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La riforma delle false comunicazioni sociali nella legge n. 69 del 2015
informazioni aggiornate a martedì, 27 febbraio 2018

La seconda parte della legge n. 69 del 2015 (artt. 9-12) è dedicata alla riforma della disciplina delle false comunicazioni sociali.

La novità principale prevista dal provvedimento è che il falso in bilancio torna ad essere un delitto per tutte le imprese, non solo per quelle quotate in borsa. La riforma introdotta dalla legge 69, ha nfatti eliminato la precedente bipartizione tra contravvenzione di pericolo (art. 2621 c.c., nella versione previgente) nelle società non quotate e delitto di danno (art. 2622 c.c) in quelle quotate, sostituendola con la previsione di una fattispecie "generale" delittuosa (di pericolo) per le società non quotate (art. 2621), e con la introduzione di una ipotesi "speciale" (sempre delittuosa), concernente le false comunicazioni sociali delle società quotate, punita più severamente (art. 2622 c.c.). Vengono poi previsti un'ipotesi "minore" ed un caso di irrilevanza penale (artt. 2621 bis e 2621 ter c.c.).

In particolare, il nuovo art. 2621 c.c. prevede, per le società non quotate, che gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da uno a cinque anni. La stessa pena si applica anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.

In base al previgente art. 2621 c.c., invece, il reato era punito a titolo di contravvenzione con l'arresto fino a un massimo di due anni e la punibilità era esclusa se falsità e omissioni non alteravano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale appartiene, oppure se determinavano una variazione del risultato economico, al loro delle imposte, non superiore al 5%, o del patrimonio netto non superiore all'1%, o ancora se sono conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10% da quella corretta. In questi casi, scattava una sanzione amministrativa (da uno a cento quote), l'interdizione dagli uffici direttivi da sei mesi a tre anni, e da una serie di cariche societarie (come amministratori, sindaci, liquidatori, dirigenti con funzioni anche contabili).

Oltre a passare da contravvenzione a delitto (e alla sanzione della reclusione da uno a cinque anni anziché dell'arresto fino a due anni), rispetto alla formulazione previgente, il nuovo art. 2621 appare essere ispirato alla volontà di avere una fattispecie "chiaramente" identificabile. In particolare:

  • sono eliminate le soglie di non punibilità;
  • è eliminato il riferimento alle "valutazioni";
  • si introducono nuovi elementi (la necessaria rilevanza dei fatti materiali non rispondenti al vero; l'esposizione di tali fatti falsi, che deve essere "consapevole"; la necessità della condotta ad essere "concretamente" idonea ad indurre altri in errore.

Come accennato, scompare dall'art. 2621 c.c. -  tramite l'eliminazione dalla disposizione dell'inciso "ancorché oggetto di valutazioni" - il riferimento al cd. falso valutativo.

Sul punto, si è argomentato in dottrina e in giurisprudenza se effettivamente il legislatore avesse voluto escludere dal perimetro della repressione penale le attestazioni conseguenti a processi di carattere valutativo. Dopo sentenze di segno opposto, la questione è approdata alle sezioni Unite della Cassazione che ha ritenuto la sussistenza del reato di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di valutazione, se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l'agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni (Cassazione, Sezioni Unite Penali, sentenza 27 maggio 2016, n. 22474). 

Ci sono  casi in cui  sono previste pene ridotte per il reato di falso in bilancio di cui all'art. 2621: se i fatti sono di lieve entità la pena va da un minimo di 6 mesi a un massimo di 3 anni (nuovo art. 2621-bis); la lieve entità viene valutata dal giudice, in base alla natura e alle dimensioni della società e alle modalità o gli effetti della condotta dolosa. La stessa pena ridotta, (da 6 mesi a 3 anni) si applica nel caso in cui il falso in bilancio riguardi le società che non possono fallire (quelle che non superano i limiti indicati dal secondo comma dell'articolo 1 della legge fallimentare). In questo caso, il reato è perseguibile a querela di parte (della società, dei soci, dei creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale) e non d'ufficio.

Il nuovo art. 2621-ter, prevede, poi, una ipotesi di non punibilità per particolare tenuità del falso in bilancio.

Con la riforma, vengono poi inasprite le sanzioni pecuniarie previste dall'art. 25-ter del D.Lgs 231/2001 a carico delle società per il falso in bilancio di cui all'art. 2621 c.c. (da 200 a 400 quote, invece delle 100-150 attuali); per il falso in bilancio di lieve entità le sanzioni pecuniarie sono, invece, stabilite tra 100 e 200 quote.

Per quanto riguarda la disciplina del falso in bilancio nelle società quotate, la riforma modifica l'articolo 2622 del codice civile che, nella formulazione previgente, prevedeva una detenzione da sei mesi a 3 anni. La struttura dell'illecito è pressoché identica a quella dell'art. 2621 da cui si differenzia soprattutto nella diversa cornice edittale di pena.

Le principali novità consistono nel sensibile aumento della pena ( (reclusione da 3 a 8 anni), nel fatto che il falso in bilancio diventa reato di pericolo anziché (come prima) di danno, la procedibilità è d'ufficio (anziché a querela) e, come nel falso in bilancio delle società non quotate, scompaiono le soglie di non punibilità; anche qui è poi modificato il riferimento al dolo ed è eliminato quello all'omissione di "informazioni", sostituito da quello all'omissione di "fatti materiali rilevanti" (la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene). Alle società quotate sono equiparate: le società emittenti strumenti finanziari per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea, le emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione italiano, le società che controllano società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea, e le società che fanno appello al pubblico risparmio o che comunque lo gestiscono.

Anche in tal caso, sono incrementate le sanzioni pecuniarie previste dal citato d.lgs 231 del 2001, che - per il falso i bilancio nelle società quotate -  passano da 400 a 600 quote (dalle precedenti 150-330).

La seconda parte della legge n. 69 del 2015 (artt. 9-12) è dedicata alla riforma della disciplina delle false comunicazioni sociali.

La novità principale prevista dal provvedimento è che il falso in bilancio torna ad essere un delitto per tutte le imprese, non solo per quelle quotate in borsa. La riforma introdotta dalla legge 69, ha nfatti eliminato la precedente bipartizione tra contravvenzione di pericolo (art. 2621 c.c., nella versione previgente) nelle società non quotate e delitto di danno (art. 2622 c.c) in quelle quotate, sostituendola con la previsione di una fattispecie "generale" delittuosa (di pericolo) per le società non quotate (art. 2621), e con la introduzione di una ipotesi "speciale" (sempre delittuosa), concernente le false comunicazioni sociali delle società quotate, punita più severamente (art. 2622 c.c.). Vengono poi previsti un'ipotesi "minore" ed un caso di irrilevanza penale (artt. 2621 bis e 2621 ter c.c.).

In particolare, il nuovo art. 2621 c.c. prevede, per le società non quotate, che gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, con l'intenzione di ingannare i soci o il pubblico al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ancorché oggetto di valutazioni la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da uno a cinque anni. La stessa pena si applica anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.

In base al previgente art. 2621 c.c., invece, il reato era punito a titolo di contravvenzione con l'arresto fino a un massimo di due anni e la punibilità era esclusa se falsità e omissioni non alteravano in modo sensibile la rappresentazione della situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale appartiene, oppure se determinavano una variazione del risultato economico, al loro delle imposte, non superiore al 5%, o del patrimonio netto non superiore all'1%, o ancora se sono conseguenza di valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura non superiore al 10% da quella corretta. In questi casi, scattava una sanzione amministrativa (da uno a cento quote), l'interdizione dagli uffici direttivi da sei mesi a tre anni, e da una serie di cariche societarie (come amministratori, sindaci, liquidatori, dirigenti con funzioni anche contabili).

Oltre a passare da contravvenzione a delitto (e alla sanzione della reclusione da uno a cinque anni anziché dell'arresto fino a due anni), rispetto alla formulazione previgente, il nuovo art. 2621 appare essere ispirato alla volontà di avere una fattispecie "chiaramente" identificabile. In particolare:

  • sono eliminate le soglie di non punibilità;
  • è eliminato il riferimento alle "valutazioni";
  • si introducono nuovi elementi (la necessaria rilevanza dei fatti materiali non rispondenti al vero; l'esposizione di tali fatti falsi, che deve essere "consapevole"; la necessità della condotta ad essere "concretamente" idonea ad indurre altri in errore.

Come accennato, scompare dall'art. 2621 c.c. -  tramite l'eliminazione dalla disposizione dell'inciso "ancorché oggetto di valutazioni" - il riferimento al cd. falso valutativo.

Sul punto, si è argomentato in dottrina e in giurisprudenza se effettivamente il legislatore avesse voluto escludere dal perimetro della repressione penale le attestazioni conseguenti a processi di carattere valutativo. Dopo sentenze di segno opposto, la questione è approdata alle sezioni Unite della Cassazione che ha ritenuto la sussistenza del reato di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di valutazione, se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l'agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni (Cassazione, Sezioni Unite Penali, sentenza 27 maggio 2016, n. 22474). 

Ci sono  casi in cui  sono previste pene ridotte per il reato di falso in bilancio di cui all'art. 2621: se i fatti sono di lieve entità la pena va da un minimo di 6 mesi a un massimo di 3 anni (nuovo art. 2621-bis); la lieve entità viene valutata dal giudice, in base alla natura e alle dimensioni della società e alle modalità o gli effetti della condotta dolosa. La stessa pena ridotta, (da 6 mesi a 3 anni) si applica nel caso in cui il falso in bilancio riguardi le società che non possono fallire (quelle che non superano i limiti indicati dal secondo comma dell'articolo 1 della legge fallimentare). In questo caso, il reato è perseguibile a querela di parte (della società, dei soci, dei creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale) e non d'ufficio.

Il nuovo art. 2621-ter, prevede, poi, una ipotesi di non punibilità per particolare tenuità del falso in bilancio.

Con la riforma, vengono poi inasprite le sanzioni pecuniarie previste dall'art. 25-ter del D.Lgs 231/2001 a carico delle società per il falso in bilancio di cui all'art. 2621 c.c. (da 200 a 400 quote, invece delle 100-150 attuali); per il falso in bilancio di lieve entità le sanzioni pecuniarie sono, invece, stabilite tra 100 e 200 quote.

Per quanto riguarda la disciplina del falso in bilancio nelle società quotate, la riforma modifica l'articolo 2622 del codice civile che, nella formulazione previgente, prevedeva una detenzione da sei mesi a 3 anni. La struttura dell'illecito è pressoché identica a quella dell'art. 2621 da cui si differenzia soprattutto nella diversa cornice edittale di pena.

Le principali novità consistono nel sensibile aumento della pena ( (reclusione da 3 a 8 anni), nel fatto che il falso in bilancio diventa reato di pericolo anziché (come prima) di danno, la procedibilità è d'ufficio (anziché a querela) e, come nel falso in bilancio delle società non quotate, scompaiono le soglie di non punibilità; anche qui è poi modificato il riferimento al dolo ed è eliminato quello all'omissione di "informazioni", sostituito da quello all'omissione di "fatti materiali rilevanti" (la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene). Alle società quotate sono equiparate: le società emittenti strumenti finanziari per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea, le emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione italiano, le società che controllano società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea, e le società che fanno appello al pubblico risparmio o che comunque lo gestiscono.

Anche in tal caso, sono incrementate le sanzioni pecuniarie previste dal citato d.lgs 231 del 2001, che - per il falso i bilancio nelle società quotate -  passano da 400 a 600 quote (dalle precedenti 150-330).