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CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 25 maggio 2017
824.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari esteri e comunitari (III)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Sugli esiti della missione in Bosnia Erzegovina, svolta dal 7 al 9 maggio 2017.

COMUNICAZIONI DEL PRESIDENTE

  Si è svolta dal 7 al 9 maggio 2017 la visita a Sarajevo, Bosnia Erzegovina, di una delegazione della III Commissione, guidata dal presidente Fabrizio Cicchitto e composta dai deputati Marietta Tidei (PD) per la maggioranza e Daniele Del Grosso (M5S) per l'opposizione.
  Nell'ambito di un ciclo di missioni dedicate all'area dei Balcani Occidentali nell'esercizio della presidenza di turno italiana del Processo di Berlino, la missione parlamentare a Sarajevo è stata finalizzata ad incontri con interlocutori parlamentari, governativi e della società civile, nell'approfondimento di temi connessi all'integrazione euroatlantica della Bosnia Erzegovina; allo scenario di politica interna al Paese, con particolare riferimento allo stato di avanzamento delle riforme, al clima di ripresa dei nazionalismi nel dibattito pubblico, all'impegno nella lotta contro il terrorismo di matrice fondamentalista. Con la missione si è inteso rafforzare inoltre i già ottimi rapporti bilaterali, testimoniati anche dalle visite dei Presidenti di Camera e Senato nel 2015 per il ventesimo anniversario del genocidio di Srebrenica.
  L'agenda degli incontri, predisposta e curata dall'Ambasciata italiana a Sarajevo, è stata introdotta da un colloquio di inquadramento con l'Ambasciatore Nicola Minasi, che ha aggiornato la delegazione sulle questioni collocate in cima dell'agenda politica e mediatica del momento. Dopo la sentenza della Corte Costituzionale, l'Ambasciatore ha innanzitutto rappresentato i contorni del dibattito sulla riforma della legge elettorale, che vede protagonista la leadership croato-bosniaca in un'ottica di consolidamento della propria base elettorale ed etnica di riferimento e di affrancamento dall'elemento musulmano. Il dibattito su tale tema è da intendere anche come voluto fattore di rallentamento per le riforme economiche e sullo stato di diritto, che sarebbero necessarie per dare sostegno alla candidatura all'adesione all'Unione europea (le istituzioni bosniache sono al momento impegnate nella stesura e nella traduzione delle risposte ai circa tremila quesiti posti da Bruxelles e nella programmazione del piano di riforme). La fase in atto si caratterizza, soprattutto, per il forte riemergere dei nazionalismi, che dominano la retorica elettoralistica di tutte le personalità politiche oggi in carica, a fronte di una situazione di grave emergenza economica e sociale che affligge il Paese e che imporrebbe una linea di unità e solidarietà nazionale, soprattutto per arrestare il drenaggio dei giovani più istruiti che, dopo avere attinto al valido sistema formativo bosniaco, lasciano sistematicamente il Paese, deprivato de facto di un'intera generazione. Sul piano economico l'integrazione con l'Unione europea rappresenta un dato di fatto ormai consolidato, testimoniato dalle cifre dell'interscambio. Per il nostro Paese la Bosnia rappresenta un contesto ospitale soprattutto per le piccole e medie imprese, più idonee rispetto ai grandi operatori economici a scongiurare le inevitabili interferenze esercitate dalla politica locale. L'Ambasciatore Minasi ha anche tracciato un quadro sulle relazioni esterne del Paese, con particolare riferimento al rapporto con il binomio Serbia-Russia: al di là del crescente nazionalismo Pag. 44che segna la retorica del presidente della Repubblica Serpska (RS) Milorad Dodik, non si registra da parte di Belgrado, e tanto meno di Mosca, l'interesse ad una ripresa di pressione egemonica e di tensione nei confronti della Bosnia Erzegovina, per cui è ormai chiaro anche all'opinione pubblica che lo stato di perdurante campagna elettorale, in cui vive il Paese segnato da scadenze di voto a ritmo ormai biennale, giocata sull'elemento nazionalista, ha ragioni d'essere tutte interne al Paese e connesse alla volontà convergente della classe politica bosniaca di mantenere il potere, bloccando la Bosnia allo status quo post Dayton, al di là della retorica riformista connessa al negoziato con Bruxelles. L'ambasciatore ha rappresentato la problematica specifica riguardante le Forze armate, per le quali non è ancora previsto un controllo unificato e per le quali, al pari delle Forze di sicurezza, sussiste un serio problema di coordinamento e di scambio di informazioni nel persistere della dinamica tripartita. Si tratta di un tema su cui l'Italia può incidere anche in considerazione del progetto europeo SIDNA, coordinato dal Prefetto di Trieste, dottoressa Annapaola Porzio, concernente la cooperazione di polizia a livello regionale contro il crimine organizzato.
  L'Ambasciatore ha segnalato l'opportunità che prosegua il Master Regionale Europeo in Democrazia e Diritti Umani (ERMA), realizzato congiuntamente dal Centro per gli Studi Interdisciplinari dell'Università di Sarajevo e dall'Università di Bologna. Attivo in tutti i Balcani sin dall'inizio degli anni Duemila, il master rappresenta un lungimirante progetto di lungo termine finalizzato a promuovere, in una regione tuttora attraversata da profonde fratture, la crescita di una nuova classe dirigente, rispettosa dei diritti umani e orientata verso l'Europa. Negli anni, il Master ha così formato centinaia di studenti che, una volta tornati nei loro paesi d'origine, hanno ricoperto importanti posizioni all'interno dei governi, delle amministrazioni e di ONG locali, facendosi portatori di una cultura della riconciliazione e dei valori cardine della costruzione giuridica europea. Il valore e l'importanza del Master sono stati riconosciuti dall'Unione Europea che, sin dal suo lancio, ha finanziato l'80 per cento dei costi e, da ultimo, nel 2014 ha disposto il finanziamento del progetto fino al 2021, a valere sui fondi dello Strumento per i Diritti Umani. In una regione tuttora caratterizzata da forti tensioni etniche e da una leadership prevalentemente nazionalista, il Master ERMA rappresenta uno strumento di fondamentale importanza per crescere una nuova generazione di leader che, nel prossimo futuro, possano contribuire all'ingresso a pieno titoli di questi paesi all'interno dell'Unione Europea e della comunità di valori che essa rappresenta.
  L'agenda di incontri istituzionali si è aperta con l'incontro della delegazione con i presidenti di turno dei due rami dell'Assemblea dei Rappresentanti: il Presidente della Camera dei Rappresentanti, il musulmano Sefik Dzaferovic, affiancato dalla vicepresidente di etnia croata, Borjana Kristo, e da un deputato serbo, e il Presidente della Camera dei Popoli, Barisa Colak, affiancato dal vicepresidente di etnia musulmana Safet Softic.
  Il colloquio si è aperto con l'annuncio da parte del Presidente Colak circa la sua imminente missione a Roma e con l'introduzione del presidente Cicchitto che ha spiegato la portata della visita come testimonianza dell'interesse dell'Italia verso i Balcani e della solidarietà del popolo italiano per il dramma storico vissuto dal popolo bosniaco. Il presidente Cicchitto ha anche rappresentato che l'Italia si spenderà al meglio per l'integrazione europea della Bosnia in quanto tassello significativo della cultura europea nei suoi elementi storici, culturali e politici. L'interesse dell'Italia è indubbiamente anche connesso alla necessità di preservare pace e stabilità nei Balcani occidentali alla luce della pressione proveniente dal Medioriente e dal Mediterraneo. Ha ricordato le parole di encomio del Presidente Junker all'Italia per avere salvato la dignità dell'Europa rispetto all'emergenza immigrazione, Pag. 45a fronte di una condizione di solitudine in cui l'Italia, come la Grecia, è stata lasciata. In tali termini, cogliendo l'opportunità del Vertice di Trieste del 12 luglio prossimo, l'Italia intende essere un canale di comunicazione tra la Bosnia Erzegovina e l'Europa. Nel presentare la delegazione parlamentare italiana ha precisato che sui temi dell'integrazione europea dei Balcani occidentali vi è un'unanimità di vedute tra maggioranza e opposizione nel Parlamento italiano. Nell'evidenziare elementi comuni all'Italia e alla Bosnia quanto alla centralità del dibattito sulla legge elettorale, ha evidenziato nella presenza delle piccole e medie imprese in Bosnia e nei rapporti culturali i punti di forza del rapporto tra i due Paesi. Ha infine osservato che nella lotta contro il terrorismo islamista la Bosnia Erzegovina, pur registrando cifre significative quanto al numero di foreign fighter, si distingue da altri Paesi dell'area per una prevalente interpretazione moderata dell'Islam e per il riconoscimento della serietà della minaccia.
  L'onorevole Tidei ha contribuito all'incontro richiamando l'appuntamento triestino del Business Forum e con quesiti sullo stato di avanzamento dell'agenda di riforme. Quanto al deputato Del Grosso, ha precisato a nome del suo gruppo la contrarietà non già all'Unione europea e alla Nato in quanto tali, ma all'interpretazione che di tali progetti è stata data con un'enfasi sui temi dell'euro e senza avere prodotto una politica europea comune.
  Da parte degli interlocutori bosniaci, quanto al presidente Dzaferovic, di etnia musulmana, nel dar conto degli ottimi rapporti bilaterali, rafforzati dal Protocollo di collaborazione parlamentare in essere con la Camera dei deputati, ha precisato che, senza una Bosnia Erzegovina stabile, non saranno stabili né i Balcani Occidentali né l'Unione europea nel suo complesso. Ha auspicato un rilancio del principio di solidarietà europea alla luce dell'esperienza italiana in materia migratoria. Non è invece entrato sul terreno della legge elettorale, che lo vede schierato sul fronte contrario alla proposta croata.
  Più esplicita la vicepresidente Kristo che ha valorizzato il nesso tra cooperazione interparlamentare e stabilità regionale, rappresentando che il processo di riforma in Bosnia Erzegovina ha subìto una battuta d'arresto a causa delle polemiche connesse soprattutto al referendum tenutosi nell'ottobre 2016 nella Repubblica Srpska e alla revisione della sentenza della Corte internazionale di giustizia sul genocidio di Srebrenica. La presidente Kristo ha addebitato anche al ciclico clima elettorale la difficoltà di procedere nell'attuazione dell'agenda indicata da Bruxelles. Il Parlamento difetterebbe, inoltre, al momento delle maggioranze necessarie ad attuare le decisioni assunte Corte europea per i diritti dell'uomo e dalla Corte costituzionale sulla legge elettorale, prevedendo comunque per il 2018 il raggiungimento di taluni importanti risultati.
  Il vicepresidente Softic ha ricordato la storica visita della Presidente Boldrini e del Presidente Grasso in occasione del ventesimo anniversario del genocidio di Srebrenica e ha osservato come gli esiti del voto francese consolidino la prospettiva futura dell'Unione europea in quanto alleanza stabile, con un impatto positivo anche sul dibattito politico e sull'opinione pubblica bosniaca. Ha, infine, richiamato ulteriori questioni in stallo nell'agenda politica e di riforme sociali, come in materia di accise o per l'accordo con il Fondo Monetario Internazionale.
  Ha concluso l'incontro il Presidente croato Colak che ha segnalato un accordo di collaborazione economica con l'Italia, considerati i valori dell'interscambio tra i due Paesi.
  L'incontro con il Ministro della Sicurezza, Dragan Mektic, si è rivelato di particolare interesse per i toni franchi e per l'ampiezza dell'analisi politica, al di là dei temi di competenze del Ministro. Sulle questioni concernente gli ottimi rapporti con le agenzie di sicurezza italiane, il Ministro ha auspicato un rafforzamento sui settori del contrasto ai crimini finanziari, Pag. 46su cui l'Italia detiene un indiscusso lead, con particolare riferimento alle misure di confisca dei beni. Ha evidenziato l'impegno della Bosnia sul piano della prevenzione dei fenomeni criminali e del terrorismo fondamentalista, importato in Bosnia durante le guerre degli anni ’90, non rappresentando un fenomeno autoctono. Ha precisato che i nuclei terroristici sono per lo più basati in villaggi isolati, abbracciano i dettami del salafismo e del wahabismo, non trovando però condivisione da parte della maggioranza musulmana. Ha quantificato in 230 i bosniaci partiti per la Siria e l'Iraq, di cui 115 ancora all'estero, 51 deceduti nei combattimenti e 46 rientrati in Bosnia. La maggior parte dei bosniaci avrebbe militato in Siria per le formazioni di Al Nusra. Dei 46 bosniaci rientrati, 20 sono già stati condannati con pene fino a cinque anni di carcere per la comprovata partecipazione ai conflitti (il profilo probatorio rappresenta una problematica specifica in tali processi). In una linea di tolleranza zero per ogni forma di simpatia al fenomeno terroristico, vi è anche un grosso sforzo sul terreno della deradicalizzazione nei confronti dei più giovani e dei soggetti più a rischio, attraverso le scuole e soprattutto grazie alla comunità islamica ufficiale, ben guidata da una autorità suprema che sostiene esplicitamente lo sforzo delle autorità bosniache. Nel richiamare i finanziamenti europei (17-18 milioni di euro) che si aggiungono alle risorse interne nell'ambito di un progetto regionale sulla deradicalizzazione, il Ministro ha stigmatizzato il ruolo non positivo esercitato dai media locali che, pur potendo incidere profondamente sul terreno della deradicalizzazione, prediligono sensazionalismi, nazionalismi e revanchismi del tutto controproducenti. Soprattutto i social network costituiscono il fronte più complesso nella lotta contro il terrorismo, alla luce del rapidissimo intervallo di tempo che spesso intercorre tra il primo contatto informatico con i siti di propaganda fondamentalista e la commissione dei reati. Nella collaborazione con le forze di sicurezza di Paesi europei come la Francia e il Belgio è emersa l'interruzione del trend negativo e cioè che dal 2016 non si registrano minacce terroristiche concrete provenienti dalla Bosnia così come nessuna nuova partenza di foreign fighter nel 2017.
  Sulla cruciale questione dello scambio di informazioni, ha precisato che il Governo bosniaco è pronto a mettere in comune ogni informazione con EUROPOL. Non ci sono informazioni di bosniaci radicalizzati che minaccino espressamente l'Italia pur avendo rappresentato il problema della detenzione fuori controllo di armamenti in territorio bosniaco, inclusi esplosivi. Tale ultimo profilo è all'attenzione dei Paesi europei che collaborano con la Bosnia Erzegovina, inclusi i Paesi scandinavi, essendo evidente che tali armamenti alimentano traffici non solo finalizzati al terrorismo. L'Italia, indubbiamente, è più esposta di altri Paesi, in quanto geograficamente prossima e caratterizzata da confini assai estesi. Ha concluso precisando di non conoscere la condizione e l'orientamento dei 115 bosniaci ancora all'estero.
  Passando a temi di politica estera, il Ministro ha confermato l'orientamento filo-europeo della maggior parte della popolazione bosniaca, interessata a maggiore democrazia e al rafforzamento dello Stato di diritto, a differenza di taluni leader politici assai corrotti e che strumentalizzano le paure e gli istinti nazionalistici per consolidare il proprio potere. Si tratta di personalità che dominano la scena bosniaca fin dalla fine del conflitto degli anni ’90 e che mai hanno sostenuto le riforme contro la corruzione o per la confisca dei beni delle organizzazioni criminali. Dichiarandosi estraneo a questa categoria di politici e di aver rappresentato spesso una voce solitaria sui tema della rule of law, ha dato conto della durata quasi ventennale del dibattito sulla legge elettorale con risvolti paradossali, come nella città di Mostar, dove da nove anni non si tengono elezioni. Occorrerebbe richiamare la Comunità internazionale affinché operi per lo sblocco di questa situazione e del superamento degli Accordi di Dayton, nel rammarico di non poter contare sulle Pag. 47forze politiche bosniache in tal senso. Il risultato di questa condizione è infatti la fuga dei giovani bosniaci che in massa lasciano ogni giorno il Paese.
  Il presidente Cicchitto ha confermato la sensazione che l'assetto istituzionale vigente sia responsabile della rigidità e vischiosità del sistema politico bosniaco e, se questo fosse vero, rappresenterebbe una contraddizione nell'apertura verso l'Europa ed un problema per la stessa azione dell'Italia nel sostegno all'integrazione europea della Bosnia Erzegovina. L'onorevole Tidei ha ricordato la propria esperienza di delegata OSCE nel monitoraggio delle elezioni svolte nel 2014, già segnate dal prevalere della retorica nazionalista su tutti gli altri temi dell'agenda. L'onorevole Tidei ha posto anche in questo incontro la domanda se sia emerso nella società bosniaca, a vent'anni dagli accordi di pace, qualche fermento positivo che possa dare speranza ai giovani e anche alla comunità internazionale, al di là del dato costituzionale. Il Ministro sul punto ha risposto in termini che non sono apparsi ottimistici.
  Il colloquio con i componenti della omologa Commissione della Camera dei Rappresentanti, presieduta dall'onorevole Dusanka Majkic, si è caratterizzato per toni più protocollari e controllati, anche in ragione della compresenza nella delegazione del Paese ospitante di una bilanciata compresenza di deputati delle tre etnie.
  Non a caso la presidente Majkic ha aperto il colloquio evocando i temi della cooperazione economica ricordando le cinquanta imprese italiane presenti in Bosnia Erzegovina. Ha riconosciuto il coerente sostegno assicurato dall'Italia alla Bosnia anche nei momenti più difficili, come ad esempio nella gestione del rapporto con il Consiglio d'Europa alla luce della difficile implementazione della giurisprudenza CEDU e per i proficui rapporti sul piano universitario, richiamando un fruttuoso progetto con la Facoltà di medicina dell'Università di Padova. Il colloquio ha incluso una breve analisi del voto francese di domenica 7 maggio da cui gli interlocutori parlamentari bosniaci hanno tratto l'auspicio affinché l'Unione europea torni ad affrontare l'integrazione europea dei Balcani Occidentali, centrali per la stabilità europea. Infine è stato auspicato un rilancio delle attività del gruppo di amicizia in ambito UIP.
  La delegazione ha avuto, inoltre, l'opportunità di uno scambio di vedute con la Ministra della Difesa, Marina Pendes (affiancata da una delegazione di cui erano parte alcuni ufficiali incaricati della gestione delle risorse, delle relazioni internazionali, della pianificazione politica e del desk con l'Italia), tutto incentrato sulla richiesta di sostegno all'Italia affinché la Bosnia Erzegovina possa accedere al Membership Action Plan (MAP) della NATO e sul tema della riforma della difesa, tuttora in itinere, per superare l'impostazione attuale, fondata su due ministri della difesa e su tre eserciti a base etnica. È stato anche evocato il tema centrale della registrazione dei 61 siti militari, per 26 dei quali il processo si è compiuto con successo. La Ministra ha rappresentato le problematiche di carattere tecnico, oltre che politico, connesse ai siti, comunque fruibili, in territorio della Repubblica Serpska a causa della difficoltà di risalire ai titolari dei diritti di proprietà. La Ministra ha rivendicato i meriti della Bosnia sul terreno della partecipazione alle missioni internazionali in Afghanistan, in Mali e anche nella Repubblica Centrafricana, evocando il piano strategico della presidenza sulla difesa, l'ottimo livello di prontezza delle forze militari bosniache contro le calamità naturali e l'avvio di una specifica competenza sullo sminamento. Resta molto da fare per il disarmo del territorio, tenuto conto che circa mille tonnellate di munizioni già donate dalla Bosnia all'Iraq. Alla luce di tali argomenti la Ministra Pendes ha inteso dimostrare l'interesse della Nato ad una inclusione della Bosnia nelle proprie strutture e ha, infine richiamato il MoU siglato con il nostro Paese nel 2003.
  La delegazione italiana ha interagito con la Ministra Pendes richiamando l'interesse specifico dell'Italia verso la regione, interesse estraneo ad elementi di carattere Pag. 48«neoimperiale» e invece segnato dall'attenzione per la priorità «sicurezza regionale». Il presidente Cicchitto ha anche preannunciato per giugno il vertice dei ministri degli esteri della regione, indetto dal Ministro Alfano in vista dell'appuntamento di Trieste, soffermandosi poi sul nodo problematico della organizzazione su base etnica delle forze militari bosniache e delle relative strutture di comando, avendo per riferimento il censimento ormai risalente al 1991 e non ancora quello svolto nel 2016 a causa della non entrata in vigore dell'Annex 7 degli Accordi di Dayton sul ritorno dei profughi.
  Esaurito il ciclo di incontro con le autorità istituzionali bosniache la delegazione ha incontrato il Vice dell'Alto Rappresentante per la Bosnia e l'Erzegovina, Bruce Berton il quale ha delineato un quadro alquanto rassegnato sui progressi realizzati dalla Bosnia Erzegovina dopo vent'anni di vigenza degli Accordi di Dayton, efficaci per fare cessare il conflitto ma non certamente pensati come carta costituzionale di lungo periodo. Ha confermato che l'architettura istituzionale su base etnica è oggi il maggiore fattore di blocco del Paese e del processo di riforma ed impedisce il consolidarsi di una condivisa idea di cittadinanza bosniaca. Mancano, inoltre, le opportunità di lavoro per i giovani bosniaci, costretti ad associarsi ai partiti per potere accedere a qualunque impiego, nel privato come nel pubblico. Ha condiviso la percezione che il fenomeno del fondamentalismo non rappresenta il problema prioritario, a fronte delle gravissimi criticità sul piano economico e sociale. Ha rievocato le maggiori questioni politiche, evidenziando come i toni pur aggressivi del dibattito politico non siano in alcun modo da intendere come sintomatici di una volontà di riprendere le ostilità, nemmeno da parte della Serbia (su questo terreno il presidente Cicchitto ha manifestato forte preoccupazione quanto alle etnie serba e croata alla luce dei precedenti colloqui). Indubbiamente l'unica speranza è rappresentata dall'Unione europea, incaricata della costruzione del futuro del Paese laddove l'Ufficio dell'Alto Rappresentante si limita a presidiare i progressi maturati e opera per scongiurare arretramenti verso il passato. Ha infine ammesso che la comunità internazionale dopo Dayton ha «cantato vittoria» troppo presto. Prova ne è che personalità come quelle del presidente Dodik, che nel 2006 sostenne la riforma costituzionale, oggi si oppongono ad ogni progresso reale senza essere stati in alcun modo richiamati dalla comunità internazionale alle proprie responsabilità. Uno degli elementi più critici è costituito dalla mancata riforma delle forze di polizia che ha costituito un sostanziale punto di non ritorno sul terreno delle riforme qualitativamente sostanziali. Oggi, non essendo mai stato avviato un vero processo di riconciliazione nazionale, il consenso tra le forze politiche si riesce a concentrare su questioni limitate, come ad esempio sulla gestione dei fondi dell'FMI, ma non certo su temi come la legge elettorale o la costituzione. Su tale terreno ci sarebbe ampio margine di intervento da parte dell'Unione europea.
  In chiusura della visita la delegazione ha potuto incontrare anche una figura significativa della scena culturale locale nel giornalista sarajevese Zlatko Dizdarevic, già ambasciatore della Bosnia ed Erzegovina in Croazia, che si è soffermato sulla difficile condizione economica del Paese, in cui il sessanta per cento della forza lavoro opera nella pubblica amministrazione e in cui il venti per cento del Pil è destinato agli stipendi degli statali, e sulla tematica dell'esodo dei giovani (100 mila negli ultimi due anni, su una popolazione di 3,8 milioni di abitanti). Dizdarevic ha evidenziato come unico dato politico positivo, su cui l'Unione europea dovrebbe scommettere per individuare una nuova leadership locale, il caso dei dieci sindaci fuoriusciti dai partiti tradizionali ed oggi eletti con in liste civiche.
  A margine della visita la delegazione ha potuto dialogare con il Prefetto Porzio sul tema dell'implementazione anche in Bosnia Erzegovina del «Progetto Ipa Balcani occidentali: lotta al crimine organizzato», affidato dalla Commissione europea al Pag. 49Dipartimento della Pubblica sicurezza del ministero dell'Interno italiano di cui è project leader il prefetto di Porzio con junior partner Croazia e Francia. Tale progetto è operativo da un anno e mezzo anche grazie alla presenza di una formata squadra internazionale. Il Prefetto ha anche tracciato un bilancio della cooperazione regionale sul tale terreno, dando conto della posizione più avanzata della Serbia a fronte di situazioni assai critiche in Kosovo, Paese che vive esclusivamente di sostegno internazionale, in Macedonia, soprattutto per l'assenza ormai da più di un anno e mezzo di un governo, o nella stessa Albania, dove malgrado la membership NATO e le riforme adottate persistono forti presenze malavitose ed un elevato livello di corruzione.
  Prima di ripartire per l'Italia, la delegazione ha visitato a Sarajevo la famosa collezione d'arte contemporanea Ars Aevi (costituita durante la guerra come resistenza di cultura, contiene oltre 120 opere di noti artisti mondiali tra cui Michelangelo Pistoletto, Jannis Kounellis, Joseph Beuys, Braco Dimitrijević e Joseph Kosuth) e ha partecipato alla inaugurazione della mostra Imago Mundi – Luciano Benetton Collection, con opere di 900 artisti, affermati ed emergenti, dei paesi dell'ex Jugoslavia.

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ALLEGATO 2

Schema di documento triennale di programmazione e di indirizzo della politica di cooperazione allo sviluppo, riferito agli anni 2016-2018, cui è allegata la relazione sulle attività di cooperazione allo sviluppo, riferita all'anno 2015 (Atto n. 414).

PROPOSTA DI PARERE DELLA RELATRICE

  La III Commissione (Affari esteri e comunitari),
   esaminato lo Schema di documento triennale di programmazione e di indirizzo della politica di cooperazione allo sviluppo riferito agli anni 2016-2018, cui è allegata la relazione sulle attività di cooperazione allo sviluppo, riferita all'anno 2015 (Atto n. 414), ai sensi degli articoli 12 e 13, comma 1, della legge 11 agosto 2014, n. 125;
   richiamato il parere espresso il 23 luglio 2015 sullo Schema di documento triennale riferito agli anni 2015-2017 e sulla relazione riferita all'anno 2014 (atto n. 187), nonché il parere espresso il 18 giugno 2016 sullo Statuto dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (atto n. 175);
   sottolineato il grave ritardo con cui il provvedimento è stato presentato alle Camere, rispetto al termine del 31 marzo previsto dalla legge n. 125 del 2014, a detrimento di programmabilità e prevedibilità degli interventi, pur tenendo nel debito conto l'entrata a regime, a partire dal 1o gennaio del 2016, dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo;
   ricordato che l'atto in titolo costituisce un elemento fondamentale per il sistema italiano di cooperazione allo sviluppo, ridisegnato dalla fondamentale legge n. 125 del 2014, di cui delinea visione strategica, criteri di intervento, obiettivi e priorità settoriali e geografiche, sia a livello bilaterale sia in sede multilaterale;
   sottolineato che l'atto in titolo è esaminato dal Parlamento contestualmente alla celebrazione a Taormina, sotto presidenza italiana, del Vertice dei Capi di Stato e di Governo del G7, la cui Dichiarazione conterrà specifiche proposte dell'Italia sui temi dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e per l'azione internazionale di aiuto allo sviluppo;
  tutto ciò premesso e osservato, altresì, che:
   lo Schema in esame – che dà conto delle aree storiche di intervento della cooperazione italiana e colloca i profili di innovazione in una linea di continuità di lungo periodo – si conferma quale cruciale punto di riferimento per tutti gli attori del sistema italiano di cooperazione allo sviluppo: Amministrazioni dello Stato, Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, società civile, autonomie locali, università e centri di ricerca, fondazioni, sistema cooperativo, settore privato profit e no profit, fino alle comunità di migranti. Esso delinea, in particolare, la strategia organizzativa dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo e marca un deciso salto qualitativo rispetto al passato nel percorso di attuazione della legge n. 125 del 2014, sia in termini di metodo sia in termini di contenuti;
   il provvedimento evidenzia il consolidamento del trend di crescita delle risorse finanziarie destinate alla cooperazione italiana allo sviluppo, che ha permesso di registrare un incremento storico Pag. 51della percentuale di stanziamenti in rapporto al PIL, passata dal picco negativo del 2013, pari allo 0,14 per cento, allo 0,26 del 2016, quanto il Canada e in misura superiore agli stessi Stati Uniti e al Giappone. Il mantenimento di tale trend permetterà di conseguire entro il 2020 l'obiettivo dello 0,30 per cento del PIL;
   gli incrementi di risorse risultano particolarmente consistenti nell'ambito della cooperazione bilaterale a dono, passata da 426 milioni di euro nel 2016 a 557 milioni di euro nel 2017, come pure in quello della cooperazione delegata, i cui fondi assegnati dall'Unione europea al MAECI sono quasi quadruplicati, passando da 3 programmi affidati per un totale di 33 milioni di euro nel dicembre 2015 a 11 programmi affidati per un totale di quasi 136 milioni di Euro, a sostegno dell'affidabilità internazionale dell'Italia, anche se molto resta ancora da fare nel percorso per il conseguimento dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile;
   è opportuno chiarire che l'incremento complessivo di risorse destinate alla cooperazione italiana allo sviluppo non può non includere in questa fase emergenziale i maggiori fondi destinati all'assistenza ai rifugiati accolti dall'Italia, in coerenza peraltro con quelli che sono ad oggi i criteri fissati dall'OCSE/DAC per l'esame a consuntivo dei bilanci di tutti gli Stati membri, ma d'altra parte in linea con l'approccio onnicomprensivo ai temi dell'aiuto allo sviluppo, da intendersi come azione su più fronti e a più livelli, nei Paesi di origine, di transito come pure di destinazione dei profughi;
   a tal proposito, è certamente da evidenziare il dibattito in corso a livello internazionale per una revisione dei criteri dell'OCSE finalizzata, tra l'altro, a scorporare dal calcolo dell'aiuto pubblico allo sviluppo (ODA) le risorse destinate alla gestione dell'emergenza migratoria. Il Governo italiano è già impegnato su questo terreno e l'azione del Parlamento sul medesimo punto potrà corroborare e rafforzare un'azione da Sistema Paese, destinata a cogliere il momento positivo della presidenza del G7;
   in generale, considerata la caratura dell'Italia, quale Paese donatore di media grandezza, come nella precedente edizione, dal Documento emerge ancora una quantità eccessiva di obiettivi settoriali che rischiano di diluire l'impatto e l'efficacia degli interventi. È forte quindi l'esigenza di massimizzare una volta per tutte la selettività delle priorità settoriali, oltre che di quelle geografiche, per fare emergere il valore aggiunto dell'impegno italiano. Tale impegno, che è ormai consolidato e riconosciuto dalla comunità internazionale nel campo della sicurezza alimentare, culminato in Expo 2015, deve declinarsi in specifiche e limitate aree di intervento, sicuramente nel campo della salute e del genere, superando la dinamica per singolo Paese. È indubbiamente da rimarcare il riconoscimento specifico al nostro Paese per essere divenuto ormai un riferimento per la comunità internazionale nella proposta di buone pratiche sul terreno delle politiche migratorie;
   la cooperazione italiana allo sviluppo dovrà sempre più costituire una fattore di leva per promuovere e generare risorse a livello multilaterale. In questo senso il Fondo di 200 milioni per l'Africa può rappresentare un valido modello di best practice, capace di innescare un meccanismo virtuoso a livello UE;
   nell'attuale fase epocale per lo sviluppo globale, segnata dall'aumento di crisi e di emergenze che richiedono aiuto dalla comunità internazionale, in concorrenza con le già limitate risorse destinate all'Agenda globale, occorrono decisioni storiche. Preso atto ormai dei limiti degli aiuti a dono, non è più procrastinabile la definizione di strumenti finanziari innovativi e il coinvolgimento di tutti gli attori che compongono il sistema della cooperazione allo sviluppo verso obiettivi comuni e con confluenza di risorse. Su questo terreno le aspettative convergono sul prossimo Documento triennale che nel 2018 sarà presentato al Parlamento entro i tempi previsti dalla legge;Pag. 52
   nel processo di attuazione della riforma del 2014, occorre dare specifica concretezza alla funzione di coordinamento e di monitoraggio sulla coerenza delle politiche di cooperazione allo sviluppo che la legge n. 125 attribuisce al MAECI nei confronti delle Amministrazioni destinatarie di circa due terzi delle risorse complessive, con riferimento al Ministero dell'economia e delle finanze e al Ministero dell'interno;
   affinché il bilancio sulla riforma possa confermarsi positivo è urgente procedere senza ulteriore ritardo alla emanazione dei decreti attuativi prodromici al bando di un concorso per il personale dell'Agenzia italiana di cooperazione allo sviluppo, chiamata ad attuare un disegno politico di alto profilo e a presidiare sul terreno la realizzazione dei progetti, interagendo con i governi e con gli omologhi attori internazionali;
   occorre valorizzare il nuovo ruolo di Cassa Depositi e Prestiti, che implicherà un'attenzione particolare al blending comunitario. In linea con l'attenzione alla cooperazione delegata, con il trust fund istituito a La Valletta l'Italia è il Paese che in questo momento sta effettivamente utilizzando le risorse europee per contrastare le cause strutturali delle migrazioni con progetti per 60 milioni di euro europei;
   in generale, il Documento in titolo è assai utile per individuare le buone pratiche e i meccanismi di monitoraggio e di focalizzazione sull'efficacia degli aiuti, che potranno essere riflessi anche nella prossima stesura;
   in tale prospettiva, già nel corso del 2017 in occasione dello svolgimento della conferenza nazionale sulla cooperazione allo sviluppo potrà essere fatto il punto dei risultati conseguiti a quattro anni dall'entrata in vigore della riforma e grazie all'impegno nelle diverse sedi multilaterali i cui l'Italia ricopre ruoli attivi (soprattutto ONU e G7),
  esprime

PARERE FAVOREVOLE.

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ALLEGATO 3

Interrogazione n. 5-10150 Capezzone: Su transazioni effettuate da gruppi bancari italiani nella Repubblica islamica dell'Iran.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con riferimento ai quesiti posti dall'onorevole interrogante in ordine alla consistente multa pari a 235 milioni di dollari inflitta a Banca Intesa Sanpaolo dal dipartimento dei servizi finanziari dello Stato di New York in relazione ad alcune transazioni effettuate in favore di clienti iraniani, si rappresentano i seguenti elementi forniti dal competente Ministero dell'economia e delle finanze.
  Per quanto concerne il primo quesito sollevato, sulla conoscenza da parte del Governo della descritta attività e/o di analoghe, svolte da Gruppi bancari italiani verso l'Iran, atte ad esporre i soggetti coinvolti ad analoghe sanzioni rappresenta che la Segreteria Tecnica del Comitato di Sicurezza Finanziaria – che, come noto, supervisiona l'attuazione dei regimi sanzionatori adottati dalle Nazioni Unite e dall'Unione Europea – ha acquisito dalla Banca d'Italia un'informativa in relazione all'istruttoria condotta nei confronti di Intesa Sanpaolo dalle Autorità americane.
  La Banca d'Italia riferisce, in proposito, che le vicende relative ad Intesa San Paolo, citate nell'interrogazione sono da inquadrare nell'ambito più ampio di un procedimento amministrativo – risalente al 2007 – che Intesa San Paolo ha in corso con la FED di New York e con il New York Department of Financial Services (DFS), nei termini definiti da un Written Agreement sottoscritto dalla banca con le due Autorità statunitensi.
  A fine 2016 il DFS e Intesa San Paolo hanno sottoscritto un accordo che prevedeva una sanzione amministrativa dell'importo di USD 235 milioni, a fronte delle omesse segnalazioni di operazioni sospette del biennio 2005-2006, della prassi di processare i bonifici in dollari su ordine della clientela iraniana tramite i cosiddetti « cover payments» (operazioni di pagamento in valuta, utilizzando di norma conti di corrispondenza interbancari) e delle criticità emerse sui sistemi di monitoraggio dei pagamenti della filiale di New York.
  L'importo della sanzione risulta in linea con le penali applicate dal DFS negli ultimi cinque anni ad altre banche straniere su tematiche afferenti alla violazione della normativa antiriciclaggio e degli embarghi internazionali (come, ad esempio, USD 180 milioni alla banca taiwanese Megabank e USD 2.243 milioni alla BNP Paribas, con una media di USD 630 milioni per le sanzioni comminate nel periodo).
  L'accordo prevedeva, inoltre, la definizione di un monitoraggio da parte di un consulente indipendente (FTI Consulting), incaricato dallo stesso DFS di verificare che l'intermediario, non solo attuasse il programma di rafforzamento delle procedure antiriciclaggio della filiale americana, ma realizzasse anche una « transaction review» delle operazioni perfezionate dalla filiale di New York dal 2014 ad oggi.
  La Banca d'Italia ha soggiunto che le vicende in parola sono state oggetto di attenzione da parte della Vigilanza, prima direttamente dell'istituto e, dopo l'avvio della Vigilanza unica, delle competenti strutture della BCE.
  A seguito della definizione dell'accordo tra Intesa Sanpaolo e il DFS, la BCE ha ritenuto opportuno stabilire contatti diretti con le Autorità americane, al fine di Pag. 54chiarire la situazione e definire un attento piano di follow up delle azioni che Intesa deve portare a termine.
  Peraltro, come sopra accennato, anche la Banca d'Italia, in linea generale, ha sottolineato che l'Iran rimane incluso nel Public statement della Financial Action Task Force (FATF) dei Paesi ad alto rischio e con specifiche gravi carenze in materia di antiriciclaggio e finanziamento del terrorismo. La regolamentazione della Banca d'Italia in materia risulta particolarmente stringente e non consente di rilasciare a banche italiane autorizzazione ad operare – tramite lo stabilimento di succursali o la libera prestazione di servizi – in Paesi terzi in presenza di normative non adeguate in relazione alla vigilanza prudenziale, all'antiriciclaggio, al contrasto al finanziamento del terrorismo o alla riservatezza.
  Per quanto concerne il secondo quesito, sollevato sull'esecuzione di verifiche volte ad escludere che, in Italia, prima del gennaio 2016, vigenti le sanzioni alla Repubblica islamica dell'Iran, siano state poste in essere azioni volte ad eludere i divieti internazionali, si evidenzia che le sanzioni irrogate finora hanno interessato esclusivamente operatori commerciali per la violazione del divieto di messa a disposizione di risorse economiche in favore di soggetti «listati», ai sensi della vigente normativa europea.
  Per quanto concerne, infine, il terzo quesito sollevato sull'opportunità di interrompere la campagna politica di incoraggiamento delle operazioni commerciali con Teheran da parte del Governo, si fa presente che il già citato Comitato di Sicurezza Finanziaria adotterà le «Linee guida per l'operatività con l'Iran, alla luce del vigente quadro delle sanzioni finanziarie». Ciò al fine di orientare gli operatori finanziari e commerciali in relazione all'adempimento dei vigenti obblighi normativi di identificazione delle controparti iraniane coinvolte. Ulteriori indicazioni saranno date per l'acquisizione delle informazioni sulla natura e sullo scopo dall'operazione commerciale e della correlata transazione finanziaria, nel contesto specifico delle sanzioni finanziarie in essere.
  Detto Comitato intende, pertanto, sensibilizzare gli operatori commerciali e finanziari in relazione alla descritta circostanza che, nonostante la progressiva rimozione del regime sanzionatorio, a partire dall'entrata in vigore del Joint Comprehensive Pian of Action, permangono nei confronti dell'Iran sanzioni economiche individuali correlate al supporto del terrorismo ed alla violazione dei diritti umani, con conseguente persistenza di individui ed entità nelle liste delle Nazioni Unite e dell'Unione Europea.

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ALLEGATO 4

Interrogazione n. 5-10554 Quartapelle Procopio: Sul versamento dell'8 per mille per l'anno 2014 alle ong impegnate nella lotta contro la fame nel mondo.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con riferimento al contributo per le iniziative promosse dalle organizzazioni non governative per la categoria «lotta alla fame nel mondo» dell'otto per mille, assegnati con Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'8 febbraio 2016, si rappresentano i seguenti elementi forniti dalla Presidenza del Consiglio.
  Relativamente alle attività della Commissione istituita con decreto del Segretario Generale della Presidenza del Consiglio dei ministri del 18 febbraio 2015, modificata con successivo decreto del 12 maggio 2015, richiamata dall'interrogante, si segnala che il mandato della stessa era limitato a valutare le istanze presentate per l'annualità 2014 e che, quindi, le relative attività si sono esaurite con l'individuazione dei progetti beneficiari dei contributi ammessi con riferimento a quell'esercizio finanziario. Per la fase successiva all'assegnazione è, invece, stata prevista l'operatività di una diversa e distinta commissione tecnica (cosiddetta commissione «di monitoraggio») di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 1998.
  Preme sottolineare che la Presidenza del Consiglio dei ministri, sulla base delle specifiche designazioni dei componenti da parte delle amministrazioni di riferimento, ha istituito le relative commissioni tecniche di monitoraggio per procedere all'erogazione dei contributi concessi. La Commissione competente alla valutazione dei progetti, istituita con Decreto del Segretario Generale del 16 marzo 2016, ha avviato le attività per le verifiche necessarie ai fini del pagamento della prima tranche per quei progetti che avevano trasmesso la documentazione richiesta per l'accredito della somma.
  Ai fini di rassicurare l'interrogante circa la corresponsione di quanto dovuto per l'anno 2014 alle sopracitate organizzazioni non governative, si specifica che per 8 dei 40 progetti di cui al Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'8 febbraio 2016 è già stata erogata la prima tranche di contributo; per altri 23 sono in corso di contabilizzazione i relativi pagamenti, gli ultimi 7 sono stati esaminati dalla Commissione nella seduta del 18 maggio 2017 e su alcuni di questi ultimi (3 progetti) sono state chieste informazioni suppletive. Infine segnaliamo che 2 beneficiari hanno espressamente rinunciato al contributo, che è stato riassegnato ai beneficiari successivi nella graduatoria con Decreto del 21 marzo 2017.
  Infine, allo scopo di favorire trasparenza dell'intero procedimento e accessibilità alle informazioni da parte delle organizzazioni direttamente interessate, il competente Dipartimento della Funzione Amministrativa della Presidenza del Consiglio ha individuato due funzionari che possono essere direttamente contattati dalle organizzazioni della società civile. I riferimenti di tali funzionari sono stati comunicati dalla Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo della Farnesina, d'intesa con la Presidenza del Consiglio, alle reti maggiormente rappresentative delle predette organizzazioni della società civile, riscuotendone l'apprezzamento.

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ALLEGATO 5

Interrogazioni nn. 5-08784 Nicoletti e 5-10701 Quartapelle Procopio: Sui compensi ai giocatori di calcio nordcoreani ingaggiati in società italiane.

TESTO DELLA RISPOSTA

  I fatti rappresentati dagli onorevoli interroganti vanno naturalmente iscritti nell'attuale scenario politico internazionale. Come noto, i rapporti tra la Corea del Nord, stato totalitario socialista, e la comunità internazionale sono divenuti particolarmente tesi in seguito ad alcune iniziative ostili intraprese dal presidente e dittatore nordcoreano Kim Jong-un, in particolare, nei confronti della vicina Corea del Sud e degli Stati Uniti.
  In questo quadro, gli ingaggi di giovani calciatori nordcoreani da parte di società calcistiche italiane sono da tempo all'attenzione del Governo, che è in stretto contatto con alcuni club interessati.
  Dalla Società A.C. Fiorentina si è appreso che il calciatore Choe Song Hyok è arrivato nella società viola da «non tesserato» (così come certificato dalla Federazione Calcistica Nordcoreana, su esplicita richiesta della FIGC). In data 1o marzo 2016 è stato tesserato da ACF come «giovane di serie» (avendone i requisiti di età), il che non ha comportato alcun compenso a favore del giocatore. Peraltro, non essendovi stato alcun trasferimento da altro Club, la Fiorentina non ha pagato alcunché per tesserarlo come «giovane di serie». Dopo alcune valutazioni, atteso che il giocatore aveva già lasciato la Fiorentina ai primi di giugno, il 15 luglio 2016 la Fiorentina ha di fatto chiuso il proprio rapporto con il calciatore inserendolo nella lista di svincolo dei giovani di serie.
  Un ulteriore giovane giocatore, Han Kwan Song, classe 1998, da quanto appreso dalla società Cagliari Calcio, sarebbe stato tesserato dal club sardo senza la corresponsione di alcun corrispettivo finanziario in qualità di «giovane di serie». Tale forma contrattuale permetterebbe il tesseramento di giovani fino al 19o anno di età (a prescindere dalla convocazione in prima squadra).
  Il Cagliari Calcio ha assicurato che il calciatore, non essendo ancora tesserato come «professionista», non percepirà in questa fase alcun emolumento. Il club tuttavia non esclude la futura corresponsione di emolumenti a partire dalla prossima stagione, in particolare nell'eventualità della permanenza nella rosa della prima squadra e la firma di un contratto da «professionista». In tale caso i dirigenti del club hanno fatto presente che l'eventuale tesseramento a titolo di professionista, con la conseguente corresponsione di remunerazione finanziaria, avverrebbe in maniera diretta dal conto corrente registrato della società ad un conto corrente intestato direttamente al calciatore.
  In ogni caso, si sottolinea che gli ingaggi di calciatori nordcoreani presso società calcistiche italiane sono stati oggetto di segnalazione da parte del Ministero degli Esteri al Comitato di Sicurezza Finanziaria (organismo interministeriale competente per l'attuazione delle sanzioni finanziarie adottate dalle Nazioni Unite e dall'Unione Europea) affinché possa essere esercitata la necessaria ed opportuna vigilanza sulla compatibilità con il quadro sanzionatorio vigente verso la Corea del Nord.
  Il Ministro per lo sport, per parte sua, non può che condividere la preoccupazione manifestata dall'onorevole Quartapelle rispetto a un fenomeno che, qualora trovasse Pag. 57conferma, risulterebbe non soltanto gravemente lesivo della dignità dei lavoratori nordcoreani all'estero, ma comporterebbe altresì la violazione dell'embargo imposto alla Corea del Nord.
  Vorrei concludere assicurando che il Governo continuerà a monitorare attentamente tutte le transazioni finanziarie concernenti l'ingaggio di calciatori nord-coreani da parte di club italiani.

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ALLEGATO 6

Interrogazione n. 5-11197 Spadoni: Sulle misure contro abusi sessuali commessi da Caschi Blu delle Nazioni Unite.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Desidero innanzitutto ringraziare l'onorevole interrogante per avere posto una questione che sta particolarmente a cuore al Governo.
  La protezione dei civili, con particolare riguardo alla tutela dei soggetti più vulnerabili come donne e bambini, nei contesti caratterizzati da conflitti armati rappresenta un tradizionale impegno per l'Italia, che è il primo contributore di Caschi Blu tra i Paesi occidentali.
  Quest'anno più che mai, in qualità di membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza, siamo attivi per prevenire e punire tali crimini. Le violenze e gli abusi sessuali perpetrati dai Caschi Blu costituiscono infatti un gravissimo tradimento della missione dell'ONU che causa danni irreparabili non solo alle vittime ma anche all'immagine ed all'opera delle Nazioni Unite a sostegno della pace e della sicurezza internazionali.
  Il Governo italiano è stato tra i firmatari originari, nel 2015, dei Principi di Kigali con i quali abbiamo assunto precisi impegni volti ad assicurare i massimi standard professionali ed etici delle nostre truppe e forze di polizia impegnate nelle missioni di pace. Nel settembre scorso, il Sottosegretario Amendola ha ribadito tali impegni in qualità di co-presidente di un evento dedicato ai Principi di Kigali durante la settimana di alto livello di apertura dell'Assemblea Generale dell'ONU, insieme a Paesi Bassi e Ruanda, co-presidenti del Gruppo di Amici della Responsabilità di Proteggere.
  L'Italia, inoltre, è da sempre impegnata sulla tematica dei bambini nei conflitti armati, esprimendo in Consiglio di Sicurezza il nostro sostegno alle attività del Rappresentante Speciale del Segretario Generale per Bambini e Conflitti Armati, Leila Zerrougui, ogni qual volta se ne sia presentata l'occasione. Siamo pronti a lavorare e a sostenere anche la nuova Rappresentante Speciale, Virginia Gamba. Peraltro, già durante il precedente mandato quale membro non permanente del Consiglio di Sicurezza, l'Italia aveva promosso l'inserimento nei mandati delle Operazioni di pace ONU di specifiche disposizioni per la protezione dei bambini.
  Il Governo attribuisce innanzitutto massima priorità al rafforzamento degli strumenti di prevenzione, in particolare attraverso l'addestramento dei Caschi Blu prima del dispiegamento delle missioni. Il Center of Excellence for Stability Police Units (CoESPU) di Vicenza, gestito dall'Anna dei Carabinieri, ha addestrato dal 2006 ad oggi più di 10.000 unità di polizia da dispiegarsi in operazioni di pace, soprattutto provenienti dall'Africa e destinati ad essere dispiegati in quel continente, assicurando speciale attenzione alla lotta agli abusi sessuali da parte dei Caschi Blu.
  I corsi del CoESPU non hanno natura militare, ma sono anzi incentrati sugli aspetti relativi al diritto umanitario, con particolare riferimento alle questioni di genere e all'Agenda Donne, Pace e Sicurezza, alla protezione dei bambini nelle aree di conflitto e alla Rule of Law. È un impegno, quello italiano, in linea con il recente rapporto del Segretario Generale Guterres sulla violenza sessuale legata ai conflitti, che raccomanda agli Stati di formare il personale di peacekeeping sulle tematiche di genere.Pag. 59
  Quando la prevenzione fallisce, l'Italia persegue la politica di tolleranza zero contro gli abusi commessi dai Caschi Blu e la lotta all'impunità, come abbiamo ribadito da ultimo in occasione dei dibattiti aperti dedicati dal Consiglio di Sicurezza al traffico di esseri umani in situazioni di conflitto, lo scorso 15 marzo, ed alla violenza sessuale nei conflitti, il 15 maggio.
  Ciò significa in primo luogo perseguire la responsabilità, ovvero che chi commette questi crimini sia portato davanti alla giustizia e sia punito. Anche a questo fine diamo un contributo sostanziale al rafforzamento delle istituzioni nazionali e dei sistemi di governance dei Paesi contributori di Caschi Blu.
  Siamo inoltre impegnati per affermare questi principi nell'ambito del diritto internazionale, sfruttando la nostra presenza in Consiglio di Sicurezza per inserire richiami specifici all'attuazione della politica della tolleranza zero in occasione dei rinnovi dei mandati delle operazioni di pace e dei regimi sanzionatori, attuando lo spirito della ris. 2272 approvata dal Consiglio di Sicurezza nel 2016 sulla lotta allo sfruttamento ed agli abusi sessuali commessi dai Caschi Blu.
  Infine, vorrei evidenziare in particolare l'iniziativa che il Governo ha intrapreso insieme alla Svezia con riguardo al rinnovo del regime di sanzioni relativo alla Repubblica Centrafricana, che il Consiglio di Sicurezza ha adottato all'unanimità. Nella risoluzione, abbiamo infatti promosso l'inserimento di un criterio sanzionatorio specificamente dedicato alle violenze sessuali e di genere che permetta di rafforzare soprattutto la protezione di donne e bambini. Si tratta di un importante precedente che siamo impegnati a replicare in ogni appropriato contesto.

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ALLEGATO 7

Interrogazione n. 5-11297 La Marca: Sulla presunta morte per suicidio di un cittadino italiano nella Repubblica Dominicana.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Le vicende dei due connazionali, deceduti nella Repubblica Dominicana lo scorso aprile a distanza di qualche settimana uno dall'altro, sono seguite con attenzione dalla nostra Ambasciata in Repubblica Dominicana, in stretto raccordo con la Farnesina, sin dai primi momenti del ritrovamento dei corpi, con l'obiettivo di fare luce sulle circostanze dei decessi e assicurare la giustizia.
  Secondo le informazioni fornite dalla Sede, il primo connazionale, che si trovava da poco nella Repubblica Dominicana, è stato trovato senza vita il 27 aprile scorso a Bavaro (Punta Cana), lungo il bordo di una piscina nel residence «Cocotal», dove alloggiava insieme ad altri cittadini europei.
  Informata del decesso dalle Autorità locali, l'Ambasciata italiana si è subito messa in contatto con i familiari del giovane, per prestare loro ogni possibile assistenza, in particolare accompagnandoli nei diversi incontri con le Autorità dominicane competenti e nel disbrigo delle incombenze burocratiche previste dalla legge locale.
  Le circostanze del decesso del giovane sono tuttora oggetto di accertamento. Dal momento che il primo verbale della Polizia dominicana faceva riferimento ad un possibile suicidio, la nostra Rappresentanza diplomatica a Santo Domingo è subito intervenuta ottenendo un'immediata formalizzazione della prosecuzione delle indagini al fine di approfondire le cause del decesso.
  La collaborazione da parte delle Autorità dominicane è stata finora puntuale e ampie sono state le rassicurazioni sul fatto che tutte le ipotesi sulle cause della morte sono ancora aperte, escludendo fermamente che le indagini siano circoscritte all'ipotesi di un gesto volontario. A conferma di ciò, la polizia locale ha vietato ad alcuni giovani con cui il nostro connazionale divideva l'alloggio di lasciare il Paese e si è attivata per l'acquisizione di ulteriori elementi utili per chiarire le eventuali responsabilità di terzi.
  Nel frattempo, su indicazione della Farnesina, l'Ambasciata ha compiuto un passo formale presso il Ministero degli Affari Esteri dominicano, rappresentando la viva aspettativa del nostro Paese che le indagini siano condotte in modo attento e rigoroso e che vengano al più presto chiarite le circostanze della morte del connazionale.
  Al fine di seguire al meglio le attività in corso, la famiglia ha deciso di rivolgersi a un avvocato locale che può domandare al giudice competente sia i risultati dell'autopsia sia eventuali altre informazioni che dovessero essere utili. La Sede ha già preso contatto con il legale designato per concordare eventuali passi diplomatici a sostegno della sua azione e parallelamente ha trasmesso una nota informativa alla Procura della Repubblica di Roma, la quale potrà valutare se avviare un'indagine in Italia.
  Il secondo connazionale, pensionato che da tempo risiedeva nella Repubblica Dominicana, è stato trovato senza vita a Boca Chica lo scorso primo aprile. Stando al rapporto realizzato dall'agente di polizia che per primo era giunto sul luogo e Pag. 61aveva preso atto della scena che si presentava, la morte sarebbe avvenuta per impiccagione.
  L'Ambasciata d'Italia in Repubblica Dominicana si è messa subito in contatto con i familiari del connazionale e con l'avvocato da loro incaricato anche per l'espletamento delle procedure di rito per il rimpatrio delle ceneri. Su richiesta dei familiari, la Sede ha sollecitato nei giorni scorsi più volte l'avvocato scelto dalla famiglia, che conosceva personalmente il connazionale da molto tempo, per cercare di accelerare gli adempimenti relativi alla legalizzazione in loco del certificato di morte. Il rimpatrio delle ceneri dovrebbe avvenire nei prossimi giorni.
  Al fine di sostenere le richieste della famiglia volte ad accertare le effettive cause del decesso, la Sede si è anche mantenuta in stretto contatto con le Autorità dominicane per monitorare attentamente che l'autopsia fosse eseguita in maniera rigorosa e che le indagini non fossero archiviate frettolosamente. La Sede è intervenuta in più occasioni sulle Autorità locali, esprimendo la viva aspettativa da parte italiana affinché le indagini accertassero oggettivamente e senza pregiudizi la dinamica e le circostanze di quanto accaduto, ed anche con l'avvocato di parte, che ha confermato la completezza dei rilievi svolti.
  Anche il caso del secondo connazionale deceduto è stato finora caratterizzato da una puntuale collaborazione da parte delle Autorità dominicane che, oltre ad assicurare lo svolgimento di un esame autoptico trasparente ed accurato, hanno mantenuto aperte tutte le ipotesi sulle cause della morte del connazionale, sebbene inizialmente il referto di polizia accennasse effettivamente ad un possibile suicidio.
  Alla luce di quanto sopra esposto, si conferma, in risposta all'Onorevole interrogante, che il MAECI ha già debitamente incaricato l'Ambasciata di ottenere dalle Autorità dominicane una ricerca più precisa di eventuali responsabilità da perseguire.
  Per quanto riguarda il secondo quesito posto dall'On. Interrogante, la Farnesina, attraverso l'Unità di Crisi, assicura un regolare monitoraggio delle condizioni di sicurezza nel Paese, in coordinamento con l'Ambasciata d'Italia e con omologhe strutture europee.
  In particolare, attraverso il portale www.viaggiaresicuri.it, mette a disposizione dei cittadini italiani che si trovino o intendano recarsi nel Paese informazioni aggiornate sulla sicurezza, su normative locali rilevanti, ed avvertenze specifiche affinché, attraverso l'adozione di opportune misure di cautela, i connazionali possano mitigare il rischio di restare vittima episodi di criminalità.
  L'Unità di Crisi mette inoltre a disposizione dei connazionali il portale «Dove siamo nel mondo», nel quale registrare i dati relativi al proprio viaggio, facilitando il coordinamento e l'assistenza in caso di emergenza, anche attraverso contatti diretti, la diramazione di allerte via email o sms.