Nella difficile e prolungata crisi economica e finanziaria internazionale si moltiplicano le richieste di una più stringente regolazione dei mercati finanziari: in questo contesto si assiste alla ripresa d'interesse nei riguardi di ipotesi di tassazione sull'attività delle banche, penalizzazione di paradisi fiscali che rifiutino di cooperare con le autorità finanziarie nazionali e internazionali, ritorno a una rigida separazione tra le banche commerciali e quelle di investimento. Nello stesso tempo, si evidenziano mutamenti di opinione di grande momento da parte di studiosi e di esponenti del potere finanziario. Non può sorprendere quindi la riscoperta progressiva, da parte di numerosi ambienti della politica economica, sia a livello di singoli stati che in sede internazionale, della misura consistente nell'imposizione sulle transazioni finanziarie volta a ridurne la dimensione speculativa, ovvero la cosiddetta Tobin Tax, difesa di recente da autorevoli economisti come Paul Krugman, ed oggetto di raccomandazioni dell'Unione europea (Consiglio europeo del 10-11 dicembre 2009) al Fondo monetario internazionale in ordine alla possibilità di una sua applicazione – allora auspicata soprattutto dalla Germania.
La rinnovata attenzione verso soluzioni come la Tobin tax, accanto alla prospettiva di contribuire a porre fine agli eccessi finanziari degli anni passati, si deve alla possibilità che la Tobin tax offrirebbe, attraverso il notevole gettito che da essa si potrebbe attendere, di un recupero almeno parziale dei fondi utilizzati nelle operazioni di salvataggio bancario, particolarmente onerose e imponenti negli Stati Uniti e in alcuni paesi europei come il Regno Unito.
All'inizio del nuovo millennio, inoltre, la Tobin tax ha destato numerose aspettative sia come strumento di finanziamento allo sviluppo, sia come modo di reperimento di risorse per la lotta ai cambiamenti climatici e, più in generale, per grandi programmi di risanamento ambientale
L'economista americano James Tobin aveva formulato già nel 1972 la proposta di una tassazione sulle transazioni finanziarie, il cui conseguente aumento di costo ne avrebbe ridotto la volatilità, influenzando d'altra parte principalmente le operazioni a breve termine, con effetti trascurabili sul commercio internazionale e gli investimenti di lungo periodo. La proposta di Tobin - il quale nel corso degli anni giunse anche a porre in dubbio la propria impostazione - suscitò una vasta opposizione, che però, significativamente, fu meno aspra in corrispondenza delle crisi finanziarie degli anni Novanta (Asia orientale, Russia, Messico). L'incoraggiante processo di stabilizzazione finanziaria internazionale apertosi dopo il default argentino a partire dal 2003 sembrava aver distolto l'attenzione degli ambienti economico-finanziari internazionali dalla Tobin Tax.
Dal punto di vista squisitamente teorico la capacità della Tobin Tax di esercitare effetti stabilizzatori sui mercati finanziari sembra basarsi su tre assunti fondamentali, ovvero anzitutto il carattere speculativo e destabilizzante delle operazioni a breve termine, la capacità della Tobin Tax di disincentivare la speculazione e l'effetto conseguente di spingere gli operatori finanziari ad adottare decisioni maggiormente ancorate ai fondamentali dell'economia.
Alcuni critici della Tobin Tax hanno posto in dubbio, da un lato, la praticabilità di una chiara distinzione tra i comportamenti speculativi degli operatori e quelli privi di tale carattere, e dall'altro che la Tobin Tax sia effettivamente in grado di penalizzare i soli comportamenti speculativi per aumentare la stabilità. Tali obiezioni si appoggiano sul carattere ampiamente maggioritario che nel volume delle operazioni finanziarie rivestono le banche, che dalla Tobin Tax sarebbero pertanto colpite più di quanto potrebbero esserlo gli operatori speculativi. Il risultato della Tobin Tax, secondo tali critici, sarebbe quello di ridurre non tanto la volatilità, quanto piuttosto la liquidità dei mercati finanziari. I difensori oppongono tuttavia a tali vedute l'elementare constatazione che la liquidità dei mercati negli ultimi anni è stata comunque assai alta, in presenza di costi delle transazioni superiori a quelli attuali, ai quali la Tobin Tax aggiungerebbe un carico percentuale assai modesto – attualmente si parla nella maggior parte dei casi dello 0,1 per cento (mentre lo stesso Tobin, che aveva inizialmente proposto l'uno per cento, si era poi convinto a dimezzare tale previsione).
Altri critici attirano l'attenzione sul fatto che le operazioni a breve termine non sono realmente suscettibili di destabilizzare i mercati, in quanto circa il 70% di esse è finalizzato alla protezione da rischi e non alla speculazione: in tal modo, poiché le operazioni a copertura dei rischi comportano tra l'altro un maggior numero di transazioni rispetto a quelle speculative, l'effetto depressivo della Tobin Tax sarebbe assai superiore proprio nei confronti delle operazioni non speculative. La Tobin Tax sarebbe inoltre inefficace a frenare le speculazioni in ragione della minima percentuale che essa rappresenta in confronto alle attese speculative. Si argomenta del resto che esistono già numerosi esempi di controlli dei capitali al fine di evitare eccessive fluttuazioni nei mercati finanziari, e tra questi vi sono anche imposte implicite, come ad esempio i depositi non remunerati: in tutti questi casi - come avverrebbe, secondo i critici, per la Tobin Tax - tali misure si sono dimostrate inefficaci nel lungo termine. Anche alcuni perfezionamenti della Tobin Tax, come quello proposto dalla Germania nel Vertice di Monterrey del 2002 sul finanziamento dello sviluppo, hanno incontrato robuste critiche, in quanto la previsione di diverse percentuali dell'imposta provocherebbe eccessiva incertezza, ovvero aumenterebbe in modo insopportabile il carico fiscale e la complessità dell'imposta.
La rassegna delle numerose critiche alla Tobin Tax include anche il problema della sua applicazione territoriale: se l'imposta, infatti, non viene adottata in modo generalizzato, sarebbe piuttosto agevole evaderla, dislocando le operazioni finanziarie nei paesi di non applicazione di essa. Come ipotesi alternativa è stata peraltro prospettata la creazione di un organismo incardinato nel sistema delle Nazioni Unite, con il compito di gestire le transazioni finanziarie: ne farebbero parte gli attori effettivi dei mercati finanziari, le cui quote di partecipazione costituirebbero un'alternativa alla Tobin Tax.
Vi sono infine tutta una serie di ostacoli di carattere squisitamente politico, a cominciare dalla netta contrarietà finora manifestata dagli Stati Uniti nei confronti della Tobin Tax. In secondo luogo, poiché la potestà impositiva è tuttora una prerogativa dei governi nazionali, la Tobin Tax andrebbe riscossa a questo livello, ma ciò richiederebbe un coordinamento normativo a livello internazionale che è ben lungi dall'essere realizzato. In effetti, James Tobin aveva preconizzato per tali compiti un ruolo centrale del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale, mentre altri e successivi sostenitori della Tobin Tax hanno auspicato la creazione di una nuova istituzione ad hoc incaricata di progettare tanto i caratteri dell'imposta, quanto i meccanismi di controllo e di lotta contro l'evasione.
Un ultimo problema di carattere politico, ma certamente non inferiore a quelli già illustrati, è costituito dalla pertinenza dei fondi ottenuti mediante la Tobin Tax: se in linea di principio essi apparterranno ai paesi di riscossione, è altrettanto vero che in tal modo ne trarrebbero vantaggio di gran lunga quelli nei quali si trovano le piazze finanziarie internazionali più importanti. Tuttavia ciò collide con le prospettive di utilizzazione dei proventi della Tobin Tax per dare impulso allo sviluppo e alla diffusione dei beni pubblici globali, poiché non si vede come in tal caso la proprietà delle risorse ottenute tramite la Tobin Tax possa rimanere di esclusiva pertinenza nazionale.
Di fronte a tutte queste critiche, tuttavia, il rinnovato interesse verso la Tobin Tax sembra derivare in buona parte dalla capacità che le viene attribuita di reperire risorse per il finanziamento dello sviluppo e dei beni pubblici globali, per non parlare, nella contingenza finanziaria attuale, della prospettiva di ottenere fondi per futuri eventuali salvataggi bancari. In effetti, pur essendovi un'ampia oscillazione nella valutazione delle risorse che la Tobin Tax sarebbe suscettibile di reperire, nell'ipotesi più bassa, pari a 17 miliardi di dollari all'anno, si raggiungerebbe comunque circa un terzo di quanto le Nazioni Unite stimano necessario per il finanziamento complessivo degli Obiettivi del Millennio.
Già nel periodo immediatamente precedente il Vertice G20 di Pittsburgh del 24-25 settembre 2009 vi sono state diverse prese di posizione che hanno mostrato un rinnovato interesse per forme di imposizione sulle transazioni finanziarie sul modello della Tobin Tax, come ad esempio quella del presidente dell'Autorità britannica per i servizi finanziari, lord Adair Turner, che ha giudicato troppo debole la misura della limitazione al livello dei bonus corrisposti ai dirigenti del settore bancario.
Importanti pronunce a favore di una tassa sulle transazioni finanziarie vi sono poi stati in concomitanza del Vertice europeo straordinario tenutosi a Bruxelles per definire una posizione europea per il G20 di Pittsburgh: dopo che lo stesso presidente della Commissione europea Barroso aveva espresso apprezzamento per una riproposizione della Tobin tax, purché applicata a livello mondiale; nel Vertice straordinario del 17 settembre 2009 la stessa cancelliera tedesca Angela Merkel e il Ministro degli esteri francese Bernard Kouchner hanno sostenuto con forza la rinnovata ipotesi, in consonanza di idee anche con il premier austriaco Werner Faymann. Va registrato invece il dissenso del presidente di turno dell'Unione europea, lo svedese Fredrik Reinfeldt, che ha fatto piuttosto riferimento alla limitazione dei bonus bancari, e a misure di rafforzamento della trasparenza e della vigilanza sui mercati finanziari.
Mentre come prevedibile il Vertice G20 di Pittsburgh nulla ha deliberato in merito all'introduzione di una Tobin Tax, negli stessi giorni del Vertice vi sono state significative prese di posizione, come quella dei sindacali mondiali – i cui leader hanno anche incontrato diversi Capi di Stato partecipanti al Vertice -, che hanno auspicato un'imposizione, seppure assai moderata (0,05%), sulle transazioni finanziarie, allo scopo di rientrare almeno parzialmente dall'enorme debito creato per il sostegno al sistema finanziario, e al fine di creare risorse per sostenere l'occupazione in continuo calo.
Dopo il Vertice di Pittsburgh netta contrarietà all'imposizione sulle transazioni finanziarie è stata espressa dal presidente della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet, durante un'audizione al Parlamento europeo; a favore della tassazione si è invece espressa un autorevole esponente del Governo francese, il ministro dell'Economia Christine Lagarde, che ha ipotizzato l'impiego degli introiti della Tobin Tax sul versante della lotta contro i cambiamenti climatici.
Scetticismo sull'introduzione di una Tobin Tax è stato espresso dall'allora direttore generale del Fondo monetario internazionale Dominique Strauss-Kahn all'inizio di ottobre 2009: l'imposta sulle transazioni finanziarie è stata definita un meccanismo semplicistico. Strauss-Kahn ha però sottolineato che qualche forma di contribuzione a carico del sistema finanziario internazionale dovrà essere stabilita, quale parziale riparazione agli sconvolgimenti creati all'economia mondiale e ai bilanci pubblici, e al proposito il FMI ha iniziato a lavorare ad alcune ipotesi da presentare successivamente in ambito G20.
Strauss-Kahn ha ribadito la contrarietà alla Tobin Tax in occasione del G20 dei ministri finanziari tenutosi all'inizio di novembre in Scozia, unendosi alla posizione del segretario USA al Tesoro, Timothy Geithner, anch'egli critico in ordine a quanto prospettato dal premier britannico Gordon Brown, che aveva ventilato la possibilità di introdurre una forma di tassazione delle transazioni finanziarie internazionali. Il ministro italiano Tremonti si è detto favorevole a bloccare la speculazione piuttosto a monte che a valle – come avverrebbe con la Tobin Tax, ritenuta un'ipotesi superata dai tempi.
Il commissario europeo agli affari economici e monetari, lo spagnolo Joaquín Almunia, riferendo su quanto discusso nella riunione dell'Eurogruppo del 9 novembre, ha sostenuto la necessità di decisioni globali per l'eventuale tassazione delle transazioni finanziarie, che oltretutto dovrebbe essere tale da non indurre ulteriori distorsioni nei mercati finanziari.
Peraltro alla fine di novembre 2009 Gordon Brown non ha mancato di rilanciare la proposta della Tobin Tax nel summit dei Primi ministri del Commonwealth svoltosi a Trinidad e Tobago.
Dopo che, come all'inizio ricordato, il Consiglio europeo del 10-11 dicembre 2009 ha affidato al FMI lo studio in merito alla possibilità di istituire una tassazione sulle transazioni finanziarie internazionali; una documento della Commissione europea del febbraio 2010 (Strategia UE 2020) ha rilanciato tra l'altro l'ipotesi della Tobin Tax quale strumento per accrescere le entrate fiscali degli Stati membri, certamente in un contesto di stretto coordinamento delle relative politiche nazionali. La Tobin Tax ha nel frattempo trovato un altro convinto sostenitore nel nuovo commissario europeo al mercato interno e ai servizi finanziari, il francese Michel Barnier.
Va peraltro sottolineato come nonostante la riunione dell'Eurogruppo del 17 maggio 2010, in vista del G20 di Toronto in programma alla fine di giugno, abbia rilanciato la proposta della tassazione sulle transazioni finanziarie, nell'occasione i rappresentanti di Francia e Germania hanno manifestato estrema prudenza.
D'altra parte, due settimane dopo la Germania è tornata a chiedere l'imposizione sulle transazioni finanziarie almeno in Europa – dopo che il 18 maggio un accordo nella coalizione di governo federale aveva dato il via libera a forme di imposizione analoghe a livello nazionale - vista la scarsa probabilità di fare approvare tale proposta nel prossimo Vertice G20.
Per oltre un anno la questione della Tobin Tax è rimasta poi abbastanza sullo sfondo, nonostante il crescente appoggio a questa ipotesi formulato sia dalla Germania che dalla Francia: non a caso il vertice europeo della metà di giugno 2010 dava mandato alla Commissione di approfondire i dettagli entro il successivo mese di ottobre, in vista dell'imposizione di una tassa sulle banche e, in termini meno immediati, di una forma di imposizione globale sulle transazioni finanziarie. Il presidente della Commissione Barroso, il 7 settembre 2010, pronunciando davanti all'Europarlamento riunito a Strasburgo il primo discorso sullo stato dell'Unione, rilanciava il progetto di una tassazione delle attività finanziarie.
Pochi giorni dopo la cancelliera tedesca Merkel, intervenendo al Bundestag in ordine alla manovra finanziaria per il 2011, definiva la tassazione dei mercati finanziari una delle priorità della Germania, sulla quale Berlino si sarebbe spesa per convincere il maggior numero di paesi possibile a farla propria. Il 20 settembre è stata la volta del presidente francese Sarkozy, che, intervenendo al Vertice contro la povertà convocato dalle Nazioni Unite in margine all'inaugurazione della sessione annuale dei lavori dell'Assemblea generale, collegava l'istituzione di una tassa universale sulle transazioni finanziarie alla lotta contro il sottosviluppo, e ciò segnatamente in momenti di crisi, quarto sussiste una maggiore difficoltà a reperire fondi a tale scopo. Sarkozy tornava sull'argomento il 24 gennaio 2011, illustrando gli obiettivi della presidenza annuale francese del G8-G20, tra i quali appunto includeva l'azione per l'istituzione di una tassa sulle transazioni finanziarie.
In sede europea, tuttavia, alla fine di giugno l'allora presidente della Banca centrale europea Trichet, intervenendo sulla proposta di bilancio per il 2014-2020 presentata dalla Commissione europea, invitava a valutare con la massima prudenza l'istituzione di una tassa sulle transazioni finanziarie limitata al solo territorio europeo, che potrebbe provocare lo spostamento massiccio degli affari finanziari su piazze prive di tale strumento, con grave danno per tutti gli Stati membri dell'Unione.
Un nuovo interesse sulla Tobin Tax si è acceso a livello internazionale a partire dall'agosto 2011, in concomitanza con i crolli in borsa e i timori di un rinnovato crack bancario: non a caso proprio in quel momento sono tornati a far sentire le loro voci i paesi da sempre contrari all'imposizione sulle transazioni finanziarie internazionali, in primis il governo britannico, nella cui capitale ha sede la maggiore piazza finanziaria europea, ma anche l'Olanda e la Svezia, come pure il governo italiano pro-tempore.
Nel momento in cui si preparava l'avvicendamento alla guida della Banca centrale europea, anche colui che ne è poi divenuto presidente, Mario Draghi, esprimeva, sulla linea del proprio predecessore, timori per gli effetti di un'imposizione sulle transazioni finanziarie non adottata a livello globale, la quale, inoltre, potrebbe avere ulteriori effetti depressivi sul volume d'affari degli istituti finanziari. Tra le voci contrarie alla Tobin Tax ha fatto spicco quella del direttore operativo dell'Istituto finanziario internazionale (IIF) -istituzione che riunisce circa 400 tra banche e assicurazioni a livello planetario e che è stata importante nell'assicurare la partecipazione di soggetti privati al secondo piano di aiuti per la Grecia – il quale ha giudicato l'ipotesi assai discutibile.
Tra i favorevoli alla Tobin Tax il 20 agosto si è aggiunto il presidente dell'Unione europea van Rompuy, che pure ha rilevato come non manchino in Europa forti contrarietà verso di essa. Da notare anche la presa di posizione dell'associazione delle banche tedesche, la quale, a differenza del governo federale, ha definito la Tobin Tax semplicemente inutile, perché facilmente eludibile dagli operatori finanziari dell'epoca telematica. Angela Merkel ha però rilanciato ulteriormente in ordine alla Tobin Tax, in quello che non è forse del tutto errato definire un tentativo di sviare il dibattito dal tema a lei sgradito dell'istituzione degli Eurobond. Del resto anche nel Governo tedesco non ci si nascondeva la difficoltà di convincere tutti i 27 Stati membri a dare via libera all'istituzione della Tobin Tax, mentre anche l'ipotesi subordinata di prevederla solo nell'Eurozona si scontrerebbe con il fatto che la maggiore piazza finanziaria europea, ovvero Londra, sarebbe allora fuori dalla tassazione sulle transazioni finanziarie, e diverrebbe perciò ancor più competitiva rispetto alle piazze continentali.
In ogni modo, alla riunione dei ministri finanziari del G7 di Marsiglia del 9 settembre 2011 la proposta franco-tedesca di una tassa sulla transazioni finanziarie è stata resa ufficiale, investendone la Commissione europea. In occasione poi del secondo discorso sullo stato dell'Unione, il presidente della Commissione Barroso, tornando a parlare il 28 settembre agli europarlamentari riuniti a Strasburgo, ha a sua volta rilanciato sulla necessità di una Tobin Tax, polemizzando con una certa durezza rispetto al no britannico. Comunque, l'ufficializzazione a livello europeo della proposta ha permesso di individuarne alcuni contorni: essa verrebbe applicata a tutte le transazioni, sia in borsa sia in mercati organizzati al di fuori di essa, e riguarderebbe strumenti finanziari come azioni, obbligazioni e derivati, ma anche istituzioni come banche, imprese di investimento, assicurazioni, fondi pensione, agenti di borsa, fondi speculativi.
L'obiettivo sarebbe quello di giungere a una tassazione di circa l'85% delle transazioni, lasciandone peraltro indenni cittadini e imprese, poiché l'imposta non si applicherebbe a prestiti ipotecari e bancari, contratti o premi assicurativi e tipologia di attività finanziarie riconducibili a persone fisiche o piccole imprese. Onde ridurre i rischi di turbative nei mercati finanziari e di fuga delle transazioni, le aliquote proposte dalla Commissione sono assai lievi, riguardando obbligazioni e azioni nella misura dello 0,1%, e addirittura del solo 0,01% in riferimento a derivati e prodotti strutturati. Il gettito atteso dall'imposizione sarebbe pari a 57 miliardi di euro all'anno, una parte dei quali verrebbero a costituire risorse proprie dell'Unione europea, riducendo pertanto l'ammontare dei contributi nazionali necessari. La nuova tassa dovrebbe entrare in vigore dal 2014.
Alla voce di numerose organizzazioni non governative si è aggiunta il 2 novembre quella del vertice del Chiesa anglicana, l'arcivescovo di Canterbury Robin Williams, il quale, intervenendo sulle colonne del Financial Times, ha caldeggiato presso il primo ministro Cameron l'adozione dell'imposta sulle transazioni finanziarie a livello europeo, presentata tra l'altro come misura di carattere morale a fronte della protesta dilagante degli indignati, che si erano accampati anche sul sagrato della Cattedrale di Saint Paul.
Alla vigilia del Vertice G20 di Cannes, il Pontificio Consiglio di giustizia e pace ha diffuso un documento intitolato "Per una riforma del sistema finanziario e monetario internazionale nella prospettiva di una autorità pubblica a competenza universale", che invita i leaders politici dei Paesi più avanzati a riflettere seriamente sulla possibilità di istituire un'autorità pubblica mondiale per il regolamento del sistema monetario e finanziario, sull'introduzione della tassazione delle transazioni finanziarie, tipo Tobin Tax, mediante aliquote eque, ma modulate con oneri proporzionati alla complessità delle operazioni, e sulla definizione dell'ambito dell'attività del credito ordinario e di Investment Banking.
Al vertice G20 del 3 novembre, svoltosi nella città francese, la proposta europea ha ricevuto un secco diniego sull'ipotesi di una sua estensione a livello mondiale, sia dagli Stati Uniti che dalla Cina. Uguale delusione i sostenitori della Tobin Tax europea hanno registrato all'ECOFIN dell'8 novembre, ove sono emerse con chiarezza le divisioni anche tra i 17 paesi dell'Eurozona: oltre alla Francia e alla Germania, favorevoli alla nuova tassazione si sono dichiarati solo Belgio, Grecia, Finlandia, Slovenia e Spagna, mentre il governo italiano manifestava ancora seri dubbi in ordine alla possibilità che la Tobin Tax possa rallentare il mercato, decisivo per l'Italia, dei titoli di Stato. Il nuovo governo italiano, peraltro, giungeva presto a modificare tale posizione, e il 14 dicembre il Presidente del Consiglio Mario monti, intervenendo in Senato, si diceva favorevole all'imposizione sulle transazioni finanziarie, vista come strumento utile per alleggerire il carico fiscale sulle famiglie e sulle imprese, trasferendone una parte sulla grande finanza.
L'inizio del 2012 ha visto una forte iniziativa francese sulla proposta della Tobin Tax, che Parigi ha sostenuto di voler adottare in qualche forma entro l'anno anche in via unilaterale, come esempio per gli altri Stati europei – il 29 gennaio il presidente Sarkozy ha incluso la Tobin Tax a livello nazionale in un pacchetto di misure volto a rilanciare la crescita francese, che ha annunciato in un discorso televisivo: la nuova imposta in Francia partirà dal mese di agosto 2012 e riguarderà gli scambi di titoli in borsa, nella misura dello 0,1%.
A fronte di questo atteggiamento francese, la Germania ha insistito sulla bontà dell'obiettivo, che andrebbe però realizzato nel contesto dell'Europa a 27. Il premier italiano Mario Monti, dal canto suo, ha attirato l'attenzione sui pericoli di mosse solitarie in un terreno così delicato. La Francia ha comunque ottenuto l'appoggio spagnolo nella visita che Sarkozy ha compiuto a Madrid il 16 gennaio. A fronte dell'attivismo francese, da parte britannica è stata costantemente confermata la contrarietà all'imposta sulle transazioni finanziarie, chiaramente con un occhio alla difesa degli interessi della piazza finanziaria londinese.
Per quanto concerne l'attività parlamentare più rilevante, dopo aver ricordato l'indagine conoscitiva condotta nella XIV Legislatura dalle Commissioni riunite Affari esteri e Finanze della Camera, senza peraltro l'approvazione di un documento finale; più di recente, il 16 giugno 2010, la Commissione Affari esteri della Camera ha esaminato tre risoluzioni (7-00346, 7-00333 e 7-00328) sulla tassazione delle transazioni finanziarie internazionali di iniziativa degli onn. Evangelisti, Barbi e Zacchera: i tre atti sono stati approvati previa riformulazione di ciascuno di essi, e impegnano il Governo a valutare nelle competenti sedi internazionali la possibilità dell'introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie internazionali, una quota significativa del cui introito dovrebbe essere destinata all'aiuto allo sviluppo, e in particolare al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite entro il 2015, rendendosi altresì disponibile a riferire puntualmente al Parlamento sui risultati delle trattative internazionali sulla materia.
A livello consultivo, nel quadro dell'attività che dopo il Trattato di Lisbona vede concorrere i Parlamenti nazionali nella fase ascendente degli atti normativi dell'Unione europea, la Commissione politiche dell'Unione europea di Palazzo Madama, nelle sedute dell'8 e del 30 novembre 2011, ha esaminato una proposta di direttiva del Consiglio concernente un sistema comune di imposta sulle transazioni finanziarie, formulando per la Commissione Finanze del Senato osservazioni non ostative con rilievi: parallelamente, la Commissione politiche dell'Unione europea della Camera ha iniziato l'esame dello stesso atto il 25 gennaio 2012, rinviandone la trattazione.
Nella stessa data del 25 gennaio, nell'ambito della discussione di mozioni sulla politica europea dell'Italia, tra i testi approvati dal Senato soprattutto la +%27MOZIONE%27+|+%27SENATO%27|mozione bipartisan, in riferimento ai negoziati in sede europea per la messa a punto di un nuovo Trattato che ponga le basi di una politica economica comune, impegna il Governo, tra l'altro, ad introdurre nelle trattative l'ipotesi di una tassazione sulle transazioni finanziarie da applicare in tutti i Paesi membri dell'Unione europea, con l'obiettivo di una più ampia intesa globale a livello mondiale.
Un'altra delle mozioni approvate, presentata dal sen. Belisario ed altri, contiene tra gli impegni a carico dell'esecutivo la medesima indicazione. Impegni del tutto analoghi sono stati prospettati al Governo dalle mozioni n. 1-00800 e n. 1-00822 approvate anch'esse il 25 gennaio 2012 dalla Camera, nella parallela discussione di mozioni sempre incentrate sulla politica europea del nostro Paese.