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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza e di identificazione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti nei centri di accoglienza, nei centri di accoglienza per richiedenti asilo e nei centri di identificazione ed espulsione

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Lunedì 25 maggio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Migliore Gennaro , Presidente ... 3 

Audizione dei rappresentanti dell'Associazione Medici per i diritti umani (MEDU), dottor Alberto Barbieri, coordinatore generale e della dottoressa Laura Deotti, coordinatrice Team MEDU in Sicilia e coordinatrice del progetto ON.TO.:
Migliore Gennaro , Presidente ... 3 
Barbieri Alberto , coordinatore generale dell'Associazione Medici per i diritti umani (MEDU) ... 3 
Migliore Gennaro , Presidente ... 3 
Barbieri Alberto , coordinatore generale dell'Associazione Medici per i diritti umani (MEDU) ... 3 
Migliore Gennaro , Presidente ... 5 
Deotti Laura , coordinatrice Team MEDU in Sicilia e coordinatrice del progetto ON.TO ... 5 
Migliore Gennaro , Presidente ... 11 
Marazziti Mario (PI-CD)  ... 11 
Barbieri Alberto , coordinatore generale dell'Associazione Medici per i diritti umani (MEDU) ... 11 
Deotti Laura , coordinatrice Team MEDU in Sicilia e coordinatrice del progetto ON.TO ... 11 
Barbieri Alberto , coordinatore generale dell'Associazione Medici per i diritti umani (MEDU) ... 11 
Deotti Laura , coordinatrice Team MEDU in Sicilia e coordinatrice del progetto ON.TO ... 12 
Beni Paolo (PD)  ... 12 
Deotti Laura , coordinatrice Team MEDU in Sicilia e coordinatrice del progetto ON.TO ... 12 
Migliore Gennaro , Presidente ... 12 
Deotti Laura , coordinatrice Team MEDU in Sicilia e coordinatrice del progetto ON.TO ... 13 
Barbieri Alberto , coordinatore generale dell'Associazione Medici per i diritti umani (MEDU) ... 14 
Migliore Gennaro , Presidente ... 14 
Deotti Laura , coordinatrice Team MEDU in Sicilia e coordinatrice del progetto ON.TO ... 14 
Migliore Gennaro , Presidente ... 15

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GENNARO MIGLIORE

  La seduta comincia alle 9,20.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione diretta della web-TV della Camera dei deputati.
  Se non vi sono obiezioni, così rimane stabilito.

Audizione dei rappresentanti dell'Associazione Medici per i diritti umani (MEDU), dottor Alberto Barbieri, coordinatore generale e della dottoressa Laura Deotti, coordinatrice Team MEDU in Sicilia e coordinatrice del progetto ON.TO.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei rappresentanti dell'Associazione Medici per i diritti umani (MEDU), dottor Alberto Barbieri, coordinatore generale, e della dottoressa Laura Deotti, coordinatrice del progetto ON.TO.
  Avverto che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, ove richiesto dagli auditi, i lavori della Commissione potranno proseguire anche in seduta segreta.
  Rinnovo il benvenuto al dottor Barbieri e alla dottoressa Laura Deotti e do la parola al dottor Barbieri, chiedendogli espressamente se intenda proseguire in regime di segretezza e se abbia del materiale da consegnarci.

  ALBERTO BARBIERI, coordinatore generale dell'Associazione Medici per i diritti umani (MEDU). Sì, presidente, preferiremmo procedere in regime di segretezza. In occasione di questa audizione, potremo consegnare una copia del rapporto predisposto appositamente per la commissione.

  PRESIDENTE. Bene, allora passiamo in regime di segretezza.
  Dispongo la disattivazione dell'impianto audio.

  (I lavori della Commissione procedono in seduta segreta).

  PRESIDENTE. Prego, dottor Barbieri.

  ALBERTO BARBIERI, coordinatore generale dell'Associazione Medici per i diritti umani (MEDU). Prima di tutto voglio ringraziare il presidente Migliore e tutti i componenti della Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza dei migranti per l'opportunità di questa audizione. Farò una breve introduzione su Medici per i diritti umani (MEDU), l'organizzazione di cui sono coordinatore generale.
  MEDU è un'organizzazione umanitaria indipendente, fondata nel 2004 con gli obiettivi di portare aiuto sanitario alle popolazioni vulnerabili, in Italia e all'estero, e di promuovere i diritti fondamentali della persona, partendo dalla pratica medica sul terreno. Si propone di denunciare con un'azione di testimonianza la violazione dei diritti umani, in particolare Pag. 4il diritto alla salute, e gli ostacoli nell'accesso alle cure. Quindi, in due parole, curare e testimoniare.
  Fin dalla sua fondazione, Medici per i diritti umani si è occupata dell'assistenza sanitaria ai migranti, ai rifugiati e ai richiedenti asilo in condizioni di precarietà. Il progetto ON.TO. – di cui oggi presentiamo un rapporto e che ci vede impegnati, tra l'altro, nel CARA di Mineo – rientra proprio in quest'area di intervento.
  Il progetto si propone di contrastare la tortura e i trattamenti inumani e degradanti dei rifugiati lungo le rotte migratorie dai paesi sub-sahariani verso il Nord Africa. Sostenuto dall'Unione europea e dall’Open Society Foundation, è un progetto transnazionale che vede la collaborazione di Medici per i diritti umani con due organizzazioni non governative israeliane, Physicians for Human Rights-Israel (Medici per i diritti umani-Israele) e Hotline for Refugees and Migrants. Queste due organizzazioni israeliane svolgono un'attività analoga in Israele, in supporto ai rifugiati che arrivano in quel paese, in particolare dal Corno d'Africa.
  I luoghi d'azione del progetto sono la Sicilia, in particolare il centro di accoglienza per i richiedenti asilo di Mineo e i centri di accoglienza straordinaria della provincia di Ragusa – in cui operiamo previo accordo con le prefetture di Catania e Ragusa –, ed anche gli insediamenti informali di Roma, dove giunge un numero importante di migranti forzati, in particolare dal Corno d'Africa e dall'Eritrea.
  Le attività del progetto prevedono la raccolta di testimonianze per documentare i maltrattamenti, i trattamenti inumani e degradanti e le torture subite dai migranti forzati nel percorso di fuga dal loro paese attraverso il Nord Africa, in particolare attraverso paesi come il Sudan e la Libia. In realtà, a Roma vediamo soprattutto migranti che provengono dal Corno d'Africa, mentre invece nei centri siciliani vediamo un numero consistente di migranti forzati che arrivano dall'Africa sub-sahariana occidentale.
  Altra attività fondamentale è quella dell'assistenza medica e della riabilitazione delle vittime di tortura e di violenza estrema, attraverso l'assistenza psicologica e psichiatrica e l'orientamento ai servizi sul territorio. Il team è composto da una coordinatrice, Laura Deotti – che è qui con me oggi e che presenterà le slides –, da un medico psichiatra, da una psicologa e da un mediatore culturale. Altra attività è quella della certificazione come vittime di tortura o di trattamento inumano e degradante dei pazienti che visitiamo, anche ai fini della dell'esame presso la commissione territoriale per la richiesta di asilo, e la formazione degli operatori per l'individuazione e la presa in carico delle vittime.
  Altro punto importante del progetto è il monitoraggio delle condizioni di accoglienza all'interno di questi centri, attività che abbiamo iniziato, contemporaneamente alle altre attività, nel novembre 2014 – da quando cioè il progetto è operativo in Sicilia – e che si basa anche sull'esperienza di monitoraggio dei centri di identificazione ed espulsione per migranti in condizioni di irregolarità che Medici per i diritti umani effettua da oltre dieci anni.
  Questa attività di monitoraggio è portata avanti da sei mesi ed è stata realizzata in base ad una nostra presenza operativa costante (settimanale) all'interno del CARA di Mineo – l'audizione di oggi è incentrata sul monitoraggio del CARA di Mineo –, i cui risultati tra breve la dottoressa Deotti vi illustrerà nel dettaglio. Questa attività di monitoraggio ci ha portato ad una conoscenza approfondita, oltre che della struttura del centro di Mineo, del modello su cui esso si basa, modello che a nostro avviso è incompatibile con il pieno rispetto della dignità della persona, per tutta una serie di ragioni che a breve vi verranno spiegate nel dettaglio, tra cui il sovraffollamento, l'isolamento rispetto al territorio che lo circonda, i tempi abnormi di attesa in cui i richiedenti asilo vengono sostanzialmente lasciati in una condizione di inerzia ed inattività. Tale inadeguatezza ovviamente emerge ancora più drammaticamente Pag. 5per quanto riguarda i richiedenti asilo più vulnerabili, tra cui purtroppo le numerose vittime di trattamenti inumani e degradanti e di tortura, di cui il nostro team si occupa nello specifico.

  PRESIDENTE. Grazie dottor Barbieri. Do la parola alla dottoressa Deotti.

  LAURA DEOTTI, coordinatrice Team MEDU in Sicilia e coordinatrice del progetto ON.TO. Buongiorno a tutti, io sono la coordinatrice del TEAM Sicilia. Noi lavoriamo all'interno del CARA di Mineo e all'interno dei centri di accoglienza straordinaria della provincia di Ragusa, quindi due modelli di accoglienza molto diversi. Siamo operativi da novembre 2014 all'interno del CARA, presenti fisicamente all'interno della struttura una volta alla settimana. Svolgiamo un'attività di raccolta di testimonianze sulle storie dei percorsi migratori, di sostegno psicologico, laddove sia necessario a causa di traumi subìti, sia nei paesi di origine sia lungo il percorso migratorio e, laddove vi siano evidenze fisiche o psicologiche del trauma vissuto, forniamo anche certificazioni che sono in linea con il protocollo di Istanbul. Lo facciamo in un setting protetto, siamo riusciti ad ottenere uno spazio all'interno degli ambienti della Croce rossa e quindi il nostro team – che è formato da me, da un medico psichiatra e psicoterapeuta, uno psicologo su base volontaria e un mediatore culturale – almeno una volta a settimana da sei mesi è stato presente all'interno del CARA per fornire un sostegno molto specifico alle persone che, a seguito di violenze o torture o traumi di varia natura, hanno sviluppato delle conseguenze di tipo psicologico e fisico.
  Ad oggi, dopo sei mesi di attività, abbiamo ritenuto importante fare un momento di riflessione e il rapporto che vi consegneremo è la summa di questo momento di riflessione dopo i primi sei mesi di attività.
  Lo scopo di questo rapporto non è tanto quello di monitorare il rispetto delle regole della convenzione o della legge, ma è uno scopo un po’ più ampio, cioè quello di fornire degli elementi su cui iniziare a lavorare per pensare ad un modello di accoglienza da un lato più efficiente e dall'altro anche più rispettoso della dignità umana. Tutte le osservazioni che vi proponiamo oggi e che ritroverete nel rapporto sono frutto di osservazione diretta da parte nostra sul terreno, di colloqui e scambi con gli ospiti del CARA nonché di interviste con gli operatori del CARA, dagli assistenti sociali agli operatori legali, agli psicologi allo staff della Croce rossa.
  Come già diceva il dottor Barberi, trovandoci a lavorare sia nella provincia di Ragusa – quindi in questi CAS, centri di accoglienza straordinaria, di dimensioni più ridotte e quindi più gestibili – sia nel CARA di Mineo, ci siamo resi conto che, al di là della gestione dell'ente gestore attuale del CARA di Mineo, c’è un problema di fondo legato al modello del CARA. Mi riferisco, in particolare, alla macrostruttura che ospita migliaia di persone in un territorio che è economicamente depresso, quindi vive anche un forte isolamento. Il messaggio fondamentale, come vedrete, è che il modello stesso del CARA è ingestibile, fallimentare e, soprattutto, non è in grado di dare un'adeguata attenzione e assistenza alla persona.
  Cercheremo di analizzare tre aree principali: la struttura, gli operatori impiegati e la qualità dei servizi offerti. Prima di entrare nel dettaglio, siccome MEDU ha un'attenzione particolare anche nei confronti della salute mentale e del benessere psicologico dei migranti, ci sembra importante fare una premessa. La letteratura conferma che circa il 30 per cento dei rifugiati che raggiungono l'Europa ha subìto esperienze di tortura e di violenza estrema. Quindi, se consideriamo la popolazione totale dei migranti forzati, vi è una altissima prevalenza di disturbo post-traumatico da stress che secondo la letteratura è dal 9 al 50 per cento. Questa percentuale tra i migranti che sono stati vittime di tortura, quindi il 30 per 100 del totale, sale al 16,66%. Questo è ciò che dice la letteratura. Noi, attraverso l'osservazione sul terreno, in Sicilia, e anche negli insediamenti informali Roma, abbiamo Pag. 6rilevato che il 99 per cento delle persone che sono attualmente ospiti dei centri di accoglienza sono transitati per la Libia e il 70 per 100 di loro ha trascorso almeno un mese in prigionia o comunque è stato rapito, subendo delle violenze e dei trattamenti inumani e degradanti che vanno dalla mancanza di cibo a condizioni igieniche precarie, mancanza di trattamenti medici, oltre a traumi di diversa natura. Soprattutto hanno assistito a violenze di ogni tipo, molto spesso hanno anche perso dei familiari e delle persone care.
  Quindi il 40 per cento delle persone con cui veniamo a contatto sono affetti da un disturbo di natura psichiatrica e talvolta associano anche delle manifestazioni fisiche. Questa è una premessa importante, perché quando noi puntiamo l'attenzione su un modello che riservi attenzione alla persona, non stiamo parlando di qualcosa che si deve applicare al 10 per cento della popolazione, perché quasi la totalità dei migranti in arrivo oggigiorno sulle coste italiane ha un vissuto estremamente doloroso. Alcuni non ancora non hanno sviluppato delle conseguenze di tipo psicologico, però di fatto hanno subìto delle violenze, hanno trascorso un periodo in cui la loro stessa identità di persona è stata messa in discussione. Quindi, fornire un modello di accoglienza che dia ascolto alla persona è fondamentale per quasi la totalità dei migranti accolti. Oltre ad essere un dovere morale, è anche un passaggio importante per garantire una migliore integrazione.
  Fatta questa premessa, vogliamo fornirvi dei dettagli su questi tre aspetti fondamentali, iniziando dalla struttura. Come ben sapete, il CARA di Mineo è il «Residence degli aranci», una struttura creata e abitata dalla marina militare americana fino al 2010, nel 2011 trasformato in centro di accoglienza per richiedenti asilo. Dopo i primi sette mesi di gestione della Croce rossa è subentrato un consorzio, il Calatino Terra d'accoglienza, che adesso gestisce tutti i servizi, a parte i servizi di assistenza sanitaria che continuano ad essere gestiti dalla Croce rossa.
  L'ambiente, come vedrete, è un ambiente grande: ci sono circa 370 villette, di 160 mq ciascuna, ognuna abitata più o meno da 9-10 persone (alcune di esse, per esigenze familiari, sono abitate anche da 12 persone). MEDU non ha avuto grandi possibilità di accesso alle unità abitative, ma la nostra impressione è che il problema non sia quello. Il problema fondamentale è il sovraffollamento.
  Stiamo parlando del più grande centro di accoglienza per immigrati di Europa. La capienza massima è di duemila persone. Ad agosto 2014 i dati ufficiali del Ministero dell'interno davano 3.800 persone e così anche a novembre 2014, quando a marzo i dati erano di 3.219 persone, quindi comunque quasi il doppio della capacità massima. Questo ovviamente genera una situazione di sovraffollamento, che è visibile perché c’è una mensa usufruibile da tutti, ma ci sono lunghe file per accedere al cibo, all'assistenza sanitaria, a qualsiasi servizio.
  Questo, ovviamente, si ripercuote anche in una lunghezza dei tempi di attesa per la commissione territoriale. Mentre, ad esempio, nei centri di accoglienza straordinari del ragusano generalmente passano due o tre mesi prima di essere chiamati presso la commissione, nel CARA di Mineo questo non succede prima di 12-14 mesi. Quindi, i tempi di permanenza sono circa 18 mesi, quasi due anni. Questo è ulteriormente aggravato dal fatto che il centro è geograficamente collocato in una posizione isolata rispetto alla civiltà, siamo sulla Catania-Gela, il primo centro abitato è a dieci chilometri da Mineo e si tratta di un paesino di 5 mila persone, quindi ovviamente anche la presenza delle 4 mila persone ospitate nel CARA influisce pesantemente sul territorio circostante.
  All'isolamento fisico si aggiunge un isolamento sociale, nel senso che l'idea, confermata anche dagli operatori, è quella di internalizzare tutti i servizi. I migranti sono liberi di uscire e possono chiedere un permesso per restare fuori due notti, però al terzo giorno devono rientrare e comunque non c’è un servizio di trasporto pubblico, sono isolati dal territorio circostante Pag. 7e non viene fatto nessun orientamento ai servizi sul territorio, come se tutto dovesse essere fatto all'interno del CARA. Questo crea una situazione di malessere. Le persone con cui abbiamo parlato percepiscono la qualità della vita all'interno del CARA come scadente, lamentano questo stato di apatia e di sospensione, legato anche ai lunghissimi tempi di attesa e al fatto che questo sovraffollamento crea una sorta di spersonalizzazione, per cui non sei identificato con un nome ma con un numero, devi fare file lunghissime per accedere a qualsiasi servizio.
  La presenza dei militari e delle forze dell'ordine è forte – perché stiamo comunque parlando di 3-4000 persone concentrate in un luogo, quindi è proprio il modello che lo richiede – e nonostante questo è difficile controllare tutte le attività che si svolgono all'interno del centro. Quindi, al di là delle bancarelle abusive, che sono evidenti, ci sono stati anche episodi di cronaca che suggeriscono l'esistenza di un sistema di illegalità. L'ultimo è stato il caso di una ragazza nigeriana sequestrata in casa all'interno del CARA da un connazionale per due mesi e nessuno si è accorto della sua mancanza, del fatto che non fosse presente né a mensa né altrove. È proprio il modello che comporta questa situazione di degrado e di violenza.
  Per quanto riguarda gli operatori, ci sono 350 persone impiegate, però se consideriamo i servizi fondamentali e quindi il supporto socio-psicologico, l'assistenza sociale e l'assistenza legale, parliamo di 7 persone per area, quindi 7 psicologi, 7 assistenti sociali, 7 operatori legali. Si tratta ovviamente di un numero ridotto rispetto al totale degli ospiti, abbiamo una proporzione di un operatore specializzato per 450 persone, anche considerando la stima conservativa di marzo di 3.200 ospiti. Quindi è ovvio che il rapporto che si instaura tra l'operatore e l'ospite non può che essere squilibrato, c’è una relazione gerarchica che non dà la possibilità di ascoltare la persona ma semplicemente dei fornitori di servizi. Tra l'altro abbiamo anche riscontrato una carenza di supporto per gli stessi operatori, che spesso si trovano a dover gestire storie e vissuti molto traumatici, quindi c’è anche un forte rischio di sovraesposizione per gli operatori stessi alla sofferenza del migrante che non è adeguatamente mitigato, nel senso che non c’è un supporto psicologico gli operatori, non ci sono neanche offerte di formazione e quindi il rischio di burn out per gli operatori stessi è piuttosto alto.
  Infine, i servizi. Secondo l'ordinamento vigente al momento dell'ingresso al CARA dovrebbe essere fornito un primo orientamento ai servizi sia all'interno del centro sia fuori. Questo viene fatto per gruppi di 70 persone, quindi qualche volta succede che il migrante arriva, viene accolto, non riceve immediatamente un orientamento alla struttura, ma deve aspettare che si formi questo gruppo di 70 persone. Parlando con gli ospiti nella nostra attività quotidiana, alcuni ci hanno riferito che, pur avendo delle esigenze mediche evidenti, hanno realizzato solo dopo un mese che esisteva un servizio sanitario all'interno del CARA.
  Parliamo ovviamente di una struttura molto complessa. Al loro arrivo gli ospiti ricevono un kit di abbigliamento, vestiario e quant'altro, e un badge, il tesserino elettronico con cui possono accedere a tutti i servizi. Non sempre il primo orientamento è tempestivo e soprattutto non include informazioni su quello che viene fornito da enti terzi all'interno del CARA o sul territorio.
  Un altro aspetto importante è l'assistenza legale. Considerando anche i lunghissimi tempi di attesa, sarebbe fondamentale che il migrante venisse in qualche modo preparato e accompagnato al momento decisivo davanti alla commissione territoriale. Purtroppo i grandi numeri del modello stesso del CARA non permettono questo. La legge stessa prevede che al migrante ospite di qualsiasi centro venga fornita una preparazione per la commissione territoriale. In realtà i migranti aspettano 12-14 mesi e in questo periodo non ricevono nessun tipo di formazione, che viene fatta soltanto al momento della comunicazione della data, il che generalmente Pag. 8accade 2 o 3 giorni prima dell'audizione. Ci si ritrova quindi ad un giorno o due dall'audizione a fornire un orientamento legale di massima, ma non c’è una preparazione ad personam per la commissione territoriale. Questa preparazione viene fatta generalmente anche un anno dopo l'arrivo, non è fatta assolutamente in maniera personale ed è semplicemente un orientamento legale, mentre alcuni casi richiederebbero un approccio multidisciplinare, per esempio con sostegno psicologico. Questo riguarda la fase della preparazione per la commissione.
  Anche in fase di ricorso – visto che la percentuale dei dinieghi, come dappertutto, è molto alta – abbiamo riscontrato un problema. Sebbene la legislazione vigente preveda il diritto di ricevere il permesso di soggiorno come ricorrente, permesso che autorizza anche allo svolgimento dell'attività lavorativa, prevede anche la possibilità di richiedere congiuntamente il prolungamento delle misure di accoglienza là dove non vi siano i mezzi di sussistenza. Purtroppo nel CARA – e questo è stato confermato anche dagli operatori legali – laddove il migrante richieda il permesso di soggiorno e quindi acceda alla possibilità di svolgere un'attività lavorativa – è solo una possibilità –, automaticamente deve abbandonare al CARA e rinunciare alle misure di accoglienza. Una gran parte dei migranti con cui abbiamo parlato ci ha riferito di aver rinunciato a richiedere il permesso di soggiorno – e quindi anche alla possibilità di svolgere una attività lavorativa regolare – per paura di dover rinunciare alle misure di accoglienza.
  Abbiamo inoltre avuto due o tre casi di sedicenti minori – quello dei minori non è il nostro settore e tra l'altro non dovrebbero neanche essere ospitati nel CARA di Mineo – per i quali è stata avviata una procedura di accertamento che si è protratta per tantissimo tempo. Erano tutte persone di circa 17 anni, come poi si è accertato, ma le tempistiche sono state talmente lunghe che poi hanno compiuto il diciottesimo anno di età.
  Fondamentalmente è il modello stesso del CARA che non consente né una corretta informativa di orientamento ai servizi all'interno e all'esterno del centro, né una adeguata assistenza legale alla persona. Tra l'altro non abbiamo riscontrato una presenza costante di altri operatori all'interno del centro, per esempio l'UNHCR.
  Veniamo alle attività che svolgiamo noi, che riguardano il supporto psicologico, le certificazioni e la raccolta storie, parliamo quindi sia di assistenza sanitaria che di assistenza psicologica. La Croce rossa fornisce l'assistenza sanitaria 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Generalmente svolge 80 visite ambulatoriali al giorno, quindi parliamo di numeri molto elevati. L'ambulatorio e lo sportello per la distribuzione delle terapie è aperto dalle 9 alle 12 e dalle 16 alle 18. Al momento dell'ingresso al centro viene fatto uno screening medico dopodiché, se vi sono dei segnali di allarme, l'ospite viene richiamato per una visita ambulatoriale oppure l'ospite stesso può ogni giorno recarsi a questo sportello, iscriversi, dopodiché potrà accedere a un medico.
  Quindi il servizio c’è e viene fornito, quello di cui però ci siamo resi conto è che, anche in questo caso, le dimensioni del centro rendono tutto molto difficile. È possibile assistere a file lunghissime per accedere al servizio sanitario e questo crea anche tensioni. Alcuni dei pazienti con cui abbiamo parlato riferiscono di aver ripetutamente chiesto di iscriversi e di essere visitati, ma i lunghi tempi di attesa e i numeri grandissimi non permettono di ricevere un ascolto dedicato e molto spesso si sono ritrovati a dover spiegare ad un medico diverso il solito problema.
  Anche per quanto riguarda lo screening, alcuni operatori della Croce rossa ci hanno riferito che le modalità non sono molto approfondite perché non c’è tempo. Ad esempio spesso il paziente non viene neanche fatto spogliare. Gli vengono rivolte alcune domande generiche però è molto difficile che in questa sede si riscontrino per esempio – per quello che interessa anche noi – segni fisici di violenze o evidenze psicologiche. Si tratta Pag. 9quindi di uno screening molto superficiale per le esigenze stesse determinate dai grandi numeri.
  Un'altra questione, riconosciuta anche dalla responsabile regionale della Croce rossa, è la mancata iscrizione al sistema sanitario nazionale, che è un diritto inalienabile di qualsiasi richiedente asilo, ma che per come è fatto il modello stesso del CARA non è applicabile. Mineo, che è il centro più vicino, ha cinquemila abitanti. L'iscrizione al servizio sanitario nazionale vorrebbe dire che a ciascuno dei quattromila ospiti del CARA dovrebbe essere assegnato un medico che afferisce alla Asl di Mineo e di Caltagirone, il che non è assolutamente fattibile. Il modello attuale, cioè la Croce rossa che fornisce assistenza tramite il tesserino STP (straniero temporaneamente presente) probabilmente è ragionevole, considerate le condizioni del CARA, ma comunque pone il centro in una condizione di extraterritorialità sanitaria, perché comunque la legge prevede l'iscrizione al sistema sanitario nazionale. Quello che noi proponiamo è l'iscrizione al sistema sanitario nazionale e poi eventualmente un accordo siglato con la Asl che riconosca le funzioni di medico di base agli operatori della Croce rossa. Di fatto invece si crea questa situazione di extraterritorialità e anche alla fine del soggiorno al CARA non c’è un adeguato orientamento su come iscriversi al sistema sanitario nazionale, quindi le persone una volta che abbandonano il CARA sotto questo profilo sono abbandonate.
  Per quanto riguarda invece l'area di assistenza psicologica, anche in questo caso c’è un numero insufficiente di operatori. Se noi consideriamo semplicemente una percentuale di vittime di tortura con manifestazioni di tipo psicologico che necessitano sostegno, al 20 per cento della totalità delle persone – che è una stima conservativa – vorrebbe dire che ci sono sei o sette psicologi per 800 persone. Questo ovviamente non garantisce un ascolto dedicato alla persona. Lo stesso screening psicologico che viene fatto consiste in un foglio che viene consegnato in mano al migrante al momento dell'ingresso e che pone delle domande molto violente: hai perso delle persone della tua famiglia ? Sei stato vittima di violenza ? Hai subìto violenze sessuali ? Questa modalità forse non è la più corretta di procedere, anche perché queste domande non sono guidate e soprattutto rischiano di portare alla luce eventi traumatizzanti senza che poi possa essere garantita una adeguata presa in carico psicologica.
  In più c’è uno psichiatra che teoricamente dovrebbe essere presente una volta alla settimana (noi abbiamo riscontrato che qualche volta non è così). Si tratta di una persona che ha in carico 350 pazienti all'interno del CARA ed è una sola, quindi spesso il supporto che viene dato consiste in una mera prescrizione farmacologica.
  Anche in questo caso quindi è il modello stesso del CARA a non consentire un approccio multidisciplinare, la presa in carico è molto frammentaria e non c’è comunicazione tra psicologi, assistenti sociali e Croce rossa. Anche questo induce negli ospiti del CARA un senso di isolamento.
  Infine, il servizio di mediazione linguistico-culturale che è fondamentale, perché comunque stiamo parlando di 3.000-4.000 persone di differenti nazionalità e culture e tutte le attività dovrebbero essere adeguatamente mediate da un mediatore linguistico-culturale che non è semplicemente un interprete. Purtroppo attualmente vi sono 15 operatori culturali per l'intero CARA e a noi è capitato di assistere a visite specialistiche, prenotate da mesi, che non si sono potute effettuare a causa dell'assenza del mediatore culturale. Inoltre questi operatori non sempre ricevono una adeguata formazione che comporti anche minimi rudimenti di psicologia, di empatia e di diritto.
  Vi è infine il problema dell'integrazione sociale. Come dicevamo prima, il CARA è inserito in un contesto, quello di Mineo, isolato geograficamente. Tra l'altro nel CARA risiedono circa 4 mila persone, a fronte degli abitanti di Mineo che sono 5 mila. Anche a detta della responsabile dello «Spazio opportunità» – che offre una serie di servizi all'interno del CARA Pag. 10come il job center e la scuola di italiano –, l'integrazione con il territorio, soprattutto in termini di opportunità lavorative, è molto ridotta. La sproporzione tra le dimensioni del CARA e il territorio circostante rende impossibile avere delle opportunità concrete di integrazione sia lavorativa sia sociale sia scolastica. Il risultato è un senso di isolamento, apatia e sfiducia nel futuro e nei servizi cui si può accedere.
  Abbiamo voluto riportare in questa sede alcune voci dei richiedenti asilo con cui ci siamo interfacciati. Essi lamentano da una parte una apatia, una totale mancanza di attività, mancanza di contatti con l'esterno, il senso di essere comunque lasciati a se stessi e quindi abbandonati, condannati a rivivere e a ripensare a quello che si è subìto senza ricevere un adeguato supporto. Il CARA è visto molto spesso come un luogo che amplifica i problemi invece di risolverli. Noi abbiamo notato anche una certa tendenza, soprattutto nelle persone con problemi psicologici, a voler scappare, a voler abbandonare il centro il prima possibile, perché il fatto di non poter svolgere alcuna attività lavorativa, dover fare in continuazione lunghissime file, in qualche modo porta a pensare continuamente al proprio dolore, a quello che è successo. Come riportato in una delle testimonianze che troverete nel nostro rapporto, queste persone pensano: «se la mia vita deve trascorrere così ogni giorno, non ho più alcuna ragione per vivere».
  Questo è accompagnato da una sfiducia nei servizi offerti. Ad esempio si riconosce che i medici della Croce rossa italiana forniscono assistenza, ma spesso non viene percepita come sufficiente, anche nell'area psicologica: le file interminabili, al termine delle quali ogni volta incontri un medico diverso, al quale devi spiegare tutto da capo... Alcuni ospiti ci hanno riferito che non si recano più all'ambulatorio anche se stanno male, anche se perdono sangue. Noi abbiamo visto persone che stavano veramente male, che si sono spinte fino all'ultimo pur di non dover affrontare questa situazione.
  Per concludere diciamo che il modello stesso del CARA presenta delle caratteristiche che di per sé costituiscono un fattore di rischio per l'insorgenza e l'aggravamento del disagio psichico per tutti i migranti. Il sovraffollamento, le file interminabili, le condizioni di anonimato, i lunghissimi tempi di attesa. L'ho già detto ma voglio ricordarli: 14 mesi prima di essere chiamati dalla commissione territoriale, permanenza di 18-24 mesi in toto; l'isolamento geografico e la mancanza di inclusione sociale; il fatto di sentirsi completamente abbandonati di fronte ad un momento che può veramente cambiare la loro esistenza, cioè l'audizione dinanzi alla commissione territoriale, il fatto di avere documenti o meno, poter avere un progetto di vita in Italia o no, tutto questo non mediato da una adeguata assistenza sanitaria e psicologica. Questo ha un impatto negativo sulla condizione psico-sociale di tutti i migranti; a maggior ragione per quelli vittime di tortura e altri soggetti vulnerabili, il CARA non è l'ambiente migliore per prendere in carico adeguatamente queste persone. Il singolo migrante non è mai al centro, è schiacciato in questa dimensione passiva, in questa dimensione di dipendenza, di sospensione e di attesa.
  Nel rapporto che vi consegneremo abbiamo voluto essere anche costruttivi, per cui proponiamo 7 elementi per noi fondamentali per un modello di accoglienza che potrebbe essere più efficiente ed umano e che in qualche modo è costruito anche sul modello dei centri di accoglienza straordinaria che abbiamo osservato nel ragusano e che quindi risulta essere possibile. Per noi sarebbe importante un modello sicuramente decentrato, con strutture di dimensioni più piccole, di 50-80 persone al massimo, che sia distribuito in maniera uniforme sul territorio, in modo da creare opportunità di integrazione maggiori. Sicuramente bisognerebbe prestare attenzione alle qualifiche e al numero degli operatori impiegati, con la presenza almeno di uno psicologo e un mediatore culturale.Pag. 11
  Per quanto riguarda l'accesso ai servizi sanitari nazionali, sarebbe importante un buon piano integrato per il coordinamento dei servizi sanitari sul territorio. Imprescindibile è l'iscrizione al sistema sanitario nazionale.
  Ovviamente questo modello potrebbe funzionare se adeguatamente monitorato, facendo riferimento a standard di qualità dei servizi chiari, con un organismo di monitoraggio indipendente, il che ovviamente permetterebbe anche di dare al migrante un ruolo più attivo, sia nelle attività che si svolgono all'interno dei centri che fuori. Questo dovrebbe essere accompagnato anche da tempi di attesa per le commissioni territoriali più ridotti, il che potrebbe voler dire aumentare le sedi o il numero dei componenti. Ciò permetterebbe anche una maggior inclusione sociale, prevedendo ovviamente degli strumenti di inserimento socio-lavorativo ad hoc sul territorio, che sarebbero ovviamente più gestibili perché avremmo a che fare con 80 persone e non più 4 mila. Questi sono i 7 elementi che proponiamo sulla base della riflessione che abbiamo svolto.

  PRESIDENTE. La ringrazio davvero per questa esauriente relazione. Do la parola ai commissari che volessero porre delle domande.

  MARIO MARAZZITI. Vi ringrazio per il lavoro che fate. Da quello che dite, per quello che capiamo, la parte propositiva finale ci sembra largamente condivisibile. Per esempio la questione del lavoro, quando alla fine si potrebbe avere il permesso di soggiorno per motivi lavorativi, essendoci mesi e mesi di attesa, quelli sono mesi in cui si potrebbe prendere contatto con il territorio anche più lontano. Quindi il problema enorme che emerge è l'assenza di qualunque cosa, l'inattività, perché quando c’è la possibilità di scelta gli ospiti hanno un anno di tempo per prendere contatto col territorio. Esattamente si tratta di una condizione di superpassività globale del sistema.
  Per quanto riguarda invece la proposta relativa al servizio sanitario nazionale, mi sembra sacrosanta. Mi chiedo perché non possa essere organizzato coinvolgendo più Asl. L'idea di una Asl che ha 5 mila iscritti, cui si aggiungono altri quattromila, tendenzialmente rischia di essere poco funzionale. Anche il fatto di delegare alla Croce rossa, che già si trova in loco, il ruolo di medico di base: il numero di operatori rimane sempre quello. Alla fine cambia il tipo di prescrizione, di ricetta medica, non cambia il tipo di prestazione offerta. Il problema casomai è la sanità di base, quindi semmai conviene allargare il bacino o fare convenzioni con altre Asl, con servizi territoriali oppure servizi mobili, perché altrimenti quelli della Croce rossa sempre quelli rimangono.

  ALBERTO BARBIERI, coordinatore generale dell'Associazione Medici per i diritti umani (MEDU). Se andiamo a vedere il numero di medici che sono presenti quotidianamente nel CARA sono due...

  LAURA DEOTTI, coordinatrice Team MEDU in Sicilia e coordinatrice del progetto ON.TO. Ogni giorno sono presenti minimo due medici, uno per il turno di notte, più cinque infermieri a rotazione.

  ALBERTO BARBIERI, coordinatore generale dell'Associazione Medici per i diritti umani (MEDU). Quindi diciamo che dal punto di vista del rapporto medico di base-paziente, parliamo di 1 a 1.700, quindi oltre il tetto massimo del medico di base che è di 1.500. Il vantaggio di avere medici in loco è sicuramente importante. Probabilmente dovrebbero essere di più, almeno tre, in modo da dare un'assistenza anche numericamente sostenibile.
  La strada delle convenzioni con altre Asl è sicuramente la via maestra, la cosa teoricamente più opportuna sarebbe che i servizi delle Asl intervenissero anche per quel che riguarda la medicina di base, ma il problema è proprio l'isolamento del posto, per cui il paziente che deve andare dal medico di base, che si trova a 30-40 chilometri, alla fine non ci va.
  Un'altra possibilità potrebbero essere le unità mobili che vanno regolarmente nel Pag. 12centro. Questa sicuramente potrebbe essere una opzione, non so quali siano le possibilità delle Asl, però sicuramente con risorse adeguate... Oppure il potenziamento del servizio che fornisce in loco la Croce rossa, che ha il vantaggio di avere il medico lì.

  LAURA DEOTTI, coordinatrice Team MEDU in Sicilia e coordinatrice del progetto ON.TO. In questo modo si potrebbero organizzare anche le visite specialistiche sul territorio. Il problema è proprio la logica attuale del CARA, cioè quella di svolgere qualsiasi prestazione all'interno del centro stesso. Considerando anche l'isolamento geografico, laddove sia necessario svolgere visite specialistiche, si creano tutta una serie di problemi, non ultimo il fatto che le Asl di competenza non hanno mediatori culturali, quindi molto spesso le persone che arrivano a fare una visita specialistica non possono portarla avanti perché il mediatore culturale del CARA non è disponibile e in loco non ci sono mediatori culturali. Per questo il nostro progetto ON.TO. prevede anche un progetto di formazione con le Asl di competenza, perché ci siamo resi conto che, per l'accoglienza di migranti con problematiche particolari, le Asl non possono fornire questo tipo di servizio.
  Bisognerebbe fare una formazione delle Asl di competenza per risolvere questo problema di trasporto che è anche un problema di autonomia, perché ad oggi le visite specialistiche passano sempre attraverso la Croce rossa e il paziente stesso non ha chiaro cosa farà, dove andrà, c’è un problema di comunicazione.

  PAOLO BENI. Vi ringrazio molto per tutto il quadro che avete fatto che è molto utile. Rispetto ai 350 addetti di cui avete parlato, voi avete soprattutto sottolineato l'inadeguatezza dal punto di vista del rapporto numerico e della preparazione dei ruoli chiave per il sostegno legale, psicologico, sanitario, eccetera. E gli altri ? Le mansioni di questi 350 quali sono ?

  LAURA DEOTTI, coordinatrice Team MEDU in Sicilia e coordinatrice del progetto ON.TO. C’è la Protezione civile, la mensa, addetti logistici, sono tutti afferenti alle forze dell'ordine e all'operatività.

  PRESIDENTE. Io avrei qualche domanda relativa alla vostra esperienza di monitoraggio. In primo luogo, vorrei sapere se avete riscontrato difficoltà relative all'alimentazione. Ci sono disturbi alimentari oppure indicazioni relative a come viene erogato il servizio del pasto, la varietà, eventualmente anche il rispetto delle diverse provenienze culturali e religiose.
  In secondo luogo, vorrei sapere, sulla base della vostra esperienza di monitoraggio, quali strutture di diagnostica sono coinvolte ? Per le patologie più gravi, laddove sono necessari interventi di carattere ospedaliero, sapete quali sono gli ospedali o i centri convenzionati, se ci sono ? Sapete se sono coinvolti più centri privati oppure ospedali pubblici ?
  La terza domanda riguarda un fenomeno che è stato più volte segnalato da altre persone che ho incontrato ed è la presenza di prostituzione. Esiste a vostro giudizio anche negli ambienti protetti dove avete svolto gli incontri ? Qualcuno mi diceva che le donne nigeriane sono concentrate in un'area periferica del CARA. Domando per sapere, non domando perché io già sappia.
  La quarta domanda invece è relativa alla vostra percezione di una questione su cui il consorzio spinge molto e che impiega anche molte risorse, su cui vogliamo fare approfondimenti, anche dal punto di vista gestionale: si tratta di tutte le attività connesse ludico-ricreative. Ad esempio sono usciti molti più articoli sulla squadra di calcio del CARA di Mineo piuttosto che sulle condizioni reali del centro. Queste attività secondo voi hanno davvero un impatto ? Sono soltanto delle domande, tutte le considerazioni le rimando a dopo. Noi andremo a verificare tutti i finanziamenti – acquisendo le carte – delle sagre, delle attività ludico-ricreative che, secondo le interviste che io ho visto sui giornali, Pag. 13venivano rappresentate come un momento di integrazione e di socializzazione. Io su questo ho una mia idea, però volevo conoscere anche la vostra.

  LAURA DEOTTI, coordinatrice Team MEDU in Sicilia e coordinatrice del progetto ON.TO. Per quanto riguarda l'alimentazione, premesso che la mensa riservata agli ospiti è diversa da quella riservata agli operatori del centro a cui abbiamo accesso anche noi – quindi non abbiamo mai potuto verificare personalmente –, sappiamo che vengono forniti i pasti tre volte al giorno, pasti che comprendono primo, secondo, contorno, dolce, acqua, secondo la normativa vigente. Nei colloqui che abbiamo avuto con gli ospiti – all'interno del CARA ormai abbiamo parlato con più di una cinquantina di persone con cui si è creata anche una certa relazione di fiducia – non è mai stata espressa una criticità relativa al cibo fornito, anche se molti ammettono di portarsi il cibo a casa e di comprarsi anche altri prodotti per aumentare la varietà (quindi anche lì, fornelletti e tutto l'equipaggiamento per uso personale).
  Il CARA prevede anche tre punti di distribuzione di cibo specifici: uno per chi ha certificati che certificano patologie particolari e quindi richiedono un certo tipo di alimentazione; il «CARA mamma», che fornisce cibo per chi ha bambini da 0 a 36 mesi; infine un altro punto di «distribuzione famiglie» per chi ha bambini al di sopra del 36 mesi. Logisticamente coprirebbero diverse esigenze. Alcuni pazienti che hanno problemi legati anche alle vie urinarie – sono moltissimi – e all'apparato digerente lamentano che non gli sia stato dato quel certificato e quindi quella dieta specifica per poter accedere allo «spazio certificazione». Oppure ci sono persone – abbiamo incontrato almeno 5 o 6 casi – che, a seguito del viaggio e delle percosse subìte, hanno avuto fratture, arti rotti, e hanno difficoltà a fare queste lunghissime file alla mensa generale. Non hanno ricevuto il certificato per accedere in via prioritaria alla distribuzione e quindi lamentano questi lunghissimi tempi di attesa.
  Non c’è quindi una criticità nella produzione di cibo, ma anche qui le grandi dimensioni impediscono di dare un servizio ad hoc alla persona. Non viene data attenzione a persone che avrebbero diritto ad un accesso prioritario o ad una alimentazione specifica. In linea generale molte persone con cui parliamo hanno problemi digestivi, perché ovviamente la dieta è diversa da ciò cui sono abituati. Il fatto di mangiare sempre pasta o riso è una dieta omogenea, differente da quella a cui sono abituati. Quindi moltissimi lamentano problemi all'apparato digerente di varia natura, oltre che infezioni alle vie urinarie. Questo ovviamente dovrebbe avere una ripercussione anche sull'alimentazione, ma non è possibile farlo ad hoc, a meno che non si abbia un certificato specifico.
  Per quanto riguarda invece le visite specialistiche, la Croce rossa fornisce un servizio ambulatoriale. Una volta alla settimana ci sono specialisti che vengono in loco e forniscono servizi. Parliamo di uno psichiatra, un ginecologo e un pediatra. Per tutto il resto, si prenotano delle visite specialistiche. Purtroppo abbiamo riscontrato in tempi lunghissimi di attesa, anche per chi doveva essere sottoposto a operazioni piuttosto complesse, spesso alle vie urinarie.
  Si parla di tempi di attesa molto lunghi. Abbiamo visto casi deferiti al Cannizzaro di Catania. Spesso ci si rivolge agli ospedali pubblici. Questa è la nostra esperienza. L'ospedale di Caltagirone per una prima visita poi, per i casi più complicati, che ad esempio necessitano un intervento, ci si rivolge al Cannizzaro di Catania.
  Per quanto riguarda il fenomeno della prostituzione, personalmente non abbiamo alcuna evidenza. Quello che è evidente è la presenza fisica di ragazze sulla Catania-Gela, questo lo noterete anche voi. All'interno del CARA però non abbiamo mai parlato con ospiti che ci abbiano rivelato l'esistenza di questo tipo di attività. Però è anche vero che la nostra percezione – e questo lo vorremo condividere con voi – è che ci sia un clima di controllo molto forte.
  Ci siamo interfacciati anche con i rappresentanti di alcune comunità che all'inizio Pag. 14ci hanno manifestato paura a far vedere che parlavano con noi. Questo ha reso piuttosto difficile l'avvicinamento di pazienti, soprattutto donne. Fino ad adesso abbiamo avuto contatti con 5 di loro, non di più. In un caso una ragazza era vittima di tratta fin dal suo paese (il Camerun), una storia tremenda. La sua richiesta si era arenata davanti alla commissione, erano cinque mesi che non veniva preso nessun tipo di decisione. La ragazza da un giorno all'altro ha lasciato il CARA e non siamo stati più in grado di rintracciarla. Non abbiamo quindi evidenza diretta, però abbiamo percepito questo clima di remore a parlare liberamente con operatori esterni. Anche nel nostro lavoro, creare una relazione di fiducia con gli ospiti del centro non è automatico.
  Infine, per quanto riguarda le attività ludico-ricreative, all'interno del CARA esiste questo «spazio opportunità» che fornisce tutta una serie di attività: c’è un job center, c’è la scuola di italiano, ci sono vari corsi di danza, di musica, la scuola di calcio. È stato fatto uno sforzo per fornire dei servizi. Viene fatta anche una alfabetizzazione informatica di base. Tuttavia la percezione che abbiamo – almeno con le persone con cui abbiamo parlato noi – è che questi servizi ci sono, ma vi accede una parte minoritaria della popolazione.
  Ad esempio, ai corsi di italiano vi sono tantissimi iscritti, ma dopo un mese o due vi è un alto tasso di abbandono, non tanto per la qualità del servizio offerto, ma perché i ragazzi lamentano l'impossibilità di riuscire a concentrarsi, perché hanno la preoccupazione dei documenti, la sensazione di essere soltanto un numero e non una persona. Anche il fatto di andare una volta alla settimana al corso di italiano non è il tipo di attività che li fa sentire utili e che restituisce loro la dignità di persona. È come se il problema della comunicazione e quella relazione squilibrata tra l'operatore e il migrante si riflettesse anche nell'accesso ai servizi che vengono sentiti come servizi distanti.

  ALBERTO BARBIERI, coordinatore generale dell'Associazione Medici per i diritti umani (MEDU). Volevo aggiungere soltanto due brevissime considerazioni. Per quanto riguarda i disturbi gastro-intestinali, che noi abbiamo visto con grande frequenza, sono da ricollegare alla tipologie di pazienti che noi vediamo. Noi vediamo pazienti che sono stati vittime di torture e violenze, che successivamente hanno manifestato dei disturbi psichici legati a questi trattamenti e quindi disturbi post-traumatici da stress, depressione maggiore, e altri quadri psicopatologici. In questo caso i disturbi gastro-intestinali sono spesso delle somatizzazioni di una sofferenza psicologica più ampia. Noi vediamo spessissimo disturbi gastro-intestinali e dolori diffusi, come cefalee, che però sono particolarmente legati al tipo di paziente che stiamo seguendo.
  Infine tutte queste considerazioni mettono in risalto ancora di più quello che è il «peccato originale», cioè il modello del CARA di Mineo, quindi le dimensioni abnormi, il sovraffollamento, oltre la capacità ricettiva massima, creano delle situazioni obiettivamente nostro avviso ingestibili, a prescindere dalla buona volontà dell'ente gestore. Ci sono anche delle criticità, ma il problema è proprio il modello di una macrostruttura di queste dimensioni in un contesto completamente isolato che crea delle storture che difficilmente sono recuperabili, se l'obiettivo è quello di dare una buona accoglienza, favorire un percorso di integrazione e dare un supporto adeguato alle persone vulnerabili. Se gli obiettivi del CARA sono questi, il modello è sicuramente fallimentare.

  PRESIDENTE. Avrei un'altra domanda sulla disponibilità di farmaci: vorrei sapere se secondo voi ci sono approvvigionamenti adeguati.

  LAURA DEOTTI, coordinatrice Team MEDU in Sicilia e coordinatrice del progetto ON.TO. Noi non abbiamo riscontrato criticità da questo punto di vista. I farmaci vengono prescritti, c’è uno sportello al quale ogni giorno gli ospiti del centro Pag. 15possono recarsi per ricevere la terapia, pillola per pillola, dose per dose, ogni giorno. Questo ovviamente in alcuni casi crea ulteriore stress, perché dover andare allo sportello ogni giorno, per prendere la terapia due volte al giorno, qualche volta si sono creati ritardi, non tanto per la mancanza del farmaco. Quindi noi non abbiamo riscontrato grosse criticità da questo punto di vista.

  PRESIDENTE. Poiché non ci sono altre domande, dichiaro conclusa l'audizione. Ringrazio la dottoressa Deotti e il dottor Barbieri.
  Segnalo ai colleghi e ai consulenti della Commissione che la navetta per l'aeroporto di Fiumicino partirà alle 11 dall'autorimessa della Camera dei deputati. Come forse già sapete, noi andremo oggi a Mineo. Ci sarà molto utile la documentazione che ci avete fornito, sia quella su supporto magnetico che quella su supporto cartaceo, che sarà nostra cura distribuire ai commissari.

  La seduta termina alle 10,25.