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XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 129 di Mercoledì 13 gennaio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori.
Bindi Rosy , Presidente ... 3 

Audizione del presidente di Libera, don Luigi Ciotti.
Bindi Rosy , Presidente ... 3 
Ciotti Luigi , presidente di Libera ... 4 
Fiore Valentina , membro dell'ufficio di presidenza di Libera ... 7 
Ciotti Luigi , presidente di Libera ... 11 
Bindi Rosy , Presidente ... 11 
Mirabelli Franco  ... 11 
Lumia Giuseppe  ... 12 
Bindi Rosy , Presidente ... 14 
Gaetti Luigi  ... 14 
Vecchio Andrea (Misto)  ... 15 
Molinari Francesco  ... 15 
Costantino Celeste (SI-SEL-POS-LU)  ... 15 
Taglialatela Marcello (FdI-AN)  ... 16 
Bindi Rosy , Presidente ... 16 
Ciotti Luigi , presidente di Libera ... 16 
Fiore Valentina , membro dell'ufficio di presidenza di Libera ... 19 
Pati Davide , membro dell'ufficio di presidenza di Libera ... 20 
Bindi Rosy , Presidente ... 21 
Vecchio Andrea (Misto)  ... 21 
Pati Davide , membro dell'ufficio di presidenza di Libera ... 22 
Bindi Rosy , Presidente ... 22 
Ciotti Luigi , presidente di Libera ... 22 
Bindi Rosy , Presidente ... 22

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 14.10.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del presidente di Libera, don Luigi Ciotti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente di Libera don Luigi Ciotti. Don Luigi Ciotti è accompagnato dai componenti dell'ufficio di presidenza di Libera Davide Pati, Valentina Fiore, Luigi Lochi, Simona Perilli e Giuseppe Ruggiero.
  L'audizione rientra tra i compiti di cui alla lettera m) dell'articolo 1, comma 1, della legge istitutiva in merito alla verifica dell'adeguatezza delle strutture preposte alla prevenzione e al contrasto dei fenomeni criminali, nonché al controllo del territorio, anche consultando le associazioni di carattere nazionale o locale che più significativamente operano nel contrasto alle attività delle organizzazioni criminali di tipo mafioso. Si colloca, in particolare, nel filone di inchiesta che la Commissione ha inteso aprire sul movimento civile dell'antimafia per approfondirne i tratti caratteristici, per individuarne anche i limiti e le contraddizioni evidenziati anche dai recenti fatti di cronaca, ma soprattutto per rilanciarne il significato, l'attività e la presenza.
  A tale proposito desidero rivolgere un ringraziamento particolare a don Luigi Ciotti per la disponibilità e la collaborazione mostrata nei confronti della Commissione, sia in occasione informale – ricorderemo l'incontro di don Luigi nell'Ufficio di Presidenza – sia in sede formale, nell'audizione di oggi, a quasi dieci anni di distanza da quella del 15 febbraio 2007, unico precedente in Commissione antimafia della presenza di don Luigi.
  Ricordo che la seduta si svolge nelle forme dell'audizione libera e che, ove necessario, i lavori potranno proseguire in forma segreta.
  Nel dare la parola a don Luigi, non posso non fare riferimento oggi a un'anticipazione, che è sulle agenzie, di un'intervista sul settimanale Panorama che uscirà domani, nella quale il pubblico ministero Catello Maresca, PM dell'antimafia napoletano, rivolge dei veri e propri attacchi a Libera, definendola «una sorta di monopolio nella gestione dei beni confiscati» e arrivando anche ad accuse pesanti. «Libera» conclude «gestisce i beni attraverso cooperative non sempre affidabili. Io ritengo che questa antimafia sia incompatibile con lo spirito dell'antimafia iniziale», in qualche modo insinuando anche che alcune organizzazioni e associazioni che dovrebbero combattere la mafia a loro volta siano mafiose nel metodo e nel comportamento.
  Credo che questa sia l'occasione nella quale, attraverso una riflessione di carattere più generale che riguarda Libera e il nostro impegno nell'inchiesta antimafia, Pag. 4don Luigi e i suoi collaboratori avranno la possibilità di rispondere anche a queste accuse pesanti. Anch'io le ritengo assolutamente gratuite e infondate, pur essendo noi tutti consapevoli che i movimenti vivono nella storia e nascono e crescono nelle contraddizioni della storia e da queste sono attraversati. Guai a chi non ha il senso del limite, anche del proprio limite.
  Tuttavia, come Commissione, siamo sicuri che questo sia anche lo spirito e l'intento di questo straordinario movimento che, affiancando le forze dell'ordine e le istituzioni, ha combattuto la mafia in questi anni e che i limiti possano essere individuati, chiamati per nome e superati, perché lo spirito che ci muove è quello di un'unità vera e profonda nella lotta ai poteri criminali.
  Ringrazio don Luigi e tutta la sua presidenza e gli do volentieri la parola.

  LUIGI CIOTTI, presidente di Libera. Sono io che ringrazio voi e con una certa emozione torno in questa aula. Voglio esprimere la gratitudine per questa sollecitazione e questo invito, che credo, oltre alla gratitudine, rappresenti un senso di responsabilità. C’è bisogno da parte di tutti di conoscenza, ma soprattutto – vi prego – di verità. C’è bisogno di verità da parte di tutti e di seria conoscenza.
  Questo è un problema di dignità. Io devo difendere la dignità di un'associazione che svolge il coordinamento di 1.600 associazioni, che opera con oltre 5 mila scuole in questo nostro Paese e che ha firmato con sessantaquattro facoltà i protocolli per l'università in questi temi e in questi percorsi. Qui non c’è Luigi Ciotti: io rappresento un «noi» che si è costruito in questi anni.
  Libera nasce dopo le stragi di Capaci e di via D'Amelio. Nasce nel sostegno, nella consapevolezza e anche nella gratitudine rispetto a quanti in Sicilia sono già fortemente impegnati, ma anche nella consapevolezza che questa dimensione del problema è un tema che doveva attraversare tutta l'Italia.
  Nella città in cui io sono emigrato dal Veneto era stato ucciso il procuratore della Repubblica Bruno Caccia. Quindi, c’è una storia che ha legato il sud con il nord già in quegli anni. È in questo senso che esprimo la mia gratitudine e questo invito alla responsabilità e alla ricerca della verità da parte un po’ di tutti.
  Faccio solo una scheda e poi con gli altri amici porteremo il contributo. Voi sapete che Libera nasce nel pensiero dopo le stragi, ma poi si formerà nel luglio del 1994. Ufficialmente c'era un percorso che era stato costruito e che ha messo insieme il centro, il nord e il sud del nostro Paese.
  La nostra denominazione è stata «Associazioni, nomi e numeri» per intendere la molteplicità delle sigle e delle esperienze che vi confluiscono e soprattutto per sottolineare la molteplicità dei mondi. In Libera voi trovate dall'Azione Cattolica Italiana a Legambiente, dall'AGESCI all'ARCI, dal movimento degli anziani alla Chiesa valdese e alla Chiesa ortodossa, da giovani studenti alla FUCI. È una grande trasversalità di realtà, di sigle e di movimenti nell'impegno che ci siamo assunti di portare il nostro contributo fatto di un «noi».
  L'abbiamo subito chiamata «Associazioni, nomi e numeri contro le mafie» perché questo è il sostantivo plurale che l'associazione ha adottato da subito. Pur partendo dalle stragi avvenute in Sicilia, si ha questa lettura di una dimensione più ampia del problema.
  L'atto ufficiale è del 25 marzo 1995. A sostenere questo percorso vorrei ricordare una grande donna, Saveria Antiochia, e un grande magistrato, Nino Caponnetto. Loro sono stati i grandi sostenitori di questo percorso, che ci ha visto unire un po’ la storia del nostro Paese.
  La prima delle grandi scelte – voi la conoscete – è stata la memoria. Il 1996 si è tenuta qui a Roma la prima giornata della memoria e dell'impegno. Da quel momento il 21 marzo, il primo giorno di primavera, è diventato uno degli appuntamenti fissi nell'agenda dell'Italia civile. Siamo riusciti a mettere insieme alcune migliaia di familiari con la loro storia per dare sostegno e per lottare per la loro dignità e per i loro diritti.Pag. 5
  Un secondo percorso è quello dei beni confiscati. Come voi sapete e mi insegnate, il punto di partenza della campagna è stato per noi, ovviamente, la legge Rognoni-La Torre del 1982, varata a pochi giorni di distanza dall'assassino del prefetto Dalla Chiesa. Quando Libera nasce, sentiamo la necessità di una mobilitazione civile, perché la parte di quella legge sulla confisca non funzionava e non graffiava come avrebbe dovuto. Libera cominciò a raccogliere un milione di firme in tutta Italia, partendo da Corleone, per migliorare quella legge e la destinazione. Questo è l'aspetto nuovo, l'aspetto in più dell'uso sociale di questi beni – è stato un percorso molto impegnativo, di cui molti di voi sono stati protagonisti – che ci porterà la legge n. 109 del 1996. Il 7 marzo si compiranno i vent'anni di questo percorso.
  Nel 2000 abbiamo avviato il progetto Libera Terra, nato con la prefettura di Palermo. Vorrei ricordare un prefetto che non c’è più e che si era inventato di tutto, perché non c'erano strumenti per tradurre. Il prefetto che non c’è più è Renato Profili.
  Nel 2001 nasce la Placido Rizzotto con bando pubblico, anche qui sempre con la prefettura e con i vari territori.
  Nel 2007 Libera ritiene che sia necessaria l'adozione di un disciplinare per la concessione del marchio Libera Terra. Le cooperative non sono di Libera. Libera, come molti di voi sanno, non gestisce le cooperative, ma le promuove. Precisare questo mi sembra molto importante per evitare equivoci.
  Pertanto, si è lottato per avere quella legge, per avere quello strumento. Le cooperative vengono realizzate con le prefetture, con il bando pubblico. Si è lavorato – attenzione, il fatto è molto importante – per creare consorzi di comuni sul territorio, che prima non c'erano, per poter gestire insieme queste realtà e questi contenuti.
  Il progetto Libera Terra, promosso da Libera ma diventato poi autonomo, perché così sono le cooperative, comincia nel 2000. Nel 2001 nasce la prima cooperativa con bando pubblico e nel 2007 introduciamo un disciplinare per imprestare il marchio Libera Terra, perché c’è quel «Libera» che lo determina e che ha un suo valore e un suo preciso significato. Nel marchio che viene consegnato si chiedono requisiti etici e sociali, ma anche tecnici e qualitativi per un'economia sociale che è molto importante in questo senso.
  Un altro passaggio che per noi è stato importante è il tema della formazione e dell'informazione. Ho detto prima che abbiamo un rapporto privilegiato con il mondo della scuola, dalle scuole elementari alle scuole medie, a quelle superiori di ogni ordine. Voi mi insegnate, infatti, che la produzione di conoscenza è fondamentale e importante. Oltre 5 mila scuole fanno parte di questi percorsi e di questi progetti educativi, oltre alle università cui ho fatto riferimento prima.
  Nel 2007 l'alleanza con il mondo accademico è culminata con un protocollo generale con il Ministero dell'università e della ricerca. Mi fa piacere dire qui che, per esempio, la città di Milano, tutte le facoltà universitarie milanesi e tutti i rettori insieme hanno creato una strategia con noi proprio all'interno di tutte le facoltà di Milano. Tutte insieme, con tutti i rettori, hanno voluto costruire un percorso, e così hanno fatto altre università per l'Italia.
  Il nostro statuto è cambiato nell'arco di questi anni. Vent'anni fa Libera è nata solo come «Associazioni», ma nel 2005 abbiamo allargato le adesioni individuali a cittadini che chiedevano di poter far parte di questo percorso. Nel 2005 c’è stata, quindi, la prima svolta nel nostro statuto.
  Nel 2005 c’è stata una nuova fase strategica: sono nati Libera Informazione e il Consorzio Libera Terra Mediterraneo, perché nel frattempo erano nate diverse cooperative in giro per l'Italia che si sono messe insieme per rendere più efficace e più efficiente il loro percorso.
  Nel 2010 Libera fa la battaglia, come era stato fatto allora nel 1996, per la confisca dei beni ai corrotti. Voi sapete delle migliaia di firme che sono state raccolte e consegnate al Presidente Napolitano. Nel 2006 cominciammo i primi Pag. 6incontri di Contromafie: oltre 2.500 persone, da magistrati al mondo dell'informazione, ad associazioni e gruppi si riuniscono in una sorta di Stati generali ogni due o tre anni per fare insieme il punto della situazione e operare in un dato modo.
  Nel 2008 nasce il coordinamento europeo. Oggi Libera la trovate a Parigi come a Londra, come a Berlino. L'avere messo insieme cittadini, associazioni, gruppi e movimenti ha fatto un po’ storia e offre, quindi, ad altri Paesi europei la richiesta di costruire dei percorsi. Abbiamo lavorato cinque anni al Parlamento europeo per stimolare la direttiva della confisca e dell'uso sociale dei beni a livello europeo.
  La seconda svolta statutaria per noi è del 2009. È stato deciso di mettere la faccia nei processi per non lasciare sole le vittime ed essere al fianco di un percorso di chiarezza e trasparenza. Attualmente ci siamo costituiti parte civile in diciassette processi nel nostro Paese, sollecitati dai territori.
  Nel 2009 nascono i presìdi. I presìdi oggi sono 263. Sono realtà locali sparse per tutta Italia: 21 sono i coordinamenti regionali, 79 i coordinamenti provinciali e 263 i presìdi locali. È stata prevista, quindi, la possibilità di dare vita sul territorio, oltre che ai coordinamenti provinciali e regionali, anche a queste realtà. È stata un'esplosione, ma anche una presenza ben diffusa al sud, al centro e in tutto il territorio nazionale.
  Su varie sollecitazioni è nato il nostro movimento ALAS (America Latina Alternativa Social), perché le esperienze realizzate in Italia dai movimenti civili contro le mafie sono diventate un riferimento per la società messicana e per altri Paesi latini. Si è lavorato in questa direzione. A darci una mano a fare gli incontri in America Latina è stata la Conferenza episcopale italiana, che ha sostenuto questi percorsi per mettere insieme tante realtà che veramente hanno trovato dei punti di riferimento in questa novità, che mette insieme associazioni, movimenti e scuole in modo diverso.
  Siamo stati anche noi, come voi, sostenitori di quello che arriverà nel 2010 e che si era chiesto fin dall'inizio, ossia finalmente l'Agenzia nazionale dei beni confiscati. Vi accenno solo. In questi ultimi anni in quest'antimafia sociale sono nati sportelli SOS giustizia presenti in molti territori per essere un punto di riferimento, la campagna «Riparte il futuro» sul tema della corruzione, la campagna «Illuminiamo la salute» con altri organismi che si occupano della sanità nel nostro Paese contro la corruzione nella sanità e la campagna «Miseria ladra» sul gioco d'azzardo, lo sport e la legalità e la lotta per il doping, che ha visto grande protagonista uno di noi, Alessandro Donati, proprio con la sua passione e la sua grande esperienza.
  A Latina, nella giornata della memoria e dell'impegno di due anni fa, dopo l'incontro di 1.200 familiari in rappresentanza di tanti altri con Papa Francesco, da quel palco avevamo denunciato che alcune parole venivano usate e abusate nel nostro Paese. Da quel palco avevamo detto che l'antimafia è un problema di coscienza e di responsabilità. Non poteva essere una carta d'identità che uno tira fuori a seconda delle circostanze.
  L'8-9 febbraio 2014, a Monte Porzio Catone, in un albergo confiscato dove noi teniamo gli incontri per sostenere quella cooperativa che speriamo nasca, perché i dipendenti non perdano un'occasione di lavoro, già allora avevamo voluto riflettere, accompagnati da persone amiche esperte, su «Le trappole dell'antimafia». Le trappole dell'antimafia le abbiamo ben chiare davanti agli occhi, mai come oggi.
  Lascio la parola perché possa portare il suo contributo rispetto a uno di questi nodi fondamentali, che riguarda proprio le cooperative, con riferimento a quello che ha detto la presidente. Le dichiarazioni di questo magistrato sono sconcertanti. Vi dico che sono sconcertanti.
  Chiedo solo che ci sia verità e giustizia in questo nostro Paese. Mi fa piacere che il direttore dell'Agenzia nazionale per la gestione dei beni confiscati alla mafia, in un'intervista ad Affari Italiani, abbia ribadito Pag. 7un punto. Noi dobbiamo ribadirlo con forza, ma lascio a lui la parola, avendo questo ruolo importante. Si dice che le associazioni (parliamo di Libera) ricevono in gestione i beni confiscati alla mafia. Libera non riceve alcun bene. I beni vengono dati ai comuni, che poi li assegnano alle cooperative. Sono loro che operano, insieme a Libera, che agisce soprattutto nella fase di formazione della cooperativa stessa. Noi ci occupiamo di formazione, prepariamo il territorio, lavoriamo con la prefettura e con i comuni, ma – dice Postiglione – le strutture non sono di Libera. È sempre il comune che le assegna.
  C’è questo equivoco, per cui qualcuno vuole attribuire a don Ciotti la capacità di concentrare beni e potere economico. Non è assolutamente così. Ci sono pochissime cose assegnate direttamente alla sua associazione, ma si tratta di una rete neurale, che può unire queste cooperative e fare passi avanti nell'utilizzo dei beni confiscati.
  Libera gestisce solo sei strutture. Le 1.600 associazioni usufruiscono di sei strutture. Una è la sede di Libera qui a Roma, poi c’è un piccolo appartamento condiviso con Addiopizzo di tre stanze a Catania. Sono sei piccole strutture di servizio di questa grande rete. Ben vengano, ma le semplificazioni e i giudizi che vengono espressi non aiutano la verità. Lascio in questo senso la parola ai miei collaboratori.

  VALENTINA FIORE, membro dell'ufficio di presidenza di Libera. Sono Valentina Fiore, amministratore delegato del Consorzio Libera Terra Mediterraneo, nonché membro dell'ufficio di presidenza di Libera.
  Volevamo approfittare per fare chiarezza sul tema delle cooperative che gestiscono beni confiscati, in particolare quelle che ci riguardano più da vicino, che fanno parte del circuito Libera Terra. Si tratta di un progetto, come ha detto don Luigi, promosso e in qualche modo indirizzato politicamente e valorialmente dall'iniziativa di Libera, ma è solo ed esclusivamente una delle opportunità che oggi hanno i gestori di beni confiscati di aderire a una rete.
  In questo momento la rete, così nota, si concretizza nell'assegnazione di un marchio che ha un suo disciplinare che viene utilizzato per contraddistinguere dei prodotti alimentari. Essi vengono realizzati principalmente con le materie prime provenienti dai terreni agricoli confiscati e sequestrati gestiti dalle cooperative che decidono di chiedere questo marchio. Chiedendolo, le cooperative decidono di sottoporsi al rispetto dei requisiti che vengono richiesti.
  In particolare, oggi le cooperative di Libera Terra sono nate tutte per questa iniziativa particolare, per questa modalità particolare che ha Libera di promuovere sul territorio il coinvolgimento concreto, che realizza mediante il bando pubblico. Chiaramente non tutte le cooperative che gestiscono beni confiscati in ambito agricolo oggi fanno parte di Libera Terra, né tutte sono nate in questo modo. Ce ne sono moltissime che non hanno avuto niente a che fare con Libera nella loro storia e nella loro strada, eppure gestiscono terreni e realizzano prodotti che hanno altri marchi. Questa è, dunque, una microrealtà all'interno di un panorama generale oggi presente nel Paese.
  Le cooperative che hanno la concessione del marchio Libera Terra sono soggetti autonomi costituitisi, come tutte le cooperative sociali, dal notaio e hanno dei loro obblighi in quanto imprese. Questa è già la prima grande differenza: sono imprese. Libera è un'associazione.
  Tali imprese hanno come finalità e attività delle diversità molto chiare stabilite anche dalla legge. Sono cooperative sociali, perché questa è l'unica forma di impresa che oggi la legge permette che possa gestire dei beni immobili confiscati. L'essere sociale si caratterizza, in questo caso, sia per la gestione del bene confiscato nell'ottica di restituzione di un beneficio al territorio, sia per l'inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati.
  Nel caso di Libera Terra sono nove le cooperative che oggi fanno parte del circuito. Pag. 8Sono tutte cooperative sociali di tipo B, ossia si occupano solo ed esclusivamente di inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati. Ripeto, ci sono tante altre cooperative sociali di tipo A o di tipo B che fanno altre attività su altri beni confiscati e che per loro scelta hanno deciso altre strade proprio perché questa è solo una delle possibilità.
  Il disciplinare è servito non solo per regolamentare chi può avere il marchio o meno, ma anche per dare una strategia e una politica che Libera vuole fornire sul senso del recupero del bene confiscato, in particolare di un bene confiscato che sia produttivo, come nell'esempio dei terreni agricoli.
  L'idea di Libera Terra è quella di dimostrare concretamente che il fatto che ci sia un bene confiscato e riassegnato per uso sociale in un territorio possa creare, non solo a chi lo gestisce direttamente, ma anche a tutto il territorio, benefici concreti, lavoro, indotto, qualcosa che può essere veramente motore di cambiamento nella quotidianità delle persone che su quel territorio insistono. L'unica maniera per poter fare questo è quella di impattare nella quotidianità delle persone e, in primo luogo, sul loro lavoro, chiaramente.
  Il rispetto dell'ambiente è insito nel fatto che i beni che vengono gestiti dalle cooperative di Libera Terra sono beni di proprietà delle cooperative, ma pubblici e devono anche ritornare al pubblico, visto che l'assegnazione è temporale e non indefinita. Ci sono dei limiti temporali nell'assegnazione. Il coinvolgimento dei territori viene attivato in diversi modi da un punto di vista socioculturale. Ci sono scolaresche che vengono in visita a conoscere questa esperienza. Questa è una delle modalità, ma anche da un punto di vista concreto e produttivo, come dicevo, attraverso la creazione dell'indotto si coinvolgono anche produttori locali.
  È chiaro che un'esperienza di questo tipo, che vuole essere un'eccellenza da un punto di vista non solo di legalità, ma anche di etica, di correttezza e di equità, non può prescindere dal fatto di rappresentare e lavorare per essere cooperative vere, oltre che sociali, sui beni confiscati. Essere cooperative vere, nei nostri territori, dove in molti casi la cooperazione non ha una storia consolidata come avviene in alcune regioni del Paese, significa essere reali nella consapevolezza dei soci e nella capacità da parte loro di prendere delle decisioni.
  Questo significa formare, informare e attivare un processo di cambiamento e soprattutto essere trasparenti. Lo devono fare tutte le cooperative e ancor di più noi, che gestiamo un bene pubblico e su questo facciamo economia. Abbiamo individuato – questa è la grande sfida politicamente lanciata anche dall'associazione Libera – l'impresa non come il fine in sé, ma come lo strumento per poter attivare processi di cambiamento reali nel territorio.
  Essere trasparenti è facile per un'impresa che ha degli obblighi di legge rispetto al bilancio che annualmente deve pubblicare. Tutte le cooperative di Libera Terra depositano il registro dell'impresa e il bilancio, così come gli adempimenti che sono richiesti a tutte le imprese. Parlare di trasparenza in questo caso è un po’ un eufemismo.
  Nel nostro caso, però, abbiamo ritenuto opportuno andare oltre. La legge non ci dice che dobbiamo indicare quali sono i terreni che gestiamo, né qual è la percentuale di soggetti svantaggiati rispetto all'obbligo di legge che abbiamo inserito anno dopo anno. Le nostre cooperative vogliono farlo e lo fanno.
  Chiaramente si tratta di un percorso. Essendo nove, non tutte le cooperative sono allineate a livello di maturità e di consapevolezza anche professionale, ma c’è una sorta di solidarietà intergruppo tale per cui l'una cerca di supportare l'altra.
  Questo tema in particolare della trasparenza è sempre stato un pallino soprattutto delle cooperative più vecchie, che hanno anche la possibilità di avere un'esperienza e una competenza importante. Chi va a vedere i nostri bilanci credo se ne renda conto, soprattutto se va a guardare bilanci analoghi di cooperative sociali Pag. 9dello stesso territorio che fanno magari attività agricola non su beni confiscati e non su Libera Terra.
  Per noi l'elemento della professionalità e della qualità dell'essere cooperative passa anche da questo. Il bilancio non è un momento che riguarda il commercialista e le tasse che vanno pagate, ma è un momento in cui ci si rende aperti e pubblici. È questo il motivo per cui puntiamo molto sul miglioramento della qualità anche di questo strumento, che è obbligatorio per legge.
  Le nostre realtà rappresentano e vogliono rappresentare sul territorio una sorta di braccio operativo dello Stato. Se noi, che siamo gestori di beni confiscati, non diamo concretamente l'esempio di quello che può essere un percorso di legalità e di cambiamento anche culturale che si può attivare nei nostri territori, non facciamo bene il nostro lavoro. Da questo punto di vista sul fronte culturale e dell'innovazione cerchiamo di portare un nostro contributo.
  Oggi ci sono alcune cooperative aderenti al circuito di Libera Terra che hanno cominciato a gestire anche beni e aziende sequestrate. La norma oggi non parla ancora di riuso sociale in caso di sequestro, eppure l'interesse e la sensibilità di alcuni giudici e di alcuni amministratori giudiziari hanno consentito anche di attivare dei percorsi innovativi da questo punto di vista.
  Non a caso, in una delle audizioni di Libera di qualche anno fa in commissione Garofoli, la commissione della Presidenza del Consiglio che si occupava di approfondire queste tematiche, Libera portò questo come un esempio, in ottica prioritaria e non generale, da valutare. Un punto di attenzione, però, è stato messo.
  Le difficoltà, come voi potete immaginare, dal punto di vista del contesto territoriale sono molte. Tante volte si è parlato di tentativi di infiltrazione. Tante volte abbiamo dovuto gestire situazioni di questo tipo, con la difficoltà che potete immaginare, anche rispetto alle norme che riguardano il diritto del lavoro e la tutela dei lavoratori.
  Spesso, peraltro, la nostra attenzione si è concentrata non tanto su comportamenti in ambito lavorativo, quanto su comportamenti in ambito privato, come potete ben immaginare. Ci siamo dotati di strumenti. I nostri statuti e regolamenti sono pieni di indicazioni che riguardano la coerenza dei comportamenti dei soci e dei lavoratori delle nostre cooperative rispetto al progetto Libera Terra e al recupero dei beni confiscati anche in ambito personale. Si tratta di una questione che inseriamo anche nei contratti di lavoro, sia del consorzio, sia delle cooperative, indicandolo anche come giusta causa di recesso. Abbiamo avuto anche delle esperienze, come potete immaginare, difficili in tal senso.
  È ovvio che l'attività economica è un'attività non indifferente, perché i soci delle cooperative si alzano tutti i giorni e vanno a fare un lavoro che fa qualsiasi lavoratore in un'azienda agricola. Questo è l'elemento che è stato individuato come lo strumento migliore per poter dare una serietà e una validità ai progetti di recupero.
  Da un punto di vista produttivo, di stare sul mercato e di essere credibili, però, l'elemento è quello della qualità dei prodotti. È per questo che anche nel disciplinare di Libera Terra sono indicati elementi sulla qualità dei prodotti e dei processi offerti, perché la credibilità e la dignità dei territori passa anche dal fatto che un prodotto che viene venduto, proveniente dai beni confiscati, debba avere, secondo noi, l'elemento della provenienza e dell'origine solo come un elemento aggiuntivo. Dovrebbe essere scelto perché è buono. Questa è la strategia che all'interno di Libera Terra si sta attivando con progetti e risultati non indifferenti, perché i riconoscimenti qualitativi, soprattutto su alcune tipologie di prodotti a livello nazionale e internazionale, sono importanti.
  Le vendite all'estero dal nostro punto di vista sono indicatori della qualità e della bontà del nostro prodotto, oltre che del nostro progetto. Non credo che in Brasile, negli Stati Uniti o in Giappone possano capire la valenza sociale di un prodotto che viene dai terreni confiscati. Se lo Pag. 10acquistano, evidentemente è perché riconoscono un elemento qualitativo legato sicuramente al made in Italy, ma anche al prodotto intrinseco. Ci sembra questa la maniera migliore di dare dignità e voce pulita e seria a un modello economico italiano che ha qualcosa da dire, anche perché ci sembra giusto attivare nei confronti dei nostri consumatori uno scambio equo.
  Lavoriamo più sul rapporto qualità-prezzo che non sul primo prezzo, perché, per motivi che potete immaginare – non parlo del biologico o del rispetto di tutte le norme – a cominciare anche da problemi tecnico-oggettivi, i terreni confiscati non sono tutti a corpo unico in uno stesso territorio e in una stessa zona, facili da lavorare. Ci sono nostre cooperative che hanno pezzi di terreni che gestiscono in mezzo a tre province, a distanza di 300 chilometri l'uno dall'altro.
  Questo chiaramente ha un impatto importante da un punto di vista economico, ma noi riteniamo sempre fondamentale, essendo soggetti d'impresa senza scopo di lucro, tenere un focus anche sul significato di ciò che stiamo facendo. L'importante, quindi, è la sostenibilità, non tanto il guadagno.
  Un elemento importante che ci preme sottolineare è quello dei finanziamenti pubblici e privati, perché è uno degli elementi che, secondo noi, spesso risultano ghiotti rispetto alla polemica o all'attacco sterile.
  Le cooperative di Libera Terra, in quanto produttori agricoli e gestori di beni confiscati, non ricevono alcun tipo di finanziamento pubblico in quanto gestori di beni confiscati. Partecipano, come tutte le altre imprese, anche agricole, ai bandi che vengono realizzati all'interno del PSR, della PAC o di altro. Partecipano al pari di tutti gli altri produttori agricoli, considerando che gli investimenti che le cooperative vanno a fare, per esempio, in vigneti o uliveti – un uliveto può durare anche 100-150 anni, ma le assegnazioni non durano mai più di venticinque – sono investimenti che vengono fatti su beni pubblici, non di proprietà delle cooperative. Una volta che la cooperativa lascerà quel bene, l'investimento fatto rimarrà allo Stato. Questo è un elemento importante.
  Mi preme sottolineare, per chiudere, che questa sembra una cosa ovvia. In realtà, a volte le cooperative di Libera Terra, perché gestiscono anche terreni sequestrati e, quindi, proprio perché stanno facendo anche quell'azione di innovazione sul campo e sul territorio, vengono penalizzate e non riescono ad accedere, per esempio, ai contributi al biologico della PAC. Essi richiedono dei vincoli che, essendo le assegnazioni sui sequestri vincolate nel tempo, le cooperative non riescono a rispettare, perdendo non solo il contributo sul biologico o sul bene sequestrato, ma anche su tutta l'azienda agricola.
  Questo è un elemento penalizzante, che si è cercato in maniera costruttiva di affrontare con le regioni interessate e che ancora non si è risolto, ma sono tante altre le questioni legate ai terreni confiscati. Per esempio, le quote PAC vengono perse se non vengono mantenute, o comunque, se l'ente pubblico, nella fase tra sequestro e confisca, non attua una serie di procedimenti, una volta che la cooperativa le prende non riesce più a rientrare. Oppure c’è il tema dei pozzi irrigui abusivi. Sono diverse le tematiche che riguardano specificamente i terreni confiscati che, in realtà, tra le due penalizzano i gestori dei beni confiscati.
  Sul tema dei finanziamenti privati, soprattutto prima della nascita della cooperativa o in situazioni particolari, è l'associazione Libera che si attiva per cercare di creare reti e relazioni, soprattutto per migliorare e implementare il bene pubblico, il bene confiscato.
  Esempio tipico è il reimpianto di un uliveto. In questo momento una nuova cooperativa nata nel trapanese ha sessanta ettari di uliveto, buona parte dei quali sono stati vandalizzati durante la fase di sequestro e pre-assegnazione. Si tratta di un investimento ingente.
  L'idea di Libera è di farsi parte attiva per coinvolgere anche privati cittadini a contribuire perché quei terreni – che, Pag. 11ripeto, sono pubblici – possano rivedere la vita e anche essere, a quel punto, strumenti di innovazione. L'idea è quella di avere un contributo collettivo delle persone che vada su un bene delle persone, non a intaccare l'esercizio, perché l'obiettivo che Libera si vuole dare da questo punto di vista è di dimostrare che il bene confiscato e riutilizzato in maniera sociale, attraverso imprese sociali, senza scopo di lucro, è una realtà fattibile, possibile e sostenibile da tutti i punti di vista e che può attivare dei processi di cambiamento veri, culturali, sociali, ambientali ed economici, sul territorio in cui insiste.

  LUIGI CIOTTI, presidente di Libera. Credo sia chiaro a tutti il passaggio – lo preciso perché siamo molto giudicati, attaccati e semplificati – che per la gestione dei beni confiscati Libera non riceve contributi pubblici. È chiaro ? Questo mi pare importante e fondamentale. Le carte parlano chiaro. Le convenzioni vengono stipulate solo per lo svolgimento di attività statutarie.
  La seconda questione che mi piace mettere in evidenza è che noi abbiamo dato una mano, per quello che potevamo, a oltre 500 iniziative di riutilizzo sociale dei beni confiscati. Si tratta di associazioni e gruppi che hanno potuto accedere ai vari territori, che non sono di Libera.
  Non solo, per quanto riguarda i finanziamenti europei, alcuni giornali hanno scritto che 1.461 milioni di euro del PON Sicurezza sono stati assegnati al Consorzio sviluppo e legalità per migliorare la gestione dei beni confiscati. Tale somma va agli enti locali.
  Dirlo mi pare un atto di correttezza, perché è veramente fondamentale la verità. Uno può criticare, può mettere in evidenza le contraddizioni che nel percorso ci possono essere e ci sono, ma non calpestare la verità. Dire questo è fondamentale e necessario. Tra chi lavora nelle cooperative e l'indotto che si è creato nel nostro Paese non si cambia il mondo, ma ci sono più di mille persone che hanno trovato la loro libertà e la loro dignità. Invece della gioia di poter condividere questo nel Paese – prima erano cose che non c'erano, che sono nate sui territori e hanno messo insieme comuni, consorzi, prefetture, realtà e associazioni – oggi sono in atto semplificazioni volte a demolire un percorso con la menzogna.
  Grazie, quindi, di questa opportunità. Invito tutti a venire a vedere. I nostri bilanci sono pubblici. È da anni che sono sui siti. Si può accedere a tutto questo. Mi sembra importante per la dignità di chi ci lavora e di chi si impegna tutti i giorni. Ecco perché dicevo che qui c’è un «noi» che rappresentiamo. Non c’è Luigi Ciotti. Mancano alcuni di noi perché sono impegnati e non hanno potuto esserci, ma c’è un'Italia che sta operando e lavorando fatta di realtà e contesti diversi. Questo vi prego di crederlo, perché a Libera nessuno metta il cappello addosso, per piacere. La nostra vuole essere un'autonomia. C’è chi ci prende da una parte e chi ci tira dall'altra. Io difendo la dignità, la libertà e la trasversalità di tutti.

  PRESIDENTE. Grazie, don Luigi. Quest'ultima precisazione immagino fosse sul versante politico.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FRANCO MIRABELLI. Grazie. Capisco che suscita attenzione l'anticipazione che ci è stata distribuita. Vorrei, però, leggere l'intera intervista e capire meglio alcuni dei riferimenti che ci sono stati. Per quello che capisco, per quello che so e per quello che conosco, credo che dobbiamo dare atto a Libera di aver svolto un ruolo importante, non solo sul tema dei beni confiscati. Ha anche svolto – voglio dirlo, mi riferisco alle cose che ci venivano raccontate adesso sul progetto Libera Terra – un ruolo di supplenza, perché ha fatto ciò che c'era bisogno di fare e l'ha fatto con un'organizzazione, senza l'aiuto dello Stato. Attivare cooperative sui territori è sicuramente un ruolo importante che Libera ha svolto.
  Dopodiché, su tutto si può discutere. Altre volte con don Luigi abbiamo anche Pag. 12discusso. Tutto si può migliorare, ma credo che non si possa non riconoscere questo ruolo che Libera ha avuto anche dal punto di vista dello stimolo, anche legislativo, alla politica.
  All'interno di una Commissione che sta dentro il filone di ragionamento e di riflessione sull'antimafia, vorrei porre a don Luigi due questioni. Una delle domande che ci stiamo facendo è quanto oggi l'antimafia rischi di diventare strumento per obiettivi che non le appartengono, come la promozione personale o di gruppo in nome dell'antimafia. Oppure, peggio, il rischio è che pezzi di antimafia possano essere utilizzati addirittura dalle stesse mafie e dalle stesse organizzazioni criminali. Non entro nel merito perché abbiamo fatto questo ragionamento segretato. Tuttavia, quando abbiamo ragionato su Ostia, abbiamo capito che c’è anche questa possibilità e che c’è anche questo rischio.
  Passo alla seconda questione che volevo porre. Nelle prime riflessioni – vorrei sapere che cosa ne pensa don Luigi – è emersa l'idea che forse si debba ripensare complessivamente al ragionamento sul movimento dell'antimafia che è nato ed è stato forte nella fase dopo le stragi.
  Oggi il quadro è cambiato. Sono cambiate le mafie. È cambiata la percezione che i cittadini hanno delle mafie, perché la mafia si mimetizza e sta nell'economia. Si fa fatica. Forse oggi il movimento antimafia, più che sul passato, deve vivere sul presente e sul futuro e avere il ruolo di ricostruire un rapporto e di ristringere un rapporto tra la realtà delle mafie oggi e la percezione di pericolosità che c’è nell'opinione pubblica, che è molto bassa.
  È finita la fase in cui si poteva contare su un grande movimento di cui l'opinione pubblica percepiva l'utilità di fronte alla pericolosità della mafia militare, della mafia stragista. Oggi forse un ripensamento che dobbiamo fare tutti insieme – non devono certo farlo solo Libera o don Ciotti – dell'antimafia, altrimenti non è utile questa discussione che stiamo facendo, lo dovremmo fare. Vorrei sapere che cosa ne pensa don Luigi.

  CLAUDIO FAVA. Penso che abbia fatto bene la presidente a iniziare quest'audizione informandoci e ricordandoci questo lancio d'agenzia che anticipa l'intervista a un magistrato napoletano. È bene che questa discussione avvenga senza convitati di pietra ed è bene che ci faccia anche capire il clima in cui questa e queste discussioni si stanno svolgendo.
  La mia sensazione – non so quanto questo estratto rappresenti il tutto e quanta manipolazione possa esserci stata o meno da parte del giornalista – è che un elemento di sostanziale verità, soprattutto nelle prime affermazioni, ci sia. Tutto questo mi fa pensare che sia in atto una campagna culturale e politica perché attorno a questa riflessione sull'antimafia si possa fare terra bruciata di tutto ciò che l'antimafia ha prodotto di utile e, direi, di fondamentale in questi anni.
  Non so a chi faccia comodo l'esito di una campagna che ha questo obiettivo. Penso che quelle affermazioni, al di là del contesto complessivo dell'intervista, siano calunniose e ingenerose. Sono calunniose perché c’è una falsificazione materiale rispetto a ciò che viene riferito.
  È stato qui ricordato da don Ciotti e dai suoi collaboratori che Libera non gestisce e non incassa. Omettere questo elemento di verità per dare una lettura manipolata della realtà porta alle conclusioni a cui arriva quell'intervista.
  C’è anche un elemento di ingenerosità. Poiché questa è anche una Commissione con una sua funzione e una sua responsabilità politica, va ricordato che in questi vent'anni Libera ha avuto anche il compito, la responsabilità e spesso la solitudine di anticipare scelte che la politica non aveva il coraggio di fare nei tempi giusti e opportuni. Ha anticipato persino scelte della Chiesa nell'affrontare il tema della lotta alle mafie come un tema che ha bisogno di strumenti, di norme e di un corredo di risorse che non può essere affidato soltanto alle buone coscienze e alle buone intenzioni. Penso al 416-ter, alla confisca dei beni, all'uso sociale, al fatto di essere parte civile in molti processi Pag. 13in un tempo in cui molte amministrazioni preferiscono defilarsi per non esporre troppo se stesse in quei processi.
  Detto questo, io credo che il punto su cui si muove l'analisi di questa Commissione sia un punto vero. È stato anche attraversato nelle cose abbiamo ascoltato. In merito vorrei due precisazioni da don Ciotti e dai suoi collaboratori.
  Mi interessano i tentativi di infiltrazione che può aver subìto il tessuto di cooperative promosse da Libera, ma che sono significativi anche in altri ambienti, in altri ambiti, attraverso altre figure associative. Alla luce di queste esperienze, vi siete informati se esistono e quali sono gli strumenti, che naturalmente risentono tutti del fattore umano e vengono declinati sul piano dell'interpretazione umana dei comportamenti ? A che strumenti ci si può affidare per evitare queste infiltrazioni e gli effetti che tali infiltrazioni producono ?
  Un'altra domanda è per don Luigi, che ha parlato in tempi non sospetti del rischio di un'antimafia che, assumendo se stessa in modo autoreferenziale, diventi il viatico per guadagni, carriere e profitti. A una domanda in un'intervista recente a proposito di questo rischio rispondeva che occorre «fare pulizia, incoraggiare le dovute verifiche, smascherare le ambiguità, le truffe, le ipocrisie». Se si deve rivolgere a una Commissione parlamentare, è in condizione di portare un contributo sul piano più operativo su come questo rischio possa essere, se non evitato, quantomeno arginato, su come smascherare le ambiguità, le truffe e le ipocrisie non soltanto come intenzione civile, ma anche sul piano degli strumenti di cui ci si può dotare in ambito associativo, ma forse anche in ambito normativo ?
  Grazie.

  GIUSEPPE LUMIA. Hanno fatto bene don Luigi Ciotti e Valentina Fiore a ripercorrere questo cammino, perché sono passati degli anni ed esiste il rischio di perdere il senso del cammino. Le tappe che sono state da voi qui presentate, i risultati e le difficoltà che avete incontrato lungo questo cammino sono importanti, perché nella lotta alle mafie niente è scontato, e forse è bene che sia così. Questo cammino che ci viene presentato è un cammino utile per la riflessione della Commissione antimafia sulla scelta molto delicata, difficile e complessa che ha fatto buttando uno sguardo, piuttosto che direttamente sulla mafia, sull'antimafia.
  Don Luigi, ci sono due questioni su cui chiedo una sua riflessione, insieme con Valentina Fiore e Davide Pati. La prima riflessione è che Libera è stato un movimento plurale che ha svolto, almeno dal mio punto di vista, tre funzioni nobilissime e indispensabili – ricordo a tutti le raccolte di firme, la prima vissuta su quella grande svolta nel 1994 e l'altra sull'inserimento anche dei corrotti nella dimensione del sequestro dei patrimoni – di stimolo, di sperimentazione (non aggiungo altro perché voi avete spiegato bene) e anche di anticipazione di percorsi e di strade.
  Nello stesso tempo, però, lei ha spiegato bene, don Luigi – su Libera Terra abbiamo avuto delle indicazioni concrete – che è arrivato il momento della gestione. Dopo anni e anni di sperimentazione, di anticipazione, di innovazione e, quindi, di grande promozione della cultura del fare antimafia, è arrivato il momento della gestione.
  Il momento della gestione è un momento delicato, difficile e complesso. Nella gestione ci mette sempre un po’ la coda il diavolo. Quindi, don Luigi, quale elemento nuovo c’è ? Lei ci ha detto, don Luigi, quali sono le svolte statutarie e culturali di Libera. Quali sono ora gli elementi nuovi che Libera adotta per affrontare, seppure indirettamente, visto che la gestione è promossa e non è diretta, questa nuova fase, che – ripeto – è delicatissima e indispensabile ? Tornare indietro sarebbe un errore. Chiudere gli occhi di fronte alla domanda di lavoro sul territorio sarebbe un errore, ma si richiede un passo in avanti. Come intendete organizzare questo passo in avanti ?
  C’è poi un secondo filone che si collega al primo. Qual è il secondo filone ? L'abbiamo affrontato anche ieri con il procuratore Pag. 14Lo Voi. Le mafie, quando hanno uno strumento di fronte, prima lo combattono a testa bassa e poi tentano di manipolarlo. Non sarebbero mafie, diversamente.
  Con riferimento ai collaboratori di giustizia, prima hanno combattuto questo strumento a testa bassa, uccidendo i familiari. Abbiamo ricordato il piccolo Di Matteo, qualche giorno fa. Poi, a un certo punto, hanno smesso di fare il toro contro il drappo rosso e hanno cominciato ad aguzzare l'ingegno, com’è nel loro stile, e a manipolare e a tentare di manipolare lo strumento dei collaboratori. Il Parlamento, tra mille travagli, a un dato punto, all'inizio del Duemila, stoppò questo tentativo con una legislazione più rigorosa.
  Oggi io penso che la mafia stia facendo il suo lavoro, come sempre nella storia ha fatto, tentando di manipolare i diversi filoni più coraggiosi dell'antimafia, dall’antiracket all'antiusura, alla gestione dei beni confiscati e via di questo passo. Anche qui c’è necessità di un cambio di passo. Come si mette in piedi una strategia – come si è fatto con i collaboratori di giustizia – per bloccare quel tentativo della mafia di manipolare, storpiare, sporcare delle vie sane, pulite, oneste e innovative ? Voi avete fatto un cenno, dicendo che anche voi avete dovuto combattere dei tentativi. Sarebbe interessante anche qui capire – è stato detto anche dai precedenti interventi – quale cambio di passo ci sia anche su questo versante, ossia come affrontare una mafia che cambia volto e che, piuttosto che avere uno scontro frontale, tenta di sporcare delle cose stupende che sono state messe in piedi nel nostro Paese.
  Per affrontare queste due sfide ci sono due modi. C’è un modo che io non condivido. Ringrazio la presidente per averci offerto questa opportunità sia nelle altre audizioni, sia in questa, ma c’è un modo che non condivido: è il cosiddetto conflitto a somma zero all'interno dell'antimafia, ossia quel rovinoso cupio dissolvi che si scatena tra chi rimprovera all'altro atteggiamenti di compromissione e si erge a un atteggiamento, invece, di censore e di purezza assoluta e di nessuna difficoltà.
  Questo è un metodo, a conflitto a somma zero, che rischia di fare un bel regalo alla mafia. L'antimafia su se stessa fa un tale danno che neanche la stessa mafia è riuscito a fare, scatenando una dinamica incontrollabile, in cui alla fine poi diventa tutto compromesso, tutto squallido, tutto inaffidabile, tutto da buttare via. Questa è una strada che bisogna evitare assolutamente, perché è una strada sbagliata.
  C’è un'altra strada. Come si imbocca quest'altra strada, in grado di affrontare i problemi che ci sono, di non chiudere gli occhi (sarebbe anche questo un errore grave), di farlo con rigore e severità, ma facendo in modo che sia un cammino positivo, come diceva la presidente, un cammino che rilanci l'antimafia piuttosto che bloccarla e buttarla nella spazzatura come roba vecchia e compromessa ? Questa è un'altra sfida delicata e intelligente, su cui l'esperienza di Libera, il cammino e – diciamoci la verità – anche la sofferenza che sta vivendo possono essere utili. Nelle parole e nel volto di don Luigi si coglieva anche questo. Occorre un cammino vero che ci metta in condizioni anche su questo punto di fare un passo in avanti e non un passo indietro.

  PRESIDENTE. Darei la parola al vicepresidente Gaetti, che generalmente è breve, e poi anche gli altri. Sono sicura che anche i colleghi Vecchio, Molinari e Costantino saranno brevissimi nelle domande.

  LUIGI GAETTI. Grazie. La mia domanda è molto semplice, quasi banale, e riprende un po’ alcuni concetti già espressi. Sull'attività meritoria di Libera, per noi che siamo del settore e la conosciamo, dal mio punto di vista non ci sono particolari criticità. A questo punto, però, mi domando e le domando: lei che spiegazione si è dato del fatto che in quest'ultimo tempo ci siano stati un cambiamento e un attacco «calunnioso» ? Userei proprio questa parola, visto che vengono evidenziate delle situazioni palesi di numeri chiaramente falsi e di statuti che parlano e sono chiari alla luce del sole.Pag. 15
  A me sembra che sia in atto una campagna di delegittimazione abbastanza importante. Questo, secondo lei, è dovuto al fatto che ci sia stato un passaggio da un lavoro all'inizio tipicamente culturale verso un discorso economico ? È l'economia che sta prendendo piede ? Questa è una mia visione un po’ complottista: quest'azione, secondo lei, fa capo più a un'azione di singoli che vogliono avere dei ritorni economici e degli interessi personali o, invece, fa parte di un disegno un po’ più ampio, in cui ci sono delle organizzazioni e, quindi, dei ragionamenti più ampi che si possono inserire in questo contesto soprattutto economico ?
  Grazie.

  ANDREA VECCHIO. Più che domande, vorrei fare una riflessione a voce alta. Penso che, come all'inizio di ogni di attività di questo genere, ci sia un grande interesse, un grande afflato che l'opinione pubblica, per la maggior parte, quella sana, segue con interesse e, che poi, durante il percorso, ci siano delle fasi di stanca. Pertanto, le persone meno motivate a mano a mano si sfilacciano e si allontanano. Quali rimangono all'interno del movimento ? Non mi riferisco a Libera nella maniera più assoluta, ma all'antimafia della società civile. Perché poi parlare di «società civile» non lo capisco. Diciamo l'antimafia della società. È civile perché ci siamo noi, ma forse rappresentiamo anche l'inciviltà.
  Quindi, il movimento a mano a mano si sfilaccia e molte persone si allontanano. Quali rimangono attaccate al movimento ? Quelle che hanno una grande motivazione sociale e culturale e le altre che hanno una grande motivazione personale ed economica. Con il percorso dell'antimafia io ho visto crescere carriere e fuochi di paglia, ma anche falò di lunghissima durata, che, oltre a portare luce o fiamma, hanno portato anche inquinamento con il fumo, con le fuliggini.
  Volevo invitarvi – e invitarci – a fare una riflessione su questo fatto. Parlare di Libera mi pare inutile, perché credo che quello che fa Libera sia sotto gli occhi di tutti. Ho partecipato diverse volte a riunioni in aziende agricole in cui c'erano dei campi di lavoro fatti da ragazzi, da studenti. Non credo che ci sia nulla da dire su queste cose. Invece, la mia riflessione vuole essere in quest'altra direzione.

  FRANCESCO MOLINARI. Non entro, naturalmente, nel merito del discorso generale sull'importanza che hanno avuto Libera e la rete che ha creato. Quando si parla di Libera, giustamente è stato osservato che è una leva per far crescere quella che dovrebbe essere una precondizione del senso di cittadinanza, che è proprio quella della difesa della legalità, il che significa giustizia e verità.
  Ho una domanda secca: è importante non essere condizionati soprattutto dai cosiddetti amici, quelli che innescano poi il concetto dell'antimafia da carriera e utilizzano la lotta all'antimafia per fare altro. Quali strumenti state pensando, considerata anche la grande capacità che finalmente ha avuto Libera di contrastare sul piano imprenditoriale un determinato modo di fare impresa nelle nostre regioni del sud ?

  CELESTE COSTANTINO. Anch'io vi ringrazio per la vostra presenza e per il vostro lavoro, sul quale non mi dilungo per questioni di tempo, ma anche perché non è la prima volta che ci vediamo.
  Quando la presidente ci ha proposto di fare un focus sull'antimafia, era successo da poco il caso Saguto. In realtà, altri scandali si erano già consumati prima di questo caso straordinario. All'interno della nostra discussione io avevo proposto un ragionamento che vorrei condividere con voi e che investe direttamente la politica, prima ancora che il mondo dell'antimafia.
  Mi riferisco al fatto che i partiti e le figure istituzionali in questi anni, un po’ per incompetenza, un po’ per mancanza di credibilità nei confronti dei cittadini, hanno, a mio avviso, delegato molto di quello che avrebbe dovuto essere il loro lavoro antimafia ad alcune figure (giornalisti, magistrati, associazioni). Penso che l'abbiano fatto anche nei confronti dell'associazione Pag. 16più importante, proprio perché è il contenitore che tiene dentro tutte le altre associazioni, chiedendo una sorta di certificazione antimafia nel proprio lavoro e nel modo in cui si sono mosse.
  Vi ringrazio perché capisco che il tema oggi è diventato, per via di queste questioni giornalistiche, la gestione dei beni confiscati. Io non ho mai avuto dubbi e non sento di dover chiedere altri chiarimenti rispetto a questo. Mi interessa, invece, di più capire se si è aperta una discussione dentro Libera soprattutto rispetto ai presìdi territoriali, che sono quelli che si confrontano anche con le istituzioni locali, su come si gestisce questo rapporto. C’è una responsabilità forte da parte della politica, che ha delegato, ma questo inevitabilmente scarica su di voi il peso di una gestione che va ben oltre le prerogative insite nello statuto di un'associazione antimafia.

  MARCELLO TAGLIALATELA. Anch'io la ringrazio per l'emozione che ci ha trasmesso nell'intervento che ha dato inizio a quest'audizione. La mia è una domanda che non vuole essere provocatoria: sente o avverte una similitudine tra quello che lei ha subìto oggi e quello che ha subìto Muccioli molti anni fa, per un problema completamente diverso, ma per un fenomeno che indubbiamente aveva le stesse dimensioni ?

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola a don Luigi e a chi ritiene di dover approfondire altri aspetti, vorrei fare una piccolissima precisazione in relazione ad alcuni interventi che ci sono stati.
  Abbiamo intrapreso questo nostro lavoro, del quale non mi sfugge la difficoltà, proprio nell'ottica di rilanciare il movimento antimafia e non di delegittimarlo. Questo è l'obiettivo. Credo che, per fare questo, si debba fare opera di verità, anche qui avendo il senso del limite di ciascuno di noi e degli strumenti che possediamo per poterla fare.
  Da quando ho cominciato a chiarire dentro la mia testa che c’è una differenza tra la verità e la verità giudiziaria, mi sono detta: «Figuriamoci se non dobbiamo avere il senso del limite tra la verità e la verità delle Commissioni d'inchiesta». Quindi, noi ci muoviamo con questa prudenza.
  Tuttavia, credo sia doveroso da parte nostra contribuire a smascherare eventuali ambiguità e, al tempo stesso, aiutare a impedire che ci sia un processo di delegittimazione. Questo è l'obiettivo del nostro lavoro, non è un altro.
  Non ho letto nemmeno io l'intervista del PM Maresca, col quale peraltro ho avuto modo molte volte di confrontarmi, almeno ai convegni annuali della Fondazione Caponnetto, e di trovarmi qualche volta d'accordo e qualche volta in disaccordo. Al di là del testo integrale, però, le frasi virgolettate che sono state riportate dall'agenzia sono frasi offensive, sulle quali oggi era giusto confrontarsi. Non potevamo, io credo, non consentire a don Luigi e a Libera di interloquire immediatamente con queste affermazioni, che sono già in circolazione e che – ripeto – non mi sento minimamente di condividere, proprio nell'ottica di non delegittimare.
  Detto questo, propongo di passare in seduta segreta, perché vorrei fare una domanda a don Luigi.

  (Così rimane stabilito. La Commissione procede in seduta segreta indi riprende in seduta pubblica)

  LUIGI CIOTTI, presidente di Libera. Rispondo prima al pezzo pubblico. Vi devo subito dire, per correttezza, che Libera gode di buona salute. Mi sembra molto importante.
  Vi devo anche dire, con molta onestà, che soprattutto il movimento giovanile del nostro Paese chiede e partecipa. C’è un fermento impressionante di ragazzi che cercano dei punti di riferimento veri e credibili. Non devo spiegarlo certamente a voi, perché questo è trasversale e non riguarda solo ciò che qui rappresento. Ripeto, io rappresento un «noi», non un «io». Questo è merito del lavoro di tanti, di tante persone di contesti e di mondi diversi.Pag. 17
  Libera gode, quindi, di buona salute. Alcune situazioni che vengono a generarsi creano lo sconcerto. Io non ho rilasciato alcuna intervista, neppure quella che è uscita apparentemente come intervista su La Repubblica. Non l'ho fatta. Ho solo dichiarato di fronte a una determinata vicenda il mio stupore. Non volevo entrarci. C’è un rispetto per le persone, ognuno può pensare come crede, però ci sono anche dei paletti all'interno della nostra associazione.
  Il tema delle infiltrazioni, signori, è un tema reale. Mi stupirei che non lo fosse, dopo vent'anni di un'associazione. Le nostre «rogne» sono cominciate con i diciassette processi in cui ci siamo costituiti parte civile, dove l'associazione ha messo la faccia, dove a ogni udienza sono presenti i presìdi di Libera. Lì ci sono degli imputati dall'altra parte. Sono situazioni difficili e complesse. Questo ci ha cominciato a creare qualche problema, evidentemente.
  Altri problemi ce li hanno creati – può dirlo benissimo Valentina Fiore che ci è dentro – le cooperative, per cui c’è un bando pubblico. Vi devo dire che ogni sei mesi noi chiediamo alla prefettura la verifica. Chiediamo agli organi istituzionali di riferirci se qualche cosa è cambiato. Abbiamo cominciato con le garanzie di questura, prefettura e degli organi preposti. Cammin facendo, ogni tanto chiediamo la verifica e, cammin facendo, abbiamo scoperto che alcune situazioni si erano mutate. Che fossero loro direttamente responsabili, o che altri avessero cercato di agganciarli, di fatto noi, come detto prima, abbiamo dovuto intervenire.
  Abbiamo avuto anche dei processi di lavoro, che sono stati vinti evidentemente, anche se non è del tutto semplice e facile. Si può allontanare una persona da una realtà... ? Ma, di fronte a fatti concreti, al rapporto della prefettura, alla questura e ai carabinieri, che ci offrono elementi... Ogni sei mesi chiediamo la verifica. Purtroppo, il tentativo di infiltrazione c’è, dalla Calabria alla Puglia, dalla Sicilia al Lazio. Che sia ben chiaro: è trasversale in tutte queste nostre realtà.
  Ci siamo resi conto anche che il rischio è all'interno delle associazioni, non solo delle cooperative di lavoro. Questo rischio c’è. Sapete che ci sono 1.600 associazioni. Alcune sono grandi associazioni nazionali, a cui noi chiediamo conto e che al loro interno devono rispondere. Questi tentativi, questi ammiccamenti a volte, ci sono stati e noi abbiamo chiesto conto all'associazione.
  Vi devo anche dire, per correttezza, che abbiamo allontanato dal consorzio Libera Terra Mediterraneo anche delle realtà che, secondo noi, non avevano più i requisiti. Certamente queste realtà sono le prime che buttano il fango, ma non vuole essere questo il discorso. Intendo dire che la domanda che è stata posta è una domanda corretta e che c’è una lucidità rispetto a questo tema. Chiediamo alle autorità competenti di darci una mano.
  La seconda considerazione che voglio fare riguarda il 26 ottobre 2014. Scusate se vi faccio la dichiarazione che ho fatto a Contromafie, dove molti di voi erano presenti. Ho detto: «Dopo queste giornate Libera non sarà più quella che è stata finora. Mi permetto di dire che la spinta propulsiva che ha accompagnato noi e tanti altri in questi anni si è in gran parte esaurita. L'antimafia è diventata, in certi casi, un mestiere e, in altri, una carta d'identità da esibire a seconda delle circostanze, mentre dovrebbe essere un fatto di coscienza e una responsabilità. Dobbiamo voltare pagina. Le mafie non sono un mondo a parte, ma parte del nostro mondo».
  Questa è stata la mia dichiarazione rivolta a Contromafie a tutte le associazioni presenti. Anche alcuni di voi hanno partecipato. Perché dopo venti anni uno prende coscienza: o c’è un cambiamento, o non c’è un cambiamento. Allora che cosa si è fatto ? Il cambiamento ci ha creato delle resistenze all'interno di qualcuno dei nostri, che però sono due o tre persone. Questo però sembra che sia un mondo intero. Faccio fatica a dire questo, e lo dico anche con rispetto, perché credo di avere rispetto per tutte le persone.Pag. 18
  Noi abbiamo fatto quest'anno tre assemblee nazionali. Nelle tre assemblee nazionali con tutti i partecipanti abbiamo cambiato il nostro statuto e l'abbiamo rinnovato all'oggi. Abbiamo deciso una diversa organizzazione territoriale. Abbiamo nominato un ufficio di presidenza e una nuova segreteria nazionale. C'era chi voleva essere il coordinatore nazionale e a cui abbiamo detto di no, perché abbiamo avuto bisogno di averne un altro. Qualcuno si è offeso perché voleva farlo lui, ma non importa.
  Che cosa voglio dire ? Come voi giustamente avete richiamato, signori, qui o si cambia tutti insieme in questo nostro Paese, o non ne usciamo fuori. Il compito di Libera non è gestire i beni confiscati. Abbiamo raccolto quel milione di firme, abbiamo promosso e continueremo a promuovere le cooperative, abbiamo chiesto allo Stato... Voi avete fatto quella legge e la state votando per migliorare. Non è compito nostro, però. Noi possiamo dare una mano a partire, ad accompagnare, a valorizzare quei prodotti. Se qualcuno vuole dare a quel marchio quel valore in più che c’è, va bene, ma punto e basta. Il nostro compito è più educativo e consiste nel lavoro con le scuole, in un'informazione dal basso, nella vicinanza ai familiari delle vittime. Questo è il nostro compito, che mi pare un compito che ci ha accompagnato e continuerà ad accompagnarci in un dato modo.
  Che cosa voglio dire, ringraziando ? Il cambiamento l'abbiamo sentito, l'abbiamo lanciato. Ho anche chiesto di togliere questa parola «antimafia», per piacere. Ho chiesto alle università di dare una mano per cercare di farlo, perché – l'ho detto – rischiamo di essere travolti da questa parola. Questo è un problema di coscienza e di responsabilità, non una carta d'identità dietro la quale oggi si nascondono in tanti, come la legalità, che è lo slogan ormai di tutti. Molti, però, hanno scelto quella malleabile e sostenibile e ci ridono ancora in faccia.
  Sono stanco di sentire che educare alla legalità è la bandiera dappertutto. Dobbiamo educarci alla responsabilità, che viene molto, ma molto prima. Rischiamo di costruire progettifici in quella direzione e di esasperarci. Lo dico con un senso di rispetto, pensando anche alla generosità di quanti nella scuola, e non solo nella scuola, stanno costruendo dei percorsi. Sono i primi coscienti che oggi dobbiamo cambiare le coordinate.
  In questo senso per noi questa è una riflessione che stiamo cercando di portare avanti. Abbiamo cominciato una fase di cambiamento e di letture del nuovo, ma vi posso garantire – e lo dico con grande sincerità – che c’è una marea di giovani che ci chiedono. Ce lo chiedono loro. È una meraviglia. Lo vediamo nelle università, nella scuola, nei territori. Non vogliamo prenderli in giro. Hanno bisogno di cose concrete. Non possono perdersi in queste beghe.
  Io non ho fatto alcuna intervista. Quando Panorama insultava e altri giornali insultavano... Anch'io ho la tessera da giornalista e credo che difendere la libertà del giornalista significhi difendere il giornalismo e la democrazia del nostro Paese, la loro libertà. Tuttavia, ci vogliono le fonti, la serietà. Occorre andare a vedere, perché tanto fango fa esattamente il gioco dei mafiosi. Fa il gioco loro perché quel fango ha scatenato di tutto.
  Quando uno fa questo tipo di interviste che escono domani, nonostante si cerchi di spiegare, noi denunciamo questo signore. Abbiamo già deciso di denunciarlo. Domani mattina lo denunciamo, perché non è possibile tacere. Uno tace una volta, due volte, tre volte e poi dicono: «Avete visto ?» Come qualcuno ha già detto: «Non avete neanche risposto ? Allora vuol dire che siete nel torto». L'unica cosa che uno non vuole fare in questo Paese è dover andare ad appellarsi lì, ma, quando viene distrutta la dignità del lavoro di tante persone, di migliaia di giovani, di gruppi e di associazioni, credo che ci sia il dovere di ripristinare un po’ di verità e di chiarezza nel nostro Paese. Credo che sia un dovere.
  Quanto all'altro discorso su Saguto, anche qui mi pare che ci sia un problema di profonda correttezza. Siamo stati accusati Pag. 19del fatto che sulla storia di Roma non siamo intervenuti per tempo e abbiamo taciuto. Vi dico solo che nel dicembre del 2011, alla riapertura del Café de Paris, confiscato due anni prima alla mafia calabrese, lanciammo l'allarme sulla corruzione e l'infiltrazione mafiosa nei vari settori dell'economia a Roma.
  Vi devo dire che esattamente prima di Mafia Capitale a Corviale, in occasione di Contromafie, denunciammo questa presenza, tant’è vero che La Repubblica uscì con un articolo: «Don Ciotti: Roma assediata dalle mafie». L'abbiamo fatto prima. Quali erano le nostre antenne ? Erano la gente, le persone, i ragazzi che sono nei quartieri.
  Vi posso garantire, quindi, che, quando abbiamo avuto degli elementi, senza fare pubblicità, siamo andati dai magistrati a consegnare gli elementi. Se in questo momento alcuni processi sono in atto, senza sbandierare, c’è stato qualcuno di noi che è andato in alcune realtà delle procure italiane a riferire gli elementi che avevamo a disposizione perché si cercasse un po’ di verità in questa direzione.
  Sulla Saguto nel marzo del 2014, insieme a molti di voi, avevamo chiesto l'attuazione dell'albo degli amministratori giudiziari e norme che assicurassero la trasparenza, la rotazione e il compenso massimo dei loro incarichi. L'avevamo chiesto perché avevamo toccato con mano che c'erano da anni degli amministratori che ci guardavano e cercavano di cacciarci perché chiedevamo conto del lavoro che portavamo avanti. Questo l'abbiamo denunciato, l'abbiamo chiesto. Certo, non siamo la Commissione antimafia, che fa notizia. Siamo piccole cose. Io poi sono una piccola, piccola persona, che rappresento un «noi», che però mi sembra importante tutelare e garantire in un certo modo.
  Muccioli sono stato a incontrarlo, come sono stato presente quando è morto don Pierino. Non faccio mai distinzioni. Uno può avere metodi diversi. Quest'anno sono cinquant'anni del gruppo Abele. A Natale abbiamo fatto cinquant'anni. Sapete qual è la mia fortuna ? Io continuo a vivere lì con i poveri, sulla strada, con gli ultimi. Guai se non vivessi lì.
  Qualcuno pensa che la mia vita sia occuparmi delle mafie. Io mi occupo della libertà e della dignità delle persone. Libera si occupa anche di voi. Va al di là del discorso della mafia in certi giochi criminali e via discorrendo.
  La nostra storia comincia dopo le stragi perché due mesi prima della strage di Capaci io ero con Giovanni Falcone a Gorizia a tenere un corso di formazione alla Polizia di Stato sul tema della droga. Per combinazione – è stato un caso – quel 23 maggio ero in Sicilia a tenere un corso di formazione per insegnanti delle scuole sul tema della droga. I segni sono strani: il 18 e 19 luglio ero a Palermo per la stessa ragione. Erano un sabato e una domenica.
  La storia lì ci aveva visti impegnati sulle dipendenze nell'arco degli anni, pur con modalità diverse, ma tutti nella stessa direzione. C’è chi ci ha anche diviso, ci ha giudicato, ci ha spaccato. C’è anche lì chi cavalca in tanti modi.
  Al di là di altri aspetti, c’è sempre stato quello di essere presente. Quando don Pierino è morto, non ho condiviso alcune cose ma sono stato lì, perché è necessario il rispetto per l'impegno e per la generosità che in ogni caso la gente ha speso per dare una mano a tante persone, lo stesso rispetto che chiedo anche per le nostre storie.
  Dopo cinquant'anni sulla strada, con i poveri, gli ultimi, la tratta, la prostituzione, i volti delle nuove dipendenze non è semplice, non è facile. Se trovo qualcuno che ha capito tutto, cambio strada e vado da un'altra parte, perché siamo così piccoli, così poveri e così in continua ricerca che mi sembra importante aiutarci a guardare un po’ oltre. Lascio rispondere la collega su altro.

  VALENTINA FIORE, membro dell'ufficio di presidenza di Libera. A proposito delle infiltrazioni, don Luigi ha già raccontato quali sono gli strumenti per venirne a capo. Aggiungo anche il contatto delle persone sul territorio che fanno Pag. 20parte della rete di Libera e degli altri lavoratori. Comunque le nostre cooperative nascono e vivono in quei territori e danno lavoro alle persone che stanno lì.
  Chiaramente, la difficoltà sta nel fatto che lavorare nelle cooperative di Libera Terra è una scelta di vita e che, quindi, come tale, può capitare che i percorsi di riscatto, in realtà, si interrompano o vengano messi in difficoltà.
  Gli strumenti di cui ci siamo dotati – un po’ ne ho parlato – sono quelli che ci hanno consentito di vincere i ricorsi. Da un punto di vista statutario nei contratti di lavoro la parte identitaria delle cooperative di Libera Terra è tale che è costitutiva. Se viene meno qualcuno di questi aspetti, qual è la difficoltà ? Molte volte non è soltanto con i lavoratori, ma è anche con i fornitori. È bello e importante aprirsi al territorio, ma è anche molto rischioso – non avrebbe senso non aprirsi al territorio – e la parte del confronto con i fornitori è sicuramente quella più difficile.
  Le nostre fonti sono sempre le stesse. Nei nostri contratti cominciamo sempre a mettere delle clausole di rispetto valoriale e di inquadramento all'interno del contesto valoriale di Libera, del riscatto, della dignità e via elencando. Sono diventati elementi contrattuali e statutari, i nostri elementi identitari. Quello che stiamo provando sul campo, inventandocelo anche un po’, ci ha tutelato finora da un punto di vista di rescissione dei contratti o questioni di questo tipo. È uno degli elementi di difficoltà tutto nostro rispetto all'essere impresa sul territorio.
  C’è poi un elemento sulla delegittimazione. Qualcuno diceva che è in campo un'azione calunniosa. Purtroppo, c’è sui giornali, ma anche sui territori, dove le cosiddette voci di popolo messe in giro sono assolutamente false, ma molto più insidiose, perché individuare il giornalista è facile – ha un nome e un cognome – mentre la voce, anche se messa in giro da qualcuno, è sempre una voce che va e non va.
  Questa è la situazione che in alcuni territori, tra l'altro molto difficili, come potete immaginare – sto parlando della provincia di Trapani – ci sta mettendo sotto stress non poco. Si tratta di quelle voci, assolutamente false, di attività che svolgiamo con le cooperative e che ci stanno comunque rubando molte energie.
  Non so se questo sia legato... È legato un po’ a tutto, all'attività di Libera, al ruolo pesante che sta avendo da un punto di vista politico e di immagine. La costituzione nei processi non è qualcosa di insignificante, anzi, soprattutto in alcuni casi.
  L'attività integerrima all'interno anche del disciplinare di Libera Terra è qualcosa che fa gola, ma che poi allontana, perché è difficile starci dentro. Tutti hanno gola di entrare all'interno del circuito, ma poi, quando capiscono che i paletti sono molto rigidi, preferiscono fare altro e, quindi, guardano a questa cosa pensando: «Magari, però non posso». Questo inevitabilmente scatena anche questo vociare, forse senza che ci si renda conto di come esso impatta da un punto di vista del contenuto, soprattutto in alcuni territori in cui le nostre cooperative insistono.
  Il tema del controllo riguarda – sì – le forze dell'ordine, ma a volte siamo anche noi a richiedere alla prefettura o alle forze dell'ordine degli incrementi di approfondimenti sulla base di quello che si vede in giro, con chi si va a braccetto (nei paesi è ancora così), con chi si prende il caffè, chi si saluta. A quel punto, siamo noi che stimoliamo e chiediamo una mano alla prefettura o alle forze dell'ordine per andare in fondo a capire che cos’è. Anche le frequentazioni in alcuni territori hanno dei significati importanti, anche se si tratta semplicemente di prendere un caffè.

  DAVIDE PATI, membro dell'ufficio di presidenza di Libera. Rispondendo a quello che ci chiedeva Celeste Costantino rispetto ai presìdi, con il nuovo statuto ci siamo dati anche delle regole più stringenti per la definizione di presidio territoriale di Libera. Il presidio è l'articolazione di prossimità sui territori della nostra rete associativa nella pluralità che Libera rappresenta. Pertanto, ci siamo dati delle regole più stringenti, stabilendo che il presidio Pag. 21può essere costituito solo da un tot numero di associazioni, ma non può nascere dalla sera alla mattina.
  Ci sono stati anche dei casi in cui qualcuno si è presentato come presidio di Libera di un territorio, ha rilasciato anche interviste e ha preso anche posizioni senza essere di Libera, senza essere stato votato da un'assemblea, secondo le procedure che il nuovo statuto si è dato.
  Quindi, abbiamo avviato un percorso di formazione dei presìdi proprio per creare la consapevolezza che una rete associativa come quella di Libera debba essere una rete che su alcuni temi, nel rispetto della pluralità, pone dei paletti.
  Quanto all'importanza del lavoro sui territori per cercare di essere al loro fianco, qual è il valore aggiunto di una rete associativa come Libera ? È quella di essere anche al fianco di chi sul territorio si espone con denunce documentate e articolate, ma soprattutto di chi gestisce anche quei beni. Eravamo a Quindici, alcune settimane fa, a fianco della realtà che gestisce quel maglificio.
  Sul tema dei beni confiscati il senatore Lumia chiedeva come organizzare, dopo questi anni, quel passo in avanti in più, quel cambio di passo. Le procedure di assegnazione e di gestione, ma soprattutto le politiche di intervento sui beni confiscati risentono di una crisi del territorio di politiche sociali, di politiche educative, di politiche di imprenditorialità giovanile e di promozione cooperativa. L'importanza di un percorso che vede coinvolte le istituzioni, come stanno facendo attualmente il dipartimento per le politiche di coesione della Presidenza del Consiglio e l'Agenzia per la coesione territoriale, sta nel mettere insieme più ministeri. A parlare di beni confiscati non è soltanto il Ministero dell'interno. Ne parlano anche i vari ministeri che si occupano di sviluppo, di impresa, di lavoro e di politiche giovanili. L'importante è creare in quei territori una rete anche fiduciaria, una rete che possa fare emergere sempre il positivo che c’è – noi lo diciamo spesso – e unire quello che le mafie vogliono dividere nel nostro Paese.
  Usare i beni confiscati come strumenti di coesione territoriale è il punto di forza che abbiamo sempre cercato di trasmettere, coinvolgendo le realtà del territorio. Come è stato detto prima, le cooperative di Libera Terra che nascono con bando pubblico nascono sempre dalla firma di protocolli presso le prefetture, in cui vengono coinvolti i vari soggetti del partenariato economico e sociale, dalle camere di commercio, alle diocesi, dalle organizzazioni professionali a quelle economiche e sindacali.
  Sul tema dei beni confiscati Libera continuerà sempre di più a svolgere quel ruolo di informazione e di trasparenza su quali sono i beni confiscati in un determinato territorio, ma soprattutto quello di affiancare le amministrazioni locali perché assegnino questi beni con le procedure nel rispetto di quei princìpi di trasparenza, pubblicità e parità di trattamento. Solo queste politiche di trasparenza nell'assegnazione dei beni confiscati possono diminuire, se non proprio eliminare, i tentativi di infiltrazione, sempre però con quel costante lavoro di monitoraggio che richiamava prima don Luigi da parte delle istituzioni.

  PRESIDENTE. Prima di passare alla segreta per le ultime risposte, vorrei chiedervi se ci potete fornire qualche esempio di casi di infiltrazione che avete smascherato, ai fini della nostra inchiesta. Potete farlo successivamente, è naturale. Vi chiediamo proprio la documentazione e le cause di lavoro vinte, perché servono a far capire come la mafia cerchi di usare l'antimafia, ma anche come abbiamo gli strumenti per difenderci.
  Ci possono servire anche, qualche volta, per rispondere a qualche voce. Così abbiamo la possibilità di replicare. Poiché poi segretiamo, credo di interpretare tutti nel ringraziare davvero tanto don Luigi e tutta la presidenza di Libera.

  ANDREA VECCHIO. Avrei una domanda brevissima. Don Ciotti ha detto che la vostra è un'associazione trasversale, che comprende la Chiesa Valdese per esempio. Pag. 22Ci sono musulmani, associazioni musulmane ?

  DAVIDE PATI, membro dell'ufficio di presidenza di Libera. Sui singoli territori non so. A livello nazionale credo di no. Tuttavia, le giornate della memoria e dell'impegno spesso vengono precedute da alcune veglie. Sono veglie molto spesso ecumeniche, cui tante realtà di varie religioni, anche quelle ortodosse e musulmane, partecipano.

  PRESIDENTE. Farà parte anche questo di una fase del cambiamento.

  LUIGI CIOTTI, presidente di Libera. Ricordo quello che diceva Carlo Maria Martini: «Dio non è cattolico, è di tutti. Dio ama tutti». Non è un caso che al gruppo Abele stiamo realizzando la stanza del silenzio, una stanza che c’è in qualche aeroporto dove tutte le espressioni religiose possono trovare un luogo per vivere in silenzio la dimensione spirituale. Mi sembra che questo voglia dire leggere i tempi. Facciamo degli esempi ?

  PRESIDENTE. Ce li fornite magari successivamente. La documentazione ci servirà poi per la relazione finale. Penso di interpretare tutti nel ringraziare don Luigi e tutta la presidenza di Libera per quest'audizione e soprattutto per il lavoro dei vent'anni precedenti e dei prossimi lunghi anni, nei quali sapranno stare nel nostro Paese e nel mondo per rendere sempre più libere le persone. Adesso don Luigi risponderà in seduta segreta, penso che fosse doveroso da parte nostra rivolgere anche questa domanda.
  Propongo di procedere in seduta segreta.

  (Così rimane stabilito. La Commissione procede in seduta segreta, indi riprende in seduta pubblica).

  PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.45.