2013, la Commissione invita in particolare gli Stati a identificare i soggetti (polizia giudiziaria, giudice, servizi sociali) competenti a svolgere la valutazione individuale della vittima così da garantirne anche l'adeguata formazione.
Vengono inoltre individuate alcune categorie di vittime che si presume abbiano esigenze specifiche di protezione: i minori, i disabili, le vittime della tratta, del terrorismo e della criminalità organizzata, della violenza di genere.
In particolare, la Direttiva richiede che a fronte del riconoscimento di una vittima con particolari esigenze di protezione, gli Stati debbano (art. 23):
Inoltre, quando la vittima è minorenne (art. 24), alle suddette misure occorre aggiungere:
- la previsione della registrazione audiovisiva di ogni audizione, da utilizzare come prova nel processo;
- la nomina di un rappresentante speciale del minore, quando i genitori non possano svolgere tale ruolo in quanto in conflitto di interesse con il minore stesso;
- il diritto alla rappresentanza legale del minore;
- la presunzione di minore età del soggetto, in tutti i casi dubbi.
Infine, la Direttiva richiede agli Stati di garantire una formazione adeguata degli operatori suscettibili di entrare in contatto con le vittime (art. 25), siano essi poliziotti, magistrati, avvocati o semplici addetti ai servizi sociali.