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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro

Resoconto stenografico



Seduta n. 30 di Mercoledì 8 aprile 2015

INDICE

Comunicazioni del presidente:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 3 

Sulla pubblicità dei lavori:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 4 

Audizione del senatore Clemente Mastella:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 4 
Mastella Clemente  ... 5 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 7 
Grassi Gero (PD)  ... 7 
Mastella Clemente  ... 7 
Grassi Gero (PD)  ... 7 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 7 
Grassi Gero (PD)  ... 7 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 8 
Grassi Gero (PD)  ... 8 
Mastella Clemente  ... 8 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 8 
Mastella Clemente  ... 8 
Carra Marco (PD)  ... 9 
Mastella Clemente  ... 10 
Naccarato Paolo  ... 10 
Mastella Clemente  ... 10 
Carra Marco (PD)  ... 10 
Mastella Clemente  ... 10 
Lucidi Stefano  ... 10 
Mastella Clemente  ... 11 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIUSEPPE FIORONI

  La seduta comincia alle 14.25.

Comunicazioni del presidente.

  PRESIDENTE. Comunico che, nel corso dell'odierna riunione, l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha deliberato lo svolgimento di alcune audizioni concernenti i procedimenti giudiziari relativi al caso Moro, all'individuazione del covo di via Montalcini, 8, alla figura di Giovanni Senzani e a quella di Toni Chichiarelli.
  Nella medesima riunione si è, altresì, deliberato di affidare un incarico di collaborazione al professor Aldo Sabino Giannuli, nonché al personale delle forze di polizia che già attualmente presta assistenza operativa ai magistrati che collaborano con la Commissione: il maresciallo capo dei Carabinieri Danilo Pinna, il sovrintendente capo della Polizia di Stato Pier Salvatore Marratzu, il sovrintendente capo della Polizia di Stato Maurizio Sensi e il maresciallo capo dei Carabinieri Marco Mezzetti. Tutti i suddetti incarichi sono conferiti a titolo gratuito e a tempo parziale; essi saranno eseguiti sulla base di una espressa richiesta del presidente e secondo le direttive di quest'ultimo.
  L'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha inoltre convenuto di procedere ad alcuni accertamenti istruttori, la cui esecuzione è stata affidata al dottor Gianfranco Donadio, al dottor Massimiliano Siddi, alla dottoressa Antonia Giammaria, al colonnello Leonardo Pinnelli, al tenente colonnello Massimo Giraudo e al sovrintendente capo Pier Salvatore Marratzu. Quest'ultimo, nell'espletamento del suo incarico, sarà assistito da personale del RaCIS dei Carabinieri.
  Si è quindi decisa l'acquisizione di alcuni atti, documenti e reperti custoditi presso gli uffici giudiziari di Roma, Napoli e Perugia ed è stato affidato al ROS dei Carabinieri un adempimento istruttorio concernente il covo brigatista di via Gradoli.
  Si è, altresì, convenuto di dare seguito alle proposte operative formulate nelle relazioni presentate dal dottor Donadio il 30 e il 31 marzo scorsi.
  Comunico che il generale Paolo Scriccia ha prestato il prescritto giuramento il 2 aprile e ha quindi formalmente assunto l'incarico di collaboratore della Commissione. Tale incarico sarà svolto secondo gli indirizzi già concordati nella precedente riunione dell'Ufficio di presidenza.
  È pervenuta la seguente documentazione: il 26 marzo, la lettera (di libera consultazione) inviata dal Presidente del Senato in risposta alla richiesta della Commissione di avviare le procedure di declassifica di due documenti relativi all'archivio-deposito del Ministero dell'interno sito in circonvallazione Appia a Roma; con la medesima nota, si comunica altresì l'autorizzazione alla presa visione e alla riproduzione di un documento custodito tra gli atti di segreteria della Commissione stragi della XIII legislatura, nonché alla trasmissione alla Commissione di copia del resoconto stenografico segreto dell'audizione del generale Nicolò Bozzo, svoltasi il 21 gennaio 1998 presso la Commissione stragi; tale resoconto è pervenuto lo stesso 26 marzo; il 30 marzo una nota di libera Pag. 4consultazione del senatore Ferdinando Imposimato, concernente lo svolgimento da parte della Commissione di eventuali accertamenti tecnici non ripetibili; a tale nota è stata data risposta con lettera del 31 marzo; sempre il 30 marzo due note riservate della dottoressa Giammaria e quattro relazioni riservate del dottor Donadio; il 31 marzo una relazione segreta del dottor Donadio; il 1o aprile due relazioni riservate della dottoressa Tintisona; il 3 aprile una relazione riservata del dottor Donadio; il 7 aprile una relazione riservata del dottor Donadio; l'8 aprile, una nota di libera consultazione del sottosegretario Marco Minnniti, con la quale – a integrazione della documentazione già trasmessa – si invia copia digitale di 2.870 documenti dell'AISE e di 21 documenti del DIS; l'8 aprile alcuni documenti, di libera consultazione, acquisiti dalla dottoressa Giammaria presso gli uffici giudiziari di Roma, nonché una relazione riservata della stessa dottoressa Giammaria al Procuratore generale presso la Corte d'appello di Roma e, per conoscenza, al presidente della Commissione e al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma; l'8 aprile, un telegramma di libera consultazione e un esposto riservato.
  Mercoledì 15 aprile, alle ore 14,15, avrà luogo l'audizione dell'onorevole Claudio Martelli. Alle ore 20,30 della stessa giornata di mercoledì 15 aprile si terrà invece l'audizione del dottor Alberto Macchia. L'audizione del senatore Vincenzo Ruggero Manca, vicepresidente della Commissione stragi nella XIII legislatura, avrà luogo mercoledì 22 aprile alle ore 14,15. Il ministro Paolo Gentiloni ha assicurato la propria disponibilità ad intervenire in audizione mercoledì 27 maggio, alle ore 14,15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.

Audizione del senatore Clemente Mastella.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del senatore Clemente Mastella, che ringraziamo per la cortese disponibilità con cui ha accolto il nostro invito ad intervenire oggi in Commissione.
  Il senatore Mastella all'epoca del sequestro Moro era giovane dirigente della Democrazia Cristiana e in tale veste ebbe modo di seguire da vicino il dibattito svoltosi all'interno del partito sul tema della trattativa per la liberazione dell'ostaggio. In quei giorni venne contattato da ambienti vicini alla famiglia, in particolare dal senatore Rosati, per tentare di ampliare il consenso dei dirigenti del partito su una posizione alternativa alla linea della fermezza che stava invece affermandosi all'interno della direzione della DC.
  Per la Commissione sarebbe utile avere maggiori dettagli su tale contatto e ricostruire quali furono all'interno della Democrazia Cristiana le dinamiche del dibattito sulla trattativa di cui il senatore Mastella, come ho detto, è stato un testimone diretto.
  Sarebbe inoltre interessante approfondire un'altra vicenda che il senatore ha più volte ricordato, da ultimo nel corso di un programma radiofonico del GR Parlamento andato in onda lo scorso 16 marzo in occasione dell'anniversario della strage di via Fani, la cui registrazione è stata acquisita agli atti della Commissione. Si tratta della vicenda connessa alla presentazione, dopo la morte di Aldo Moro, di un'interrogazione parlamentare nella quale il senatore Mastella ipotizzava una sorta di convergenza tra le strategie della CIA e del KGB in Italia, osservando che per ragioni diverse sia il blocco occidentale sia quello sovietico vedevano con sfavore la possibilità dell'ingresso nella maggioranza del Partito Comunista Italiano.
  In merito ai contenuti e alle fonti dell'interrogazione parlamentare, vi fu un interessamento dell'ambasciatore cinese in Italia, il quale, tramite un suo amico Pag. 5giornalista, tentò – senza peraltro riuscirvi – di avere un incontro con l'allora onorevole Mastella.
  Lo stesso senatore Mastella ha inoltre posto in relazione le sue esternazioni sul predetto ruolo svolto nella vicenda Moro dagli apparati di intelligence stranieri con alcuni furti che ha subito nel suo ufficio e nella sua abitazione.
  Su tutte queste vicende la Commissione è interessata ad acquisire elementi di dettaglio. In particolare, sarebbe utile chiarire quali erano le fonti o i ragionamenti sulle quasi si basava la suddetta interrogazione parlamentare e se vi erano mai stati riscontri all'ipotesi che la convergenza strategica tra i servizi si fosse realmente svolta o concretizzata.
  Non avendo altro da aggiungere a questa introduzione, do la parola al senatore Mastella.

  CLEMENTE MASTELLA. Grazie, presidente, onorevoli senatori e onorevoli deputati. Partirò dall'ultimo pezzo dell'intervento del presidente, cioè quello che ha riguardato la presenza nella vicenda Moro, secondo me, del KGB e della CIA.
  È vero, all'epoca presentai un'interrogazione parlamentare, citata da Giorgio Galli nel libro sulla Democrazia Cristiana e sulla sua fine, ma non ho mai avuto risposta. L'interrogazione faceva riferimento alla circostanza che, a mio avviso, c'era stata la presenza di quelle due agenzie nei confronti della vicenda italiana.
  Da che cosa lo deducevo ? La mia è una ragione di ricognizione sul piano politico, perché va ricordato che all'epoca c'era ancora Yalta, c'era la divisione dei due blocchi, quello sovietico e quello occidentale imperniato sulla NATO. All'epoca, appena si parlava con gli americani del comunismo in Italia, essi davano in una forma di «escandescenze» (uso le virgolette perché non vorrei essere frainteso) sul piano politico.
  C’è un racconto che Moro fece ad alcuni di noi. Poi ho letto anche la versione nelle memorie di Kissinger, laddove si parla del rapporto con Moro, quando andò in America da Ministro degli esteri e parlò della situazione italiana. Ebbene, secondo Kissinger, a un certo punto Moro, col suo fraseggio, lo aveva fatto addormentare e Kissinger avrebbe detto, in maniera un po’ sprezzante secondo Moro: «Dategli un caffè». Moro, invece, disse – questa la spiegazione che diede ad alcuni di noi – che quello era un modo abbastanza rozzo di esprimersi nei rapporti sul piano internazionale, per dire sostanzialmente: «È inutile che parli di queste cose, affretta il passo, non siamo interessati a questo», con grande nonchalance da parte di Kissinger.
  Dico questo perché se in quel periodo si fosse verificata – come si era verificato lo snodo di questo rapporto convergente che Moro che aveva auspicato in solidarietà nazionale tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, che era il più grande dell'Europa occidentale – la possibilità di un accesso democratico del comunismo, immaginate cosa avrebbe significato nel blocco sovietico o in Paesi a struttura cattolica come la Polonia, la Cecoslovacchia. Queste erano le mie conclusioni, dal mio punto di vista personale.
  Dall'altra parte, come ho detto, gli americani appena sentivano parlare di comunismo erano percorsi da brividi freddi. Quindi, c'era una convergenza tra questi due elementi di politica sostanziale.
  È vero, tramite un mio amico dell’Avvenire fui avvicinato per farmi sapere che l'ambasciatore cinese voleva incontrarmi. Voglio ricordare che in quel periodo i cinesi erano in contrapposizione molto netta con l'Unione Sovietica ed erano legati all'Albania da un lato e alla Romania dall'altro, quindi erano interessati a conoscere donde io traessi – come ha detto il presidente – queste mie conclusioni dal punto di vista della fisionomia o della realtà dei comportamenti che c'erano stati. Io feci sapere che se avessi avuto la possibilità di rendermi conto di quello che si era verificato per davvero, al di là delle mie esternazioni sul piano di una mia conclusione dal punto di vista politico-intellettuale, sarei stato il capo del KGB e Pag. 6della CIA mondiale. Non avevo elementi, da questo punto di vista, però questo era il dato.
  Quindi, io posso soltanto riferirmi all'interesse della Cina e dei cinesi in quella circostanza e al fatto che ogni qualvolta parlavo di ciò, quando c'era qualche intervista che riguardava Moro, c'erano costanti effrazioni nel mio studio in via dei Prefetti, e qualche altra volta anche a casa mia. Magari questo combacia per un sillogismo temporale, può darsi che non c'entri nulla, però in realtà si verificava tutto questo e si è verificato spesso.
  Vorrei riferire alla Commissione anche un altro elemento, visto che siamo in fase di testimonianza, sulla storia della macchina blindata, di cui si discusse. Moro venne nella mia città, Benevento – ero giovane parlamentare e lo invitai – e fece un discorso che è rimasto famoso nella storia politica italiana come il «discorso di Benevento». In quella sede profetizzò l'avvento del terrorismo e parlò anche, con un linguaggio che gli era familiare, dell'indifferenza delle forze politiche rispetto a quel fenomeno e a quel problema, auspicando invece che superassero tale indifferenza e trovassero un modo di convergenza per arrivare sia all'alternanza democratica sia alla possibilità in modo serio per lo Stato di contrastare quello che sarebbe stato l'avvento drammatico del terrorismo, che vede Moro stesso protagonista tra gli altri.
  Io andai perché l'onorevole Rosati, che era molto amico di Moro, volle che Moro, prima di arrivare a Benevento, si fermasse nella segreteria provinciale di Caserta, come usava in tempi un po’ andati, che non sono quelli correnti, ahimè (per me, evidentemente). Moro ci tenne a farmi chiamare da Rana, il quale mi chiese di andare a Caserta e poi di andare con il presidente Moro in auto fino a Benevento, con atto di amicizia e quindi per testimoniare, rispetto al mio popolo democristiano, dell'affetto e del rapporto di solidarietà umana e politica che io avevo con Moro.
  Nell'auto, se ricordate, c'era l'allora Sottosegretario all'interno Lettieri. Ho assistito allora alla discussione sulla macchina blindata. Si parlò molto dell'autovettura blindata: se Moro l'avesse chiesta o meno, se gli fosse stata data o meno dalle forze di sicurezza. Il Sottosegretario Lettieri chiese a Moro come mai non avesse la macchina blindata che egli invece aveva (Lettieri aveva l'auto blindata, Moro aveva la 130, quella famosa che le fotografie riportano). Ricordo che Moro rispose: «Sai, Nicola, io sono soltanto il presidente di un partito», poiché all'epoca Moro era il presidente del Consiglio nazionale della DC, neppure della DC. Con fare un po’ schivo, fece scivolare questo tipo di risposta alla domanda che gli era stata posta, per la semplice ragione che non dipendeva da lui garantire la propria sicurezza e la propria incolumità, quindi non gli era stata data. Debbo anche dire, in coscienza, che non l'aveva mai chiesta, perché era nello stile di Moro non chiedere. Si discusse però per dire che Moro non ce l'aveva e nessuno gliela diede in quella circostanza. Ora, se questo fosse stato il modo per garantirlo di più o meno, francamente in coscienza nessuno può dirlo a seguito di quello che si è verificato.
  Questo è un elemento aggiuntivo, presidente, alla nota che ella ha esposto.
  Ci fu una grande divisione nella DC, della quale credo la Commissione sia a conoscenza. Creò turbative a un mio amico fraterno, Misasi, quando nelle lettere... Anch'io sono citato in una di quelle lettere. Quando Moro scriveva a qualcuno in particolare, come nel caso di Misasi, ognuno era preso da una sensibilità, da una forma di affetto, però ci fu un tremito molto forte all'interno del mondo democristiano, se accettare o non accettare la trattativa.
  Io forse ero citato, per conto della famiglia Moro, dallo stesso Rosati in quella circostanza, per dire di attivare qualsiasi meccanismo che sollecitasse una forma di trattativa rispetto a quella che sembrava essere messa in piedi da parte dei brigatisti rapitori Moro.
  Per la verità ebbi problemi di coscienza, come tantissimi altri, ma alla fine fui frenato. Andai a parlare con Galloni, il quale mi spiegò che il senso dello Stato Pag. 7prevale anche rispetto a fatti di natura umana. Per me cristiano questo era un elemento di enorme difficoltà, perché c'era una forma di divisione netta tra l'elemento di natura «partigiana», per problemi di coscienza o di fede religiosa, e il tratto caratteristico dello Stato e la sua laicità. Galloni, essendo uno di coloro che in quella circostanza ebbero un peso notevole, mi convinse che era opportuno evitare una cosa di questo genere perché non c'era nulla da fare, era difficile, quindi mi invogliava a non attivarmi con altri parlamentari per un'iniziativa che avrebbe soltanto reso problemi allo Stato e alla stessa Democrazia Cristiana.
  Credo che non ci siano altri elementi rispetto a quelli che in questa circostanza in coscienza sono in grado di poter riferire in piena verità.

  PRESIDENTE. Ringrazio l'onorevole Mastella. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GERO GRASSI. In realtà, non ho alcuna domanda da porre ma vorrei fare due osservazioni.
  In primo luogo, agli atti della Commissione Moro non risulta che all'epoca esistessero in Italia macchine blindate, a parte quella della quale usufruiva il Presidente della Repubblica.
  Quindi, io non contesto il dibattito interno, però agli atti delle Commissioni e quindi della magistratura non risulta che ci fossero altre macchine blindate. Risulta che Moro l'avesse chiesta e non l'avesse avuta.
  La seconda è una considerazione tutta meridionale: quel giorno a Benevento c'ero anch'io...

  CLEMENTE MASTELLA. Novembre...

  GERO GRASSI. Novembre 1977. Perché anche con noi giovani...

  PRESIDENTE. È attinente alla vicenda ?

  GERO GRASSI. Lo è, per ricordare al senatore Mastella una cosa che, per quanto mi riguarda, non è un'impressione.
  Leggendo tutte le audizioni e tutti gli atti del caso Moro – parlo di quelli pubblici, quindi atti di magistratura, Commissioni inquirenti su terrorismo, P2 e via dicendo, che corrispondono a due milioni di pagine – la mia certezza (non la mia sensazione), derivante anche da domande fatte poi a persone protagoniste di quel periodo, è che all'interno della DC, a voi, che eravate non il primo livello, ma il secondo e il terzo (ma anche a molti del primo livello, ad esempio alcuni ministri del Governo Andreotti, e penso a De Mita, che era ministro in carica), non venne raccontata la verità, che viaggiava su binari diversi da quelli di piazza del Gesù.
  La convinzione che ho costruito dalle carte, per fare riferimento a due segretari, Berlinguer e Zaccagnini, è che essi non abbiano saputo, in quei cinquantacinque giorni, quello che si muoveva alle loro spalle. Tutto questo si deduce anche dal fatto che in Consiglio dei ministri, per cinquantacinque giorni, vi sono una trentina di righe soltanto nelle quali si cita il caso Moro; il Parlamento non ha mai fatto un dibattito sulla vicenda Moro; non c’è mai stato un pezzo della Democrazia Cristiana, ad esempio cinquanta deputati, che facesse un'azione clamorosa affinché si aprisse una discussione.
  Tutto ciò avvenne in base al presupposto che la trattativa non ci potesse essere, tant’è che quando Sciascia, nella Commissione d'inchiesta, chiede ad Andreotti quando avessero deciso di non trattare, Andreotti risponde: «Mai, perché lo Stato non tratta e basta». Quindi, non c’è stato un luogo nel quale il Governo ha deciso di non trattare.
  La domanda a chi comunque era, in quel momento, una presenza autorevole nel contesto della Democrazia Cristiana, è: c’è stata mai una comunicazione a voi parlamentari, a voi dirigenti nazionali del partito, da parte del Ministro dell'interno Cossiga o del Presidente del Consiglio Andreotti, di tutte quelle cose che poi abbiamo letto agli atti della magistratura e Pag. 8delle stesse Commissioni ? Penso al tentativo del Vaticano, alla vicenda di via Gradoli, del Lago della Duchessa. Queste cose le avete sapute ex post, dopo, non durante; quindi, voi non le avete gestite.
  Parlando con qualche ministro dell'epoca, ho fatto notare alcune cose. Penso a Rognoni, che fu il successore di Cossiga, il quale ha avuto difficoltà a credermi. Mi ha creduto, obtorto collo, quando gli ho dimostrato quello che dicevo carte alla mano.
  Allora, la sensazione nostra, che in quel periodo eravamo cittadini e basta, è che il dibattito sulla trattativa e sul rapimento avesse riguardato essenzialmente tre persone, come si deduce dalle carte: Andreotti e Cossiga, ma soprattutto Cossiga e Pecchioli, il quale ultimo parlava in nome e per conto del Partito Comunista. Cossiga si confrontava con Pecchioli su tutto, tant’è che lo stesso Pecchioli, all'interno del PCI, ricevette degli attacchi – io dico giustamente – ad esempio per la composizione del comitato di crisi, quello presieduto da Lettieri, nel quale 39 dei 40 componenti erano iscritti alla P2: tutti tranne il prefetto Napoletano.

  PRESIDENTE. Magari allora era difficile anche per Pecchioli saperlo.

  GERO GRASSI. Sì, non c’è dubbio, ci mancherebbe altro, ma probabilmente lo sapeva chi doveva saperlo. La sua sensazione qual era ? Io non sono interessato a quello che lei ha saputo dopo, ma a quello che ha captato in quei cinquantacinque giorni, de visu. Vi è stato detto qualcosa ? A me non risulta. Se vi è stato detto e lei ce lo vuole riferire, gliene sarei molto grato.

  CLEMENTE MASTELLA. Sulla storia della macchina blindata confermo quello che ho detto. Non ho avuto la sensazione che Moro l'avesse chiesta, ma sulla circostanza che Lettieri parlasse a Moro della possibilità della macchina blindata e sul fatto che esistevano le prime macchine blindate, confermo quello che ho ascoltato nella interlocuzione...

  PRESIDENTE. Scusa se ti interrompo. Io attendo i verbali che ci trasmetterà il dottor Marini, il Procuratore generale facente funzioni che aveva svolto le indagini, perché c’è un passaggio di un interrogatorio di un brigatista sulle macchine blindate che merita un momento di riflessione. Quindi, la circostanza che ce ne fosse una sola e che non ce ne fossero altre in circolazione credo che dovremmo approfondirla bene.

  CLEMENTE MASTELLA. Prima di passare alla domanda posta dall'onorevole Grassi, vorrei esprimere un giudizio più pieno. Io non ho fatto riferimento – e se l'ho fatto vi chiedo scusa e quindi sono a emendare me stesso – riguardo al KGB e alla CIA in Italia, alla circostanza che avessero prodotto l'effetto dell'omicidio di Moro, bensì alla sensazione che ci fosse un loro concorso, nel senso che essi erano in grado di vedere quello che accadeva e di dire alle autorità magari «state attenti a quello che sta accadendo», ma che forse, per quello che ho detto con riferimento a Yalta, fossero compiacenti a che questo accadesse. Ecco, questa è la mia sensazione, se vuole. Ancora sono convinto di questo, anche per ragioni molto semplici.
  C'era diffidenza rispetto a Moro da parte di Kissinger, quindi del Segretario di Stato che rappresentava l'Amministrazione americana. Se c'era diffidenza rispetto a Berlinguer per la «primavera» e per l'eurocomunismo, che era presente in Portogallo, in Spagna, in Francia (con Marchais) e in Italia (e il Partito Comunista Italiano era il più forte in sede europea), a maggior ragione vi era rispetto a Moro.
  Se c'era preoccupazione che ci fosse un percorso diverso dell'Italia... Diciamo la verità, è vero che la storia non si fa con i «se», ma Moro con molta oggettività sarebbe stato il Presidente della Repubblica per il dato evolutivo della continuazione del rapporto tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista. Quindi, se erano presi da un minimo di attenzione rispetto a Moro presidente del Consiglio nazionale del partito, immaginate se egli Pag. 9fosse diventato Presidente della Repubblica. Insomma, non c'era questo interesse, perché avrebbe cambiato la storia, come è cambiata successivamente la storia europea e la storia internazionale.
  Questa è una valutazione che, con molta onestà, confermo, essendo stato sempre più convinto da tutti gli elementi che sono emersi successivamente.
  Mi pare ovvio che quando ci sono decisioni terribili e difficili alla fine decidono in pochi, però debbo anche dire che ci fu la direzione democristiana riunita in permanenza. Che poi decidesse o non decidesse Zaccagnini... Però che Galloni avesse una parte influente era abbastanza evidente. Quanto a Cossiga, mi pare ovvio, dal momento che era Ministro dell'interno. Peraltro, c'era questo rapporto speciale tra Cossiga e Moro in termini umani, tant’è vero che Cossiga fece l'atto di dimettersi successivamente alla vicenda Moro, per dire dell'apprezzabilità del gesto umano e politico di Cossiga. Che fosse protagonista Andreotti mi pare abbastanza evidente, essendo il Presidente del Consiglio.
  Che ci fosse, dall'altro lato, interlocuzione con Pecchioli, o con Berlinguer tramite Pecchioli, era ovvio, visto che il Governo era un monocolore democristiano con il sostegno forte e determinante del Partito Comunista dell'epoca. Quindi, la decisione era presa di là, però ci fu grande discussione. Ci fu anche Fanfani che, sollecitato dal Partito Socialista Italiano, assunse una posizione diversa, possibilista. Poi non se ne fece nulla, cioè prevalse il senso della ragion di Stato e la ragione della Democrazia Cristiana come tale: al di là di Moro, comunque si andava avanti.
  Per quanto ci riguarda, noi eravamo un po’ instupiditi, diciamo la verità, per la batosta di Moro, soprattutto chi aveva affetto particolare per Moro, ma anche molti altri. Il Paese era in una condizione di enorme difficoltà e di cruccio per quello che avveniva. Immaginate cosa provava chi faceva politica o iniziava a far politica in maniera piena all'interno del Parlamento italiano, come me o come tantissimi altri. C'era una forma di stupore, eravamo abbastanza inebetiti, non sapevamo che fare.
  In quella circostanza, laddove se ricordate ci fu anche una sorta di trattativa per decidere quali tra i brigatisti liberare eventualmente rispetto a Moro, io scoprii che uno della mia provincia – io ero figlio di un insegnante e nipote di falegnami – era al dodicesimo posto per essere liberato e apparteneva ai Nar dell'area di Caserta-Benevento. Scoprii in quella circostanza che quel terrorista, figlio di un grande industriale, tra i più ricchi della mia città, con grande cruccio dei genitori era tra i protagonisti di quella stagione drammatica dell'eversione.
  Noi stessi, insomma, eravamo in enorme difficoltà e stentammo ad andare avanti. Alla fine, quelli che decisero non so... Tante cose si sono viste dopo: erano vere, non erano vere...
  Lei ha letto probabilmente due milioni di pagine o magari un milione, mentre io ho seguito più nell'immediatezza il riscontro giornalistico anziché l'effettività delle cose dette all'interno delle aule anche giudiziarie. Resto però fermo nella convinzione che Moro era scomodo.
  Se dovessi tradurre, dal punto di vista giornalistico, direi che Moro era scomodo rispetto al tipo di politica non tanto per le vicende italiane, quanto soprattutto per le vicende internazionali: saltava un equilibrio, perché Yalta era un equilibrio. Attraverso l'Italia, con quel tipo di congiunzione tra mondo cattolico democristiano e mondo comunista marxista, rischiava di saltare un equilibrio sul piano anche internazionale. Si voleva questo ? Io non credo. Fossi stato io non l'avrei voluto, lo dico con obiettività. Io ragiono così: fossi stata una grande potenza, non avrei voluto che saltassero gli equilibri. Moro era l'interprete di questo equilibrio nuovo che veniva probabilmente a declinare condizioni nuove sul piano internazionale e non era gradito in alcuni ambienti internazionali.
  Questa è la verità.

  MARCO CARRA. Sarò telegrafico. Ringrazio il senatore Mastella. Ho ascoltato con vivo interesse la sua tesi, peraltro confortata anche da molti fatti: il tentativo Pag. 10di Moro di scardinare l'equilibrio di Yalta, le convergenze tra servizi segreti, quindi tra interessi stranieri.
  Non so se in politica si possa utilizzare la proprietà transitiva, però, sulla base delle considerazioni che ha fatto, mi viene da fare una provocazione, non tanto a lei quanto alla Commissione. Se parliamo di CIA e Stati Uniti, io credo che la Democrazia Cristiana all'epoca fosse impregnata di un atlantismo piuttosto marcato. La proprietà transitiva, rispetto al fatto che la CIA abbia assistito indifferente all'evolversi della situazione, può riguardare anche la Democrazia Cristiana e in particolare chi aveva grandi responsabilità ?
  Il ragionamento specularmente potrebbe essere fatto anche per il Partito Comunista. Mi pare però che all'epoca, nel 1978, il Partito Comunista rispetto al blocco sovietico avesse già portato avanti una sorta di strappo che, viceversa, non era avvenuto in casa democratico-cristiana.
  Vorrei una sua considerazione. Quello che lei ha detto oggi, sul piano politico, dal mio punto di vista è molto importante perché detto da un protagonista, ancorché giovane, di quella stagione per molti aspetti rivoluzionaria. Si stava davvero mettendo in campo qualcosa di diverso rispetto agli equilibri usciti dalla Seconda guerra mondiale.

  CLEMENTE MASTELLA. Guardi, già mi sono spinto dando esito ad alcune mie congetture, circa la presenza o la compresenza. Lei mi chiede una cosa ulteriore e francamente diventa difficile per me superare questo limite.
  Francamente non direi che la Democrazia Cristiana fosse impregnata di atlantismo spinto. Oggi i partiti sono un po’ diversi, ma all'epoca, io che sono arrivato all'interno della DC per la cosiddetta «sinistra democristiana»...

  PAOLO NACCARATO. Dove sono i partiti ?

  CLEMENTE MASTELLA. I partiti dove ci sono, dove non ci sono... Senatore, non mi inviti a fare riflessioni che non mi competono in questa circostanza.
  C'era una cosiddetta «sinistra democristiana» alla quale io appartenevo, che era la stessa di Moro, Galloni, De Mita, Cossiga, Granelli, Marcora (ne cito alcuni), in cui questo atlantismo non era così spinto. Quindi, la discussione si rifletteva anche al nostro interno. Eravamo legati al mondo cattolico di frontiera, quello più conciliare, di grandi aperture.

  MARCO CARRA. Cossiga però...

  CLEMENTE MASTELLA. No, Cossiga era espressione della sinistra democristiana. Cossiga andò al governo come espressione della sinistra democristiana – non come espressione di Cossiga, per essere chiari – e come amico di Moro. Lo volle Moro. Fu Moro a volere Cossiga al Ministero dell'interno.
  Con riferimento alle questioni da lei sollevate, senatore, francamente non sarei in grado... Io ho posto una questione che spero possa essere utile alla Commissione e non rappresentare un atto di autentica presunzione intellettuale o magari politica da parte mia.

  STEFANO LUCIDI. Vorrei sottolineare due punti, sui quali l'onorevole Mastella potrebbe fornire ulteriori elementi.
  Innanzitutto ha posto l'accento su un argomento molto interessante, cioè la nostra difficoltà – almeno per quelli che hanno vissuto questa storia a partire da una certa epoca – di comprendere quale sia il contesto in cui avviene quella vicenda, di capire effettivamente come determinati sistemi e determinate istituzioni possano reagire di fronte a una parola per noi normale come «comunismo». Lei ha parlato di brividi e forse la nostra difficoltà è anche quella di capire quanto potesse essere grave e importante la reazione di determinati apparati rispetto a talune dinamiche, che per noi possono anche sembrare incomprensibili proprio perché non abbiamo metabolizzato quell'epoca.Pag. 11
  Le chiedo innanzitutto di contestualizzare meglio quella grande battaglia in campo in quel momento.
  Il secondo punto riguarda la strategia della fermezza. Una delle prime persone che abbiamo ascoltato nella Commissione è stato l'onorevole Bianco, al quale io stesso chiesi quando si materializzò quella posizione netta; egli rispose che era avvenuto subito, che la mattina stessa, al primo discorso in Parlamento, ebbe la conferma che quella posizione era già stata determinata. Secondo noi, considerato che parliamo di una delle vicende più importanti della nostra Repubblica, pensare che, pur nell'ambito di un apparato molto importante come il vostro, in circa due ore si sia delineata la linea politica a me sembra molto strano. Quindi, sarei portato più a credere alle sue parole, ossia che c’è stato un lungo dibattito. L'onorevole Bianco, invece, ci disse che in realtà questa posizione maturò immediatamente.
  Vorrei un suo commento rispetto a questi due temi.

  CLEMENTE MASTELLA. Nel momento in cui fu data la notizia del rapimento, alle nove e qualcosa, da Radio Selva (Radio Belva, come si diceva allora, e approfitto per commemorare un collega scomparso da non molto), è chiaro che si va in Parlamento per spiegare le ragioni di quello che è successo. Quindi si riunì probabilmente, come era giusto che fosse, l'ufficio di presidenza che era costituito dal segretario del partito, dal Presidente del Consiglio, dai presidenti dei gruppi parlamentari. Quindi decisero una prima risposta e la decisero, credo, in conformità con l'alleato, che era il Partito Comunista, che sosteneva di fatto il Governo. Senza l'apporto del Partito Comunista non ci sarebbe stata possibilità di governo del Paese. Quella fu la prima risposta.
  Io ho fatto un riferimento a quello che accadde subito dopo. Al di là del dato emotivo per la notizia improvvisa dell'uccisione degli uomini della scorta e del rapimento di Moro, in seguito alla quale il Paese precipitò in una sorta di catalessi, successivamente iniziarono quelle discussioni.
  All'inizio non c'era stata neppure l'idea di trattare o non trattare, questo lo abbiamo vissuto dopo, quindi a seguito di questo si aprivano dei margini – chi voleva la trattativa, chi non la voleva – però la decisione della quale alla fine ci fu contezza generale fu quella di negare la trattativa con i brigatisti. Mi pare abbastanza evidente.
  Le dico qual era il clima allora. Io ero giovane vicesegretario della Democrazia Cristiana, avevo ventiquattro anni, e andai in America poiché ho una moglie italo-americana. Tramite alcune persone originarie delle mie parti fui invitato in una radio locale a parlare di politica. Credo che la sentissero soltanto gli italo-americani di Boston, dove mi ero recato. L'unico avvertimento che mi diedero fu di non pronunciare mai la parola «comunismo», altrimenti avrebbero interrotto la trasmissione. Questo era il clima. Non dipendeva dagli americani, ma questo era il clima che c'era.
  Dall'altro lato c'erano i sovietici e la loro rozzezza, che lo stesso Berlinguer contestò nel famoso discorso al congresso del Partito Comunista sovietico, riferendosi al modo in cui hanno ammazzato crudelmente persone in Cecoslovacchia, in Ungheria e in Polonia.
  Questo era il mondo e questa era la divisione. Quanto al fatto che questa divisione fosse accettata e nessuno immaginava che sarebbe saltata in aria, Moro invece lo immaginava.
  Moro – me lo ha riferito Galloni e voglio che resti agli atti della Commissione – era stato anche accusato di essere colui che aveva portato i comunisti al Governo. Moro immaginava invece che la democrazia fosse compiuta fino a quando ci fosse stata l'alternanza alla gestione del potere. Quindi, rendere democratico il Partito Comunista era il massimo di pedagogia democratica che un partito o uno statista o la Democrazia Cristiana potessero fare.
  La non alternanza conveniva alla DC, tanto è vero che lo slogan del partito in Pag. 12quel periodo era «essere alternativi a se stessi». Moro riteneva che non con l'accordo fisso, nella rigidità successiva tra DC e Partito Comunista, ma con l'accesso democratico e l'appartenenza democratica del Partito Comunista alla vicenda democratica del Paese, successivamente, nella formula bipartitica, bipolare, ci sarebbe stata la possibilità di scegliere un partito progressista come i comunisti e un partito come la Democrazia Cristiana, con i suoi tratti caratteristici (noi della sinistra democristiana non abbiamo mai definito il partito come conservatore). Moro non ipotizzava l'alleanza eterna tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista; quella era invece la forma di passaggio per rendere compiuta la democrazia, che era incompiuta fino a quando non ci fosse stata un'altra forza che legittimamente potesse approdare anche alla gestione del Governo italiano.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il senatore Mastella.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.