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Le pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo e le raccomandazioni del Consiglio d'Europa
informazioni aggiornate a martedì, 30 gennaio 2018

Sul tema del sovraffollamento carcerario in Italia assumono rilievo due pronunce della Corte europea dei diritti, espressamente richiamate anche dal messaggio del Presidente della Repubblica alle Camere.

 

Causa Sulejmanovic contro Italia  -in materia di condizioni di detenzione.

Il caso riguardava un cittadino della Bosnia-Erzegovina detenuto nel carcere romano di Rebibbia per scontare una pena di un anno e nove mesi di reclusione per una serie di condanne inflitte per furto aggravato, tentato furto, ricettazione e falsità in atti.

Riferiva il ricorrente che nel corso della sua permanenza nel carcere romano aveva soggiornato in diverse celle, ciascuna di circa 16,20 metri quadrati, che aveva condiviso con altri detenuti. In particolare, il ricorrente si doleva del fatto che dal 30 novembre 2002 al 15 aprile 2003 aveva dovuto dividere la cella con altre cinque persone, ognuna delle quali poteva disporre di una superficie di circa 2,70 metri quadrati, mentre dal 15 aprile al 20 ottobre 2003 aveva condiviso la cella con altri quattro detenuti, disponendo così ciascun detenuto, in media, di una superficie di 3,40 metri quadrati.

Il ricorrente si rivolgeva pertanto alla Corte di Strasburgo lamentando che le condizioni della sua detenzione avevano violato l'art. 3 CEDU (proibizione della tortura). In particolare, il Sulejmanovic invocava i parametri indicati dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti (CPT) – ai quali anche la Corte aveva fatto riferimento in alcune sue pronunce – che indicano in 7 metri quadrati la superficie minima auspicabile di cui ciascun detenuto deve poter disporre all'interno della propria cella.

Con la decisione del 16 luglio 2009 (ricorso 22635/03) la Corte ha affermato che sebbene non sia possibile quantificare, in modo preciso e definitivo, lo spazio personale che deve essere concesso a ciascun detenuto ai sensi della Convenzione, in quanto esso dipende da diversi fattori, come la durata della privazione della libertà personale, la possibilità di accesso alla passeggiata all'aria aperta nonché le condizioni mentali e fisiche del detenuto, la mancanza evidente di spazio personale costituisce violazione dell'art. 3 CEDU, relativo al divieto di trattamenti inumani e degradanti. Ai fini di tali valutazioni, la Corte ha utilizzato come parametro di riferimento quello indicato dal CPT, che ha individuato in 7 metri quadrati per detenuto "la superficie minima auspicabile per una cella detentiva".

In via equitativa, la Corte ha riconosciuto all'istante la somma di 1.000,00 € a titolo di risarcimento per i danni morali patiti.

 

Causa Torreggiani e altri sei ricorrenti contro Italia - in materia di condizioni di detenzione

I ricorrenti, detenuti negli istituti penitenziari di Busto Arsizio e Piacenza, avevano adito la Corte EDU lamentando che le loro rispettive condizioni detentive costituissero trattamenti inumani e degradanti ai sensi dell'articolo 3 della Convenzione.

Essi avevano denunciato la mancanza di spazio vitale nelle celle (nelle quali avrebbero avuto a disposizione uno spazio personale di 3 metri quadri), l'esistenza di gravi problemi di distribuzione di acqua calda e una insufficiente aereazione e illuminazione delle celle.

La Corte, con la decisione dell'8 gennaio 2013, ha dichiarato sussistente la violazione dell'articolo 3 CEDU, avendo accertato che le condizioni detentive descritte avevano sottoposto gli interessati a un livello di sofferenza d'intensità superiore a quello inevitabilmente insito nella detenzione.

La Corte rileva che «la violazione del diritto dei ricorrenti di beneficiare di condizioni detentive adeguate non è la conseguenza di episodi isolati, ma trae origine da un problema sistemico risultante da un malfunzionamento cronico proprio del sistema penitenziario italiano, che ha interessato e può interessare ancora in futuro numerose persone».

Per questo la Corte ha deciso di applicare al caso di specie la procedura della sentenza pilota, ai sensi dell'articolo 46 della Convenzione, ed ha ordinato alle autorità nazionali di approntare, nel termine di un anno dalla data in cui la sentenza in titolo sarà divenuta definitiva, le misure necessarie che abbiano effetti preventivi e compensativi e che garantiscano realmente una riparazione effettiva delle violazioni. Nelle more dell'adozione di tali misure, la Corte ha disposto il rinvio dell'esame degli altri ricorsi aventi come unico oggetto il sovraffollamento carcerario in Italia.

 

Si ricorda che l'istituto della sentenza pilota è una procedura, inizialmente di origine giurisprudenziale, che permette alla Corte, attraverso la trattazione del singolo ricorso, di identificare un problema strutturale, rilevabile in casi simili, e individuare pertanto una violazione ricorrente dello Stato contraente. Infatti, qualora la Corte riceva molteplici ricorsi derivanti da una situazione simile in fatto e imputabile alla medesima violazione in diritto, vi è la possibilità per la Corte stessa di selezionare uno o più ricorsi per una trattazione prioritaria in applicazione dell'articolo 61 del proprio regolamento di procedura. La disposizione, introdotta nel 2011, stabilisce come condizione che "i fatti all'origine d'un ricorso presentato davanti ad essa rivelano l'esistenza, nello Stato contraente interessato, d'un problema strutturale o sistemico o di un' altra simile disfunzione che ha dato luogo alla presentazione di altri analoghi ricorsi".

La trattazione di una questione attraverso la procedura pilota permette il congelamento degli altri casi simili in attesa della pronuncia della Corte al fine di consentire una trattazione più rapida e offre allo Stato contraente la possibilità di sanare la propria posizione prima di ulteriori condanne.

Il messaggio del Presidente della Repubblica ricorda che tra i rimedi al "carattere strutturale e sistemico del sovraffollamento carcerario" in Italia, la Corte ha citato la raccomandazione del Consiglio d'Europa "a ricorrere il più possibile alle misure alternative alla detenzione e a riorientare la loro politica penale verso il minimo ricorso alla carcerazione, allo scopo, tra l'altro, di risolvere il problema della crescita della popolazione carceraria".

Il documento del Consiglio d'Europa cui fa riferimento la Corte europea dei diritti dell'uomo, e anche il messaggio del Presidente della Repubblica, è la raccomandazione n. R(99) 22 sul sovraffollamento delle carceri e l'inflazione carceraria.

In particolare, in tale atto si rileva che «La privazione della libertà dovrebbe essere considerata come una sanzione o una misura di ultima istanza e dovrebbe pertanto essere prevista soltanto quando la gravità del reato renderebbe qualsiasi altra sanzione o misura manifestamente inadeguata» e che gli Stati «dovrebbero esaminare l'opportunità di depenalizzare alcuni tipi di delitti o di riqualificarli in modo da evitare che essi richiedano l'applicazione di pene privative della libertà».

La raccomandazione invita dunque gli Stati a ridurre il ricorso alla custodia cautelare ed a fare un uso più ampio possibile delle alternative alla custodia cautelare quali ad esempio l'obbligo, per l'indagato, di risiedere ad un indirizzo specificato, il divieto di lasciare o di raggiungere un luogo senza autorizzazione, la scarcerazione su cauzione, o il controllo e il sostegno di un organismo specificato dall'autorità giudiziaria.

La Corte EDU, peraltro, nella sentenza Torreggiani richiama anche altri documenti del Consiglio d'Europa, tra i quali la raccomandazione Rec(2006)2 del Comitato dei Ministri sulle regole penitenziarie europee (adottata l'11 gennaio 2006), dedicata alle condizioni di detenzione, che in relazione ai locali di detenzione richiede:

«18. 1. I locali di detenzione e, in particolare, quelli destinati ad accogliere i detenuti durante la notte,devono soddisfare le esigenze di rispetto della dignità umana e, per quanto possibile, della vita privata, e rispondere alle condizioni minime richieste in materia di sanità e di igiene, tenuto conto delle condizioni climatiche, in particolare per quanto riguarda la superficie, la cubatura d'aria, l'illuminazione, il riscaldamento e l'aerazione.

2. Nei locali in cui i detenuti devono vivere, lavorare o riunirsi:

a. le finestre devono essere sufficientemente ampie affinché i detenuti possano leggere e lavorare alla luce naturale in condizioni normali e per permettere l'apporto di aria fresca, a meno che esista un sistema di climatizzazione appropriato;

b. la luce artificiale deve essere conforme alle norme tecniche riconosciute in materia;e

c. un sistema d'allarme deve permettere ai detenuti di contattare immediatamente il personale.

3. La legislazione nazionale deve definire le condizioni minime richieste relative ai punti elencati ai paragrafi 1 e 2.

4. Il diritto interno deve prevedere dei meccanismi che garantiscano il rispetto di queste condizioni minime, anche in caso di sovraffollamento carcerario.

5. Ogni detenuto, di regola, deve poter disporre durante la notte di una cella individuale, tranne quando si consideri preferibile per lui che condivida la cella con altri detenuti.

6. Una cella deve essere condivisa unicamente se è predisposta per l'uso collettivo e deve essere occupata da detenuti riconosciuti atti a convivere.

7. Se possibile, i detenuti devono poter scegliere prima di essere costretti a condividere una cella per dormire.

8. Nel decidere di alloggiare detenuti in particolari istituti o in particolari sezioni di un carcere bisogna tener conto delle necessità di separare:

a. I detenuti imputati dai detenuti condannati;

b. I detenuti maschi dalle detenute femmine; e

c. I detenuti giovani adulti dai detenuti più anziani.

9. Si può derogare alle disposizioni del paragrafo 8 in materia di separazione dei detenuti per permettere loro di partecipare assieme a delle attività organizzate. Tuttavia i gruppi citati dovranno sempre essere separati durante la notte a meno che gli stessi interessati non consentano a coabitare e che le autorità penitenziarie ritengano che questa misura si iscriva nell'interesse di tutti i detenuti interessati.

10. Le condizioni di alloggio dei detenuti devono soddisfare le misure di sicurezza meno restrittive possibili e proporzionali al rischio che gli interessati evadano, si feriscano o feriscano altre persone».

 

Allo stesso anno 2006 risalgono anche gli standard elaborati dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT), istituito anch'esso nell'ambito del Consiglio d'Europa, volti a indicare agli Stati membri le modalità con le quali dovrebbero essere trattate le persone private della libertà.

In tale ambito, trattando della custodia della polizia, il Comitato scrive: «La questione di quale sia la grandezza ragionevole di una cella di polizia (o qualsiasi altro luogo di sistemazione di un detenuto/prigioniero) è complessa. Molti fattori devono essere presi in considerazione in tale valutazione. Comunque, le delegazioni del CPT hanno avvertito il bisogno di una bozza di linee guida in questo campo. Il criterio che segue (considerato come un livello auspicabile piuttosto che uno standard minimo) è attualmente usato nel valutare celle di polizia intese per essere occupate da una sola persona che resti al massimo qualche ora: nell'ordine di 7 metri quadrati, 2 metri o più tra le pareti, 2 metri e mezzo tra il pavimento e il soffitto.

Sul tema del sovraffollamento carcerario in Italia assumono rilievo due pronunce della Corte europea dei diritti, espressamente richiamate anche dal messaggio del Presidente della Repubblica alle Camere.

 

Causa Sulejmanovic contro Italia  -in materia di condizioni di detenzione.

Il caso riguardava un cittadino della Bosnia-Erzegovina detenuto nel carcere romano di Rebibbia per scontare una pena di un anno e nove mesi di reclusione per una serie di condanne inflitte per furto aggravato, tentato furto, ricettazione e falsità in atti.

Riferiva il ricorrente che nel corso della sua permanenza nel carcere romano aveva soggiornato in diverse celle, ciascuna di circa 16,20 metri quadrati, che aveva condiviso con altri detenuti. In particolare, il ricorrente si doleva del fatto che dal 30 novembre 2002 al 15 aprile 2003 aveva dovuto dividere la cella con altre cinque persone, ognuna delle quali poteva disporre di una superficie di circa 2,70 metri quadrati, mentre dal 15 aprile al 20 ottobre 2003 aveva condiviso la cella con altri quattro detenuti, disponendo così ciascun detenuto, in media, di una superficie di 3,40 metri quadrati.

Il ricorrente si rivolgeva pertanto alla Corte di Strasburgo lamentando che le condizioni della sua detenzione avevano violato l'art. 3 CEDU (proibizione della tortura). In particolare, il Sulejmanovic invocava i parametri indicati dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti (CPT) – ai quali anche la Corte aveva fatto riferimento in alcune sue pronunce – che indicano in 7 metri quadrati la superficie minima auspicabile di cui ciascun detenuto deve poter disporre all'interno della propria cella.

Con la decisione del 16 luglio 2009 (ricorso 22635/03) la Corte ha affermato che sebbene non sia possibile quantificare, in modo preciso e definitivo, lo spazio personale che deve essere concesso a ciascun detenuto ai sensi della Convenzione, in quanto esso dipende da diversi fattori, come la durata della privazione della libertà personale, la possibilità di accesso alla passeggiata all'aria aperta nonché le condizioni mentali e fisiche del detenuto, la mancanza evidente di spazio personale costituisce violazione dell'art. 3 CEDU, relativo al divieto di trattamenti inumani e degradanti. Ai fini di tali valutazioni, la Corte ha utilizzato come parametro di riferimento quello indicato dal CPT, che ha individuato in 7 metri quadrati per detenuto "la superficie minima auspicabile per una cella detentiva".

In via equitativa, la Corte ha riconosciuto all'istante la somma di 1.000,00 € a titolo di risarcimento per i danni morali patiti.

 

Causa Torreggiani e altri sei ricorrenti contro Italia - in materia di condizioni di detenzione

I ricorrenti, detenuti negli istituti penitenziari di Busto Arsizio e Piacenza, avevano adito la Corte EDU lamentando che le loro rispettive condizioni detentive costituissero trattamenti inumani e degradanti ai sensi dell'articolo 3 della Convenzione.

Essi avevano denunciato la mancanza di spazio vitale nelle celle (nelle quali avrebbero avuto a disposizione uno spazio personale di 3 metri quadri), l'esistenza di gravi problemi di distribuzione di acqua calda e una insufficiente aereazione e illuminazione delle celle.

La Corte, con la decisione dell'8 gennaio 2013, ha dichiarato sussistente la violazione dell'articolo 3 CEDU, avendo accertato che le condizioni detentive descritte avevano sottoposto gli interessati a un livello di sofferenza d'intensità superiore a quello inevitabilmente insito nella detenzione.

La Corte rileva che «la violazione del diritto dei ricorrenti di beneficiare di condizioni detentive adeguate non è la conseguenza di episodi isolati, ma trae origine da un problema sistemico risultante da un malfunzionamento cronico proprio del sistema penitenziario italiano, che ha interessato e può interessare ancora in futuro numerose persone».

Per questo la Corte ha deciso di applicare al caso di specie la procedura della sentenza pilota, ai sensi dell'articolo 46 della Convenzione, ed ha ordinato alle autorità nazionali di approntare, nel termine di un anno dalla data in cui la sentenza in titolo sarà divenuta definitiva, le misure necessarie che abbiano effetti preventivi e compensativi e che garantiscano realmente una riparazione effettiva delle violazioni. Nelle more dell'adozione di tali misure, la Corte ha disposto il rinvio dell'esame degli altri ricorsi aventi come unico oggetto il sovraffollamento carcerario in Italia.

 

Si ricorda che l'istituto della sentenza pilota è una procedura, inizialmente di origine giurisprudenziale, che permette alla Corte, attraverso la trattazione del singolo ricorso, di identificare un problema strutturale, rilevabile in casi simili, e individuare pertanto una violazione ricorrente dello Stato contraente. Infatti, qualora la Corte riceva molteplici ricorsi derivanti da una situazione simile in fatto e imputabile alla medesima violazione in diritto, vi è la possibilità per la Corte stessa di selezionare uno o più ricorsi per una trattazione prioritaria in applicazione dell'articolo 61 del proprio regolamento di procedura. La disposizione, introdotta nel 2011, stabilisce come condizione che "i fatti all'origine d'un ricorso presentato davanti ad essa rivelano l'esistenza, nello Stato contraente interessato, d'un problema strutturale o sistemico o di un' altra simile disfunzione che ha dato luogo alla presentazione di altri analoghi ricorsi".

La trattazione di una questione attraverso la procedura pilota permette il congelamento degli altri casi simili in attesa della pronuncia della Corte al fine di consentire una trattazione più rapida e offre allo Stato contraente la possibilità di sanare la propria posizione prima di ulteriori condanne.

Il messaggio del Presidente della Repubblica ricorda che tra i rimedi al "carattere strutturale e sistemico del sovraffollamento carcerario" in Italia, la Corte ha citato la raccomandazione del Consiglio d'Europa "a ricorrere il più possibile alle misure alternative alla detenzione e a riorientare la loro politica penale verso il minimo ricorso alla carcerazione, allo scopo, tra l'altro, di risolvere il problema della crescita della popolazione carceraria".

Il documento del Consiglio d'Europa cui fa riferimento la Corte europea dei diritti dell'uomo, e anche il messaggio del Presidente della Repubblica, è la raccomandazione n. R(99) 22 sul sovraffollamento delle carceri e l'inflazione carceraria.

In particolare, in tale atto si rileva che «La privazione della libertà dovrebbe essere considerata come una sanzione o una misura di ultima istanza e dovrebbe pertanto essere prevista soltanto quando la gravità del reato renderebbe qualsiasi altra sanzione o misura manifestamente inadeguata» e che gli Stati «dovrebbero esaminare l'opportunità di depenalizzare alcuni tipi di delitti o di riqualificarli in modo da evitare che essi richiedano l'applicazione di pene privative della libertà».

La raccomandazione invita dunque gli Stati a ridurre il ricorso alla custodia cautelare ed a fare un uso più ampio possibile delle alternative alla custodia cautelare quali ad esempio l'obbligo, per l'indagato, di risiedere ad un indirizzo specificato, il divieto di lasciare o di raggiungere un luogo senza autorizzazione, la scarcerazione su cauzione, o il controllo e il sostegno di un organismo specificato dall'autorità giudiziaria.

La Corte EDU, peraltro, nella sentenza Torreggiani richiama anche altri documenti del Consiglio d'Europa, tra i quali la raccomandazione Rec(2006)2 del Comitato dei Ministri sulle regole penitenziarie europee (adottata l'11 gennaio 2006), dedicata alle condizioni di detenzione, che in relazione ai locali di detenzione richiede:

«18. 1. I locali di detenzione e, in particolare, quelli destinati ad accogliere i detenuti durante la notte,devono soddisfare le esigenze di rispetto della dignità umana e, per quanto possibile, della vita privata, e rispondere alle condizioni minime richieste in materia di sanità e di igiene, tenuto conto delle condizioni climatiche, in particolare per quanto riguarda la superficie, la cubatura d'aria, l'illuminazione, il riscaldamento e l'aerazione.

2. Nei locali in cui i detenuti devono vivere, lavorare o riunirsi:

a. le finestre devono essere sufficientemente ampie affinché i detenuti possano leggere e lavorare alla luce naturale in condizioni normali e per permettere l'apporto di aria fresca, a meno che esista un sistema di climatizzazione appropriato;

b. la luce artificiale deve essere conforme alle norme tecniche riconosciute in materia;e

c. un sistema d'allarme deve permettere ai detenuti di contattare immediatamente il personale.

3. La legislazione nazionale deve definire le condizioni minime richieste relative ai punti elencati ai paragrafi 1 e 2.

4. Il diritto interno deve prevedere dei meccanismi che garantiscano il rispetto di queste condizioni minime, anche in caso di sovraffollamento carcerario.

5. Ogni detenuto, di regola, deve poter disporre durante la notte di una cella individuale, tranne quando si consideri preferibile per lui che condivida la cella con altri detenuti.

6. Una cella deve essere condivisa unicamente se è predisposta per l'uso collettivo e deve essere occupata da detenuti riconosciuti atti a convivere.

7. Se possibile, i detenuti devono poter scegliere prima di essere costretti a condividere una cella per dormire.

8. Nel decidere di alloggiare detenuti in particolari istituti o in particolari sezioni di un carcere bisogna tener conto delle necessità di separare:

a. I detenuti imputati dai detenuti condannati;

b. I detenuti maschi dalle detenute femmine; e

c. I detenuti giovani adulti dai detenuti più anziani.

9. Si può derogare alle disposizioni del paragrafo 8 in materia di separazione dei detenuti per permettere loro di partecipare assieme a delle attività organizzate. Tuttavia i gruppi citati dovranno sempre essere separati durante la notte a meno che gli stessi interessati non consentano a coabitare e che le autorità penitenziarie ritengano che questa misura si iscriva nell'interesse di tutti i detenuti interessati.

10. Le condizioni di alloggio dei detenuti devono soddisfare le misure di sicurezza meno restrittive possibili e proporzionali al rischio che gli interessati evadano, si feriscano o feriscano altre persone».

 

Allo stesso anno 2006 risalgono anche gli standard elaborati dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT), istituito anch'esso nell'ambito del Consiglio d'Europa, volti a indicare agli Stati membri le modalità con le quali dovrebbero essere trattate le persone private della libertà.

In tale ambito, trattando della custodia della polizia, il Comitato scrive: «La questione di quale sia la grandezza ragionevole di una cella di polizia (o qualsiasi altro luogo di sistemazione di un detenuto/prigioniero) è complessa. Molti fattori devono essere presi in considerazione in tale valutazione. Comunque, le delegazioni del CPT hanno avvertito il bisogno di una bozza di linee guida in questo campo. Il criterio che segue (considerato come un livello auspicabile piuttosto che uno standard minimo) è attualmente usato nel valutare celle di polizia intese per essere occupate da una sola persona che resti al massimo qualche ora: nell'ordine di 7 metri quadrati, 2 metri o più tra le pareti, 2 metri e mezzo tra il pavimento e il soffitto.