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Comunicati stampa

22/10/2016
Saluto della Presidente della Camera, Laura Boldrini, in apertura del Seminario sulle migrazioni e i rifugiati - Riunione del Bureau di Presidenza dell’Assemblea parlamentare dell’Unione per il Mediterraneo
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Presidente Grasso, membri dell'Ufficio di Presidenza dell'Assemblea parlamentare dell'Unione per il Mediterraneo, Ammiraglio Melone, signori e signore relatori, grazie per aver voluto partecipare a quest'incontro. Il seminario di oggi nasce dalla volontà della Presidenza italiana del Bureau dell'Assemblea parlamentare dell'UpM di costruire momenti di riflessione e di approfondimento comuni a margine della nostre riunioni, sui temi che più stanno a cuore a tutti i nostri cittadini, su entrambe le sponde del Mediterraneo. E quello delle migrazioni è indubbiamente un tema centrale.
E' sulle migrazioni che si dovrà 'fare l'Europa', ovvero la nuova Europa. Perché l'arrivo l'anno scorso di centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini in fuga da violenze, violazione dei diritti umani e a volte dalla povertà ha rischiato letteralmente di distruggere il progetto europeo. In assenza di una reale politica comune d'asilo fondata sulla solidarietà e sulla condivisione degli oneri, molti Paesi europei hanno reagito nel modo peggiore: erigendo barriere e chiudendo frontiere.
Non si era mai arrivati a questo punto. E se qualcuno mi avesse detto dieci anni fa, quando lavoravo all'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che ciò un giorno sarebbe accaduto in Europa, io avrei detto: no, non succederà mai. E invece è accaduto, perché non tutti gli Stati europei hanno voluto ottemperare ai propri obblighi.
Ci sono Stati, però, che lo hanno fatto, non hanno impedito a rifugiati e migranti di fare ingresso sul proprio territorio. L'Italia - lo dico con un certo orgoglio - è tra i Paesi che non hanno impedito ai migranti di trovare un approdo sicuro; ha voluto continuare a fare ogni sforzo per salvare centinaia di migliaia di persone in mare. Certo, il mio Paese deve forse fare di più e meglio per quanto riguarda l'accoglienza dei richiedenti asilo, superando la gestione emergenziale e le strutture temporanee e rafforzando piccoli progetti co-gestiti dalle autorità locali, nel cosiddetto Sprar, che impattano meno, favoriscono l'integrazione e tolgono linfa ai populisti che alimentano le tensioni sociali.
Ma - ci tengo a ribadirlo - l'applicazione delle regole europee non è 'à la carte'. Tutti gli Stati Membri devono ovviamente rispettare gli standard d'accoglienza comuni, ma tutti devono anche attuare le decisioni prese dal Consiglio europeo, accettando la ripartizione dei richiedenti asilo. La Commissione europea aveva fatto delle proposte, basate sulla condivisione delle responsabilità. Alcuni Stati membri hanno rifiutato di dare seguito agli impegni presi: addirittura, in un caso, passando la parola ai cittadini attraverso un referendum per capovolgere l'esito del Consiglio europeo. Non può andare così, non può essere una manciata di Paesi di primo arrivo e di destinazione a farsi carico dell'arrivo dei rifugiati in Europa: questa deve essere una responsabilità collettiva.
E invece di trovare una soluzione interna all'UE, l'unica risposta comune che noi europei siamo stati capaci di dare è stata di fatto quella di delegare la gestione della frontiera esterna - e, dunque, del diritto d'asilo - ad uno Stato terzo, la Turchia. Uno Stato membro, peraltro, del nostro Bureau, oggi assente. E sembra siano in corso le trattative per replicare questo modello con altri Paesi. Io spero che noi siamo in grado di fermarci e riflettere. Il diritto d'asilo è un diritto identitario dell'Unione europea. Dimostrare di non saperlo gestire all'interno sarebbe un gravissimo errore.
La gestione comune dell'asilo dovrebbe invece essere il progetto pilota di una maggiore integrazione europea. Il punto da cui ripartire non soltanto per quanto riguarda l'UE, ma anche per l'intera area euromediterranea.
Tutti noi, infatti, siamo coinvolti dal fenomeno migratorio, o in quanto Paesi di origine, o di transito, o di destinazione dei migranti. Nessun Paese può chiamarsi fuori da questo schema. L'Italia, in particolare, è coinvolta in tutti e tre questi ambiti contemporaneamente: siamo Paese da cui ancora si parte, Paese di transito, ma anche Paese di destinazione.
Abbiamo dunque un interesse comune da gestire, non certo alzando muri o fili spinati. Ciò è assolutamente inutile e sicuramente deleterio, perché colpisce la nostra credibilità col resto del mondo. Perché l'Europa ha sempre voluto ergersi a 'continente dei diritti umani', andavamo a dire agli altri come fare. Il principio del 'non respingimento' è un principio europeo. Questo ci dava credibilità, avevamo le carte in regola per essere ascoltati. Oggi temo non sia più così.
Si perde credibilità se un continente di 500 milioni di abitanti non riesce a dare una risposta condivisa. I nostri amici giordani o libanesi cosa ci dovrebbero dire, quando due piccoli Stati come i loro hanno sul loro territorio più rifugiati di 28 Stati europei?
Non fermeremo - parlo soprattutto ai colleghi europei - il flusso con i fili spinati. E, se continueremo a farlo, calpesteremo i nostri valori, annullando la nostra identità.
Cosa bisogna fare, realisticamente, che vada al cuore della questione?
Il flusso diminuirà solo se nei paesi di origine si potrà vivere in sicurezza, senza la paura di morire sotto i bombardamenti o per mano dei terroristi. In quel momento milioni di persone decideranno di non partire più. Ma se noi non riusciremo ad avere sicurezza in quei Paesi, è legittimo che si parta. Il flusso diminuirà quando in paesi potenzialmente ricchi da cui provengono i migranti vi sarà un vero sviluppo sociale e una maggiore ridistribuzione delle risorse: scuole accessibili a tutti, sanità accessibile a tutti, acqua potabile, servizi, elettricità.
Questo è lo sviluppo sostenibile che contribuirebbe a stabilizzare quei Paesi. Su questo ci dovremmo concentrare, sulle reali soluzioni ai problemi che abbiamo di fronte. Non sulla deterrenza, senza toccare la causa che è alla base della grande fuga.
E' sulle reali soluzioni che si gioca il nostro futuro, non solo come Europa, ma anche nei rapporti Nord-Sud del Mediterraneo. E' su questo che dovremo riuscire a lavorare insieme in modo costruttivo, trovando soluzioni che non dimentichino mai il rispetto dei diritti e il rispetto delle persone.

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