Nella fase finale della XVI legislatura sono stati adottati il decreto-legge 201/2011 e il decreto-legge 95/2012 che, con disposizioni orientate alla finalità di revisione della spesa pubblica, hanno modificato l'assetto dell'ordinamento provinciale.
Con l'articolo 23 del D.L. 201/2011 sono state previste le seguenti misure:
Con l'art. 17 del D.L. 95/2012 è stato stabilito un procedimento finalizzato ad generale riordino delle province e una ridefinizione delle loro funzioni, allo scopo di configurarle come enti di area vasta (commi 1-4). Sono trasferite ai comuni le funzioni amministrative conferite alle province con legge dello Stato fino alla data di entrata in vigore del decreto, rientranti nelle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato. Resta fermo l'assetto degli organi previsto dal D.L. 201/2011, che contempla la soppressione della giunta provinciale (comma 12) e si prevede la redistribuzione tra le province, all'esito della riduzione del loro numero, del patto di stabilità interno in modo da garantire l'invarianza del contributo complessivo (comma 13).
Il riordino delle province è strettamente collegato con l'istituzione delle città metropolitane (ad opera del successivo articolo 18 del medesimo provvedimento) dove si stabilisce la contestuale soppressione delle province nel relativo territorio.
Tra l'adozione del D.L. 201/2011 e quella del D.L. 95/2012, il Governo aveva presentato alla Camera un disegno di legge che disciplinava le modalità di elezione, di secondo grado, degli organi provinciali. L'esame di questo disegno di legge, presentato il 16 maggio 2012, non si è concluso.
Né è stato convertito in legge il D.L. 188/2012, presentato al Senato nel novembre 2012, che stabiliva i requisiti minimi per le province.
Le nuove province sono state individuate dal D.L. 5 novembre 2012, n. 188, all'esito della procedura indicata dal D.L. 95/2012 e sulla base di requisiti minimi definiti dalla deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012. Il relativo disegno di legge di conversione è stato presentato al Senato (A.S. 3558), ma il decreto-legge non è stato convertito nel termine di 60 giorni previsto dalla Costituzione e pertanto è decaduto. La legge di stabilità (L. 228/2012, art. 1, comma 115) ha provveduto a prorogare i termini per il riordino delle province recati dal D.L. 95/2012 e dal D.L. 201/2011.
L'art. 1, comma 115 della legge di stabilità per il 2013 (legge 228/2012), ora abrogato dalla riforma introdotta con la L. 56/2014, congelava, fino al 31 dicembre 2013, l'assetto dato all'ordinamento provinciale dai D.L. 201/2011 e D.L. 95/2012, stabilendo le seguenti misure:
La sentenza 3 luglio 2013 n. 220 ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 23, commi 4, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20 e 20-bis dell'articolo 23 del decreto-legge n. 201/2011 e degli artt. 17 e 18 del decreto-legge n. 95/2012.
La sentenza fonda la pronuncia di illegittimità sulla considerazione che lo strumento del decreto-legge, configurato dall'art. 77 della Costituzione come "atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza", non è "utilizzabile per realizzare una riforma organica e di sistema quale quella prevista dalle norme censurate".
Per la Corte, risulta evidente che le norme censurate incidono notevolmente sulle attribuzioni delle Province, sui modi di elezione degli amministratori, sulla composizione degli organi di governo e sui rapporti dei predetti enti con i Comuni e con le stesse Regioni. Si tratta di una riforma complessiva di una parte del sistema delle autonomie locali, destinata a ripercuotersi sull'intero assetto degli enti esponenziali delle comunità territoriali, riconosciuti e garantiti dalla Costituzione (punto 11.3 considerato in diritto).
L'art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., nell'attribuire alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la disciplina in materia di legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, conferisce "le componenti essenziali dell'intelaiatura dell'ordinamento degli enti locali" a "leggi destinate a durare nel tempo e rispondenti ad esigenze sociali ed istituzionali di lungo periodo, secondo le linee di svolgimento dei princìpi costituzionali nel processo attuativo delineato dal legislatore statale ed integrato da quelli regionali. È appena il caso di rilevare che si tratta di norme ordinamentali, che non possono essere interamente condizionate dalla contingenza, sino al punto da costringere il dibattito parlamentare sulle stesse nei ristretti limiti tracciati dal secondo e terzo comma dell'art. 77 Cost., concepiti dal legislatore costituente per interventi specifici e puntuali, resi necessari e improcrastinabili dall'insorgere di «casi straordinari di necessità e d'urgenza»". Perciò, se può essere "adottata la decretazione di urgenza per incidere su singole funzioni degli enti locali, su singoli aspetti della legislazione elettorale o su specifici profili della struttura e composizione degli organi di governo, secondo valutazioni di opportunità politica del Governo sottoposte al vaglio successivo del Parlamento. Si ricava altresì, in senso contrario, che la trasformazione per decreto-legge dell'intera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, previsto e garantito dalla Costituzione, è incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale, trattandosi di una trasformazione radicale dell'intero sistema, su cui da tempo è aperto un ampio dibattito nelle sedi politiche e dottrinali, e che certo non nasce, nella sua interezza e complessità, da un «caso straordinario di necessità e d'urgenza" (punto 12.1 considerato in diritto).
Inoltre, poiché "la modificazione delle singole circoscrizioni provinciali richiede, a norma dell'art. 133, primo comma, Cost., l'iniziativa dei Comuni interessati – che deve necessariamente precedere l'iniziativa legislativa in senso stretto – ed il parere, non vincolante, della Regione", la Corte ha ravvisato "una incompatibilità logica e giuridica (…) tra il decreto-legge, che presuppone che si verifichino casi straordinari di necessità e urgenza, e la necessaria iniziativa dei Comuni (punto 12.2 considerato in diritto).
L'art. 2 della legge 119/2013, che ha convertito con modificazioni il decreto-legge 93/2013, ha previsto la salvezza degli effetti dei provvedimenti di scioglimento delle province e dei conseguenti atti di nomina dei commissari nonché degli atti da questi posti in essere. Questa sanatoria trova il suo presupposto nella dichiarazione di illegittimità delle disposizioni sulle province stabilita dalla sentenza 220 del 2013 della Corte costituzionale.
Lo stesso articolo 2 sospende fino al 30 giugno 2014 l'applicazione delle disposizioni in materia di uffici e dotazioni organiche dell'amministrazione civile dell'Interno contenute nell'art. 2 del decreto-legge 95/2012, che erano collegate alla riforma delle province disposta dai decreti-legge 201/2011 e 95/2012.
La legge di stabilità per il 2014 (art. 1, co. 325 e 441, L. 147/2013), ha prorogato le gestioni commissariali già in essere fino al 30 giugno 2014 e legittimato nuove gestioni, purchè fino al 30 giugno 2014.