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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 285 di lunedì 8 settembre 2014

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARINA SERENI

  La seduta comincia alle 15,05.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 4 settembre 2014.
  (È approvato).

Missioni.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Angelino Alfano, Gioacchino Alfano, Amici, Balduzzi, Bellanova, Biondelli, Bobba, Bocci, Michele Bordo, Borletti Dell'Acqua, Boschi, Bressa, Carinelli, Casero, Castiglione, Centemero, Costa, Dambruoso, Del Basso De Caro, Dellai, Di Gioia, Di Lello, Di Salvo, Manlio Di Stefano, Fedriga, Ferranti, Fico, Gregorio Fontana, Formisano, Franceschini, Giachetti, Giacomelli, Giancarlo Giorgetti, Gozi, La Russa, Legnini, Lorenzin, Lotti, Merlo, Mogherini, Nicoletti, Orlando, Pisicchio, Pistelli, Ravetto, Realacci, Rigoni, Domenico Rossi, Rughetti, Scalfarotto, Scotto, Sisto, Spadoni, Tabacci, Taglialatela, Velo, Vignali e Zanetti sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.
  I deputati in missione sono complessivamente sessantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.
  Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell’allegato A al resoconto della seduta odierna.

Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 15,10).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Elementi circa l'utilizzo dei dati trasmessi dalla Rai al Governo in tema di trasparenza dei curricula e dei compensi e sullo stato di attuazione, nelle amministrazioni pubbliche e nelle società partecipate, delle disposizioni circa il limite massimo per il trattamento economico annuo onnicomprensivo per i dipendenti con particolare riferimento alla situazione della Rai e a quanto risulti essere stato disposto dagli organi costituzionali – n. 2-00663)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Brunetta n. 2-00663, concernente elementi circa l'utilizzo dei dati trasmessi dalla Rai al Governo in tema di trasparenza dei curricula e dei compensi e sullo stato di attuazione, nelle amministrazioni pubbliche e nelle società partecipate, delle disposizioni circa il limite massimo per il trattamento economico annuo onnicomprensivo per i dipendenti con particolare riferimento alla situazione della Rai e a quanto risulti essere stato disposto dagli organi costituzionali (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo al deputato Brunetta se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

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  RENATO BRUNETTA. Signora Presidente, signor sottosegretario, sorrido ma per la quinta volta nel corso di quest'anno richiamo l'attenzione del Governo attraverso lo strumento dell'interpellanza urgente sulle norme in tema di trasparenza dei compensi in RAI. E mi accingo a farlo ancora una volta perché purtroppo questo Governo fino ad ora ha ampiamente dimostrato di brancolare nel buio, di non rispettare le chiarissime norme vigenti al riguardo. Da quasi un anno è stata infatti approvata la legge 30 ottobre 2013, n. 125, di conversione del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, recante misure di razionalizzazione della pubblica amministrazione, che prevede per la RAI l'obbligo di comunicare al Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri e al Ministero dell'economia e delle finanze tutti gli opportuni dati relativi al costo annuo del personale comunque impiegato in conformità a specifiche procedure definite d'intesa con i predetti Dicasteri.
  La norma di cui all'articolo 2, comma 11, del citato decreto-legge ha inoltre chiarito che per la società concessionaria del servizio pubblico radio-televisivo il costo annuo del personale comunque utilizzato ed oggetto della comunicazione dovesse ritenersi riferito ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo.
  Lo scorso 10 gennaio proprio lei, sottosegretario Legnini, e non me ne voglia, rispose alla mia prima interpellanza presentata in merito alla mancata attuazione della normativa richiamata e le parole della sua risposta furono chiare e perentorie. Se le ricorderà. Lei infatti dichiarò: la disciplina normativa che è stata puntualmente richiamata sarà attuata, come è doveroso fare, entro i tempi tecnici strettamente necessari e con le procedure che sono state richiamate. Ma alle sue parole evidentemente non seguirono i fatti perché il 13 febbraio ero di nuovo in quest'Aula a chiedere conto al Governo relativamente alle norme sulla trasparenza dei compensi RAI. Quel giorno il sottosegretario all'economia – non era più lei, nel frattempo – Luigi Casero sostenne che il Ministero dell'economia e delle finanze, congiuntamente al Dipartimento della funzione pubblica, in attuazione delle disposizioni citate, ha provveduto a richiedere alla RAI la trasmissione dei dati previsti nei tempi più brevi consentiti, e comunque non oltre il 31 marzo 2014. Non si capiva perché il 31 marzo 2014, ma tant’è, neanche il 31 marzo 2014.
  Il 7 marzo il sottosegretario Sesa Amici si impegnava nuovamente davanti al sottoscritto e a quest'Aula per conto del Governo a porre il massimo impegno per dare attuazione alla norma in questione nei tempi tecnici strettamente necessari. Sorrido, continuo a sorridere evidentemente. Ancora un impegno ma nessun fatto concreto. Per cui il 4 aprile ho depositato un'ulteriore interpellanza urgente, la quarta. Quel giorno il Governo ha riferito sulla trasmissione dei dati da parte della RAI, ma non ha detto una sola parola in merito agli adempimenti da parte dell'Esecutivo.
  Il sottosegretario per la difesa, Gioacchino Alfano, che è qui presente, ha dichiarato, infatti, che «con nota del 27 marzo 2014 indirizzata al Ministero dell'economia e delle finanze e alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento della funzione pubblica, la RAI Spa ha trasmesso le informazioni richieste secondo le procedure già definite, delle quali si è riferito in occasione dello svolgimento dei precedenti atti di sindacato ispettivo. Pertanto» – diceva Alfano – «si ritiene che la RAI Spa abbia ottemperato agli obblighi (...)», e così via, del decreto.
  Però, nessuna pubblicazione ! La RAI ha trasmesso non si sa che cosa, però i Ministeri competenti non hanno pubblicato nulla. Successivamente, nel corso di un'audizione in Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei sistemi radiotelevisivi dello scorso 2 luglio, il sottosegretario con delega alle comunicazioni, Antonello Giacomelli, sembra, però, avere contraddetto quanto riferito, perché, in merito alla trasmissione dei dati da parte della RAI, ha affermato: «credo che su questo punto il Governo non abbia difficoltà, nel caso, a intervenire Pag. 3con una sollecitazione alla RAI per ottemperare agli obblighi di legge». Ma allora, li ha mandati o non li ha mandati ? Infatti, Giacomelli sembra contraddire il buon Gioacchino Alfano, perché, evidentemente, i dati non erano ancora in possesso.
  Tale dichiarazione risulterebbe, quindi, in contrasto con quanto affermato dal sottosegretario Gioacchino Alfano il 4 aprile, secondo il quale la RAI avrebbe già ottemperato agli obblighi previsti dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, in tema di trasparenza. A questo punto, a fronte del presunto invio dei dati da parte della RAI, il Governo risulta ancora oggi inadempiente, perché non ha provveduto a chiarire l'utilizzo dei dati comunicati né le eventuali modalità di pubblicazione degli stessi, non avendo, quindi, in tal modo, dato piena ed integrale attuazione alle disposizioni di legge contenute nel «decreto-legge PA».
  Come ho già avuto modo di rilevare nell'atto depositato il 7 maggio scorso, la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei sistemi radiotelevisivi ha inoltre approvato il parere di propria competenza previsto per il contratto di servizio 2013-2015 tra la RAI e il Ministero dello sviluppo economico. In tema di total disclosure, il parere approvato dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei sistemi radiotelevisivi è molto puntuale e prevede non solo un riferimento al cosiddetto «decreto PA» sopra richiamato, ma anche l'obbligo per la RAI di pubblicare i curriculum vitae dei dipendenti e i loro stipendi lordi.
  Quindi, non solo vi è il decreto, non solo vi è la legge, ma vi è anche il contratto di servizio che prevede questo. Nella mia interpellanza ho inoltre rilevato un'altra importante questione relativa agli stipendi erogati dalla RAI. Un'ulteriore recente normativa, introdotta con decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89 del 2014, ha posto, a decorrere dal 1o maggio 2014, un nuovo limite massimo per il trattamento economico annuo onnicomprensivo per i pubblici dipendenti e per il personale delle società partecipate, quantificato in 240 mila euro.
  L'articolo 13 del decreto-legge n. 66 del 2014 prevede, infatti, che il nuovo tetto di 240 mila euro si applichi, altresì, ai compensi per gli amministratori e per i dipendenti delle società controllate dalle pubbliche amministrazioni, e, quindi, anche alla concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze. Tale previsione subentra a quanto già previsto dagli articoli 23-bis e 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011.
  Il tetto, 240 mila euro, impone, quindi, una riduzione rispetto al tetto passato, che era poco meno di 300 mila euro. Le previsioni sul nuovo tetto non incidono, invece, direttamente sulle retribuzioni percepite dai dipendenti degli organi costituzionali, per i quali si applica, invece, il regime – questa è la seconda parte della mia interpellanza urgente – di autodichia. La giurisdizione sui dipendenti viene, quindi, esercitata da tali organi in via esclusiva e sulla base di un regolamento interno.
  Ma il medesimo decreto-legge n. 66 del 2014, all'articolo 17, ha comunque disposto un taglio per il 2014 di 50 milioni di euro complessivi per il Quirinale, il Senato, la Camera dei deputati e la Corte costituzionale, di 5,3 milioni per la Corte dei conti, il Consiglio di Stato, TAR e CSM e di ulteriori 18,24 milioni di euro per il CNEL. Lo stesso Presidente del Consiglio, in diverse dichiarazioni, ha più volte auspicato che: «anche gli organi costituzionali accettino il taglio al tetto degli stipendi con la comparazione al salario del Presidente della Repubblica».
  Tutto ciò premesso, gentile sottosegretario Legnini – spero di non abusare della sua pazienza – intendo chiedere al Governo, visto che nei mesi scorsi abbiamo assistito ad un imbarazzante balletto di dichiarazioni contrastanti tra esponenti del Governo Renzi, è il caso di chiarire, una volta per tutte, se la RAI abbia Pag. 4ottemperato o meno agli obblighi di legge, trasmettendo i dati, e quali misure il Governo intenda assumere al fine di rendere una volta per tutte integralmente esecutive le disposizioni del «decreto PA», specificando l'utilizzo dei dati che sarebbero stati trasmessi dalla RAI e che sarebbero in possesso del Governo, anche in considerazione delle disposizioni contenute in tema di trasparenza dei curricula e dei compensi dal contratto di servizio 2013-2015, il cui parere è stato approvato dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei sistemi radiotelevisivi.
  Secondo, quale sia lo stato di attuazione, nelle amministrazioni pubbliche e nelle società partecipate, delle disposizioni di cui all'articolo 13 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 – tanto per dire, i 240 mila euro – in particolare, se la società RAI abbia provveduto all'adeguamento delle retribuzioni sulla base del nuovo limite dei 240 mila euro annui e se risulti come gli organi costituzionali, pur nel rispetto della autonomia, abbiano rivisto le loro retribuzioni, come del resto lo stesso Presidente del Consiglio aveva più volte auspicato.
  Servono risposte e serve serietà nei confronti dei cittadini e nei confronti del Parlamento che vorrebbe vedere applicate le leggi. Spero che il Governo almeno questa volta abbia risposte serie e concrete ai chiari quesiti appena posti. Le garantisco una cosa, che io non mi fermo, signor sottosegretario, e continuerò mensilmente con interpellanze urgenti, sempre più incisive e, per così dire, sempre più rappresentate all'esterno rispetto a questi obblighi di legge e ad eventuali inadempienze da parte del Governo. Grazie, signor sottosegretario.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Giovanni Legnini, ha facoltà di rispondere.

  GIOVANNI LEGNINI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, con la sua interpellanza urgente n. 2-00663, l'onorevole Brunetta pone quesiti diversi in ordine alla società RAI Spa e allo stato di attuazione dell'applicazione del nuovo limite sul trattamento economico onnicomprensivo dei dipendenti pubblici, in attuazione della disciplina da lui richiamata. Pone quesiti precisi che sono stati ulteriormente dettagliati nell'esposizione che ora egli ha svolto.
  Nel richiamare quanto già comunicato in sede di svolgimento delle sue interpellanze, cui anche l'onorevole Brunetta faceva riferimento, n. 2-00353, n. 2-00400, n. 2-00434 e n. 2-00486 di analogo contenuto, svolte nelle date 10 gennaio, 13 febbraio, 7 marzo e 4 aprile dell'anno corrente, si fa presente che la RAI, in merito al primo punto, ha provveduto all'invio delle informazioni richieste, secondo le disposizioni del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Dipartimento della funzione pubblica. Quindi sul primo quesito, credo che la risposta sia chiara: questo adempimento è stato espletato. Pertanto, in conformità con le finalità dell'articolo 60 del decreto legislativo n. 165 del 2001, le informazioni acquisite sono state utilizzate per il controllo del costo del lavoro pubblico. Le stesse sono state da ultimo impiegate in occasione delle valutazioni necessarie per l'emanazione della normativa in materia di limite massimo retributivo nell'ambito dei rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni.
  Tali disposizioni prevedono che anche la RAI – analogamente agli enti pubblici economici, alle aziende che producono servizi di pubblica utilità, alle società non quotate partecipate direttamente o indirettamente, a qualunque titolo, dalle pubbliche amministrazioni, di cui all'articolo 1, comma 3, della legge n. 196 del 2009, diverse da quelle emittenti strumenti finanziari quotate in mercati regolamentati e dalle società dalle stesse controllate – sia obbligata, relativamente ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo, a comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri-Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell'economia e delle finanze il costo annuo del personale comunque utilizzato, in conformità alle procedure Pag. 5definite dallo stesso Ministero dell'economia e delle finanze e d'intesa con il predetto Dipartimento della funzione pubblica.
  La RAI, in adempimento dei citati obblighi di legge, ha provveduto a trasmettere nel termine previsto e secondo i criteri delineati dal dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, tutti i dati richiesti dal Ministero dell'economia e delle finanze d'intesa con il Dipartimento della funzione pubblica.
  Sul punto, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, con una nota del 13 maggio scorso, ha osservato che l'articolo 60, comma 3, del decreto legislativo n. 165 del 2001 «è – cito testualmente – evidentemente finalizzato al solo rilevamento dei costi del lavoro pubblico e non prevede di per sé alcuna forma di pubblicità dei dati raccolti. La norma in questione non contempla, infatti, né la pubblicazione delle informazioni in sé, né giocoforza le eventuali modalità di tale applicazione e soprattutto non riguarda specificamente i compensi dei conduttori, degli ospiti e degli opinionisti, né tantomeno i costi di produzione dei programmi RAI. Ne consegue che il Ministero», il Ministero dell'economia e delle finanze, evidentemente, «a prescindere da quella che sarà la modalità di raccolta dei dati che deciderà di adottare, che in quanto tale non ha nessun effetto di rilievo concorrenziale» – nel corpo di questa nota possono essere rintracciati gli argomenti su questo punto specifico, sui quali non mi soffermo – «laddove decidesse di procedere di sua iniziativa alla pubblicazione di tali dati, è senz'altro nella condizione di ovviare all'insorgere delle problematiche di mercato paventate da questa Autorità attraverso la definizione di una procedura di divulgazione delle informazioni in forma anonima e aggregata per classi omogenee, con particolare riferimento alle categorie di collaboratori di maggior rilievo per la competitività dell'azienda». Questo è quanto dice l'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Questa materia, questo punto, dovrà essere oggetto di disciplina, come richiamava anche l'onorevole Brunetta, con il contratto di servizio per il triennio 2013-2015 tra il Ministero dello sviluppo economico e la RAI che è attualmente in corso di perfezionamento. Non è ancora sottoscritto il contratto di servizio stesso.
  Per quanto concerne il terzo quesito posto nell'interpellanza, la RAI ha precisato di aver adempiuto alle disposizioni recate dall'articolo 13 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito dalla legge n. 89 del 2014, che ha posto come nuovo limite massimo di retribuzione 240 mila euro annui. Tenuto conto che il limite massimo retributivo opera sull'intera annualità, occorrerà attendere la fine del 2014 per poter fornire una valutazione esaustiva del rispetto effettivo e concreto della disposizione. Ma, comunque, come dicevo, la RAI ha assicurato di essersi adeguata alla disposizione di legge richiamata.
  Inoltre, le rilevazioni inerenti il costo del lavoro pubblico sono tutte acquisite a consuntivo e, pertanto, anche per la RAI la verifica sull'effettiva e concreta attuazione della norma sarà possibile solo dal prossimo anno allorquando, appunto, saranno acquisiti i dati a consuntivo. Si fa presente, inoltre, che l'articolo 17 del decreto-legge n. 90 del 2014, convertito dalla legge n. 114 del 2014, al comma 4 recita, come l'onorevole interpellante già sa, che a decorrere dal 1o gennaio 2015 il MEF acquisisce le informazioni relative alle partecipazioni in società ed enti di diritto pubblico e di diritto privato detenute direttamente o indirettamente dalle amministrazioni pubbliche individuate dall'ISTAT ai sensi della legge n. 196 del 2009 e del decreto legislativo n. 165 del 2001 e successive modificazioni. L'acquisizione delle predette informazioni può avvenire attraverso banche dati esistenti ovvero con la richiesta di invio da parte delle citate amministrazioni pubbliche ovvero da parte delle società da esse partecipate. Tali informazioni sono rese disponibili alla banca dati delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 13 della legge 31 dicembre 2009, n. 196. La stessa norma Pag. 6contiene anche una disposizione di attuazione che è in corso di predisposizione.
  Si precisa, peraltro, che per quanto riguarda le società partecipate, il MEF, per il tramite del Dipartimento del tesoro, ha già fornito precise indicazioni alle stesse in ordine alla necessità di adempiere agli obblighi di legge e, quindi, a questo obbligo di legge di cui stiamo discutendo.
  Sulla questione il Dipartimento della funzione pubblica ha precisato che l'utilizzo dei dati comunicati dalla RAI, con nota 27 marzo 2014, n. 4120, alla Ragioneria generale dello Stato ed al Dipartimento della funzione pubblica, con la specifica degli elenchi riepilogativi contenenti il costo annuo del personale utilizzato nell'anno 2013, in ottemperanza a quanto disposto dal succitato decreto-legge n. 101 del 2013, saranno utilizzati per conseguire le finalità previste dal titolo V del decreto legislativo n. 165 del 2001 in materia di controllo della spesa. La disposizione che impone alla RAI l'obbligo illustrato si inserisce, infatti, nel contesto generale delle finalità volte al contenimento della spesa complessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli di finanza pubblica.
  Nello specifico, l'articolo 58 del citato decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, norma a fondamento del sistema del conto annuale, prevede che il Ministero dell'economia e delle finanze, d'intesa con il Dipartimento della funzione pubblica, proceda all'acquisizione delle informazioni sui flussi finanziari relativi a tutte le amministrazioni pubbliche al fine di realizzare il più efficace controllo dei bilanci, anche articolati per funzioni e per bilanci, e la rilevazione dei costi, con particolare riferimento ai costi del lavoro.
  Per quanto, invece, attiene allo stato di attuazione di quanto disposto dal citato articolo 13 del decreto-legge n. 66 del 2014, convertito dalla legge n. 89 del 2014, che prevede, a decorrere dal 1o maggio, come compenso massimo per il personale pubblico e delle società partecipate, un trattamento economico annuo onnicomprensivo pari a euro 240 mila, si rappresenta che la norma è in vigore per tutte le amministrazioni destinatarie e non necessita di alcun provvedimento attuativo.
  Rientra nella responsabilità di ciascuna amministrazione darne corretta applicazione, fermo restando l'obbligo di vigilanza da parte dei competenti organi di controllo.
   Per quanto riguarda infine l'adeguamento ai tetti retributivi da parte degli organi costituzionali, il Governo, pur non essendo sul punto competente per ragioni del tutto note, non può che rinviare alle comunicazioni anche pubbliche rese dai medesimi organi costituzionali.

  PRESIDENTE. Il deputato Brunetta ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  RENATO BRUNETTA. Assolutamente insoddisfatto, signor sottosegretario, anche perché qui si gioca sull'equivoco. Infatti la mancata pubblicazione del costo del lavoro relativo ai singoli rapporti di lavoro dipendente e autonomo, come previsto dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, è successiva alla normativa da lei citata del 2001 sul costo del lavoro ed è successiva anche al parere formulato dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi rispetto al contratto di servizio che ribadisce gli obblighi della succitata legge 30 ottobre 2013, n. 125. Per cui la nota, come l'ha chiamata lei, dell'Autorità garante, che fa riferimento agli obblighi previsti dalla normativa del 2001, viene superata dalla normativa 30 ottobre 2013, n. 125 che specificamente per la RAI richiede non una generica valutazione di costi ma i costi relativi ai singoli rapporti di lavoro dipendente o autonomo.
  A questo riguardo le osservazioni sulla competizione, il mercato, la concorrenza e così via sono superate dalla legge: non solo dalla succitata ultima legge n. 125 del 2013 ma anche dal parere parlamentare della Commissione di vigilanza sul contratto di servizio. Più di così ! Qui allora si vuole giocare sull'equivoco. Si tratta di una nota dell'Autorità garante che, tra l'altro, in tempi successivi al 2001 aveva Pag. 7espresso pareri di ottemperanza alle normative del 2011 (perché la storia viene da lontano), parere positivo a che si procedesse alle rappresentazioni pubbliche degli stipendi individuali, tanto per essere chiari, sia di dipendenti che dei conduttori e delle star.
  Come può una nota, che si riferisce alle funzioni di costo del lavoro per le normali funzioni analitiche della Ragioneria, contravvenire ad una normativa recente di un anno fa e al parere parlamentare opportunamente definito dalla Commissione di vigilanza al contratto di servizio ? Qui siamo di fronte veramente ad un imbroglio, non da parte sua, signor sottosegretario, ma ad un imbroglio interpretativo: perché io le chiedo, il Parlamento le chiede che venga rispettata una legge di questo Stato e un parere parlamentare di una Commissione bicamerale – la Commissione parlamentare di vigilanza – rispetto ad un contratto di servizio, cioè un'obbligazione tra un Ministero, cioè, il Governo, e un'azienda, la RAI.
  Con questa spiegazione, che qualche improvvido scriba le ha preparato, evidentemente si contravviene alla legge e ci si rifugia in una normativa del 2001 che nulla c'entra con l'oggetto della mia interpellanza urgente. Pertanto, faccio appello alla sua onestà intellettuale e a quanto mi disse nella mia prima interpellanza urgente, che non era coerente con quanto lei ha scritto. Si vuole rispettare la legge del 30 ottobre ? Lo dica il Governo: sì o no. Se «sì», lo faccia, se «no», cambi la legge e si assuma tutte le responsabilità nel cambiare la legge, e chieda al Parlamento di cambiare il proprio parere rispetto al contratto di servizio, perché il contratto di servizio assumeva la normativa del 30 ottobre 2013 a base della trasparenza.
  Per quanto riguarda, poi, i restanti punti della mia interpellanza urgente, sono qui a chiedere che la Presidenza del Consiglio, da lei così autorevolmente rappresentata, non solo sia di moral suasion alle singole amministrazioni perché pubblichino, ma perché la Presidenza del Consiglio assuma su di sé il coordinamento della pubblicazione, in maniera tale da consentire al cittadino non tanto di andare a caccia di remunerazioni presso questo o quel Ministero, ma di avere un unico sito, un unico luogo dove scrivere il nome di un funzionario o di un membro di un consiglio di amministrazione delle società o degli enti previsti dalla legge e trovarne la remunerazione e il relativo curriculum. Perché, vede, a volte, il diavolo, come si sa, sta nei dettagli: se io prevedo l'obbligo, l'obbligo c’è, però l'obbligo è nascosto, come per esempio troppe volte avviene per gli enti locali, più che per la pubblica amministrazione centrale, a quel punto, l'obbligo è contraddetto.
  Per quanto riguarda gli organi costituzionali, io mi riferivo all'auspicio del Presidente del Consiglio, che auspicava che nell'autodichia gli organi costituzionali provvedessero all'autoregolamentazione: anche in questo, sarebbe il caso di avere una sorta di luogo dove, autonomamente recuperate le informazioni, fossero disponibili, perché anche in questo caso – questo è il mio modesto suggerimento – il rischio è che un diritto di trasparenza del cittadino venga contraddetto dalla difficoltà nell'accesso.
  Io vorrei che, dalla Presidenza della Repubblica in giù, in un sito apposito – chiamiamolo «sito trasparenza» –, visto che il Presidente del Consiglio tante volte ha evocato questa finalità, siano contenute tutte le informazioni del caso, che sono frutto dell'autonoma determinazione, come conosciamo, di detti organi costituzionali.
  Ritornando al punto di partenza, le sto a chiedere qui, alla sua sensibilità e alla sua competenza, signor sottosegretario, di chiarire una volta per tutte questo imbroglio. Non basta una nota dell'Agcom relativa alla privacy, riferita ad una normativa del 2001.
  Suvvia, siamo seri, la normativa a cui io faccio riferimento è del 2013, la legge n. 125, e il parere parlamentare della Commissione di vigilanza relativo all'ultimo contratto di servizio, ancorché non definitivo e le suggerirei di renderlo definitivo quanto prima, altrimenti sarebbe Pag. 8ridicolo e obsoleto un contratto di servizio 2013-2015 che fosse approvato nel 2015; sarebbe paradossale e anche un po’ inaccettabile.
  La ringrazio ancora e le prometto che tra un mese ci rivedremo qui, nuovamente a chiedere conto e, naturalmente, darò comunicazione agli organi di stampa dell'imbroglio che, non lei, certamente, ma il combinato disposto di interessi oscuri continua a produrre rispetto all'esigenza di trasparenza della nostra vita pubblica.

(Elementi in merito alla decisione della GTECH spa (ex Lottomatica Group spa) di quotarsi esclusivamente nel mercato statunitense – n. 2-00655)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Binetti n. 2-00655, concernente elementi in merito alla decisione della GTECH spa (ex Lottomatica Group spa) di quotarsi esclusivamente nel mercato statunitense (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo alla deputata Binetti se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  PAOLA BINETTI. Signora Presidente, intendo illustrare la mia interpellanza cominciando proprio dal problema, pensando che potrebbe non essere così chiaro anche per tutti i colleghi che ci ascoltano, oggi, in questa sala.
  Lottomatica Group Spa, nell'ottica di sviluppare il suo business su scala mondiale, nel giugno 2013 ha cambiato la sua denominazione in GTECH, controllata dal gruppo De Agostini al 53,7 per cento, ed è oggi leader mondiale, sia come operatore commerciale che come fornitore di tecnologia in vari settori: lotterie online, istantanee e tradizionali, concorsi a pronostici, scommesse a totalizzatore e a quota fissa, gaming machine, terminali di gioco, sistemi centrali di controllo, software e servizi associati attraverso canali multigaming, giochi interattivi e servizi commerciali; un'industria di tutto rispetto. In Italia opera sia come concessionario esclusivo per determinati giochi come lotterie istantanee tradizionali, sia come concessionario non esclusivo per giochi come le scommesse sportive e gli apparecchi da intrattenimento; è presente anche nel settore dei servizi alle imprese e ai cittadini tramite Lottomatica Italia Servizi. È l'operatore leader a livello mondiale nel campo dei sistemi di processing ad alta sicurezza per le lotterie online, con attività in circa 60 Paesi in tutto il mondo in cui progetta, vende e gestisce una gamma completa di terminali per punti vendita abilitati alla gestione delle lotterie e sistemi centrali, terminali e servizi. Quindi l'interlocutore Lottomatica GTECH rappresenta nel nostro Paese un punto di riferimento estremamente importante perché ha un impatto tecnologico molto alto, una rete di commercializzazione molto sviluppata e una capillarità di presenze sul territorio che ne fanno, davvero, un soggetto particolarmente rilevante nel mondo del gioco d'azzardo.
  Quali sono i suoi ambiti di sviluppo ? Attualmente si è aggiudicata la gestione di una lotteria statale negli Stati Uniti, in Illinois, e in questo modo ha effettuato la più grande acquisizione commerciale da quando è iniziata la crisi economica. Per 6,4 miliardi di dollari la ex Lottomatica comprerà la società di Las Vegas, International Game Technology, diventando il primo gruppo al mondo nell'intera gamma dei giochi, aggiungendo alla leadership nel settore delle lotterie anche quella delle slot machine. Questa operazione, per capire la portata che ha, supera quella compiuta dalla FIAT che per 4,35 miliardi di dollari ha recentemente acquisito il 41,5 per cento di Chrysler. Le ultime acquisizioni che si ricordano da parte di una società italiana risalgono ai tempi di Enel nel 2007 e 2009 (13,5 miliardi di dollari) e di Finmeccanica nel 2008 (oltre 5 miliardi di dollari). Stiamo parlando, oggettivamente, di colossi di cui in Italia, in questo momento, non si vedono gli eguali.
  In questo modo, una delle storiche famiglie industriali italiane, detentrice del marchio De Agostini, realizza una scalata cominciata nel 2002 con l'acquisizione di Pag. 9Lottomatica, proseguita nel 2006 con l'acquisizione da 4,7 miliardi di dollari dell'americana Gtech e proprio attraverso la Gtech si compirà questa nuova acquisizione. Entro la prima metà del 2015, il gruppo De Agostini sarà proprietario del 47 per cento della nuova compagnia, che sarà di diritto inglese e sarà quotata in Borsa soltanto a New York. Interessante è cercare di immaginare quali siano le prospettive future di questa operazione. Indubbiamente è l'ultima operazione compiuta dai big dell'azzardo. La nuova società abbandonerà la Borsa di Milano per essere quotata a Wall Street. L'accordo è l'ultimo di una serie nel processo di consolidamento del settore del gioco alle prese con la rapida crescita dei giochi on-line. Obiettivo del gruppo, che finora ha fondato il suo successo sulle cospicue giocate degli italiani, è quello di ridurre l'esposizione sul mercato italiano, considerato ormai maturo.
  Su questo punto ritornerò nella mia esposizione, perché lo considero realmente il tallone d'Achille dell'operazione, che non è soltanto un'operazione economica e commerciale. Infatti, ritenere maturo il sistema italiano a tal punto da cercare la via dell'esportazione significa per certi aspetti anche una ricerca insidiosa e pericolosa di nuovi clienti sul territorio nazionale, clienti che non potranno che essere rappresentati dalle classi più deboli e più fragili. D'altra parte, considerare maturo il sistema italiano tanto da giocare l'operazione esportazione, significa aver saturato il sistema. Se il sistema è stato saturato vuol dire che molto è stato guadagnato, ma anche che molti danni, che molte ferite, che molta sofferenza lo stesso gioco ha occasionato. Questi due punti, la riduzione e quindi anche le necessità di individuare nuovi target che riguardano un futuro e la consapevolezza del fatto che riguarda il danno occasionato, costituiscono in realtà, poi, alla fin fine, il cuore di questa interpellanza. È un modo come un altro per dire che in Italia l'azzardo ha raggiunto un punto di espansione difficilmente superabile. Secondo gli analisti del Politecnico di Milano, in Italia non ci sono molti altri margini di crescita in un settore che vede circolare più di 80 miliardi di euro l'anno. Il passaggio di Gtech negli Stati Uniti potrebbe consentirgli di rifinanziare anche il suo indebitamento a tassi più convenienti per acquisire la leadership nel mercato dei giochi in USA, Paese che, a differenza dell'Italia, ha ancora grandi potenzialità di crescita.
  L'interpellanza, come è noto, vuole sapere se corrisponda al vero tutto quello che ho appena esposto e che di fatto costituisce un'acquisizione di dati presenti sui mezzi di comunicazione, sulla stampa, anche del settore, e soprattutto se la posizione che viene ad assumere Gtech, dal momento che sarà presente su un mercato borsistico che non è quello di Piazza Affari ma quello di Wall Street, avrà qualche implicazione su quello che preoccupa tanto il nostro Ministero dell'economia e delle finanze, cioè il gettito fiscale atteso. Quali sono adesso i dati che permettono di inquadrare meglio queste osservazioni e che permettono di dare senso a questi timori ma che nello tempo permettono di guardare, in qualche modo, a un prossimo futuro – quindi non ad un futuro chissà quando da venire, ma a un prossimo futuro – con la consapevolezza che la saturazione del mercato ha contribuito abbondantemente alla creazione di quella patologia che chiamiamo dipendenza grave da gioco d'azzardo (GAP), che i giornali si ostinano a chiamare ancora ludopatia e che definisce davvero un'area di grande sofferenza nel nostro Paese ? Otto miliardi e quattrocento milioni di euro è la cifra che l'erario ha incassato nel 2013 dal gioco legale e responsabile. La definizione viene direttamente dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli e comprende la vasta gamma dell'offerta dello Stato italiano in materia di giochi, scommesse e congegni a denaro. La cifra è composta da intrattenimenti di ogni genere: dal Bingo alle scommesse sportive, che si attestano intorno ai 162 milioni. Le cenerentole del settore sono i giochi a base ippica, che producono entrate per appena 38 milioni di euro, e i cosiddetti skill gamePag. 10– esempio principe è il Texas hold'em, il poker americano – quantificabili all'erario intorno ai 100 milioni di euro.
  Rilevanti i 641 milioni dei giochi numerici a totalizzatore – il Supernalotto, ad esempio – ma i giochi più problematici sono: il Lotto – 1,2 miliardi – le Lotterie Nazionali – anche loro si aggirano intorno al miliardo e mezzo – tra cui spiccano anche i «gratta e vinci». Ma i veri top players nel bilancio appaiono sotto la voce «Raccolta erariale dai giochi» alla voce, appunto, «apparecchi». Non si tratta tanto degli innocui «Comma 7» – ovvero i flipper, i biliardi e biliardini vari, che appartengono quasi all'archeologia di questi giochi e che raccolgono appena 24 milioni di euro – ma delle cosiddette New slot o giochi per il divertimento Awp e delle videolottery, che sommate si attestano sui 4,3 miliardi di euro (3,2 le prime e 1,1 le seconde) e costituiscono circa la metà del gettito fiscale proveniente dai giochi. Gli apparecchi, quindi, costituiscono il 50 per cento della raccolta totale dei giochi in Italia: un giro di affari da 47 miliardi, a fronte degli 84 complessivi. E forse vale la pena ricordare che la Toscana, tra le regioni italiane, è al settimo posto e contribuisce con 3,2 miliardi a formare il dato nazionale.
  In realtà in Italia si stanno diffondendo a macchia d'olio i nuovi punti-gioco, nonostante quello che si diceva della saturazione del mercato; sostituiscono i negozi che non riescono a sostenere il peso della crisi, le loro vetrine sono sempre più vistose e gli spazi occupati sempre più grandi. Non sembrano conoscere la crisi, anzi, quest'ultima sembra incentivarle sempre più dato che paradossalmente vengono spesso frequentate da persone in difficoltà, che sperano in una soluzione magica per i loro problemi.
  Secondo i dati del Ministero delle Finanze, evidentemente già noti al sottosegretario, le slot e le videolottery hanno raccolto in un anno circa 49 miliardi ed il premio è stato circa di 4.101 miliardi, con una tassazione pari al 13,5 per cento, perché circa il 75 per cento delle entrate viene rilasciato dalle macchine ai vincitori. È importante conoscere bene la differenza che c’è tra le new slot e le vlt, le prime più o meno ogni 30 mila partite, in media, restituiscono il 74 per cento dell'introdotto. Mentre nelle videolottery il ciclo è casuale, per cui si potrebbero giocare 3 mila euro in una macchina, senza vincere nulla. E poi, magari, vince uno che va a giocare un euro in un terminale in un'altra città.
  A partire dal 2009, anno della legalizzazione, queste sale hanno colonizzato le grandi città: a Milano, secondo i dati del comune, si contano 6257 postazioni per il gioco che hanno attirato persone di tutte le età, dal giovane che esce da scuola, all'anziano che ha appena ritirato la pensione. A Roma alcuni studi sostengono che 8 giocatori d'azzardo su 10 si dedicano alle slot-machine e la maggior parte di questi hanno un reddito compreso tra i 10.000 e 25.000 euro annui, sono quelli a cui il Governo ha recentemente concesso i famosi «80 euro» e il rischio è che quegli 80 euro, per alcuni casi giustamente abbiano coperto bisogni primari, ma in altri casi possono essere finiti proprio in queste macchinette.
  Per comprendere meglio questo business occorre analizzare il loro meccanismo: sorprende la facilità con cui si possono perdere grandi somme in pochi secondi con le vlt, che sono in grado di accettare banconote fino a 500 euro e, premendo alcuni semplici tasti, riescono ad esaurire il credito in pochi minuti; per cui i giocatori più accaniti rischiano di perdere rapidamente lo stipendio e la pensione. Ma non c’è dubbio che la nostra maggiore preoccupazione è la ricerca dei nuovi clienti per un mercato che sembra – sembra solo – saturo: sono i giovani e spesso anche i giovanissimi. A 14 anni in sala slot ci sono quelli che si giocano l'adolescenza.
  È il miraggio del guadagno facile a far crescere la voglia di giocare anche tra i più giovani, che non si rendono conto di quanto possa diventare prima un'abitudine e poi una malattia. Non associano l'azzardo al pericolo e solo uno su sette lo giudica un passatempo da malati, mentre Pag. 11la maggior parte, quattro su cinque, non sa neppure cosa sia la ludopatia. Molti di loro scambiano il «gratta e vinci», con un gioco innocuo, come la tradizionale cartella della tombola, ma poi col tempo contraggono una vera e propria dipendenza, con cui inseguono la facilità nel sognare di diventare ricchi.
  Giocano non per voglia di trasgredire, ma per avere soldi da spendere; quasi un adolescente su due, il 44 per cento, ha giocato almeno una volta, uno su cinque lo ha fatto più di una e c’è un 8 per cento che lo fa almeno una volta al mese. Tre su quattro, tra quelli che giocano, conoscono roulette, slot, incrociano le sale scommesse nei paraggi di casa, scuola e vivono l'azzardo come un modo per stare in compagnia. Un'attività ricreativa, come potrebbe essere andare in palestra o passare un pomeriggio con gli amici. È il rapporto che gli adolescenti italiani hanno con il gioco d'azzardo, fotografato da un'indagine Swg per l'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, la prima che interpella direttamente i minorenni tra i 14 e i 17 anni, e che è stata pubblicata nell'agosto di quest'anno.

  PRESIDENTE. Sta per esaurire il suo tempo.

  PAOLA BINETTI. Mi fermo qui e attendo volentieri la risposta del sottosegretario, e poi avrò altri dati da comunicare.

  PRESIDENTE. Aveva ancora un minuto, onorevole Binetti, io le ho segnalato che le restava ancora un minuto. Il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Giovanni Legnini, ha facoltà di rispondere.

  GIOVANNI LEGNINI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, in merito all'interpellanza urgente richiamata ed illustrata dall'onorevole Binetti, dopo aver sentito gli uffici dell'amministrazione finanziaria della Consob, si forniscono le risposte che di seguito illustrerò, precisando preliminarmente che naturalmente tutte le considerazioni che afferiscono al mondo dei giochi, agli effetti sociali, a tutto ciò che abbiamo sentito nell'esposizione dell'onorevole Binetti, non sono oggetto dei quesiti relativi all'interpellanza e quindi io mi atterrò ovviamente ai quesiti medesimi e naturalmente dando la disponibilità all'onorevole Binetti ad affrontare gli altri temi in altro luogo e in altro modo.
  Con riferimento all'operazione di acquisizione della società americana IGT da parte di Gtech Spa, la Consob, competente alla verifica della trasparenza dell'informazione fornita al mercato, conferma che l'emittente, in data 16 luglio 2014, ha diffuso un comunicato in cui si rende pubblica l'avvenuta sottoscrizione di un accordo per la fusione della Gtech con la società Information Game Technology (IGT). Le due società confluiranno in una holding di nuova costituzione di diritto inglese, quotata esclusivamente presso la Borsa di New York.
  Come si desume dal citato comunicato richiamato, l'operazione è destinata – secondo le intenzioni rese note dalle società proponenti – a creare un'azienda leader a livello mondiale nell'intera catena del valore nel settore dei giochi, con un posizionamento unico per capitalizzare le opportunità nei diversi settori del mercato globale. Sempre dal comunicato stampa della società Gtech Spa si rileva che l'operazione, approvata all'unanimità dai consigli di amministrazione di entrambe le società, si completerà nel primo o nel secondo trimestre del 2015. Il closing dell'operazione è soggetto al preventivo rilascio delle necessarie autorizzazioni antitrust e di quelle delle competenti autorità di vigilanza del settore del gioco, all'approvazione degli azionisti di IGT e di Gtech e ad altre condizioni tipiche per questo genere di operazioni. Agli azionisti Gtech che non abbiano concorso all'approvazione della delibera assembleare relativa alla fusione suddetta spetterà, com’è noto, il diritto di recesso.
  La Consob ha assicurato che svolgerà la propria attività di vigilanza a tutela degli Pag. 12investitori nonché dell'efficienza e della trasparenza del mercato, del controllo societario e del mercato dei capitali.
  In merito alle preoccupazioni espresse dall'onorevole Binetti circa le conseguenze sul gettito fiscale recate dalla citata operazione di fusione che coinvolge una società concessionaria dei giochi pubblici, la competente Agenzia delle dogane e dei monopoli fa presente che, dal citato comunicato stampa di Gtech del 16 luglio – confermato da una comunicazione del concessionario diretta alla medesima Agenzia – si evince che Gtech, subito prima della fusione indicata, trasferirà le proprie attività italiane a una nuova società, sempre di diritto italiano, che successivamente all'efficacia della fusione sarà controllata dalla nuova holding. Per quanto riguarda eventuali futuri mutamenti di assetto, al momento non previsti o non risultanti dalle comunicazioni formulate dal concessionario, l'Agenzia delle dogane e dei monopoli precisa che l'articolo 1, comma 78, lett. b), della legge n. 220 del 2010 prevede, tra gli obblighi dei concessionari di gioco, anche il mantenimento del controllo del concessionario sempre in capo a un soggetto che abbia i requisiti, nonché l'obbligo di assicurare il mantenimento nel territorio, anche ai fini fiscali, della sede del concessionario, quello di ottenere l'autorizzazione preventiva dell'Agenzia stessa in relazione alle operazioni che implicano mutamenti soggettivi del concessionario e delle operazioni di trasferimento delle partecipazioni, anche di controllo, detenute dal concessionario suscettibili di comportare una riduzione dell'indice di solidità patrimoniale.
  L'Agenzia inoltre ha rappresentato che, in data 5 settembre 2014, è pervenuta da parte di Gtech, ai sensi della citata normativa, la richiesta di autorizzazione preventiva al trasferimento del ramo di azienda contenente la concessione dei servizi del lotto automatizzato e al trasferimento delle partecipazioni nelle società controllate italiane che detengono le altre concessioni di gioco (lotterie istantanee, apparecchi da divertimento, scommesse, gioco on line). Più in particolare, è previsto il trasferimento da parte di Gtech delle partecipazioni nelle società controllate italiane ad una società di nuova costituzione, indicata come «Italian Holding», che assumerà il ruolo di capogruppo per tutte le attività italiane. Il ramo d'azienda riguardante la concessione del lotto e tutti gli asset/liabilities a questa relativi saranno conferiti ad una ulteriore società di nuova costituzione. Entrambe le società saranno costituite da Gtech nella forma di società di capitali con sede in Italia.
  Al termine di questa fase dell'operazione, la nuova concessionaria dei servizi del lotto sarà controllata direttamente da Italian Holding (controllata a sua volta al 100% dalla holding di nuova costituzione di diritto inglese con sede nel Regno Unito e sedi operative anche a Roma, Las Vegas e Providence).
  Da quanto sopra, emerge, quindi, che l'Agenzia dogane e monopoli dovrà essere interpellata preventivamente in caso di futuri mutamenti dell'assetto delineato dalla complessa operazione societaria illustrata.
  L'Agenzia inoltre riferisce che, per quanto concerne le attività di gioco, sottoposte al controllo dell'Agenzia dogane e monopoli, sia le società che detengono le concessioni, sia la loro controllante, saranno interamente stabilite in Italia, per cui l'intera attività di gioco, svolta sul territorio dello Stato, con i relativi proventi, continuerà ad essere integralmente prodotta in Italia e, quindi, attratta nell'ambito del regime impositivo nazionale.
  Quanto agli altri effetti sul gettito tributario dell'operazione, l'Agenzia delle entrate, che pure è stata sentita, per quanto riguarda l'imposizione diretta, rileva in via generale che il reddito delle società residenti, che è considerato reddito d'impresa da qualunque fonte provenga, è assoggettato a tassazione in Italia, come è noto, anche se prodotto all'estero. È altresì assoggettato a tassazione in Italia il trasferimento della residenza all'estero che comporti la perdita della residenza italiana; tale trasferimento determina l'applicazione dell'imposta in base al valore Pag. 13normale dei componenti dell'azienda o del complesso aziendale, salvo che gli stessi non confluiscano in una stabile organizzazione italiana.
  Per le società non residenti, il reddito d'impresa è assoggettato a tassazione in Italia solo se è qui presente una stabile organizzazione, che, pertanto, è condizione necessaria per poter considerare prodotto in Italia il predetto reddito d'impresa. Il reddito riferibile a tale stabile organizzazione è assoggettato – come è noto – ad IRES e ad IRAP. In assenza di una stabile organizzazione, la società non residente può essere assoggettata a tassazione, nei limiti delle direttive comunitarie (per i soggetti UE) o delle convenzioni contro le doppie imposizioni, per altre tipologie di reddito (quali interessi, royalties, dividendi e plusvalenze), non riconducibili al reddito d'impresa, mediante ritenute a titolo d'imposta applicate dal soggetto erogante.
  Ciò detto in linea generale, una valutazione circa eventuali perdite di gettito derivanti dal trasferimento all'estero della residenza fiscale della società in questione potrà essere effettuata solo in base alla analisi della situazione patrimoniale nonché dei dati contabili e fiscali della società ed, infine, dei termini precisi in cui sarà effettuata la riorganizzazione del gruppo.
  In particolare, qualora nell'ambito della riorganizzazione prospettata si determinasse la fuoriuscita dall'Italia di alcuni elementi patrimoniali, gli stessi sarebbero assoggettati a tassazione al valore normale secondo le ordinarie regole dettate in materia fiscale. Ciò avverrebbe, quindi, qualora alcuni cespiti attualmente presenti nel patrimonio di Gtech non fossero né attribuiti alla società di nuova costituzione di diritto italiano, né confluiscano nella eventuale stabile organizzazione facente capo alla holding inglese.
  Ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, l'Agenzia rappresenta che le attività di gioco rese online nei confronti di giocatori residenti in Italia sono rilevanti nel territorio nazionale anche se il gioco è gestito da un soggetto estero. I giochi resi online, in particolare, si configurano quali servizi elettronici e sono assoggettati all'aliquota IVA ordinaria del 22 per cento.
  Le prestazioni relative ai giochi, al di fuori della ipotesi sopra descritta, sono esenti da IVA ai sensi dell'articolo 10, nn. 6) e 7), del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 e, pertanto, non determinano gettito, anche nella ipotesi in cui fossero territorialmente rilevanti in Italia.
  Eventuali prestazioni non riconducibili né tra i servizi elettronici né tra le attività di gioco sono assoggettabili ad IVA in Italia, in caso di operazioni «B2C», sulla base della residenza del prestatore e, in caso di operazioni «B2B», sulla base della residenza del committente.
  I criteri indicati portano a ritenere che eventuali perdite di gettito ai fini IVA, conseguenti dalla attività di riorganizzazione del gruppo Gtech, potrebbero verificarsi solo in questa ultima ipotesi, ovvero qualora siano ravvisabili prestazioni generiche «B2C» trasferite alla nuova holding, fattispecie, però, di cui, allo stato attuale, non si intravedono i presupposti sulla base degli elementi di cui disponiamo.
  Comunque, posso assicurare all'onorevole Binetti che tutta questa complessa operazione societaria e gli effetti fiscali, nei termini tecnici che ho esposto, saranno attentamente osservati dall'amministrazione finanziaria italiana, che noi abbiamo già provveduto a interessare in questa direzione.

  PRESIDENTE. La deputata Binetti ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  PAOLA BINETTI. Presidente, vorrei prima di tutto, prima di dichiarare la mia soddisfazione o la mia relativa – veramente – insoddisfazione, puntualizzare due cose. Risulta davvero sorprendente che la genialità italiana, quella che noi stiamo perseguendo in tutti i modi, anche con un'opportunità concreta e su cui abbiamo discusso anche a proposito del «decreto competitività» e che in fondo riflette questa capacità di produrre un Pag. 14sapere nuovo che si imponga all'attenzione, a un'attenzione internazionale, si sia tutta concentrata nell'operazione del gioco. Questa realtà, devo dire, a me da un lato fa pensare a un patrimonio di intelligenza straordinaria; dall'altro, non le nascondo che mi sembrerebbe molto meglio che questa intelligenza fosse stata spesa e investita in altri campi.
  Detto questo, confesso che non sono riuscita a seguire tutte le osservazioni con la dovuta precisione, ma mi riservo, ovviamente, di leggerle nella risposta e, quindi, leggendole di farne un oggetto di comprensione più precisa e più puntuale. Mi sembra che il tutto si riduca in parte a dire che, attenzione, tutta questa realtà è che la Gtech italiana confluirà in un nuovo soggetto che si chiamerà «Italia», che coordinerà tutto quello che si fa in Italia, ma ci sarà qualcuno che sta fuori, che probabilmente in parte fa riferimento, dal punto di vista legale, a Londra e che, dal punto di vista della borsa, fa riferimento a Wall Street, e che questo soggetto internazionale a sua volta poi controllerà il soggetto «Italia». Questo elemento ovviamente, lungi dal darmi serenità e tranquillità, suscita in me una serie di perplessità, perché è come dire che noi mettiamo l'intelligenza, noi mettiamo la creatività, noi mettiamo un sistema che esplora le tecnologie, perché qui si tratta anche di tecnologie informatiche molto sofisticate che, a loro volta, rimandano a sistemi di controllo e di verifica molto attenti. Ma di questo patrimonio, che è un patrimonio intellettuale, noi cediamo, in ultima istanza, il controllo finale a un soggetto terzo. Devo dire che questo oggettivamente non mi soddisfa.
  Ma poi vorrei sottolineare un'altra cosa. Tutta la riflessione che è stata fatta gioca – e non a caso l'interpellanza urgente veniva rivolta al Ministero e, quindi, anche però alla persona del sottosegretario Legnini, che ha la delega su questo tema così complesso – sul tema puramente fiscale.
  Non c’è consapevolezza che dietro il tema fiscale, il tema del gettito fiscale, più alto è il gettito fiscale più gente vuol dire che gioca, più gente gioca più alto è il rischio che queste persone vadano incontro a patologie. Non sono due problemi diversi, non è per così dire che le mie osservazioni sul tema sono osservazioni estranee al problema, ne sono la immediata applicazione. Il MEF non può essere sensibile solo al controllo sul gettito fiscale senza chiedersi qual è il costo in termini umani di questo gettito fiscale. Non possiamo rallegrarci di dire: attenzione, il mercato italiano è saturo – e qui ci sono i problemi che mi pongo – ma noi possiamo andare a saturare il mercato americano, che significa non solo saturarlo in un certo modo, ma significa anche esportare un rischio, esportare una patologia. E questo ci rende allora non più così intelligentemente capaci, virtuosamente capaci; ci rende persone che semineranno anche fuori dall'Italia quella che è in parte la situazione problematica che noi stiamo vivendo qui in Italia. Questo è l'elemento di insoddisfazione rispetto alla relazione: l'idea che la preoccupazione dominante del MEF sia la preoccupazione del gettito fiscale e il controllo che si esercita perché questo gettito resti il più possibile presente in Italia.
  Non mi stupisco che ci possa essere un'attenzione, in un periodo di crisi, alle risorse. Pochi giorni fa qualcuno diceva: utilizziamo le risorse del gioco d'azzardo attraverso un meccanismo che sia quello della tassazione, per venire incontro alle esigenze dei comuni. Pensiamo pure a possibili tasse di scopo con le quali si possa, in un certo senso, farsi carico di progetti sociali di alto profilo. Tutto bene, ma il problema non è soltanto che cosa io faccio con le risorse che ricavo, ma è la consapevolezza che quelle persone da cui ricavo le risorse, che dovrebbero essere primi destinatari di questo – e lei sa bene, sottosegretario, che io mi riferisco proprio alla presa in carico e alla terapia di quei soggetti – è come se non esistessero; cioè non c’è la consapevolezza che più gettito io ho, potenzialmente più malati ho e, quindi, prima di tutto il controllo è in Pag. 15realtà paradossalmente sulla riduzione del gioco, ma poi, in termini concreti, è la presa in carico di questi.
  Il riferimento che io ho fatto prima alla ricerca chiesta proprio dal Garante dell'infanzia e pubblicata in agosto, questa impressione veramente devastante che abbiamo, che i giovani vengano in qualche modo abbastanza facilmente coinvolti da una situazione drammatica, non ci può far passare sotto silenzio che noi in questa situazione siamo anche responsabili di tutto questo. Non possiamo leggere queste situazioni esclusivamente nella linea, sottosegretario, che in qualche modo ci assicura soltanto la risorsa economica. La Confindustria giochi, e concretamente anche nella persona del suo presidente del Sistema gioco Italia, Massimo Passamonti, faceva un riferimento che è molto importante, che mi fa piacere leggere insieme a tutti. Lui diceva sostanzialmente questo: in una sala giochi da cento metri quadri, secondo l'articolo 86 del TULPS, la licenza comunale, si possono installare fino ad un massimo di venti slot machine, delle new slot, con obbligo di installarvi però anche altri videogiochi. Con la stessa metratura invece, rispetto all'articolo 88 sempre del TULPS, si possono installare sino a trenta terminali VLT. Se le new slot installate sono troppe – le 57 mila VLT sul territorio italiano, contro le 160 mila installate nel resto del mondo – il presidente del sistema gioco Italia, diceva: questa è una follia tutta italiana. Noi non possiamo fare a meno di tenere presente che questo sistema è una follia. Quando noi ragioniamo, controlliamo, e abbiamo bisogno di capire perlomeno che ciò che è giusto venga versato nelle casse italiane, non possiamo non chiederci: ciò che è giustamente versato nelle casse italiane, è giusto ? O è, come dice giustamente lo stesso presidente, una follia ?
  Se è una follia, non posso accontentarmi di garantire una procedura formalmente corretta, senza tenere conto che è questa stessa procedura che crea il disagio, che crea la gravità. Lei sa perfettamente, signor sottosegretario, con quanto impegno noi stiamo dietro all'idea che presto venga approvata una legge che, in qualche modo, garantisca che chi si è ammalato di gioco, perché il gioco gliel'ho venduto io, possa, in qualche modo, sapere che io stesso, che ho occasionato il problema, mi faccio carico di questa risposta. Intendiamoci: non ci consola l'idea che il gioco si possa spostare negli Stati Uniti perché è un mercato in cui vi sono infiniti giocatori e, io dico pure, vi sono infiniti potenziali pazienti. Questo esportare correttamente le idee non è soltanto esportare un processo tecnologico, non è soltanto esportare un processo commerciale, non è soltanto esportare un processo che, in qualche modo, risponde a logiche che vanno anche a finanziare tantissime altre iniziative. Ho anche la consapevolezza che il fine non giustifica i mezzi, e, tra i mezzi che sto utilizzando, veramente i malati sono qualcosa che ci fa male.
  Presidente, mi riprendo il minuto che mi aveva dato prima solo per dire una cosa che ha un significato paradossale: prima ho citato, e l'ho citato molto volentieri, quello che diceva Passamonti rispetto alla follia del sistema in Italia, ma sa cos'altro dice Passamonti ? Che i primi che soffrono per la ludopatia sono loro, i concessionari del gioco. Peccato che soffrano per ragioni totalmente diverse da quelle per cui soffrono i malati ! Probabilmente, la sofferenza, lì, è una sofferenza da portafoglio; quest'altra, invece, è una sofferenza che tocca il cuore, che tocca la mente, che tocca la salute a tutto tondo delle persone. Quindi, ringrazio il sottosegretario, lo ringrazio per le informazioni che ci ha dato, però, veramente, faccio appello a tutta la sua sensibilità perché su questo problema le risposte non siano lette esclusivamente in termini di politica fiscale. La politica fiscale è certamente necessaria, l'equità della politica fiscale è al cuore della riflessione anche sull'Europa: tutti imploriamo una riduzione della pressione fiscale, quando si parla di famiglie, quando si parla di realtà veramente ad alto rischio. Per piacere, rispetto al gioco, non analizziamolo solo utilizzando come chiave di interpretazione la politica fiscale.

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(Iniziative volte a garantire la realizzazione del penitenziario di Forlì – n. 2-00653)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Molea e Mazziotti Di Celso n. 2-00653, concernente iniziative volte a garantire la realizzazione del penitenziario di Forlì (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo al deputato Molea se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  BRUNO MOLEA. Signor Presidente, intendo illustrarla. Signor sottosegretario, la presente interpellanza riguarda quella che ho definito una «storia infinita», la costruzione del nuovo penitenziario di Forlì; costruzione diventata ancora più urgente da quando, a suo tempo, se ne decise l'avvio dei lavori, tanto più urgente perché la vecchia casa circondariale di via della Rocca, compresa nel vecchio castello di Caterina Sforza, è nel pieno centro storico di Forlì e versa in uno stato fatiscente, che definisco indegno per un Paese civile come il nostro.
  Nel 2009 una parte del fabbricato fu investita da un crollo, senza, per fortuna, conseguenze per nessuno, che portò, però, alla chiusura della sezione a custodia attenuata, tuttora ancora indisponibile: per riaprirla si renderebbe necessaria almeno una manutenzione dell'impianto di riscaldamento e delle docce, la tinteggiatura dei locali e un'accurata pulizia di tutti gli ambienti.
  Oggi la struttura ospita circa 150 detenuti, contro una ridotta capienza ricettiva, mentre la Polizia penitenziaria assegnata risulta essere pari a 90 agenti non totalmente operativi, a causa di limitazioni di vario genere, nei diversi ruoli (10 di questi sono impegnati in piantonamenti e soltanto 50 lavorano direttamente nei reparti). La popolazione penitenziaria è formata, tra l'altro, per il 70 per cento, da extracomunitari.
  Tre anni fa i detenuti – che lamentano lunghi tempi di attesa per le risposte dei magistrati di sorveglianza, anche in relazione alle richieste di misure alternative e ai permessi – scrissero una lettera al Presidente Napolitano, minacciando lo sciopero della fame, a causa delle pesantissime condizioni di vita dietro le sbarre di Via della Rocca.
  Sorto a fine Ottocento, il complesso della Rocca mostra l'usura del tempo. Il trasferimento sembrava a portata di mano, appena cinque anni fa, poi nel terreno di via Celletta dei Passeri, il sito individuato per la costruzione del nuovo penitenziario, è successo di tutto: impasto di burocrazia, imprevisti, vincoli delle varie soprintendenze, questioni legate agli appalti e, non ultimo, il ritrovamento di ordigni bellici che hanno contribuito a far sì che i tempi della consegna di dilatassero a dismisura.
  Ad oggi sono stati eseguiti solo interventi sul primo dei due lotti in cui è divisa l'opera e più precisamente quello della palazzina che ospiterà gli uffici. Non è invece terminato il muro esterno di recinzione, e il corpo vero della struttura è ancora da realizzare, cioè quello che dovrà contenere i detenuti con l'edificio del personale e i servizi. Eppure, nel 2009, l'allora Ministro della giustizia Alfano assicurò che il carcere sarebbe stato aperto nel dicembre 2012. Non solo: appena cinque mesi fa, su richiesta del comune di Forlì, dal Ministero hanno garantito che la fine dei lavori sarebbe stata comunque nel 2015 o, al massimo, nel 2016. Ora si parla del 2017.
  C’è poi un altro punto oscuro, quello dei costi a carico dello Stato: inizialmente si era parlato di un progetto di 59 milioni di euro, ma io sono convinto che l'allungamento consistente dei tempi è destinato a far sì che i costi lieviteranno in modo consistente.
  Le chiedo, pertanto, signor sottosegretario, quali urgenti ed efficaci iniziative si intendano adottare ai fini di una ripresa e conseguente accelerazione dei lavori.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la giustizia, Cosimo Maria Ferri, ha facoltà di rispondere.

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  COSIMO MARIA FERRI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, intanto ringrazio per la cortesia, ringrazio lei per avere autorizzato di anticipare la risposta a quest'interpellanza e ringrazio l'onorevole Gioacchino Alfano e gli altri interpellanti.
  Rispondo subito all'interpellanza degli onorevoli Molea e Mazziotti Di Celso oggi in discussione, inerente lo stato di avanzamento dei lavori del nuovo penitenziario di Forlì. Ritengo utile premettere che l'intervento di costruzione della nuova casa circondariale di Forlì si è reso necessario per assicurare il servizio attualmente svolto nella Rocca di Forlì, edificio ormai in carenti condizioni manutentive e non più idoneo allo scopo.
  Con nota in data 1o settembre, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha riferito come – da informazioni aggiornate ricevute direttamente dal Provveditorato interregionale opere pubbliche Emilia Romagna e Marche – la realizzazione della nuova struttura è articolata in tre distinti interventi, in funzione dei finanziamenti disponibili.
  Il primo intervento, noto come prima fase, per una spesa complessiva di circa 7,5 milioni di euro, comprende la sistemazione dell'area per la realizzazione dell'istituto penitenziario, la realizzazione della recinzione perimetrale, la realizzazione di parte degli alloggi di servizio, degli edifici tecnologici e di servizio e delle reti impiantistiche. I lavori sono ultimati e collaudati.
  Il secondo, detto primo stralcio, per una spesa complessiva di circa 31,5 milioni di euro, comprende la realizzazione del muro di cinta della caserma agenti e degli edifici detentivi e logistici.
  I lavori sono in fase di esecuzione e la loro completa realizzazione era prevista per il 3 marzo 2015, sennonché diverse sopravvenienze hanno comportato rallentamenti nell'esecuzione delle opere. Nel corso degli scavi propedeutici, condotti sotto la vigilanza archeologica della competente Soprintendenza, sono state, difatti, rinvenute preesistenze archeologiche, che necessitano di rilievi e successive rimozioni prima della prosecuzione delle operazioni sino alle quote di imposta delle fondazioni.
  Ulteriori ritardi sono stati determinati da vicende societarie, che hanno investito le ditte appaltatrici, CIR Costruzioni di Ferrara e Imet Spa di Perugia, attualmente in concordato.
  L'iniziale progetto, inoltre, è stato interessato da varianti per fare fronte alla necessità, rappresentata dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, di incrementare la recettività della casa circondariale.
  L'esecuzione delle opere è rimasta sospesa dal 22 maggio 2013 al 22 maggio 2014 a causa del rinvenimento di un ordigno bellico e della conseguente esecuzione di operazioni di bonifica e sono stati ripresi solo in seguito al nulla osta da parte dell'Esercito (V reparto infrastrutture di Padova).
  Le opere non potranno, pertanto, essere ultimate prima del dicembre 2015. Attualmente sono in corso di esecuzione i lavori attinenti alle strutture dei vari corpi di fabbrica e lo stato di avanzamento del lavoro si aggira intorno al 10 per cento circa dell'importo dell'appalto. Il terzo intervento, detto «secondo stralcio», per una spesa complessiva di 20 milioni di euro, comprende il completamento dell'opera; completamento e realizzazione di nuovi alloggi; completamento e realizzazione di ulteriori edifici detentivi, proprio per ampliare l'area di recettività e, quindi, a conferma della grande attenzione che ha al Ministero della giustizia, anche come ampliamento e sviluppo, nei confronti della casa circondariale di Forlì; completamento – sempre in questo secondo stralcio – della sistemazione dell'area esterna, che è importante anche alla luce dei provvedimenti che sono stati approvati, pure da questo Parlamento, per quanto riguarda la fase rieducativa del condannato e, quindi, tutto quello di cui necessita una struttura anche per quello che concerne l'area esterna, per evitare l'ozio e incentivare appunto le attività lavorative dei detenuti. La consegna dei lavori è stata operata il 19 novembre 2013 e la data Pag. 18stimata di conclusione delle opere era prevista per la fine del mese di luglio 2015.
  Il direttore dei lavori ha confermato alla competente articolazione ministeriale come, in linea di massima, le vicende riguardanti il secondo stralcio siano, in sostanza, sovrapponibili a quelle che hanno interessato il primo stralcio. Anche i lavori in corso del secondo stralcio sono stati sospesi a causa del rinvenimento di materiale bellico, con conseguente necessità di bonifica e provvedimento militare autorizzativo. L'andamento temporale dei due appalti è, dunque, pressoché analogo e, pertanto, la data di ultimazione è prevista per entrambi nel dicembre 2015. L'importo complessivo di spesa è, come peraltro noto ai signori onorevoli interpellanti, allo stato determinato in 59 milioni di euro, mentre la consegna del nuovo istituto non potrà essere operata, salvo ulteriori imprevisti, prima della fine di giugno 2016. I dati sono confermati dalla direzione generale del DAP, che esercita l'alta vigilanza ex articolo 35 della legge n. 395 del 1990 e che ha richiesto informazioni ai direttori dei lavori del primo e secondo stralcio.
  Quanto alle circostanze rappresentate in premessa dell'atto ispettivo e relative alle condizioni della Rocca di Forlì attualmente in uso, si rileva, infine, come da informazioni assunte dalla competente articolazione ministeriale, la popolazione detenuta alla data del 4 settembre di quest'anno, ovviamente, è pari a 106 unità e che a fronte di una previsione organica di 126 unità il personale di Polizia penitenziaria effettivamente in servizio ammonta a 96 unità, di cui 7 destinate al nucleo traduzioni e piantonamenti e, in assenza di tali esigenze, che non si registrano da diversi mesi, adibito ai regolari servizi di istituto.
  Quanto alle rappresentate doglianze dei detenuti presso la casa circondariale di Forlì in ordine ai lunghi tempi di attesa per le risposte dei magistrati di sorveglianza, anche in relazione alle richieste di misure alternative e permessi, consta dalla relazione trasmessa dall'ufficio sorveglianza di Bologna in data 5 settembre come il magistrato di sorveglianza competente per la casa circondariale di Forlì, oltre che per quelle, tra l'altro, di Rimini, Ravenna e Ferrara, non abbia procedimenti giacenti o non definiti per le misure alternative interinali e i permessi premio, salvo quelli in attesa di risposte istruttorie. Per quanto riguarda i procedimenti del tribunale di sorveglianza, infine, il medesimo magistrato risulta avere fissato, entro il corrente anno, tutti i procedimenti relativi ai detenuti di Forlì, ad eccezione di soli cinque fascicoli riguardanti detenuti con fine pena dopo il 2017.
  Accingendomi a concludere, ritengo che per le ragioni sin qui evidenziate circa i segnalati ritardi in ordine alla realizzazione della nuova struttura, non possano che essere imputati ad imprevedibili sopravvenienze intervenute nella fase esecutiva dell'opera.
  E questo ci insegna – e in tal senso sta operando il Governo anche con l'ultimo provvedimento «sblocca Italia» e non solo – quanto sia importante seguire anche i procedimenti relativi alla fase degli appalti e, in qualche modo, sbloccarla perché, come ho cercato di segnalare, molte volte i tempi sono stati dovuti all'intervento di altre amministrazioni sia per sbloccare tutte le questioni che riguardavano ordigni bellici che sono stati rinvenuti, sia per quanto riguarda la fase legata all'autorizzazione della Sovrintendenza.
  In questo senso anche il Governo sta operando per consentire la realizzazione di queste grandi opere ed evitare un'eccessiva burocrazia che certamente appesantisce l'iter amministrativo a cui si è aggiunto – e questo è anche l'obiettivo dell'ultima riforma della giustizia civile – il fatto che, in questo caso, anche le ditte che hanno vinto un appalto sono andate poi in concordato. C’è stato, quindi, un appesantimento dovuto alla fase concorsuale delle imprese che hanno vinto l'appalto.
  Ho indicato dei tempi che possono essere anticipati se riusciremo – grazie anche a questi provvedimenti su cui è impegnato il Governo e su cui chiaramente non mi sono soffermato perché non sono Pag. 19oggetto dell'interpellanza urgente – a recuperare del tempo, cercando di parlarne tra le amministrazioni per anticipare i tempi e dare presto questa struttura a Forlì. Grazie, e ringrazio ancora il Presidente.

  PRESIDENTE. Il deputato Molea ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  BRUNO MOLEA. La ringrazio, signor sottosegretario. Sono soddisfatto della risposta molto articolata, tecnica e puntuale rispetto all'interpellanza urgente e colgo con piacere un dato: le preoccupazioni che si potesse slittare al 2017 probabilmente non diventeranno delle realtà. Mi auguro veramente che quanto lei ci ha appena detto si possa concretizzare, pur nel rispetto delle procedure che comunque devono essere necessariamente sburocratizzate, comprese anche le procedure della Sovrintendenza che non poco ha vincolato la realizzazione di questo sito: pur comprendendo la necessità di salvaguardare dei patrimoni di cui questo Paese è ricco, alla fine, per questa eccessiva preoccupazione di salvaguardia, si rischia di ingessare realizzazioni che sono altrettanto necessarie e di vitale importanza.
  Auspico veramente che il secondo lotto a cui si faceva riferimento possa velocemente progredire e, quindi, andare alla sua realizzazione in tempi rapidi. Il 2015 sarebbe veramente una data eccezionale per poter avere finalmente una risposta definitiva per una situazione che dal punto di vista sociale, ma anche umano, è diventata veramente terribile.

(Iniziative a tutela dei militari affetti da malattie connesse alla propria attività professionale, anche alla luce di una recente sentenza del Tar del Lazio – n. 2-00649)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Piras n. 2-00649, concernente iniziative a tutela dei militari affetti da malattie connesse alla propria attività professionale, anche alla luce di una recente sentenza del Tar del Lazio (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo al deputato Piras se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  MICHELE PIRAS. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, membri del Governo e colleghi presenti in aula, in premessa dico che avrei preferito che la risposta in aula mi fosse stata data dal Ministero della salute non foss'altro perché ritengo che la competenza principale quando si parla di malattie professionali, pur ricadenti nell'ambito dei dipendenti della Difesa, in questa caso dei militari, possa essere oggetto di un'indagine più accurata da parte del Ministero della salute. Sempre in linea di premessa, ricordo che è di questi giorni un dibattito molto acceso nella mia isola su un incidente che è occorso nel poligono di tiro di Capo Frasca, poligono di pertinenza della base di Decimomannu dell'Aeronautica militare.
  In esso, in seguito alla detonazione di un ordigno, per quanto di dimensioni ridotte, è esploso un incendio che ha mandato in fumo 25 ettari di territorio, creando anche un certo allarme nella zona, ad esempio, fra i bagnanti, che hanno sentito le esplosioni ripetute che ci sono state nel poligono. Ciò a controprova del fatto che le esercitazioni militari che si svolgono nel poligono non sono precisamente quello che si usa definire un pranzo di gala; che all'interno di quei poligoni si svolgono attività piuttosto delicate, pericolose e si fa uso di sostanze che, vivaddio, producono agenti inquinanti di diverso tipo. In questo caso, si tratta di danni ambientali e danni economici che si aggiungono, si sommano, in una regione come la mia, nella quale insiste il 64 per cento delle servitù militari dell'intero territorio nazionale.
  Questo in via di premessa per dire che io ritengo che la sentenza n. 07777 del TAR del Lazio, che è di quest'anno, del 2014 – quindi, è una notizia anche relativamente fresca –, costituisca una sentenza Pag. 20di carattere costituente: la prima che inverte le decisioni della Previmil, cioè della Direzione generale della previdenza militare, le rigetta, riconoscendo, quindi, in maniera a mio avviso abbastanza esplicita, le responsabilità dell'amministrazione militare circa la malattia professionale contratta dal ricorrente, al quale, ricordo, la Previmil aveva negato i benefici derivanti dalla malattia professionale.
  Non solo inverte, rigetta la determinazione della Previmil, ma riconosce al ricorrente la condizione di vittima del servizio svolto e accoglie le tesi dell'avvocato del ricorrente, sulla base delle quali si sostiene che la malattia professionale sia dovuta all'esercizio della propria funzione in teatri operativi e nei poligoni militari a causa del contatto con polveri sottili determinate dalla detonazione di ordigni usati in questi scenari.
  Per la prima volta, equipara il lavoro nei poligoni militari al lavoro nel teatro operativo, cosa che finora non era mai avvenuta e che, da questo punto di vista, determina certamente nella giurisprudenza italiana un caso molto particolare, che credo sia destinato a far discutere, oltre quello che potrà essere lo spazio di discussione che c’è in questo momento in quest'Aula.
  Una sentenza storica che rimette in discussione anche un impianto consolidato, secondo il quale l'onere della prova, della correlazione fra la malattia contratta e la causa di servizio sarebbe in capo al militare, al dipendente che ha contratto una malattia. La inverte, perché restituisce all'amministrazione militare l'onere di provare l'esatto contrario di quanto sostenuto dal ricorrente.
  Questo è un motivo di novità, che è di recente acquisizione agli atti della magistratura, che riapre la discussione anche per quanto riguarda le migliaia di persone che si sono ammalate per causa di servizio militare e, probabilmente, anche riapre una speranza per il risarcimento per quelle centinaia di famiglie che hanno avuto un lutto in casa loro per queste cause. Devo dire che in questi vent'anni, trent'anni, nei quali tanto si è discusso di queste cose, noi ci troviamo sistematicamente di fronte a due partiti presi.
  Uno è quello del fronte ambientalista che insiste sugli effetti inquinanti dell'attività militare, soprattutto nei poligoni, più che in altri tipi di attività militare, perché ovviamente non è tutta uguale l'attività militare; l'altro è quello degli stati maggiori che assicurano che tutto è sotto controllo, che tutto è controllato nelle emissioni ambientali e che nulla accade in termini di conseguenze sul diritto alla salute dei dipendenti civili e militari della difesa e delle popolazioni civili.
  Quasi come un filo rosso, questa sentenza riconnette una discussione che sembra separata da un muro invalicabile e che tanto, anche in questi giorni che si sta discutendo di quanto successo a Capo Frasca, riemerge nella discussione, soprattutto in Sardegna, non a caso. Ricordo che nella mia terra insistono 24 mila ettari di poligoni. Ci sono i tre poligoni più grossi d'Italia e, anche, i tre poligoni più grossi d'Europa; quindi, non solo i tre poligoni più grossi della Sardegna, che sarebbe ben poca cosa rispetto al continente europeo; questa terra è quindi sacrificata fortemente agli interessi della difesa nazionale e dell'Alleanza atlantica. Insomma, avere dal TAR del Lazio una sentenza di questo tipo credo possa costituire per il popolo sardo e per i dipendenti della difesa un motivo di interesse e di curiosità e probabilmente anche un principio di giustizia rispetto a quello che finora abbiamo avuto.
  Rispetto a questa sentenza ho chiesto, sia al Ministro della difesa che al Ministro della salute, di dirci che cosa abbiano intenzione di fare, quali siano gli intenti, come intendano muoversi e come intendano dare una risposta a quanti, da anni, attendono, anche sul piano economico, che possa essere risarcito qualcosa che, effettivamente, non è monetizzabile, come la salute e il diritto alla vita.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la difesa, Gioacchino Alfano, ha facoltà di rispondere.

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  GIOACCHINO ALFANO, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signora Presidente, l'onorevole Piras pone una questione molto delicata a cui cercherò di rispondere, seguendo una linea chiara, perché lui aggiunge l'episodio di Capo Frasca che, in effetti, non è l'oggetto dell'interpellanza, ma è un episodio che si è verificato in quel poligono e che però ripresenta le questioni poste. Quindi, andiamo per ordine. L'interpellanza parte da una sentenza di quest'anno del TAR, la quale, a detta dell'interpellante, affermerebbe due principi: il primo è che si riconosce la possibilità di ammalarsi nei poligoni esattamente come in teatro operativo e il secondo è che l'amministrazione militare è riconosciuta colpevole e viene condannata a risarcire il militare ricorrente, riconoscendo allo stesso la condizione di vittima del servizio svolto. Il ricorrente ha prodotto ricorso nel 2012. In realtà, corre l'obbligo di precisare che il TAR con tale sentenza ha in realtà accolto i motivi aggiunti al ricorso introduttivo proposto dal ricorrente avverso i provvedimenti di diniego dei benefici per i soggetti affetti da patologie tumorali riconducibili alle particolari condizioni ambientali od operative, di cui all'articolo 603 del decreto legislativo n. 66 del 2010, nonché di quelli per gli equiparati alle vittime del dovere, di cui all'articolo 1, comma 564, della legge n. 266 del 2005.
  In effetti, il TAR ha annullato la nota e gli atti/provvedimenti a essa connessi con cui la direzione generale della previdenza militare aveva inteso respingere le istanze di concessione dei benefici che le disposizioni regolamentari contenute negli articoli da 1078 a 1084 del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010 e nel decreto del Presidente della Repubblica n. 243 del 2006, prevedono, rispettivamente, per i soggetti affetti da patologie tumorali riconducibili alle particolari condizioni ambientali od operative e per gli equiparati alle vittime del dovere.
  Dalla citata sentenza, dunque, è scaturito l'obbligo per la competente articolazione della difesa di rinnovare il procedimento per l'accertamento, prima, della dipendenza da causa di servizio dell'infermità sofferta e, poi, della riconducibilità della patologia stessa alle particolari condizioni ambientali in cui ha operato il militare, od operative, ovviamente secondo le indicazioni contenute nel dictum del giudice amministrativo.
  Essa non attribuisce alcuna responsabilità a carico dell'amministrazione difesa, né dispone condanna ad alcun risarcimento in favore del militare ricorrente. Si tratta, peraltro, di giudizio non definitivo, soggetto agli esiti dell'appello dell'amministrazione al Consiglio di Stato, anche alla luce del contrasto di giudicati formatosi con la Corte dei Conti che, nelle more di definizione del procedimento giurisdizionale in questione – perché c’è la richiesta –, non ha riconosciuto in via definitiva la dipendenza da causa di servizio della medesima patologia sofferta dal militare ai fini della pensione di privilegio e dell'equo indennizzo. In proposito, si evidenzia che il compito di pronunciarsi sulla dipendenza o meno da causa di servizio dell'infermità o lesione da cui è affetto il soggetto, è attribuito al comitato di verifica per le cause di servizio, secondo le disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica n. 461 del 2001 in tema di procedimento per il riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio dei pubblici dipendenti, richiamato sia dall'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 243 del 2006, sia dall'articolo 1081 del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010. Si tratta di un presupposto necessario e indispensabile al fine del giudizio sulla riconducibilità della malattia alle particolari condizioni ambientali od operative del servizio prestato.
  È opportuno inoltre sottolineare che, sempre secondo le previsioni del decreto n. 461 del 2001, il parere del comitato è vincolante per le amministrazioni. Esse, in caso di parere negativo, hanno soltanto la facoltà di richiedere un riesame dello stesso, qualora ne ravvisino le ragioni. Nel caso in cui il comitato, anche in sede di riesame, si esprima ancora negativamente, le amministrazioni non possono che conformarsi Pag. 22a tale parere. Si chiarisce, inoltre, che l'affermazione secondo la quale «numerosi militari e civili che hanno prestato servizio nelle aree militari hanno contratto malattie, fra le quali alcune tumorali, ma esse non sono mai state riconosciute come malattie correlate al lavoro svolto», non corrisponde alla realtà dei fatti. Gli onorevoli interpellanti, con l'espressione «aree militari», sembrano riferirsi ai poligoni e a quanti hanno contratto patologie prestandovi servizio. Va specificato che, in tutti quei casi in cui il comitato di verifica per le cause di servizio ha ritenuto sussistere il nesso di causalità o di concausalità tra la patologia sofferta e il servizio prestato, la competente articolazione di questa amministrazione ha riconosciuto la dipendenza della malattia da fatti di servizio, attribuendo conseguentemente, come era ovvio, i relativi benefici previsti dalla legge agli interessati, ovvero ai loro superstiti.
  È il caso di evidenziare, ancora, che, relativamente al nesso di causalità tra patologie e fattori di rischio riconducibili al servizio prestato, la letteratura medico-legale non è ancora pervenuta a stabilire con certezza la riconducibilità stessa, nemmeno sul piano della concausalità, quale requisito imprescindibile per la concessione degli indennizzi previsti dalle disposizioni normative in materia di vittime del dovere ed equiparati. Quanto al numero globale di malati, che viene espresso in oltre 3.600 nell'atto del sindacato ispettivo, non è facile desumere il contesto dal quale è stato calcolato tale valore, ovvero a quale arco temporale, a quali categorie di persone e a quali eventuali patologie si riferisca. Nello specifico, dai dati in possesso dell'Osservatorio competente della Difesa, si evince che i casi totali di tumori maligni nel personale militare notificati dal 1o gennaio 1996 al 4 settembre 2014 risultano essere 4.253 (di cui, purtroppo, 718 con decesso), ripartiti in 926 nel personale impiegato in missioni operative all'estero e 3.327 nel personale mai impiegato fuori dei confini nazionali. È opportuno evidenziare che si tratta del totale dei casi di neoplasia notificati al citato Osservatorio senza alcun riferimento ad una eventuale esposizione a una particolare noxa patogena ambientale/operativa, come invece viene sottolineato nell'atto; affermazione, questa, che, come già detto, non trova alcun adeguato riscontro documentale, oltre che dal punto di vista scientifico.
  Peraltro, il solo dato del numero di casi osservati non può avere significato epidemiologico-statistico, se non rapportato a una popolazione di riferimento e a un arco temporale di osservazione.
  Sulla base dei dati ottenuti dall'Associazione Italiana Registri Tumori, considerando come popolazione di riferimento la popolazione civile italiana, i casi osservati nella popolazione militare risultano statisticamente inferiori rispetto a quelli attesi nella popolazione civile di pari sesso ed età.
  Per quanto riguarda, in particolare, il personale che, in varia misura, ha prestato servizio presso enti sedi di poligono di tiro, nel periodo 1991 al settembre 2014, preso come riferimento, risultano in totale, 52 casi di neoplasia maligna, di cui 20 con decesso.
  Però dobbiamo anche aggiungere che sono state fatte anche attività parlamentari su questo tema, quindi, com’è noto, la tematica delle neoplasie maligne nel personale militare è stata analizzata nell'ambito di tre diverse Commissioni di inchiesta parlamentari; una istituita nel 2004, un'altra nel 2006 e un'altra nel 2010.
  L'ultima di esse, nella relazione conclusiva ha confermato quanto già riportato nelle relazioni delle precedenti Commissioni circa l'impossibilità di stabilire con certezza un nesso causale tra l'esposizione all'uranio impoverito o alle nanoparticelle e l'insorgenza di neoplasie maligne. Quindi possiamo dire che, ai fini della valutazione scientifica non c’è corrispondenza. Ma proprio per questo, l'analisi è proseguita e conseguentemente è stata estesa verso una serie complessa di fattori – ambientali e operativi – che potrebbero avere avuto un ruolo nel determinare patologie nel personale militare per cui, laddove esistano Pag. 23dubbi sulla causalità unica, viene invocato il principio di multifattorialità causale.
  Per quanto concerne le attività che si effettuano presso i poligoni, la Difesa è ormai da tempo impegnata nel monitoraggio delle aree interessate, adottando, anche di propria iniziativa, un disciplinare ambientale, cui devono rispondere tutte le attività esercitative, dalle fasi di pianificazione, con la predisposizione di schede di rischio ambientale, sino alle attività di smaltimento dei rifiuti e di ripristino dei luoghi al termine delle esercitazioni.
  Per fare adesso una valutazione puntuale possiamo dire che per il poligono di Capo Teulada, l'Esercito ha elaborato un Piano d'intervento ambientale, il cui modello concettuale è stato condiviso con l'autorità giudiziaria e con gli enti tecnici delegati dalla Procura di Cagliari, che prevede la bonifica, per fasi successive, dell'intero sedime della penisola interdetta.
  Con riferimento, invece, al poligono interforze di Salto di Quirra, nel corso degli ultimi anni le attività addestrative e di sperimentazione che vi si svolgono sono state oggetto di numerose indagini che non hanno evidenziato, finora, aumenti statisticamente significativi di patologie a carico del personale dipendente o degli abitanti dei paesi limitrofi ai poligoni. Nel contempo, l'Aeronautica Militare ha emanato una Direttiva sulla politica ambientale della Forza armata (Aeronautica Militare che è interessata all'incendio), un disciplinare ambientale specifico per i poligoni, contenente tutte le indicazioni operative affinché le attività siano ivi svolte in condizioni di assoluta sicurezza per il personale e per l'ambiente.
  Nei giorni 18 e 19 giugno scorsi si è tenuta a Roma la 2a Conferenza nazionale sulle servitù militari, attuata dal Ministro Pinotti, su impegno precedentemente assunto dal Ministro pro tempore, Mauro, finalizzata ad individuare un percorso condiviso di carattere metodologico e specialistico. Nell'ambito della Conferenza, sono stati evidenziati alcuni punti salienti di tale percorso comune, quali la stesura di nuovi disciplinari per la tutela ambientale relativi ai poligoni e alle aree addestrative, la valorizzazione delle potenzialità rappresentate dagli stessi poligoni, lo svolgimento di attività di ricerca unitamente alle attività condotte da enti e istituzioni locali, lo snellimento delle procedure finalizzate all'erogazione degli indennizzi, la ridefinizione dei periodi di sospensione delle attività addestrative, la valorizzazione dei comitati misti paritetici come sede per la discussione sui siti di importanza comunitaria, la mappatura delle servitù militari. È certamente d'interesse comune il raggiungimento del necessario equilibrio tra attività addestrative, presenza sul territorio, sviluppo delle attività locali, tutela e valorizzazione dell'ambiente.
  A tal fine, durante la richiamata Conferenza, si è convenuto d'istituire tavoli tecnici Difesa – singole Regioni, operanti nell'ambito dei singoli Comitati misti paritetici, per l'esame delle situazioni e degli assetti regionali, militari e civili, e per lo studio di percorsi condivisi di efficientamento e di ottimizzazione delle attività.
  Si evidenzia, infine, che la questione delle servitù militari è tra gli argomenti che verranno trattati nel Libro Bianco della Difesa, attualmente in corso di elaborazione.

  PRESIDENTE. Il deputato Piras ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  MICHELE PIRAS. Signor Presidente, io lo dico anche con simpatia all'onorevole Gioacchino Alfano, però la risposta che ho ascoltato qui, più che una risposta, mi pare un esercizio – peraltro anche alquanto cavilloso – di negazione di ciò che accade. Ci aspetteremmo qualcosa di più che la presa di posizione difensiva per cui non accade nulla, anzi ci si dice che nella popolazione militare l'incidenza di tumori è inferiore rispetto a quella generalizzata nella popolazione civile, ergo o i militari sono dei super-uomini, per cui si ammalano meno degli altri (io dico che almeno si ammaleranno al pari degli altri) oppure bisognerebbe aggiungere che non tutti i Pag. 24militari operano in teatri di guerra all'estero o di missione all'estero, magari più compromettenti dal punto di vista del contatto con un ambiente contaminato e non tutti operano nei poligoni, perché la popolazione militare è una popolazione – mi insegna l'onorevole Alfano – piuttosto composita, vasta, articolata, che opera in diversi scenari, i più vasti, e chi opera in una caserma opera in un determinato ambiente, chi opera in un poligono opera in un altro ambiente. Per quale ragione il Governo della Repubblica italiana, quello attualmente in carica, decide recentemente, in uno degli ultimi provvedimenti approvati in via definitiva dalla Camera, di equiparare le concentrazioni di soglia dell'attività militare a quelle dell'industria ? Per quale ragione decide di equipararle ? Non vi sarebbe alcun bisogno se, effettivamente, non ci fosse alcun problema dal punto di vista ambientale, se le immissioni nell'ambiente di sostanze nocive – perché di questo si tratta – sono contaminazioni – non è certo considerata una contaminazione positiva nel senso che non spargiamo rose e fiorellini mentre facciamo le esercitazioni militari – quindi per quale ragione decide di equipararle al livello dell'industria ? Noi sappiamo anche che l'industria, alcune industrie, inquinano anche di più delle esercitazioni militari, non foss'altro perché vanno a produzione a ciclo continuo; le esercitazioni militari per fortuna non avvengono 365 giorni all'anno, non con la medesima intensità di una produzione industriale, eppure il Governo ha deciso di equipararle, quindi sollevando la soglia rispetto a quella prevista per le attività commerciali, ad esempio. E perché a questo punto, visto che nulla succede, visto che non c’è correlazione, visto che addirittura i tassi tumorali nella popolazione militare sono inferiori a quelli della popolazione civile, perché non equipararle alle immissioni e alle concentrazioni di soglia previste per le attività commerciali, a questo punto ? C’è qualcosa che non torna in questo quadro; c’è qualcosa che non torna così come il fatto che a giudicare delle domande e delle richieste di risarcimento per causa di servizio sia una direzione generale della previdenza militare, che è subordinata al Ministero della difesa invece che essere consegnate alle attività ad esempio del Ministero della salute; c’è qualcosa che non torna se sono tantissimi i militari che contraggono forme tumorali – adesso lasciamo perdere veramente per quale motivo – se sono tantissimi i richiedenti il risarcimento e sono pochissimi quelli che lo ottengono. C’è qualcosa che non torna se c’è chi è morto giusto qualche giorno fa fra questi militari e ha chiesto per anni un risarcimento che gli è stato negato dalla medesima direzione generale. C’è qualcosa che non torna, a meno che tutti questi richiedenti non siano tutti quanti in malafede, per cui la ricerca spasmodica di un risarcimento per aver fumato troppe sigaretta nella sua vita si rivolge sempre al medesimo ente, perché avrebbe in linea teorica la possibilità di farlo. C’è qualcosa che non torna perché, se invece tornasse e se ci fosse qualche risarcimento attribuito in più e fosse stabilita la correlazione fra la causa di servizio, gli agenti inquinanti assorbiti dall'organismo e la malattia contratta, probabilmente bisognerebbe anche ammettere che non è un pranzo di gala, che le esercitazioni militari nei poligoni, così come le missioni in alcuni teatri operativi all'estero, non sono esenti da contatti con sostanze che fanno male.
  Ma questa è una cosa quasi banale. È surreale pensare che l'attività militare non produca qualche agente inquinante per il territorio, non fosse altro che per la detonazione di un ordigno, quando si usa un ordigno carico, non fosse altro che per il tipo di materiale di cui è composto quell'ordigno. Lasciamo perdere la storia dell'uranio impoverito e parliamo anche di altro: banalmente di nanoparticelle, banalmente della polvere che si solleva quando cade un ordigno, magari anche inerte, oppure del piombo, materiali che anche nell'industria, nelle attività industriali, se in eccesso, vengono riconosciuti come agenti potenzialmente patogeni per chi ci lavora e le popolazioni che vi abitano vicino.Pag. 25
  Io penso che bisognerebbe iniziare ad indagare su tale questione perché questa mi ricorda molto la discussione – e io spero di avere torto a tal proposito – che si è svolta per lunghi anni sull'amianto. Hanno spergiurato gli industriali dell'amianto e hanno portato a supporto delle loro tesi faldoni su faldoni di relazioni scientifiche che provavano inconfutabilmente che non c'era alcuna correlazione tra l'amianto e alcune forme tumorali; dopodiché si è venuto a scoprire a babbo morto – e non solo il babbo purtroppo – che in realtà non era così, che, in realtà, c'era una correlazione diretta e sono state chiamate a risarcimento di centinaia e migliaia di vittime dell'amianto quelle aziende che lo producevano. Lo dico anche per tutelare il Ministero della difesa da un'eventualità di questo tipo. Non si può, secondo me, continuare nel 2014 a portare una risposta ad un'interpellanza di questo tipo di carattere difensivo-negazionistico rispetto ad una cosa che a me pare essere l'evidenza, a meno che non si sancisca, ma allora inconfutabilmente sul piano scientifico, che ci fa addirittura bene. Allora, viva i poligoni, viva l'attività militare, solleviamo ulteriormente la soglia perché, anzi, ci salvano la salute, guariamo dal contatto con alcune sostanze e siamo tutti più felici !

(Iniziative per la celere definizione del Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere – n. 2-00648)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Roberta Agostini n. 2-00648, concernente iniziative per la celere definizione del Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo alla deputata Roberta Agostini se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  ROBERTA AGOSTINI. Presidente, sottosegretario, abbiamo presentato nel mese di luglio scorso questa interpellanza sottoscritta da un grande numero di parlamentari del gruppo del Partito Democratico perché piuttosto preoccupati dalle modalità e dal ritardo con il quale si sta dando attuazione ad una legge approvata lo scorso anno dal Parlamento, la legge n. 119 del 2013, che è la legge di conversione di un decreto-legge presentato dal Governo.
  Il Parlamento ha assunto con forza una serie di provvedimenti importanti lo scorso anno per il contrasto al femminicidio, provvedimenti ai quali è ora necessario dare seguito – io credo con velocità ed efficacia – al fine di contrastare un fenomeno odioso e pervasivo come quello della violenza sulle donne.
  Il 1o agosto scorso è entrata in vigore la Convenzione di Istanbul, che il Parlamento italiano ha ratificato pressoché all'unanimità, ed entrerà in vigore perché dieci Paesi l'hanno sottoscritta e ratificata; Convenzione che è uno strumento importantissimo per il contrasto della violenza, in particolare domestica, a livello europeo.
  La Convenzione dà una definizione di che cosa si intende per violenza contro le donne; c’è una violazione di diritti umani basata su una discriminazione delle donne in quanto donne; traccia la necessità di una fitta rete di sostegno e di protezione delle vittime e chiarisce come il cambiamento culturale e l'affermazione di una reale parità tra uomini e donne sia la chiave per contrastare efficacemente la violenza.
  Nella Convenzione si traccia una strategia fondata sulle tre P: la prevenzione della violenza attraverso l'affermazione di una cultura della dignità e del rispetto; la P della protezione delle vittime; la P della punizione dei colpevoli. Noi chiediamo di capire quali sono i passi concreti che il nostro Paese ha mosso su questa strada, preoccupati per il ritardo con il quale la stiamo percorrendo. Anche il fatto che sia il sottosegretario Alfano, che io ringrazio davvero per la sua presenza qui oggi, e, prima di lui, il sottosegretario Scalfarotto, a rispondere testimonia però di una difficoltà nel non avere un referente, un Pag. 26Ministro delegato che si occupi con continuità e con pienezza, anche dei tempi, della materia e questa assenza si riflette poi anche nelle incertezze delle politiche contro la violenza. Noi qui abbiamo a che fare con questioni molto delicate, che attengono alla vita delle persone. Secondo la rete DiRe, che è la rete che raggruppa i centri antiviolenza, sulla base dei dati dal 2008 al 2012, il numero delle donne che si sono rivolte ai centri è aumentato appunto negli ultimi anni del 20 per cento. Nell'ultimo rapporto sull'attuazione della piattaforma d'azione di Pechino, che è stato presentato a luglio ed è stato redatto da numerose associazioni e da esperti impegnati sul tema dei diritti umani, si dice che in Italia venti regioni su ventuno hanno una legge antiviolenza ma che i finanziamenti sono insufficienti, che non è chiara la definizione di centro e la caratteristica dei servizi e che la rete territoriale in realtà non è pienamente in grado di accogliere e di proteggere le donne, perché è molto frammentata e questo produce ovviamente rischi seri per la vita e per l'incolumità. Dal 14 agosto scorso ad oggi 155 donne sono state uccise, secondo il Ministro dell'interno sono state 177 nel 2013, ma insomma i casi di femminicidio li abbiamo potuti leggere sulle pagine dei quotidiani durante tutto il mese di agosto.
  È di ieri l'ultimo caso in provincia di Biella, dove un uomo ha accoltellato la moglie, il caso di Monasterace, dove una giovane donna di trentuno anni è stata uccisa dal marito, ma insomma potrei continuare con la cronaca dell'ultimo mese, da Santa Maria Capua Vetere fino alla provincia di Nuoro, fino a Sarzana. Le cronache dei giornali purtroppo sono state segnate dai femminicidi. Io vengo all'oggetto specifico dell'interpellanza: dicevo che il Parlamento ha approvato nell'ottobre scorso la legge n. 119 di conversione del decreto-legge n. 93 del 2013, che all'articolo 5 prevede la redazione di un piano antiviolenza che deve essere predisposto ed elaborato dal Ministro delegato per le pari opportunità, con il contributo delle amministrazioni interessate, delle associazioni di donne impegnate nella lotta contro la violenza e dei centri antiviolenza.
  I tavoli di lavoro che erano stati predisposti durante il precedente Governo erano sette. Io li ricordo brevemente: quello sulla rilevazione del rischio, il gruppo del rapporto dati, comunicazione e media, educazione, formazione, codice rosa e pronto soccorso. Da quello che ci risulta in realtà questi tavoli si sono riuniti una sola volta, tranne il tavolo di valutazione del rischio che si è riunito più volte e il tavolo relativo al codice rosa e al pronto soccorso che non si è mai riunito, però dalla fine del precedente Governo i tavoli non sono stati più riuniti e convocati. E tenuto conto che il sottosegretario Scalfarotto il 30 maggio scorso, rispondendo proprio a un'interpellanza, ha affermato che il Governo conta di approvare il piano ad ottobre e che già oggi è l'8 settembre, si chiede di conoscere qual è lo stato dei lavori e quali sono le intenzioni del Governo. Se posso aggiungere un'ultima questione che riguarda invece i finanziamenti per il biennio 2013-2014, quindi sono circa 17 milioni di euro.
  Chiederei di sapere se il Governo è intervenuto presso le regioni per chiedere criteri di qualità per investire e distribuire le risorse e se vi saranno, poi, in seguito, controlli sulle modalità con le quali queste risorse saranno poi spese.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per la difesa, Gioacchino Alfano, ha facoltà di rispondere.

  GIOACCHINO ALFANO, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, siamo chiamati a rispondere a questa interpellanza alla Presidenza del Consiglio dei ministri, però, come Ministero della difesa, non siamo estranei a questa attività. Anzi, il Ministro Pinotti, con molta attenzione, sta seguendo tutto l'iter che è stato attivato nelle more degli atti legislativi ancora da produrre.Pag. 27
  Come veniva rappresentato dall'interpellante, il 1o agosto è entrata in vigore la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica. Come ricordato, nelle more della sua entrata in vigore, il Governo ha adottato il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, recante «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province», perché continuiamo, a volte, ad aggiungere in provvedimenti di urgenza questioni anche eterogenee, ma fu fatto questo.
  Il citato decreto-legge prevede, all'articolo 5, l'adozione, da parte del Ministro delegato alle pari opportunità, previa intesa in sede di Conferenza unificata, di un «Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere», che deve essere elaborato con il contributo delle amministrazioni interessate, delle associazioni di donne impegnate nella lotta contro la violenza e dei centri antiviolenza.
  Il Piano nazionale persegue le finalità di prevenzione del fenomeno della violenza contro le donne mediante una pluralità di azioni in diversi ambiti: campagne di pubblica informazione e sensibilizzazione; promozione in ambito scolastico delle corrette relazioni tra i sessi, nonché di tematiche anti-violenza e antidiscriminazione negli stessi libri di testo utilizzati; potenziamento dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza e protezione delle vittime di violenza di genere e di stalking; formazione specializzata degli operatori; collaborazione tra istituzioni; raccolta ed elaborazione dei dati; previsione di specifiche azioni positive; configurazione di un sistema di governance del fenomeno tra i diversi livelli di governo sul territorio (in realtà, è stato detto anche dall'onorevole interpellante).
  Come sottolinea l'atto ispettivo, tenuto conto della complessità degli interventi da porre in essere per l'adozione del suddetto Piano, il compito di elaborarlo è stato affidato ad una task force interistituzionale, costituita il 22 luglio 2013, che riunisce tutti i Ministeri interessati, che furono individuati nei Ministeri per le pari opportunità, della giustizia, dell'interno, della salute, dell'istruzione, dell'università e della ricerca, degli affari esteri, il nostro, quello della difesa, come dicevo prima, dell'economia e delle finanze, del lavoro e delle politiche sociali e dello sviluppo economico, ai quali, poi, bisogna aggiungere i rappresentanti delle autonomie territoriali e del mondo dell'associazionismo, coordinati dal Dipartimento per le pari opportunità.
  Al fine di giungere in tempi rapidi all'elaborazione del Piano, i lavori della suddetta task force sono stati organizzati costituendo sette sottogruppi – questi sono stati divisi per argomenti tematici –, ai quali hanno partecipato i rappresentanti delle amministrazioni statali. Questi gruppi sono stati denominati «Codice Rosa», «Comunicazione», «Valutazione del rischio», «Formazione», «Educazione», «Reinserimento vittime» e «Raccolta Dati». I citati sottogruppi tematici stanno lavorando al fine di fornire proposte di intervento volte a determinare i contenuti del Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, come previsto, come già ho detto prima, dall'articolo 5, comma 2, lettere a-l), del decreto legge n. 93 del 2013.
  Premesso tutto questo, tenuto conto, altresì, che il Governo si è impegnato ad adottare il citato Piano, come si diceva prima, entro il prossimo mese di ottobre, il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Delrio, con lettera del 10 luglio ultimo scorso, nell'evidenziare che il tema della prevenzione e del contrasto della violenza contro le donne è un «tema centrale nell'agenda politica di questo Esecutivo», ha chiesto agli onorevoli Ministri dei dicasteri facenti parte di quella organizzazione-task force che abbiamo citato di fornire quanto prima al Dipartimento per le pari opportunità, che fa un po’ da coordinatore, la documentazione utile all'elaborazione del Piano.
  Con lettera del 31 luglio 2014, il citato Dipartimento ha sollecitato le amministrazioni Pag. 28capofila dei sette sottogruppi tematici che ho citato prima a trasmetterlo, entro il 19 settembre prossimo venturo, previa condivisione con i rappresentanti degli enti territoriali e delle associazioni facenti parte di ciascun sottogruppo e quindi questo per potere produrre il proprio documento conclusivo, utile per l'elaborazione del Piano. Quindi, il 19 settembre: a giorni, per così dire, dovrebbero produrre questo atto.
  Il Presidente del Consiglio, pertanto, consapevole dell'importanza del Piano in parola e della complessità e della delicatezza delle tematiche in questione si è adoperato, come sopra evidenziato, per accelerare al massimo i tempi di adozione.

  PRESIDENTE. La deputata Roberta Agostini ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  ROBERTA AGOSTINI. Signor Presidente, ringrazio il sottosegretario per la risposta. Purtroppo si evidenzia un po’ anche dalla risposta che siamo in ritardo. Apprendiamo, per così dire, dell'impegno del sottosegretario Delrio.
  Mi auguro che, oltre alla lettera e al fatto che le amministrazioni interessate produrranno del materiale da inviare presso il Dipartimento, ci sia anche un impegno concreto nel riunire nuovamente i tavoli e soprattutto nel coinvolgere tutte quelle realtà sociali, associative e in particolare i centri antiviolenza ma non solo, che si occupano di contrastare la violenza quotidianamente e che hanno un ricchissimo bagaglio ed esperienza di politiche in grado di essere messe a disposizione anche del lavoro che il Governo dovrà rilanciare.
  Quindi, colgo l'occasione di un'interlocuzione con il Governo per ribadire la necessità di tenere accesa l'attenzione su un tema sul quale l'attenzione non dovrebbe essere mai spenta e soprattutto per sollecitare un impegno maggiore e un impegno costante sulle politiche.
  Noi abbiamo in Italia buone leggi, spesso però fatichiamo ad applicarle, ed io non vorrei che fosse questo il caso della Convenzione di Istanbul e delle norme sul femminicidio, che con tanto impegno il Parlamento hanno approvato lo scorso anno. L'Italia è stata, in ambito europeo, uno dei primi Paesi a ratificare la Convenzione di Istanbul e uno dei pochi, pochissimi, grandi Paesi ad averla sottoscritta. Però ora ci vuole un Piano efficace, dotato anche di risorse che siano in grado di implementarlo praticamente. Per varare efficacemente il Piano c’è bisogno ovviamente di un po’ di tempo, di impegno e di coordinamento di obiettivi. Io penso anche ci sia bisogno di un punto di riferimento, di un referente stabile nella compagine governativa, che si occupi delle politiche di parità e del mainstreaming in generale.
  Innanzitutto c’è bisogno di dati e c’è bisogno del monitoraggio di un fenomeno che, purtroppo, ancora sfugge alle rilevazioni ufficiali e che, invece, avrebbe bisogno di essere conosciuto per essere contrastato efficacemente. L'ultima rilevazione importante è stata quella dell'ISTAT e risale al 2006. Dopo quella, non ci sono state rilevazioni su scala nazionale così capillari e così efficaci ed importanti.
  Occorre formare gli operatori e tutti coloro che hanno a che fare con le politiche di contrasto alla violenza, dalle Forze di polizia ai medici, al pronto soccorso e agli assestamenti sociali. Noi sappiamo che nel 70 per cento dei casi di femminicidio la vittima aveva in qualche modo già denunciato e comunque la situazione di rischio era già nota. Quindi, evidentemente non c’è una presa in carico sufficientemente adeguata alla complessità del fenomeno.
  Occorre sensibilizzare i media affinché propongano un'immagine rispettosa delle donne in qualche modo e occorre fare delle campagne di prevenzione, ma io direi di educazione, al rispetto tra i sessi e tra le persone a partire dalle scuole.
  L'interpellanza serve anche a chiedere un impegno maggiore delle istituzioni, che siano davvero un punto di riferimento forte nel contrastare un fenomeno che è sempre più pervasivo.

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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SIMONE BALDELLI (ore 17,15)

  ROBERTA AGOSTINI. E chiedo che l'Italia dia prova di rispettare gli impegni che ha assunto, anche sottoscrivendo la Convenzione di Istanbul, a livello europeo proprio nel momento in cui ha anche la Presidenza del semestre.

(Elementi circa l'adozione del Piano d'azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani e del programma unico di emersione, assistenza e di protezione sociale previsti dal decreto legislativo n. 24 del 2014 – n. 2-00662)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Dadone n. 2-00662, concernente elementi circa l'adozione del Piano d'azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani e del programma unico di emersione, assistenza e di protezione sociale previsti dal decreto legislativo n. 24 del 2014 (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo all'onorevole Dadone se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  FABIANA DADONE. Signor Presidente, il 28 marzo 2014 entrava in vigore il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 24, di recepimento della direttiva 2011/36/UE, relativa alla prevenzione e alla repressione della tratta di esseri umani e alla protezione delle vittime. Tre anni, sono trascorsi tre anni tra l'approvazione della direttiva europea e il recepimento della stessa direttiva da parte del nostro Governo. Tre anni, che è un'era geologica per quel che riguarda lo sviluppo e il dilagare del fenomeno della tratta di esseri umani. Tempi che sono biblici, soprattutto se si pensa al percorso che questo schema di decreto ha fatto all'interno delle Aule parlamentari. È stato un percorso discretamente lungo, anche se devo dire che si è lavorato decisamente bene da parte delle associazioni. Al di fuori di questo Palazzo sono arrivate moltissime, puntuali, precisissime e ottime segnalazioni per riuscire a migliorare quello che era lo schema di recepimento della direttiva. Questi rilievi sono stati tutti presi in considerazione in sede parlamentare, introdotti come condizioni, ma, purtroppo, non si sono tradotti in un provvedimento legislativo che fosse coerente con la direttiva. Non sono proprio stati recepiti. Tutte le condizioni poste non sono state ascoltate.
  Per fare alcuni esempi, l'articolo 4, quello che riguardava l'accertamento della minore età, quello, cioè, che era il famoso principio di presunzione della minore età, che è un capitolo a sé stante ed è importantissimo, soprattutto per chi lavora in quest'ambito, è stato quasi tralasciato e non recepito completamente, così come la parte relativa al relatore nazionale e ai meccanismi equivalenti di cui all'articolo 7. Rispetto a queste mancanze, c'era un auspicio, non solo delle associazioni, quindi esterno all'Aula, ma anche da parte nostra, che quello che era un decreto discretamente lacunoso potesse essere migliorato introducendo, nel Piano nazionale antitratta e nel Programma unico di emersione, assistenza e protezione sociale delle vittime, tutte quelle parti che mancavano al decreto. Ma, purtroppo, non è andata così. Lasciamo stare tutto quello che è il profilo del mancato recepimento. Vorrei porre un attimo l'attenzione sul merito e sui dati di questo fenomeno. Si parla spesso di tratta, ma molto poco spesso si conoscono i dati e il merito di questo fenomeno. Tanti ne parlano come di una vera e propria schiavitù, e lo è effettivamente. Non è un termine desueto al giorno d'oggi, schiavitù è più che mai attuale, soprattutto quando si parla di tratta di persone. E non è, come suppongo parte di questo Governo creda, o tutto, un fenomeno quasi mitologico. Infatti, non si è avuta l'urgenza di recepire per tre anni questa direttiva e quando lo si è fatto, lo si è fatto in maniera lacunosa, pensando che sia qualcosa che non colpisca l'Italia. È uno sbaglio enorme. È tutt'altro che così. Basta guardare i dati. Soltanto nel 2010 – quindi prendiamo dei dati abbastanza Pag. 30recenti – le vittime identificate sono circa 2.400. Attenzione, perché identificate può sembrare un termine che trae in inganno. Per chi come me conosce molto bene il fenomeno, identificate significa semplicemente quelle che sappiamo per certo essere vittime. Ma, in realtà, il nostro Paese è stracolmo di vittime di tratta. Ce n’è ai bordi delle strade, ce n’è nei fanciulli che vengono sfruttati. Ne è colmo, colmo, colmo il Paese. Quindi, bisogna avere un'ottica decisamente miope per credere che non sia un problema che ci affligga.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARINA SERENI (ore 17,20)

  FABIANA DADONE. A livello globale le stime stanno tra i 600 e gli 800 mila annuali, per un introito, da parte chiaramente del sistema malavitoso che li coinvolge e li rende vittime, di 32 miliardi di dollari. Le vittime principalmente sono donne e minori e, secondo i dati OCSE, sarebbero il 60 per cento donne adulte, il 15 per cento minori di sesso femminile e un po’ meno del 15 per cento minori di sesso maschile. A far che cosa ?
  Prostituzione anche minorile, e questo ve lo posso assicurare, accattonaggio, racket, sfruttamento del lavoro, microcriminalità. Questo è il concetto della tratta. Questa è la tratta di persone, questo è l'obiettivo della direttiva n. 36 del 2011. Anche la DIA ha parlato del fenomeno della tratta di persone e ne ha parlato come di associazioni criminali che si sono sviluppate in maniera tale e sono composte, sì, da soggetti stranieri ma che sono riusciti ad organizzarsi e a strutturarsi come le nostre mafie al pari della camorra e della ’ndrangheta. Quindi si sta parlando di sistemi mafiosi veri e propri. Il Governo ha chiaramente dovuto provvedere – anche perché l'Europa l'aveva imposto con una direttiva – attraverso il citato decreto. Il problema è che il recepimento è stato monco, parziale e assolutamente non adeguato. Continuo a dire che si poteva lasciar perdere la critica se nella stesura del piano nazionale antitratta si fossero inserite tutte quelle parti che erano rimaste lacunose nel decreto e, invece, il nocciolo dell'interpellanza urgente è questo. Infatti il Governo avrebbe dovuto emettere il piano nazionale antitratta il 28 giugno scorso: è un termine che peraltro si è autodato, il Governo, nello stesso decreto e quindi era anche abbastanza facile ricordarselo e rispettarlo ed è un piano che dovrebbe dare una programmazione strategica di intervento rispetto a questo fenomeno per riuscire a contenerlo e a tutelare le vittime e, invece, di questo piano non si trova apparentemente traccia. Parallelamente il dubbio che mi sorge è quello per il programma di emersione, assistenza e integrazione sociale, perché mancano 20 giorni alla scadenza di quest'altro programma che peraltro deve essere stilato sulla base del piano nazionale antitratta che al momento non è reperito. Pertanto suppongo che ci saranno anche delle difficoltà a redigere questo altro piano. Quindi delle due cose o il Governo non è in grado di riuscire a rispettare i tempi che si dà o altrimenti non c’è interesse – in entrambi i casi sarebbe molto molto grave – né per la tratta degli esseri umani né per i risvolti siano essi legali, morali, socio-economici che questo fenomeno implica. Pertanto sono a chiedere ai rappresentanti del Governo se questo piano nazionale antitratta di cui all'articolo 9, comma 1, del decreto legislativo n. 24 del 2014 sia stato adottato e con quali previsioni, e se, in vista dell'imminente scadenza dell'adozione del programma unico di cui all'articolo 8, comma 1, del citato decreto legislativo, il Governo stia provvedendo alla stesura di una programmazione di questo documento.

  PRESIDENTE. Saluto il gruppo della Parrocchia Santa Maria Immacolata e la Formica ONLUS di Rignano sull'Arno, che stanno assistendo ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).
  Il sottosegretario di Stato per la difesa, Gioacchino Alfano, ha facoltà di rispondere.

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  GIOACCHINO ALFANO, Sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, in realtà l'interpellanza urgente fa riferimento ad un piano nazionale d'azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani e, come citava l'interpellante, è del 2014 e tende a recepire la direttiva del 2011. Il tempo dal 2011 al 2014 sembrerebbe lungo, ma la direttiva in effetti sostituisce la decisione quadro 2002/629/GAI.
  Per iniziare con una dichiarazione di principio possiamo sicuramente affermare che la tratta degli esseri umani rappresenta un fenomeno complesso che può essere prevenuto e contrastato solo attraverso l'elaborazione di azioni in grado di affrontare contestualmente i molteplici aspetti che caratterizzano tale fenomeno.
  Il piano nazionale d'azione contro la tratta, che dovrà essere adottato con delibera del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro dell'interno nell'ambito delle rispettive competenze, sentiti gli altri Ministri interessati, previa acquisizione dell'intesa in sede di conferenza unificata, risponde proprio a tale finalità.
  Al piano spetta, infatti, il compito di «definire strategie pluriennali di intervento per la prevenzione e il contrasto al fenomeno della tratta e del grave sfruttamento degli esseri umani, nonché azioni finalizzate alla sensibilizzazione, alla prevenzione sociale, all'emersione e all'integrazione sociale delle vittime» ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 24 del 2014.
  L'elaborazione del Piano d'azione italiano contro la tratta degli esseri umani risponde, peraltro, alle esigenze di riordino e razionalizzazione dell'azione di Governo in materia di prevenzione, al fine di favorire, in particolare, la più ampia collaborazione tra le amministrazioni centrali, territoriali e locali, tutte impegnate nella prevenzione e nel contrasto della tratta degli esseri umani, anche alla luce della pluralità di competenze pubbliche coinvolte in tali attività, corrispondenti alle quattro direttrici su cui, a livello internazionale, si innesta comunemente ogni strategia organica in materia. Possiamo dire che, a volte, il coordinamento più che facilitare può complicare, ma noi stiamo cercando di far diventare il contrario questa partecipazione.
  Appare, inoltre, fondamentale garantire la cooperazione tra il livello istituzionale e il privato all'interno della stessa materia, la cui valorizzazione deve essere un elemento indefettibile nella costruzione della strategia italiana, in un'ottica di mantenimento e rafforzamento delle reti pubbliche e private integrate operanti sui territori.
  La natura transnazionale del fenomeno della tratta richiede, altresì, un impegno del Governo ad adottare strumenti di partenariato e di collaborazione con gli altri Stati interessati, sia per prevenire i reati, sia per facilitare la cooperazione investigativa e giudiziaria, anche per favorire lo scambio di buone pratiche e di strumenti di lavoro utili, in particolare, per i Paesi di origine delle vittime.
  Per quanto concerne l'elaborazione del Piano, si fa presente che, ai sensi dell'articolo 7 del decreto legislativo già citato, n. 24 del 2014, il Dipartimento per le pari opportunità è l'organismo deputato a coordinare, monitorare e valutare gli esiti delle politiche di prevenzione, contrasto e protezione sociale delle vittime di tratta.
  Al Dipartimento per le pari opportunità spetta, pertanto, un ruolo centrale nelle politiche nazionali di settore, con particolare riferimento alle attività di indirizzo e coordinamento degli interventi di prevenzione sociale del fenomeno ed anche di assistenza alle vittime, nonché di programmazione delle risorse finanziarie in ordine agli interventi di assistenza e di integrazione sociale delle vittime.
  Un ruolo chiave nel contrasto alla tratta degli esseri umani spetta anche alle altre amministrazioni centrali coinvolte, quali il Ministero dell'interno, il Ministero della giustizia, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero della salute, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Tutto questo, però, deve essere confermato senza dimenticare il ruolo delle regioni e dei Pag. 32comuni, cui spetta il compito di coordinare, promuovere e programmare le attività sui propri territori, e quello anche dei privati, nella loro doppia veste di soggetti attuatori di molti degli interventi di sostegno alle vittime e di «antenne» sul territorio.
  In considerazione di ciò, valutata la complessità delle azioni che andranno a comporre l'elaborando Piano antitratta, il Dipartimento per le pari opportunità, in linea con le indicazioni contenute nella Strategia dell'Unione europea per l'eradicazione della tratta di esseri umani, di cui alla Comunicazione del 19 giugno 2012, e tenuto anche conto delle specificità del contesto italiano e delle strategie operative sviluppate a livello nazionale, ha redatto un documento tecnico-operativo, sul quale sono state avviate specifiche attività di concertazione su tavoli distinti con tutte le amministrazioni centrali e con le principali reti di soggetti del privato, a cui è stato richiesto di fornire contributi utili alla redazione del Piano.
  In particolare, al fine di definire le problematiche esistenti ed individuare gli specifici obiettivi strategici e le proposte operative da inserire nel Piano, si è resa necessaria un'analisi di contesto per delineare il quadro attualmente esistente in Italia in ordine alle diverse forme di tratta di esseri umani, la legislazione vigente in materia e, quindi, anche gli interventi di protezione delle vittime, di prevenzione e di contrasto alla tratta.
  L'analisi – quindi, questa complessa attività di rilievo di dati – ha reso possibile: 1) definire i problemi e, di conseguenza, gli obiettivi strategici e specifici; 2) identificare i principali attori impegnati nel settore antitratta e quelli che potrebbero essere coinvolti; 3) definire la struttura del Piano nazionale antitratta e le priorità da considerare; 4) definire la struttura di coordinamento da implementare a livello nazionale; 5) stabilire un set di dati utili da tenere in considerazione per future valutazioni di attività, azioni, programmazioni antitratta.
  Il quadro normativo di riferimento per la definizione del Piano tiene conto delle disposizioni normative ed amministrative consolidate a livello internazionale, con particolare riferimento alla direttiva del 2011 che prima ho citato, e al decreto legislativo n. 24 del 4 marzo 2014 che tende ad attuare la direttiva stessa, e che stabilisce le norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni nell'ambito della tratta di esseri umani, mirando e rafforzando, da un lato, la prevenzione e la repressione del reato, dall'altro, la protezione delle vittime. Tale attività ha portato alla definizione di quella che dovrà essere la struttura del Piano e i suoi contenuti fondamentali.
  Pertanto, a breve verrà presentata una prima bozza del «Piano nazionale d'azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani», sulla base anche dei contributi delle altre amministrazioni coinvolte, che seguirà l'iter di condivisione e di approvazione previsto dall'articolo 9 già citato. Si fa presente, inoltre, che sulla base della struttura e dei contenuti del Piano è stata già predisposta una prima proposta di regolamento del programma unico di emersione, assistenza e integrazione sociale, che garantisce in via transitoria adeguate condizioni di alloggio, di vitto e di assistenza sanitaria e successivamente si è dato corso alla prosecuzione dell'assistenza e dell'integrazione sociale, così come previsto dall'articolo 8 del decreto legislativo n. 24 del 2014. Tale proposta sarà presentata subito dopo l'emanazione del Piano, essendone una diretta conseguenza.

  PRESIDENTE. La deputata Dadone ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  FABIANA DADONE. Signora Presidente, no, non mi ritengo soddisfatta, prima cosa perché la direttiva era scaduta da tempo. So che lei, sottosegretario, ha sostenuto che tra il 2011 e il 2014 il tempo sembra lungo, ma in realtà non lo è, tuttavia le posso assicurare che lo è, eccome, perché la direttiva era scaduta nel 2013 e quindi di tempo ce n'era stato a sufficienza. Il recepimento è stato lacunoso, Pag. 33per cui non si può che esserne scontenti e questo Piano nazionale antitratta ancora non c’è, ma pare che, da cosa ha detto lei, a breve uscirà una breve bozza del Piano antitratta.
  In questo momento, però, tocca alle associazioni continuare a colmare quello che è il vulnus legislativo perché, quando lo Stato non è in grado di dare una legislazione che riesca a porre dei limiti ad un fenomeno così grande, così devastante per tantissime persone, tocca alle associazioni e ai privati cittadini dover arginare con il proprio volontariato. Nel 2013, non so se lei ne fosse informato, ha fatto una visita in Italia la relatrice internazionale dell'ONU proprio per parlare della tratta di esseri umani e ha fatto anche una visita qui alla Camera alla quale ho avuto il piacere di partecipare. La visita era volta proprio a valutare lo stato di attuazione della direttiva 2011/36/UE che, all'epoca, chiaramente, non era stata ancora recepita. Per cui, nel notevole imbarazzo di alcuni dei rappresentanti dei gruppi, si è dovuto dire alla relatrice che il Governo non aveva ancora provveduto a far pervenire al Parlamento una bozza di schema di decreto, per cui non si era riusciti a recepire questa direttiva. Le posso garantire che fu una scena a dir poco imbarazzante che non ha certo ricoperto di lodi il nostro Paese agli occhi della relatrice, sorvolando sul fatto che quasi nessuno sapeva di che cosa si stesse parlando.
  Effettivamente è un fenomeno che spesso non si conosce nella pratica, io lo conosco molto bene perché sono una volontaria delle associazioni antitratta per cui ho esperienze concrete con queste vittime e so quali siano i limiti di una mancata legislazione di un Paese che non sa come occuparsi di un fenomeno di questo genere; poi tocca ai volontari dover tentare di arginare i danni. Ho seguito anche personalmente lo schema del provvedimento nelle Commissioni XIV e II e devo dire che lì, da parte dei relatori, ho trovato tantissimo aiuto, anzi, collaborazione, perché hanno recepito tutti quelli che erano i miei rilievi come portavoce di tantissime associazioni e a questi pareri sono state messe molte condizioni. Ciò che è dispiaciuto notevolmente è che il Governo non ne abbia recepita neanche una; erano condizioni che avrebbero aiutato questa direttiva ad essere attuata nel nostro Paese e a non dover avere tutte queste difficoltà nel redigere poi il Piano, perché già erano incluse nel decreto. Per farne presenti alcune: la definizione di condizione di vulnerabilità, che è proprio l'articolo 1; sembra una sciocchezza, ma, poi, se non la si definisce quando si è nelle sedi legislative, nella pratica diventerà un pasticcio riuscire a definirla.
  La presunzione di minore età: se non si stabilisce che c’è la presunzione di minore età quando ci si trova, come a me è capitato, di fronte a ragazzi di cui non si conosce l'età, se la legge mi dà la possibilità di presumere che si tratti di un minore possiamo fargli fare un tipo di percorso, altrimenti dobbiamo presumere che sia maggiorenne, e se poi si scoprirà che era minorenne i volontari e chi ci ha lavorato si dovranno mangiare le mani per non essere stati in grado di scoprirlo. Ma la colpa non è loro, è una lacuna legislativa, toccava al legislatore.
  Inoltre, la formazione del personale che viene a contatto con le vittime. In Commissione mi sono sentita dire: ma se si fanno fare dei corsi di formazione a coloro che vanno a contatto con le vittime sembra di dirgli che non sono in grado di fare il proprio mestiere. Non è assolutamente così, è che bisogna conoscere a fondo il tipo di fenomeno e qual è la situazione psicologica della vittima, per riuscire a dargli l'assistenza di cui ha bisogno.
  Sul risarcimento danni alla vittima mi sono fatta delle risate, per non piangere: un risarcimento forfetario. Ma lei ci ha mai parlato con una vittima della tratta ? Le storie sono molto simili, in realtà non molto differenti, ma hanno dei livelli di dolore che sono completamente diversi. Non si può stabilire – forse 1.800 euro, non ricordo bene – una somma forfetaria per il tuo dolore e dire: guarda, sei stato portato da un lato all'altro del mondo e schiavizzato ed il mio Paese ti dà indicativamente Pag. 341.500 euro, perché penso che quella sia la soglia del tuo dolore. Diamine, sarà il giudice, giustamente, a doverlo stabilire, ma anche sulla base di quello che ha vissuto la vittima ! Io ho sentito dei racconti che facevano veramente accapponare la pelle di minori venduti dai genitori che sono poi state portate qui; minorenni in strada per essere poi portate via dalle associazioni dopo moltissimi anni. Hanno delle situazioni psicologiche difficili da comprendere, per questo devono essere tutelate con una direttiva cui ha pensato l'Unione europea. Pensi, noi dovevamo limitarci soltanto a recepirla.
  Poi, l'oggetto dell'interpellanza è il piano nazionale antitratta. Era stato chiesto che le associazioni partecipassero alla redazione del piano, perché sono quelle che materialmente entrano in contatto con le vittime. Non sembra, ma regolamentare una cosa e prevederla da una scrivania quando si è stati sul campo con queste persone – parlo principalmente di ragazze, perché, lo abbiamo detto prima, il 60 per cento sono donne – è tutta un'altra questione. Pensi che al relatore avevo chiesto di introdurre nella parte sul piano nazionale antitratta che ci fossero delle strategie per la promozione di iniziative volte a ridurre la domanda e il relatore mi ha risposto: di quale domanda sta parlando ? Questo tanto per capirci. Speravo che il piano nazionale potesse, seppure in ritardo, colmare queste lacune. Chiaramente dovrò aspettare di vedere la bozza breve del piano nazionale per capire se effettivamente ci sarà la tutela che la direttiva prevedeva. Al momento non c’è la direttiva e non c’è il programma unico, ma mancano ancora 20 giorni e quindi non c’è problema. Non c’è il responsabile nazionale antitratta, ma ne abbiamo fatto a meno fino al 2014 e quindi non credo che aspettare ancora un pochino turberà nessuno. Personalmente mi sono assunta l'impegno, come membro della Commissione antimafia, di chiedere alla presidente Bindi di poter istituire un comitato specifico sulla tratta, e fortunatamente verrà istituito a breve. Per cui, spero potremo redigere un documento con delle indagini e degli indirizzi che il Parlamento vorrà approvare nei confronti del Governo e che, questa volta, il Governo non li usi come cartastraccia ma voglia valutarli per riuscire a fare una regolamentazione maggiormente pregnante. Poi, ci chiami illusi o sognatori ma noi continuiamo a sperare che si riuscirà ad avere una regolamentazione che limiti il traffico di esseri umani perché, lei dovrebbe saperlo, non è sicuramente nulla di piacevole sapere che nel proprio Paese esistono milioni di vittime che non sono affatto tutelate. E non posso dirmi soddisfatta perché questo Governo, in questo momento, sotto questo punto di vista e non solo, è stato disattento, negligente e a parere mio anche incapace. La scelta di stare dalla parte degli schiavi o degli schiavisti personalmente l'ho già fatta da anni come volontaria, noi l'abbiamo già fatta come gruppo, ora tocca al Governo.

(Chiarimenti in merito all'applicazione della disciplina relativa alle assunzioni nella pubblica amministrazione per le quali non è richiesto un titolo di studio superiore a quello della scuola dell'obbligo – n. 2-00654)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Galgano n. 2-00654, concernente chiarimenti in merito all'applicazione della disciplina relativa alle assunzioni nella pubblica amministrazione per le quali non è richiesto un titolo di studio superiore a quello della scuola dell'obbligo (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo alla deputata Galgano se intenda illustrare la sua interpellanza.

  ADRIANA GALGANO. Signor Presidente, sottosegretario, noi interpelliamo il Ministro del lavoro e delle politiche sociali relativamente all'articolo 16 della legge n. 56 del 1987.
  E lo facciamo sulla base di queste premesse. Ovvero che la funzione istituzionale dell'attività di garanzia del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, tendente a favorire la conoscenza delle Pag. 35norme di settore, al fine di facilitarne l'applicazione della normativa, viene spesso interpretata nelle province, diversamente, a seconda del territorio e del momento.
  L'articolo 8, del decreto legislativo n. 297 del 2002 mantiene esplicitamente in vigore l'articolo 16 della legge n. 56 del 1987, ove si configura uno speciale regime giuridico riguardo l'assunzione presso le pubbliche amministrazioni di personale da adibire a «qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell'obbligo, facendo salvi gli eventuali ulteriori requisiti per specifiche professionalità». La vigenza di tale particolare modalità di reclutamento del personale presso gli enti pubblici, accanto alle «procedure selettive», è confermata dall'articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001.
  Per le assunzioni a tempo indeterminato, prima di ricorrere all'avviamento a selezione ai sensi dell'articolo 16 della legge n. 56 del 1987, la pubblica amministrazione esperisce gli adempimenti previsti dagli articoli 34 e 34-bis del decreto legislativo n. 165 del 2001, verificando la presenza di eventuale personale collocato in disponibilità ai sensi dell'articolo 33 del medesimo decreto legislativo ed in possesso della stessa qualifica professionale.
  Le province e le altre pubbliche amministrazioni, pertanto, si raccordano con il servizio politiche attive del lavoro delle regioni per una verifica relativa alla presenza di personale eventualmente collocato in disponibilità.
  Sulla base delle informazioni assunte, le richieste di personale presso gli enti pubblici pubblicate dal centro per l'impiego di Perugia evidenziano requisiti superiori alla scuola dell'obbligo, contrariamente a quanto previsto dalla normativa nazionale a cui fa riferimento l'articolo 16 della legge n. 56 del 1987. Risulta, inoltre, che l'accesso agli atti, avanzato da diversi utenti al centro per l'impiego della provincia di Perugia, è stato spesso oggetto di conflitto e di tensione con gli utenti stessi.
  Date, quindi, queste premesse chiediamo di chiarire quali criteri interpretativi siano stati forniti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali sull'applicazione dell'articolo 16 della legge n. 56 del 1987 e dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 297 del 2002.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Teresa Bellanova, ha facoltà di rispondere.

  TERESA BELLANOVA, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, con riferimento alla interpellanza urgente presentata dagli onorevoli Galgano ed altri, con la quale chiedono quali criteri interpretativi siano stati forniti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con riguardo all'applicazione dell'articolo 16 della legge n. 56 del 1987, può essere utile illustrare la situazione corrente.
  L'articolo 8 del decreto legislativo n. 297 del 2002 nell'abrogare in larga parte la legge n. 56 del 1987 ha fatto salvo l'articolo 16 di tale legge che, com’è noto, prevede uno speciale regime giuridico per le assunzioni nelle pubbliche amministrazioni. L'articolo 16 prevede, infatti, che le amministrazioni pubbliche effettuano le assunzioni dei lavoratori da inquadrare nei livelli retributivo-funzionali per i quali non è richiesto il titolo di studio superiore a quello della scuola dell'obbligo, sulla base di selezioni effettuate tra gli iscritti nelle liste di collocamento ed in quelle di mobilità, che abbiano la professionalità eventualmente richiesta e i requisiti previsti per l'accesso al pubblico impiego.
  La lettera b) del comma 1 dell'articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001 specifica, inoltre, che l'assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene, tra l'altro, con contratto individuale di lavoro mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento ai sensi della legislazione vigente per le qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell'obbligo, facendo salvi gli eventuali ulteriori requisiti per specifiche professionalità.
  Sulla base, dunque, di tale ultima disposizione qualora i posti da ricoprire si Pag. 36riferiscano a posizioni per le quali sono richieste particolari professionalità e competenze, è possibile che l'amministrazione pubblica richieda ulteriori requisiti professionali oltre il possesso del requisito del titolo di studio della scuola dell'obbligo.
  Faccio presente altresì che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nel rispondere ad un'istanza di interpello del 4 agosto 2006, ha precisato che rientra nella facoltà e nell'interesse di ciascuna amministrazione pubblica provvedere alla precisa individuazione dei requisiti connessi alla professionalità richiesta, aggiuntivi a quello della scuola d'obbligo. A fronte della richiesta eventualmente formulata in tal senso da una pubblica amministrazione, i Centri per l'impiego, in ottemperanza alle citate disposizioni, procedono alla formazione di un'apposita graduatoria nella quale l'inserimento dei candidati è operato sulla base del possesso di qualifica riconosciuta con attestati, ovvero sulla base di precedenti esperienze lavorative. Con specifico riferimento alla questione evidenziata nel presente atto parlamentare e relativa in particolare ai Centri per l'impiego di Perugia, il servizio politiche del lavoro della provincia di Perugia ha riferito che non risultano procedure attivate in contrasto con la normativa innanzi richiamata, e che in alcuni casi sono stati richiesti dalle pubbliche amministrazioni ulteriori requisiti per specifiche professionalità, quali, ad esempio, il possesso di patenti di guida per la conduzione di mezzi di trasporto (bus adibiti al trasporto pubblico) ovvero attestati di qualifica riconosciuti ai sensi della legge n. 845 del 1978.

  PRESIDENTE. La deputata Galgano ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  ADRIANA GALGANO. Signor Presidente, io mi dichiaro parzialmente soddisfatta e le dico il perché. Noi abbiamo interpellato il Ministero su tutta una serie di casi concreti, l'ultimo quello relativo alla chiamata sui presenti del 1o settembre 2014. Questa chiamata come profilo professionale e qualifica individua un cuoco, categoria b), senza ulteriori specificazioni. Se noi andiamo a fare riferimento a un altro documento regionale relativamente alla qualifica di cuoco, leggiamo che per il cuoco è necessario un diploma di scuola superiore alberghiera oppure un attestato di qualifica professionale relativo a un corso professionalizzante di cucina della durata minima di 200 ore, oppure aver maturato un'esperienza documentata nel settore con la mansione di aiuto cuoco di almeno sei mesi. D'altra parte, non c’è bisogno di fare riferimento ad un altro documento – cosa che comunque ho voluto fare per completezza di documentazione – basta leggere la prova di idoneità prevista, ovvero questionario con risposte multiple su argomenti inerenti i principi di AHCCP, tecniche di respirazione e tecniche di conservazione, sempre per la qualifica appunto richiesta di cuoco. Ora, è chiaro che per questa figura la legge preveda che venga fatto un bando, al di là del fatto che vorrei sottolineare che un cuoco dovrebbe essere selezionato anche sulla base di una prova pratica, perché se sa tutte queste cose che noi accertiamo attraverso un questionario multiplo, ma non sa cucinare, non abbiamo fatto un bel servizio per la collettività; a parte questo inciso, noi crediamo che nelle leggi chiare, come l'articolo 16 della legge n. 56 del 1987, il «fatto salvo» non debba essere utilizzato per scavalcare la normativa, quindi noi pensiamo che il seguire le norme sia un requisito fondamentale per una società equa, in cui i diritti di tutti vengano riconosciuti, quindi il diritto ad avere un bando, se la legge lo prevede. Quindi, noi chiediamo al Ministero di vigilare affinché ci sia un rispetto della legge e che l'interpretazione del «fatto salvo» non costituisca una modalità per eludere una normativa dello Stato.
  Noi crediamo che, se la normativa non è sufficiente, non debba essere elusa, ma piuttosto debba essere cambiata. Questa è la nostra posizione di Scelta Civica e in questo momento stiamo facendo una grandissima battaglia perché le regole del mercato del lavoro, sia pubblico che privato, Pag. 37diventino più adatte ai tempi, più eque per tutti e consentano di supportare l'azione del Governo per assorbire la grande piaga della disoccupazione.
  Come ultima notazione, facciamo rilevare che sono documentati da atti pubblici episodi di tensione con gli utenti. Noi crediamo che sarebbe opportuno che in ogni ufficio, in ogni centro per l'impiego, fosse conoscibile a tutti gli utenti qual è il regolamento che consente di esercitare i loro diritti, non da ultimo, il fatto che ogni utente che consegna dei documenti ha diritto di avere una ricevuta che testimonia l'avvenuta consegna dei documenti.

(Iniziative di competenza volte a garantire un'omogenea presenza di asili nido su tutto il territorio nazionale – n. 2-00657)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Bossa n. 2-00657, concernente iniziative di competenza volte a garantire un'omogenea presenza di asili nido su tutto il territorio nazionale (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo alla deputata Palma se intenda illustrare l'interpellanza di cui è cofirmataria o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  GIOVANNA PALMA. Signor Presidente, l'ultimo report Istat sull'offerta comunale di asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia dice che la percentuale di comuni che offre il servizio di asilo nido, sia sotto forma di strutture, che di trasferimenti alle famiglie per la fruizione di servizi privati, negli ultimi anni, è aumentata, passando dal 32,8 per cento del 2003/2004 al 50,7 per cento del 2012/2013.
  Lo stesso report, però, segnala un fortissimo divario territoriale nell'offerta pubblica di asili nido da una regione all'altra: la percentuale, infatti, dei comuni che offrono tale servizio varia dal 22,5 per cento al sud al 76,3 per cento al nord-est.
  Più precisamente, nell'anno scolastico 2012/2013, sono circa 152.849 i bambini di età tra zero e due anni iscritti agli asili nido comunali; altri 45.856 usufruiscono di asili nido privati convenzionati o con contributi da parte dei comuni, per un totale di circa 198.705 utenti dell'offerta pubblica complessiva.
  Nel 2012, la spesa impegnata per gli asili nido è stata di circa 1 miliardo e 559 milioni di euro: il 19 per cento di tale spesa è rappresentato dalle quote pagate dalle famiglie, che ammontano a circa 300 milioni di euro; la restante, a carico dei comuni, è stata di circa 1 miliardo e 259 milioni di euro. La percentuale di compartecipazione degli utenti sul totale della spesa è aumentata negli anni, passando quindi dal 18 per cento del 2009 al 19,2 per cento del 2012 e con forti differenze regionali; fra il 2004, anno base di riferimento, e il 2012 la spesa corrente per asili nido, al netto della compartecipazione pagata dagli utenti, ha subito un incremento complessivo del 48 per cento, nello stesso periodo è aumentato del 36 per cento il numero di bambini iscritti.
  La percentuale di comuni che offrono il servizio di asilo nido, sia sotto forma di strutture che di trasferimenti alle famiglie per la fruizione di servizi privati, è passata dal 32,8 per cento del 2003/2004 al 50,7 per cento del 2012/2013.
  Permangono, però, come detto, enormi e insopportabili differenze territoriali: i bambini che vanno in asili nido comunali o finanziati dai comuni variano dal 3,6 per cento dei residenti fra 0 e 2 anni al sud, al 17,5 per cento al centro e la percentuale dei comuni che garantisce la presenza del servizio varia dal 22,5 per cento al sud al 76,3 per cento al nord-est.
  Il report Istat conferma, quindi, un'enorme carenza di strutture nelle regioni del Mezzogiorno senza apprezzabili segnali di cambiamento, mentre aumenta, al contrario, la distanza fra le regioni in cui il sistema di servizi per la prima infanzia è più consolidato e le regioni in cui l'offerta pubblica è tradizionalmente più carente.
  La gravissima sperequazione tra Nord e Sud non viene aiutata dalle regole del Pag. 38cosiddetto federalismo fiscale, in modo particolare dal criterio della spesa storica adottato per il calcolo del fabbisogno dei comuni per servizi fondamentali come, appunto, gli asili nido e le manutenzioni scolastiche.
  Secondo tale criterio, le zone rimaste indietro sono condannate a restarlo sempre di più dal momento che eventuali tagli alla distribuzione delle risorse si faranno non guardando al bisogno effettivo ma alla spesa consolidata, per cui laddove si è speso poco, si ritiene si abbia poco bisogno e quindi si faranno tagli maggiori, mentre, in realtà, il bisogno è esattamente contrario.
  Con un puntuale lavoro di inchiesta, il quotidiano napoletano Il Mattino ha documentato, a più riprese, tale sperequazione, chiedendo – e ottenendo – pubblicamente dal Presidente del Consiglio dei ministri Renzi un impegno a cambiare le regole del federalismo fiscale.
  Ciò nonostante, alcuni giorni fa il Governo ha approvato in via preliminare le cosiddette note metodologiche e dei fabbisogni standard per ciascun comune delle regioni a statuto ordinario relativi alle funzioni di istruzione pubblica e altro; il testo ora dovrà passare alla Conferenza Stato-regioni e alle Commissioni parlamentari competenti per i pareri; non risulta, però, che sia stato adottato alcun cambiamento rispetto al criterio del fabbisogno storico e della spesa consolidata, rischiando, così, di penalizzare in una fase successiva, ancora una volta, il Sud nella ripartizione dei fondi e nella distribuzione di servizi fondamentali come gli asili nido sul territorio.
  Si chiede, pertanto, se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto, se non ritenga grave la sperequazione tra Nord e Sud nella presenza di asili nido sul territorio e se non ritenga, per quanto di competenza, indicando gli strumenti utili in tal senso, di dover intervenire per aumentare l'offerta di asili nido al Sud e ridurre tale divario. Si chiede, inoltre, se non sia intenzione del Governo di intervenire su criteri, come quelli sulla spesa storica e consolidata, per cambiarli al fine di evitare che le zone del Paese svantaggiate lo siano sempre e ancora di più.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Bellanova, ha facoltà di rispondere.

  TERESA BELLANOVA, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. L'onorevole Bossa con il presente atto parlamentare richiama l'attenzione del Governo sul divario esistente tra Nord e Sud nell'offerta pubblica di asili nido e degli altri servizi socio-educativi per la prima infanzia.
  Al riguardo, è opportuno precisare che il Governo, nell'ambito del Piano azione e coesione, ha provveduto alla predisposizione del programma nazionale «Servizi di cura all'infanzia e agli anziani non autosufficienti» che prevede per il triennio 2013-2015 lo stanziamento di apposite risorse finanziarie in favore delle quattro regioni ricomprese nell'obiettivo europeo «Convergenza» (Calabria, Puglia, Campania e Sicilia).
  La strategia che contraddistingue il programma nazionale «Servizi di cura all'infanzia e agli anziani non autosufficienti» è quella di mettere in campo un intervento aggiuntivo rispetto alle risorse attualmente disponibili al fine di ridurre l'attuale divario esistente nel nostro Paese nell'offerta dei servizi di cura alla persona. In particolare, per quanto concerne l'ambito dei servizi di cura all'infanzia, il piano prevede lo stanziamento di 400 milioni di euro per il perseguimento dei seguenti obiettivi strategici: aumento strutturale dell'offerta dei servizi (asili nido pubblici o convenzionati, servizi integrativi e innovativi) fino alla copertura nel 2015 di almeno il 12% della domanda potenziale; estensione della copertura territoriale nelle aree ad oggi sprovviste di strutture e servizi; sostegno alla domanda, alla sostenibilità degli attuali e dei futuri livelli di servizio anche attraverso l'entrata in funzione di nuove strutture; miglioramento della qualità e della gestione dei servizi socio-educativi.Pag. 39
  Faccio, inoltre, presente che la Conferenza unificata del 1o agosto 2013 ha sancito, ai sensi dell'articolo 9, comma 2, lett. c), del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, l'Accordo quadro tra Governo, regioni, province autonome di Trento e Bolzano, comuni e province, per la realizzazione di un'offerta di servizi educativi in favore di bambini dai due ai tre anni, volta a migliorare i raccordi tra nido e scuola dell'infanzia e a concorrere allo sviluppo territoriale dei servizi socio-educativi 0-6 anni (cosiddette Sezioni Primavera).
  In base al predetto Accordo, in particolare, il Ministero dell'istruzione, il Dipartimento delle politiche per la famiglia della Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero che rappresento mettono annualmente a disposizione del servizio specifiche risorse finanziarie, la cui entità complessiva viene resa nota all'inizio dell'esercizio finanziario e comunque entro il mese di marzo.
  Ricordo, ancora, che, in attuazione dei protocolli d'intesa stipulati nel dicembre 2011 e nel maggio 2012, tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento delle politiche per la famiglia, il Ministero che rappresento, l'ISTAT e la regione Emilia Romagna, si è provveduto all'avvio di un progetto sperimentale volto alla creazione ed alla implementazione di un Sistema informativo nazionale sui Servizi socio-educativi per la prima infanzia.
  Il progetto – cui hanno successivamente aderito tutte le regioni ad eccezione del Piemonte e della provincia autonoma di Bolzano – persegue l'obiettivo di disporre di informazioni sulle prestazioni erogate dalle singole unità di offerta pubblica e privata presenti sul territorio in materia di servizi socio – educativi della prima infanzia.
  La creazione del Sinse mira anche allo sviluppo e al potenziamento – a livello regionale – di appropriati sistemi informativi per adempiere al meglio alle esigenze di programmazione degli interventi, al loro monitoraggio e alla loro valutazione.
  Al fine di sostenere il progetto è stato attivato un comitato di coordinamento che prevede la partecipazione dei rappresentanti delle amministrazioni centrali coinvolte, delle regioni e della provincia autonoma partecipante, dell'ANCI, del CISIS e dell'ISTAT.
  Faccio, inoltre, presente che la programmazione dei fondi comunitari per il periodo 2014-2020, allo stato in fase di ultimazione, ha destinato parte delle risorse dei fondi al conseguimento dell'Obiettivo tematico nove, denominato «Inclusione sociale e lotta alla povertà» che – con specifico riferimento all'area dell'infanzia – prevede l'aumento, il consolidamento e la qualificazione dei servizi di cura socio-educativi rivolti ai minori.
  Con riferimento al secondo quesito, occorre considerare che le regioni del Mezzogiorno sono state destinatarie, nel corso degli ultimi anni, di maggiori risorse nazionali, unitamente ad apposite azioni di assistenza tecnica volte a sostenere tali regioni sia nell'utilizzo delle risorse che nella programmazione dei servizi socio – educativi per la prima infanzia.
  Le predette risorse, che si aggiungono a quelle regionali, sono destinate a proseguire, in via prioritaria, l'ampliamento ed il consolidamento della dotazione di nidi e servizi per i minori dai zero ai tre anni, sia sotto il profilo dei costi di gestione che dell'attivazione di nuovi posti, nonché il miglioramento qualitativo dell'offerta in atto e futura.
  Da ultimo, ricordo che il nuovo Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, predisposto dall'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, prevedrà, tra l'altro, il rafforzamento dei servizi socio-educativi proprio al fine di incrementare l'offerta dei servizi all'infanzia sia in termini qualitativi che quantitativi.

  PRESIDENTE. La deputata Palma ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  GIOVANNA PALMA. Sì signor Presidente, mi ritengo soddisfatta.

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(Elementi ed iniziative di competenza in merito alla riorganizzazione della rete tecnica di Enel distribuzione spa, con particolare riferimento alla situazione della Campania – n. 2-00647)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Palma n. 2-00647, concernente elementi ed iniziative di competenza in merito alla riorganizzazione della rete tecnica di Enel distribuzione spa, con particolare riferimento alla situazione della Campania (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo alla deputata Palma se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

  GIOVANNA PALMA. Onorevole Presidente, onorevole sottosegretario, la società concessionaria del servizio elettrico Enel distribuzione Spa si appresta ad una sua ulteriore riorganizzazione dei presidi sul territorio con una forza lavoro già significativamente ridotta dopo l'approvazione della legge Fornero, che determinò molte fuoriuscite non reintegrate. Oggi in determinate aree del Paese, specie al sud e nelle isole, gli utenti assistono a frequenti interruzioni del servizio. Nel meridione la durata e la frequenza delle interruzioni nell'erogazione della corrente elettrica sono pari al doppio di quelle riscontrate nell'area nord-occidentale del Paese. La doppia velocità genera diverse prospettive di sviluppo e di investimento, ostacolando chi lavora per attrarre investitori, specie esteri, vanificando potenziali benefici che derivano dall'utilizzo dei fondi comunitari. Pensiamo al piano di coesione 2014-2020. La predetta riorganizzazione di Enel distribuzione, denominata allineamento organizzativo, penalizzerà i già martoriati creditori meridionali ed insulari con la riduzione sensibile di strutture ed uomini al servizio di questi territori, con risibili ipotetici risparmi previsti a fronte di una grande remuneratività della rete stessa.
  In sostanza, Enel distribuzione Spa riduce la propria presenza laddove dovrebbe potenziarla per adeguare il livello di qualità del servizio alle altre aree del Paese, ed in particolare alla previsione dell'Autorità di regolazione di settore. In Lombardia, secondo i dati diffusi da Enel distribuzione, l'erogazione dell'energia elettrica viene interrotta in media 1.79 volte all'anno, per un totale di 26.71 minuti, in Campania viene interrotta 4.57 volte all'anno, per un totale di 63 minuti, e in Calabria 6.58 volte all'anno, per un totale di circa 88.49 minuti. Tutto questo a parità di tariffa elettrica corrisposta dalle imprese del Paese.
  Nell'interpellanza parlamentare viene pertanto sollevata, di fatto, la problematica relativa alla prevista soppressione in Campania di due strutture operative, Pozzuoli e Sala Consilina. La seconda zona, in provincia di Salerno, sarà soppressa, insieme con l'unità operativa di Sapri, per creare una macrostruttura provinciale salernitana che coprirebbe un territorio pari al 36 per cento della regione Campania, con 22 mila chilometri di rete elettrica e 600 mila utenti serviti.
  La sopprimenda zona Pozzuoli, comprensiva dell'isola di Ischia, ogni anno, attualmente, fronteggia emergenze di interruzioni nell'erogazione dell'energia elettrica. L'ultima in ordine di tempo, lo scorso 10 agosto, ha lasciato le aree maggiormente turistiche dell'isola completamente senza energia elettrica per oltre trenta minuti. Lo scorso 14 aprile 2012, sull'isola di Ischia, vi fu un blackout di oltre cinque ore e, nel 2009, nel periodo di Ferragosto, un blackout paralizzò l'isola per diversi giorni e costrinse i cittadini a dotarsi di numerosi gruppi elettrogeni, creando gravissimi danni al settore del turismo.
  Con queste premesse, è follia pensare, ai fini di puro contenimento della spesa, di ridurre il livello organizzativo dell'Enel proprio in un'area che ha mostrato problemi di gestione della rete. Credo, onorevole Presidente ed onorevole sottosegretario, che occorra un approfondito intervento del Governo, azionista di riferimento di Enel Spa e concedente del servizio elettrico sino al 2030 ad Enel distribuzione, affinché il piano di razionalizzazione Pag. 41venga riportato alle effettive esigenze di tenuta e sviluppo della rete elettrica nelle aree summenzionate, ed in particolare per la regione Campania.
  Per le ulteriori considerazioni rimando, signor Presidente, al testo dell'interpellanza, fiduciosa di un'attenta e preziosa risposta governativa.

  PRESIDENTE. Il sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali, Teresa Bellanova, ha facoltà di rispondere.

  TERESA BELLANOVA, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, con riferimento all'interpellanza in esame, riferisco di seguito quanto acquisito dal Ministero dello sviluppo economico.
  Premetto che la società Enel distribuzione Spa, concessionaria per il servizio di distribuzione elettrica, ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo n. 79 del 1999, cosiddetto «decreto Bersani», per una parte del territorio nazionale, ha presentato nello scorso mese di luglio un progetto di riassetto della propria organizzazione territoriale che interessa anche la regione Campania, e, in particolare, le zone e unità operative delle province di Napoli e Salerno.
  Il Ministero dello sviluppo economico, nell'ambito della propria potestà di verifica e controllo derivata dalla convenzione annessa alla concessione per il servizio di distribuzione elettrica, ha provveduto ad acquisire dal concessionario elementi e informazioni in merito agli effetti della predetta riorganizzazione sulla configurazione del servizio di distribuzione nelle aree sopraindicate. In particolare, Enel ha evidenziato che tale progetto è stato oggetto di confronto con le organizzazioni sindacali di categoria e che il suo scopo è quello di realizzare un'ottimizzazione delle strutture e delle risorse esistenti mediante una serie di aggregazioni tra strutture territoriali, comportanti, in taluni casi, una ridefinizione dei perimetri territoriali di competenza, tali da realizzare condizioni di maggiore efficienza ed efficacia complessiva di funzionamento.
  Ciò posto, in merito alle affermazioni dell'onorevole interpellante circa gli effetti pregiudizievoli per la qualità del servizio elettrico che deriverebbero dalla prevista aggregazione del territorio metropolitano di Napoli con parte di quello di Pozzuoli e dalla creazione di una nuova zona provinciale con sede a Salerno che accorperebbe le sedi tecnico-operative di Sala Consilina e Sapri, si ritiene che le conseguenze pregiudizievoli per lo sviluppo del territorio interessato potrebbero derivare dalle predette aggregazioni solo se, con questo riassetto, si degradasse il livello di presidio e manutenzione delle reti rispetto al livello attuale o, comunque, al livello ottimale.
  Al riguardo, Enel ha garantito che non sarà attuata alcuna riduzione del personale, che non verranno modificate le attività operative del personale che presidia e gestisce la rete elettrica e che resteranno confermate le sedi di lavoro, con i rispettivi tecnici e operai in servizio che continueranno ad operare, in maniera integrata, assicurando il presidio dei processi sui territori di competenza.
  Inoltre, a proposito delle dimensioni dei predetti accorpamenti citati dall'onorevole interpellante, stimati dallo stesso pari al doppio e, in taluni casi, al triplo di altri accorpamenti nazionali, il concessionario precisa che le dimensioni delle nuove Zone risultano in linea con quelle di altre Zone già presenti e di futura costituzione e, comunque, idonee a garantire gli aspetti di sicurezza e presidio della qualità del servizio, senza alcuna penalizzazione per gli utenti finali e per il territorio.
  Infatti, in considerazione dei nuovi perimetri territoriali delle Zone in questione, è previsto il mantenimento, rispetto al precedente assetto, di quattro unità operative rete e squadre per la Zona Napoli-Pozzuoli (Giuliano in Campania, Napoli Nord Est, Napoli Nord Ovest, Pozzuoli) e di cinque per la Zona Salerno-Sala Consilina (Agropoli, Battipaglia, Nocera Inferiore, Sala Consilina-Sapri e Salerno), ciascuna con un proprio perimetro di competenza Pag. 42allo scopo di presidiare e gestire adeguatamente la rete e di garantire idonei livelli di qualità del servizio.
  In ogni caso, il Ministero dello sviluppo economico, unitamente all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico per gli aspetti di competenza, effettuerà tutte le verifiche e i controlli necessari ad assicurare che il programma di riorganizzazione sia attuato nel rispetto degli obblighi della concessionaria e idoneo a garantire elevati livelli di qualità del servizio e il regolare sviluppo delle infrastrutture a vantaggio del territorio.

  PRESIDENTE. La deputata Palma ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

  GIOVANNA PALMA. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, nel dichiararmi non soddisfatta per la risposta, vorrei ancora sottolinearle la delicatezza della questione posta.
  Rinnovo, pertanto, l'invito al Governo a svolgere ulteriori approfondimenti sull'impatto reale, sulla qualità dell'erogazione del servizio elettrico in termini di durata delle interruzioni e numero di interruzioni del servizio stesso in corso di anno, alla luce della prospettata diminuzione dei presidi di coordinamento e progettazione tecnica, denominati Zone, e dei presidi tecnico-operativi denominati Unità operative. L'affidabilità e lo sviluppo della rete elettrica costituisce elemento di sviluppo ed attrattiva degli investitori quanto mai necessaria in questa fase delicata della nostra economia.
  Un'azienda di grande richiamo ed interesse internazionale, quale ENEL Spa, deve dimostrare, a partire dal proprio Paese di origine, competenza e capacità organizzativa, sfuggendo a tentazioni di ipotetici minimi risparmi che avrebbero, di fronte ad evidenti responsabilità di cattiva gestione, conseguenze sul sistema Paese.
  Ci è dato sapere che è ancora in corso un significativo confronto con le organizzazioni sindacali nazionali di comparto. Sarebbe auspicabile un prezioso intervento del Governo per farsi promotore presso ENEL Spa, affinché uno dei sindaci dell'isola di Ischia, il sindaco di Pozzuoli nonché il sindaco di Sala Consilina siano invitati al tavolo delle trattative prima della definizione della vicenda.

(Chiarimenti in ordine alla stipula di contratti di somministrazione a tempo determinato da parte del gruppo Poste italiane – n. 2-00656)

  PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Ribaudo n. 2-00656, concernente chiarimenti in ordine alla stipula di contratti di somministrazione a tempo determinato da parte del gruppo Poste italiane (Vedi l'allegato A – Interpellanze urgenti).
  Chiedo al deputato Ribaudo se intenda illustrare la sua interpellanza.

  FRANCESCO RIBAUDO. Signor Presidente, come sappiamo Poste italiane è una società per azioni a totale capitale pubblico. Poste italiane quest'anno, il 22 marzo, ha pubblicato sul proprio sito un avviso pubblico per reclutare 1.070 lavoratori, che dovevano servire per il periodo primavera-estate 2014. Aveva anche individuato il numero e le qualifiche: 835 portalettere e 235 addetti allo smistamento. Poi aveva anche individuato le procedure. Nell'avviso, ancora oggi presente sul sito, ogni giovane, ogni lavoratore, ogni cittadino, poteva presentare il proprio curriculum.
  Migliaia di giovani hanno presentato la propria candidatura. Fatto sta che ho appreso qualche mese fa che Poste italiane, ancora una volta, si rivolge alle agenzie interinali per le assunzioni. La cosa grave è che l'ha fatto nel 2011, l'ha fatto nel 2012 e l'ha fatto nel 2013. Tuttavia, in presenza quest'anno, nel marzo 2014, dell'avviso pubblico, che motivo c’è di ricorrere alle agenzie interinali ? Il motivo c’è, ce lo siamo spiegati. E il motivo è semplicemente che, con le agenzie interinali, si può aggirare l'avviso pubblico. E così è avvenuto. Infatti, da notizie Pag. 43che ho io, informali, ma anche dettagliate, che oggi qui non elencherò per ragioni pure di privacy e di rispetto delle singole persone, c’è uno scandalo in atto: diversi sindacalisti, appartenenti a diverse sigle sindacali, hanno assunto i propri figli attraverso le agenzie interinali, eludendo quello che è il bando, l'avviso pubblico; avviso pubblico che ha dato speranza, ha dato prospettiva a tanti giovani che hanno pensato: chissà, forse, il vento di cambiamento, il rinnovamento, forse si potrà accedere alla pubblica amministrazione. Infatti, per quanto mi riguarda, Poste italiane, anche se è una società per azioni, è una società a capitale pubblico e, quindi, in quella struttura, i singoli ragazzi, i singoli cittadini, le persone vedono una società pubblica, vedono lo Stato, lo Stato che ti fa un'offerta di lavoro. Questa offerta viene elusa. Io credo che vi sia un danno da questo punto di vista, un danno enorme che viene fatto a discapito dei ragazzi, dei giovani che hanno creduto, ancora una volta, alla possibilità che si potesse accedere alla pubblica amministrazione senza raccomandazioni. E invece no, Poste italiane ha eluso.
  Questo è solo un aspetto della questione perché poi, andando in fondo, vi è la cosa più grave, per la quale l'interpellanza chiede al Governo alcune risposte, ossia se sia vero, se corrisponde a verità che alcuni di questi contratti sono stati trasformati in contratti a tempo indeterminato. E, cosa peggiore, ancora più grave, ciò avviene in zone, in regioni del Paese dove addirittura c’è un esubero di personale e, quindi, è stato fatto probabilmente un lavoro senza una pianificazione, senza vedere dove vi erano posti liberi, quali qualifiche erano disponibili e, soprattutto, ledendo quello che è l'articolo 23 dello stesso contratto nazionale dei lavoratori postali. In altre parole, prima di procedere ad assunzione, vi sono le graduatorie di tanti lavoratori delle Poste che, per tanti anni, sono stati inseriti in graduatoria per la mobilità per chiedere poi la mobilità e della stessa poi non ne hanno potuto fruire perché, appunto, adesso i posti vengono coperti con questa scelta, con questo metodo che è, a dir poco, veramente aberrante.
  Allora, noi abbiamo chiesto al Governo – e io mi auguro che ci siano queste risposte – intanto di avere dei numeri certi perché i dati che ho io indubbiamente li ho avuti tramite organizzazioni e informazioni, ma voglio la certezza. Infatti, se il quadro è questo, è un quadro veramente allarmante. Voglio rappresentare al sottosegretario, anche se non è lei la sottosegretaria al ramo, ma rappresenta il Governo in questo momento, che l'interpellanza è stata sottoscritta da una quarantina di parlamentari, tantissimi dei quali di partiti di destra, della maggioranza e dell'opposizione. Pertanto, il Parlamento sta attenzionando questo fatto. Ci sono stati addirittura alcuni parlamentari che avevano chiesto persino una Commissione d'inchiesta. Non siamo a questo. Io attendo la risposta, poi mi riservo di fare ulteriori valutazioni.

  PRESIDENTE. La sottosegretaria di Stato Teresa Bellanova ha facoltà di rispondere.

  TERESA BELLANOVA, Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, si risponde all'interpellanza in esame esclusivamente sulla base delle notizie che il Ministero dello sviluppo economico ha acquisito presso la società Poste italiane, non rientrando la materia delle procedure di assunzione del personale nelle competenze del citato Dicastero.
  Ciò premesso, la società Poste Italiane Spa ha comunicato che la modalità di reclutamento tramite «avviso pubblico», diramata attraverso il proprio sito web, alla quale si fa riferimento nell'atto in esame, è un comune sistema di reclutamento, realizzato con la pubblicazione di annunci di ricerca di personale. Detta modalità, molto diffusa nelle aziende, è spesso adottata per determinate figure professionali anche da Poste Italiane, che utilizza a tal fine lo spazio «lavora con noi», sul sito aziendale www.poste.it.
  Al riguardo, la società ha precisato di effettuare la ricerca e la selezione del Pag. 44personale sulla base di regole precise, disciplinate da un'apposita procedura aziendale, elaborata ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2001, che prevede differenti modalità operative a seconda dei profili professionali di interesse. In particolare, Poste Italiane ha evidenziato che i fabbisogni di nuove competenze vengono soddisfatti sia attraverso processi di scouting interno, con speciale attenzione ai profili delle maestranze qualificate già presenti in azienda sia ricorrendo al mercato del lavoro tramite differenti modalità di reclutamento.
  Nel caso specifico, la ricerca pubblicata sul sito www.poste.it, alla quale si fa riferimento nell'atto in esame, riguardava candidati da assumere con contratti di lavoro a tempo determinato nelle strutture territoriali del recapito e dello smistamento. Tale modalità di ricerca non esclude il ricorso ad altre procedure di reclutamento per differenti tipologie di fabbisogno, così come nel citato caso dei contratti di somministrazione, volti a rafforzare il settore commerciale all'interno degli uffici postali. A tal proposito, la società ha, altresì, precisato che nel primo semestre 2014 sono stati attivati nel territorio nazionale 108 contratti di somministrazione, di cui 25 consolidati, così ripartiti: 2 in Campania, 2 in Emilia Romagna, 12 nel Lazio, 1 in Liguria, 3 in Sicilia, 4 in Toscana e 1 nel Veneto.
  In particolare, nella regione Sicilia, nel semestre d'interesse, sono stati attivati 5 contratti di somministrazione di cui, come già riferito, 3 sono stati consolidati.

  PRESIDENTE. Il deputato Ribaudo ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

  FRANCESCO RIBAUDO. Signor Presidente, non sono soddisfatto non semplicemente per la risposta che, in realtà, non sarebbe completa alle domande che avevo fatto. E comunque in parte la risposta dà ragione alle questioni che avevo sollevato, cioè a dire che ci sono stati alcuni contratti che sono stati trasformati a tempo indeterminato, che sono stati consolidati, come li definisce il sottosegretario, probabilmente tutto questo senza capire e senza avere un piano di stabilizzazione e un piano di fabbisogno. I numeri che ho io sono molto diversi. Parliamo di 70 assunzioni che sono state fatte soltanto in Sicilia. Ripeto, 70 assunzioni. E in tutta Italia mi risulta che sia stato fatto un certo numero di assunzioni.
  Il senso dell'interpellanza urgente, che, secondo me, è stata presa un po’ sottogamba e in maniera anche superficiale dal Governo (credo e spero non volutamente), era quello di capire se si vuole continuare in questo modo; se il rinnovamento, il cambiamento in questo Paese vuole arrivare anche dentro quelli che sono i rami, le braccia dello Stato oppure, come il sottosegretario ha detto all'inizio della risposta, lo Stato è una cosa e noi non c'entriamo sulla vicenda Poste.
  Guardate, qui non c’è un problema semplicemente di norme, anzi poi annuncerò una cosa. Non è un problema di elusione di norme, come dire, di reato perché alcune norme non sono state osservate. C’è un problema di comportamento, c’è un problema di etica e di opportunità. Dire: sì io ho il portale però utilizzo anche la somministrazione ! È ovvio che se non utilizzo il portale, che è lo strumento pubblico, quando circa 70 mila persone si sono iscritte in quel portale e vado all'agenzia interinale, c’è un motivo. A parte il fatto che costa di più, perché l'agenzia interinale, come sapete, si paga. C’è un 20 per cento in più.
  E il motivo qual è ? Il motivo è che stanno cambiando i vertici, sono stati cambiati anche i vertici in Poste, cambiano le persone, cambiano gli uomini, ma il metodo è sempre lo stesso: è il metodo degli anni precedenti, è il metodo che è stato utilizzato nel passato, è il metodo di cui tutti parliamo e sappiamo. Questo metodo lo dobbiamo smontare, perché se noi cambiamo alcuni suonatori e, poi, non cambiamo la musica e lo spartito è lo stesso, il cambiamento diverso, il cambiamento del nostro Governo, del mio Governo che io sostengo, non lo avremo.Pag. 45
  Allora, io mi aspettavo qui il Governo: ripeto, è stata presa sotto gamba, non me ne voglia il sottosegretario, conosco l'ottimo lavoro che sta facendo nel suo ramo e, quindi, veramente, credo che non c'entri molto, è stata delegata a rispondere, e la rispetto come tale, perché rappresenta il Governo in questo momento, ma avrei voluto qui il Ministro, avrei voluto anche il sottosegretario delegato per questa funzione. Perché il rischio è il seguente, e la nostra storia recente è sotto gli occhi di tutti: i consorzi, le municipalizzate, quando li abbiamo trasformati in Spa, hanno semplicemente implementato il numero di assunzioni, hanno implementato le spese per il personale in maniera sconsiderata, e conosciamo anche il sistema clientelare, a partire da quello di Roma.
  Noi dobbiamo cambiare pagina e io aspettavo il Governo in questo. Certo, la normativa del decreto n. 231 la conosco, ma voglio concludere con un'osservazione. Io ve lo dico: ho i nomi e i cognomi di almeno dieci – la sottosegretaria parlava di cinque contratti –, io vi dico che quest'anno, in Sicilia, almeno dieci posti di lavoro sono stati dati a figli di sindacalisti, rappresentanti di categoria, di CISL, di UIL, del sindacato autonomo; forse, solo la CGIL non è entrata nel sistema. Allora, io ho i nomi, non li faccio qui, però nei prossimi giorni andrò in procura e li farò in procura. Non so se il magistrato rileverà reati tali da essere perseguiti e se sono state infrante le leggi. Non lo so. Io sono sicuro, però, del danno, del danno morale, all'etica, che è stato fatto con questa operazione, ancora una volta. Il danno a tutti quei giovani che, quest'anno, avevano creduto che la musica potesse cambiare, che era cambiato qualcosa. Quello è un danno ancora peggiore, quello è un danno ancora più rilevante.
  Dunque, volevo che il Governo – la politica – in questo prendesse posizione. Io andrò dal magistrato, ma vorrei, una volta tanto – concludo e mi scuso anche del tono –, che la politica, se possibile, il Governo – lo dico al sottosegretario qui presente affinché lo riporti al Governo – potesse arrivare anche prima del magistrato.

  PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Ordine del giorno della seduta di domani.

  PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della seduta di domani.

  Martedì 9 settembre 2014, alle 15:

  1. – Informativa urgente del Governo sul tema del terrorismo internazionale di matrice religiosa.

  2. – Esame e votazione delle questioni pregiudiziali riferite al disegno di legge:
   Conversione in legge del decreto-legge 22 agosto 2014, n. 119, recante disposizioni urgenti in materia di contrasto a fenomeni di illegalità e violenza in occasione di manifestazioni sportive, di riconoscimento della protezione internazionale, nonché per assicurare la funzionalità del Ministero dell'interno (C. 2616).

  3. – Seguito della discussione del disegno di legge:
   Conversione in legge del decreto-legge 1o agosto 2014, n. 109, recante proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché disposizioni per il rinnovo dei comitati degli italiani all'estero (C. 2598-A).
  — Relatori: Marazziti, (per la III Commissione) e Carlo Galli, (per la IV Commissione), per la maggioranza; Sibilia e Pag. 46Gianluca Pini (per la III Commissione) e Artini e Marcolin (per la IV Commissione), di minoranza.

  4. – Seguito della discussione della proposta di legge:
   BOLOGNESI ed altri: Introduzione nel codice penale del reato di depistaggio e inquinamento processuale (C. 559-A).
  — Relatore: Verini.

  5. – Seguito della discussione delle mozioni Ottobre, Giachetti, Vito, Leone, Kronbichler, Marcolin, Dellai, Corsaro, Pisicchio, Di Lello, Bruno ed altri n. 1-00291 e Corda ed altri n. 1-00406 concernenti iniziative a tutela del cittadino italiano Enrico Forti, condannato e detenuto negli Stati Uniti.

  6. – Seguito della discussione delle mozioni Marcon ed altri n. 1-00424, Gianluca Pini ed altri n. 1-00563, Basilio ed altri n. 1-00577 e Causin ed altri n. 1-00578 concernenti la partecipazione italiana al programma di realizzazione e acquisto degli aerei Joint Strike Fighter-F35.

  7. – Seguito della discussione del testo unificato dei progetti di legge:
   GARAVINI ed altri; NICCHI ed altri; CARFAGNA e BERGAMINI; D'INIZIATIVA DEL GOVERNO; GEBHARD ed altri: Disposizioni in materia di attribuzione del cognome ai figli (C. 360-1943-2044-2123-2407-A).
  — Relatore: Marzano.

  8. – Seguito della discussione delle mozioni Brambilla ed altri n. 1-00460, Gagnarli ed altri n. 1-00559, Vezzali ed altri n. 1-00571, Nicchi ed altri 1-00573, Rondini ed altri n. 1-00580, Cova ed altri n. 1-00581 e Dorina Bianchi ed altri n. 1-00585 concernenti iniziative, nell'ambito del semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell'Unione europea, per la tutela dei diritti degli animali.

  9. – Seguito della discussione delle mozioni Gallinella ed altri n. 1-00160, Prataviera ed altri n. 1-00360, Palese ed altri n. 1-00576, Kronbichler ed altri n. 1-00579 e Galgano e Mazziotti Di Celso n. 1-00583 concernenti iniziative per la riforma dei criteri di formazione del bilancio comunitario, con particolare riferimento al meccanismo del cosiddetto «sconto inglese».

  La seduta termina alle 18,30.