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Resoconto dell'Assemblea

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XIX LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Mercoledì 28 dicembre 2022

COMUNICAZIONI

Comunicazioni del 28 dicembre 2022.

Missioni valevoli
nella seduta del 28 dicembre 2022.

  Albano, Ascani, Bellucci, Benvenuto, Bignami, Bitonci, Cappellacci, Carloni, Cattaneo, Cecchetti, Cirielli, Alessandro Colucci, Enrico Costa, Sergio Costa, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferrante, Ferro, Foti, Frassinetti, Freni, Gebhard, Gemmato, Giachetti, Giorgetti, Guerini, Gusmeroli, Leo, Lollobrigida, Lupi, Magi, Mangialavori, Mazzi, Minardo, Molinari, Molteni, Montaruli, Mulè, Nordio, Osnato, Nazario Pagano, Pellegrini, Pichetto Fratin, Prisco, Rampelli, Richetti, Rixi, Rosato, Angelo Rossi, Scerra, Schullian, Serracchiani, Francesco Silvestri, Rachele Silvestri, Sportiello, Tajani, Trancassini, Tremonti, Zucconi.

(Alla ripresa pomeridiana della seduta
nella giornata del 29 dicembre 2022).

  Albano, Ascani, Bellucci, Benvenuto, Bignami, Bitonci, Cappellacci, Carloni, Cattaneo, Cirielli, Colosimo, Alessandro Colucci, Enrico Costa, Sergio Costa, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferrante, Ferro, Foti, Frassinetti, Freni, Gava, Gebhard, Gemmato, Giachetti, Giglio Vigna, Giorgetti, Guerini, Gusmeroli, Leo, Lollobrigida, Lupi, Magi, Mangialavori, Mazzi, Meloni, Minardo, Molinari, Mollicone, Molteni, Montaruli, Mulè, Nordio, Osnato, Nazario Pagano, Patriarca, Pichetto Fratin, Prisco, Rampelli, Richetti, Rixi, Scerra, Schullian, Serracchiani, Francesco Silvestri, Rachele Silvestri, Sportiello, Tajani, Trancassini, Tremonti, Zucconi.

(Alla ripresa antimeridiana della seduta
nella giornata del 30 dicembre 2022).

  Albano, Ascani, Bellucci, Benvenuto, Bignami, Bitonci, Cappellacci, Carloni, Cattaneo, Cirielli, Colosimo, Alessandro Colucci, Enrico Costa, Sergio Costa, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferrante, Ferro, Foti, Frassinetti, Freni, Gava, Gemmato, Giachetti, Giorgetti, Guerini, Gusmeroli, Leo, Lollobrigida, Lupi, Mangialavori, Mazzi, Meloni, Minardo, Molinari, Mollicone, Molteni, Montaruli, Mulè, Nordio, Nazario Pagano, Pichetto Fratin, Prisco, Rampelli, Richetti, Rixi, Scerra, Serracchiani, Francesco Silvestri, Rachele Silvestri, Tajani, Trancassini, Tremonti.

Annunzio di proposte di legge.

  In data 27 dicembre 2022 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:

   PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE RAMPELLI ed altri: «Modifica degli articoli 6 e 12 della Costituzione, in materia di riconoscimento della lingua italiana come lingua ufficiale della Repubblica e di proclamazione dell'inno nazionale» (736);

   EVI ed altri: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati» (737);

   BISA ed altri: «Abrogazione dell'articolo 323 del codice penale e modifiche agli articoli 322-bis, 323-bis e 346-bis del medesimo codice, in materia di delitti contro la pubblica amministrazione» (738).

  In data 28 dicembre 2022 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:

   FOTI e RACHELE SILVESTRI: «Disposizioni per favorire lo sviluppo di progetti di coabitazione per persone che hanno compiuto il sessantacinquesimo anno di età e di coabitazione intergenerazionale» (739);

   TOCCALINI: «Disposizioni per la celebrazione del pensiero e dell'opera di Guglielmo Marconi nel periodo compreso tra l'anno 2022, ottantacinquesimo anniversario della morte, e l'anno 2024, centocinquantesimo anniversario della nascita» (740);

   PELLA: «Disposizioni per la prevenzione e la cura dell'obesità» (741);

   DE MONTE ed altri: «Ratifica ed esecuzione della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie, fatta a Strasburgo il 5 novembre 1992» (742).

  In data 29 dicembre 2022 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:

   BICCHIELLI: «Modifica all'articolo 3 della legge 25 marzo 1993, n. 81, in materia di sottoscrizioni per la presentazione delle liste di candidati al consiglio comunale e delle collegate candidature alla carica di sindaco» (743);

   BICCHIELLI: «Disposizioni per la prevenzione delle discriminazioni e la tutela dei diritti delle persone che sono state affette da malattie oncologiche» (744);

   ENRICO COSTA: «Modifica all'articolo 159 del codice penale in materia di sospensione del corso della prescrizione» (745);

   CARLONI ed altri: «Disposizioni in materia di denominazione dei prodotti alimentari contenenti proteine vegetali» (746);

   PIERRO ed altri: «Interventi per il settore ittico e in materia di politiche sociali nel settore della pesca professionale. Delega al Governo per il riordino e la semplificazione normativa nel medesimo settore» (747).

  Saranno stampate e distribuite.

Annunzio di proposte
di inchiesta parlamentare.

  In data 29 dicembre 2022 è stata presentata alla Presidenza la seguente proposta di inchiesta parlamentare d'iniziativa del deputato:

   PELLA: «Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla situazione economica, sociale, ambientale e culturale dei piccoli comuni, dei comuni montani e delle aree interne» (Doc. XXII, n. 13).

  Sarà stampata e distribuita.

Adesione di deputati a proposte di legge.

  La proposta di legge BRUZZONE ed altri: «Modifiche alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, in materia di revisione dei piani faunistico-venatori regionali, di valutazione di incidenza ambientale e di controllo della fauna selvatica» (136) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Davide Bergamini e Carloni.

  La proposta di legge CATTOI ed altri: «Norme per la valorizzazione della castanicoltura da legno, delle filiere derivate di prodotti non legnosi e delle attività culturali collegate alla presenza storica del castagno sul territorio» (170) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Davide Bergamini, Bruzzone, Carloni e Pierro.

  La proposta di legge CIABURRO ed altri: «Delega al Governo per il riordino, la semplificazione e l'armonizzazione della normativa in materia di transumanza, alpeggi e pascoli» (539) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Cerreto e Longi.

Assegnazione di progetti di legge
a Commissioni in sede referente.

  A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:

   I Commissione (Affari costituzionali):

  PROPOSTA DI LEGGE COSTITUZIONALE GIACHETTI: «Modifiche all'articolo 87 e al titolo IV della parte II della Costituzione in materia di separazione delle carriere giudicante e requirente della magistratura» (434) Parere della II Commissione (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento);

  VACCARI: «Modifiche al decreto-legge 28 dicembre 2013, n. 149, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 13, in materia di statuti, trasparenza e finanziamento dei partiti politici, nonché delega al Governo per l'adozione di un testo unico delle disposizioni concernenti i partiti e i movimenti politici» (533) Parere delle Commissioni II, V e VI;

  RAMPELLI ed altri: «Legge quadro sull'ordinamento della polizia locale» (600) Parere delle Commissioni II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), III, IV, V, VI, VII, VIII, IX, X, XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale), XII e XIII.

   II Commissione (Giustizia):

  SCUTELLÀ ed altri: «Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione territoriale degli uffici giudiziari» (553) Parere delle Commissioni I e V.

   V Commissione (Bilancio e Tesoro):

  BONAFÈ ed altri: «Disposizioni per il rilancio economico, occupazionale, sociale, ambientale, infrastrutturale e culturale dell'area di Piombino e riduzione delle tariffe per la fornitura di energia elettrica e di gas naturale in favore degli utenti domestici e delle imprese del territorio» (477) Parere delle Commissioni I, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, VIII, IX, X, XI, XIII e XIV.

   VII Commissione (Cultura):

  CENTEMERO ed altri: «Introduzione dell'insegnamento dell'educazione finanziaria nella scuola primaria e secondaria» (363) Parere delle Commissioni I, V, VI e XI;

  RAMPELLI ed altri: «Abrogazione della legge 2 agosto 1999, n. 264, recante norme in materia di accessi ai corsi universitari» (669) Parere delle Commissioni I, II, V, XII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento) e XIV.

   VIII Commissione (Ambiente):

  ANDREUZZA ed altri: «Disposizioni e delega al Governo per la salvaguardia di Venezia e della sua laguna» (168) Parere delle Commissioni I, II, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, IX, X, XI, XIII e XIV;

  ORRICO: «Interventi per la tutela, il risanamento ambientale e la rigenerazione urbana, sociale ed economica del centro storico della città di Cosenza» (394) Parere delle Commissioni I, II, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, X, XI, XII e XIV.

   XII Commissione (Affari sociali):

  LAZZARINI ed altri: «Disposizioni per la diagnosi e la cura dell'endometriosi nonché per la tutela dei diritti delle donne affette da tale malattia» (213) Parere delle Commissioni I, II, V, VII e XI;

  CASU ed altri: «Disposizioni per il contrasto delle forme di dipendenza dal gioco d'azzardo lecito mediante l'applicazione delle tecniche di “spinta gentile”» (348) Parere delle Commissioni I, V, VI e XIV.

   XIII Commissione (Agricoltura):

  CATTOI ed altri: «Norme per la valorizzazione della castanicoltura da legno, delle filiere derivate di prodotti non legnosi e delle attività culturali collegate alla presenza storica del castagno sul territorio» (170) Parere delle Commissioni I, V, VII, VIII, X, XI e XIV.

   Commissioni riunite VII (Cultura) e IX (Trasporti):

  MACCANTI ed altri: «Disposizioni per il contrasto dell'illecita trasmissione o diffusione in diretta e della fruizione illegale di contenuti tutelati dal diritto d'autore e dai diritti connessi» (217) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, VI, X e XIV.

   Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività produttive):

  ORRICO ed altri: «Disposizioni per l'individuazione, il risanamento e la riqualificazione delle aree industriali dismesse e dei siti produttivi abbandonati» (397) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, IX, XII e XIV.

Trasmissione dalla Corte dei conti.

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 23 dicembre 2022, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria del Fondo agenti spedizionieri e corrieri (FASC), per l'esercizio 2021, cui sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 33).

  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla XI Commissione (Lavoro).

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 23 dicembre 2022, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa (INDIRE), per l'esercizio 2020, cui sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 34).

  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla VII Commissione (Cultura).

  Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 28 dicembre 2022, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Automobile Club d'Italia (ACI) e degli Automobile Club federati, per l'esercizio 2020, cui sono allegati i documenti rimessi dagli enti ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 35).

  Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla IX Commissione (Trasporti).

  Il Presidente della Corte dei conti, con lettera in data 27 dicembre 2022, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 5, comma 3, del regolamento per l'organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, la deliberazione n. 43/2022, adottata dalle Sezioni riunite in sede di controllo nell'adunanza del 20 dicembre 2022, concernente la programmazione dei controlli e delle analisi della Corte dei conti per l'anno 2023.

  Questo documento è trasmesso alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla V Commissione (Bilancio).

Trasmissione dal Ministero
del lavoro e delle politiche sociali.

  Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha trasmesso decreti ministeriali recanti variazioni di bilancio tra capitoli dello stato di previsione del medesimo Ministero, autorizzate, in data 12 maggio, 28 luglio, 30 settembre e 12 dicembre 2022, ai fini della ripartizione del fondo per provvedere ad eventuali sopravvenute maggiori esigenze di spese per acquisto di beni e servizi, ai sensi dell'articolo 23, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289.

  Questo decreto è trasmesso alla V Commissione (Bilancio), alla XI Commissione (Lavoro) e alla XII Commissione (Affari sociali).

  Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha trasmesso un decreto ministeriale recante variazioni di bilancio tra capitoli dello stato di previsione del medesimo Ministero, autorizzate, in data 28 luglio 2022, ai sensi dell'articolo 33, comma 4-quinquies, della legge 31 dicembre 2009, n. 196.

  Questo decreto è trasmesso alla V Commissione (Bilancio), alla XI Commissione (Lavoro) e alla XII Commissione (Affari sociali).

  Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha trasmesso un decreto ministeriale recante variazioni di bilancio tra capitoli dello stato di previsione del medesimo Ministero, di pertinenza della Direzione generale degli ammortizzatori sociali e della Direzione generale delle politiche attive per il lavoro, autorizzate, in data 29 novembre 2022, ai sensi dell'articolo 33, comma 4-quinquies, della legge 31 dicembre 2009, n. 196.

  Questo decreto è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla XI Commissione (Lavoro).

Trasmissione dal Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste.

  Il Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste ha trasmesso un decreto ministeriale recante variazioni di bilancio tra capitoli dello stato di previsione del medesimo Ministero, autorizzate, in data 14 dicembre 2022, ai fini della ripartizione del fondo per provvedere ad eventuali sopravvenute maggiori esigenze di spese per acquisto di beni e servizi, ai sensi dell'articolo 23, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289.

  Questo decreto è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla XIII Commissione (Agricoltura).

  Il Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste ha trasmesso un decreto ministeriale recante una variazione di bilancio tra capitoli dello stato di previsione del medesimo Ministero, autorizzata, in data 16 dicembre 2022, ai sensi dell'articolo 33, comma 4-quinquies, della legge 31 dicembre 2009, n. 196.

  Questo decreto è trasmesso alla V Commissione (Bilancio) e alla XIII Commissione (Agricoltura).

Trasmissione dal Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri.

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 13, 20, 22 e 23 dicembre 2022, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 4 e 5, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, le seguenti relazioni concernenti progetti di atti dell'Unione europea, che sono trasmesse alle sottoindicate Commissioni:

   Relazione in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che vieta i prodotti ottenuti con il lavoro forzato sul mercato dell'Unione (COM(2022) 453 final) – alla X Commissione (Attività produttive) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea);

   Relazione in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2009/148/CE sulla protezione dei lavoratori contro i rischi connessi con un'esposizione all'amianto durante il lavoro (COM(2022) 489 final), accompagnata dalla tabella di corrispondenza tra le disposizioni della proposta e le norme nazionali vigenti – alla XI Commissione (Lavoro), alla XII Commissione (Affari sociali) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea);

   Relazione in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla raccolta e alla condivisione dei dati riguardanti i servizi di locazione di alloggi a breve termine e che modifica il regolamento (UE) 2018/1724 (COM(2022) 571 final), accompagnata dalla tabella di corrispondenza tra le disposizioni della proposta e le norme nazionali vigenti – alla X Commissione (Attività produttive) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea);

   Relazione in merito alla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al non riconoscimento dei documenti di viaggio russi rilasciati nelle regioni straniere occupate (COM(2022) 662 final) – alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Annunzio di progetti
di atti dell'Unione europea.

  La Corte dei conti europea, in data 14 novembre 2022, ha comunicato la pubblicazione della relazione della Corte dei conti europea sulla performance del bilancio dell'Unione europea – Situazione alla fine del 2021, che è assegnata, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla V Commissione (Bilancio), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

Trasmissione di documenti connessi
ad atti dell'Unione europea.

  Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 23 dicembre 2022, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 4, commi 3 e 6, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, le relazioni predisposte dalla Rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea, riferite al periodo dal 15 al 21 dicembre 2022.

  Questi documenti sono trasmessi alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) e alle Commissioni individuate nella tabella allegata.

Trasmissione dall'Autorità garante
della concorrenza e del mercato.

  Il Presidente dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, con lettera pervenuta in data 23 dicembre 2022, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 21 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, una segnalazione relativa alle criticità concorrenziali nell'attuazione, da parte di alcune regioni, della deliberazione dell'Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente del 3 agosto 2021, n. 363/2021/R/RIF, recante approvazione del metodo tariffario rifiuti (MTR-2) per il secondo periodo regolatorio 2022/2025, con particolare riferimento all'individuazione degli impianti di chiusura del ciclo minimi.

  Questo documento è trasmesso alla VIII Commissione (Ambiente).

Comunicazione di nomine ministeriali.

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 20 dicembre 2022, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 19, comma 9, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la comunicazione concernente il conferimento, alla dottoressa Luciana Volta, ai sensi del comma 4 del medesimo articolo 19, dell'incarico di livello dirigenziale generale di direttore dell'Ufficio scolastico regionale per la Lombardia, nell'ambito del Ministero dell'istruzione e del merito.

  Questa comunicazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla VII Commissione (Cultura).

  La Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 23 dicembre 2022, ha trasmesso la comunicazione concernente la revoca dell'incarico di livello dirigenziale generale, conferito al dottor Giovanni Spalletta, di direttore della Direzione legislazione tributaria e federalismo fiscale, nell'ambito del Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze.

  Questa comunicazione è trasmessa alla I Commissione (Affari costituzionali) e alla VI Commissione (Finanze).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.

DISEGNO DI LEGGE: S. 274 – CONVERSIONE IN LEGGE, CON MODIFICAZIONI, DEL DECRETO-LEGGE 31 OTTOBRE 2022, N. 162, RECANTE MISURE URGENTI IN MATERIA DI DIVIETO DI CONCESSIONE DEI BENEFICI PENITENZIARI NEI CONFRONTI DEI DETENUTI O INTERNATI CHE NON COLLABORANO CON LA GIUSTIZIA, NONCHÉ IN MATERIA DI ENTRATA IN VIGORE DEL DECRETO LEGISLATIVO 10 OTTOBRE 2022, N. 150, DI OBBLIGHI DI VACCINAZIONE ANTI SARS-COV-2 E DI PREVENZIONE E CONTRASTO DEI RADUNI ILLEGALI (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 705)

A.C. 705 – Ordini del giorno

ORDINI DEL GIORNO

   La Camera,

   premesso che:

    in sede di conversione del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, recante misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali, è emerso con drammaticità, durante il dibattito in Commissione, lo stato precario degli istituti penitenziari divenuti luoghi di isolamento e disperazione, sia per i detenuti che per gli agenti di custodia;

    da oltre due anni circa settecento persone, formalmente ancora detenute, sommano una licenza straordinaria alla ordinaria semilibertà, non facendo rientro in carcere neanche per dormire. È questo l'effetto di una misura anti-Covid che ha consentito di alleggerire le presenze in carcere, di mettere a disposizione camere detentive per la prevenzione della diffusione del virus e di evitare che il loro rientro notturno in carcere potesse essere esso stesso fonte di contagio per il resto della comunità penitenziaria;

    in questi 2 anni hanno svolto un lavoro o un'attività esterna, seguiti dal servizio sociale del Ministero della giustizia, e si sono trovati un alloggio esterno;

    il 31 dicembre 2022, tuttavia, queste settecento persone potrebbero essere costrette a rientrare a dormire in carcere, essendo in scadenza la normativa anti-Covid;

    ignorare tuttavia il percorso personale svolto in questi due anni sarebbe in contrasto anche con l'articolo 27 della Costituzione:

    si tratta infatti di condannati che per due anni e mezzo hanno goduto di una licenza straordinaria che gli consentiva di dormire a casa o in strutture di accoglienza – lasciando liberi spazi nelle carceri nella pandemia – persone che hanno osservato le prescrizioni impartitegli dal giudice di sorveglianza e che hanno mostrato oltre ogni ragionevole dubbio il loro positivo reinserimento nella società;

    il loro rientro in carcere dal primo di gennaio costringerà inoltre l'Amministrazione penitenziaria a liberare gli spazi da loro precedentemente occupati e ora destinati ad altre funzioni, a fronte di un irrisolto problema di sovraffollamento;

    se la pena deve tendere alla rieducazione del condannato, se la rieducazione deve essere laicamente intesa nel senso del suo reinserimento in condizioni di autonomia e di legalità nel contesto sociale, non è ammissibile una regressione di fatto nel trattamento penitenziario;

    il principio della progressività del trattamento penitenziario impone che non vi sia una «retrocessione» immotivata nel percorso rieducativo;

    il Portavoce della Conferenza dei garanti territoriali delle persone private della libertà, Stefano Anastasia, ha espresso l'auspicio di tutti i garanti «che il Governo assuma una propria, decisiva iniziativa per impedire il rientro in carcere delle centinaia di persone in regime di semilibertà»;

    anche l'associazione Antigone ha lanciato un appello al Governo e al Parlamento per chiedere la proroga di questa misura,

impegna il Governo

a prorogare, con successivi interventi di natura normativa, le misure introdotte dalla normativa anti-Covid per circa settecento persone in regime di semilibertà che negli ultimi due anni hanno goduto di una licenza straordinaria, al fine di proseguire il proficuo percorso rieducativo in linea con l'articolo 27 della Costituzione.
9/705/1. Dori, Bonelli, Borrelli, Evi, Ghirra, Grimaldi, Fratoianni, Mari, Piccolotti, Zanella, Zaratti.


   La Camera,

   premesso che:

    in sede di conversione del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, recante misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefìci penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali, è emerso con evidenza, durante il dibattito in Commissione Giustizia, la volontà di punire in maniera indiscriminata le manifestazioni di libertà;

    l'articolo 5, come modificato nel corso dell'esame da parte del Senato, introduce nel codice penale, all'articolo 633-bis, il nuovo delitto di «Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», in base al quale è punito, con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000:

    il nuovo reato sui «raduni pericolosi», introdotto con un decreto-legge, e presentato come un'iniziativa per contrastare i rave party, ha sollevato numerosi dubbi di costituzionalità da parte dei costituzionalisti;

    una misura così fortemente repressiva rischia di incentivare l'organizzazione di eventi più nascosti e irraggiungibili, e quindi molto più difficili da gestire attraverso gli interventi di riduzione del danno e tutela della salute pubblica e di contenimento di eventuali casi critici tra i partecipanti;

    la normativa relativa all'occupazione di suolo o edifici è già presente nel nostro ordinamento e richiede che il proprietario dello stabile o del luogo presenti una denuncia per l'eventuale sgombero;

    va considerato, inoltre, che l'ultimo rave di grandi dimensioni, che si è tenuto a Modena nel 2022, non ha comportato problemi di ordine pubblico, e si è risolto grazie alle norme vigenti com'è verificabile dalle tante fonti che lo documentano. Lo sgombero è avvenuto in forma pacifica e negoziata tra le forze dell'ordine, gli organizzatori e il coinvolgimento attivo degli stessi partecipanti;

    il fenomeno non pare così diffuso né desta particolare preoccupazione da parte dell'opinione pubblica;

    ogni anno a Predappio, cittadina sulle colline romagnole che ha dato i natali a Benito Mussolini, si svolge un raduno a cui partecipano centinaia di persone;

    come riportato dai mezzi di stampa, nell'ultimo raduno che si è svolto il 30 ottobre scorso, prima della partenza del corteo qualcuno dei manifestanti ha teso il braccio per fare il saluto romano. A un certo punto il gruppo ha intonato «Faccetta nera»;

    non solo adulti con le camicie nere, ma anche bambini vestiti di nero, con fez in testa, hanno partecipato al corteo con i genitori, nella commemorazione della Marcia su Roma organizzata. Il corteo si è diretto verso la cripta del Duce. Scandito per tre volte il grido «per sua eccellenza Benito Mussolini», con la risposta dei camerati. Poi l'inno italiano e «Allarmi siam fascisti»;

    quello di Predappio non è l'unico raduno ispirato al fascismo;

    da anni, sul lago di Como, in prossimità dell'anniversario della Liberazione e del giorno in cui fu eseguita la condanna a morte di Mussolini e dei gerarchi su sentenza del Comitato di liberazione (Clnai), in località Giulino di Mezzegra a Dongo, si radunano in forma organizzata centinaia di militanti dell'estrema destra per commemorare con riti e cortei l'esecuzione del Duce. Il raduno si svolge a Dongo e a Giulino di Mezzegra perché sono i luoghi simbolo della fine del fascismo e i comportamenti dei partecipanti esprimono senza equivoci la volontà di propaganda del fascismo,

impegna il Governo:

   a valutare gli effetti applicativi delle norme richiamate in premessa al fine di prevedere, in un prossimo provvedimento legislativo, la modifica dell'articolo 633-bis del codice penale al fine di sanzionare chiunque organizzi o promuova raduni aventi scopo di pubblica esaltazione di esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, con conseguente abrogazione delle sanzioni per chi organizza o promuove raduni aventi scopo di intrattenimento;

   a dare rapida attuazione allo sgombero dell'immobile di proprietà del demanio in Via Napoleone III a Roma occupato da anni dall'associazione neofascista Casapound.
9/705/2. Bonelli, Dori, Borrelli, Evi, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zanella, Zaratti, Boldrini.


   La Camera,

   premesso che:

    in sede di conversione del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, recante «Misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-COV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali», è emerso con evidenza, durante il dibattito in commissione Giustizia, la volontà di reprimere e colpire alcune manifestazioni culturali giovanili che, come i free party o rave party, travalicano il confine della legalità formale per dare vita ad eventi musicali aperti a tutti e completamente gratuiti in spazi abbandonati o in disuso;

    l'articolo 5, come modificato nel corso dell'esame da parte del Senato, introduce nel codice penale, all'articolo 633-bis, il nuovo delitto di «Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», in base al quale è punito, con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000;

    il nuovo reato sui «raduni pericolosi», introdotto con un decreto-legge, ha sollevato numerosi dubbi di costituzionalità da parte di molti studiosi del diritto costituzionale;

    tra gli elementi evidenziati vi è quello dell'entità della pena per colui che viene condannato per le condotte di cui al nuovo articolo 633-bis, che appare del tutto sproporzionata rispetto ad altri reati;

    inoltre è utile ricordare che l'articolo 17 della Costituzione non prevede eccezioni per gli eventi musicali quando stabilisce il diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi, esplicitando che «Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica». Con il termine «comprovati» la Costituzione indica chiaramente la necessità che i pericoli derivanti dalle riunioni in luogo pubblico non siano semplicemente «presunti», ma inerenti concretamente la tutela di beni fondamentali come la vita o come la salute;

    è evidente anche che non vi siano ragioni né tantomeno emergenze di nessun tipo per una decretazione d'urgenza anti-rave, essendo ben altre sono le emergenze ed essendo ridotto a poche unità il numero degli eventi di questo tipo di cui c'è stata notizia in Italia nell'anno in corso;

    molte organizzazioni della società civile impegnate per un cambio delle politiche sulle droghe e nella lotta a ogni forma di discriminazione delle persone che fanno uso di droghe, hanno espresso una forte preoccupazione per le gravi conseguenze che determinerebbe la conversione in legge dell'attuale decreto, in riferimento all'articolo 633-bis del codice penale, sulla convivenza sociale, sui processi di stigmatizzazione dei giovani e delle loro espressioni culturali nel nostro Paese. Tale articolato infatti intende chiaramente criminalizzare eventi musicali come i rave, definendoli pericolosi per la salute e l'incolumità pubblica;

    riteniamo gravi e infondate le motivazioni poste alla base di un tale provvedimento di legge: non si ravvisano infatti i necessari presupposti di pericolosità dei rave e degli eventi di pubblico spettacolo per la sicurezza e la salute pubblica/con l'aggravamento di seri rischi di incostituzionalità anche perché la normativa relativa all'occupazione di suolo o edifici pubblici è già presente nel nostro ordinamento e richiede che il proprietario dello stabile o del luogo presenti una denuncia per l'eventuale sgombero;

    si ravvisa inoltre il rischio che tale provvedimento, una volta convertito, possa provocare l'aggravarsi del sovraffollamento delle carceri e degli stigmi e pregiudizi nei confronti delle persone che assumono droghe, oltre all'effetto paradossale di ricacciare sempre più nel sommerso i diversi contesti del consumo di sostanze illegali rendendo ancora più difficile garantire la tutela della salute pubblica e incrementando i costi umani ed economici per la collettività;

    da tempo denunciamo come la legge penale attuale sulle droghe abbia riempito per un terzo le carceri italiane di persone che dovrebbero seguire percorsi di cura ed inclusione sociale. Per questo di fronte ai fallimenti del modello repressivo, penale e proibizionista è necessario perseguire strategie alternative, rilevatesi più efficaci e che mirano a regolare socialmente il fenomeno, così come sta avvenendo in diversi Paesi nel mondo e come suggeriscono le conclusioni della VI Conferenza Nazionale delle Dipendenze svoltasi a Genova il 27 e 28 novembre 2021, organizzata dal Dipartimento per le politiche anti-droga della Presidenza del Consiglio dei ministri;

impegna il Governo:

   a valutare gli effetti applicativi delle norme richiamate in premessa, al fine di prevedere, anche con successivi interventi di natura normativa, una consistente riduzione della pena prevista per il nuovo reato di «Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica»;

   a promuovere una nuova strategia nel settore delle politiche giovanili e culturali fondata sul protagonismo giovanile, favorendo l'individuazione da parte dei Comuni e degli Enti Locali di aree e strumenti che facilitino, sburocratizzino e rendano economicamente sostenibile l'organizzazione, da parte di associazioni e gruppi informali giovanili, di eventi musicali gratuiti e senza scopo di lucro;

   ad accrescere i finanziamenti per l'implementazione dei servizi di «Riduzione del Danno e Limitazione dei Rischi» a livello nazionale, prevista dai LEA, e ad adottare la strategia di riduzione del danno per gestire e rendere sicuri, sia sul piano della salute che su quello della gestione di eventuali situazioni critiche, i contesti nei quali si svolgono gli eventi, dai rave, alle feste legali, alle realtà del divertimento cittadine;

   a dare seguito con atti normativi e scelte di bilancio a quanto emerso dal dibattito e registrato agli atti della VI Conferenza Nazionale delle Dipendenze svoltasi a Genova il 27 e 28 novembre 2021 organizzata dalla Presidenza del Consiglio - Dipartimento per le politiche anti-droga.
9/705/3. Piccolotti, Dori, Bonelli, Borrelli, Evi, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Mari, Zanella, Zaratti.


   La Camera,

   premesso che:

    in sede di conversione del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, recante misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-COV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali, è emerso con evidenza, durante il dibattito in commissione Giustizia, la volontà di punire in maniera indiscriminata le manifestazioni di libertà;

    l'articolo 5, come modificato nel corso dell'esame da parte del Senato, introduce nel codice penale, all'articolo 633-bis, il nuovo delitto di «Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», in base al quale è punito, con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000;

    il nuovo reato sui «raduni pericolosi», introdotto con un decreto-legge, e presentato come un'iniziativa per contrastare i «Rave party», ha sollevato numerosi dubbi di costituzionalità;

    una misura così fortemente repressiva rischia di incentivare l'organizzazione di eventi più nascosti e Irraggiungibili, e quindi molto più difficili da gestire attraverso gli interventi di riduzione del danno e tutela della salute pubblica e di contenimento di eventuali casi critici tra i partecipanti;

    è inoltre indubbio il valore simbolico che assume l'articolo 5 e il rilancio di una strategia esclusivamente repressivo verso il consumo di sostanze stupefacenti;

    il modello repressivo ha la naturale conseguenza di spingere sempre più nel sommerso i diversi contesti del consumo di sostanze illegali, rendendo ancora più difficile garantire la tutela della salute pubblica, incrementando i costi umani ed economici per la collettività e favorire sempre più il predominio illegale delle mafie;

    il modello repressivo ha come effetto di determinare che oltre un terzo della popolazione carceraria è detenuta per reati inerenti sostanze stupefacenti;

    a fronte dei fallimenti del modello repressivo e penale è necessario adottare strategie alternative più efficaci, che mirano a governare e a regolare socialmente il fenomeno;

impegna il Governo:

a promuovere un intervento normativo diretto ad adottare strategie alternative più efficaci verso l'uso delle sostanze stupefacenti, a partire dalla legalizzazione della cannabis, dirette a governare e a regolare socialmente il fenomeno.
9/705/4. Grimaldi, Dori, Bonelli, Borrelli, Evi, Fratoianni, Ghirra, Mari, Piccolotti, Zanella, Zaratti.


   La Camera,

   premesso che:

    in sede di conversione del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, recante misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefìci penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali, è emerso con evidenza, durante il dibattito in Commissione Giustizia, la volontà di punire in maniera indiscriminata le manifestazioni di libertà;

    l'articolo 5, come modificato nel corso dell'esame da parte del Senato, introduce nel codice penale, all'articolo 633-bis, il nuovo delitto di «Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», in base al quale è punito, con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000;

    il nuovo reato sui «raduni pericolosi», introdotto con un decreto-legge, e presentato come un'iniziativa per contrastare i rave party, ha sollevato numerosi dubbi di costituzionalità da parte dei costituzionalisti;

    una misura così fortemente repressiva rischia di incentivare l'organizzazione di eventi più nascosti e irraggiungibili, e quindi molto più difficili da gestire attraverso gli interventi di riduzione del danno e tutela della salute pubblica e di contenimento di eventuali casi critici tra i partecipanti;

    la normativa relativa all'occupazione di suolo o edifici è già presente nel nostro ordinamento e richiede che il proprietario dello stabile o del luogo presenti una denuncia per l'eventuale sgombero;

    va considerato, inoltre, che, gli ultimi due rave di grandi dimensioni, tenuti a Valentano nel 2021 e a Modena nel 2022, non hanno comportato problemi di ordine pubblico, come è verificabile dalle tante fonti che li documentano. In entrambi i casi lo sgombero è avvenuto in forma pacifica e negoziata tra le forze dell'ordine, gli organizzatori, il coinvolgimento attivo degli stessi partecipanti;

    il fenomeno non pare così diffuso né desta particolare preoccupazione da parte dell'opinione pubblica,

impegna il Governo

a predisporre un report ogni due anni sulla diffusione in Italia del fenomeno dei rave party.
9/705/5. Evi, Dori, Bonelli, Borrelli, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zanella, Zaratti.


   La Camera,

   premesso che:

    in sede di conversione del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, recante misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefìci penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali, è emerso con evidenza, durante il dibattito in Commissione Giustizia, la volontà di punire in maniera indiscriminata le manifestazioni di libertà;

    l'articolo 5, come modificato nel corso dell'esame da parte del Senato, introduce nel codice penale, all'articolo 633-bis, il nuovo delitto di «invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», in base al quale è punito, con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000;

    il nuovo reato sui «raduni pericolosi», introdotto con un decreto-legge, e presentato come un'iniziativa per contrastare i rave party, ha sollevato numerosi dubbi di costituzionalità da parte dei costituzionalisti;

    una misura così fortemente repressiva rischia di incentivare l'organizzazione di eventi più nascosti e irraggiungibili, e quindi molto più difficili da gestire attraverso gli interventi di riduzione del danno e tutela della salute pubblica e di contenimento di eventuali casi critici tra i partecipanti;

    la normativa relativa all'occupazione di suolo o edifici è già presente nel nostro ordinamento e richiede che il proprietario dello stabile o del luogo presenti una denuncia per l'eventuale sgombero;

    va considerato, inoltre, che, gli ultimi due rave di grandi dimensioni, tenuti a Valentano nel 2021 e a Modena nel 2022, non hanno comportato problemi di ordine pubblico, come è verificabile dalle tante fonti che li documentano. In entrambi i casi lo sgombero è avvenuto in forma pacifica e negoziata tra le forze dell'ordine, gli organizzatori, il coinvolgimento attivo degli stessi partecipanti;

    il fenomeno non pare così diffuso né desta particolare preoccupazione da parte dell'opinione pubblica,

impegna il Governo

a predisporre un report annuale sulla diffusione in Italia del fenomeno dei rave party.
9/705/6. Ghirra, Dori, Bonelli, Borrelli, Evi, Fratoianni, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zanella, Zaratti.


   La Camera,

   premesso che:

    in sede di conversione del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, recante misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefìci penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali, è emerso con evidenza, durante il dibattito in Commissione Giustizia, la volontà di punire in maniera indiscriminata le manifestazioni di libertà;

    l'articolo 5, come modificato nel corso dell'esame da parte del Senato, introduce nel codice penale, all'articolo 633-bis, il nuovo delitto di «invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», in base al quale è punito, con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000;

    nel decreto, il reato è descritto come «l'invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l'ordine pubblico o l'incolumità pubblica o la salute pubblica»;

    con il nuovo reato, come sostengo molti costituzionalisti potrà essere sgomberata qualunque occupazione non autorizzata, pure quella del liceo, di una casa, di uno stabile, se l'autorità reputa ex ante, in modo discrezionale, che potrebbe risultare pericolosa;

    sono invece migliaia le abitazioni occupate abusivamente in Italia, di cui diverse ubicate a Napoli e provincia dove sono i clan affiliati alla camorra a gestire impunemente le occupazioni abusive a danno dei più deboli o dei reali assegnatari. Il caso più eclatante resta quello di un palazzo del cinquecento in via Egiziaca 35 a Pizzofalcone; dove a «controllare» l'edificio, cioè a gestire l'assegnazione abusiva degli appartamenti, sarebbero, in questo caso, famiglie che fanno capo a diversi clan della zona alcuni dei quali sgomberati solo grazie a recenti denunce dopo anni di permanenza e affari illeciti;

    purtroppo, a Napoli come in altre zone del Paese, altro fenomeno criminale gestito sempre prevalentemente dalla camorra e dalla criminalità organizzata sono i parcheggiatori abusivi, che non si fermano nemmeno con denunce e «daspo urbani», ovvero i divieti d'accesso alla città che scattano davanti a comportamenti illegali reiterati, fino a configurarne il reato di estorsione, come chiarito dalla seconda sezione penale della Corte di cassazione con la sentenza n. 30365 del 2018. Però ogni volta che le forze dell'ordine li bloccano e li identificano non possono far altro che aggiungere denuncia su denuncia, sanzione su sanzione così come previsto dall'articolo 7, comma 15-bis «Nuovo codice della strada»,

impegna il Governo:

   a valutare gli effetti applicativi delle norme richiamate in premessa al fine di prevedere, anche in un prossimo provvedimento normativo, la modifica dell'articolo 633-bis del codice penale al fine di sanzionare e punire con l'arresto immediato chiunque organizzi o gestisca sia occupazioni abusive di immobili per conto dei clan di mafia e camorra che parcheggi abusivi estorcendo con minacce e violenza i soldi ai cittadini;

   a mettere in atto urgentemente tutte le procedure, d'intesa con i prefetti e i questori, affinché sia riportata la legalità sui territori e siano tutelati i cittadini che fanno denuncia.
9/705/7. Borrelli, Bonelli, Dori, Evi, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zanella, Zaratti.


   La Camera,

   premesso che:

    in sede di conversione del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, recante misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali, è emerso con evidenza, durante il dibattito in Commissione Giustizia, la volontà di punire in maniera indiscriminata le manifestazioni di libertà;

    l'articolo 5, come modificato nel corso dell'esame da parte del Senato, introduce nel codice penale, all'articolo 633-bis, il nuovo delitto di «invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», in base al quale è punito, con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000;

    il nuovo reato sui «raduni pericolosi», introdotto con un decreto-legge, e presentato come un'iniziativa per contrastare i rave party, ha sollevato numerosi dubbi di costituzionalità da parte dei costituzionalisti;

    la nuova fattispecie punisce «chiunque organizza o promuove l'invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di realizzare un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento»;

    l'espressione «musicale o avente altro scopo di intrattenimento» è stata introdotta durante la prima lettura al Senato, con lo scopo di circoscrivere la fattispecie;

    la musica è una forma d'arte e ha certamente anche uno scopo di intrattenimento;

    l'espressione «scopo di intrattenimento», quindi, include già anche la manifestazioni musicali di qualsiasi forma;

    la nostra Costituzione, all'articolo 33, afferma che «l'arte e la scienza sono libere»;

    pertanto la musica non può mai avere in sé un'accezione negativa,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa al fine di prevedere, con successivi interventi di natura normativa, l'eliminazione dell'espressione «musicale» dalla nuova fattispecie penale, perché in contrasto con la Costituzione italiana.
9/705/8. Mari, Dori, Bonelli, Borrelli, Evi, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Piccolotti, Zanella, Zaratti, Fornaro.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 5 del provvedimento in esame, recante «Nome in materia di occupazioni abusive e organizzazione di raduni illegali», come modificato nel corso dell'esame da parte del Senato, introduce nel codice penale, all'articolo 633-bis, il nuovo delitto di «invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», in base al quale è punito, con la pena della reclusione da tre a sei anni e con multa da euro 1.000 a euro 10.000, chiunque organizzi o promuova l'invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di realizzare raduni musicali o aventi altro scopo di intrattenimento;

    in data 1° novembre 2022, il Ministro dell'interno Piantedosi ha dichiarato, in un'intervista al Corriere della Sera, che la finalità della norma in oggetto sarebbe quella di «allineare» l'Italia «alla legislazione degli altri Paesi europei»;

    a seguito di verifiche e approfondimenti compiuti sulle legislazioni penali in materia dei principali Paesi europei, risulta, al contrario di quanto affermato dal Ministro Piantedosi, che in nessun caso siano previste pene altrettanto severe di quelle introdotte dall'articolo 5 del provvedimento in esame e che, nei Paesi in cui l'ordinamento penale include specifiche norme dedicate ai rave party, queste rispondano con maggiore rigore al principio di tassatività, trattandosi di norme che individuano il fatto costituente reato con limpida precisione;

    nel caso dell'ordinamento francese sono in vigore norme specificamente dedicate a «raduni esclusivamente festivi a carattere musicale». In tale caso il Codice della sicurezza interna stabilisce che gli organizzatori di questi eventi debbano ricevere autorizzazione soltanto ove si preveda una presenza di un numero di partecipanti non inferiore a cinquecento, e che la domanda debba essere corredata da una dichiarazione che illustri le misure previste in tema di sicurezza, igiene e rispetto della quiete pubblica. Nel caso in cui le misure presentate siano ritenute insufficienti, le autorità possono chiedere ulteriori provvedimenti e imporre tutte le misure necessarie per il corretto svolgimento del raduno, tra cui l'attivazione di un servizio d'ordine o di un presidio sanitario. Le autorità, inoltre, possono impedire il raduno nel caso in cui le misure richieste non siano rispettate. Gli assembramenti possono essere sgomberati soltanto dopo aver informato i partecipanti della necessità di allontanarsi per almeno due volte, senza successo. Quanto alle eventuali sanzioni penali, l'ordinamento francese prevede che gli organizzatori che non abbiano presentato la documentazione richiesta siano puniti con una multa di euro 7.500 e con una pena detentiva non superiore a sei mesi;

    nel caso del Regno Unito, gli organizzatori di rave party, descritti come raduni di almeno venti persone durante i quali, durante la notte, viene riprodotta musica con volume tale da causare disagio ai residenti, possono essere puniti con una pena detentiva non superiore a tre mesi;

    sia nel caso della Francia, sia in quello del Regno Unito, a differenza di quanto previsto dall'ordinamento italiano, la pubblica accusa non è tenuta obbligatoriamente ad esercitare l'azione penale, ma, al contrario, ne valuta l'opportunità, e può discrezionalmente decidere di esercitarla o meno;

    né in Germania né in Spagna sono in vigore leggi nazionali volte a contrastare i rave party;

    la norma contenuta nell'articolo 5 del provvedimento in esame, in fine, risultando pericolosamente carente in termini di tassatività, nonostante le modifiche apportate in sede di esame da parte del Senato, nonché in termini di specificità nell'individuazione del fatto costituente reato, rischia di trovare applicazione anche in situazioni molto diverse da quelle per le quali è stata pensata, determinando, in ragione di una pena massima pari a sei anni di reclusione, anche casi di arresti massivi di migliaia di persone, finalizzati all'individuazione degli organizzatori di manifestazioni e raduni, che sarebbero propri più di uno Stato di polizia che di uno Stato di diritto quale l'Italia,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disposizione richiamata in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative volte a modificare la norma in esame, così da rendere la disciplina in materia di occupazioni abusive e organizzazione di raduni illegali in linea con le legislazioni vigenti nei principali Paesi europei, assicurando altresì una rigorosa osservanza del principio di tassatività e maggiore specificità nell'individuazione del fatto costituente reato.
9/705/9. Magi, Della Vedova, Pastorino.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 1 del provvedimento in esame dispone il superamento della presunzione assoluta di perdurante pericolosità sociale ostativa alla concessione di benefìci penitenziari in favore dei detenuti non collaboranti che siano stati condannati per specifici reati, particolarmente gravi, di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, trasformandola in relativa;

    il medesimo articolo, stabilisce, infatti, che i benefici penitenziari possano essere concessi anche in assenza di collaborazione della giustizia, sebbene in presenza di stringenti condizioni, diversificate a seconda dei reati che vengono in rilievo;

    l'articolo 2 del provvedimento in esame, intervenendo sulla disciplina in materia di liberazione condizionale, con riguardo alle condizioni di accesso all'istituto da parte dei condannati all'ergastolo per i cosiddetti reati ostativi, non collaboranti, estende l'applicazione dei nuovi criteri e delle condizioni individuate ai fini dell'accesso ai benefici penitenziari, di cui all'articolo 4-bis della legge, anche all'istituto della liberazione condizionale;

    con ordinanza n. 97 del 2021, la Corte costituzionale, oltre a sottolineare l'incompatibilità con la Costituzione delle norme che individuano nella collaborazione l'unica possibile strada a disposizione del condannato all'ergastolo per un reato ostativo per accedere alla liberazione condizionale, demandando altresì al legislatore il compito di operare scelte di politica criminale tali da garantire il rispetto del principio di rieducazione della pena affermato dall'articolo 27, terzo comma, della Costituzione, ha chiaramente specificato che la presunzione di pericolosità gravante sul condannato debba poter essere superata anche in base a fattori diversi dalla collaborazione che siano indicativi del percorso di risocializzazione dell'interessato;

    il provvedimento in esame, all'articolo 1, modificando l'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, si limita a stabilire che i detenuti e gli internati per delitti cosiddetti ostativi, ai fini dell'accesso ai benefici penitenziari, e quindi alla liberazione condizionale, debbano allegare all'istanza: «elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall'organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi», e che il giudice è tenuto ad accertare la sussistenza di iniziative dell'interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa;

    il provvedimento in esame, oltre a non fornire ai destinatari della norma in esame informazioni utili ai fini dell'accesso ai benefici penitenziari e alla liberazione condizionale, non individuando quali debbano essere gli elementi specifici che consentano di escludere l'attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, con il contesto, nonché il pericolo di un loro ripristino, non introduce disposizioni volte espressamente a favorire le condizioni affinché il detenuto partecipi con esito positivo al percorso rieducativo e di risocializzazione, in armonia con l'articolo 27 della Costituzione, né affinché siano messe in atto iniziative di giustizia riparativa, da parte dei condannati, a favore delle vittime,

impegna il Governo

ad individuare, nel prossimo provvedimento utile, specifici percorsi di giustizia riparativa destinati ai condannati per i reati di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, che coinvolgano figure di educatori, psicologi e assistenti sociali, tra i quali, a titolo esemplificativo, il dialogo riparativo e la mediazione tra la persona indicata come autore dell'offesa e la vittima del reato, ovvero tra la persona indicata come autore dell'offesa e la vittima di un reato diverso da quello per cui si procede, espressamente finalizzati all'accesso dei detenuti che vi partecipino con esito positivo ai benefici penitenziari e alla liberazione condizionale, nonché alla ricollocazione sociale del reo.
9/705/10. Della Vedova, Magi, Pastorino, Provenzano, Zaratti, Zanella.


   La Camera,

   premesso che:

    gli articoli da 1 a 3 del provvedimento in esame intervengono sul tema dell'accesso ai benefìci penitenziari e alla liberazione condizionale da parte di detenuti condannati per specifici reati, cosiddetti reati ostativi, di cui all'articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975, legge sull'ordinamento penitenziario;

    in particolare, l'articolo 1, tra l'altro, esclude dal novero dei reati ostativi i delitti contro la pubblica amministrazione ed estende il regime differenziato per l'accesso ai benefìci anche ai reati non ostativi, ma che siano caratterizzati da nesso teleologico con tali reati;

    l'articolo 2, inoltre, interviene sulla disciplina in materia di liberazione condizionale (comma 2 dell'articolo 2 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152);

    l'articolo 3, infine, prevede una disciplina transitoria da applicare ai condannati non collaboranti per reati «ostativi» commessi anteriormente all'entrata in vigore della riforma, con riguardo alle specifiche disposizioni che rendono più gravoso il regime di accesso ai benefici penitenziari e alla liberazione condizionale;

    di tutta evidenza, si tratta di un provvedimento che risponde ad un'esigenza da ricercarsi a livello costituzionale, e in particolare nel principio della finalità rieducativa della pena, contenuto nell'articolo 27, terzo comma, della Costituzione. Oggetto del provvedimento in esame è, quindi, l'ordinamento penitenziario nella sua finalità rieducativa, e, precisamente, le misure premiali pensate per riconoscere un eventuale impegno dei condannati;

    il decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, recante «Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19», all'articolo 28, in tema di misure premiali straordinarie per i detenuti in regime di semilibertà, ha stabilito che al condannato ammesso al regime di semilibertà possono essere concesse licenze con durata superiore a quella prevista dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, oggetto del provvedimento in esame, all'articolo 52;

    il comma 2 dell'articolo 28 del decreto-legge sopracitato, come modificato dal decreto-legge 24 dicembre 2021, n. 221, recante: «Proroga dello stato di emergenza nazionale e ulteriori misure per il contenimento della diffusione dell'epidemia da COVID-19», ha disposto che in ogni caso la durata delle licenze premio sarebbe terminata il 31 marzo 2022;

    in base ai dati forniti dal Ministero della giustizia, risulta che al 30 aprile 2022 i detenuti presenti nelle carceri italiane fossero 54.595, a fronte di una capienza regolamentare di 50.853 posti, con un tasso di sovraffollamento carcerario pari al 107,35 per cento: una situazione di sovraffollamento che rimane, quindi, a tutt'oggi molto preoccupante e che determina gravi violazioni dei diritti dei detenuti,

impegna il Governo

a stabilire, nel prossimo provvedimento utile, che le persone ammesse alla licenza speciale di cui all'articolo 28 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, che abbiano rispettato le prescrizioni impartite dal magistrato di sorveglianza per tutta la durata dei successivi rinnovi della misura, siano ammesse alla liberazione condizionale.
9/705/11. Pastorino, Magi, Della Vedova, Provenzano.


   La Camera,

   premesso che:

    in sede di conversione del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, recante misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefìci penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali, è emerso con evidenza, durante il dibattito in Commissione Giustizia, la volontà di punire in maniera indiscriminata le manifestazioni di libertà;

    l'articolo 5, come modificato nel corso dell'esame da parte del Senato, introduce nel codice penale, all'articolo 633-bis, il nuovo delitto di «Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», in base al quale è punito, con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000;

    il nuovo reato sui «raduni pericolosi», introdotto con un decreto-legge, e presentato come un'iniziativa per contrastare i rave party, ha sollevato numerosi dubbi di costituzionalità da parte dei costituzionalisti;

    è evidente anche che non vi siano ragioni né tantomeno emergenze di nessun tipo per una decretazione d'urgenza anti-rave, essendo ben altre le emergenze ed essendo ridotto a poche unità il numero degli eventi di questo tipo di cui c'è stata notizia nell'anno in corso;

    invece, pensiamo che vada del tutto cambiata la legge sulle droghe, con i suoi eccessi repressivi legalizzando da subito le droghe leggere, anche allo scopo di contrastare il predominio illegale delle mafie;

    i giovani, le ragazze e i ragazzi vanno ascoltati, non criminalizzati, non vanno buttati con leggerezza nelle carceri dove quasi il 40 per cento di chi entra in carcere ha fatto uso di sostanze stupefacenti: sono numeri che evidenziano il fallimento della politica proibizionista;

    molte organizzazioni della società civile impegnate per un cambio delle politiche sulle droghe e nella lotta a ogni forma di discriminazione delle persone che fanno uso di droghe, hanno espresso una forte preoccupazione per le gravi conseguenze che determinerebbe la conversione in legge dell'attuale decreto, in riferimento all'articolo 633-bis del codice penale;

    si ravvisa inoltre il rischio che tale provvedimento, una volta convertito, possa provocare l'aggravarsi del sovraffollamento delle carceri e degli stigmi e pregiudizi nei confronti delle persone che assumono droghe, oltre all'effetto paradossale di ricacciare sempre più nel sommerso i diversi contesti del consumo di sostanze illegali rendendo ancora più difficile garantire la tutela della salute pubblica e incrementando i costi umani ed economici per la collettività;

    da tempo denunciamo come la legge penale attuale sulle droghe abbia riempito per un terzo le carceri italiane di persone che dovrebbero seguire percorsi di cura ed inclusione sociale. Per questo di fronte ai fallimenti del modello repressivo, penale e proibizionista è necessario perseguire strategie alternative, rivelatesi più efficaci e che mirano a regolare socialmente il fenomeno, così come sta avvenendo in diversi Paesi nel mondo,

impegna il Governo:

   a valutare gli effetti applicativi delle norme richiamate in premessa, al fine di prevedere, anche con successivi interventi di natura normativa, una consistente riduzione della pena prevista per il nuovo reato di «Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica»;

   a rivedere la politica e la disciplina, decisamente fallimentare, sull'uso delle cosiddette droghe leggere rispettando sia le pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo, sia le raccomandazioni del Consiglio d'Europa in tema di diritti delle persone detenute negli istituti penitenziari.
9/705/12. Zaratti, Dori, Bonelli, Borrelli, Evi, Fratoianni, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zanella, De Maria.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a cento euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalla dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a predisporre, in considerazione del perdurare dell'emergenza epidemiologica da COVID-19 e della bassa percentuale tra platea degli aventi diritto della effettuazione della quarta dose di vaccino contro il virus SARS-CoV-2, una campagna di informazione nazionale sui principali organi di diffusione sull'importanza della vaccinazione in particolar modo per le persone fragili e i loro familiari.
9/705/13. Furfaro, Simiani, Ghirra, Graziano, Scotto, Donno, Alfonso Colucci, Penza.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a cento euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalla dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a ripristinare già dal primo provvedimento utile al fine di tutelare le persone più fragili, visto il perdurare della circolazione del virus SARS-CoV-2 come indicato dai bollettini settimanali fino ad ora emessi dal Ministero della salute l'uso non solo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie per accedere alle strutture, sanitarie, socio-sanitarie e socioassistenziali, comprese le strutture di ospitalità e lungodegenza, le residenze sanitarie assistenziali, gli hospice, le strutture riabilitative, le strutture residenziali per anziani, anche non autosufficienti almeno fino al periodo estivo ma anche, valutati gli effetti applicativi del decreto-legge in esame, la disciplina concernente l'utilizzo del green pass per accedere a tali strutture da parte dei visitatori.
9/705/14. Girelli.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a 100 euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalla dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a stanziare, con il primo provvedimento utile, ulteriori risorse volte ad incrementare il Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche di cui all'articolo 1, comma 601, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, al fine di supportare il personale delle istituzioni scolastiche statali, gli studenti e le famiglie attraverso servizi professionali per l'assistenza e il supporto psicologico in relazione alla prevenzione e al trattamento dei disagi e delle conseguenze derivanti dall'emergenza epidemiologica da COVID-19.
9/705/15. Manzi.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a 100 euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalla dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di stanziare ulteriori risorse volte ad incrementare il Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche di cui all'articolo 1, comma 601, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, al fine di supportare il personale delle istituzioni scolastiche statali, gli studenti e le famiglie attraverso servizi professionali per l'assistenza e il supporto psicologico in relazione alla prevenzione e al trattamento dei disagi e delle conseguenze derivanti dall'emergenza epidemiologica da COVID-19.
9/705/15. (Testo modificato nel corso della seduta)Manzi.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a cento euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalla dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, l'aerazione dei locali, l'igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a stanziare, con il primo provvedimento utile, ulteriori risorse volte ad incrementare il Fondo per l'emergenza epidemiologica da COVID-19, di cui all'articolo 58, comma 4, del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, al fine di installare presso gli ambienti degli istituti scolastici, di impianti per la ventilazione meccanica controllata (VMC) con recupero di calore e per l'acquisto di apparecchi di sanificazione, igienizzazione e purificazione dell'aria negli ambienti scolastici, provvisti di sistemi di filtraggio delle particelle e di distruzione di microrganismi presenti nell'aria.
9/705/16. Orfini, Quartapelle Procopio.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a cento euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalla dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, l'aerazione dei locali, l'igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di stanziare ulteriori risorse volte ad incrementare il Fondo per l'emergenza epidemiologica da COVID-19, di cui all'articolo 58, comma 4, del decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, al fine di installare presso gli ambienti degli istituti scolastici, di impianti per la ventilazione meccanica controllata (VMC) con recupero di calore e per l'acquisto di apparecchi di sanificazione, igienizzazione e purificazione dell'aria negli ambienti scolastici, provvisti di sistemi di filtraggio delle particelle e di distruzione di microrganismi presenti nell'aria.
9/705/16. (Testo modificato nel corso della seduta)Orfini, Quartapelle Procopio.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a cento euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalla dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti etc., abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a ripristinare la pubblicazione giornaliera del bollettino della pandemia di COVID-19 al fine di avere una maggiore trasparenza sull'andamento della pandemia e poter agire in modo celere qualora i dati dovessero evidenziare una ripresa dei contagi che metta a rischio la salute della comunità.
9/705/17. Iacono.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a cento euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a reintrodurre, visto il peggioramento dei dati epidemiologici sull'andamento della circolazione del virus SARS-CoV-2 – in caso di quarantena dei figli fino a 14 anni di età – il diritto di poter svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile.
9/705/18. Letta, Baldino, Piccolotti.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame, nella sua evidente disomogeneità – accentuata dopo l'esame da parte dell'altro ramo del Parlamento –, prevede diversi interventi che fanno venir meno alcune delle misure di prevenzione contro la pandemia da COVID-19, come l'obbligo vaccinale per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale o la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria o, ancora, l'abolizione del tampone di fine quarantena;

    nonostante il venir meno della fase più drammatica dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    la conferma di tale impostazione prudenziale è offerta degli stessi bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid, che indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    è necessario, pertanto, continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    dal punto di vista della prevenzione, una particolare rilevanza riveste la sicurezza nei luoghi di lavoro, soprattutto per quelli caratterizzati dalla interrelazione con i colleghi di lavoro o con la clientela,

impegna il Governo

ad adottare, con la massima urgenza, qualora dovessero aumentare di nuovo i contagi da COVID-19, le opportune misure emergenziali per la reintroduzione dell'obbligo dell'uso dei dispositivi di protezione individuale per i lavoratori impegnati in attività di somministrazione e preparazione di alimenti.
9/705/19. Madia.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 1 del decreto-legge n. 162 del 2022, è volto a modificare la disciplina previgente in tema di accesso ai benefìci penitenziari da parte di detenuti condannati per specifici reati particolarmente gravi e ritenuti tali da precludere l'accesso ai benefici di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 recante Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà in assenza di collaborazione con la giustizia, cosiddetti reati ostativi, sui quali è più volte intervenuta la Corte costituzionale;

    il tema dell'accesso ai benefìci penitenziari e delle pene alternative è quanto mai centrale nell'attuale dibattito sulle carceri, come lo stesso Ministro della giustizia Nordio ha pubblicamente e in più occasioni ribadito, sin dalle sue primissime dichiarazioni da Ministro: nelle linee programmatiche ha infatti richiamato l'importanza degli investimenti sul carcere e degli investimenti sulle misure alternative alla esecuzione in carcere, nonché sulla giustizia riparativa, strumenti previsti dalla Riforma Cartabia rispetto alla quale il Ministro ha assicurato una pronta entrata in vigore, successivamente ha ammesso, però, i gravi tagli al comparto giustizia operati con la manovra di bilancio;

    tuttavia, le significative riduzioni di spesa operate dalla legge di bilancio appaiono suscettibili di incidere pesantemente sulla tenuta di un sistema oggettivamente fragile, interrompendo il difficile percorso di risanamento avviato negli ultimi anni;

    in particolare, rischiano di essere colpite le attività trattamentali delle persone detenute nell'ambito dei percorsi di reinserimento e, allo stesso tempo, rischia di rallentare il percorso delle nuove assunzioni di personale, fondamentale per garantire la funzionalità degli istituti e, con essa, dignitose condizioni di vita delle persone private della libertà personale;

    si aggiunga, inoltre, che le riduzioni di spesa operano nel quadro di una manovra di finanza pubblica che non prevede altre misure relativa al comparto penitenziario, in particolare, laddove vengono previste risorse per l'edilizia giudiziaria, manca del tutto qualunque previsione in materia di edilizia penitenziaria e di gestione degli spazi a fini di riduzione del sovraffollamento e trattamentali;

    per realizzare la funzione rieducativa della pena, così come delineata nella nostra Costituzione, occorrono investimenti sul personale e investimenti sulle strutture, come dimostrano tutti gli studi condotti sul tema anche a livello europeo e internazionale;

    il contenimento del tasso di recidiva è strettamente collegato al percorso trattamentale che viene offerto ai detenuti, in attuazione dell'articolo 27 della Costituzione;

    il ruolo che in questo percorso trattamentale assumono gli spazi detentivi è fondamentale: è necessario procedere alla riqualificazione dei luoghi dell'esecuzione penale, che devono essere progettati e definiti in funzione dell'organizzazione di efficaci percorsi trattamentali di reinserimento sociale di coloro che hanno commesso reati; si tratta, di uno sforzo nell'interesse non solo dei detenuti, ma anche del personale che nelle carceri lavora e vive ogni giorno, e di tutti i cittadini: se la pena riesce a svolgere una funzione rieducativa ed emancipante, il rischio di recidiva diminuisce sensibilmente. Questo permette di ridurre l'illegalità e quindi di aumentare la sicurezza, a beneficio di tutta la collettività;

    così come riteniamo assolutamente urgente, al fine di contribuire a tutelare il rapporto tra detenute madri e figli minori, e l'accoglienza di genitori detenuti con bambini al seguito in case-famiglia incrementare il Fondo di cui all'articolo 1, comma 323, della legge 30 dicembre 2020, n. 178;

    il Gruppo del Partito Democratico ritiene che il decreto-legge in esame, primo atto di un Governo che ha ritenuto necessario utilizzare la decretazione di urgenza per introdurre il nuovo reato di rave party, si inserisca a pieno titolo nel filone del populismo giudiziario e mediatico; si utilizza il diritto penale per contrastare le diversità sociali e culturali, definendo apposite fattispecie criminali, finendo così per scivolare sul crinale della democrazia securitaria: si va nella direzione ostinata e contraria rispetto a quella chiaramente indicata dalla Costituzione, e dalla ragionevolezza;

    inoltre, durante l'emergenza sanitaria, per ridurre il sovraffollamento carcerario, con il decreto-legge n. 18 del 2020 erano state adottate alcune misure straordinarie, volte ad incrementare l'esecuzione della pena detentiva fuori dal carcere presso il domicilio. In particolare, com'è noto, sono state previste licenze e permessi straordinari per i detenuti in regime di semilibertà e per quelli non ammessi al lavoro esterno. È stata inoltre prevista la detenzione domiciliare per i detenuti che devono scontare una pena residua non superiore ai diciotto mesi;

    entrambe le misure, come altrettanto noto, non possono essere applicate ai delitti indicati dall'articolo 4-bis della legge n. 352 del 1975 e dagli articoli 572 e 612-bis del codice penale: mafia, terrorismo e i delitti di più grave allarme sociale, compresi i delitti di maltrattamento e gli atti persecutori; la detenzione domiciliare non può inoltre essere applicata ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza, ai detenuti che sono sottoposti al regime di sorveglianza particolare, ai detenuti che nell'ultimo anno sono stati sanzionati o oggetto di rapporto disciplinare per disordine o sommosse, ai detenuti privi di un domicilio effettivo ed idoneo, anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato e nei casi in cui il magistrato di sorveglianza ravvisi gravi motivi ostativi alla concessione della misura; dal giorno della loro introduzione, non risulta che tali misure abbiano prodotto alcun allarme sociale o che vi siano stati casi di revoca per condotte illecite da parte dei detenuti che ne hanno beneficiato. Se è così, se si tratta di misure che hanno dato buona prova di sé, ci appare evidente la necessità di renderle strutturali o perlomeno prorogarle ulteriormente, dal momento che il prossimo 31 dicembre verranno meno;

    i tagli al personale della giustizia, in particolare al personale del circuito dell'esecuzione penale, e cioè al personale del Dipartimento per l'amministrazione penitenziaria e al personale del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, che avevamo chiesto con un emendamento, respinto, alla legge di bilancio, di reintegrare, rappresentano un segnale gravissimo e preoccupante,

impegna il Governo:

   nell'ambito delle sue proprie prerogative:

    a stanziare risorse maggiori e adeguate al comparto della giustizia, ripristinando le risorse tagliate al Dipartimento della amministrazione penitenziaria e al Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità con la legge di bilancio;

    a potenziare le risorse, presso il Ministero della giustizia, riconducibili al fondo destinato ad interventi straordinari sulle carceri e per l'architettura penitenziaria, per l'elaborazione e la realizzazione di un modello coerente con l'idea di rieducazione e per interventi puntuali di manutenzione sulle strutture esistenti, cui è assegnata la previsione di 4 milioni di euro per l'anno 2023;

    ad aumentare gli investimenti nella giustizia riparativa, nonché ad incrementare il Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive, dell'usura e dei reati intenzionali violenti e agli orfani per crimini domestici;

    ad incrementare il Fondo per le detenute madri, a garantire ed implementare la funzionalità e l'organizzazione degli uffici e delle strutture di esecuzione, penale esterna e per la messa alla prova, nonché ad adottare misure di sostegno all'azione della DIA e dell'Agenzia per i beni confiscati;

    nonché a prorogare le misure adottate con il decreto-legge n. 18 del 2020 volte ad incrementare l'esecuzione della pena detentiva fuori dal carcere presso il domicilio.
9/705/20. Lacarra, Piccolotti.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 1 del decreto-legge n. 162 del 2022, è volto a modificare la disciplina previgente in tema di accesso ai benefìci penitenziari da parte di detenuti condannati per specifici reati particolarmente gravi e ritenuti tali da precludere l'accesso ai benefici di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 recante Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà in assenza di collaborazione con la giustizia, cosiddetti reati ostativi, sui quali è più volte intervenuta la Corte costituzionale;

    il tema dell'accesso ai benefìci penitenziari e delle pene alternative è quanto mai centrale nell'attuale dibattito sulle carceri, come lo stesso Ministro della giustizia Nordio ha pubblicamente e in più occasioni ribadito, sin dalle sue primissime dichiarazioni da Ministro: nelle linee programmatiche ha infatti richiamato l'importanza degli investimenti sul carcere e degli investimenti sulle misure alternative alla esecuzione in carcere, nonché sulla giustizia riparativa, strumenti previsti dalla Riforma Cartabia rispetto alla quale il Ministro ha assicurato una pronta entrata in vigore, successivamente ha ammesso, però, i gravi tagli al comparto giustizia operati con la manovra di bilancio;

    tuttavia, le significative riduzioni di spesa operate dalla legge di bilancio appaiono suscettibili di incidere pesantemente sulla tenuta di un sistema oggettivamente fragile, interrompendo il difficile percorso di risanamento avviato negli ultimi anni;

    in particolare, rischiano di essere colpite le attività trattamentali delle persone detenute nell'ambito dei percorsi di reinserimento e, allo stesso tempo, rischia di rallentare il percorso delle nuove assunzioni di personale, fondamentale per garantire la funzionalità degli istituti e, con essa, dignitose condizioni di vita delle persone private della libertà personale;

    si aggiunga, inoltre, che le riduzioni di spesa operano nel quadro di una manovra di finanza pubblica che non prevede altre misure relativa al comparto penitenziario, in particolare, laddove vengono previste risorse per l'edilizia giudiziaria, manca del tutto qualunque previsione in materia di edilizia penitenziaria e di gestione degli spazi a fini di riduzione del sovraffollamento e trattamentali;

    per realizzare la funzione rieducativa della pena, così come delineata nella nostra Costituzione, occorrono investimenti sul personale e investimenti sulle strutture, come dimostrano tutti gli studi condotti sul tema anche a livello europeo e internazionale;

    il contenimento del tasso di recidiva è strettamente collegato al percorso trattamentale che viene offerto ai detenuti, in attuazione dell'articolo 27 della Costituzione;

    il ruolo che in questo percorso trattamentale assumono gli spazi detentivi è fondamentale: è necessario procedere alla riqualificazione dei luoghi dell'esecuzione penale, che devono essere progettati e definiti in funzione dell'organizzazione di efficaci percorsi trattamentali di reinserimento sociale di coloro che hanno commesso reati; si tratta, di uno sforzo nell'interesse non solo dei detenuti, ma anche del personale che nelle carceri lavora e vive ogni giorno, e di tutti i cittadini: se la pena riesce a svolgere una funzione rieducativa ed emancipante, il rischio di recidiva diminuisce sensibilmente. Questo permette di ridurre l'illegalità e quindi di aumentare la sicurezza, a beneficio di tutta la collettività;

    così come riteniamo assolutamente urgente, al fine di contribuire a tutelare il rapporto tra detenute madri e figli minori, e l'accoglienza di genitori detenuti con bambini al seguito in case-famiglia incrementare il Fondo di cui all'articolo 1, comma 323, della legge 30 dicembre 2020, n. 178;

    il Gruppo del Partito Democratico ritiene che il decreto-legge in esame, primo atto di un Governo che ha ritenuto necessario utilizzare la decretazione di urgenza per introdurre il nuovo reato di rave party, si inserisca a pieno titolo nel filone del populismo giudiziario e mediatico; si utilizza il diritto penale per contrastare le diversità sociali e culturali, definendo apposite fattispecie criminali, finendo così per scivolare sul crinale della democrazia securitaria: si va nella direzione ostinata e contraria rispetto a quella chiaramente indicata dalla Costituzione, e dalla ragionevolezza;

    inoltre, durante l'emergenza sanitaria, per ridurre il sovraffollamento carcerario, con il decreto-legge n. 18 del 2020 erano state adottate alcune misure straordinarie, volte ad incrementare l'esecuzione della pena detentiva fuori dal carcere presso il domicilio. In particolare, com'è noto, sono state previste licenze e permessi straordinari per i detenuti in regime di semilibertà e per quelli non ammessi al lavoro esterno. È stata inoltre prevista la detenzione domiciliare per i detenuti che devono scontare una pena residua non superiore ai diciotto mesi;

    entrambe le misure, come altrettanto noto, non possono essere applicate ai delitti indicati dall'articolo 4-bis della legge n. 352 del 1975 e dagli articoli 572 e 612-bis del codice penale: mafia, terrorismo e i delitti di più grave allarme sociale, compresi i delitti di maltrattamento e gli atti persecutori; la detenzione domiciliare non può inoltre essere applicata ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza, ai detenuti che sono sottoposti al regime di sorveglianza particolare, ai detenuti che nell'ultimo anno sono stati sanzionati o oggetto di rapporto disciplinare per disordine o sommosse, ai detenuti privi di un domicilio effettivo ed idoneo, anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato e nei casi in cui il magistrato di sorveglianza ravvisi gravi motivi ostativi alla concessione della misura; dal giorno della loro introduzione, non risulta che tali misure abbiano prodotto alcun allarme sociale o che vi siano stati casi di revoca per condotte illecite da parte dei detenuti che ne hanno beneficiato. Se è così, se si tratta di misure che hanno dato buona prova di sé, ci appare evidente la necessità di renderle strutturali o perlomeno prorogarle ulteriormente, dal momento che il prossimo 31 dicembre verranno meno;

    i tagli al personale della giustizia, in particolare al personale del circuito dell'esecuzione penale, e cioè al personale del Dipartimento per l'amministrazione penitenziaria e al personale del Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità, che avevamo chiesto con un emendamento, respinto, alla legge di bilancio, di reintegrare, rappresentano un segnale gravissimo e preoccupante,

impegna il Governo:

   nell'ambito delle sue proprie prerogative, a valutare l'opportunità di:

    stanziare risorse maggiori e adeguate al comparto della giustizia, ripristinando le risorse tagliate al Dipartimento della amministrazione penitenziaria e al Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità con la legge di bilancio;

    potenziare le risorse, presso il Ministero della giustizia, riconducibili al fondo destinato ad interventi straordinari sulle carceri e per l'architettura penitenziaria, per l'elaborazione e la realizzazione di un modello coerente con l'idea di rieducazione e per interventi puntuali di manutenzione sulle strutture esistenti, cui è assegnata la previsione di 4 milioni di euro per l'anno 2023;

    aumentare gli investimenti nella giustizia riparativa, nonché incrementare il Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive, dell'usura e dei reati intenzionali violenti e agli orfani per crimini domestici;

    incrementare il Fondo per le detenute madri, garantire ed implementare la funzionalità e l'organizzazione degli uffici e delle strutture di esecuzione, penale esterna e per la messa alla prova, nonché adottare misure di sostegno all'azione della DIA e dell'Agenzia per i beni confiscati;

    nonché prorogare le misure adottate con il decreto-legge n. 18 del 2020 volte ad incrementare l'esecuzione della pena detentiva fuori dal carcere presso il domicilio.
9/705/20. (Testo modificato nel corso della seduta)Lacarra, Piccolotti.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame, nella sua evidente disomogeneità – accentuata dopo l'esame da parte dell'altro ramo del Parlamento –, prevede diversi interventi che fanno venir meno alcune delle misure di prevenzione contro la pandemia da COVID-19, come l'obbligo vaccinale per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale o la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria o, ancora, l'abolizione del tampone di fine quarantena;

    nonostante il venir meno della fase più drammatica dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    la conferma di tale impostazione prudenziale è offerta degli stessi bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid, che indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    è necessario, pertanto, continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    dal punto di vista della prevenzione, una particolare rilevanza riveste la sicurezza nei luoghi di lavoro, soprattutto per quelli caratterizzati dalla interrelazione con i colleghi di lavoro o con la clientela,

impegna il Governo

ad adottare, con la massima urgenza, qualora dovessero aumentare di nuovo i contagi da COVID-19, le opportune misure emergenziali per la reintroduzione dell'obbligo dell'uso dei dispositivi di protezione individuale per i lavoratori impegnati in attività di macellazione delle carni.
9/705/21. Guerini.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame, nella sua evidente disomogeneità – accentuata dopo l'esame da parte dell'altro ramo del Parlamento –, prevede diversi interventi che fanno venir meno alcune delle misure di prevenzione contro la pandemia da COVID-19, come l'obbligo vaccinale per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale o la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria o, ancora, l'abolizione del tampone di fine quarantena;

    nonostante il venir meno della fase più drammatica dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    la conferma di tale impostazione prudenziale è offerta degli stessi bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid, che indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    è necessario, pertanto, continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    dal punto di vista della prevenzione, una particolare rilevanza riveste la sicurezza nei luoghi di lavoro, soprattutto per quelli caratterizzati dalla interrelazione con i colleghi di lavoro o con la clientela,

impegna il Governo

ad adottare, con la massima urgenza, qualora dovessero aumentare di nuovo i contagi da COVID-19, le opportune misure emergenziali per la reintroduzione dell'obbligo dell'uso dei dispositivi di protezione individuale per i lavoratori impegnati in attività a contatto con il pubblico.
9/705/22. Marino, Gribaudo, Di Biase.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame, nella sua evidente disomogeneità – accentuata dopo l'esame da parte dell'altro ramo del Parlamento –, prevede diversi interventi che fanno venir meno alcune delle misure di prevenzione contro la pandemia da COVID-19, come l'obbligo vaccinale per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale o la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria o, ancora, l'abolizione del tampone di fine quarantena;

    nonostante il venir meno della fase più drammatica dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    la conferma di tale impostazione prudenziale è offerta degli stessi bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid, che indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    è necessario, pertanto, continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    dal punto di vista della prevenzione, una particolare rilevanza riveste la sicurezza nei luoghi di lavoro, soprattutto per quelli caratterizzati dalla interrelazione con i colleghi di lavoro o con la clientela,

impegna il Governo

ad adottare, con la massima urgenza, qualora dovessero aumentare di nuovo i contagi da COVID-19, le opportune misure emergenziali per la reintroduzione dell'obbligo dell'uso dei dispositivi di protezione individuale per i lavoratori impegnati in attività di ristorazione presso pubblici esercizi.
9/705/23. Fossi.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame, nella sua evidente disomogeneità – accentuata dopo l'esame da parte dell'altro ramo del Parlamento –, prevede diversi interventi che fanno venir meno alcune delle misure di prevenzione contro la pandemia da COVID-19, come l'obbligo vaccinale per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria o, ancora, l'abolizione del tampone di fine quarantena;

    nonostante il venir meno della fase più drammatica dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    la conferma di tale impostazione prudenziale è offerta degli stessi bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid, che indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    è necessario, pertanto, continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    dal punto di vista della prevenzione, una particolare rilevanza riveste la sicurezza nei luoghi di lavoro, soprattutto per quelli caratterizzati dalla interrelazione con i colleghi di lavoro o con la clientela,

impegna il Governo

ad adottare, con la massima urgenza, qualora dovessero aumentare di nuovo i contagi da COVID-19, le opportune misure emergenziali per la reintroduzione dell'obbligo dell'uso dei dispositivi di protezione individuale per i lavoratori impegnati in attività di preparazione e somministrazione di alimenti presso le mense scolastiche.
9/705/24. Berruto.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame, nella sua evidente disomogeneità – accentuata dopo l'esame da parte dell'altro ramo del Parlamento –, prevede diversi interventi che fanno venir meno alcune delle misure di prevenzione contro la pandemia da COVID-19, come l'obbligo vaccinale per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale o la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria o, ancora, l'abolizione del tampone di fine quarantena;

    nonostante il venir meno della fase più drammatica dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    la conferma di tale impostazione prudenziale è offerta degli stessi bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid, che indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    è necessario, pertanto, continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    dal punto di vista della prevenzione, una particolare rilevanza riveste la sicurezza nei luoghi di lavoro, soprattutto per quelli caratterizzati dalla interrelazione con i colleghi di lavoro o con la clientela,

impegna il Governo

ad adottare, con la massima urgenza, qualora dovessero aumentare di nuovo i contagi da COVID-19, le opportune misure emergenziali per la reintroduzione dell'obbligo dell'uso dei dispositivi di protezione individuale per i lavoratori impegnati in attività di preparazione e somministrazione di alimenti presso le mense ospedaliere.
9/705/25. Ciani.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame, nella sua evidente disomogeneità – accentuata dopo l'esame da parte dell'altro ramo del Parlamento –, prevede diversi interventi che fanno venir meno alcune delle misure di prevenzione contro la pandemia da COVID-19, come l'obbligo vaccinale per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale o la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria o, ancora, l'abolizione del tampone di fine quarantena; nonostante il venir meno della fase più drammatica dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    la conferma di tale impostazione prudenziale è offerta degli stessi bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid, che indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    è necessario, pertanto, continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    dal punto di vista della prevenzione, una particolare rilevanza riveste la sicurezza nei luoghi di lavoro, soprattutto per quelli caratterizzati dalla interrelazione con i colleghi di lavoro o con la clientela,

impegna il Governo

ad adottare, con la massima urgenza, qualora dovessero aumentare di nuovo i contagi da COVID-19, le opportune misure emergenziali per la reintroduzione dell'obbligo dell'uso dei dispositivi di protezione individuale per i lavoratori impegnati in attività di preparazione e somministrazione di alimenti presso le mense delle strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali.
9/705/26. Malavasi.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame, nella sua evidente disomogeneità – accentuata dopo l'esame da parte dell'altro ramo del Parlamento –, prevede diversi interventi che fanno venir meno alcune delle misure di prevenzione contro la pandemia da COVID-19, come l'obbligo vaccinale per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale o la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria o, ancora, l'abolizione del tampone di fine quarantena;

    nonostante il venir meno della fase più drammatica dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    la conferma di tale impostazione prudenziale è offerta degli stessi bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid, che indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    è necessario, pertanto, continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    dal punto di vista della prevenzione, una particolare rilevanza riveste la sicurezza nei luoghi di lavoro, soprattutto per quelli caratterizzati dalla interrelazione con i colleghi di lavoro o con la clientela,

impegna il Governo

ad adottare, con la massima urgenza, qualora dovessero aumentare di nuovo i contagi da COVID-19, le opportune misure emergenziali per la reintroduzione dell'obbligo dell'uso dei dispositivi di protezione individuale per i lavoratori impegnati in attività di in luoghi di lavoro dove non è possibile assicurare il distanziamento tra individui.
9/705/27. Scotto.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame, nella sua evidente disomogeneità – accentuata dopo l'esame da parte dell'altro ramo del Parlamento –, prevede diversi interventi che fanno venir meno alcune delle misure di prevenzione contro la pandemia da COVID-19, come l'obbligo vaccinale per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale o la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria o, ancora, l'abolizione del tampone di fine quarantena;

    nonostante il venir meno della fase più drammatica dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    la conferma di tale impostazione prudenziale è offerta degli stessi bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid, che indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    è necessario, pertanto, continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    dal punto di vista della prevenzione, una particolare rilevanza riveste la sicurezza nei luoghi di lavoro, soprattutto per quelli caratterizzati dalla interrelazione con i colleghi di lavoro o con la clientela,

impegna il Governo

ad adottare, con la massima urgenza, qualora dovessero aumentare di nuovo i contagi da COVID-19, le opportune misure emergenziali per la reintroduzione dell'obbligo dell'uso dei dispositivi di protezione individuale per i lavoratori impegnati in attività didattiche e formativa.
9/705/28. Zingaretti, Ciani, Di Biase.


   La Camera,

   premesso che:

    il Gruppo del Partito Democratico ritiene che il decreto-legge in esame, primo atto di un Governo che ha ritenuto necessario utilizzare la decretazione di urgenza per introdurre il nuovo reato di rave party, si inserisca a pieno titolo nel filone del populismo giudiziario e mediatico; si utilizza il diritto penale per contrastare le diversità sociali e culturali, definendo apposite fattispecie criminali, finendo così per scivolare sul crinale della democrazia securitaria;

    il decreto introduce una nuova e indeterminata fattispecie di reato, con una norma mal scritta, che nella sua versione originaria è stata ritenuta potenzialmente applicabile anche alle proteste studentesche, alle manifestazioni politiche ma non solo;

    il rischio, serio, è che la norma colpisca, attraverso un'interpretazione estensiva, anche tutte le altre forme di aggregazione, come manifestazioni sportive, di lavoratori, ovvero tutte le manifestazioni «non autorizzate»;

    anche nella sua versione aggiornata, così come modificata con una necessaria ma insufficiente retromarcia del Governo, restano comunque gravi dubbi sulla fattispecie: il reato rimane «di pericolo», perché si verifica «quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o della incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi»;

    il criterio del pericolo appare troppo generico e vago, generando in questo modo un'anticipazione eccessiva della soglia della punibilità;

    vi è, inoltre, una palese sproporzione rispetto all'entità della pena, contravvenendo in tal modo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza: non si tratta, dunque, di una norma emendabile, ma di una duplicazione asistematica che crea disordine nell'ordinamento e rischia di mettere in difficoltà gli operatori del diritto e le forze dell'ordine, che andava dunque solo soppressa;

    tale norma, anche dopo le modifiche introdotte al Senato, appare gravemente carente del requisito di tassatività, prescritto dall'articolo 25 della Costituzione, nella misura in cui non individua con sufficiente chiarezza il perimetro delle condotte sanzionate in relazione alle forme, ai modi e ai criteri di valutazione della loro pericolosità, oltre alla mancata individuazione del soggetto competente ad effettuare tale valutazione;

    la norma appare altresì non rispettosa del principio di ragionevolezza e lesiva dell'articolo 3 della Costituzione sotto il profilo della quantificazione della pena, irragionevolmente aggravata rispetto a quella prevista per la fattispecie largamente analoga di cui all'articolo 633 del codice penale;

    nessun requisito di necessità ed urgenza è inoltre ravvisabile con riferimento all'articolo 5, che si configura inoltre come una norma potenzialmente lesiva dell'articolo 17 della Costituzione, nella misura in cui la nuova fattispecie di reato appare potenzialmente suscettibile di applicazione a tutte le riunioni, ivi comprese quelle in luogo pubblico, e laddove aggiunge alle ragioni di pericolosità già previste dall'articolo 17 della Costituzione, anche l'esistenza di rischi per l'ordine pubblico e la salute pubblica, senza chiarire da quali soggetti tale valutazione debba provenire, in quali forme e secondo quale modalità, peraltro configurando una valutazione meramente anticipata e astratta del rischio, assai lontana da quei «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica» già richiesti dall'articolo 17 della Costituzione, quali unici motivi che possono giustificare il divieto di riunioni in luogo pubblico;

    inoltre la pena prevista è evidentemente sproporzionata: la reclusione rimane da 3 a 6 anni – la più alta in Europa – dunque per i condannati sarà più complicato accedere alla sospensione condizionale della pena, anche se incensurati, gli inquirenti potranno utilizzare lo strumento delle intercettazioni e la custodia cautelare; la sua entità preclude tra le altre cose, l'accesso dell'imputato alla messa alla prova, che può, per i reati di minor allarme sociale, essere affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede l'esecuzione di un lavoro di pubblica utilità in favore della collettività, svolto presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato e che svolga, inoltre, inoltre, che l'imputato svolga attività riparative, volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, attività di risarcimento del danno dallo stesso cagionato e, ove possibile, attività di mediazione con la vittima del reato,

impegna il Governo

a riconsiderare, nell'ambito delle sue proprie prerogative, sia la reale necessità sia l'opportunità della introduzione del nuovo reato di cui all'articolo 633-bis «invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», nonché, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ad adottare misure volte ad effettuare un efficace monitoraggio in merito alla sua concreta applicazione, e a riferirne alle Camere, con particolare riferimento alla natura dell'evento reputato criminoso e a quanti procedimenti riconducibili al reato di cui sopra siano stati compiuti allo scopo di realizzare un raduno musicale o ad altro scopo di intrattenimento, nonché all'età degli imputati, al fine di valutare l'opportunità di ridurre la pena nel minimo e nel massimo, nonché di eliminare la fattispecie in quanto gravemente irragionevole e potenzialmente dannosa.
9/705/29. Laus.


   La Camera,

   premesso che:

    il Gruppo del Partito Democratico ritiene che il decreto-legge in esame, primo atto di un Governo che ha ritenuto necessario utilizzare la decretazione di urgenza per introdurre il nuovo reato di rave party, si inserisca a pieno titolo nel filone del populismo giudiziario e mediatico; si utilizza il diritto penale per contrastare le diversità sociali e culturali, definendo apposite fattispecie criminali, finendo così per scivolare sul crinale della democrazia securitaria;

    il decreto introduce una nuova e indeterminata fattispecie di reato, con una norma mal scritta, che nella sua versione originaria è stata ritenuta potenzialmente applicabile anche alle proteste studentesche, alle manifestazioni politiche ma non solo;

    il rischio, serio, è che la norma colpisca, attraverso un'interpretazione estensiva, anche tutte le altre forme di aggregazione, come manifestazioni sportive, di lavoratori, ovvero tutte le manifestazioni «non autorizzate»;

    anche nella sua versione aggiornata, così come modificata con una necessaria ma insufficiente retromarcia del Governo, restano comunque gravi dubbi sulla fattispecie: il reato rimane «di pericolo», perché si verifica «quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o della incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi»;

    il criterio del pericolo appare troppo generico e vago, generando in questo modo un'anticipazione eccessiva della soglia della punibilità;

    vi è, inoltre, una palese sproporzione rispetto all'entità della pena, contravvenendo in tal modo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza: non si tratta, dunque, di una norma emendabile, ma di una duplicazione asistematica che crea disordine nell'ordinamento e rischia di mettere in difficoltà gli operatori del diritto e le forze dell'ordine, che andava dunque solo soppressa;

    tale norma, anche dopo le modifiche introdotte al Senato, appare gravemente carente del requisito di tassatività, prescritto dall'articolo 25 della Costituzione, nella misura in cui non individua con sufficiente chiarezza il perimetro delle condotte, sanzionate in relazione alle forme, ai modi e ai criteri di valutazione della loro pericolosità, oltre alla mancata individuazione del soggetto competente ad effettuare tale valutazione;

    la norma appare altresì non rispettosa del principio di ragionevolezza e lesiva dell'articolo 3 della Costituzione sotto il profilo della quantificazione della pena, irragionevolmente aggravata rispetto a quella prevista per la fattispecie largamente analoga di cui all'articolo 633 del codice penale;

    nessun requisito di necessità ed urgenza è inoltre ravvisabile con riferimento all'articolo 5, che si configura inoltre come una norma potenzialmente lesiva dell'articolo 17 della Costituzione, nella misura in cui la nuova fattispecie di reato appare potenzialmente suscettibile di applicazione a tutte le riunioni, ivi comprese quelle in luogo pubblico, e laddove aggiunge alle ragioni di pericolosità già previste dall'articolo 17 della Costituzione, anche l'esistenza di rischi per l'ordine pubblico e la salute pubblica, senza chiarire da quali soggetti tale valutazione debba provenire, in quali forme e secondo quale modalità, peraltro configurando una valutazione meramente anticipata e astratta del rischio, assai lontana da quei «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica» già richiesti dall'articolo 17 della Costituzione, quali unici motivi che possono giustificare il divieto di riunioni in luogo pubblico;

    inoltre la pena prevista è evidentemente sproporzionata: la reclusione rimane da 3 a 6 anni – la più alta in Europa – dunque per i condannati sarà più complicato accedere alla sospensione condizionale della pena, anche se incensurati, gli inquirenti potranno utilizzare lo strumento delle intercettazioni e la custodia cautelare; la sua entità preclude tra le altre cose, l'accesso dell'imputato alla messa alla prova, che può, per i reati di minor allarme sociale, essere affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede l'esecuzione di un lavoro di pubblica utilità in favore della collettività, svolto presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato e che svolga, inoltre, inoltre, che l'imputato svolga attività riparative, volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, attività di risarcimento del danno dallo stesso cagionato e, ove possibile, attività di mediazione con la vittima del reato,

impegna il Governo

a riconsiderare, nell'ambito delle sue proprie prerogative, sia la reale necessità sia l'opportunità della introduzione del nuovo reato di cui all'articolo 633-bis «invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», nonché, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ad adottare misure volte ad effettuare un efficace monitoraggio in merito alla sua concreta applicazione, e a riferirne alle Camere, con particolare riferimento all'utilizzo e al numero delle intercettazioni eventualmente effettuato in fase di indagine in relazione al nuovo reato.
9/705/30. Zan, Zanella.


   La Camera,

   premesso che:

    il gruppo del Partito Democratico ritiene che il decreto-legge in esame, primo atto di un Governo che ha ritenuto necessario utilizzare la decretazione di urgenza per introdurre il nuovo reato di rave party, si inserisca a pieno titolo nel filone del populismo giudiziario e mediatico; si utilizza il diritto penale per contrastare le diversità sociali e culturali, definendo apposite fattispecie criminali, finendo così per scivolare sul crinale della democrazia securitaria;

    il decreto introduce una nuova e indeterminata fattispecie di reato, con una norma mal scritta, che nella sua versione originaria è stata ritenuta potenzialmente applicabile anche alle proteste studentesche, alle manifestazioni politiche ma non solo;

    il rischio, serio, è che la norma colpisca, attraverso un'interpretazione estensiva, anche tutte le altre forme di aggregazione, come manifestazioni sportive, di lavoratori, ovvero tutte le manifestazioni «non autorizzate»;

    anche nella sua versione aggiornata, così come modificata con una necessaria ma insufficiente retromarcia del Governo, restano comunque gravi dubbi sulla fattispecie: il reato rimane «di pericolo», perché si verifica «quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o della incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi»;

    il criterio del pericolo appare troppo generico e vago, generando in questo modo un'anticipazione eccessiva della soglia della punibilità;

    vi è, inoltre, una palese sproporzione rispetto all'entità della pena, contravvenendo in tal modo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza: non si tratta, dunque, di una norma emendabile, ma di una duplicazione asistematica che crea disordine nell'ordinamento e rischia di mettere in difficoltà gli operatori del diritto e le forze dell'ordine, che andava dunque solo soppressa;

    tale norma, anche dopo le modifiche introdotte al Senato, appare gravemente carente del requisito di tassatività, prescritto dall'articolo 25 della Costituzione, nella misura in cui non individua con sufficiente chiarezza il perimetro delle condotte sanzionate in relazione alle forme, ai modi e ai criteri di valutazione della loro pericolosità, oltre alla mancata individuazione del soggetto competente ad effettuare tale valutazione;

    la norma appare altresì non rispettosa del principio di ragionevolezza e lesiva dell'articolo 3 della Costituzione sotto il profilo della quantificazione della pena, irragionevolmente aggravata rispetto a quella prevista per la fattispecie largamente analoga di cui all'articolo 633 del codice penale;

    nessun requisito di necessità ed urgenza è inoltre ravvisabile con riferimento all'articolo 5, che si configura inoltre come una norma potenzialmente lesiva dell'articolo 17 della Costituzione, nella misura in cui la nuova fattispecie di reato appare potenzialmente suscettibile di applicazione a tutte le riunioni, ivi comprese quelle in luogo pubblico, e laddove aggiunge alle ragioni di pericolosità già previste dall'articolo 17 della Costituzione, anche l'esistenza di rischi per l'ordine pubblico e la salute pubblica, senza chiarire da quali soggetti tale valutazione debba provenire, in quali forme e secondo quale modalità, peraltro configurando una valutazione meramente anticipata e astratta del rischio, assai lontana da quei «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica» già richiesti dall'articolo 17 della Costituzione, quali unici motivi che possono giustificare il divieto di riunioni in luogo pubblico;

    inoltre la pena prevista è evidentemente sproporzionata: la reclusione rimane da 3 a 6 anni – la più alta in Europa – dunque per i condannati sarà più complicato accedere alla sospensione condizionale della pena, anche se incensurati, gli inquirenti potranno utilizzare lo strumento delle intercettazioni e la custodia cautelare; la sua entità preclude tra le altre cose, l'accesso dell'imputato alla messa alla prova, che può, per i reati di minor allarme sociale, essere affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede l'esecuzione di un lavoro di pubblica utilità in favore della collettività, svolto presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato e che inoltre l'imputato svolga attività riparative, volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, attività di risarcimento del danno dallo stesso cagionato e, ove possibile, attività di mediazione con la vittima del reato,

impegna il Governo

a riconsiderare, nell'ambito delle sue proprie prerogative, sia la reale necessità sia l'opportunità della introduzione del nuovo reato di cui all'articolo 633-bis «invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», nonché, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ad adottare misure volte ad effettuare un efficace monitoraggio in merito alla sua concreta applicazione, e a riferirne alle Camere, con particolare riferimento alla natura dell'evento reputato criminoso e a quanti procedimenti riconducibili al reato di cui sopra siano stati compiuti allo scopo di realizzare un raduno musicale o ad altro scopo di intrattenimento, nonché all'età degli imputati, al fine di valutare l'opportunità di ridurre la pena nel minimo e nel massimo e di eliminare la multa di cui al comma 1 del nuovo reato 633-bis.
9/705/31. Cuperlo, Baldino.


   La Camera,

   premesso che:

    il gruppo del Partito Democratico ritiene che il decreto-legge in esame, primo atto di un Governo che ha ritenuto necessario utilizzare la decretazione di urgenza per introdurre il nuovo reato di rave party, si inserisca a pieno titolo nel filone del populismo giudiziario e mediatico; si utilizza il diritto penale per contrastare le diversità sociali e culturali, definendo apposite fattispecie criminali, finendo così per scivolare sul crinale della democrazia securitaria;

    il decreto introduce una nuova e indeterminata fattispecie di reato, con una norma mal scritta, che nella sua versione originaria è stata ritenuta potenzialmente applicabile anche alle proteste studentesche, alle manifestazioni politiche ma non solo;

    il rischio, serio, è che la norma colpisca, attraverso un'interpretazione estensiva, anche tutte le altre forme di aggregazione, come manifestazioni sportive, di lavoratori, ovvero tutte le manifestazioni «non autorizzate»;

    anche nella sua versione aggiornata, così come modificata con una necessaria ma insufficiente retromarcia del Governo, restano comunque gravi dubbi sulla fattispecie: il reato rimane «di pericolo», perché si verifica «quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o della incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi»;

    il criterio del pericolo appare troppo generico e vago, generando in questo modo un'anticipazione eccessiva della soglia della punibilità;

    vi è, inoltre, una palese sproporzione rispetto all'entità della pena, contravvenendo in tal modo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza: non si tratta, dunque, di una norma emendabile, ma di una duplicazione asistematica che crea disordine nell'ordinamento e rischia di mettere in difficoltà gli operatori del diritto e le forze dell'ordine, che andava dunque solo soppressa;

    tale norma, anche dopo le modifiche introdotte al Senato, appare gravemente carente del requisito di tassatività, prescritto dall'articolo 25 della Costituzione, nella misura in cui non individua con sufficiente chiarezza il perimetro delle condotte sanzionate in relazione alle forme, ai modi e ai criteri di valutazione della loro pericolosità, oltre alla mancata individuazione del soggetto competente ad effettuare tale valutazione;

    essa appare altresì non rispettosa del principio di ragionevolezza e lesiva dell'articolo 3 della Costituzione sotto il profilo della quantificazione della pena, irragionevolmente aggravata rispetto a quella prevista per la fattispecie largamente analoga di cui all'articolo 633 del codice penale;

    nessun requisito di necessità ed urgenza è inoltre ravvisabile con riferimento all'articolo 5, che si configura inoltre come una norma potenzialmente lesiva dell'articolo 17 della Costituzione, nella misura in cui la nuova fattispecie di reato appare potenzialmente suscettibile di applicazione a tutte le riunioni, ivi comprese quelle in luogo pubblico, e laddove aggiunge alle ragioni di pericolosità già previste dall'articolo 17 della Costituzione, anche l'esistenza di rischi per l'ordine pubblico e la salute pubblica, senza chiarire da quali soggetti tale valutazione debba provenire, in quali forme e secondo quale modalità, peraltro configurando una valutazione meramente anticipata e astratta del rischio, assai lontana da quei «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica» già richiesti dall'articolo 17 della Costituzione, quali unici motivi che possono giustificare il divieto di riunioni in luogo pubblico;

    inoltre la pena prevista è evidentemente sproporzionata: la reclusione rimane da 3 a 6 anni – la più alta in Europa – dunque per i condannati sarà più complicato accedere alla sospensione condizionale della pena, anche se incensurati, gli inquirenti potranno utilizzare lo strumento delle intercettazioni e la custodia cautelare; la sua entità preclude tra le altre cose, l'accesso dell'imputato alla messa alla prova, che può, per i reati di minor allarme sociale, essere affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede l'esecuzione di un lavoro di pubblica utilità in favore della collettività, svolto presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato che inoltre l'imputato svolga attività riparative, volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, attività di risarcimento del danno dallo stesso cagionato e, ove possibile, attività di mediazione con la vittima del reato,

impegna il Governo

a riconsiderare, nell'ambito delle sue proprie prerogative, sia la reale necessità sia l'opportunità della introduzione del nuovo reato di cui all'articolo 633-bis «invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», nonché, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ad adottare misure volte ad effettuare un efficace monitoraggio in merito alla sua concreta applicazione, e a riferirne alle Camere, con particolare riferimento alla natura dell'evento reputato criminoso e a quanti procedimenti riconducibili al reato di cui sopra siano stati compiuti allo scopo di realizzare un raduno musicale o ad altro scopo di intrattenimento, nonché all'età degli imputati, al fine di valutare l'opportunità di ridurre la pena nel minimo e nel massimo e di eliminare la multa di cui al comma 1 del nuovo reato 633-bis nonché la confisca obbligatoria di cui al comma 2 del medesimo articolo.
9/705/32. Tabacci, Borrelli, Provenzano, Laus, Alfonso Colucci.


   La Camera,

   premesso che:

    il gruppo del Partito Democratico ritiene che il decreto-legge in esame, primo atto di un Governo che ha ritenuto necessario utilizzare la decretazione di urgenza per introdurre il nuovo reato di rave party, si inserisca a pieno titolo nel filone del populismo giudiziario e mediatico; si utilizza il diritto penale per contrastare le diversità sociali e culturali, definendo apposite fattispecie criminali, finendo così per scivolare sul crinale della democrazia securitaria;

    il decreto introduce una nuova e indeterminata fattispecie di reato, con una norma mal scritta, che nella sua versione originaria è stata ritenuta potenzialmente applicabile anche alle proteste studentesche, alle manifestazioni politiche ma non solo;

    il rischio, serio, è che la norma colpisca, attraverso un'interpretazione estensiva, anche tutte le altre forme di aggregazione, come manifestazioni sportive, di lavoratori, ovvero tutte le manifestazioni «non autorizzate»;

    anche nella sua versione aggiornata, così come modificata con una necessaria ma insufficiente retromarcia del Governo, restano comunque gravi dubbi sulla fattispecie: il reato rimane «di pericolo», perché si verifica «quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o della incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi»;

    il criterio del pericolo appare troppo generico e vago, generando in questo modo un'anticipazione eccessiva della soglia della punibilità;

    vi è, inoltre, una palese sproporzione rispetto all'entità della pena, contravvenendo in tal modo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza: non si tratta, dunque, di una norma emendabile, ma di una duplicazione asistematica che crea disordine nell'ordinamento e rischia di mettere in difficoltà gli operatori del diritto e le forze dell'ordine, che andava dunque solo soppressa;

    tale norma, anche dopo le modifiche introdotte al Senato, appare gravemente carente del requisito di tassatività, prescritto dall'articolo 25 della Costituzione, nella misura in cui non individua con sufficiente chiarezza il perimetro delle condotte sanzionate in relazione alle forme, ai modi e ai criteri di valutazione della loro pericolosità, oltre alla mancata individuazione del soggetto competente ad effettuare tale valutazione;

    la norma appare altresì non rispettosa del principio di ragionevolezza e lesiva dell'articolo 3 della Costituzione sotto il profilo della quantificazione della pena, irragionevolmente aggravata rispetto a quella prevista per la fattispecie largamente analoga di cui all'articolo 633 del codice penale;

    nessun requisito di necessità ed urgenza è inoltre ravvisabile con riferimento all'articolo 5, che si configura inoltre come una norma potenzialmente lesiva dell'articolo 17 della Costituzione, nella misura in cui la nuova fattispecie di reato appare potenzialmente suscettibile di applicazione a tutte le riunioni, ivi comprese quelle in luogo pubblico, e laddove aggiunge alle ragioni di pericolosità già previste dall'articolo 17 della Costituzione, anche l'esistenza di rischi per l'ordine pubblico e la salute pubblica, senza chiarire da quali soggetti tale valutazione debba provenire, in quali forme e secondo quale modalità, peraltro configurando una valutazione meramente anticipata e astratta del rischio, assai lontana da quei «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica» già richiesti dall'articolo 17 della Costituzione, quali unici motivi che possono giustificare il divieto di riunioni in luogo pubblico;

    inoltre la pena prevista è evidentemente sproporzionata: la reclusione rimane da 3 a 6 anni – la più alta in Europa – dunque per i condannati sarà più complicato accedere alla sospensione condizionale della pena, anche se incensurati, gli inquirenti potranno utilizzare lo strumento delle intercettazioni e la custodia cautelare; la sua entità preclude tra le altre cose, l'accesso dell'imputato alla messa alla prova, che può, per i reati di minor allarme sociale, essere affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede l'esecuzione di un lavoro di pubblica utilità in favore della collettività, svolto presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato e che inoltre l'imputato svolga attività riparative, volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, attività di risarcimento del danno dallo stesso cagionato e, ove possibile, attività di mediazione con la vittima del reato,

impegna il Governo

nell'ambito delle sue proprie prerogative a rivedere la reale necessità e opportunità della introduzione del nuovo reato, articolo 633-bis «invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», con particolare riferimento all'entità della pena, per valutare la necessità di ridurla nel minino e nel massimo, nonché, entro un mese dalla approvazione della presente legge, ad adottare misure volte ad effettuare un efficace monitoraggio relativo alla sua applicazione e riferirne alle Camere entro novanta giorni dalla dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, con particolare riferimento al numero dei procedimenti relativi al nuovo reato introdotto dal decreto in esame, all'età dei partecipanti all'evento, nonché alla tipologia e alla finalità del raduno di cui alla nuova fattispecie criminosa introdotta dal presente decreto.
9/705/33. Mauri, Baldino, Mancini.


   La Camera,

   premesso che:

    il gruppo del Partito Democratico ritiene che il decreto-legge in esame, primo atto di un Governo che ha ritenuto necessario utilizzare la decretazione di urgenza per introdurre il nuovo reato di rave party, si inserisca a pieno titolo nel filone del populismo giudiziario e mediatico; si utilizza il diritto penale per contrastare le diversità sociali e culturali, definendo apposite fattispecie criminali, finendo così per scivolare sul crinale della democrazia securitaria;

    il decreto introduce una nuova e indeterminata fattispecie di reato, con una norma mal scritta, che nella sua versione originaria è stata ritenuta potenzialmente applicabile anche alle proteste studentesche, alle manifestazioni politiche ma non solo;

    il rischio, serio, è che la norma colpisca, attraverso un'interpretazione estensiva, anche tutte le altre forme di aggregazione, come manifestazioni sportive, di lavoratori, ovvero tutte le manifestazioni «non autorizzate»;

    anche nella sua versione aggiornata, così come modificata con una necessaria ma insufficiente retromarcia del Governo, restano comunque gravi dubbi sulla fattispecie: il reato rimane «di pericolo», perché si verifica «quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o della incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi»;

    il criterio del pericolo appare troppo generico e vago, generando in questo modo un'anticipazione eccessiva della soglia della punibilità;

    vi è, inoltre, una palese sproporzione rispetto all'entità della pena, contravvenendo in tal modo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza: non si tratta, dunque, di una norma emendabile, ma di una duplicazione asistematica che crea disordine nell'ordinamento e rischia di mettere in difficoltà gli operatori del diritto e le forze dell'ordine, che andava dunque solo soppressa;

    tale norma, anche dopo le modifiche introdotte al Senato, appare gravemente carente del requisito di tassatività, prescritto dall'articolo 25 della Costituzione, nella misura in cui non individua con sufficiente chiarezza il perimetro delle condotte sanzionate in relazione alle forme, ai modi e ai criteri di valutazione della loro pericolosità, oltre alla mancata individuazione del soggetto competente ad effettuare tale valutazione;

    la norma appare altresì non rispettosa del principio di ragionevolezza e lesiva dell'articolo 3 della Costituzione sotto il profilo della quantificazione della pena, irragionevolmente aggravata rispetto a quella prevista per la fattispecie largamente analoga di cui all'articolo 633 del codice penale;

    nessun requisito di necessità ed urgenza è inoltre ravvisabile con riferimento all'articolo 5, che si configura inoltre come una norma potenzialmente lesiva dell'articolo 17 della Costituzione, nella misura in cui la nuova fattispecie di reato appare potenzialmente suscettibile di applicazione a tutte le riunioni, ivi comprese quelle in luogo pubblico, e laddove aggiunge alle ragioni di pericolosità già previste dall'articolo 17 della Costituzione, anche l'esistenza di rischi per l'ordine pubblico e la salute pubblica, senza chiarire da quali soggetti tale valutazione debba provenire, in quali forme e secondo quale modalità, peraltro configurando una valutazione meramente anticipata e astratta del rischio, assai lontana da quei «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica» già richiesti dall'articolo 17 della Costituzione, quali unici motivi che possono giustificare il divieto di riunioni in luogo pubblico;

    inoltre la pena prevista è evidentemente sproporzionata: la reclusione rimane da 3 a 6 anni – la più alta in Europa – dunque per i condannati sarà più complicato accedere alla sospensione condizionale della pena, anche se incensurati, gli inquirenti potranno utilizzare lo strumento delle intercettazioni e la custodia cautelare; la sua entità preclude tra le altre cose, l'accesso dell'imputato alla messa alla prova, che può, per i reati di minor allarme sociale, essere affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede l'esecuzione di un lavoro di pubblica utilità in favore della collettività, svolto presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato e che inoltre l'imputato svolga attività riparative, volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, attività di risarcimento del danno dallo stesso cagionato e, ove possibile, attività di mediazione con la vittima del reato,

impegna il Governo

nell'ambito delle sue proprie prerogative a rivedere sia la reale necessità sia l'opportunità della introduzione del nuovo reato, articolo 633-bis «invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», nonché, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ad adottare misure volte ad effettuare un efficace monitoraggio relativo alla sua applicazione, con particolare riferimento alla natura dell'evento reputato criminoso, e se la condotta sia effettivamente riconducibile allo scopo di realizzare un raduno musicale o ad altro scopo di intrattenimento, nonché in riferimento al numero dei partecipanti, all'età, al tipo di pericolo in riferimento ai raduni oggetto dei procedimenti monitorati.
9/705/34.Sarracino, Boldrini, Morassut, Quartapelle Procopio, Gribaudo.


   La Camera,

   premesso che:

    il gruppo del Partito Democratico ritiene che il decreto-legge in esame, primo atto di un Governo che ha ritenuto necessario utilizzare la decretazione di urgenza per introdurre il nuovo reato di rave party, si inserisca a pieno titolo nel filone del populismo giudiziario e mediatico; si utilizza il diritto penale per contrastare le diversità sociali e culturali, definendo apposite fattispecie criminali, finendo così per scivolare sul crinale della democrazia securitaria;

    il decreto introduce una nuova e indeterminata fattispecie di reato, con una norma mal scritta, che nella sua versione originaria è stata ritenuta potenzialmente applicabile anche alle proteste studentesche, alle manifestazioni politiche ma non solo;

    il rischio, serio, è che la norma colpisca, attraverso un'interpretazione estensiva, anche tutte le altre forme di aggregazione, come manifestazioni sportive, di lavoratori, ovvero tutte le manifestazioni «non autorizzate»;

    anche nella sua versione aggiornata, così come modificata con una necessaria ma insufficiente retromarcia del Governo, restano comunque gravi dubbi sulla fattispecie: il reato rimane «di pericolo», perché si verifica «quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o della incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi»;

    il criterio del pericolo appare troppo generico e vago, generando in questo modo un'anticipazione eccessiva della soglia della punibilità;

    vi è, inoltre, una palese sproporzione rispetto all'entità della pena, contravvenendo in tal modo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza: non si tratta, dunque, di una norma emendabile, ma di una duplicazione asistematica che crea disordine nell'ordinamento e rischia di mettere in difficoltà gli operatori del diritto e le forze dell'ordine, che andava dunque solo soppressa;

    tale norma, anche dopo le modifiche introdotte al Senato, appare gravemente carente del requisito di tassatività, prescritto dall'articolo 25 della Costituzione, nella misura in cui non individua con sufficiente chiarezza il perimetro delle condotte sanzionate in relazione alle forme, ai modi e ai criteri di valutazione della loro pericolosità, oltre alla mancata individuazione del soggetto competente ad effettuare tale valutazione;

    la norma appare altresì non rispettosa del principio di ragionevolezza e lesiva dell'articolo 3 della Costituzione sotto il profilo della quantificazione della pena, irragionevolmente aggravata rispetto a quella prevista per la fattispecie largamente analoga di cui all'articolo 633 del codice penale;

    nessun requisito di necessità ed urgenza è inoltre ravvisabile con riferimento all'articolo 5, che si configura inoltre come una norma potenzialmente lesiva dell'articolo 17 della Costituzione, nella misura in cui la nuova fattispecie di reato appare potenzialmente suscettibile di applicazione a tutte le riunioni, ivi comprese quelle in luogo pubblico, e laddove aggiunge alle ragioni di pericolosità già previste dall'articolo 17 della Costituzione, anche l'esistenza di rischi per l'ordine pubblico e la salute pubblica, senza chiarire da quali soggetti tale valutazione debba provenire, in quali forme e secondo quale modalità, peraltro configurando una valutazione meramente anticipata e astratta del rischio, assai lontana da quei «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica» già richiesti dall'articolo 17 della Costituzione, quali unici motivi che possono giustificare il divieto di riunioni in luogo pubblico;

    inoltre la pena prevista è evidentemente sproporzionata: la reclusione rimane da 3 a 6 anni – la più alta in Europa – dunque per i condannati sarà più complicato accedere alla sospensione condizionale della pena, anche se incensurati, gli inquirenti potranno utilizzare lo strumento delle intercettazioni e la custodia cautelare; la sua entità preclude tra le altre cose, l'accesso dell'imputato alla messa alla prova, che può, per i reati di minor allarme sociale, essere affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede l'esecuzione di un lavoro di pubblica utilità in favore della collettività, svolto presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato e che inoltre l'imputato svolga attività riparative, volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, attività di risarcimento del danno dallo stesso cagionato e, ove possibile, attività di mediazione con la vittima del reato,

impegna il Governo

nell'ambito delle sue proprie prerogative a rivedere sia la reale necessità sia l'opportunità della introduzione del nuovo reato, articolo 633-bis «invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», nonché, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ad adottare misure volte ad effettuare un efficace monitoraggio, e a renderne i risultati e i relativi dati accessibili e disponibili sul sito del Ministero della giustizia, in merito all'applicazione delle nuove norme, con particolare riferimento alla natura dell'evento reputato criminoso, a quanti procedimenti riconducibili al reato di cui sopra siano stati compiuti allo scopo di realizzare un raduno musicale o ad altro scopo di intrattenimento, quale tipo di spettacolo o altro tipo di intrattenimento riguardi, nonché alla fascia di età degli imputati e alla presenza eventuale di imputati con ridotta capacità.
9/705/35.Forattini, Iacono.


   La Camera,

   premesso che:

    il gruppo del Partito Democratico ritiene che il decreto-legge in esame, primo atto di un Governo che ha ritenuto necessario utilizzare la decretazione di urgenza per introdurre il nuovo reato di rave party, si inserisca a pieno titolo nel filone del populismo giudiziario e mediatico; si utilizza il diritto penale per contrastare le diversità sociali e culturali, definendo apposite fattispecie criminali, finendo così per scivolare sul crinale della democrazia securitaria;

    il decreto introduce una nuova e indeterminata fattispecie di reato, con una norma mal scritta, che nella sua versione originaria è stata ritenuta potenzialmente applicabile anche alle proteste studentesche, alle manifestazioni politiche ma non solo;

    il rischio, serio, è che la norma colpisca, attraverso un'interpretazione estensiva, anche tutte le altre forme di aggregazione, come manifestazioni sportive, di lavoratori, ovvero tutte le manifestazioni «non autorizzate»;

    anche nella sua versione aggiornata, così come modificata con una necessaria ma insufficiente retromarcia del Governo, restano comunque gravi dubbi sulla fattispecie: il reato rimane «di pericolo», perché si verifica «quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o della incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi»;

    il criterio del pericolo appare troppo generico e vago, generando in questo modo un'anticipazione eccessiva della soglia della punibilità;

    vi è, inoltre, una palese sproporzione rispetto all'entità della pena, contravvenendo in tal modo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza: non si tratta, dunque, di una norma emendabile, ma di una duplicazione asistematica che crea disordine nell'ordinamento e rischia di mettere in difficoltà gli operatori del diritto e le forze dell'ordine, che andava dunque solo soppressa;

    tale norma, anche dopo le modifiche introdotte al Senato, appare gravemente carente del requisito di tassatività, prescritto dall'articolo 25 della Costituzione, nella misura in cui non individua con sufficiente chiarezza il perimetro delle condotte sanzionate in relazione alle forme, ai modi e ai criteri di valutazione della loro pericolosità, oltre alla mancata individuazione del soggetto competente ad effettuare tale valutazione;

    la norma appare altresì non rispettosa del principio di ragionevolezza e lesiva dell'articolo 3 della Costituzione sotto il profilo della quantificazione della pena, irragionevolmente aggravata rispetto a quella prevista per la fattispecie largamente analoga di cui all'articolo 633 del codice penale;

    nessun requisito di necessità ed urgenza è inoltre ravvisabile con riferimento all'articolo 5, che si configura inoltre come una norma potenzialmente lesiva dell'articolo 17 della Costituzione, nella misura in cui la nuova fattispecie di reato appare potenzialmente suscettibile di applicazione a tutte le riunioni, ivi comprese quelle in luogo pubblico, e laddove aggiunge alle ragioni di pericolosità già previste dall'articolo 17 della Costituzione, anche l'esistenza di rischi per l'ordine pubblico e la salute pubblica, senza chiarire da quali soggetti tale valutazione debba provenire, in quali forme e secondo quale modalità, peraltro configurando una valutazione meramente anticipata e astratta del rischio, assai lontana da quei «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica» già richiesti dall'articolo 17 della Costituzione, quali unici motivi che possono giustificare il divieto di riunioni in luogo pubblico;

    inoltre la pena prevista è evidentemente sproporzionata: la reclusione rimane da 3 a 6 anni – la più alta in Europa – dunque per i condannati sarà più complicato accedere alla sospensione condizionale della pena, anche se incensurati, gli inquirenti potranno utilizzare lo strumento delle intercettazioni e la custodia cautelare; la sua entità preclude tra le altre cose, l'accesso dell'imputato alla messa alla prova, che può, per i reati di minor allarme sociale, essere affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede l'esecuzione di un lavoro di pubblica utilità in favore della collettività, svolto presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato e che inoltre l'imputato svolga attività riparative, volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, attività di risarcimento del danno dallo stesso cagionato e, ove possibile, attività di mediazione con la vittima del reato,

impegna il Governo

nell'ambito delle sue proprie prerogative a rivedere sia la reale necessità sia l'opportunità della introduzione del nuovo reato, articolo 633-bis «invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», con particolare riferimento all'eccessiva entità della pena, che preclude la possibilità, proprio per una tipologia di autori di reato che sua natura intrinseca è prevalentemente composta da giovani, di accedere all'istituto della messa alla prova, mutuato proprio dalla probation efficacemente utilizzata nel processo minorile, contravvenendo in modo evidente al principio costituzionale della funzione rieducativa della pena di cui all'articolo 27 della Costituzione.
9/705/36.Merola.


   La Camera,

   premesso che:

    il gruppo del Partito Democratico ritiene che il decreto-legge in esame, primo atto di un Governo che ha ritenuto necessario utilizzare la decretazione di urgenza per introdurre il nuovo reato di rave party, si inserisca a pieno titolo nel filone del populismo giudiziario e mediatico; si utilizza il diritto penale per contrastare le diversità sociali e culturali, definendo apposite fattispecie criminali, finendo così per scivolare sul crinale della democrazia securitaria;

    il decreto introduce una nuova e indeterminata fattispecie di reato, con una norma mal scritta, che nella sua versione originaria è stata ritenuta potenzialmente applicabile anche alle proteste studentesche, alle manifestazioni politiche ma non solo;

    il rischio, serio, è che la norma colpisca, attraverso un'interpretazione estensiva, anche tutte le altre forme di aggregazione, come manifestazioni sportive, di lavoratori, ovvero tutte le manifestazioni «non autorizzate»;

    anche nella sua versione aggiornata, così come modificata con una necessaria ma insufficiente retromarcia del Governo, restano comunque gravi dubbi sulla fattispecie: il reato rimane «di pericolo», perché si verifica «quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o della incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi»;

    il criterio del pericolo appare troppo generico e vago, generando in questo modo un'anticipazione eccessiva della soglia della punibilità;

    vi è, inoltre, una palese sproporzione rispetto all'entità della pena, contravvenendo in tal modo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza: non si tratta, dunque, di una norma emendabile, ma di una duplicazione asistematica che crea disordine nell'ordinamento e rischia di mettere in difficoltà gli operatori del diritto e le forze dell'ordine, che andava dunque solo soppressa;

    tale norma, anche dopo le modifiche introdotte al Senato, appare gravemente carente del requisito di tassatività, prescritto dall'articolo 25 della Costituzione, nella misura in cui non individua con sufficiente chiarezza il perimetro delle condotte sanzionate in relazione alle forme, ai modi e ai criteri di valutazione della loro pericolosità, oltre alla mancata individuazione del soggetto competente ad effettuare tale valutazione;

    la norma appare altresì non rispettosa del principio di ragionevolezza e lesiva dell'articolo 3 della Costituzione sotto il profilo della quantificazione della pena, irragionevolmente aggravata rispetto a quella prevista per la fattispecie largamente analoga di cui all'articolo 633 del codice penale;

    nessun requisito di necessità ed urgenza è inoltre ravvisabile con riferimento all'articolo 5, che si configura inoltre come una norma potenzialmente lesiva dell'articolo 17 della Costituzione, nella misura in cui la nuova fattispecie di reato appare potenzialmente suscettibile di applicazione a tutte le riunioni, ivi comprese quelle in luogo pubblico, e laddove aggiunge alle ragioni di pericolosità già previste dall'articolo 17 della Costituzione, anche l'esistenza di rischi per l'ordine pubblico e la salute pubblica, senza chiarire da quali soggetti tale valutazione debba provenire, in quali forme e secondo quale modalità, peraltro configurando una valutazione meramente anticipata e astratta del rischio, assai lontana da quei «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica» già richiesti dall'articolo 17 della Costituzione, quali unici motivi che possono giustificare il divieto di riunioni in luogo pubblico;

    inoltre la pena prevista è evidentemente sproporzionata: la reclusione rimane da 3 a 6 anni – la più alta in Europa – dunque per i condannati sarà più complicato accedere alla sospensione condizionale della pena, anche se incensurati, gli inquirenti potranno utilizzare lo strumento delle intercettazioni e la custodia cautelare; la sua entità preclude tra le altre cose, l'accesso dell'imputato alla messa alla prova, che può, per i reati di minor allarme sociale, essere affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede l'esecuzione di un lavoro di pubblica utilità in favore della collettività, svolto presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato e che inoltre l'imputato svolga attività riparative, volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, attività di risarcimento del danno dallo stesso cagionato e, ove possibile, attività di mediazione con la vittima del reato,

impegna il Governo

nell'ambito delle sue proprie prerogative a rivedere la reale necessità nonché l'opportunità della introduzione del nuovo reato, articolo 633-bis «invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», nonché, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ad adottare misure volte ad effettuare un efficace monitoraggio in merito alla sua concreta applicazione, e a riferirne alle Camere, con particolare riferimento alla natura dell'evento reputato criminoso, a quanti procedimenti riconducibili al reato di cui sopra siano stati compiuti allo scopo di realizzare un raduno musicale o ad altro scopo di intrattenimento, nonché all'età degli imputati, al fine di valutare l'opportunità di ridurre la pena nel minimo e nel massimo al fine di permettere, agli imputati, di accedere a programmi di giustizia riparativa di pubblica utilità, in osservanza dell'articolo 27 della Costituzione, anche al fine di ottenere una riduzione del tasso di recidiva.
9/705/37.Serracchiani.


   La Camera,

   premesso che:

    il gruppo del Partito Democratico ritiene che il decreto-legge in esame, primo atto di un Governo che ha ritenuto necessario utilizzare la decretazione di urgenza per introdurre il nuovo reato di rave party, si inserisca a pieno titolo nel filone del populismo giudiziario e mediatico; si utilizza il diritto penale per contrastare le diversità sociali e culturali, definendo apposite fattispecie criminali, finendo così per scivolare sul crinale della democrazia securitaria;

    il decreto introduce una nuova e indeterminata fattispecie di reato, con una norma mal scritta, che nella sua versione originaria è stata ritenuta potenzialmente applicabile anche alle proteste studentesche, alle manifestazioni politiche ma non solo;

    il rischio, serio, è che la norma colpisca, attraverso un'interpretazione estensiva, anche tutte le altre forme di aggregazione, come manifestazioni sportive, di lavoratori, ovvero tutte le manifestazioni «non autorizzate»;

    anche nella sua versione aggiornata, così come modificata con una necessaria ma insufficiente retromarcia del Governo, restano comunque gravi dubbi sulla fattispecie: il reato rimane «di pericolo», perché si verifica «quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o della incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi»;

    il criterio del pericolo appare troppo generico e vago, generando in questo modo un'anticipazione eccessiva della soglia della punibilità;

    vi è, inoltre, una palese sproporzione rispetto all'entità della pena, contravvenendo in tal modo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza: non si tratta, dunque, di una norma emendabile, ma di una duplicazione asistematica che crea disordine nell'ordinamento e rischia di mettere in difficoltà gli operatori del diritto e le forze dell'ordine, che andava dunque solo soppressa;

    tale norma, anche dopo le modifiche introdotte al Senato, appare gravemente carente del requisito di tassatività, prescritto dall'articolo 25 della Costituzione, nella misura in cui non individua con sufficiente chiarezza il perimetro delle condotte sanzionate in relazione alle forme, ai modi e ai criteri di valutazione della loro pericolosità, oltre alla mancata individuazione del soggetto competente ad effettuare tale valutazione;

    la norma appare altresì non rispettosa del principio di ragionevolezza e lesiva dell'articolo 3 della Costituzione sotto il profilo della quantificazione della pena, irragionevolmente aggravata rispetto a quella prevista per la fattispecie largamente analoga di cui all'articolo 633 del codice penale;

    nessun requisito di necessità ed urgenza è inoltre ravvisabile con riferimento all'articolo 5, che si configura inoltre come una norma potenzialmente lesiva dell'articolo 17 della Costituzione, nella misura in cui la nuova fattispecie di reato appare potenzialmente suscettibile di applicazione a tutte le riunioni, ivi comprese quelle in luogo pubblico, e laddove aggiunge alle ragioni di pericolosità già previste dall'articolo 17 della Costituzione, anche l'esistenza di rischi per l'ordine pubblico e la salute pubblica, senza chiarire da quali soggetti tale valutazione debba provenire, in quali forme e secondo quale modalità, peraltro configurando una valutazione meramente anticipata e astratta del rischio, assai lontana da quei «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica» già richiesti dall'articolo 17 della Costituzione, quali unici motivi che possono giustificare il divieto di riunioni in luogo pubblico;

    inoltre la pena prevista è evidentemente sproporzionata: la reclusione rimane da 3 a 6 anni – la più alta in Europa – dunque per i condannati sarà più complicato accedere alla sospensione condizionale della pena, anche se incensurati, gli inquirenti potranno utilizzare lo strumento delle intercettazioni e la custodia cautelare; la sua entità preclude tra le altre cose, l'accesso dell'imputato alla messa alla prova, che può, per i reati di minor allarme sociale, essere affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede l'esecuzione di un lavoro di pubblica utilità in favore della collettività, svolto presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato e che inoltre l'imputato svolga attività riparative, volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, attività di risarcimento del danno dallo stesso cagionato e, ove possibile, attività di mediazione con la vittima del reato,

impegna il Governo

nell'ambito delle sue proprie prerogative ad adottare misure volte ad effettuare un efficace monitoraggio, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, in merito alla sua concreta applicazione, e a riferirne alle Camere, con particolare riferimento al numero dei procedimenti riconducibili al reato di cui sopra che siano stati compiuti allo scopo di realizzare un raduno musicale o ad altro scopo di intrattenimento, e in quanti di essi dalla condotta di cui al comma 1 del nuovo articolo 633-bis sia derivato un concreto pericolo per la salute pubblica o per l'incolumità pubblica a causa della inosservanza delle norme in materia di igiene degli spettacoli.
9/705/38.Scarpa.


   La Camera,

   premesso che:

    il gruppo del Partito Democratico ritiene che il decreto-legge in esame, primo atto di un Governo che ha ritenuto necessario utilizzare la decretazione di urgenza per introdurre il nuovo reato di rave party, si inserisca a pieno titolo nel filone del populismo giudiziario e mediatico; si utilizza il diritto penale per contrastare le diversità sociali e culturali, definendo apposite fattispecie criminali, finendo così per scivolare sul crinale della democrazia securitaria;

    il decreto introduce una nuova e indeterminata fattispecie di reato, con una norma mal scritta, che nella sua versione originaria è stata ritenuta potenzialmente applicabile anche alle proteste studentesche, alle manifestazioni politiche ma non solo;

    il rischio, serio, è che la norma colpisca, attraverso un'interpretazione estensiva, anche tutte le altre forme di aggregazione, come manifestazioni sportive, di lavoratori, ovvero tutte le manifestazioni «non autorizzate»;

    anche nella sua versione aggiornata, così come modificata con una necessaria ma insufficiente retromarcia del Governo, restano comunque gravi dubbi sulla fattispecie: il reato rimane «di pericolo», perché si verifica «quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o della incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi»;

    il criterio del pericolo appare troppo generico e vago, generando in questo modo un'anticipazione eccessiva della soglia della punibilità;

    vi è, inoltre, una palese sproporzione rispetto all'entità della pena, contravvenendo in tal modo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza: non si tratta, dunque, di una norma emendabile, ma di una duplicazione asistematica che crea disordine nell'ordinamento e rischia di mettere in difficoltà gli operatori del diritto e le forze dell'ordine, che andava dunque solo soppressa;

    tale norma, anche dopo le modifiche introdotte al Senato, appare gravemente carente del requisito di tassatività, prescritto dall'articolo 25 della Costituzione, nella misura in cui non individua con sufficiente chiarezza il perimetro delle condotte sanzionate in relazione alle forme, ai modi e ai criteri di valutazione della loro pericolosità, oltre alla mancata individuazione del soggetto competente ad effettuare tale valutazione;

    la norma appare altresì non rispettosa del principio di ragionevolezza e lesiva dell'articolo 3 della Costituzione sotto il profilo della quantificazione della pena, irragionevolmente aggravata rispetto a quella prevista per la fattispecie largamente analoga di cui all'articolo 633 del codice penale;

    nessun requisito di necessità ed urgenza è inoltre ravvisabile con riferimento all'articolo 5, che si configura inoltre come una norma potenzialmente lesiva dell'articolo 17 della Costituzione, nella misura in cui la nuova fattispecie di reato appare potenzialmente suscettibile di applicazione a tutte le riunioni, ivi comprese quelle in luogo pubblico, e laddove aggiunge alle ragioni di pericolosità già previste dall'articolo 17 della Costituzione, anche l'esistenza di rischi per l'ordine pubblico e la salute pubblica, senza chiarire da quali soggetti tale valutazione debba provenire, in quali forme e secondo quale modalità, peraltro configurando una valutazione meramente anticipata e astratta del rischio, assai lontana da quei «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica» già richiesti dall'articolo 17 della Costituzione, quali unici motivi che possono giustificare il divieto di riunioni in luogo pubblico;

    inoltre la pena prevista è evidentemente sproporzionata: la reclusione rimane da 3 a 6 anni – la più alta in Europa – dunque per i condannati sarà più complicato accedere alla sospensione condizionale della pena, anche se incensurati, gli inquirenti potranno utilizzare lo strumento delle intercettazioni e la custodia cautelare; la sua entità preclude tra le altre cose, l'accesso dell'imputato alla messa alla prova, che può, per i reati di minor allarme sociale, essere affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede l'esecuzione di un lavoro di pubblica utilità in favore della collettività, svolto presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato e che inoltre l'imputato svolga attività riparative, volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, attività di risarcimento del danno dallo stesso cagionato e, ove possibile, attività di mediazione con la vittima del reato,

impegna il Governo

nell'ambito delle sue proprie prerogative ad adottare misure volte ad effettuare un efficace monitoraggio in merito alla sua concreta applicazione, e a riferirne alle Camere, con particolare riferimento al numero dei procedimenti riconducibili al reato di cui sopra siano stati compiuti allo scopo di realizzare un raduno musicale o ad altro scopo di intrattenimento, e in quanti di essi dall'invasione sia derivato un concreto pericolo per la salute pubblica o per l'incolumità pubblica a causa della inosservanza delle norme in materia di sicurezza, nonché in merito agli eventuali effettivi danneggiamenti riportati dai luoghi oggetto della condotta criminosa, nonché alla natura del pericolo derivato dalla condotta medesima.
9/705/39.Roggiani, Graziano, Quartapelle Procopio, Ferrari.


   La Camera,

   premesso che:

    il Gruppo del Partito Democratico ritiene che il decreto-legge in esame, primo atto di un Governo che ha ritenuto necessario utilizzare la decretazione di urgenza per introdurre il nuovo reato di «rave party», si inserisca a pieno titolo nel filone del populismo giudiziario e mediatico; si utilizza il diritto penale per contrastare le diversità sodali e culturali, definendo apposite fattispecie criminali, finendo così per scivolare sul crinale della democrazia securitaria;

    il decreto introduce una nuova e indeterminata fattispecie di reato, con una norma mal scritta, che nella sua versione originaria è stata ritenuta potenzialmente applicabile anche alle proteste studentesche, alle manifestazioni politiche ma non solo;

    il rischio, serio, è che la norma colpisca, attraverso un'interpretazione estensiva, anche tutte le altre forme di aggregazione, come manifestazioni sportive, di lavoratori, ovvero tutte le manifestazioni «non autorizzate»;

    anche nella sua versione aggiornata, così come modificata con una necessaria ma insufficiente retromarcia del Governo, restano comunque gravi dubbi sulla fattispecie: il reato rimane «di pericolo», perché si verifica «quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o della incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi»; il criterio del pericolo appare troppo generico e vago, generando in questo modo un'anticipazione eccessiva della soglia della punibilità;

    vi è, inoltre, una palese sproporzione rispetto all'entità della pena, contravvenendo in tal modo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza: non si tratta, dunque, di una norma emendabile, ma di una duplicazione asistematica che crea disordine nell'ordinamento e rischia di mettere in difficoltà gli operatori del diritto e le forze dell'ordine, che andava dunque solo soppressa;

    tale norma, anche dopo le modifiche introdotte al Senato, appare gravemente carente del requisito di tassatività, prescritto dall'articolo 25 della Costituzione, nella misura in cui non individua con sufficiente chiarezza il perimetro delle condotte sanzionate in relazione alle forme, ai modi e ai criteri di valutazione della loro pericolosità, oltre alla mancata individuazione del soggetto competente ad effettuare tale valutazione;

    essa appare altresì non rispettosa del principio di ragionevolezza e lesiva dell'articolo 3 della Costituzione sotto il profilo della quantificazione della pena, irragionevolmente aggravata rispetto a quella prevista per la fattispecie largamente analoga di cui all'articolo 633 del codice penale;

    nessun requisito di necessità ed urgenza è inoltre ravvisabile con riferimento all'articolo 5, che si configura inoltre come una norma potenzialmente lesiva dell'articolo 17 della Costituzione, nella misura in cui la nuova fattispecie di reato appare potenzialmente suscettibile di applicazione a tutte le riunioni, ivi comprese quelle in luogo pubblico, e laddove aggiunge alle ragioni di pericolosità già previste dall'articolo 17 della Costituzione, anche l'esistenza di rischi per l'ordine pubblico e la salute pubblica, senza chiarire da quali soggetti tale valutazione debba provenire, in quali forme e secondo quale modalità, peraltro configurando una valutazione meramente anticipata e astratta del rischio, assai lontana da quei «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica» già richiesti dall'articolo 17 della Costituzione, quali unici motivi che possono giustificare il divieto di riunioni in luogo pubblico;

    inoltre la pena prevista è evidentemente sproporzionata: la reclusione rimane da 3 a 6 anni – la più alta in Europa – dunque per i condannati sarà più complicato accedere alla sospensione condizionale della pena, anche se incensurati, gli inquirenti potranno utilizzare lo strumento delle intercettazioni e la custodia cautelare; la sua entità preclude tra le altre cose, l'accesso dell'imputato alla messa alla prova, che può, per i reati di minor allarme sociale, essere affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede l'esecuzione di un lavoro di pubblica utilità in favore della collettività, svolto presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato e che svolga, inoltre, inoltre, che l'imputato svolga attività riparative, volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, attività di risarcimento del danno dallo stesso cagionato e, ove possibile, attività di mediazione con la vittima del reato,

impegna il Governo

a riconsiderare, nell'ambito delle sue proprie prerogative, sia la reale necessità sia l'opportunità della introduzione del nuovo reato di cui all'articolo 633-bis «Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», nonché, entro sessanta giorni dalla approvazione della presente legge, ad adottare misure volte ad effettuare un efficace monitoraggio in merito alla sua concreta applicazione, con particolare riferimento alla natura dell'evento reputato criminoso e a quanti procedimenti riconducibili al reato di cui sopra siano stati compiuti allo scopo di realizzare un raduno musicale o ad altro scopo di intrattenimento, e di che tipo di intrattenimento si sia trattato, considerata la genericità della definizione, nonché all'età degli imputati, alla eventuale presenza di incapaci o minori non imputabili al fine di valutare l'opportunità di ridurre la pena nel minimo e nel massimo o di prevedere la eliminazione della intera fattispecie di reato, nonché di presentare i risultati del monitoraggio al Parlamento entro sei mesi dall'entrata in vigore del presente decreto.
9/705/40.Ubaldo Pagano.


   La Camera,

   premesso che:

    il Gruppo del Partito Democratico ritiene che il decreto-legge in esame, primo atto di un Governo che ha ritenuto necessario utilizzare la decretazione di urgenza per introdurre il nuovo reato di rave party, si inserisca a pieno titolo nel filone del populismo giudiziario e mediatico; si utilizza il diritto penale per contrastare le diversità sociali e culturali, definendo apposite fattispecie criminali, finendo così per scivolare sul crinale della democrazia securitaria;

    il decreto introduce una nuova e indeterminata fattispecie di reato, con una norma mal scritta, che nella sua versione originaria è stata ritenuta potenzialmente applicabile anche alle proteste studentesche, alle manifestazioni politiche ma non solo;

    il rischio, serio, è che la norma colpisca, attraverso un'interpretazione estensiva, anche tutte le altre forme di aggregazione, come manifestazioni sportive, di lavoratori, ovvero tutte le manifestazioni «non autorizzate»;

    anche nella sua versione aggiornata, così come modificata con una necessaria ma insufficiente retromarcia del Governo, restano comunque gravi dubbi sulla fattispecie: il reato rimane «di pericolo», perché si verifica «quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o della incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi»;

    il criterio del pericolo appare troppo generico e vago, generando in questo modo un'anticipazione eccessiva della soglia della punibilità;

    vi è, inoltre, una palese sproporzione rispetto all'entità della pena, contravvenendo in tal modo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza: non si tratta, dunque, di una norma emendabile, ma di una duplicazione asistematica che crea disordine nell'ordinamento e rischia di mettere in difficoltà gli operatori del diritto e le forze dell'ordine, che andava dunque solo soppressa;

    tale norma, anche dopo le modifiche introdotte al Senato, appare gravemente carente del requisito di tassatività, prescritto dall'articolo 25 della Costituzione, nella misura in cui non individua con sufficiente chiarezza il perimetro delle condotte sanzionate in relazione alle forme, ai modi e ai criteri di valutazione della loro pericolosità, oltre alla mancata individuazione del soggetto competente ad effettuare tale valutazione;

    la norma appare altresì non rispettosa del principio di ragionevolezza e lesiva dell'articolo 3 della Costituzione sotto il profilo della quantificazione della pena, irragionevolmente aggravata rispetto a quella prevista per la fattispecie largamente analoga di cui all'articolo 633 del codice penale;

    nessun requisito di necessità ed urgenza è inoltre ravvisabile con riferimento all'articolo 5, che si configura inoltre come una norma potenzialmente lesiva dell'articolo 17 della Costituzione, nella misura in cui la nuova fattispecie di reato appare potenzialmente suscettibile di applicazione a tutte le riunioni, ivi comprese quelle in luogo pubblico, e laddove aggiunge alle ragioni di pericolosità già previste dall'articolo 17 della Costituzione, anche l'esistenza di rischi per l'ordine pubblico e la salute pubblica, senza chiarire da quali soggetti tale valutazione debba provenire, in quali forme e secondo quale modalità, peraltro configurando una valutazione meramente anticipata e astratta del rischio, assai lontana da quei «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica» già richiesti dall'articolo 17 della Costituzione, quali unici motivi che possono giustificare il divieto di riunioni in luogo pubblico;

    inoltre la pena prevista è evidentemente sproporzionata: la reclusione rimane da 3 a 6 anni – la più alta in Europa – dunque per i condannati sarà più complicato accedere alla sospensione condizionale della pena, anche se incensurati, gli inquirenti potranno utilizzare lo strumento delle intercettazioni e la custodia cautelare; la sua entità preclude tra le altre cose, l'accesso dell'imputato alla messa alla prova, che può, per i reati di minor allarme sociale, essere affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede l'esecuzione di un lavoro di pubblica utilità in favore della collettività, svolto presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato e che inoltre l'imputato svolga attività riparative, volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, attività di risarcimento del danno dallo stesso cagionato e, ove possibile, attività di mediazione con la vittima del reato,

impegna il Governo

a riconsiderare, nell'ambito delle sue proprie prerogative, sia la reale necessità sia l'opportunità della introduzione del nuovo reato di cui all'articolo 633-bis «Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», nonché, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ad adottare misure volte ad effettuare un efficace monitoraggio in merito alla sua concreta applicazione, e a riferirne alle Camere, con particolare riferimento alla natura dell'evento reputato criminoso e a quanti procedimenti riconducibili al reato di cui sopra siano stati compiuti allo scopo di realizzare un raduno musicale o ad altro scopo di intrattenimento, nonché all'età degli imputati, anche al fine di valutare l'opportunità di meglio definire la locuzione di «manifestazione pubblica di intrattenimento», considerato che il concetto di intrattenimento appare vago e potenzialmente comprensivo, tra le altre, di attività teatrali, cinematografiche, ricreative.
9/705/41. Vaccari, Casu.


   La Camera,

   premesso che:

    il Gruppo del Partito Democratico ritiene che il decreto-legge in esame, primo atto di un Governo che ha ritenuto necessario utilizzare la decretazione di urgenza per introdurre il nuovo reato di rave party, si inserisca a pieno titolo nel filone del populismo giudiziario e mediatico; si utilizza il diritto penale per contrastare le diversità sociali e culturali, definendo apposite fattispecie criminali, finendo così per scivolare sul crinale della democrazia securitaria;

    il decreto introduce una nuova e indeterminata fattispecie di reato, con una norma mal scritta, che nella sua versione originaria è stata ritenuta potenzialmente applicabile anche alle proteste studentesche, alle manifestazioni politiche ma non solo;

    il rischio, serio, è che la norma colpisca, attraverso un'interpretazione estensiva, anche tutte le altre forme di aggregazione, come manifestazioni sportive, di lavoratori, ovvero tutte le manifestazioni «non autorizzate»;

    anche nella sua versione aggiornata, così come modificata con una necessaria ma insufficiente retromarcia del Governo, restano comunque gravi dubbi sulla fattispecie: il reato rimane «di pericolo», perché si verifica «quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o della incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi»;

    il criterio del pericolo appare troppo generico e vago, generando in questo modo un'anticipazione eccessiva della soglia della punibilità;

    vi è, inoltre, una palese sproporzione rispetto all'entità della pena, contravvenendo in tal modo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza: non si tratta, dunque, di una norma emendabile, ma di una duplicazione asistematica che crea disordine nell'ordinamento e rischia di mettere in difficoltà gli operatori del diritto e le forze dell'ordine, che andava dunque solo soppressa;

    tale norma, anche dopo le modifiche introdotte al Senato, appare gravemente carente del requisito di tassatività, prescritto dall'articolo 25 della Costituzione, nella misura in cui non individua con sufficiente chiarezza il perimetro delle condotte sanzionate in relazione alle forme, ai modi e ai criteri di valutazione della loro pericolosità, oltre alla mancata individuazione del soggetto competente ad effettuare tale valutazione;

    la norma appare altresì non rispettosa del principio di ragionevolezza e lesiva dell'articolo 3 della Costituzione sotto il profilo della quantificazione della pena, irragionevolmente aggravata rispetto a quella prevista per la fattispecie largamente analoga di cui all'articolo 633 del codice penale;

    nessun requisito di necessità ed urgenza è inoltre ravvisabile con riferimento all'articolo 5, che si configura inoltre come una norma potenzialmente lesiva dell'articolo 17 della Costituzione, nella misura in cui la nuova fattispecie di reato appare potenzialmente suscettibile di applicazione a tutte le riunioni, ivi comprese quelle in luogo pubblico, e laddove aggiunge alle ragioni di pericolosità già previste dall'articolo 17 della Costituzione, anche l'esistenza di rischi per l'ordine pubblico e la salute pubblica, senza chiarire da quali soggetti tale valutazione debba provenire, in quali forme e secondo quale modalità, peraltro configurando una valutazione meramente anticipata e astratta del rischio, assai lontana da quei «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica» già richiesti dall'articolo 17 della Costituzione, quali unici motivi che possono giustificare il divieto di riunioni in luogo pubblico;

    inoltre la pena prevista è evidentemente sproporzionata: la reclusione rimane da 3 a 6 anni – la più alta in Europa – dunque per i condannati sarà più complicato accedere alla sospensione condizionale della pena, anche se incensurati, gli inquirenti potranno utilizzare lo strumento delle intercettazioni e la custodia cautelare; la sua entità preclude tra le altre cose, l'accesso dell'imputato alla messa alla prova, che può, per i reati di minor allarme sociale, essere affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede l'esecuzione di un lavoro di pubblica utilità in favore della collettività, svolto presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato e che inoltre l'imputato svolga attività riparative, volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, attività di risarcimento del danno dallo stesso cagionato e, ove possibile, attività di mediazione con la vittima del reato,

impegna il Governo

a riconsiderare, nell'ambito delle sue proprie prerogative, sia la reale necessità sia l'opportunità della introduzione del nuovo reato di cui all'articolo 633-bis «Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», nonché, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ad adottare misure volte ad effettuare un efficace monitoraggio in merito alla sua concreta applicazione, e a riferirne alle Camere, con particolare riferimento alla natura dell'evento reputato criminoso, nonché a quanti procedimenti riconducibili al reato di cui sopra siano stati compiuti allo scopo di realizzare un raduno musicale o ad altro scopo di intrattenimento, nonché all'età degli imputati, anche al fine di valutare l'opportunità di meglio definire il concetto di «raduno musicale», poiché lo stesso si riferisce ad una manifestazione artistica intrinsecamente priva delle caratteristiche criminogene riconducibili ad una condotta criminale, ed eventualmente valutare di espungere la stessa dalla fattispecie di cui al nuovo articolo 633-bis.
9/705/42. Carè, Serracchiani.


   La Camera,

   premesso che:

    il Gruppo del Partito Democratico ritiene che il decreto-legge in esame, primo atto di un Governo che ha ritenuto necessario utilizzare la decretazione di urgenza per introdurre il nuovo reato di rave party, si inserisca a pieno titolo nel filone del populismo giudiziario e mediatico; si utilizza il diritto penale per contrastare le diversità sociali e culturali, definendo apposite fattispecie criminali, finendo così per scivolare sul crinale della democrazia securitaria;

    il decreto introduce una nuova e indeterminata fattispecie di reato, con una norma mal scritta, che nella sua versione originaria è stata ritenuta potenzialmente applicabile anche alle proteste studentesche, alle manifestazioni politiche ma non solo;

    il rischio, serio, è che la norma colpisca, attraverso un'interpretazione estensiva, anche tutte le altre forme di aggregazione, come manifestazioni sportive, di lavoratori, ovvero tutte le manifestazioni «non autorizzate»;

    anche nella sua versione aggiornata, così come modificata con una necessaria ma insufficiente retromarcia del Governo, restano comunque gravi dubbi sulla fattispecie: il reato rimane «di pericolo», perché si verifica «quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o della incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi»;

    il criterio del pericolo appare troppo generico e vago, generando in questo modo un'anticipazione eccessiva della soglia della punibilità;

    vi è, inoltre, una palese sproporzione rispetto all'entità della pena, contravvenendo in tal modo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza: non si tratta, dunque, di una norma emendabile, ma di una duplicazione asistematica che crea disordine nell'ordinamento e rischia di mettere in difficoltà gli operatori del diritto e le forze dell'ordine, che andava dunque solo soppressa;

    tale norma, anche dopo le modifiche introdotte al Senato, appare gravemente carente del requisito di tassatività, prescritto dall'articolo 25 della Costituzione, nella misura in cui non individua con sufficiente chiarezza il perimetro delle condotte sanzionate in relazione alle forme, ai modi e ai criteri di valutazione della loro pericolosità, oltre alla mancata individuazione del soggetto competente ad effettuare tale valutazione;

    la norma appare altresì non rispettosa del principio di ragionevolezza e lesiva dell'articolo 3 della Costituzione sotto il profilo della quantificazione della pena, irragionevolmente aggravata rispetto a quella prevista per la fattispecie largamente analoga di cui all'articolo 633 del codice penale;

    nessun requisito di necessità ed urgenza è inoltre ravvisabile con riferimento all'articolo 5, che si configura inoltre come una norma potenzialmente lesiva dell'articolo 17 della Costituzione, nella misura in cui la nuova fattispecie di reato appare potenzialmente suscettibile di applicazione a tutte le riunioni, ivi comprese quelle in luogo pubblico, e laddove aggiunge alle ragioni di pericolosità già previste dall'articolo 17 della Costituzione, anche l'esistenza di rischi per l'ordine pubblico e la salute pubblica, senza chiarire da quali soggetti tale valutazione debba provenire, in quali forme e secondo quale modalità, peraltro configurando una valutazione meramente anticipata e astratta del rischio, assai lontana da quei «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica» già richiesti dall'articolo 17 della Costituzione, quali unici motivi che possono giustificare il divieto di riunioni in luogo pubblico;

    inoltre la pena prevista è evidentemente sproporzionata: la reclusione rimane da 3 a 6 anni – la più alta in Europa – dunque per i condannati sarà più complicato accedere alla sospensione condizionale della pena, anche se incensurati, gli inquirenti potranno utilizzare lo strumento delle intercettazioni e la custodia cautelare; la sua entità preclude tra le altre cose, l'accesso dell'imputato alla messa alla prova, che può, per i reati di minor allarme sociale, essere affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede l'esecuzione di un lavoro di pubblica utilità in favore della collettività, svolto presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato e che inoltre l'imputato svolga attività riparative, volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, attività di risarcimento del danno dallo stesso cagionato e, ove possibile, attività di mediazione con la vittima del reato,

impegna il Governo

a riconsiderare, nell'ambito delle sue proprie prerogative, sia la reale necessità sia l'opportunità della introduzione del nuovo reato di cui all'articolo 633-bis «Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», nonché, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ad adottare misure volte ad effettuare un efficace monitoraggio in merito alla sua concreta applicazione, e a riferirne alle Camere, con particolare riferimento alla natura dell'evento reputato criminoso, nonché in merito alla congruità della confisca di cui al secondo comma dell'articolo 633-bis, che non ha carattere di facoltatività, e che elide, dunque, essendo «sempre ordinata», ogni margine di discrezionalità del Giudice in merito alla decisione.
9/705/43. Provenzano.


   La Camera,

   premesso che:

    il Gruppo del Partito Democratico ritiene che il decreto-legge in esame, primo atto di un Governo che ha ritenuto necessario utilizzare la decretazione di urgenza per introdurre il nuovo reato di rave party, si inserisca a pieno titolo nel filone del populismo giudiziario e mediatico; si utilizza il diritto penale per contrastare le diversità sociali e culturali, definendo apposite fattispecie criminali, finendo così per scivolare sul crinale della democrazia securitaria;

    il decreto introduce una nuova e indeterminata fattispecie di reato, con una norma mal scritta, che nella sua versione originaria è stata ritenuta potenzialmente applicabile anche alle proteste studentesche, alle manifestazioni politiche ma non solo;

    il rischio, serio, è che la norma colpisca, attraverso un'interpretazione estensiva, anche tutte le altre forme di aggregazione, come manifestazioni sportive, di lavoratori, ovvero tutte le manifestazioni «non autorizzate»;

    anche nella sua versione aggiornata, così come modificata con una necessaria ma insufficiente retromarcia del Governo, restano comunque gravi dubbi sulla fattispecie: il reato rimane «di pericolo», perché si verifica «quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o della incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi»;

    il criterio del pericolo appare troppo generico e vago, generando in questo modo un'anticipazione eccessiva della soglia della punibilità;

    vi è, inoltre, una palese sproporzione rispetto all'entità della pena, contravvenendo in tal modo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza: non si tratta, dunque, di una norma emendabile, ma di una duplicazione asistematica che crea disordine nell'ordinamento e rischia di mettere in difficoltà gli operatori del diritto e le forze dell'ordine, che andava dunque solo soppressa;

    tale norma, anche dopo le modifiche introdotte al Senato, appare gravemente carente del requisito di tassatività, prescritto dall'articolo 25 della Costituzione, nella misura in cui non individua con sufficiente chiarezza il perimetro delle condotte sanzionate in relazione alle forme, ai modi e ai criteri di valutazione della loro pericolosità, oltre alla mancata individuazione del soggetto competente ad effettuare tale valutazione;

    la norma appare altresì non rispettosa del principio di ragionevolezza e lesiva dell'articolo 3 della Costituzione sotto il profilo della quantificazione della pena, irragionevolmente aggravata rispetto a quella prevista per la fattispecie largamente analoga di cui all'articolo 633 del codice penale;

    nessun requisito di necessità ed urgenza è inoltre ravvisabile con riferimento all'articolo 5, che si configura inoltre come una norma potenzialmente lesiva dell'articolo 17 della Costituzione, nella misura in cui la nuova fattispecie di reato appare potenzialmente suscettibile di applicazione a tutte le riunioni, ivi comprese quelle in luogo pubblico, e laddove aggiunge alle ragioni di pericolosità già previste dall'articolo 17 della Costituzione, anche l'esistenza di rischi per l'ordine pubblico e la salute pubblica, senza chiarire da quali soggetti tale valutazione debba provenire, in quali forme e secondo quale modalità, peraltro configurando una valutazione meramente anticipata e astratta del rischio, assai lontana da quei «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica» già richiesti dall'articolo 17 della Costituzione, quali unici motivi che possono giustificare il divieto di riunioni in luogo pubblico;

    inoltre la pena prevista è evidentemente sproporzionata: la reclusione rimane da 3 a 6 anni – la più alta in Europa – dunque per i condannati sarà più complicato accedere alla sospensione condizionale della pena, anche se incensurati, gli inquirenti potranno utilizzare lo strumento delle intercettazioni e la custodia cautelare; la sua entità preclude tra le altre cose, l'accesso dell'imputato alla messa alla prova, che può, per i reati di minor allarme sociale, essere affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede l'esecuzione di un lavoro di pubblica utilità in favore della collettività, svolto presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato e che inoltre l'imputato svolga attività riparative, volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, attività di risarcimento del danno dallo stesso cagionato e, ove possibile, attività di mediazione con la vittima del reato,

impegna il Governo

a riconsiderare, nell'ambito delle sue proprie prerogative, sia la reale necessità sia l'opportunità della introduzione del nuovo reato di cui all'articolo 633-bis «Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», nonché, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ad adottare misure volte ad effettuare un efficace monitoraggio in merito alla sua concreta applicazione, e a riferirne alle Camere, con particolare riferimento alla natura dell'evento reputato criminoso e a quanti procedimenti riconducibili al reato di cui sopra siano stati compiuti allo scopo di realizzare un raduno musicale o ad altro scopo di intrattenimento, nonché all'età degli imputati, anche al fine di valutare l'opportunità di meglio definire la locuzione di «manifestazione pubblica di intrattenimento», considerato che il concetto di intrattenimento appare vago e potenzialmente comprensivo, tra le altre, di attività legate, ad esempio, a manifestazioni fieristiche, sagre, gallerie, mostre, esposizioni, attività in sé intrinsecamente prive delle caratteristiche criminogene riconducibili ad una condotta criminale.
9/705/44. Schlein, Di Biase.


   La Camera,

   premesso che:

    il Gruppo del Partito Democratico ritiene che il decreto-legge in esame, primo atto di un Governo che ha ritenuto necessario utilizzare la decretazione di urgenza per introdurre il nuovo reato di rave party, si inserisca a pieno titolo nel filone del populismo giudiziario e mediatico; si utilizza il diritto penale per contrastare le diversità sociali e culturali, definendo apposite fattispecie criminali, finendo così per scivolare sul crinale della democrazia securitaria;

    il decreto introduce una nuova e indeterminata fattispecie di reato, con una norma mal scritta, che nella sua versione originaria è stata ritenuta potenzialmente applicabile anche alle proteste studentesche, alle manifestazioni politiche ma non solo;

    il rischio, serio, è che la norma colpisca, attraverso un'interpretazione estensiva, anche tutte le altre forme di aggregazione, come manifestazioni sportive, di lavoratori, ovvero tutte le manifestazioni «non autorizzate»;

    anche nella sua versione aggiornata, così come modificata con una necessaria ma insufficiente retromarcia del Governo, restano comunque gravi dubbi sulla fattispecie: il reato rimane «di pericolo», perché si verifica «quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o della incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi»;

    il criterio del pericolo appare troppo generico e vago, generando in questo modo un'anticipazione eccessiva della soglia della punibilità;

    vi è, inoltre, una palese sproporzione rispetto all'entità della pena, contravvenendo in tal modo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza: non si tratta, dunque, di una norma emendabile, ma di una duplicazione asistematica che crea disordine nell'ordinamento e rischia di mettere in difficoltà gli operatori del diritto e le forze dell'ordine, che andava dunque solo soppressa;

    tale norma, anche dopo le modifiche introdotte al Senato, appare gravemente carente del requisito di tassatività, prescritto dall'articolo 25 della Costituzione, nella misura in cui non individua con sufficiente chiarezza il perimetro delle condotte sanzionate in relazione alle forme, ai modi e ai criteri di valutazione della loro pericolosità, oltre alla mancata individuazione del soggetto competente ad effettuare tale valutazione;

    la norma appare altresì non rispettosa del principio di ragionevolezza e lesiva dell'articolo 3 della Costituzione sotto il profilo della quantificazione della pena, irragionevolmente aggravata rispetto a quella prevista per la fattispecie largamente analoga di cui all'articolo 633 del codice penale;

    nessun requisito di necessità ed urgenza è inoltre ravvisabile con riferimento all'articolo 5, che si configura inoltre come una norma potenzialmente lesiva dell'articolo 17 della Costituzione, nella misura in cui la nuova fattispecie di reato appare potenzialmente suscettibile di applicazione a tutte le riunioni, ivi comprese quelle in luogo pubblico, e laddove aggiunge alle ragioni di pericolosità già previste dall'articolo 17 della Costituzione, anche l'esistenza di rischi per l'ordine pubblico e la salute pubblica, senza chiarire da quali soggetti tale valutazione debba provenire, in quali forme e secondo quale modalità, peraltro configurando una valutazione meramente anticipata e astratta del rischio, assai lontana da quei «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica» già richiesti dall'articolo 17 della Costituzione, quali unici motivi che possono giustificare il divieto di riunioni in luogo pubblico; inoltre la pena prevista è evidentemente sproporzionata: la reclusione rimane da 3 a 6 anni – la più alta in Europa – dunque per i condannati sarà più complicato accedere alla sospensione condizionale della pena, anche se incensurati, gli inquirenti potranno utilizzare lo strumento delle intercettazioni e la custodia cautelare; la sua entità preclude tra le altre cose, l'accesso dell'imputato alla messa alla prova, che può, per i reati di minor allarme sociale, essere affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede l'esecuzione di un lavoro di pubblica utilità in favore della collettività, svolto presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato e che inoltre l'imputato svolga attività riparative, volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, attività di risarcimento del danno dallo stesso cagionato e, ove possibile, attività di mediazione con la vittima del reato,

impegna il Governo

a riconsiderare, nell'ambito delle sue proprie prerogative, sia la reale necessità sia l'opportunità della introduzione del nuovo reato di cui all'articolo 633-bis «Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», nonché, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ad adottare misure volte ad effettuare un efficace monitoraggio in merito alla sua concreta applicazione, e a riferirne alle Camere, con particolare riferimento alla natura dell'evento reputato criminoso e a quanti procedimenti riconducibili al reato di cui sopra siano stati compiuti allo scopo di realizzare un raduno musicale o ad altro scopo di intrattenimento, nonché all'età degli imputati, anche al fine di valutare l'opportunità di meglio definire la locuzione di «manifestazione pubblica di intrattenimento», considerato che il concetto di intrattenimento appare vago e potenzialmente comprensivo, tra le altre, di attività legate, ad esempio, a manifestazioni legate all'allestimento di parchi di divertimento, attività in sé intrinsecamente prive delle caratteristiche criminogene riconducibili ad una condotta criminale.
9/705/45. De Maria, Ubaldo Pagano.


   La Camera,

   premesso che:

    il Gruppo del Partito Democratico ritiene che il decreto-legge in esame, primo atto di un Governo che ha ritenuto necessario utilizzare la decretazione di urgenza per introdurre il nuovo reato di rave party, si inserisca a pieno titolo nel filone del populismo giudiziario e mediatico; si utilizza il diritto penale per contrastare le diversità sociali e culturali, definendo apposite fattispecie criminali, finendo così per scivolare sul crinale della democrazia securitaria; il decreto introduce una nuova e indeterminata fattispecie di reato, con una norma mal scritta, che nella sua versione originaria è stata ritenuta potenzialmente applicabile anche alle proteste studentesche, alle manifestazioni politiche ma non solo;

    il rischio, serio, è che la norma colpisca, attraverso un'interpretazione estensiva, anche tutte le altre forme di aggregazione, come manifestazioni sportive, di lavoratori, ovvero tutte le manifestazioni «non autorizzate»; anche nella sua versione aggiornata, così come modificata con una necessaria ma insufficiente retromarcia del Governo, restano comunque gravi dubbi sulla fattispecie: il reato rimane «di pericolo», perché si verifica «quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o della incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi»; il criterio del pericolo appare troppo generico e vago, generando in questo modo un'anticipazione eccessiva della soglia della punibilità;

    vi è, inoltre, una palese sproporzione rispetto all'entità della pena, contravvenendo in tal modo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza: non si tratta, dunque, di una norma emendabile, ma di una duplicazione asistematica che crea disordine nell'ordinamento e rischia di mettere in difficoltà gli operatori del diritto e le forze dell'ordine, che andava dunque solo soppressa;

    tale norma, anche dopo le modifiche introdotte al Senato, appare gravemente carente del requisito di tassatività, prescritto dall'articolo 25 della Costituzione, nella misura in cui non individua con sufficiente chiarezza il perimetro delle condotte sanzionate in relazione alle forme, ai modi e ai criteri di valutazione della loro pericolosità, oltre alla mancata individuazione del soggetto competente ad effettuare tale valutazione;

    la norma appare altresì non rispettosa del principio di ragionevolezza e lesiva dell'articolo 3 della Costituzione sotto il profilo della quantificazione della pena, irragionevolmente aggravata rispetto a quella prevista per la fattispecie largamente analoga di cui all'articolo 633 del codice penale;

    nessun requisito di necessità ed urgenza è inoltre ravvisabile con riferimento all'articolo 5, che si configura inoltre come una norma potenzialmente lesiva dell'articolo 17 della Costituzione, nella misura in cui la nuova fattispecie di reato appare potenzialmente suscettibile di applicazione a tutte le riunioni, ivi comprese quelle in luogo pubblico, e laddove aggiunge alle ragioni di pericolosità già previste dall'articolo 17 della Costituzione, anche l'esistenza di rischi per l'ordine pubblico e la salute pubblica, senza chiarire da quali soggetti tale valutazione debba provenire, in quali forme e secondo quale modalità, peraltro configurando una valutazione meramente anticipata e astratta del rischio, assai lontana da quei «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica» già richiesti dall'articolo 17 della Costituzione, quali unici motivi che possono giustificare il divieto di riunioni in luogo pubblico; inoltre la pena prevista è evidentemente sproporzionata: la reclusione rimane da 3 a 6 anni – la più alta in Europa – dunque per i condannati sarà più complicato accedere alla sospensione condizionale della pena, anche se incensurati, gli inquirenti potranno utilizzare lo strumento delle intercettazioni e la custodia cautelare; la sua entità preclude tra le altre cose, l'accesso dell'imputato alla messa alla prova, che può, per i reati di minor allarme sociale, essere affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede l'esecuzione di un lavoro di pubblica utilità in favore della collettività, svolto presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato e che inoltre l'imputato svolga attività riparative, volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, attività di risarcimento del danno dallo stesso cagionato e, ove possibile, attività di mediazione con la vittima del reato,

impegna il Governo

a riconsiderare, nell'ambito delle sue proprie prerogative, sia la reale necessità sia l'opportunità della introduzione del nuovo reato di cui all'articolo 633-bis «Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», nonché, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ad adottare misure volte ad effettuare un efficace monitoraggio in merito alla sua concreta applicazione, e a riferirne alle Camere, con particolare riferimento alla natura dell'evento reputato criminoso e a quanti procedimenti riconducibili al reato di cui sopra siano stati compiuti allo scopo di realizzare un raduno musicale o ad altro scopo di intrattenimento, nonché all'età degli imputati, anche al fine di valutare l'opportunità di meglio definire la locuzione di «manifestazione pubblica di intrattenimento», considerato che il concetto di intrattenimento appare vago e potenzialmente comprensivo, tra le altre, di attività legate, ad esempio, a manifestazioni legate agli allestimenti temporanei, tendoni, tensostrutture, domus, attività in sé intrinsecamente prive delle caratteristiche criminogene riconducibili ad una condotta criminale.
9/705/46. Mancini, Iacono, Carè, Laus, De Maria, Lai, Zaratti, Stumpo.


   La Camera,

   premesso che:

    il Gruppo del Partito Democratico ritiene che il decreto-legge in esame, primo atto di un Governo che ha ritenuto necessario utilizzare la decretazione di urgenza per introdurre il nuovo reato di rave party, si inserisca a pieno titolo nel filone del populismo giudiziario e mediatico; si utilizza il diritto penale per contrastare le diversità sociali e culturali, definendo apposite fattispecie criminali, finendo così per scivolare sul crinale della democrazia securitaria;

    il decreto introduce una nuova e indeterminata fattispecie di reato, con una norma mal scritta, che nella sua versione originaria è stata ritenuta potenzialmente applicabile anche alle proteste studentesche, alle manifestazioni politiche ma non solo;

    il rischio, serio, è che la norma colpisca, attraverso un'interpretazione estensiva, anche tutte le altre forme di aggregazione, come manifestazioni sportive, di lavoratori, ovvero tutte le manifestazioni «non autorizzate»;

    anche nella sua versione aggiornata, così come modificata con una necessaria ma insufficiente retromarcia del Governo, restano comunque gravi dubbi sulla fattispecie: il reato rimane «di pericolo», perché si verifica «quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o della incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi»;

    il criterio del pericolo appare troppo generico e vago, generando in questo modo un'anticipazione eccessiva della soglia della punibilità;

    vi è, inoltre, una palese sproporzione rispetto all'entità della pena, contravvenendo in tal modo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza: non si tratta, dunque, di una norma emendabile, ma di una duplicazione asistematica che crea disordine nell'ordinamento e rischia di mettere in difficoltà gli operatori del diritto e le forze dell'ordine, che andava dunque solo soppressa;

    tale norma, anche dopo le modifiche introdotte al Senato, appare gravemente carente del requisito di tassatività, prescritto dall'articolo 25 della Costituzione, nella misura in cui non individua con sufficiente chiarezza il perimetro delle condotte sanzionate in relazione alle forme, ai modi e ai criteri di valutazione della loro pericolosità, oltre alla mancata individuazione del soggetto competente ad effettuare tale valutazione;

    la norma appare altresì non rispettosa del principio di ragionevolezza e lesiva dell'articolo 3 della Costituzione sotto il profilo della quantificazione della pena, irragionevolmente aggravata rispetto a quella prevista per la fattispecie largamente analoga di cui all'articolo 633 del codice penale;

    nessun requisito di necessità ed urgenza è inoltre ravvisabile con riferimento all'articolo 5, che si configura inoltre come una norma potenzialmente lesiva dell'articolo 17 della Costituzione, nella misura in cui la nuova fattispecie di reato appare potenzialmente suscettibile di applicazione a tutte le riunioni, ivi comprese quelle in luogo pubblico, e laddove aggiunge alle ragioni di pericolosità già previste dall'articolo 17 della Costituzione, anche l'esistenza di rischi per l'ordine pubblico e la salute pubblica, senza chiarire da quali soggetti tale valutazione debba provenire, in quali forme e secondo quale modalità, peraltro configurando una valutazione meramente anticipata e astratta del rischio, assai lontana da quei «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica» già richiesti dall'articolo 17 della Costituzione, quali unici motivi che possono giustificare il divieto di riunioni in luogo pubblico;

    inoltre la pena prevista è evidentemente sproporzionata: la reclusione rimane da 3 a 6 anni – la più alta in Europa – dunque per i condannati sarà più complicato accedere alla sospensione condizionale della pena, anche se incensurati, gli inquirenti potranno utilizzare lo strumento delle intercettazioni e la custodia cautelare; la sua entità preclude tra le altre cose, l'accesso dell'imputato alla messa alla prova, che può, per i reati di minor allarme sociale, essere affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede l'esecuzione di un lavoro di pubblica utilità in favore della collettività, svolto presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato e che inoltre l'imputato svolga attività riparative, volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, attività di risarcimento del danno dallo stesso cagionato e, ove possibile, attività di mediazione con la vittima del reato,

impegna il Governo

a riconsiderare, nell'ambito delle sue proprie prerogative, sia la reale necessità sia l'opportunità della introduzione del nuovo reato di cui all'articolo 633-bis «Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», nonché, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ad adottare misure volte ad effettuare un efficace monitoraggio in merito alla sua concreta applicazione, e a riferirne alle Camere, con particolare riferimento alla natura dell'evento reputato criminoso e a quanti procedimenti riconducibili al reato di cui sopra siano stati compiuti allo scopo di realizzare un raduno musicale o ad altro scopo di intrattenimento, nonché all'età degli imputati, anche al fine di valutare l'opportunità di meglio definire la locuzione di «manifestazione pubblica di intrattenimento», considerato che il concetto di intrattenimento appare vago e potenzialmente comprensivo, tra le altre, di attività legate, ad esempio, a manifestazioni legate alle attività dei circoli privati, in cui si svolgono manifestazioni di spettacolo o trattenimento, con accesso previo acquisto del biglietto e/o tessera di socio senza particolari formalità, ovvero presenza di pubblicità dell'evento, o presenza di struttura con evidente attività imprenditoriale, attività in sé intrinsecamente prive delle caratteristiche criminogene riconducibili ad una condotta criminale.
9/705/47. Stefanazzi.


   La Camera,

   premesso che:

    il Gruppo del Partito Democratico ritiene che il decreto-legge in esame, primo atto di un Governo che ha ritenuto necessario utilizzare la decretazione di urgenza per introdurre il nuovo reato di «rave party», si inserisca a pieno titolo nel filone del populismo giudiziario e mediatico; si utilizza il diritto penale per contrastare le diversità sociali e culturali, definendo apposite fattispecie criminali, finendo così per scivolare sul crinale della democrazia securitaria;

    il decreto introduce una nuova e indeterminata fattispecie di reato, con una norma mal scritta, che nella sua versione originaria è stata ritenuta potenzialmente applicabile anche alle proteste studentesche, alle manifestazioni politiche ma non solo;

    il rischio, serio, è che la norma colpisca, attraverso un'interpretazione estensiva, anche tutte le altre forme di aggregazione, come manifestazioni sportive, di lavoratori, ovvero tutte le manifestazioni «non autorizzate»;

    anche nella sua versione aggiornata, così come modificata con una necessaria ma insufficiente retromarcia del Governo, restano comunque gravi dubbi sulla fattispecie: il reato rimane «di pericolo», perché si verifica «quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o della incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi»;

    il criterio del pericolo appare troppo generico e vago, generando in questo modo un'anticipazione eccessiva della soglia della punibilità;

    vi è, inoltre, una palese sproporzione rispetto all'entità della pena, contravvenendo in tal modo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza: non si tratta, dunque, di una norma emendabile, ma di una duplicazione asistematica che crea disordine nell'ordinamento e rischia di mettere in difficoltà gli operatori del diritto e le forze dell'ordine, che andava dunque solo soppressa;

    tale norma, anche dopo le modifiche introdotte al Senato, appare gravemente carente del requisito di tassatività, prescritto dall'articolo 25 della Costituzione, nella misura in cui non individua con sufficiente chiarezza il perimetro delle condotte sanzionate in relazione alle forme, ai modi e ai criteri di valutazione della loro pericolosità, oltre alla mancata individuazione del soggetto competente ad effettuare tale valutazione;

    la norma appare altresì non rispettosa del principio di ragionevolezza e lesiva dell'articolo 3 della Costituzione sotto il profilo della quantificazione della pena, irragionevolmente aggravata rispetto a quella prevista per la fattispecie largamente analoga di cui all'articolo 633 del codice penale;

    nessun requisito di necessità ed urgenza è inoltre ravvisabile con riferimento all'articolo 5, che si configura inoltre come una norma potenzialmente lesiva dell'articolo 17 della Costituzione, nella misura in cui la nuova fattispecie di reato appare potenzialmente suscettibile di applicazione a tutte le riunioni, ivi comprese quelle in luogo pubblico, e laddove aggiunge alle ragioni di pericolosità già previste dall'articolo 17 della Costituzione, anche l'esistenza di rischi per l'ordine pubblico e la salute pubblica, senza chiarire da quali soggetti tale valutazione debba provenire, in quali forme e secondo quale modalità, peraltro configurando una valutazione meramente anticipata e astratta del rischio, assai lontana da quei «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica» già richiesti dall'articolo 17 della Costituzione, quali unici motivi che possono giustificare il divieto di riunioni in luogo pubblico;

    inoltre la pena prevista è evidentemente sproporzionata: la reclusione rimane da 3 a 6 anni – la più alta in Europa – dunque per i condannati sarà più complicato accedere alla sospensione condizionale della pena, anche se incensurati, gli inquirenti potranno utilizzare lo strumento delle intercettazioni e la custodia cautelare; la sua entità preclude tra le altre cose, l'accesso dell'imputato alla messa alla prova, che può, per i reati di minor allarme sociale, essere affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede l'esecuzione di un lavoro di pubblica utilità in favore della collettività, svolto presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato e che inoltre l'imputato svolga attività riparative, volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, attività di risarcimento del danno dallo stesso cagionato e, ove possibile, attività di mediazione con la vittima del reato,

impegna il Governo

a riconsiderare, nell'ambito delle sue proprie prerogative, sia la reale necessità sia l'opportunità della introduzione del nuovo reato di cui all'articolo 633-bis «Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», nonché, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ad adottare misure volte ad effettuare un efficace monitoraggio in merito alla sua concreta applicazione, e a riferirne alle Camere, con particolare riferimento alla natura dell'evento reputato criminoso e a quanti procedimenti riconducibili al reato di cui sopra siano stati compiuti allo scopo di realizzare un raduno musicale o ad altro scopo di intrattenimento, nonché all'età degli imputati, anche al fine di valutare l'opportunità di comminare, in aggiunta alla confisca obbligatoria di cui al comma 2 del nuovo articolo 633-bis, una multa così elevata, che contribuisce allo squilibrio complessivo della nuova fattispecie introdotta dal decreto-legge in esame, e, eventualmente, di espungerla dalla fattispecie.
9/705/48. Guerra, Scotto.


   La Camera,

   premesso che:

    il Gruppo del Partito Democratico ritiene che il decreto-legge in esame, primo atto di un Governo che ha ritenuto necessario utilizzare la decretazione di urgenza per introdurre il nuovo reato di rave party, si inserisca a pieno titolo nel filone del populismo giudiziario e mediatico; si utilizza il diritto penale per contrastare le diversità sociali e culturali, definendo apposite fattispecie criminali, finendo così per scivolare sul crinale della democrazia securitaria;

    il decreto introduce una nuova e indeterminata fattispecie di reato, con una norma mal scritta, che nella sua versione originaria è stata ritenuta potenzialmente applicabile anche alle proteste studentesche, alle manifestazioni politiche ma non solo;

    il rischio, serio, è che la norma colpisca, attraverso un'interpretazione estensiva, anche tutte le altre forme di aggregazione, come manifestazioni sportive, di lavoratori, ovvero tutte le manifestazioni «non autorizzate»;

    anche nella sua versione aggiornata, così come modificata con una necessaria ma insufficiente retromarcia del Governo, restano comunque gravi dubbi sulla fattispecie: il reato rimane «di pericolo», perché si verifica «quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o della incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi»;

    il criterio del pericolo appare troppo generico e vago, generando in questo modo un'anticipazione eccessiva della soglia della punibilità;

    vi è, inoltre, una palese sproporzione rispetto all'entità della pena, contravvenendo in tal modo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza: non si tratta, dunque, di una norma emendabile, ma di una duplicazione asistematica che crea disordine nell'ordinamento e rischia di mettere in difficoltà gli operatori del diritto e le forze dell'ordine, che andava dunque solo soppressa;

    tale norma, anche dopo le modifiche introdotte al Senato, appare gravemente carente del requisito di tassatività, prescritto dall'articolo 25 della Costituzione, nella misura in cui non individua con sufficiente chiarezza il perimetro delle condotte sanzionate in relazione alle forme, ai modi e ai criteri di valutazione della loro pericolosità, oltre alla mancata individuazione del soggetto competente ad effettuare tale valutazione;

    la norma appare altresì non rispettosa del principio di ragionevolezza e lesiva dell'articolo 3 della Costituzione sotto il profilo della quantificazione della pena, irragionevolmente aggravata rispetto a quella prevista per la fattispecie largamente analoga di cui all'articolo 633 del codice penale;

    nessun requisito di necessità ed urgenza è inoltre ravvisabile con riferimento all'articolo 5, che si configura inoltre come una norma potenzialmente lesiva dell'articolo 17 della Costituzione, nella misura in cui la nuova fattispecie di reato appare potenzialmente suscettibile di applicazione a tutte le riunioni, ivi comprese quelle in luogo pubblico, e laddove aggiunge alle ragioni di pericolosità già previste dall'articolo 17 della Costituzione, anche l'esistenza di rischi per l'ordine pubblico e la salute pubblica, senza chiarire da quali soggetti tale valutazione debba provenire, in quali forme e secondo quale modalità, peraltro configurando una valutazione meramente anticipata e astratta del rischio, assai lontana da quei «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica» già richiesti dall'articolo 17 della Costituzione, quali unici motivi che possono giustificare il divieto di riunioni in luogo pubblico; inoltre la pena prevista è evidentemente sproporzionata: la reclusione rimane da 3 a 6 anni – la più alta in Europa – dunque per i condannati sarà più complicato accedere alla sospensione condizionale della pena, anche se incensurati, gli inquirenti potranno utilizzare lo strumento delle intercettazioni e la custodia cautelare; la sua entità preclude tra le altre cose, l'accesso dell'imputato alla messa alla prova, che può, per i reati di minor allarme sociale, essere affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede l'esecuzione di un lavoro di pubblica utilità in favore della collettività, svolto presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato e che inoltre l'imputato svolga attività riparative, volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, attività di risarcimento del danno dallo stesso cagionato e, ove possibile, attività di mediazione con la vittima del reato,

impegna il Governo

a riconsiderare, nell'ambito delle sue proprie prerogative, sia la reale necessità sia l'opportunità della introduzione del nuovo reato di cui all'articolo 633-bis «Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», nonché, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ad adottare misure volte ad effettuare un efficace monitoraggio in merito alla sua concreta applicazione, e a riferirne alle Camere, con particolare riferimento alla natura dell'evento reputato criminoso e a quanti procedimenti riconducibili al reato di cui sopra siano stati compiuti allo scopo di realizzare un raduno musicale o ad altro scopo di intrattenimento, nonché all'età degli imputati, anche al fine di valutare l'opportunità di ridurre sensibilmente la multa di cui al primo comma, la quale, in aggiunta alla confisca obbligatoria di cui al comma 2 del nuovo articolo 633-bis, contribuisce allo squilibrio complessivo della nuova fattispecie introdotta dal decreto-legge in esame, e dunque di valutare l'opportunità di ridurla, unitamente alla pena, nel minimo e nel massimo.
9/705/49. Toni Ricciardi, Quartapelle Procopio, Alfonso Colucci.


   La Camera,

   premesso che:

    il Gruppo del Partito Democratico ritiene che il decreto-legge in esame, primo atto di un Governo che ha ritenuto necessario utilizzare la decretazione di urgenza per introdurre il nuovo reato di rave party, si inserisca a pieno titolo nel filone del populismo giudiziario e mediatico; si utilizza il diritto penale per contrastare le diversità sociali e culturali, definendo apposite fattispecie criminali, finendo così per scivolare sul crinale della democrazia securitaria;

    il decreto introduce una nuova e indeterminata fattispecie di reato, con una norma mal scritta, che nella sua versione originaria è stata ritenuta potenzialmente applicabile anche alle proteste studentesche, alle manifestazioni politiche ma non solo;

    il rischio, serio, è che la norma colpisca, attraverso un'interpretazione estensiva, anche tutte le altre forme di aggregazione, come manifestazioni sportive, di lavoratori, ovvero tutte le manifestazioni «non autorizzate»;

    anche nella sua versione aggiornata, così come modificata con una necessaria ma insufficiente retromarcia del Governo, restano comunque gravi dubbi sulla fattispecie: il reato rimane «di pericolo», perché si verifica «quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o della incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi»; il criterio del pericolo appare troppo generico e vago, generando in questo modo un'anticipazione eccessiva della soglia della punibilità;

    vi è, inoltre, una palese sproporzione rispetto all'entità della pena, contravvenendo in tal modo ai principi di eguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza: non si tratta, dunque, di una norma emendabile, ma di una duplicazione asistematica che crea disordine nell'ordinamento e rischia di mettere in difficoltà gli operatori del diritto e le forze dell'ordine, che andava dunque solo soppressa;

    tale norma, anche dopo le modifiche introdotte al Senato, appare gravemente carente del requisito di tassatività, prescritto dall'articolo 25 della Costituzione, nella misura in cui non individua con sufficiente chiarezza il perimetro delle condotte sanzionate in relazione alle forme, ai modi e ai criteri di valutazione della loro pericolosità, oltre alla mancata individuazione del soggetto competente ad effettuare tale valutazione;

    la norma appare altresì non rispettosa del principio di ragionevolezza e lesiva dell'articolo 3 della Costituzione sotto il profilo della quantificazione della pena, irragionevolmente aggravata rispetto a quella prevista per la fattispecie largamente analoga di cui all'articolo 633 del codice penale;

    nessun requisito di necessità ed urgenza è inoltre ravvisabile con riferimento all'articolo 5, che si configura inoltre come una norma potenzialmente lesiva dell'articolo 17 della Costituzione, nella misura in cui la nuova fattispecie di reato appare potenzialmente suscettibile di applicazione a tutte le riunioni, ivi comprese quelle in luogo pubblico, e laddove aggiunge alle ragioni di pericolosità già previste dall'articolo 17 della Costituzione, anche l'esistenza di rischi per l'ordine pubblico e la salute pubblica, senza chiarire da quali soggetti tale valutazione debba provenire, in quali forme e secondo quale modalità, peraltro configurando una valutazione meramente anticipata e astratta del rischio, assai lontana da quei «comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica» già richiesti dall'articolo 17 della Costituzione, quali unici motivi che possono giustificare il divieto di riunioni in luogo pubblico; inoltre la pena prevista è evidentemente sproporzionata: la reclusione rimane da 3 a 6 anni – la più alta in Europa – dunque per i condannati sarà più complicato accedere alla sospensione condizionale della pena, anche se incensurati, gli inquirenti potranno utilizzare lo strumento delle intercettazioni e la custodia cautelare; la sua entità preclude tra le altre cose, l'accesso dell'imputato alla messa alla prova, che può, per i reati di minor allarme sociale, essere affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna per lo svolgimento di un programma di trattamento che prevede l'esecuzione di un lavoro di pubblica utilità in favore della collettività, svolto presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato e che inoltre l'imputato svolga attività riparative, volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, attività di risarcimento del danno dallo stesso cagionato e, ove possibile, attività di mediazione con la vittima del reato,

impegna il Governo

a riconsiderare, nell'ambito delle sue proprie prerogative, sia la reale necessità sia l'opportunità della introduzione del nuovo reato di cui all'articolo 633-bis «Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», nonché, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ad adottare misure volte ad effettuare un efficace monitoraggio in merito alla sua concreta applicazione, e a riferirne alle Camere, con particolare riferimento alla natura dell'evento reputato criminoso e a quanti procedimenti riconducibili al reato di cui sopra siano stati compiuti allo scopo di realizzare un raduno musicale o ad altro scopo di intrattenimento, nonché all'età degli imputati, e se tra i partecipanti al raduno di cui al nuovo articolo 633-bis vi fossero minori non imputabili, al fine di valutare l'opportunità di ridurre la pena nel minimo e nel massimo, permettendo così, agli imputati di accedere a istituti di probation e a programmi di giustizia riparativa.
9/705/50. Gribaudo, Zan, Berruto, Marino.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a cento euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalla dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a predisporre, in linea con un eventuale peggioramento dei dati epidemiologici sull'andamento della circolazione del virus SARS-CoV-2 nella regione Piemonte, la reintroduzione nel suo territorio dell'obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie in tutti i luoghi al chiuso in cui si possano verificare possibili assembramenti.
9/705/51. Fornaro, Mancini.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a cento euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalla dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a predisporre, in linea con un eventuale peggioramento dei dati epidemiologici sull'andamento della circolazione del virus SARS-CoV-2 nella regione Liguria, la reintroduzione nel suo territorio dell'obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie in tutti i luoghi al chiuso in cui si possano verificare possibili assembramenti.
9/705/52. Ghio, Laus.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a 100 euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalla dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a predisporre, in linea con un eventuale peggioramento dei dati epidemiologici sull'andamento della circolazione del virus SARS-CoV-2 nella regione Lombardia, la reintroduzione nel suo territorio dell'obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie in tutti i luoghi al chiuso in cui si possano verificare possibili assembramenti.
9/705/53. Peluffo, Mancini, Fornaro.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a cento euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalla dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a predisporre, in linea con un eventuale peggioramento dei dati epidemiologici sull'andamento della circolazione del virus SARS-CoV-2 nella regione Friuli Venezia Giulia, la reintroduzione nel suo territorio dell'obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie in tutti i luoghi al chiuso in cui si possano verificare possibili assembramenti.
9/705/54. Morassut, Fornaro, Serracchiani, Curti.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a 100 euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalla dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a predisporre, in linea con un eventuale peggioramento dei dati epidemiologici sull'andamento della circolazione del virus SARS-CoV-2 nella regione Trentino Alto Adige, la reintroduzione nel suo territorio dell'obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie in tutti i luoghi al chiuso in cui si possano verificare possibili assembramenti.
9/705/55. Ferrari.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a 100 euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalla dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a predisporre, in linea con un eventuale peggioramento dei dati epidemiologici sull'andamento della circolazione del virus SARS-CoV-2 nella regione Emilia Romagna, la reintroduzione nel suo territorio dell'obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie in tutti i luoghi al chiuso in cui si possano verificare possibili assembramenti.
9/705/56. Andrea Rossi, Fornaro, Simiani, Guerra.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a 100 euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalla dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a predisporre, in linea con un eventuale peggioramento dei dati epidemiologici sull'andamento della circolazione del virus SARS-CoV-2 nella regione Umbria, la reintroduzione nel suo territorio dell'obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie in tutti i luoghi al chiuso in cui si possano verificare possibili assembramenti.
9/705/57. Ascani, Fornaro, Ciani, Graziano, Provenzano, Stumpo.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a 100 euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalla dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a predisporre, in linea con un eventuale peggioramento dei dati epidemiologici sull'andamento della circolazione del virus SARS-CoV-2 nella regione Marche, la reintroduzione nel suo territorio dell'obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie in tutti i luoghi al chiuso in cui si possano verificare possibili assembramenti.
9/705/58. Curti, Fornaro, Di Sanzo, Carè, Provenzano.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a 100 euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalla dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi dei decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a predisporre, in linea con un eventuale peggioramento dei dati epidemiologici sull'andamento della circolazione del virus SARS-CoV-2 nella regione Abruzzo, la reintroduzione nel suo territorio dell'obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie in tutti i luoghi al chiuso in cui si possano verificare possibili assembramenti.
9/705/59. D'Alfonso, Graziano, Peluffo, Morassut, Provenzano.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a 100 euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalla dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna Il Governo

a predisporre, in linea con un eventuale peggioramento dei dati epidemiologici sull'andamento della circolazione del virus SARS-CoV-2 nella regione Basilicata, la reintroduzione nel suo territorio dell'obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie in tutti i luoghi al chiuso in cui si possano verificare possibili assembramenti.
9/705/60. Amendola, Fornaro, Di Sanzo, Laus, Lomuti, Provenzano.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a cento euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari a 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a predisporre, in linea con un eventuale peggioramento dei dati epidemiologici sull'andamento della circolazione del virus SARS-CoV-2 nella regione Molise, la reintroduzione nel suo territorio dell'obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie in tutti i luoghi al chiuso in cui si possano verificare possibili assembramenti.
9/705/61. Di Sanzo, Fornaro, Ciani, Provenzano.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a cento euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalla dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari a 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a predisporre, in linea con un eventuale peggioramento dei dati epidemiologici sull'andamento della circolazione del virus SARS-CoV-2 nella regione Calabria, la reintroduzione nel suo territorio dell'obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie in tutti i luoghi al chiuso in cui si possano verificare possibili assembramenti.
9/705/62. Stumpo.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a cento euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari a 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a predisporre, in linea con un eventuale peggioramento dei dati epidemiologici sull'andamento della circolazione del virus SARS-CoV-2 nella regione Sicilia, la reintroduzione nel suo territorio dell'obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie in tutti i luoghi al chiuso in cui si possano verificare possibili assembramenti.
9/705/63. Barbagallo, Provenzano, Porta, Ciani, Iacono.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a 100 euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari a 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a predisporre, in linea con un eventuale peggioramento dei dati epidemiologici sull'andamento della circolazione del virus SARS-CoV-2 nella regione Sardegna, la reintroduzione nel suo territorio dell'obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie in tutti i luoghi al chiuso in cui si possano verificare possibili assembramenti.
9/705/64. Lai, Casu, Iacono, Marino, Di Biase.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a 100 euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalla dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione e il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari a 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a predisporre in linea con un eventuale peggioramento dei dati epidemiologici sull'andamento della circolazione del virus SARS-CoV-2 la reintroduzione dell'obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie sui mezzi di trasporto locale su gomma.
9/705/65. Bakkali, Ciani, Berruto, D'Orso.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a 100 euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari a 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a predisporre in linea con un eventuale peggioramento dei dati epidemiologici sull'andamento della circolazione del virus SARS-CoV-2 la reintroduzione dell'obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie sui mezzi di trasporto locale su rotaia.
9/705/66. Simiani, Lai, Di Sanzo, Curti.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a 100 euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari a 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a predisporre in linea con un eventuale peggioramento dei dati epidemiologici sull'andamento della circolazione del virus SARS-CoV-2 la reintroduzione dell'obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie sui treni regionali.
9/705/67. De Micheli, Peluffo, Berruto, Di Biase.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a 100 euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari a 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a predisporre in linea con un eventuale peggioramento dei dati epidemiologici sull'andamento della circolazione del virus SARS-CoV-2 la reintroduzione dell'obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie sugli autobus extraregionali a lunga percorrenza.
9/705/68. Di Biase, Gnassi, Ciani, De Maria.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a 100 euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari a 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a predisporre azioni volte a non allentare in modo irragionevole le misure di contrasto al COVID-19, in particolare escludendo che i medici e il personale sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale non vaccinato contro il virus della SARS-CoV-2, che sia reintegrato nel proprio posto di lavoro, possa svolgere mansioni a contatto con persone fragili e immunodepresse.
9/705/69. De Luca, Gnassi, Ciani, Peluffo.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a 100 euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti e altro, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento, il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari a 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a predisporre in linea con un eventuale peggioramento dei dati epidemiologici sull'andamento della circolazione del virus SARS-CoV-2 la reintroduzione dell'obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie sui traghetti delle tratte nazionali per le isole maggiori.
9/705/70. Boldrini, Ciani, Lai.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a 100 euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti eccetera, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del COVID-19 indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento: il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a predisporre in linea con un eventuale peggioramento dei dati epidemiologici sull'andamento della circolazione del virus SARS-CoV-2 la reintroduzione dell'obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie sugli aliscafi delle tratte nazionali per le isole maggiori e per le isole minori.
9/705/71. Casu, Di Biase, Curti, Simiani, Peluffo.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a 100 euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti eccetera, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento: il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a predisporre in linea con un eventuale peggioramento dei dati epidemiologici sull'andamento della circolazione del virus SARS-CoV-2 la reintroduzione dell'obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie sui mezzi di trasporto su gomma extraurbani.
9/705/72. Gnassi, Peluffo, Furfaro, Graziano.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame prevede il venir meno dell'obbligo vaccinale contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale dal 2 novembre 2022 nonché la sospensione dell'entrata in vigore fino al 30 giugno 2023 delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a 100 euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo vaccinale per alcune categorie lavorative nonché per le persone con più di cinquanta anni indipendentemente dal lavoro svolto;

    nonostante il calo dei contagi, il COVID-19 circola ancora in modo preponderante tra la popolazione mettendo a rischio la vita di anziani e fragili e una sua eventuale mutazione o recrudescenza rimane imprevedibile;

    per tale motivo mantenere in vita, in alcune situazioni più di altre, misure di sanità pubblica dalle mascherine al distanziamento interpersonale in ragione dell'evolversi dell'andamento pandemico è fondamentale per la salute personale e dell'intera comunità;

    le misure introdotte invece con questo provvedimento come la fine dell'obbligo vaccinale e il reintegro dei lavoratori, in particolare di coloro che lavorano in ambito sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale, l'abolizione dell'utilizzo del green pass (ossia la certificazione verde COVID-19) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da strutture quali Rsa, hospice, strutture riabilitative e residenziali per anziani, anche non autosufficienti eccetera, abolizione del tampone di fine quarantena, vanno tutte nella direzione opposta come se il virus SARS-CoV-2 non circolasse più nonostante i bollettini settimanali del Ministero della salute sull'incidenza del Covid indicano ancora un numero di contagi elevato, un tasso di occupazione in aree mediche COVID-19 a livello nazionale in aumento: il numero delle vittime in crescita del 4,8 per cento (686 morti la prima settima di dicembre, 719 la seconda), una regione classificata a rischio alto per molteplici allerte di resilienza ai sensi del decreto ministeriale del 30 aprile 2020 e dieci sono a rischio moderato;

    visti i dati del bollettino settimanale sul monitoraggio Covid è necessario continuare ad adottare misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate come l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento;

    l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia;

    nonostante tale indicazione, al 16 dicembre, solo il 28,4 per cento della platea degli aventi diritto, pari a 5.436.818 ha ricevuto la quarta dose a fronte dell'84,7 per cento della platea degli aventi diritto pari 40.400.721 che ha ricevuto la terza dose; dati allarmanti che indicano l'importanza di predisporre nuove ed incisive campagne d'informazione sulla necessità di effettuare anche la quarta dose, in particolare ora che andando verso l'inverno c'è il rischio del sovrapporsi del virus SARS-CoV-2 con quelli influenzali propri della stagione,

impegna il Governo

a predisporre in linea con un eventuale peggioramento dei dati epidemiologici sull'andamento della circolazione del virus SARS-CoV-2 la reintroduzione dell'obbligo di utilizzo dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie sugli impianti a fune al chiuso.
9/705/73. Graziano, Toni Ricciardi, Iacono.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 5 del presente provvedimento, come modificato nel corso dell'esame da parte del Senato, introduce nel codice penale, all'articolo 633-bis, il nuovo delitto di «Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica»;

    la norma punisce chiunque organizza o promuove l'invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di realizzare un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento, quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o per l'incolumità pubblica a causa della inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi;

    in Europa dove la problematica era presente da diversi anni, nel 1994 il Governo britannico ha emanato il Criminal Justice Act che stabilì il divieto di riunirsi senza permessi, con la possibilità di sequestrare furgoni, camion e attrezzature tecniche;

    dopo è stata la volta della Francia, che aveva preso il posto di Londra per i rave di mezza Europa, ma che nel 2002 introdusse la legge Mariani, normativa con cui si è vietata l'organizzazione di rave party senza l'ok dell'Autorità di Pubblica Sicurezza, prevedendo il sequestro degli impianti di amplificazione e conseguenze penali per gli organizzatori;

    il provvedimento, dunque, prevede norme volte a novellare il sistema delle manifestazioni pubbliche;

    la Circolare Gabrielli del 7 giugno 2017 venne introdotta per precisare maggiormente i dettagli al riguardo delle manifestazioni pubbliche, in particolare disponendo perentoriamente che senza lo scrupoloso rispetto del modello organizzativo con la stessa indicato, che presuppone il riscontro delle garanzie di Safety e di Security, le suddette manifestazioni non avrebbero potuto avere luogo, precisando altresì che «mai ragioni di ordine pubblico potranno consentire lo svolgimento, comunque, di manifestazioni che non garantiscano adeguate misure di Safety»;

    le richieste indicate dalla Circolare Gabrielli hanno aumentato esponenzialmente i costi per le organizzazioni, causando una diminuzione delle manifestazioni istituzionali e di carattere benefico,

impegna il Governo

ad adottare opportune iniziative volte alla disapplicazione della circolare Gabrielli per tutti gli eventi istituzionali, ad opera dei Comuni e delle Pro Loco, per gli eventi di carattere charity, per gli eventi no profit aperti gratuitamente al pubblico.
9/705/74. Mollicone, Ciaburro.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 5 del presente provvedimento, come modificato nel corso dell'esame da parte del Senato, introduce nel codice penale, all'articolo 633-bis, il nuovo delitto di «Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica»;

    la norma punisce chiunque organizza o promuove l'invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di realizzare un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento, quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o per l'incolumità pubblica a causa della inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi;

    in Europa dove la problematica era presente da diversi anni, nel 1994 il Governo britannico ha emanato il Criminal Justice Act che stabilì il divieto di riunirsi senza permessi, con la possibilità di sequestrare furgoni, camion e attrezzature tecniche;

    dopo è stata la volta della Francia, che aveva preso il posto di Londra per i rave di mezza Europa, ma che nel 2002 introdusse la legge Mariani, normativa con cui si è vietata l'organizzazione di rave party senza l'ok dell'Autorità di Pubblica Sicurezza, prevedendo il sequestro degli impianti di amplificazione e conseguenze penali per gli organizzatori;

    il provvedimento, dunque, prevede norme volte a novellare il sistema delle manifestazioni pubbliche;

    la Circolare Gabrielli del 7 giugno 2017 venne introdotta per precisare maggiormente i dettagli al riguardo delle manifestazioni pubbliche, in particolare disponendo perentoriamente che senza lo scrupoloso rispetto del modello organizzativo con la stessa indicato, che presuppone il riscontro delle garanzie di Safety e di Security, le suddette manifestazioni non avrebbero potuto avere luogo, precisando altresì che «mai ragioni di ordine pubblico potranno consentire lo svolgimento, comunque, di manifestazioni che non garantiscano adeguate misure di Safety»;

    le richieste indicate dalla Circolare Gabrielli hanno aumentato esponenzialmente i costi per le organizzazioni, causando una diminuzione delle manifestazioni istituzionali e di carattere benefico,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare opportune iniziative volte alla disapplicazione della circolare Gabrielli per tutti gli eventi istituzionali, ad opera dei comuni e delle Pro Loco, per gli eventi di carattere charity, per gli eventi no profit aperti gratuitamente al pubblico.
9/705/74. (Testo modificato nel corso della seduta)Mollicone, Ciaburro.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 1, del decreto-legge n. 162 del 2022, è volto a modificare la disciplina previgente in tema di accesso ai benefici penitenziari da parte di detenuti condannati per specifici reati particolarmente gravi e ritenuti tali da precludere l'accesso ai benefici di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 recante Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà in assenza di collaborazione con la giustizia, cosiddetti reati ostativi;

    la peculiare ratio della disciplina di cui al citato articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario previgente all'emanazione del decreto-legge in esame è quella di differenziare il trattamento penitenziario dei condannati per reati di criminalità organizzata o altri gravi delitti, dal trattamento dei condannati «comuni», subordinando l'accesso alle misure premiali e alternative previste dall'ordinamento penitenziario a determinate condizioni. Per tali delitti, infatti, opera una presunzione di pericolosità sociale assoluta;

    in particolare, il comma 1, dell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario elenca una serie di delitti indicati come ostativi: l'espiazione di una condanna relativa a tali delitti, infatti, non consente la concessione delle misure dell'assegnazione al lavoro all'esterno, dei permessi premio e delle misure alternative alla detenzione previste dal capo VI del citato ordinamento penitenziario, esclusa la liberazione anticipata. Per effetto dell'articolo 2 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 il regime restrittivo per l'accesso ai benefici penitenziari, previsto all'articolo 4-bis, si estende anche al regime della liberazione condizionale;

    tale condizione giuridica era superabile sulla base della disciplina previgente il presente decreto esclusivamente in presenza di un avvenuta collaborazione con la giustizia ai sensi dell'articolo 58-ter dell'ordinamento penitenziario;

    il tema è stato oggetto di ripetuti interventi da parte della Corte costituzionale che ha indirizzato al legislatore un monito a provvedere ed è stato affrontato, nella XVIII legislatura, dalla Camera con l'approvazione di una proposta di legge che non ha concluso tuttavia l'iter parlamentare (A.S. 2574);

    la Corte costituzionale, infatti, con l'ordinanza n. 97 del 2021 ha sottolineato l'incompatibilità con la Costituzione delle norme che individuano nella collaborazione l'unica possibile strada a disposizione del condannato all'ergastolo per un reato ostativo per accedere alla liberazione condizionale e analogamente ha sostenuto con riguardo ai permessi premio con la sentenza n. 253 del 2019;

    sul tema del cosiddetto ergastolo ostativo il testo approvato nella scorsa legislatura della Camera dei deputati riteniamo avesse raggiunto il giusto bilanciamento tra le indicazioni espresse dalla Corte costituzionale e la necessità di garantire sicurezza ai cittadini;

    al fine di introdurre la nuova disciplina dei reati ostativi in conformità con la sentenza della Corte costituzionale, a nostro avviso correttamente il Governo aveva deciso ha deciso di riprendere il lavoro fatto nella scorsa legislatura, che era stato concordato tra le forze politiche della maggioranza composita di allora, e che, sempre a nostro avviso, rappresentava un buon compromesso;

    nel corso dell'esame in Senato, però, sono stati introdotti elementi decisamente peggiorativi, in particolare si è deciso di contraddire quanto era stato chiesto a gran voce da tutte le forze di maggioranza di allora, e cioè di introdurre, per i benefici di legge per i detenuti appunto appartenenti a categorie criminose particolarmente importanti, la competenza funzionale del tribunale di sorveglianza e non del singolo magistrato di sorveglianza, al fine di evitare che a decidere su misure alternative alla detenzione che riguardassero boss mafiosi sia un singolo magistrato che può essere soggetto a pressioni e intimidazioni, proprio per il fatto che si tratta di decidere dei destini di criminali di grande caratura;

    anche l'esclusione dal regime ostativo dei reati teleologicamente connessi e la soluzione alla questione della cosiddetta collaborazione impossibile, per la quale è irragionevole l'esclusione dai benefici penitenziari rappresentano alcune delle criticità che emergono dal testo;

    il testo iniziale prevedeva una differenziazione tra le ipotesi associative relative a reati di criminalità organizzate e terrorismo e i delitti contro la pubblica amministrazione, mentre con le modifiche introdotte nelle ipotesi in cui quei reati contro la pubblica amministrazione siano vincolati da un'associazione a delinquere possono comunque accedere al regime differenziato;

    si tratta, spesso, nelle forme associative, di cosiddetti «reati spia», per i quali a nostro avviso appare fondamentale verificare che non ci siano collegamenti con la criminalità che possano essere ostativi alla concessione di quei benefici;

    inoltre la riforma in esame riproduce la formulazione dell'aggravante comune della connessione teleologica di cui all'articolo 61, primo comma, n. 2) senza peraltro richiamarla, discostandosi dal testo approvato dalla Camera nella scorsa legislatura, dove si si prevedeva che il regime differenziato per l'accesso ai benefici penitenziari per i condannati per i delitti ostativi, in caso di esecuzione di pene concorrenti, si sarebbe dovuto applicare anche quando i condannati avessero già espiato la parte di pena relativa ai predetti delitti, ma fosse stata accertata dal giudice della cognizione l'aggravante della connessione teleologica (di cui all'articolo 61, numero 2), del codice penale) tra i reati la cui pena è in esecuzione; l'estensione del regime ostativo veniva operata con riferimento all'ipotesi «di esecuzione di pene concorrenti» che, secondo quanto previsto dall'articolo 663 del codice di procedura penale, si verifica quando una stessa persona sia stata condannata con più sentenze o decreti penali per reati diversi. La novella introdotta con il decreto-legge in esame invece estende l'applicazione della disciplina del regime ostativo anche al caso in cui la condanna per reati ostativi e non ostativi sia stata adottata con un'unica sentenza. Inoltre rispetto alla disposizione contenuta nel testo approvato dalla Camera nella scorsa legislatura, si attribuisce rilevanza anche all'accertamento della connessione qualificata eventualmente compiuto in fase esecutiva,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle disposizioni richiamate in premessa, al fine di adottare ulteriori iniziative normative nell'ambito delle sue proprie prerogative volte a prevedere che il regime differenziato per l'accesso ai benefici penitenziari per i condannati per i delitti ostativi si applichi altresì in caso di esecuzione di pene concorrenti inflitte anche per delitti diversi da quelli indicati, in relazione ai quali il giudice della cognizione ha accertato che siano stati commessi per eseguire od occultare uno dei reati di cui al medesimo primo periodo ovvero per conseguire o assicurare al condannato o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero l'impunità di detti reati.
9/705/75. Fassino, Di Biase.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 1, del decreto-legge n. 162 del 2022, è volto a modificare la disciplina previgente in tema di accesso ai benefici penitenziari da parte di detenuti condannati per specifici reati particolarmente gravi e ritenuti tali da precludere l'accesso ai benefici di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 recante Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà in assenza di collaborazione con la giustizia, cosiddetti reati ostativi;

    la peculiare ratio della disciplina di cui al citato articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario previgente all'emanazione del decreto-legge in esame è quella di differenziare il trattamento penitenziario dei condannati per reati di criminalità organizzata o altri gravi delitti, dal trattamento dei condannati «comuni», subordinando l'accesso alle misure premiali e alternative previste dall'ordinamento penitenziario a determinate condizioni. Per tali delitti, infatti, opera una presunzione di pericolosità sociale assoluta;

    in particolare, il comma 1, dell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario elenca una serie di delitti indicati come ostativi: l'espiazione di una condanna relativa a tali delitti, infatti, non consente la concessione delle misure dell'assegnazione al lavoro all'esterno, dei permessi premio e delle misure alternative alla detenzione previste dal capo VI del citato ordinamento penitenziario, esclusa la liberazione anticipata. Per effetto dell'articolo 2 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 il regime restrittivo per l'accesso ai benefici penitenziari, previsto all'articolo 4-bis, si estende anche al regime della liberazione condizionale;

    tale condizione giuridica era superabile sulla base della disciplina previgente il presente decreto esclusivamente in presenza di un avvenuta collaborazione con la giustizia ai sensi dell'articolo 58-ter dell'ordinamento penitenziario;

    il tema è stato oggetto di ripetuti interventi da parte della Corte costituzionale che ha indirizzato al legislatore un monito a provvedere ed è stato affrontato, nella XVIII legislatura, dalla Camera con l'approvazione di una proposta di legge che non ha concluso tuttavia l'iter parlamentare (A.S. 2574);

    la Corte costituzionale, infatti, con l'ordinanza n. 97 del 2021 ha sottolineato l'incompatibilità con la Costituzione delle norme che individuano nella collaborazione l'unica possibile strada a disposizione del condannato all'ergastolo per un reato ostativo per accedere alla liberazione condizionale e analogamente ha sostenuto con riguardo ai permessi premio con la sentenza n. 253 del 2019;

    sul tema del cosiddetto ergastolo ostativo il testo approvato nella scorsa legislatura della Camera dei deputati riteniamo avesse raggiunto il giusto bilanciamento tra le indicazioni espresse dalla Corte costituzionale e la necessità di garantire sicurezza ai cittadini;

    durante l'emergenza sanitaria, per ridurre il sovraffollamento carcerario, con il decreto-legge n. 18 del 2020 sono state adottate alcune misure straordinarie, volte ad incrementare l'esecuzione della pena detentiva fuori dal carcere presso il domicilio. In particolare, com'è noto, sono state previste licenze e permessi straordinari per i detenuti in regime di semilibertà e per quelli non ammessi al lavoro esterno. È stata inoltre prevista la detenzione domiciliare per i detenuti che devono scontare una pena residua non superiore ai diciotto mesi;

    tali misure, come ben noto, non possono essere applicate ai delitti indicati dall'articolo 4-bis della legge n. 352 del 1975 e dagli articoli 572 e 612-bis del codice penale: mafia, terrorismo e i delitti di più grave allarme sociale, compresi i delitti di maltrattamento e gli atti persecutori, e la detenzione domiciliare non può inoltre essere applicata ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza, ai detenuti che sono sottoposti al regime di sorveglianza particolare, ai detenuti che nell'ultimo anno sono stati sanzionati o oggetto di rapporto disciplinare per disordine o sommosse, ai detenuti privi di un domicilio effettivo ed idoneo, anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato e nei casi in cui il magistrato di sorveglianza ravvisi gravi motivi ostativi alla concessione della misura;

    sin dal giorno della loro introduzione, non risulta che tali misure abbiano prodotto alcun allarme sociale o che vi siano stati casi di revoca per condotte illecite da parte dei detenuti che ne hanno beneficiato,

impegna il Governo

nell'ambito delle sue proprie prerogative, a prevedere, attraverso ulteriori iniziative normative, che le licenze premio straordinarie per i detenuti in regime di semilibertà per il condannato ammesso al regime di semilibertà possano essere concesse con durata superiore a quella prevista dal primo comma del predetto articolo 52 della legge n. 354 del 1975, salvo che il magistrato di sorveglianza ravvisi gravi motivi ostativi alla concessione della misura; che ai condannati cui siano stati già concessi i permessi di cui all'articolo 30-ter della legge 26 luglio 1975, n. 354 o che siano stati assegnati al lavoro all'esterno ai sensi dell'articolo 21 della legge 26 luglio 1975, n. 354 o ammessi all'istruzione o alla formazione professionale all'esterno ai sensi dell'articolo 18 del decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121, i permessi di cui all'articolo 30-ter della citata legge n. 354 del 1975, quando ne ricorrono i presupposti, possano essere concessi anche in deroga ai limiti temporali indicati dai commi 1 e 2 dello stesso articolo 30-ter; che la pena detentiva sia eseguita, su istanza, presso l'abitazione del condannato o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, ove non sia superiore a diciotto mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena, salvo che riguardi soggetti condannati per taluno dei delitti indicati dall'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni e dagli articoli 572 e 612-bis del codice penale, condannati per delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, nonché ai delitti di cui all'articolo 416-bis del codice penale, o commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni in esso previste, anche nel caso in cui i condannati abbiano già espiato la parte di pena relativa ai predetti delitti quando, in caso di cumulo, sia stata accertata dal giudice della cognizione o dell'esecuzione la connessione ai sensi dell'articolo 12, comma 1, lettere b) e c), del codice di procedura penale tra i reati la cui pena è in esecuzione, delinquenti abituali, professionali o per tendenza, ai sensi degli articoli 102, 105 e 108 del codice penale, detenuti che sono sottoposti al regime di sorveglianza particolare, ai sensi dell'articolo 14-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, salvo che sia stato accolto il reclamo previsto dall'articolo 14-ter della medesima legge, detenuti che nell'ultimo anno siano stati sanzionati per le infrazioni disciplinari di cui all'articolo 77, comma 1, numeri 18, 19, 20 e 21 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, detenuti nei cui confronti, in data successiva all'entrata in vigore del presente decreto, sia redatto rapporto disciplinare ai sensi dell'articolo 81, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230 in relazione alle infrazioni di cui all'articolo 77, comma 1, numeri 18 e 19 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, detenuti privi di un domicilio effettivo e idoneo anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato.
9/705/76. Gianassi, Lacarra, Guerra.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 1, del decreto-legge n. 162 del 2022, è volto a modificare la disciplina previgente in tema di accesso ai benefici penitenziari da parte di detenuti condannati per specifici reati particolarmente gravi e ritenuti tali da precludere l'accesso ai benefici di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 recante Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà in assenza di collaborazione con la giustizia, cosiddetti reati ostativi;

    la peculiare ratio della disciplina di cui al citato articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario previgente all'emanazione del decreto-legge in esame è quella di differenziare il trattamento penitenziario dei condannati per reati di criminalità organizzata o altri gravi delitti, dal trattamento dei condannati «comuni», subordinando l'accesso alle misure premiali e alternative previste dall'ordinamento penitenziario a determinate condizioni. Per tali delitti, infatti, opera una presunzione di pericolosità sociale assoluta;

    in particolare, il comma 1, dell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario elenca una serie di delitti indicati come ostativi: l'espiazione di una condanna relativa a tali delitti, infatti, non consente la concessione delle misure dell'assegnazione al lavoro all'esterno, dei permessi premio e delle misure alternative alla detenzione previste dal capo VI del citato ordinamento penitenziario, esclusa la liberazione anticipata. Per effetto dell'articolo 2 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 il regime restrittivo per l'accesso ai benefici penitenziari, previsto all'articolo 4-bis, si estende anche al regime della liberazione condizionale;

    tale condizione giuridica era superabile sulla base della disciplina previgente il presente decreto esclusivamente in presenza di un avvenuta collaborazione con la giustizia ai sensi dell'articolo 58-ter dell'ordinamento penitenziario;

    il tema è stato oggetto di ripetuti interventi da parte della Corte costituzionale che ha indirizzato al legislatore un monito a provvedere ed è stato affrontato, nella XVIII legislatura, dalla Camera con l'approvazione di una proposta di legge che non ha concluso tuttavia l'iter parlamentare (A.S. 2574);

    la Corte costituzionale, infatti, con l'ordinanza n. 97 del 2021 ha sottolineato l'incompatibilità con la Costituzione delle norme che individuano nella collaborazione l'unica possibile strada a disposizione del condannato all'ergastolo per un reato ostativo per accedere alla liberazione condizionale e analogamente ha sostenuto con riguardo ai permessi premio con la sentenza n. 253 del 2019;

    sul tema del cosiddetto ergastolo ostativo il testo approvato nella scorsa legislatura della Camera dei deputati riteniamo avesse raggiunto il giusto bilanciamento tra le indicazioni espresse dalla Corte costituzionale e la necessità di garantire sicurezza ai cittadini;

    durante l'emergenza sanitaria, per ridurre il sovraffollamento carcerario, con il decreto-legge n. 18 del 2020 sono state adottate alcune misure straordinarie, volte ad incrementare l'esecuzione della pena detentiva fuori dal carcere presso il domicilio. In particolare, com'è noto, sono state previste licenze e permessi straordinari per i detenuti in regime di semilibertà e per quelli non ammessi al lavoro esterno. È stata inoltre prevista la detenzione domiciliare per i detenuti che devono scontare una pena residua non superiore ai diciotto mesi;

    tali misure, come ben noto, non possono essere applicate ai delitti indicati dall'articolo 4-bis della legge n. 352 del 1975 e dagli articoli 572 e 612-bis del codice penale: mafia, terrorismo e i delitti di più grave allarme sociale, compresi i delitti di maltrattamento e gli atti persecutori, e la detenzione domiciliare non può inoltre essere applicata ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza, ai detenuti che sono sottoposti al regime di sorveglianza particolare, ai detenuti che nell'ultimo anno sono stati sanzionati o oggetto di rapporto disciplinare per disordine o sommosse, ai detenuti privi di un domicilio effettivo ed idoneo, anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato e nei casi in cui il magistrato di sorveglianza ravvisi gravi motivi ostativi alla concessione della misura;

    sin dal giorno della loro introduzione, non risulta che tali misure abbiano prodotto alcun allarme sociale o che vi siano stati casi di revoca per condotte illecite da parte dei detenuti che ne hanno beneficiato,

impegna il Governo

nell'ambito delle sue proprie prerogative a prevedere, attraverso ulteriori iniziative normative, che i detenuti in regime di semilibertà ammessi alle licenze premio straordinarie di cui all'articolo 28, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, che abbiano rispettato le prescrizioni impartite dal magistrato di sorveglianza per tutta la durata dei successivi rinnovi della misura siano ammessi all'affidamento in prova al servizio sociale.
9/705/77. Bonafè.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 1, del decreto-legge n. 162 del 2022, è volto a modificare la disciplina previgente in tema di accesso ai benefici penitenziari da parte di detenuti condannati per specifici reati particolarmente gravi e ritenuti tali da precludere l'accesso ai benefici di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 recante Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà in assenza di collaborazione con la giustizia, cosiddetti reati ostativi;

    la peculiare ratio della disciplina di cui al citato articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario previgente all'emanazione del decreto-legge in esame è quella di differenziare il trattamento penitenziario dei condannati per reati di criminalità organizzata o altri gravi delitti, dal trattamento dei condannati «comuni», subordinando l'accesso alle misure premiali e alternative previste dall'ordinamento penitenziario a determinate condizioni. Per tali delitti, infatti, opera una presunzione di pericolosità sociale assoluta;

    in particolare, il comma 1, dell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario elenca una serie di delitti indicati come ostativi: l'espiazione di una condanna relativa a tali delitti, infatti, non consente la concessione delle misure dell'assegnazione al lavoro all'esterno, dei permessi premio e delle misure alternative alla detenzione previste dal capo VI del citato ordinamento penitenziario, esclusa la liberazione anticipata. Per effetto dell'articolo 2 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 il regime restrittivo per l'accesso ai benefici penitenziari, previsto all'articolo 4-bis, si estende anche al regime della liberazione condizionale;

    tale condizione giuridica era superabile sulla base della disciplina previgente il presente decreto esclusivamente in presenza di un avvenuta collaborazione con la giustizia ai sensi dell'articolo 58-ter dell'ordinamento penitenziario;

    il tema è stato oggetto di ripetuti interventi da parte della Corte costituzionale che ha indirizzato al legislatore un monito a provvedere ed è stato affrontato, nella XVIII legislatura, dalla Camera con l'approvazione di una proposta di legge che non ha concluso tuttavia l'iter parlamentare (A.S. 2574);

    la Corte costituzionale, infatti, con l'ordinanza n. 97 del 2021 ha sottolineato l'incompatibilità con la Costituzione delle norme che individuano nella collaborazione l'unica possibile strada a disposizione del condannato all'ergastolo per un reato ostativo per accedere alla liberazione condizionale e analogamente ha sostenuto con riguardo ai permessi premio con la sentenza n. 253 del 2019;

    sul tema del cosiddetto ergastolo ostativo il testo approvato nella scorsa legislatura della Camera dei deputati riteniamo avesse raggiunto il giusto bilanciamento tra le indicazioni espresse dalla Corte costituzionale e la necessità di garantire sicurezza ai cittadini;

    durante l'emergenza sanitaria, per ridurre il sovraffollamento carcerario, con il decreto-legge n. 18 del 2020 sono state adottate alcune misure straordinarie, volte ad incrementare l'esecuzione della pena detentiva fuori dal carcere presso il domicilio. In particolare, com'è noto, sono state previste licenze e permessi straordinari per i detenuti in regime di semilibertà e per quelli non ammessi al lavoro esterno. È stata inoltre prevista la detenzione domiciliare per i detenuti che devono scontare una pena residua non superiore ai diciotto mesi;

    tali misure, come ben noto, non possono essere applicate ai delitti indicati dall'articolo 4-bis della legge n. 352 del 1975 e dagli articoli 572 e 612-bis del codice penale: mafia, terrorismo e i delitti di più grave allarme sociale, compresi i delitti di maltrattamento e gli atti persecutori, e la detenzione domiciliare non può inoltre essere applicata ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza, ai detenuti che sono sottoposti al regime di sorveglianza particolare, ai detenuti che nell'ultimo anno sono stati sanzionati o oggetto di rapporto disciplinare per disordine o sommosse, ai detenuti privi di un domicilio effettivo ed idoneo, anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato e nei casi in cui il magistrato di sorveglianza ravvisi gravi motivi ostativi alla concessione della misura;

    sin dal giorno della loro introduzione, non risulta che tali misure abbiano prodotto alcun allarme sociale o che vi siano stati casi di revoca per condotte illecite da parte dei detenuti che ne hanno beneficiato,

impegna il Governo

nell'ambito delle sue proprie prerogative a valutare l'opportunità di prorogare, attraverso ulteriori iniziative normative, i termini previsti dalle disposizioni legislative di cui ai numeri 18, relativo alle licenze premio straordinarie per i detenuti in regime di semilibertà, 19, relativo alla durata straordinaria dei permessi premio, e 20, relativo alla detenzione domiciliare, dell'allegato A annesso al decreto-legge 24 dicembre 2021, n. 221, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2022, n. 11, al 31 dicembre 2024.
9/705/78. Porta, Provenzano.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 1, del decreto-legge n. 162 del 2022, è volto a modificare la disciplina previgente in tema di accesso ai benefici penitenziari da parte di detenuti condannati per specifici reati particolarmente gravi e ritenuti tali da precludere l'accesso ai benefici di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 recante Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà in assenza di collaborazione con la giustizia, cosiddetti reati ostativi;

    la peculiare ratio della disciplina di cui al citato articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario previgente all'emanazione del decreto-legge in esame è quella di differenziare il trattamento penitenziario dei condannati per reati di criminalità organizzata o altri gravi delitti, dal trattamento dei condannati «comuni», subordinando l'accesso alle misure premiali e alternative previste dall'ordinamento penitenziario a determinate condizioni. Per tali delitti, infatti, opera una presunzione di pericolosità sociale assoluta;

    in particolare, il comma 1, dell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario elenca una serie di delitti indicati come ostativi: l'espiazione di una condanna relativa a tali delitti, infatti, non consente la concessione delle misure dell'assegnazione al lavoro all'esterno, dei permessi premio e delle misure alternative alla detenzione previste dal capo VI del citato ordinamento penitenziario, esclusa la liberazione anticipata. Per effetto dell'articolo 2 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 il regime restrittivo per l'accesso ai benefici penitenziari, previsto all'articolo 4-bis, si estende anche al regime della liberazione condizionale;

    tale condizione giuridica era superabile sulla base della disciplina previgente il presente decreto esclusivamente in presenza di un avvenuta collaborazione con la giustizia ai sensi dell'articolo 58-ter dell'ordinamento penitenziario;

    il tema è stato oggetto di ripetuti interventi da parte della Corte costituzionale che ha indirizzato al legislatore un monito a provvedere ed è stato affrontato, nella XVIII legislatura, dalla Camera con l'approvazione di una proposta di legge che non ha concluso tuttavia l'iter parlamentare (A.S. 2574);

    la Corte costituzionale, infatti, con l'ordinanza n. 97 del 2021 ha sottolineato l'incompatibilità con la Costituzione delle norme che individuano nella collaborazione l'unica possibile strada a disposizione del condannato all'ergastolo per un reato ostativo per accedere alla liberazione condizionale e analogamente ha sostenuto con riguardo ai permessi premio con la sentenza n. 253 del 2019;

    sul tema del cosiddetto ergastolo ostativo il testo approvato nella scorsa legislatura della Camera dei deputati riteniamo avesse raggiunto il giusto bilanciamento tra le indicazioni espresse dalla Corte costituzionale e la necessità di garantire sicurezza ai cittadini;

    durante l'emergenza sanitaria, per ridurre il sovraffollamento carcerario, con il decreto-legge n. 18 del 2020 sono state adottate alcune misure straordinarie, volte ad incrementare l'esecuzione della pena detentiva fuori dal carcere presso il domicilio. In particolare, com'è noto, sono state previste licenze e permessi straordinari per i detenuti in regime di semilibertà e per quelli non ammessi al lavoro esterno. È stata inoltre prevista la detenzione domiciliare per i detenuti che devono scontare una pena residua non superiore ai diciotto mesi;

    tali misure, come ben noto, non possono essere applicate ai delitti indicati dall'articolo 4-bis della legge n. 352 del 1975 e dagli articoli 572 e 612-bis del codice penale: mafia, terrorismo e i delitti di più grave allarme sociale, compresi i delitti di maltrattamento e gli atti persecutori, e la detenzione domiciliare non può inoltre essere applicata ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza, ai detenuti che sono sottoposti al regime di sorveglianza particolare, ai detenuti che nell'ultimo anno sono stati sanzionati o oggetto di rapporto disciplinare per disordine o sommosse, ai detenuti privi di un domicilio effettivo ed idoneo, anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato e nei casi in cui il magistrato di sorveglianza ravvisi gravi motivi ostativi alla concessione della misura;

    sin dal giorno della loro introduzione, non risulta che tali misure abbiano prodotto alcun allarme sociale o che vi siano stati casi di revoca per condotte illecite da parte dei detenuti che ne hanno beneficiato,

impegna il Governo

nell'ambito delle sue proprie prerogative a valutare l'opportunità di prorogare i termini previsti dalle disposizioni legislative di cui ai numeri 18, relativo alle licenze premio straordinarie per i detenuti in regime di semilibertà, 19, relativo alla durata straordinaria dei permessi premio, e 20, relativo alla detenzione domiciliare, dell'allegato A annesso al decreto-legge 24 dicembre 2021, n. 221, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2022, n. 11, al 31 dicembre 2023.
9/705/79. Quartapelle Procopio, Porta, Di Sanzo.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 1, del decreto-legge n. 162 del 2022, è volto a modificare la disciplina previgente in tema di accesso ai benefici penitenziari da parte di detenuti condannati per specifici reati particolarmente gravi e ritenuti tali da precludere l'accesso ai benefici di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 recante Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà in assenza di collaborazione con la giustizia, cosiddetti reati ostativi;

    la peculiare ratio della disciplina di cui al citato articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario previgente all'emanazione del decreto-legge in esame è quella di differenziare il trattamento penitenziario dei condannati per reati di criminalità organizzata o altri gravi delitti, dal trattamento dei condannati «comuni», subordinando l'accesso alle misure premiali e alternative previste dall'ordinamento penitenziario a determinate condizioni. Per tali delitti, infatti, opera una presunzione di pericolosità sociale assoluta;

    in particolare, il comma 1, dell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario elenca una serie di delitti indicati come ostativi: l'espiazione di una condanna relativa a tali delitti, infatti, non consente la concessione delle misure dell'assegnazione al lavoro all'esterno, dei permessi premio e delle misure alternative alla detenzione previste dal capo VI del citato ordinamento penitenziario, esclusa la liberazione anticipata. Per effetto dell'articolo 2 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 il regime restrittivo per l'accesso ai benefici penitenziari, previsto all'articolo 4-bis, si estende anche al regime della liberazione condizionale;

    tale condizione giuridica era superabile sulla base della disciplina previgente il presente decreto esclusivamente in presenza di un avvenuta collaborazione con la giustizia ai sensi dell'articolo 58-ter dell'ordinamento penitenziario;

    il tema è stato oggetto di ripetuti interventi da parte della Corte costituzionale che ha indirizzato al legislatore un monito a provvedere ed è stato affrontato, nella XVIII legislatura, dalla Camera con l'approvazione di una proposta di legge che non ha concluso tuttavia l'iter parlamentare (A.S. 2574);

    la Corte costituzionale, infatti, con l'ordinanza n. 97 del 2021 ha sottolineato l'incompatibilità con la Costituzione delle norme che individuano nella collaborazione l'unica possibile strada a disposizione del condannato all'ergastolo per un reato ostativo per accedere alla liberazione condizionale e analogamente ha sostenuto con riguardo ai permessi premio con la sentenza n. 253 del 2019;

    sul tema del cosiddetto ergastolo ostativo il testo approvato nella scorsa legislatura della Camera dei deputati riteniamo avesse raggiunto il giusto bilanciamento tra le indicazioni espresse dalla Corte costituzionale e la necessità di garantire sicurezza ai cittadini;

    durante l'emergenza sanitaria, per ridurre il sovraffollamento carcerario, con il decreto-legge n. 18 del 2020 sono state adottate alcune misure straordinarie, volte ad incrementare l'esecuzione della pena detentiva fuori dal carcere presso il domicilio. In particolare, com'è noto, sono state previste licenze e permessi straordinari per i detenuti in regime di semilibertà e per quelli non ammessi al lavoro esterno. È stata inoltre prevista la detenzione domiciliare per i detenuti che devono scontare una pena residua non superiore ai diciotto mesi;

    tali misure, come ben noto, non possono essere applicate ai delitti indicati dall'articolo 4-bis della legge n. 352 del 1975 e dagli articoli 572 e 612-bis del codice penale: mafia, terrorismo e i delitti di più grave allarme sociale, compresi i delitti di maltrattamento e gli atti persecutori, e la detenzione domiciliare non può inoltre essere applicata ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza, ai detenuti che sono sottoposti al regime di sorveglianza particolare, ai detenuti che nell'ultimo anno sono stati sanzionati o oggetto di rapporto disciplinare per disordine o sommosse, ai detenuti privi di un domicilio effettivo ed idoneo, anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato e nei casi in cui il magistrato di sorveglianza ravvisi gravi motivi ostativi alla concessione della misura;

    sin dal giorno della loro introduzione, non risulta che tali misure abbiano prodotto alcun allarme sociale o che vi siano stati casi di revoca per condotte illecite da parte dei detenuti che ne hanno beneficiato,

impegna il Governo

nell'ambito delle sue proprie prerogative a valutare l'opportunità di prorogare, attraverso ulteriori iniziative normative, i termini previsti dalle disposizioni legislative di cui ai numeri 18, relativo alle licenze premio straordinarie per i detenuti in regime di semilibertà, 19, relativo alla durata straordinaria dei permessi premio, e 20, relativo alla detenzione domiciliare, dell'allegato A annesso al decreto-legge 24 dicembre 2021, n. 221, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 febbraio 2022, n. 11, al 31 dicembre 2025.
9/705/80. Speranza, Casu.


   La Camera,

   premesso che:

    la Costituzione della Repubblica italiana stabilisce chiaramente all'articolo 27 che la pena detentiva non possa consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e debba tendere alla rieducazione del condannato;

    secondo gli ultimi dati elaborati dall'ISTAT i detenuti maggiorenni incarcerati in Italia, al 31 marzo 2022, sono 54.609, distribuiti in 189 istituti, di cui 2.276 donne (circa il 4 per cento). Del totale dei detenuti maggiorenni, 17.104 sono stranieri, circa il 31 per cento. La capienza regolamentare è attualmente di 50.853 persone;

    sin dal lontano gennaio 2013 la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo condannò la Repubblica italiana per lo stato delle proprie strutture carcerarie. La Corte di Strasburgo riconobbe che negli istituti di pena italiani esisteva un problema strutturale di sovraffollamento e per questo chiese alle autorità italiane di introdurre entro un anno soluzioni adeguate a invertire la tendenza e garantire che le violazioni non si ripetano. I dati parlano da soli e dimostrano che il nostro Paese, patria di Cesare Beccaria, è ancora del tutto inadempiente;

    la capienza regolamentare è calcolata sulla base del criterio di 14 metri quadrati per singolo detenuto ed è la stessa che viene calcolata per concedere l'abilità alle abitazioni italiane. Di fatto la capienza regolamentare è mediamente superata di circa il 6,5 per cento, configurando quindi il noto problema di sovraffollamento degli istituiti di pena nazionali. In alcuni di essi lo sforamento percentuale tocca ancora il +100 per cento. Sebbene in termini relativi sulla popolazione residente l'Italia risulti uno dei Paesi con più basso numero di detenuti, esso è tra i Paesi con più alto tasso di sovraffollamento delle carceri in Europa e quello in cui studiare, lavorare e curarsi è più difficile rispetto alle migliori esperienze di espiazione della pena all'estero;

    i detenuti e gli internati, come ricordato anche in decine di atti di sindacato ispettivo presentati da tre legislature nel Parlamento della Repubblica, hanno infatti diritto al pari dei cittadini in stato di libertà all'erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, sovente psicologica, efficaci ed appropriate, sulla base degli obiettivi generali e speciali di salute e dei livelli essenziali ed uniformi di assistenza individuati nel piano sanitario nazionale così come nei piani sanitari regionali;

    l'affermazione del citato principio della parità di accesso alle cure per i detenuti è contenuta nel decreto legislativo 22 giugno 1999, n. 230, riguardante il riordino della medicina penitenziaria, e altresì costituisce l'attuazione del principio sancito dall'articolo 32 della Costituzione in materia di diritto alla salute nella parte in cui la carta stabilisce che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo» e che «la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana»; ugualmente alle strutture di detenzione, la medicina penitenziaria versa in condizioni di assoluta precarietà per mancanza di mezzi e risorse e i medici, gli infermieri e gli operatori di Polizia penitenziaria che lavorano nei 189 istituti penitenziari italiani continuano a portare avanti con difficoltà un'opera particolarmente importante e delicata a tutela della salute della popolazione detenuta, sebbene impossibilitati a provvedere al rinnovamento delle strutture e all'adeguamento del personale in sottorganico;

    dall'inizio del 2022 secondo il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria del Ministero della giustizia 82 persone si sono tolte la vita all'interno di un istituto di pena italiano. Mai così tante da quando si registra questo dato. Il precedente drammatico primato era del 2009, quando al 31 dicembre si erano suicidate 72 persone. L'ultimo caso è avvenuto nel carcere di Rebibbia a Roma: la persona deceduta doveva scontare gli ultimi sei mesi di reclusione;

    secondo illustri giuristi italiani, tra cui il Presidente emerito della Corte costituzionale Giovanni Maria Flick, la rieducazione del condannato è oggi inattuabile dietro le mura di un penitenziario nazionale e il sistema carcerario ottocentesco, eccetto che per i reati gravi e per i condannati pericolosi o di mafia, va superato,

impegna il Governo a:

   intraprendere misure urgenti e innovative per affrontare l'emergenza del sovraffollamento delle carceri nel nostro Paese e per dare effettività alla pena ma anche al processo di rieducazione del reo, garantendo accesso a cure e opportunità di sviluppo professionale, sanando condizioni inumane di detenzione della popolazione carceraria e permettendo così anche condizioni accettabili di lavoro per gli operatori di polizia nei penitenziari italiani;

   prorogare, attraverso ulteriori iniziative normative, al 31 dicembre 2023 quanto già previsto dagli articoli 28, 29 e 30 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176.
9/705/81. Braga, Ascani, Ciani, Di Sanzo, Di Biase, Curti.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 5 del decreto-legge citato introduce «Norme in materia di occupazioni abusive e organizzazione di raduni illegali»;

    in particolare dopo l'articolo 633 del codice penale viene introdotto l'articolo 633-bis denominato «Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica» il quale punisce chiunque organizza o promuove l'invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di realizzare un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento con la reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000, quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o per l'incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi;

    si stabilisce inoltre che è sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di cui al primo comma, nonché di quelle utilizzate per realizzare le finalità dell'occupazione o di quelle che ne sono il prodotto o il profitto;

    tali pene edittali rendono obbligatorio l'arresto in flagranza, la custodia cautelare in carcere, l'autorizzazione all'uso delle intercettazioni;

    considerato che prevedono una pena massima sotto i sei anni persino gli atti di terrorismo verso cose con ordigni esplosivi, l'omicidio colposo, l'omissione di soccorso, l'abbandono di minori o incapaci, l'occultamento di cadavere, l'adescamento di minorenni,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disposizione richiamata in premessa al fine di ridimensionare le pene nel minimo e nel massimo edittale nel rispetto del principio di proporzionalità della pena all'entità del fatto di reato commesso senza incorrere in eccessi punitivi.
9/705/82. Ascari, D'Orso, Cafiero De Raho, Giuliano, Pavanelli, Auriemma, Barzotti, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 4, che novella l'articolo 25 della legge 13 settembre 1982, n. 646, relativo agli accertamenti fiscali nei confronti di soggetti sottoposti a misure di prevenzione, estende la possibilità per il nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza di effettuare verifiche della posizione fiscale, economica e patrimoniale ai fini dell'accertamento di illeciti valutari e societari e comunque in materia economica e finanziaria, anche nei confronti dei soggetti per i quali sia stato emesso il decreto di cui all'articolo 41-bis, comma 2-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354, disponendo altresì che copia del suddetto decreto venga trasmessa, a cura del Ministero della giustizia, al nucleo di polizia economico finanziaria della Guardia di finanza;

    il citato articolo 41-bis prevede la facoltà di sospensione delle norme sull'ordinamento penitenziario per i detenuti che abbiano commesso i delitti ostativi di cui all'articolo 4-bis della citata legge n. 354 del 1975 sull'ordinamento penitenziario o altri delitti, avvalendosi di associazioni di tipo mafioso o per agevolare le medesime associazioni;

   ritenuto che:

    sulla base dell'articolo 4, il nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza avrà solo la facoltà e non l'obbligo di procedere alla verifica della posizione fiscale, economica e patrimoniale dei detenuti ai quali sia stato applicato il regime carcerario previsto dall'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario;

    sempre l'articolo 4 non prevede un termine entro il quale copia del decreto di cui al comma 2-bis dell'articolo 41-bis della citata legge 26 luglio 1975, n. 354, venga trasmessa dal Ministero della giustizia al nucleo di polizia economico-finanziaria,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disposizione richiamata in premessa al fine di assumere iniziative finalizzate a prevedere l'obbligatorietà della verifica fiscale da parte dell'amministrazione finanziaria nonché la previsione di specifici termini di trasmissione del decreto di cui all'articolo 41-bis, comma 2-bis, della legge 26 luglio 1975, n. 354.
9/705/83. Alifano, Fenu, Lovecchio, Raffa, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Casu, Donno, Cherchi, Todde, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    la normativa contenuta nell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975, n. 354) è stata oggetto di modifica a seguito della pronuncia della Corte europea dei diritti dell'uomo, con sentenza 13 giugno 2019 n. 77633-16 e delle sentenze n. 149 del 2018, e n. 253 del 2019, e dell'ordinanza n. 97 del 2021 della Corte costituzionale;

    da ultimo, con il decreto-legge n. 162 del 31 ottobre 2022, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 255 del 31 ottobre 2022 ed in pari data entrato in vigore, il Governo ha introdotto nuove regole per l'ergastolo ostativo per ovviare al mancato esito parlamentare sul testo unificato dell'Atto Senato n. 2574, che aveva l'obiettivo dichiarato di contemperare le esigenze di sicurezza collettiva con il principio di rieducazione della pena;

    a questo proposito, nella camera di consiglio dell'8 novembre 2022, la Corte costituzionale, ha reso noto di aver disposto la restituzione degli atti alla Corte di cassazione quale giudice a quo, affinché verifichi gli effetti della normativa sopravvenuta sulla rilevanza delle questioni sollevate e proceda a una nuova valutazione della loro non manifesta infondatezza;

    viste le Audizioni svoltesi in Commissione giustizia in data 15 dicembre 2022 in cui autorevoli auditi, tra cui il Procuratore Nazionale Antimafia Giovanni Melillo, e il Presidente del Tribunale di Palermo, Antonio Balsamo, hanno rappresentato l'urgenza di coordinare meglio le informazioni tra le diverse Autorità giudiziarie impegnate sulla decisione della concessione o meno dei benefìci penitenziari,

impegna il Governo

a potenziare il sistema di scambio di informazioni, con appropriate banche dati facilmente accessibili, tra la magistratura di sorveglianza, i diversi organi del pubblico ministero e le sezioni misure di prevenzione dei tribunali.
9/705/84. Appendino, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Pavanelli, Carmina, Pellegrini, Orrico, Casu, Iaria, Barzotti, Aiello, Cappelletti, Penza, Lovecchio, Torto, Donno, Lomuti, Quartini, Alfonso Colucci.


   La Camera,

   premesso che:

    secondo la relazione dell'Anac del 2021 la nuova veste della corruzione in Italia è molto differente da quella di Tangentopoli, registrata negli anni '90. Il denaro continua a rappresentare il principale strumento dell'accordo illecito (48 per cento), anche se si ricorre sempre di più ad altre contropartite non convenzionali;

    in particolare, il posto di lavoro si configura come una delle monete di scambio più gradite (13 per cento), soprattutto al Sud; si «vendono» l'assunzione di coniugi, congiunti o soggetti comunque legati al corrotto. A seguire, l'assegnazione di prestazioni professionali (11 per cento, sotto forma di consulenze, ristrutturazioni edilizie, riparazioni, servizi di pulizia, trasporto mobili, lavori di falegnameria, giardinaggio, tinteggiatura, prestazioni sessuali...). Infine, vi sono le regalie di vario tipo, che vengono concesse nel 7 per cento degli episodi;

    proprio per la natura pulviscolare che sta assumendo, il fenomeno della corruzione sembra prestarsi meglio ad essere aggredito con misure repressive e preventive, soprattutto se si pensa al fatto che sta avendo caratteristiche sempre più liquide ed internazionali con riferimento a quei casi nei quali vengono dati (o promessi) denaro o altre utilità a un pubblico ufficiale straniero per ottenere un atto a vantaggio di un ente che ha la sede (od opera) in uno Stato diverso da quello dell'ordinamento di appartenenza del pubblico ufficiale;

    la cosiddetta «internazionalizzazione del mercato» ha infatti moltiplicato le occasioni di contatto con pubblici ufficiali di Stati diversi da quello in cui l'ente giuridico è costituito, o ha la sua sede operativa, ciò in ragione del fatto che si sono fatti sempre più numerosi i casi in cui l'attività dell'ente non è più limitata al territorio dello Stato di origine;

    in connessione alla crescita del fenomeno si sono tuttavia manifestati con maggiore evidenza gli effetti distorsivi della concorrenza internazionale che tali pratiche hanno comportato, in connessione al diverso trattamento riservato, nel Paese di origine dell'ente;

    dall'esigenza di evitare simili effetti distorsivi è perciò nata l'urgenza, di disciplinare e sanzionare il fenomeno della corruzione di pubblici ufficiali stranieri,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disciplina in esame al fine di mantenere nel novero dei reati ostativi di cui all'articolo 4-bis ordinamento penitenziario il reato di cui all'articolo 322-bis del codice penale in tema di contrasto alla corruzione internazionale.
9/705/85. Gubitosa, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Pellegrini, Amato, Tucci, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    all'articolo 5 del decreto-legge in esame si introduce, dopo l'articolo 633 del codice penale, l'articolo 633-bis denominato «invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica» il quale punisce chiunque organizza o promuove l'invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di realizzare un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento con la reclusione da 3 a 6 anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000, quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o per l'incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi;

    si stabilisce inoltre che è sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di cui al primo comma, nonché di quelle utilizzate per realizzare le finalità dell'occupazione o di quelle che ne sono il prodotto o il profitto;

    visto che l'invasione arbitraria di terreni o edifici comporta danneggiamento e alterazione dello stato dei luoghi a danno dei proprietari degli stessi,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disposizione richiamata in premessa al fine di prevedere il lavoro di pubblica utilità quale sanzione penale consistente nella prestazione di un'attività lavorativa non retribuita a favore della collettività, finalizzata a ridurre il ricorso alla pena carceraria e ad offrire la possibilità di responsabilizzarsi e risocializzarsi per il danno cagionato.
9/705/86. Tucci, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Iaria, Gubitosa, Pellegrini, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    il cosiddetto decreto rave prevede l'accesso ai condannati per mafia e terrorismo ai benefìci penitenziari, anche senza collaborare con la giustizia, alla luce delle pronunce della Corte europea e della Corte costituzionale;

    tuttavia prevede dei paletti precisi, per impedire che siano ammessi ai benefìci persone che possano avere ancora collegamenti con la criminalità organizzata;

    le nuove misure, quindi: estendono al regime della liberazione condizionale la disciplina restrittiva per l'accesso ai benefìci penitenziari; introducono una disciplina transitoria da applicare ai condannati non collaboranti per reati «ostativi» commessi prima dell'entrata in vigore della riforma;

    estendono la platea dei soggetti nei confronti dei quali la Guardia di finanza ha facoltà di procedere a indagini fiscali e patrimoniali;

    solo da ottobre ad oggi sono già state presentate una settantina di richieste di benefìci e in tutto sono 900 i carcerati con richiesta di permesso già inoltrate;

    chi decide sui benefìci carcerari, con riferimento alla particolare categoria dei detenuti per mafia e terrorismo, necessita di maggiore tutela onde evitare il pericolo di ritorsioni personali, di condizionamenti ambientali e pregiudizi alla propria incolumità,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disciplina in esame al fine di adottare ulteriori interventi normativi volti a individuare nel Tribunale di sorveglianza, in luogo del magistrato di sorveglianza, l'organo competente a valutare le istanze di concessione di benefìci penitenziari, quali il lavoro all'esterno e i permessi premio di detenuti condannati per specifici gravi reati commessi con finalità di terrorismo anche internazionale, di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza, di associazione mafiosa cui all'articolo 416-bis del codice penale o commessi avvalendosi delle condizioni previste da tale articolo ovvero al fine di agevolare le associazioni mafiose.
9/705/87. Scerra, D'Orso, Cafiero De Raho, Giuliano, Ascari, Caramiello, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    il cosiddetto decreto rave prevede l'accesso ai condannati per mafia e terrorismo ai benefìci penitenziari, anche senza collaborare con la giustizia, alla luce delle pronunce della Corte europea e della Corte costituzionale;

    tuttavia prevede dei paletti precisi, per impedire che siano ammessi ai benefìci persone che possano avere ancora collegamenti con la criminalità organizzata;

    le nuove misure, quindi: estendono al regime della liberazione condizionale la disciplina restrittiva per l'accesso ai benefìci penitenziari; introducono una disciplina transitoria da applicare ai condannati non collaboranti per reati «ostativi» commessi prima dell'entrata in vigore della riforma;

    estendono la platea dei soggetti nei confronti dei quali la Guardia di finanza ha facoltà di procedere a indagini fiscali e patrimoniali;

    solo da ottobre ad oggi sono già state presentate una settantina di richieste di benefìci e in tutto sono 900 i carcerati con richiesta di permesso già inoltrate;

    in questo quadro il decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, così come formulato, riserva un ruolo marginale alle vittime di mafia e ai numerosi familiari,

impegna il Governo

a introdurre una norma che preveda per le vittime dei reati mafiosi, il diritto di essere informate sulla concessione dei benefìci penitenziari ai detenuti e agli internati per i delitti di mafia, eversione e terrorismo.
9/705/88. Raffa, D'Orso, Cafiero De Raho, Giuliano, Ascari, Lovecchio, Fede, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    con il cosiddetto decreto rave sono stati introdotti una serie di meccanismi normativi che, come scritti, sortiscono l'effetto di riservare ai condannati che collaborano con la giustizia un trattamento in taluni casi peggiore e in altri casi analogo a quello previsto per i condannati che decidono di non collaborare, facendo così venir meno in modo significativo la motivazione a collaborare. Basti considerare che ai condannati che collaborano con la giustizia è imposto l'obbligo di specificare dettagliatamente tutto il proprio patrimonio occulto, che viene immediatamente sequestrato e poi confiscato. In caso di dichiarazioni mendaci sulle componenti di tale patrimonio, la normativa sui collaboratori prevede la revoca del programma di protezione e dei benefìci penitenziari concessi, nonché l'attivazione di una procedura di revisione per la revoca degli sconti di pena ottenuti in sede di condanna per la collaborazione prestata. Ebbene, il 23 novembre 2022, il procuratore nazionale antimafia, Giovanni Melillo, nel corso della sua audizione dinanzi alla Commissione giustizia del Senato, e il 15 dicembre in Commissione giustizia alla Camera, ha evidenziato la necessità che analogo obbligo di dichiarare il patrimonio occulto venisse imposto anche ai condannati che decidono di non collaborare, quando essi richiedano la concessione dei benefìci penitenziari, e ciò al fine di evitare di riservare ai non collaboranti un trattamento più favorevole rispetto ai collaboratori,

impegna il Governo

ad adottare ulteriori iniziative normative volte a estendere l'analogo obbligo di dichiarare il patrimonio occulto, previsto dalla normativa in tema di collaboratori di giustizia, di cui al decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991 n. 82, ai condannati non collaboranti quando richiedono la concessione dei benefìci penitenziari.
9/705/89. Traversi, D'Orso, Cafiero De Raho, Giuliano, Ascari, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    con il cosiddetto decreto rave sono stati introdotti una serie di meccanismi normativi che, come scritti, sortiscono l'effetto di riservare ai condannati che collaborano con la giustizia un trattamento in taluni casi peggiore e in altri casi analogo a quello previsto per i condannati che decidono di non collaborare, facendo così venir meno in modo significativo la motivazione a collaborare;

    basti considerare che per chi non collabora con la giustizia è previsto un periodo minimo di 10 anni prima della concessione dei permessi premio, per chi collabora. Ma siccome i processi durano in media 6-7 anni, se il conteggio dei 10 anni parte da quando inizia la custodia cautelare, il condannato può essere ammesso ai permessi premio 3-4 anni dopo la sentenza. Si aggiunga che durante la custodia cautelare, la persona è imputata e non condannata, pertanto non coinvolto in un percorso di rieducazione,

impegna il Governo

a prevedere, attraverso ulteriori iniziative normative, che la pena espiata per accedere ai permessi premio e al lavoro all'esterno sia computata a partire dalla data in cui la sentenza diventi definitiva, limitatamente ai condannati per terrorismo, mafia ed eversione dell'ordine democratico che non collaborano con la giustizia.
9/705/90. Santillo, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Iaria, Pellegrini, Quartini, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    il cosiddetto decreto rave prevede l'accesso ai condannati per mafia e terrorismo ai benefìci penitenziari, anche senza collaborare con la giustizia, alla luce delle pronunce della Corte europea e della Corte costituzionale;

    tuttavia prevede dei paletti precisi, per impedire che siano ammessi ai benefìci persone che possano avere ancora collegamenti con la criminalità organizzata;

    le nuove misure, quindi: estendono al regime della liberazione condizionale la disciplina restrittiva per l'accesso ai benefìci penitenziari; introducono una disciplina transitoria da applicare ai condannati non collaboranti per reati «ostativi» commessi prima dell'entrata in vigore della riforma; estendono la platea dei soggetti nei confronti dei quali la guardia di finanza ha facoltà di procedere a indagini fiscali e patrimoniali;

    solo da ottobre ad oggi sono già state presentate una settantina di richieste di benefìci e in tutto sono 900 i carcerati con richiesta di permesso già inoltrata;

    alla luce delle suesposte considerazioni, sussiste un fondato pericolo di veder uscire dagli istituti di pena esponenti di primissimo piano delle organizzazioni criminali mafiose, soggetti che si sono macchiati dei delitti più efferati come le stragi del 1992/1993, custodendo con l'omertà e l'assenza di collaborazione con la giustizia, segreti ed informazioni preziose per le indagini dei magistrati,

impegna il Governo

a prevedere, nel primo provvedimento utile, per il condannato che abbia richiesto l'accesso ai benefìci penitenziari l'obbligo di spiegare le ragioni della sua mancata collaborazione.
9/705/91. Lovecchio, D'Orso, Cafiero De Raho, Giuliano, Ascari, Onori, Appendino, Barzotti, Pellegrini, Carmina, Pavanelli.


   La Camera,

   premesso che:

    una recente ricerca internazionale (del centro Rand) stima che la corruzione costa all'economia dei Paesi europei oltre 900 miliardi di euro l'anno e a quella italiana almeno 237 miliardi, pari a circa il 13 per cento del Pil. Si tratta di numeri difficili da verificare, ma l'impatto negativo della corruzione sui sistemi economici risulta ormai ampiamente comprovato;

    secondo i dati della Banca Mondiale (indici 2017), il reddito medio nei Paesi con un alto livello di corruzione è circa di un terzo inferiore a quello dei Paesi con un basso livello di corruzione, ed una ricerca dell'istituto per la competitività certifica che il radicamento del fenomeno corruttivo inibisce l'afflusso di capitali stranieri e incide negativamente sull'occupazione spingendo le imprese a mantenere una dimensione ridotta; mentre la riduzione del livello di corruzione favorisce l'avvio di nuove imprese, il radicamento di capitali e imprese straniere, rende più agevole la gestione delle attività pubbliche, incide positivamente sull'occupazione giovanile;

    un recente rapporto dell'Anac rivela che nel triennio 2016-2019 in Italia si sono registrati un episodio di corruzione a settimana e un arresto ogni dieci giorni. Numero che risulta allarmante se si considera che i dati ufficiali, riferiti ai provvedimenti della magistratura, non forniscono una stima attendibile della reale entità del fenomeno corruttivo, che resta in larga misura sommerso e deve pertanto essere considerato molto più esteso di quanto lascino intendere le statistiche giudiziarie,

impegna il Governo

per ovviare alle criticità evidenziate in premessa, ad adottare un piano anticorruzione e a potenziare gli strumenti per prevenire e contrastare il fenomeno.
9/705/92. Todde, D'Orso, Cafiero De Raho, Giuliano, Ascari, Raffa, Iaria, Auriemma, Carotenuto, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    con riferimento agli elementi valutabili dal giudice per escludere il pericolo di ripristino dei collegamenti con l'ambiente criminale di provenienza e concedere i benefìci penitenziari anche in assenza di collaborazione con la giustizia, il decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162 indica l'esigenza di andare oltre la regolare condotta carceraria, la partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e la mera dichiarazione di dissociazione, tenendo conto, tra l'altro, «della revisione critica della condotta criminosa»;

    la normativa vigente prevede che, per la concessione dei benefìci penitenziari ai collaboratori di giustizia, non è sufficiente la prova dell'insussistenza di legami con la criminalità organizzata o eversiva, e non basta neppure la revisione critica della condotta criminosa, occorre un altro requisito: la prova dell'avvenuto ravvedimento;

    con sentenza del 7 ottobre 2019, la Corte di cassazione ha confermato la legittimità del diniego della concessione della detenzione domiciliare al noto collaboratore Giovanni Brusca in quanto, pur essendo stata accertata la revisione critica della sua condotta criminosa, non si è tuttavia ritenuta raggiunta la prova dell'avvenuto ravvedimento, che – come scrive la Cassazione – è un concetto giuridico più pregnante della revisione critica, perché indica un mutamento profondo e sensibile della personalità del soggetto: un vero e proprio pentimento civile;

    il citato decreto-legge n. 162 del 2022 prevede che, per la concessione dei benefìci penitenziari ai condannati che si rifiutano di collaborare, è sufficiente la revisione critica della condotta criminosa e non è necessario il requisito dell'avvenuto ravvedimento,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disciplina in esame al fine di rivedere l'ingiustificata disparità di trattamento tra condannati collaboranti e non collaboranti prevedendo che il requisito dell'avvenuto ravvedimento sia richiesto anche per la concessione dei benefìci penitenziari ai condannati non collaboranti.
9/705/93. Scutellà, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    con riferimento agli elementi valutabili dal giudice per escludere il pericolo di ripristino dei collegamenti con l'ambiente criminale di provenienza, il decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162 indica l'esigenza di andare oltre la regolare condotta carceraria, la partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e la mera dichiarazione di dissociazione, tenendo conto, tra l'altro, «delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione»;

    l'ordinanza n. 97 del 2021 della Corte costituzionale in tema di ergastolo ostativo e liberazione condizionale al punto 9 della motivazione afferma: «... la mancata collaborazione, se non può essere condizione ostativa assoluta, è comunque non irragionevole fondamento di una presunzione di pericolosità specifica. Appartiene perciò alla discrezionalità legislativa, e non già a questa Corte, decidere quali ulteriori scelte risultino opportune per distinguere la condizione di un tale condannato alla pena perpetua rispetto a quella degli altri ergastolani, a integrazione della valutazione sul suo sicuro ravvedimento ex articolo 176 del codice penale: scelte fra le quali potrebbe, ad esempio, annoverarsi la emersione delle specifiche ragioni della mancata collaborazione, ovvero l'introduzione di prescrizioni peculiari che governino il periodo di libertà vigilata del soggetto in questione. Si tratta qui di tipiche scelte di politica criminale, destinate a fronteggiare la perdurante presunzione di pericolosità ma non costituzionalmente vincolate nei contenuti, e che eccedono perciò i poteri di questa Corte. Come detto, esse pertengono, nel quomodo, alla discrezionalità legislativa, e possono accompagnare l'eliminazione della collaborazione quale unico strumento per accedere alla liberazione condizionale.»;

    l'ordinanza n. 97 del 2021 ha specificamente investito il Parlamento del mandato a rivedere il testo dell'articolo 4-bis ordinamento penitenziario indicando espressamente fra le legittime possibilità di scelta del legislatore, quella di «annoverarsi (fra le condizioni a cui legare i margini di apertura ai benefìci) la emersione delle specifiche ragioni della mancata collaborazione»;

    dalle pronunce della Corte costituzionale non emerge il riconoscimento di un «diritto al silenzio» sulle ragioni della mancata collaborazione e si affida al Parlamento l'opzione sulla facoltatività o sull'obbligatorietà della esternazione delle ragioni di quella scelta;

    l'opzione normativa di rendere facoltativa la scelta di riferire sulle ragioni della mancata collaborazione pare irragionevole, proprio in una logica di bilanciamento degli interessi in gioco, in quanto vengono sottratti alla valutazione del Tribunale di sorveglianza elementi di notevole rilievo per formulare sia il giudizio di esclusione del pericolo di ripristino dei collegamenti con la criminalità organizzata sia quello di «avvenuto ravvedimento»,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disciplina in esame al fine di prevedere quale condizione per l'accesso ai benefìci penitenziari, e non come mera eventualità, la dichiarazione delle ragioni della mancata collaborazione con la giustizia.
9/705/94. Cappelletti, D'Orso, Cafiero De Raho, Giuliano, Ascari, Iaria, Fenu, Alfonso Colucci, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162 prevede quanto alle condizioni di accesso all'istituto della liberazione condizionale di cui all'articolo 2 della legge 12 luglio 1991, n. 203, per i condannati all'ergastolo per i cosiddetti reati ostativi, non collaboranti, di cui al comma 1 dell'articolo 4-bis ordinamento penitenziario, uno statuto particolare su entità della pena da scontare per poter presentare l'istanza (30 anni, a fronte dei 26 per i condannati all'ergastolo non ostativo e per i collaboranti), nonché sulle condizioni per l'estinzione della pena dell'ergastolo e sui connotati della successiva misura di sicurezza (libertà vigilata con divieto di incontro);

    per la quasi totalità dei casi dei condannati all'ergastolo per i cosiddetti reati ostativi si tratta di personalità che sono stati per lungo tempo al vertice di poderose strutture criminali di stampo mafioso, terroristico – anche internazionale – ed eversivo;

    tali strutture associative, oltre ad avere sovente una dimensione transnazionale, annoverano tra le loro risorse principali ingenti capitali economico-finanziari che, non di rado, hanno foraggiato gravissimi attentati alle persone e all'ambiente, operazioni corruttive su larga scala, traffico d'armi e di sostanze stupefacenti, aggressioni al libero esercizio delle libertà democratiche;

    l'acquisizione di ulteriori e significativi elementi di valutazione in relazione alla interruzione di ogni collegamento con l'ambiente criminale di provenienza, con il «pericolo di ripristino» di quei collegamenti, nonché in ordine all'avvenuto ravvedimento del condannato, ai fini dell'ammissione alla liberazione condizionale, non può non rilevare nel bilanciamento di interessi alla base dell'assetto normativo in materia di liberazione condizionale,

impegna il Governo:

   a prevedere di integrare, attraverso ulteriori iniziative normative, le condizioni di accesso alla liberazione condizionale per i condannati all'ergastolo ostativo non collaboranti ad un ulteriore requisito rappresentato dalla dichiarazione con la quale si assevera di non possedere o controllare, direttamente o per interposta persona, beni o altre utilità non ancora individuati dall'Autorità giudiziaria e sottoposti a misure di prevenzione patrimoniali o a provvedimento di sequestro e di confisca penale, o con la quale si indicano specificamente i beni e le utilità, posseduto o controllate, non ancora individuati;

   a prevedere, inoltre, che la verifica sulla veridicità delle dichiarazioni sui propri beni venga effettuata dagli organi che partecipano all'istruttoria prevista dal comma 2 dell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario.
9/705/95. Caso, D'Orso, Cafiero De Raho, Giuliano, Ascari, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    il disegno di legge in esame, di conversione in legge del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, reca misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefìci penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2 e di prevenzione e contrasto di raduni illegali;

    il provvedimento in esame prevede l'accesso ai condannati per mafia e terrorismo ai benefìci penitenziari, anche senza collaborare con la giustizia, alla luce delle pronunce della Corte europea e della Corte costituzionale;

    il provvedimento interviene sul comma 2 dell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario per introdurvi una nuova disciplina del procedimento per la concessione dei benefìci penitenziari per i detenuti non collaboranti condannati per reati cosiddetti ostativi;

    si prevede, in particolare, che il giudice di sorveglianza ha l'obbligo, di:

     acquisire informazioni relative: al perdurare della operatività del sodalizio criminale di appartenenza o del contesto criminale nel quale il reato è stato consumato; al profilo criminale del detenuto e alla sua posizione all'interno dell'associazione; alle eventuali nuove imputazioni o misure cautelari o di prevenzione sopravvenute a suo carico e, ove significative, alle infrazioni disciplinari commesse durante la detenzione. Tale obbligo è stato introdotto nel corso dell'esame da parte del Senato;

     di chiedere il parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di condanne per i gravi delitti indicati dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater del codice di procedura penale, del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo;

     di acquisire informazioni dalla direzione dell'istituto dove l'istante è detenuto;

     di disporre nei confronti del detenuto istante, degli appartenenti al suo nucleo familiare e delle persone ad esso collegate, accertamenti in ordine alle condizioni reddituali e patrimoniali, al tenore di vita, alle attività economiche eventualmente svolte e alla pendenza o definitività di misure di prevenzione personali o patrimoniali;

    con riguardo alla tempistica la riforma prevede che i pareri, con eventuali istanze istruttorie, e le informazioni e gli esiti degli accertamenti siano resi entro 60 giorni dalla richiesta, prorogabili di ulteriori 30 giorni in ragione della complessità degli accertamenti e che decorso tale termine, il giudice debba decidere anche in assenza dei pareri e delle informazioni richiesti;

    nel corso delle loro audizioni dinanzi alla Commissione giustizia della Camera dei deputati il 15 dicembre 2022, molti illustri auditi hanno chiaramente evidenziato che la nuova disciplina prevede all'articolo 1, comma 1, lettera a), n. 3) un termine eccessivamente breve che pone molteplici problemi sotto il profilo operativo, atteso che il procedimento di acquisizione delle informazioni e di disposizione di indagini è molto gravoso e oneroso sotto il profilo istruttorio, organizzativo e degli adempimenti imposti al Tribunale e all'ufficio di Sorveglianza nonché a tutti i soggetti chiamati dalla normativa a rendere i previsti pareri;

   considerato che il termine di appena sessanta giorni previsto dal provvedimento in esame è eccessivamente compresso e tale da non mettere in grado gli uffici preposti di effettuare i necessari controlli e di acquisire tutte le necessarie e imprescindibili informazioni al fine di decidere sulla concessione o meno dei benefìci penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, con il rischio concreto di vanificare l'intera normativa e di concedere benefìci penitenziari senza aver effettuato tutti i necessari controlli,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disciplina in esame al fine di introdurre un termine più ampio e congruo, parametrato alla complessità e alla molteplicità degli accertamenti, dei pareri e delle informazioni che il giudice deve effettuare, acquisire e chiedere al fine di poter verificare la sussistenza o meno delle condizioni per la concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia.
9/705/96. Fede, D'Orso, Cafiero De Raho, Ascari, Giuliano, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    il disegno di legge in esame, di conversione in legge del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, reca misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefìci penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2 e di prevenzione e contrasto di raduni illegali;

    il provvedimento in esame prevede l'accesso ai condannati per mafia e terrorismo ai benefìci penitenziari, anche senza collaborare con la giustizia, alla luce delle pronunce della Corte europea e della Corte costituzionale;

    il provvedimento interviene sul comma 2 dell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario per introdurvi una nuova disciplina del procedimento per la concessione dei benefìci penitenziari per i detenuti non collaboranti condannati per reati cosiddetti ostativi;

    si prevede, in particolare, che il giudice di sorveglianza ha l'obbligo, di:

     acquisire informazioni relative: al perdurare della operatività del sodalizio criminale di appartenenza o del contesto criminale nel quale il reato è stato consumato; al profilo criminale del detenuto e alla sua posizione all'interno dell'associazione; alle eventuali nuove imputazioni o misure cautelari o di prevenzione sopravvenute a suo carico e, ove significative, alle infrazioni disciplinari commesse durante la detenzione. Tale obbligo è stato introdotto nel corso dell'esame da parte del Senato;

     di chiedere il parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di condanne per i gravi delitti indicati dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater del codice di procedura penale, del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo;

     di acquisire informazioni dalla direzione dell'istituto dove l'istante è detenuto;

     di disporre nei confronti del detenuto istante, degli appartenenti al suo nucleo familiare e delle persone ad esso collegate, accertamenti in ordine alle condizioni reddituali e patrimoniali, al tenore di vita, alle attività economiche eventualmente svolte e alla pendenza o definitività di misure di prevenzione personali o patrimoniali;

    con riguardo alla tempistica la riforma prevede che i pareri, con eventuali istanze istruttorie, e le informazioni e gli esiti degli accertamenti siano resi entro 60 giorni dalla richiesta, prorogabili di ulteriori 30 giorni in ragione della complessità degli accertamenti e che decorso tale termine, il giudice debba decidere anche in assenza dei pareri e delle informazioni richiesti;

    nel corso delle loro audizioni dinanzi alla Commissione giustizia della Camera dei deputati il 15 dicembre 2022, molti illustri auditi hanno chiaramente evidenziato che la nuova disciplina prevede all'articolo 1, comma 1, lettera a), n. 3) un termine eccessivamente breve che pone molteplici problemi sotto il profilo operativo, atteso che il procedimento di acquisizione delle informazioni e di disposizione di indagini è molto gravoso e oneroso sotto il profilo istruttorio, organizzativo e degli adempimenti imposti al Tribunale e all'ufficio di Sorveglianza nonché a tutti i soggetti chiamati dalla normativa a rendere i previsti pareri;

    sembra non essersi compreso che gli uffici e i tribunali di sorveglianza non dispongono delle risorse umane ed informatiche necessarie per adempiere adeguatamente e nella breve tempistica indicata dal provvedimento a tutti gli accertamenti e a tutti i necessari approfondimenti istruttori, anche in considerazione della complessità delle acquisizioni informative richieste e dei numerosi uffici requirenti coinvolti negli accertamenti,

impegna il Governo

a prevedere un immediato e congruo aumento del personale amministrativo in servizio presso il Tribunale di sorveglianza e presso gli Uffici di Sorveglianza nonché l'ampliamento delle dotazioni e delle risorse informatiche e logistiche presso tali uffici, parametrato alla complessità e alla molteplicità degli accertamenti, dei pareri e delle informazioni che il giudice deve effettuare, acquisire e chiedere al fine di poter verificare la sussistenza o meno delle condizioni per la concessione dei benefìci penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia.
9/705/97. Carmina, D'Orso, Cafiero De Raho, Giuliano, Ascari, Pellegrini, Lovecchio, Onori, Pavanelli.


   La Camera,

   premesso che:

    il disegno di legge in esame, di conversione in legge del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, reca misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefìci penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2 e di prevenzione e contrasto di raduni illegali;

    l'articolo 5-bis, introdotto nel corso dell'esame da parte del Senato, apporta modifiche alla disciplina transitoria prevista dall'articolo 85 del decreto legislativo n. 150 del 2022 in materia di modifica del regime di procedibilità di alcuni reati, riscrivendo in primo luogo il comma 2 dell'articolo 85 del decreto legislativo n. 150 del 2022 (comma 1, lettera a));

    il nuovo comma 2 interviene in materia di misure cautelari personali, prevedendo che esse, ove in corso di esecuzione, perdono efficacia se, entro venti giorni dall'entrata in vigore della nuova disciplina (e quindi dal 1° gennaio 2023), l'autorità giudiziaria che procede non acquisisce la querela. A tal fine, l'autorità giudiziaria è chiamata ad effettuare ogni utile ricerca della persona offesa, anche avvalendosi della polizia giudiziaria;

    l'articolo 2 del decreto legislativo n. 150 del 2022 ha modificato il regime di procedibilità di diversi reati tra cui alcuni reati che creano particolari intimidazioni ai cittadini, quali, a titolo esemplificativo, i reati di lesione personale, violenza privata, sequestro di persona, minaccia, truffa, frode informatica, turbativa violenta del possesso di cose immobili, reati che sono diventati procedibili a querela di parte;

   considerato che il termine di appena venti giorni – come sottolineato da tutti gli illustri auditi nel corso delle audizioni tenutesi sul provvedimento il 15 dicembre 2022 nella Commissione Giustizia della Camera dei deputati – stabilito dall'articolo 5-bis comma 2 del provvedimento, entro il quale, a pena di perdita di efficacia delle misure cautelari personali, deve essere acquisita la querela di parte, è un termine assolutamente inadeguato, troppo breve, tale da rendere nella pratica inesigibile tale adempimento sia da parte dell'autorità giudiziaria, sia da parte della persona offesa e tale da provocare l'automatica caducazione di migliaia di misure cautelari personali, a detrimento della effettività della tutela della persona offesa e della sicurezza della collettività,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disciplina in esame al fine di prevedere un termine più ampio e congruo, pari, nel caso in cui la persona offesa sia residente, dimorante o domiciliata in Italia, ad almeno sessanta giorni, entro il quale, a pena di perdita di efficacia delle misure cautelari personali, deve essere acquisita la querela di parte, in relazione a quei reati che l'articolo 2 del decreto legislativo n. 150 del 2022 ha reso procedibili a querela di parte.
9/705/98. Giuliano, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Raffa, Iaria, Lomuti, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 1 del provvedimento, modificato nel corso dell'esame da parte del Senato, interviene sull'ordinamento penitenziario in tema di accesso ai benefìci penitenziari e alla liberazione condizionale da parte di detenuti condannati per specifici reati, particolarmente gravi, e ritenuti tali da precludere l'accesso ai benefìci stessi in assenza di collaborazione con la giustizia (cosiddetti reati ostativi, di cui all'articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975, legge sull'ordinamento penitenziario). A tal fine, la modifica introdotta al Senato, esclude – tra gli altri – dal novero dei reati ostativi i delitti contro la pubblica amministrazione;

    in particolare, è stata introdotta una modifica del comma 1 dell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario volta ad escludere i delitti contro la pubblica amministrazione dal catalogo dei reati ostativi. Si tratta, segnatamente, dei seguenti delitti: peculato, escluso il peculato d'uso (articolo 314, primo comma del codice penale); concussione (articolo 317 del codice penale), corruzione impropria (articolo 318 del codice penale), corruzione propria, semplice e aggravata (articolo 319 e 319-bis del codice penale), corruzione in atti giudiziari (articolo 319-ter del codice penale), indebita induzione a dare o promettere utilità (articolo 319-quater, primo comma del codice penale), corruzione di incaricato di pubblico servizio (articolo 320 del codice penale), corruzione attiva (articolo 321 del codice penale), istigazione alla corruzione (articolo 322 del codice penale), peculato, concussione, induzione indebita dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri della Corte penale internazionale o degli organi e funzionari dell'Unione europea e di Stati esteri (articolo 322-bis del codice penale);

   considerato che:

    l'introduzione dei reati contro la pubblica amministrazione nel novero dei reati ostativi di cui all'articolo 4-bis della legge sull'ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975) era stata effettuata, nella XVIII legislatura, con la legge n. 3 del 2019 (cosiddetta legge spazzacorrotti);

    preme rilevare, a tal riguardo, che l'organismo anticorruzione del Consiglio d'Europa (GRECO) ha ufficialmente formulato un giudizio positivo in merito alla legge n. 3 del 2019 (cosiddetta legge spazzacorrotti), con riferimento all'opportuno allineamento della legislazione nazionale a quanto prescritto nella convenzione penale sulla corruzione del Consiglio d'Europa;

    valutato che:

    l'eliminazione dei più gravi reati di corruzione dal novero del reato ostativo sancito dal provvedimento in esame si inserisce in un annunciato restyling del nostro sistema penale e legalitario, costituito dal disincentivo ai pagamenti elettronici e tracciabili, dall'annunciata ulteriore depenalizzazione del reato di abuso d'ufficio, dal ridimensionamento del reato di traffico di influenze illecite, dalla demonizzazione e il taglio delle intercettazioni anche per reati di mafia e corruzione;

    in un momento storico caratterizzato, peraltro, da gravissime condotte corruttive in ambito comunitario ed internazionale appare inequivocabile la volontà di affievolire ed ammansire gli istituti giuridici a tutela della legalità e di depotenziare la capacità di risposta del nostro ordinamento al fenomeno corruttivo nelle sue molteplici declinazioni, anche in considerazione dei profili applicativi del Piano nazionale di ripresa e resilienza,

impegna il Governo:

   a valutare gli effetti applicativi della disposizione richiamata in premessa al fine di ad intraprendere urgenti iniziative, anche di carattere normativo, volte ad includere i delitti contro la pubblica amministrazione dal catalogo dei reati ostativi di cui all'articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975 sull'ordinamento penitenziario;

   a preservare, a potenziare ed a considerare prioritaria nell'azione di governo la lotta alla corruzione ad alle mafie e, conseguentemente, a rafforzare e potenziare tutti i relativi strumenti normativi ed amministrativi aventi finalità preventiva, investigativa e repressiva.
9/705/99. Conte, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Pellegrini, Amato, Carotenuto, Pavanelli, Carmina, Fede.


   La Camera,

   premesso che:

    con riferimento agli elementi valutabili dal giudice per escludere il pericolo di ripristino dei collegamenti con l'ambiente criminale di provenienza e concedere i benefìci penitenziari anche in assenza di collaborazione con la giustizia, il decreto-legge n. 162 del 2022 indica l'esigenza di andare oltre la regolare condotta carceraria, la partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e la mera dichiarazione di dissociazione, tenendo conto, tra l'altro, «della revisione critica della condotta criminosa»;

    la normativa vigente prevede che, per la concessione dei benefici penitenziari ai collaboratori di giustizia, non è sufficiente la prova dell'insussistenza di legami con la criminalità organizzata o eversiva, e non basta neppure la revisione critica della condotta criminosa, occorre un altro requisito: la prova dell'avvenuto ravvedimento;

    con sentenza del 7 ottobre 2019, la Corte di cassazione ha confermato la legittimità del diniego della concessione della detenzione domiciliare al noto collaboratore Giovanni Brusca in quanto, pur essendo stata accertata la revisione critica della sua condotta criminosa, non si è tuttavia ritenuta raggiunta la prova dell'avvenuto ravvedimento, che – come scrive la Cassazione – è un concetto giuridico più pregnante della revisione critica, perché indica un mutamento profondo e sensibile della personalità del soggetto: un vero e proprio pentimento civile;

    il decreto-legge n. 162 del 2022 prevede che, per la concessione dei benefici penitenziari ai condannati che si rifiutano di collaborare, è sufficiente la revisione critica della condotta criminosa e non è necessario il requisito dell'avvenuto ravvedimento,

impegna il Governo

a mantenere, attraverso l'adozione di ulteriori iniziative normative, l'incentivo alla collaborazione con la giustizia.
9/705/100. Pavanelli, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Donno, Lomuti, Quartini, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    il disegno di legge in esame, di conversione in legge del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, reca misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2 e di prevenzione e contrasto di raduni illegali;

    l'articolo 5-bis, introdotto nel corso dell'esame da parte del Senato, apporta modifiche alla disciplina transitoria prevista dall'articolo 85 del decreto legislativo n. 150 del 2022 in materia di modifica del regime di procedibilità di alcuni reati, riscrivendo in primo luogo il comma 2 dell'articolo 85 del decreto legislativo n. 150 del 2022 (comma 1, lettera a));

    il nuovo comma 2 interviene in materia di misure cautelari personali, prevedendo che esse, ove in corso di esecuzione, perdono efficacia se, entro venti giorni dall'entrata in vigore della nuova disciplina (e quindi dal 1° gennaio 2023), l'autorità giudiziaria che procede non acquisisce la querela. A tal fine, l'autorità giudiziaria è chiamata ad effettuare ogni utile ricerca della persona offesa, anche avvalendosi della polizia giudiziaria;

    l'articolo 2 del decreto legislativo n. 150 del 2022 ha modificato il regime di procedibilità di diversi reati tra cui alcuni reati che creano particolari intimidazioni ai cittadini, quali, a titolo esemplificativo, i reati di lesione personale, violenza privata, sequestro di persona, minaccia, truffa, frode informatica, turbativa violenta del possesso di cose immobili, reati che sono diventati procedibili a querela di parte;

    il termine di appena venti giorni – come sottolineato da tutti gli illustri auditi nel corso delle audizioni tenutesi sul provvedimento il 15 dicembre 2022 nella Commissione giustizia della Camera dei deputati – stabilito dall'articolo 5-bis comma 2 del provvedimento, entro il quale, a pena di perdita di efficacia delle misure cautelari personali, deve essere acquisita la querela di parte, è un termine assolutamente inadeguato, troppo breve, tale da rendere nella pratica inesigibile tale adempimento sia da parte dell'autorità giudiziaria, sia da parte della persona offesa e tale da provocare l'automatica caducazione di migliaia di misure cautelari personali, a detrimento della effettività della tutela della persona offesa e della sicurezza della collettività;

   considerato che in relazione ai termini per l'acquisizione della querela, l'articolo 5-bis comma 2 del provvedimento in esame non contiene alcuna distinzione tra il caso in cui la persona offesa sia residente, dimorante o domiciliata in Italia, e il caso in cui la persona offesa sia invece residente, dimorante o domiciliata all'estero;

   considerato che l'impossibilità di acquisire la querela nel brevissimo tempo di venti giorni si manifesta in maniera ancora più evidente nel caso in cui l'autorità giudiziaria debba ricercare ed avvertire della necessità della querela la persona offesa che sia residente, dimorante o domiciliata all'estero e dopo averla trovata ed avvisata, debba acquisirne la querela,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disposizione richiamata in premessa al fine di a prevedere un termine più ampio e congruo, pari, nel caso in cui la persona offesa sia residente, dimorante o domiciliata all'estero, ad almeno centocinquanta giorni, entro il quale, a pena di perdita di efficacia delle misure cautelari personali, deve essere acquisita la querela di parte, in relazione a quei reati che l'articolo 2 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 ha reso procedibili a querela di parte.
9/705/101. Carotenuto, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Caramiello, Torto, Lovecchio, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    18 organizzazioni, dal Forum Droghe, ad Antigone, all'Associazione Luca Coscioni, alla CGIL, hanno sottoscritto un appello in cui si chiede ai deputati di bloccare la conversione in legge della norma cosiddetta «anti-rave»;

    la norma citata determinerebbe gravi conseguenze sulla convivenza sociale, sui processi di stigmatizzazione dei giovani e delle loro espressioni culturali nel nostro Paese;

    l'articolo 5 vieta riunioni che, tra l'altro, sono costituzionalmente protette dall'articolo 17 della Costituzione, il quale prevede che «I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi» e che le autorità possano vietare le stesse soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica. Vale la pena segnalare come l'intenzione del legislatore non incida affatto sulle modalità con cui la legge può essere applicata: l'utilizzo della nozione di «ordine pubblico» e il fatto che basti l'ipotesi di tale pericolo configura la norma come estendibile in modo indeterminato. Un'interpretazione estensiva potrebbe condurre a una punibilità inaspettata e senza limiti, come segnalato negli ultimi giorni da alcuni costituzionalisti: una festa per bambini, una raccolta di frutti, una riunione finalizzata ad una protesta politica,

impegna il Governo

a verificare gli effetti applicativi della disciplina in esame al fine di ripristinare, nel prossimo provvedimento utile, il pieno e sostanziale rispetto della Carta costituzionale, garantendo il diritto di riunione di cui all'articolo 17 della Costituzione.
9/705/102. Torto, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Donno, Auriemma, Raffa, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    la norma cosiddetta «anti-rave» definisce «pericolosi per la salute e l'incolumità pubbliche» i raduni illegali, i rave, gli eventi musicali e di intrattenimento;

    la norma pertanto «criminalizza» i citati fenomeni, ponendosi in contrasto con le esperienze europee, nonché la legislazione adottata in materia nel resto del continente;

    i free party rappresentano invero degli eventi musicali con una grande partecipazione di giovani, si caratterizzano per la dimensione creativa e di libertà dagli schemi e dalle convenzioni, in particolare dai vincoli del mercato del divertimento,

impegna il Governo

a verificare gli effetti applicativi della disciplina in esame al fine di ripristinare, nel prossimo provvedimento utile, il pieno e sostanziale rispetto della Carta costituzionale, garantendo il diritto di manifestazione del pensiero di cui all'articolo 21 della Costituzione.
9/705/103. Lomuti, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Pellegrini, Fede, Baldino, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    la norma «anti-rave» si pone, tra gli altri, lo scopo precipuo di contrastare l'utilizzo di sostanze stupefacenti nell'ambito di raduni illegali, rave, eventi musicali e di intrattenimento;

    l'esperienza, consolidata da anni, anche a livello europeo, dimostra che l'implementazione dei servizi di Riduzione del danno e Limitazione dei rischi a livello nazionale, prevista dai cosiddetti livelli essenziali assistenziali del Ministero della salute, rappresenta la strategia più efficace per gestire e rendere sicuri sul piano della salute, dei possibili rischi, della gestione di eventuali situazioni critiche, i contesti nei quali si svolgono gli eventi summenzionati;

    tali servizi di riduzione del danno, oltre a svolgere un ruolo importante anche nel facilitare la mediazione e la negoziazione con le forze dell'ordine nelle eventuali operazioni di sgombero – come è avvenuto nel caso del technival di Valentano e di Modena di Halloween 2022 –, si occupano ad esempio dell'analisi chimica sul posto delle sostanze, l'informazione sul loro contenuto, i rischi e gli effetti collaterali dell'assunzione, l'assistenza al consumo in luoghi protetti, quantità limitate e non combinate tra loro e sotto controllo medico;

    la misura «anti-rave» contenuto nel provvedimento in esame, in quanto misura di tipo meramente repressivo, incentiva, di fatto, l'organizzazione di eventi sempre più nascosti e irraggiungibili, e quindi molto più difficili da gestire attraverso gli interventi di riduzione del danno e tutela della salute pubblica e di contenimento di eventuali casi critici tra i partecipanti,

impegna il Governo

ad adottare, nel prossimo provvedimento utile, una interpretazione autentica della norma in oggetto che garantisca la non estensione dei reati ivi previsti anche agli operatori dei servizi di Riduzione del danno e Limitazione dei rischi summenzionati.
9/705/104. Dell'Olio, D'Orso, Cafiero De Raho, Giuliano, Ascari, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    con la norma cosiddetta «anti-rave» si paventa concretamente un primo passo per un ulteriore peggioramento della attuale normativa penale sulle droghe;

    ciò provocherebbe da un lato nuovi disastri per gli effetti sul sovraffollamento delle carceri, già per un terzo piene per reati di droga, e dall'altro sul rafforzamento degli stigmi e pregiudizi nei confronti delle persone che usano droghe, con la naturale conseguenza di ricacciare sempre più nel sommerso i diversi contesti del consumo di sostanze illegali, rendendo ancora più difficile garantire la tutela della salute pubblica, incrementando i costi umani ed economici per la collettività;

    i modelli repressivi sono stati infatti un fallimento e, per questo, bisogna adottare nuove strategie sulla scia di quanto avviene negli Stati Uniti, in Canada, America Latina e Malta, partendo dai risultati emersi nella Conferenza nazionale sulle droghe di Genova, convocata dalla ex Ministra Fabiana Dadone dopo un decennio di latitanza,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi della disciplina in esame al fine di adottare, nel prossimo provvedimento utile, iniziative di carattere normativo volte a ripristinare il pieno e sostanziale rispetto della Carta costituzionale, garantendo il diritto di uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione, nonché l'adempimento di doveri di solidarietà di cui all'articolo 2 della Costituzione, in particolare evitando che la normativa oggi introdotta comporti il paradossale effetto di ampliamento proprio dei rischi e dei danni per la salute.
9/705/105. Pellegrini, D'Orso, Cafiero De Raho, Giuliano, Ascari, Gubitosa, Donno, Quartini, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    la proposta di legge n. 705: «Conversione in legge del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, recante misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali», prevede disposizioni in materia di reati ostativi, istituzione del delitto di rave party nonché norme in materia di sanità;

   considerato che:

    l'articolo 1 nello specifico reca la modifica dell'ordinamento penitenziario in tema dell'accesso ai benefici penitenziari da parte di detenuti condannati per specifici reati, particolarmente gravi, e ritenuti tali da precludere l'accesso ai benefici stessi in assenza di collaborazione con la giustizia, in risposta a quanto in più circostanze affermato dalla Corte costituzionale (si veda tra le altre l'ordinanza n. 97 del 2021);

    in particolare la novella legislativa intervenendo sulla struttura dell'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, trasforma da assoluta in relativa la presunzione di pericolosità sociale ostativa alla concessione dei benefici in favore dei detenuti non collaboranti, che vengono ora ammessi alla possibilità di farne istanza, sebbene in presenza di stringenti e concomitanti condizioni, diversificate a seconda dei reati che vengono in rilievo;

    la struttura dell'articolo 4-bis, così come disciplinato dal disegno di legge in esame, si fonda su di un doppio binario trattamentale, caratterizzato da un regime più rigido per alcune categorie di condannati ed un circuito ordinario per gli autori degli illeciti non rientranti nel novero dei cosiddetti reati ostativi. Nello specifico il comma 1 mantiene come requisito insuperabile la collaborazione ai fini dell'ottenimento dei benefici, mentre i commi successivi (1-bis e 1-bis.1) attengono a fattispecie per le quali non è necessaria la collaborazione per usufruirne. Il catalogo dei delitti previsti nel comma 1-bis ha ad oggetto ipotesi associative, il comma 1-bis.1 monosoggettive. Il successivo comma 1-bis.2 dispone che nelle ipotesi in cui un reato previsto nel catalogo dei delitti di cui al comma 1-bis.1 sia realizzato in forma associativa si applichino le disposizioni del comma 1-bis;

    un ulteriore comma è il successivo 1-ter – non toccato dalla riforma –, per mezzo del quale si prevede che per una determinata categoria di delitti di particolare allarme sociale, qualora non siano presenti elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, ai fini della concessione dei benefici sia sufficiente seguire la procedura dettata dal comma 2-bis, ossia l'acquisizione di dettagliate informazioni dal questore, ossia una procedura sicuramente meno rigorosa;

    al riguardo, quindi, deve richiamarsi l'attenzione sulla circostanza che la previsione di cui al comma 1-bis.2 stabilisce l'applicazione dei più severi requisiti di cui al precedente comma 1-bis nel caso in cui i delitti indicati al comma 1-bis.1 siano commessi in forma associativa. Il decreto-legge in conversione, come detto, ha però lasciato inalterata la formulazione del comma 1-ter dell'articolo 4-bis citato che prevede per alcune di queste ipotesi associative requisiti meno severi per l'accesso ai benefici previsti dall'ordinamento penitenziario;

   considerato ulteriormente che:

    il problema di coordinamento normativo che si pone si sostanzia nel fatto che per alcune ipotesi di reati associativi (si tratta, tra l'altro, delle ipotesi di associazione a delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù, alla tratta, e all'acquisto e all'alienazione di schiavi, nonché per le associazioni a delinquere finalizzate all'immigrazione illegale e al traffico di clandestino con riferimento alle ipotesi aggravate) verrebbe contemporaneamente prevista l'applicazione di due distinte procedure per la concessione dei benefici penitenziari, fra loro contraddittorie;

   considerato infine che:

    il Movimento 5 Stelle ha presentato emendamenti (confronta 1.119 al Senato e 1.1. alla Camera) sia al Senato che alla Camera volti a sanare tale vulnus del testo, ma forse non è stata compresa la ratio degli stessi in quanto la maggioranza era al momento troppo presa dal voler eliminare dal circuito ostativo i più gravi delitti contro la pubblica amministrazione commessi anche in forma associativa,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle norme richiamate in premessa affinché, primo provvedimento utile, possa essere sanato questo errore di coordinamento del testo, che altrimenti comporterà una sicura paralisi dell'attività della magistratura di sorveglianza nell'ambito dell'espressione dei pareri relativamente a quei delitti ricompresi in differenti commi del citato articolo 4-bis.
9/705/106. Barzotti, D'Orso, Cafiero De Raho, Giuliano, Ascari, Fenu, Iaria, Marianna Ricciardi, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    la proposta di legge n. 705: «Conversione in legge del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, recante misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali», prevede disposizioni in materia di reati ostativi, istituzione del delitto di rave party nonché norme in materia di sanità;

   considerato che:

    un aspetto qualificante della precedente formulazione dell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario era rappresentato dalla previsione di ulteriori figure delittuose che andavano al di là dell'associazione mafiosa, quali ad esempio i reati di corruzione, peculato e concussione. L'estensione a questi e ad altri reati contro la pubblica amministrazione era stata determinata dall'esigenza di rafforzare le indagini sulla criminalità organizzata attraverso il contrasto a tutti i diversi strumenti di cui le mafie si servono per stringere rapporti e rafforzare il loro potere economico;

    come risulta dall'esperienza acquisita nel corso delle indagini, l'introduzione nel novero dei reati ostativi di queste figure di reato si è reso necessario per rafforzare il contrasto all'associazione mafiosa che preferisce fare ricorso sempre meno alla violenza e all'intimidazione per usare mezzi ben più subdoli e pervasivi;

    le recenti vicende verificatesi in Europa dimostrano quanto siano gravi e diffusi i fenomeni di corruzione che tra l'altro riguardano soggetti considerati insospettabili;

    si segnala in questa sede che le raccomandazioni all'Italia formulate dal GRECO, gruppo di Stati contro la corruzione, organo del Consiglio d'Europa, il 7 giugno 2017 invitavano gli Stati membri – ma in particolar modo l'Italia – ad inasprire il contrasto alla corruzione, oltre che a intervenire anche in una logica di prevenzione, introducendo ad esempio una disciplina sul conflitto di interessi e una regolamentazione dell'attività lobbistica;

    il Movimento si è fatto carico di portare in Parlamento le istanze di questi organismi internazionali, anzitutto con l'approvazione della legge 9 gennaio 2019 n. 3, la cosiddetta «legge Spazzacorrotti» che, dando seguito alle sollecitazioni degli organismi europei e internazionali, tratta il tema della trasparenza del finanziamento dei partiti politici e del contrasto alla corruzione. In conseguenza di quell'intervento normativo, il GRECO, nelle raccomandazioni all'Italia del 4 febbraio 2020, ha valutato positivamente i progressi fatti dall'Italia nel contrasto alla corruzione nel settore pubblico e alla trasparenza nel settore privato, anche con riguardo al finanziamento della politica,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle norme richiamate in premessa al fine di sanare nel più breve tempo possibile il vulnus normativo che si è creato con l'espunzione dei più gravi delitti contro la pubblica amministrazione, addirittura anche quelli commessi in forma associativa, dal meccanismo ostativo dettato dall'articolo 4-bis della legge sull'Ordinamento penitenziario.
9/705/107. Aiello, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Quartini, Alfonso Colucci, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 1, modificato nel corso dell'esame da parte del Senato, interviene sull'ordinamento penitenziario in tema di accesso ai benefici penitenziari e alla liberazione condizionale da parte di detenuti condannati per specifici reati, particolarmente gravi, e ritenuti tali da precludere l'accesso ai benefici stessi in assenza di collaborazione con la giustizia;

    il testo originario del decreto-legge ricomprendeva nella categoria dei reati ostativi anche i delitti contro la pubblica amministrazione successivamente esclusi nella presentazione del Piano nazionale anticorruzione, approvato da Anac per il triennio 2023-2025 è emerso che nel quinquennio 2017-2021 gli illeciti accertati contro la spesa pubblica valgono 34 miliardi di euro per un totale di 115 mila soggetti che sono stati denunciati;

    dalla lettura di tali dati appare evidente che il principio di legalità ha bisogno di norme chiare e certe che svolgano anche una funzione preventiva rispetto al rischio di infiltrazioni di stampo criminale, soprattutto nei settori più esposti, come quello dei contratti pubblici, dove più facilmente possono configurarsi situazioni di libera «disponibilità negoziale» nella fase della scelta del contraente e di stipula del contratto;

    il testo licenziato dal Senato, escludendo i delitti contro la pubblica amministrazione dal novero dei reati ostativi, segue una direzione opposta che non tutela l'ordinamento dal pericolo di un nuovo consolidamento dei legami e dei vincoli associativi della criminalità organizzata,

impegna il Governo

a monitorare l'applicazione delle norme descritte in premessa, al fine di valutare l'eventuale rischio di un allentamento degli strumenti per il contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso in capo ai prefetti e all'autorità giudiziaria e, in caso, di adottare tempestivi interventi normativi volte a modificarle.
9/705/108. Cherchi, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in esame introduce disposizioni transitorie applicabili alla riforma del processo penale, incide sulla disciplina dell'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario e inserisce nel codice penale (articolo 633-bis) il nuovo delitto invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica;

    l'articolo 1, modificato nel corso dell'esame da parte del Senato, interviene sull'ordinamento penitenziario in tema di accesso ai benefici penitenziari e alla liberazione condizionale da parte di detenuti condannati per specifici reati, particolarmente gravi, e ritenuti tali da precludere l'accesso ai benefici stessi in assenza di collaborazione con la giustizia;

    il testo originario del decreto-legge ricomprendeva nella categoria dei reati ostativi anche i delitti contro la pubblica amministrazione successivamente esclusi;

    sottrarre i reati contro la pubblica amministrazione al meccanismo ostativo significa perdere la chance di consolidare i dati incoraggianti esposti dalla Transparency International nell'ambito del monitoraggio della corruzione nei pubblici uffici e creare un terreno quanto mai pericoloso rispetto al rischio di infiltrazioni mafiose e di fenomeni corruttivi, soprattutto a fronte della gestione dei fondi e delle ingenti risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR),

impegna il Governo

a monitorare l'applicazione delle norme introdotte dal provvedimento in esame che incidono sui reati contro la pubblica amministrazione al fine di verificare che venga salvaguardato il principio di trasparenza e buon andamento dell'attività amministrativa e le relative norme attuative con particolare riferimento alla nuova disciplina del Codice dei contratti pubblici e alla gestione dei fondi del PNRR, relazionando a tal fine alle Camere.
9/705/109. Morfino, D'Orso, Cafiero De Raho, Giuliano, Ascari, L'Abbate, Quartini, Baldino, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 5-quaterdecies, introdotto nel corso dell'esame al Senato, prevede che fino al 31 dicembre 2025, le controversie aventi ad oggetto i provvedimenti relativi alla ammissione ai campionati professionistici e dilettantistici adottati dalle federazioni sportive nazionali, riconosciute dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) e dal Comitato italiano paralimpico (CIP) possano essere trattate con procedimento abbreviato, come previsto durante il periodo dell'emergenza epidemiologica;

    sostanzialmente viene prorogata fino al 31 dicembre 2025 l'applicabilità dell'articolo 218, commi 2, 3, 4 e 5 del cosiddetto «decreto Rilancio» (decreto-legge 19 maggio 2020 n. 34) che ha, in considerazione dell'eccezionale situazione determinatasi a causa della emergenza epidemiologica da COVID-19, introdotto disposizioni straordinarie e temporanee dirette a contenere in tempi certi l'eventuale contenzioso scaturente dalle decisioni adottate dalle federazioni sportive nazionali a causa del lockdown, in materia di prosecuzione e conclusione delle competizioni e dei campionati, professionistici e dilettantistici, per la stagione sportiva 2019/2020, e conseguenti misure organizzative per la successiva stagione sportiva,

impegna il Governo

a monitorare costantemente gli effetti della proroga della disposizione descritta in premessa, trattandosi di una norma straordinaria e temporanea, che era stata dettata dell'eccezionale situazione determinatasi a causa della emergenza epidemiologica da COVID-19, al fine di evitare eventuali situazioni di abuso.
9/705/110. Amato, Orrico, Caso, Cherchi, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Caramiello, Lovecchio, Berruto, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 5 del provvedimento all'esame introduce nel codice penale, all'articolo 633-bis, il nuovo delitto di «invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica»;

    nel corso dell'esame al Senato, sono stati oggetto di modifica, in particolare, la collocazione sistematica del nuovo reato (il delitto, nel testo vigente inserito tra i delitti contro l'incolumità pubblica, è stato ricollocato tra i reati contro il patrimonio) e la descrizione della condotta illecita;

    il nuovo reato punisce, con la reclusione da tre a sei anni e con la multa da 1.000 a 10.000 euro, chiunque organizza o promuove l'invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di realizzare un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento — finalità inserita al Senato allo scopo di circoscrivere la portata della norma sotto il profilo della tassatività e determinatezza della fattispecie —, quando dall'invasione deriva un concreto pericolo per la salute pubblica o per l'incolumità pubblica a causa della inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi;

    anche la disposizione relativa alla confisca è stata oggetto di modifica nel corso dell'esame al Senato: il nuovo articolo 633-bis codice penale prevede infatti che è sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, nonché di quelle utilizzate per realizzare le finalità dell'occupazione o di quelle che ne sono il prodotto o il profitto. «Nel corso dell'esame sono stati soppressi i commi 2 e 3 dell'articolo 5 del decreto-legge: è quindi esclusa l'applicazione delle misure di prevenzione personali ai soggetti indiziati del delitto in questione»,

impegna il Governo

a meglio definire, attraverso ulteriori interventi normativi, l'ambito applicativo della nuova fattispecie e monitorare costantemente gli effetti della disposizione descritta in premessa, al fine di evitare eventuali distorsioni in sede di applicazione della stessa.
9/705/111. Orrico, Cherchi, Caso, Amato, Ascari, D'Orso, Cafiero De Raho, Giuliano, Fede, Lovecchio, Tucci, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    nel corso dell'esame del provvedimento in titolo svoltosi presso il Senato della Repubblica, sono stati esclusi dal regime ostativo, di cui all'articolo 4-bis della legge sull'ordinamento penitenziario, delitti particolarmente gravi tra quelli disciplinati dal libro II, titolo II del codice penale — i quali puniscono comportamenti lesivi dei principi e dei doveri di onorabilità, imparzialità e trasparenza che devono garantire l'esercizio degli uffici pubblici e l'agire amministrativo;

    sono state, altresì, introdotte modifiche in tema di benefici penitenziari, le quali, obiettivamente, non incentivando la collaborazione con la giustizia da parte dei condannati per i predetti delitti, depotenziano strumenti rivelatisi efficaci nella lotta contro la corruzione;

    l'efficacia della disciplina anticorruzione e l'integrità nell'esercizio del potere pubblico rafforzano i sistemi giuridici e la fiducia dei cittadini e delle imprese nelle autorità pubbliche così come gli ostacoli all'applicazione di «sanzioni dissuasive nei casi di corruzione, in particolare ad alto livello, possono generare un rischio di impunità, privando le iniziative anticorruzione di deterrenza», questo l'assunto delle istituzioni europee, ribadito nelle Raccomandazioni del Consiglio europeo che hanno accompagnato l'approvazione del Recovery Plan;

    al fine di scongiurare il rischio di un aggravio dei fenomeni corruttivi e del loro tasso di incidenza, in particolare nel momento contingente, con riguardo alle ingenti risorse e alle opere dirette all'esecuzione del Piano nazionale di ripresa e resilienza,

impegna il Governo

a rafforzare la vigilanza sulla legalità e sull'integrità dell'agire pubblico anche garantendo la massima pubblicità e il pieno adempimento al principio della trasparenza dei procedimenti amministrativi e degli atti amministrativi, strumento della lotta alla corruzione e livello essenziale delle prestazioni della pubblica amministrazione ai sensi della legge 6 novembre 2012, n. 190.
9/705/112. Baldino, D'Orso, Cafiero De Raho, Giuliano, Ascari, Raffa, Quartini, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    nel corso dell'esame del provvedimento in titolo svoltosi presso il Senato della Repubblica, sono stati esclusi dal regime ostativo, di cui all'articolo 4-bis della legge sull'ordinamento penitenziario, delitti particolarmente gravi tra quelli disciplinati dal libro II, titolo II del codice penale — i quali puniscono comportamenti lesivi dei principi e dei doveri di onorabilità, imparzialità e trasparenza che devono garantire l'esercizio degli uffici pubblici e l'agire amministrativo;

    sono state, altresì, introdotte modifiche in tema di benefici penitenziari, le quali, obiettivamente, non incentivando la collaborazione con la giustizia da parte dei condannati per i predetti delitti, depotenziano strumenti rivelatisi efficaci nella lotta contro la corruzione;

    l'efficacia della disciplina anticorruzione e l'integrità nell'esercizio del potere pubblico rafforzano i sistemi giuridici e la fiducia dei cittadini e delle imprese nelle autorità pubbliche così come gli ostacoli all'applicazione di «sanzioni dissuasive nei casi di corruzione, in particolare ad alto livello, possono generare un rischio di impunità, privando le iniziative anticorruzione di deterrenza», questo l'assunto delle istituzioni europee, ribadito nelle Raccomandazioni del Consiglio europeo che hanno accompagnato l'approvazione del Recovery Plan;

    al fine di scongiurare il rischio di un aggravio dei fenomeni corruttivi e del loro tasso di incidenza, in particolare nel momento contingente, con riguardo alle ingenti risorse e alle opere pubbliche dirette all'esecuzione del Piano nazionale di ripresa e resilienza,

impegna il Governo

a vigilare sulla garanzia e l'ottemperamento del principio di trasparenza nei procedimenti amministrativi inerenti ai settori a più elevato rischio di corruzione, in particolare quello dei pubblici appalti, rafforzando ogni istituto e presidio a tutela della legalità e dell'integrità dell'agire e dell'interesse pubblico.
9/705/113. Alfonso Colucci, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Toni Ricciardi, Donno, Penza, Dori, Pavanelli, Carmina, Fede.


   La Camera,

   premesso che:

    nel corso dell'esame del provvedimento in titolo svoltosi presso il Senato della Repubblica, sono stati esclusi dal regime ostativo, di cui all'articolo 4-bis della legge sull'ordinamento penitenziario, delitti particolarmente gravi tra quelli disciplinati dal libro II, titolo II del codice penale — i quali puniscono comportamenti lesivi dei principi e dei doveri di onorabilità, imparzialità e trasparenza che devono garantire l'esercizio degli uffici pubblici e l'agire amministrativo;

    sono state, altresì, introdotte modifiche in tema di benefici penitenziari, le quali, obiettivamente, non incentivando la collaborazione con la giustizia da parte dei condannati per i predetti delitti, depotenziano strumenti rivelatisi efficaci nella lotta contro la corruzione;

    l'efficacia della disciplina anticorruzione e l'integrità nell'esercizio del potere pubblico rafforzano i sistemi giuridici e la fiducia dei cittadini e delle imprese nelle autorità pubbliche così come gli ostacoli all'applicazione di «sanzioni dissuasive nei casi di corruzione, in particolare ad alto livello, possono generare un rischio di impunità, privando le iniziative anticorruzione di deterrenza», questo l'assunto delle istituzioni europee, ribadito nelle Raccomandazioni del Consiglio europeo che hanno accompagnato l'approvazione del Recovery Plan;

    al fine di scongiurare il rischio di un aggravio dei fenomeni corruttivi e del loro tasso di incidenza, in particolare nel momento contingente, con riguardo alle ingenti risorse e alle opere dirette all'esecuzione del Piano nazionale di ripresa e resilienza,

impegna il Governo

in ordine al contrasto dei fenomeni corruttivi, ad adottare le misure e le iniziative, anche legislative, al fine di aderire pienamente e adempiere alle raccomandazioni del GRECO (Group of States against corruption) e alle raccomandazioni del Consiglio europeo illustrate in premessa.
9/705/114. Auriemma, D'Orso, Cafiero De Raho, Giuliano, Ascari, Lovecchio, Traversi, Torto, Borrelli, Carotenuto, Fede, Quartini, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    nel corso dell'esame del provvedimento in titolo svoltosi presso il Senato della Repubblica, sono stati esclusi dal regime ostativo, di cui all'articolo 4-bis della legge sull'ordinamento penitenziario, delitti particolarmente gravi tra quelli disciplinati dal libro II, titolo II del codice penale – i quali puniscono comportamenti lesivi dei principi e dei doveri di onorabilità, imparzialità e trasparenza che l'esercizio degli uffici pubblici e l'agire amministrativo devono garantire;

    sono state, altresì, introdotte modifiche in tema di benefici penitenziari, le quali, obiettivamente, non incentivando la collaborazione con la giustizia da parte dei condannati per i predetti delitti, depotenziano strumenti rivelatisi efficaci nella lotta contro la corruzione;

    l'efficacia della disciplina anticorruzione e l'integrità nell'esercizio del potere pubblico rafforzano i sistemi giuridici e la fiducia dei cittadini e delle imprese nelle autorità pubbliche così come gli ostacoli all'applicazione di «sanzioni dissuasive nei casi di corruzione, in particolare ad alto livello, possono generare un rischio di impunità, privando le iniziative anticorruzione di deterrenza», questo l'assunto delle istituzioni europee, ribadito nelle Raccomandazioni del Consiglio europeo che hanno accompagnato l'approvazione del Recovery Plan;

    al fine di scongiurare il rischio di un aggravio dei fenomeni corruttivi e del loro tasso di incidenza, in particolare nel momento contingente, con riguardo alle ingenti risorse e alle opere dirette all'esecuzione del Piano nazionale di ripresa e resilienza,

impegna il Governo

ad adottare iniziative, anche legislative, finalizzate a prevenire la corruzione, promuovere la trasparenza e la cultura della legalità, in particolare rafforzando le funzioni di regolazione e le attività di vigilanza sui contratti pubblici dell'Autorità nazionale anticorruzione.
9/705/115. Riccardo Ricciardi, D'Orso, Cafiero De Raho, Giuliano, Ascari, Donno, Carotenuto, Toni Ricciardi, Marianna Ricciardi, Fede, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    nel corso dell'esame del provvedimento in titolo svoltosi presso il Senato della Repubblica, sono stati esclusi dal regime ostativo, di cui all'articolo 4-bis della legge sull'ordinamento penitenziario, delitti particolarmente gravi tra quelli disciplinati dal libro II, titolo II del codice penale – i quali puniscono comportamenti lesivi dei principi e dei doveri di onorabilità, imparzialità e trasparenza che l'esercizio degli uffici pubblici e l'agire amministrativo devono garantire;

    sono state, altresì, introdotte modifiche in tema di benefici penitenziari, le quali, obiettivamente, non incentivando la collaborazione con la giustizia da parte dei condannati per i predetti delitti, depotenziano strumenti rivelatisi efficaci nella lotta contro la corruzione;

    l'efficacia della disciplina anticorruzione e l'integrità nell'esercizio del potere pubblico rafforzano i sistemi giuridici e la fiducia dei cittadini e delle imprese nelle «autorità pubbliche così come gli ostacoli all'applicazione di sanzioni dissuasive nei casi di corruzione, in particolare ad alto livello, possono generare un rischio di impunità, privando le iniziative anticorruzione di deterrenza», questo l'assunto delle istituzioni europee, ribadito nelle Raccomandazioni del Consiglio europeo che hanno accompagnato l'approvazione del Recovery Plan;

    al fine di scongiurare il rischio di un aggravio dei fenomeni corruttivi e del loro tasso di incidenza, in particolare nel momento contingente, con riguardo alle ingenti risorse e alle opere dirette all'esecuzione del Piano nazionale di ripresa e resilienza,

impegna il Governo

a preservare le discipline normative e i vigenti istituti e presidi di tutela e vigilanza della legalità e dell'integrità dei pubblici uffici, salvaguardando, in particolare, le vigenti disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione di cui alla legge 6 novembre 2012, n. 190, cosiddetta «legge Severino».
9/705/116. Francesco Silvestri, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Raffa, Fede, Marianna Ricciardi, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 7 del provvedimento all'esame reca disposizioni in materia di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2 e, più in particolare:

     si anticipa al 1° novembre 2022, rispetto alla data del 31 dicembre 2022, la cessazione dell'obbligo di vaccinazione contro il COVID-19 per i lavoratori che operano nei settori sanitario, socio-sanitario e socio-assistenziale;

     si sospendono, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del provvedimento all'esame e fino al 30 giugno 2023, le attività e i procedimenti di irrogazione delle sanzioni conseguenti all'inadempimento dell'obbligo di vaccinazione previsto, fino al 15 giugno 2022, per i soggetti di età pari o superiore a cinquanta anni nonché per specifiche categorie di lavoratori a prescindere dall'età;

     si differisce, dal 31 dicembre 2022 al 30 giugno 2023, il termine di vigenza dell'Unità per il completamento della campagna vaccinale e per l'adozione di altre misure di contrasto della pandemia da COVID-19, posticipando al 1° luglio 2023, anziché al 1° gennaio 2023, il subentro del Ministero della salute nelle funzioni e nei rapporti attivi e passivi facenti capo alla suddetta Unità viene posticipato;

    il provvedimento in esame va dunque a modificare quanto disciplinato dal decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44 che prevedeva un obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle para-farmacie e negli studi professionali, fissando un termine ultimo al 31 dicembre 2022, anticipando detto termine al 1° novembre 2022; il Ministro della salute Schillaci ha spiegato la ratio della predetta cancellazione dell'obbligo vaccinale per i sanitari, a partire dal 1° novembre, nel modo che segue: «Il quadro epidemiologico è mutato, in particolare dai dati si vede che l'impatto su ospedali è limitato e che c'è una diminuzione dei contagi e la stabilizzazione nell'occupazione degli ospedali. A ciò si aggiunge la carenza del personale medico: quindi aver rimesso a lavorare questi medici non vaccinati serve a contrastare la carenza e garantire il diritto alla salute»;

    la Corte costituzionale con il comunicato del 1° dicembre 2022, nelle more del deposito della sentenza, in riferimento all'obbligo vaccinale a tutela della salute, «ha ritenuto inammissibile, per ragioni processuali, la questione relativa alla impossibilità, per gli esercenti le professioni sanitarie che non abbiano adempiuto all'obbligo vaccinale, di svolgere l'attività lavorativa, quando non implichi contatti interpersonali. Sono state ritenute invece non irragionevoli, né sproporzionate, le scelte del legislatore adottate in periodo pandemico sull'obbligo vaccinale del personale sanitario. Ugualmente non fondate, infine, sono state ritenute le questioni proposte con riferimento alla previsione che esclude, in caso di inadempimento dell'obbligo vaccinale e per il tempo della sospensione, la corresponsione di un assegno a carico del datore di lavoro per chi sia stato sospeso; e ciò, sia per il personale sanitario, sia per il personale scolastico.»;

    a commento del succitato comunicato della Corte il presidente della FNOMCEO Filippo Anelli, ha affermato «Un grande riconoscimento per i vaccini, considerati strumenti fondamentali per combattere la pandemia, al punto che la Consulta approva le decisioni del Governo di introdurre l'obbligo, considerandole come non irragionevoli né sproporzionate. Le ragioni della scienza sulla efficacia dei vaccini per la protezione della popolazione sono state riconosciute, così come sono state testimoniate dalla adesione della stragrande maggioranza degli italiani, che si sono sottoposti alla vaccinazione, e dai 470.000 medici e odontoiatri italiani che hanno adempiuto all'obbligo vaccinale: il 99,2 per cento, ossia la quasi totalità»;

    dal report dell'Istituto superiore di sanità (ISS), relativo all'ultimo monitoraggio dei dati relativi alla settimana 5 novembre 2022-11 dicembre 2022 (aggiornati al 14 dicembre 2022), si evince che l'incidenza di nuovi casi di infezione da SARS-CoV-2 in Italia è in lieve diminuzione rispetto alla precedente settimana e che rimane contenuto l'impatto sugli ospedali con tassi di occupazione dei posti letto in lieve aumento nelle aree mediche ed in lieve diminuzione in terapia intensiva;

    tuttavia, nel predetto report, si ribadisce la necessità di continuare ad adottare le misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate, l'uso della mascherina, aerazione dei locali, igiene delle mani e ponendo attenzione alle situazioni di assembramento e si ribadisce altresì come l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia,

impegna il Governo

ad assumere le più opportune iniziative affinché, in relazione all'attuale quadro epidemiologico, vi sia la necessaria coerenza tra le iniziative governative e la comunità scientifica che, per il tramite dell'Istituto superiore della sanità, ribadisce ancora oggi la necessità di continuare ad adottare le misure comportamentali individuali e collettive previste e/o raccomandate, come ad esempio l'uso della mascherina ovvero l'elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, tenuto conto che, come ribadito dall'Istituto superiore della sanità medesimo, rappresentano strumenti necessari a mitigare l'impatto clinico dell'epidemia.
9/705/117. Sportiello, D'Orso, Cafiero De Raho, Giuliano, Ascari, Furfaro, Carotenuto, Quartini, Ubaldo Pagano, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 7-bis del provvedimento all'esame, introdotto nel corso dell'esame in Senato, dispone il finanziamento delle attività delle amministrazioni centrali in attuazione del Piano strategico-operativo nazionale di preparazione e risposta, a una pandemia influenzale 2021-2023;

    più in particolare, interviene sulla legge di bilancio 2022 (ai commi 261 e 258, incrementando di 35,8 milioni di euro per l'anno 2023, di cui 3,9 milioni di euro da trasferire all'Istituto superiore di sanità per le medesime finalità per l'anno 2023, per consentire l'assolvimento dei compiti attribuiti alle amministrazioni centrali dal Piano strategico-operativo nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale (PanFlu) 2021-2023;

    secondo quanto si rileva nel Piano in questione, appare essenziale che nell'ambito di un piano idoneo a fronteggiare una pandemia, venga prevista, prima del verificarsi dell'evento, una formazione volta a creare la consapevolezza di quali siano, da parte degli operatori coinvolti, le azioni individuali da intraprendere per far sì che le squadre impiegate rispondano in modo rapido, coordinato, appropriato e adeguato alle necessità dell'intervento loro richiesto, sia che si tratti di azioni semplici e routinarie sia che si tratti di interventi complessi o insoliti che si possano verificare nella realtà professionale;

    è importante, come si legge nel Piano, che le attività formative non si limitino soltanto alla mera acquisizione in linea teorica delle attività da svolgere, ma anche ad una costante e continua verifica delle nozioni apprese; inoltre, un'attività formativa concordata e univoca può contribuire a determinare una collaborazione integrata tra operatori sanitari e tra questi ultimi e gli altri soggetti sociali coinvolti nel Piano di gestione della pandemia ed è fondamentale che l'intera attività formativa sia partecipata e concertata a livello nazionale, regionale e locale, proprio per favorire univocità di metodi, di risposte e di azioni;

    nel Piano strategico-operativo nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale (PanFlu) 2021-2023 si rilevano, come obiettivi generali del programma di formazione, la necessità di:

     sviluppare le conoscenze sulla pandemia e sulla sua gestione, per attuare interventi pronti e appropriati;

     fornire le competenze per condurre le attività previste dal piano al fine di garantire un adeguato livello di protezione di tutta la popolazione;

     sviluppare competenze di autoprotezione per soccorritori e sanitari;

     stabilire le modalità di comunicazione del rischio dalla periferia verso il nucleo centrale, determinato dal Ministero della salute, che raccoglie i dati e li restituisce in forma aggregata e fruibile alla periferia per la gestione del rischio;

     sviluppare le competenze comunicativo-relazionali per intervenire nella gestione dell'emergenza;

    il Piano sottolinea, inoltre, «come debba essere considerato, in ogni caso, il fatto che quando un grave evento critico colpisce una popolazione intera, come nel caso della pandemia, si viene a creare una condizione di elevata emotività che riguarda l'individuo, la comunità e gli stessi soccorritori: l'evento critico stesso causa anche nei soccorritori reazioni emotive particolarmente intense, tali da poter talvolta interferire con le capacità di funzionare sia durante l'esposizione allo scenario, che in seguito, per tempi diversi e individuali. È quindi importante prevedere formazione specifica relativa anche agli aspetti psichiatrici e psicologici degli eventi critici»,

impegna il Governo

ad assicurare che, nell'ambito di attuazione del piano formativo relativo al Piano strategico-operativo nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale 2021-2023, sia assicurata una adeguata presenza di psicologi formatori al fine di garantire una formazione specifica relativa anche agli aspetti psichiatrici e psicologici degli eventi critici correlati ad una pandemia.
9/705/118. Di Lauro, D'Orso, Cafiero De Raho, Giuliano, Ascari, Donno, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 7-ter del provvedimento in esame, introdotto nel corso dell'esame del Senato, dispone l'abrogazione delle disposizioni che:

     subordinano, fino al 31 dicembre 2022, l'accesso dei visitatori ai reparti di degenza delle strutture ospedaliere al possesso del green pass ed attribuisce ai direttori sanitari la facoltà di adottare misure precauzionali più restrittive in relazione allo specifico contesto inclusa la possibilità di misure più restrittive previa comunicazione al dipartimento di prevenzione dell'azienda sanitaria locale competente per territorio;

     fino al 31 dicembre 2022, consentono agli accompagnatori dei pazienti non affetti da COVID-19, muniti delle certificazioni verdi COVID-19 nonché agli accompagnatori dei pazienti in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità, di permanere nelle sale di attesa dei dipartimenti d'emergenza e accettazione e dei reparti di pronto soccorso nonché dei reparti delle strutture ospedaliere, dei centri di diagnostica e dei poliambulatori specialistici nonché la disposizione che consente l'accesso alle prestazioni di pronto soccorso previo test antigenico rapido o molecolare e che demanda alla direzione sanitaria della struttura l'adozione delle misure necessarie a prevenire possibili trasmissioni di infezione;

     fino al 31 dicembre 2022, consentono alle persone ospitate presso determinate strutture di effettuare uscite temporanee, purché tali persone siano munite delle certificazioni verdi COVID-19;

    l'impatto delle predette abrogazioni appare circoscritto poiché le disposizioni che si abrogano hanno comunque il termine di vigenza al 31 dicembre 2022 e l'entrata in vigore del provvedimento all'esame anticiperà, eventualmente, solo di qualche giorno, la cessazione delle disposizioni;

    sarebbe stato auspicabile, invece, intervenire in maniera permanente affinché per il futuro il diritto di visita ai propri familiari o amici sia sempre garantito,

impegna il Governo:

   ad adottare un protocollo uniforme sul territorio nazionale che, nell'ambito della riorganizzazione della rete ospedaliera e territoriale, assicuri in maniera permanente:

    il mantenimento delle comunicazioni tra operatori e familiari, garantendo a questi ultimi la possibilità di ricevere informazioni sullo stato di salute del proprio familiare attraverso una figura appositamente designata, all'interno dell'Unità operativa di degenza, ivi incluso il pronto soccorso;

    lo svolgimento delle visite da parte dei familiari, secondo regole prestabilite consultabili dai familiari ovvero, in subordine o in caso di impossibilità oggettiva di effettuare la visita o come opportunità aggiuntiva, l'adozione di strumenti alternativi alla visita in presenza, come ad esempio videochiamate organizzate dalla struttura sanitaria.
9/705/119. Marianna Ricciardi, D'Orso, Cafiero De Raho, Giuliano, Ascari, Lovecchio, Auriemma, Alifano, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 7-ter del provvedimento in esame, introdotto nel corso dell'esame del Senato, dispone l'abrogazione delle disposizioni che:

     subordinano, fino al 31 dicembre 2022, l'accesso dei visitatori ai reparti di degenza delle strutture ospedaliere al possesso del green pass ed attribuisce ai direttori sanitari la facoltà di adottare misure precauzionali più restrittive in relazione allo specifico contesto inclusa la possibilità di misure più restrittive previa comunicazione al dipartimento di prevenzione dell'azienda sanitaria locale competente per territorio;

     fino al 31 dicembre 2022, consentono agli accompagnatori dei pazienti non affetti da COVID-19, muniti delle certificazioni verdi COVID-19 nonché agli accompagnatori dei pazienti in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità, di permanere nelle sale di attesa dei dipartimenti d'emergenza e accettazione e dei reparti di pronto soccorso nonché dei reparti delle strutture ospedaliere, dei centri di diagnostica e dei poliambulatori specialistici nonché la disposizione che consente l'accesso alle prestazioni di pronto soccorso previo test antigenico rapido o molecolare e che demanda alla direzione sanitaria della struttura l'adozione delle misure necessarie a prevenire possibili trasmissioni di infezione;

     fino al 31 dicembre 2022, consentono alle persone ospitate presso determinate strutture di effettuare uscite temporanee, purché tali persone siano munite delle certificazioni verdi COVID-19;

    l'impatto delle predette abrogazioni appare circoscritto poiché le disposizioni che si abrogano hanno comunque il termine di vigenza al 31 dicembre 2022 e l'entrata in vigore del provvedimento all'esame anticiperà, eventualmente, solo di qualche giorno, la cessazione delle disposizioni;

    sarebbe stato auspicabile, invece, intervenire in maniera permanente affinché per il futuro il diritto di visita ai propri familiari o amici sia sempre garantito,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di adottare un protocollo uniforme sul territorio nazionale che, nell'ambito della riorganizzazione della rete ospedaliera e territoriale, assicuri in maniera permanente:

    il mantenimento delle comunicazioni tra operatori e familiari, garantendo a questi ultimi la possibilità di ricevere informazioni sullo stato di salute del proprio familiare attraverso una figura appositamente designata, all'interno dell'Unità operativa di degenza, ivi incluso il pronto soccorso;

    lo svolgimento delle visite da parte dei familiari, secondo regole prestabilite consultabili dai familiari ovvero, in subordine o in caso di impossibilità oggettiva di effettuare la visita o come opportunità aggiuntiva, l'adozione di strumenti alternativi alla visita in presenza, come ad esempio videochiamate organizzate dalla struttura sanitaria.
9/705/119. (Testo modificato nel corso della seduta)Marianna Ricciardi, D'Orso, Cafiero De Raho, Giuliano, Ascari, Lovecchio, Auriemma, Alifano, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 7-ter, introdotto nel corso dell'esame del Senato, dispone l'abrogazione della certificazione verde COVID-19 (cosiddetto green pass) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da determinate strutture. Più in particolare, abroga:

     le disposizioni che subordinano, fino al 31 dicembre 2022, l'accesso dei visitatori a una serie di strutture al possesso di una certificazione verde COVID-19, nonché quella relativa sulla verifica dei requisiti di accesso da parte dei responsabili di tali strutture e le conseguenti sanzioni per coloro che accedono senza i prescritti requisiti e per quanti omettono le predette verifiche;

     le disposizioni che subordinano, fino al 31 dicembre 2022, l'accesso dei visitatori ai reparti di degenza delle strutture ospedaliere al possesso del green pass ed attribuisce ai direttori sanitari la facoltà di adottare misure precauzionali più restrittive in relazione allo specifico contesto inclusa la possibilità di misure più restrittive previa comunicazione al dipartimento di prevenzione dell'azienda sanitaria locale competente per territorio;

     la disposizione che, fino al 31 dicembre 2022, consente agli accompagnatori dei pazienti non affetti da COVID-19, muniti delle certificazioni verdi COVID-19 nonché agli accompagnatori dei pazienti in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità, di permanere nelle sale di attesa dei dipartimenti d'emergenza e accettazione e dei reparti di pronto soccorso nonché dei reparti delle strutture ospedaliere, dei centri di diagnostica e dei poliambulatori specialistici nonché la disposizione che consente l'accesso alle prestazioni di pronto soccorso previo test antigenico rapido o molecolare e che demanda alla direzione sanitaria della struttura l'adozione delle misure necessarie a prevenire possibili trasmissioni di infezione;

     la disposizione che, fino al 31 dicembre 2022, consente alle persone ospitate presso determinate strutture di effettuare uscite temporanee, purché tali persone siano munite delle certificazioni verdi COVID-19;

    tenuto conto che il Ministro della salute Schillaci ha più volte ribadito l'intenzione di prorogare l'obbligo delle mascherine nelle strutture sanitarie e nelle Rsa per la tutela degli anziani e dei soggetti più vulnerabili,

impegna il Governo

ad estendere, attraverso ulteriori interventi normativi, anche per l'anno 2023 la necessità di indossare dispositivi di protezione delle vie respiratorie ai lavoratori, agli utenti e ai visitatori delle strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali, comprese le strutture di ospitalità e lungodegenza, le residenze sanitarie assistenziali, gli hospice, le strutture riabilitative, le strutture residenziali per anziani, anche non autosufficienti.
9/705/120. Quartini, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 7-ter, introdotto nel corso dell'esame del Senato, dispone l'abrogazione della certificazione verde COVID-19 (cosiddetto green pass) quale requisito per l'accesso o per l'uscita temporanea da determinate strutture. Più in particolare, abroga:

     le disposizioni che subordinano, fino al 31 dicembre 2022, l'accesso dei visitatori a una serie di strutture al possesso di una certificazione verde COVID-19, nonché quella relativa sulla verifica dei requisiti di accesso da parte dei responsabili di tali strutture e le conseguenti sanzioni per coloro che accedono senza i prescritti requisiti e per quanti omettono le predette verifiche;

     le disposizioni che subordinano, fino al 31 dicembre 2022, l'accesso dei visitatori ai reparti di degenza delle strutture ospedaliere al possesso del green pass ed attribuisce ai direttori sanitari la facoltà di adottare misure precauzionali più restrittive in relazione allo specifico contesto inclusa la possibilità di misure più restrittive previa comunicazione al dipartimento di prevenzione dell'azienda sanitaria locale competente per territorio;

     la disposizione che, fino al 31 dicembre 2022, consente agli accompagnatori dei pazienti non affetti da COVID-19, muniti delle certificazioni verdi COVID-19 nonché agli accompagnatori dei pazienti in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità, di permanere nelle sale di attesa dei dipartimenti d'emergenza e accettazione e dei reparti di pronto soccorso nonché dei reparti delle strutture ospedaliere, dei centri di diagnostica e dei poliambulatori specialistici nonché la disposizione che consente l'accesso alle prestazioni di pronto soccorso previo test antigenico rapido o molecolare e che demanda alla direzione sanitaria della struttura l'adozione delle misure necessarie a prevenire possibili trasmissioni di infezione;

     la disposizione che, fino al 31 dicembre 2022, consente alle persone ospitate presso determinate strutture di effettuare uscite temporanee, purché tali persone siano munite delle certificazioni verdi COVID-19;

    tenuto conto che il Ministro della salute Schillaci ha più volte ribadito l'intenzione di prorogare l'obbligo delle mascherine nelle strutture sanitarie e nelle Rsa per la tutela degli anziani e dei soggetti più vulnerabili,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di estendere, attraverso ulteriori interventi normativi, anche per l'anno 2023 la necessità di indossare dispositivi di protezione delle vie respiratorie ai lavoratori, agli utenti e ai visitatori delle strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali, comprese le strutture di ospitalità e lungodegenza, le residenze sanitarie assistenziali, gli hospice, le strutture riabilitative, le strutture residenziali per anziani, anche non autosufficienti.
9/705/120. (Testo modificato nel corso della seduta)Quartini, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento reca misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, di entrata in vigore della riforma del processo penale, di obblighi di vaccinazione anti SARS-CoV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali;

    in particolare, l'articolo 1 del decreto-legge in esame esclude dal novero dei reati ostativi i delitti contro la pubblica amministrazione così incidendo su quanto operato dalla legge 9 gennaio 2019, n. 3 (cosiddetta legge Spazzacorrotti) che aveva inserito nel novero dei reati ostativi taluni delitti contro la pubblica amministrazione quali, per citarne alcuni, il peculato (articolo 314 del codice penale); la concussione (articolo 317 del codice penale); la corruzione per l'esercizio della funzione (articolo 318 del codice penale); la corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio (articolo 319 del codice penale); la corruzione in atti giudiziari (articolo 319-ter del codice penale); l'induzione indebita a dare o promettere utilità (articolo 319-quater del codice penale); la corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio (articolo 320 del codice penale) e l'istigazione alla corruzione (articolo 322 del codice penale);

    secondo i dati raccolti dalla Guardia di finanza e diffusi ad inizio dello scorso ottobre, nel quinquennio 2017-2021, gli illeciti accertati contro la spesa pubblica valgono da soli circa 34 miliardi, per una media di 7 miliardi l'anno. Ciò implica dei costi diretti e indiretti molto alti per la collettività, non soltanto dal punto di vista economico ma anche da quello sociale posto che, i predetti costi, si riverberano inevitabilmente sulla resa e sulla qualità dei servizi da erogare ai cittadini nonché minano fortemente la percezione e la fiducia di questi ultimi nello Stato e nelle istituzioni;

    quanto sopra, richiede una prevenzione della corruzione fondata su regole chiare e certe secondo il principio della legalità di cui all'articolo 25, secondo comma, della Costituzione e l'individuazione non solo degli ambiti dove maggiore è il rischio di corruzione ma altresì l'adozione di strumenti ad hoc per una maggiore trasparenza dell'azione amministrativa e dell'esercizio della funzione pubblica;

    l'aver escluso i delitti contro la pubblica amministrazioni dall'elenco dei reati ostativi, segue una direzione contraria che non tutela l'ordinamento né i cittadini dal pericolo di un nuovo consolidamento dei legami e dei vincoli associativi della criminalità organizzata,

impegna il Governo

a prevedere, in sede di primo provvedimento utile, verifiche ad hoc, nelle ipotesi di accesso ai benefìci di legge dei detenuti anche per i reati contro la pubblica amministrazione di cui in premessa, comprovanti l'assenza di collegamenti con associazioni per delinquere finalizzata alla commissione di reati di concussione e corruzione.
9/705/121. Donno, D'Orso, Cafiero De Raho, Giuliano, Ascari, Lovecchio, Torto, Alfonso Colucci, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 5-bis apporta modifiche alla disciplina transitoria prevista dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 in materia di modifica del regime di procedibilità di alcuni reati;

    l'articolo 5-sexies introduce nel citato decreto legislativo n. 150 del 2022 un nuovo articolo (articolo 88-bis) recante la disciplina transitoria in materia di indagini preliminari per i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della riforma in relazione alle notizie di reato già iscritte a tale data ovvero iscritte successivamente ma relative a procedimenti connessi o per determinati reati collegati a livello investigativo;

    l'articolo 5-septies precisa che le modifiche apportate dal citato decreto legislativo n. 150 del 2022 con riguardo all'inappellabilità delle sentenze di non luogo a procedere relative a reati puniti con pena pecuniaria o con pena alternativa si applicano alle sole sentenze di non luogo a procedere emesse successivamente al 30 dicembre 2022;

    l'articolo 5-octies chiarisce le tempistiche circa l'operatività della disciplina inerente l'udienza predibattimentale rispetto ai procedimenti penali per cui, alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 150 del 2022, sia già stato emesso il decreto di citazione a giudizio;

    l'articolo 5-novies dispone che l'entrata in vigore delle norme che introducono l'istituto della giustizia riparativa nell'ambito del diritto penale e processuale penale sia differita di sei mesi rispetto all'entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 150 del 2022;

    l'articolo 5-decies specifica che le novelle apportate dal citato decreto legislativo n. 150 del 2022 con riguardo alla facoltà della parte che vi ha interesse di richiedere – nel caso di mutamento del giudice nel corso del dibattimento – la rinnovazione degli esami già svolti salvo che essi siano stati integralmente documentati con registrazione audiovisiva, non si applichino quando le dichiarazioni di cui si chiede la rinnovazione siano state rese anteriormente al 1° gennaio 2023;

    l'articolo 5-undecies interviene sulla decorrenza del termine di applicazione dell'obbligo di videoregistrazione dell'assunzione di dichiarazioni, prevedendo che il predetto obbligo si applichi decorsi sei mesi (anziché un anno) dall'entrata in vigore della riforma;

    l'articolo 5-duodecies è volto a stabilire le modalità di transizione dal precedente regime di impugnazione a quello disciplinato nel citato decreto legislativo n. 150 del 2022 attuativo della riforma del processo penale;

    l'articolo 5-terdecies reca l'inserimento nel citato decreto legislativo n. 150 del 2022, attuativo della riforma del processo penale, di una disposizione transitoria volta a prevedere che ai provvedimenti di condanna alle sanzioni sostitutive (previste dalla disciplina previgente al decreto legislativo medesimo) e ai relativi provvedimenti di conversione continuino ad applicarsi le disposizioni in materia di iscrizione nel casellario giudiziale nel testo vigente prima dell'entrata in vigore della riforma del processo penale (30 dicembre 2022);

    il decreto-legge in esame interviene, dunque, sul citato decreto legislativo n. 150 del 2022 con il quale sono state apportate alcune modifiche al codice penale e al codice di procedura penale tra le quali si annovera anche la disposizione che introduce i criteri generali di priorità nella trattazione delle notizie di reato affidate a legge del Parlamento,

impegna il Governo

ad intraprendere iniziative di carattere normativo volte a sopprimere le disposizioni del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 riguardanti l'elaborazione dei criteri generali di priorità nella trattazione delle notizie di reato ed il relativo affidamento delle stesse a legge del Parlamento.
9/705/122. Onori, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Pellegrini, Fenu, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 5-bis, apporta modifiche alla disciplina transitoria prevista dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 in materia di modifica del regime di procedibilità di alcuni reati;

    l'articolo 5-sexies, introduce nel citato decreto legislativo n. 150 del 2022, un nuovo articolo (articolo 88-bis) recante la disciplina transitoria in materia di indagini preliminari per i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della riforma in relazione alle notizie di reato già iscritte a tale data ovvero iscritte successivamente ma relative a procedimenti connessi o per determinati reati collegati a livello investigativo;

    l'articolo 5-septies, precisa che le modifiche apportate dal citato decreto legislativo n. 150 del 2022 con riguardo all'inappellabilità delle sentenze di non luogo a procedere relative a reati puniti con pena pecuniaria o con pena alternativa si applicano alle sole sentenze di non luogo a procedere emesse successivamente al 30 dicembre 2022;

    l'articolo 5-octies, chiarisce le tempistiche circa l'operatività della disciplina inerente l'udienza predibattimentale rispetto ai procedimenti penali per cui, alla data di entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 150 del 2022, sia già stato emesso il decreto di citazione a giudizio;

    l'articolo 5-novies, dispone che l'entrata in vigore delle norme che introducono l'istituto della giustizia riparativa nell'ambito del diritto penale e processuale penale sia differita di sei mesi rispetto all'entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 150 del 2022;

    l'articolo 5-decies, specifica che le novelle apportate dal citato decreto legislativo n. 150 del 2022 con riguardo alla facoltà della parte che vi ha interesse di richiedere – nel caso di mutamento del giudice nel corso del dibattimento – la rinnovazione degli esami già svolti salvo che essi siano stati integralmente documentati con registrazione audiovisiva, non si applichino quando le dichiarazioni di cui si chiede la rinnovazione siano state rese anteriormente al 1° gennaio 2023;

    l'articolo 5-undecies, interviene sulla decorrenza del termine di applicazione dell'obbligo di videoregistrazione dell'assunzione di dichiarazioni, prevedendo che il predetto obbligo si applichi decorsi sei mesi (anziché un anno) dall'entrata in vigore della riforma;

    l'articolo 5-duodecies, è volto a stabilire le modalità di transizione dal precedente regime di impugnazione a quello disciplinato nel citato decreto legislativo n. 150 del 2022 attuativo della riforma del processo penale;

    l'articolo 5-terdecies, reca l'inserimento nel citato decreto legislativo n. 150 del 2022, attuativo della riforma del processo penale, di una disposizione transitoria volta a prevedere che ai provvedimenti di condanna alle sanzioni sostitutive (previste dalla disciplina previgente al decreto legislativo medesimo) e ai relativi provvedimenti di conversione continuino ad applicarsi le disposizioni in materia di iscrizione nel casellario giudiziale nel testo vigente prima dell'entrata in vigore della riforma del processo penale (30 dicembre 2022);

    il decreto-legge in esame interviene, dunque, sul citato decreto legislativo n. 150 del 2022 recante le disposizioni attuative della legge 27 settembre 2021, n. 134 «Riforma Cartabia» recante modifiche al codice penale e al codice di procedura penale tra le quali modifiche si annovera la disposizione con cui è stata introdotta l'improcedibilità dell'azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione,

impegna il Governo

ad intraprendere iniziative di carattere normativo volte a superare le disposizioni della legge 27 settembre 2021, n. 134 «Riforma Cartabia» riguardanti l'improcedibilità dell'azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione.
9/705/123. D'Orso, Cafiero De Raho, Giuliano, Ascari, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 5-bis, apporta modifiche alla disciplina transitoria prevista dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 in materia di modifica del regime di procedibilità di alcuni reati;

    l'articolo 5-sexies, introduce nel citato decreto legislativo n. 150 del 2022, un nuovo articolo (articolo 88-bis) recante la disciplina transitoria in materia di indagini preliminari per i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della riforma in relazione alle notizie di reato già iscritte a tale data ovvero iscritte successivamente ma relative a procedimenti connessi o per determinati reati collegati a livello investigativo;

    l'articolo 5-septies, precisa che le modifiche apportate dal citato decreto legislativo n. 150 del 2022 con riguardo all'inappellabilità delle sentenze di non luogo a procedere relative a reati puniti con pena pecuniaria o con pena alternativa si applicano alle sole sentenze di non luogo a procedere emesse successivamente al 30 dicembre 2022;

    l'articolo 5-octies, chiarisce le tempistiche circa l'operatività della disciplina inerente l'udienza predibattimentale rispetto ai procedimenti penali per cui, alla data di entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 150 del 2022, sia già stato emesso il decreto di citazione a giudizio;

    l'articolo 5-novies, dispone che l'entrata in vigore delle norme che introducono l'istituto della giustizia riparativa nell'ambito del diritto penale e processuale penale sia differita di sei mesi rispetto all'entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 150 del 2022;

    l'articolo 5-decies, specifica che le novelle apportate dal citato decreto legislativo n. 150 del 2022 con riguardo alla facoltà della parte che vi ha interesse di richiedere – nel caso di mutamento del giudice nel corso del dibattimento – la rinnovazione degli esami già svolti salvo che essi siano stati integralmente documentati con registrazione audiovisiva, non si applichino quando le dichiarazioni di cui si chiede la rinnovazione siano state rese anteriormente al 1° gennaio 2023;

    l'articolo 5-undecies, interviene sulla decorrenza del termine di applicazione dell'obbligo di videoregistrazione dell'assunzione di dichiarazioni, prevedendo che il predetto obbligo si applichi decorsi sei mesi (anziché un anno) dall'entrata in vigore della riforma;

    l'articolo 5-duodecies, è volto a stabilire le modalità di transizione dal precedente regime di impugnazione a quello disciplinato nel citato decreto legislativo n. 150 del 2022 attuativo della riforma del processo penale;

    l'articolo 5-terdecies, reca l'inserimento nel citato decreto legislativo n. 150 del 2022, attuativo della riforma del processo penale, di una disposizione transitoria volta a prevedere che ai provvedimenti di condanna alle sanzioni sostitutive (previste dalla disciplina previgente al decreto legislativo medesimo) e ai relativi provvedimenti di conversione continuino ad applicarsi le disposizioni in materia di iscrizione nel casellario giudiziale nel testo vigente prima dell'entrata in vigore della riforma del processo penale (30 dicembre 2022);

    il decreto-legge in esame interviene, dunque, sul citato decreto legislativo n. 150 del 2022 recante le disposizioni attuative della legge 27 settembre 2021, n. 134 «Riforma Cartabia» recante modifiche al codice penale e al codice di procedura penale tra le quali modifiche si annovera la disposizione con cui è stata introdotta l'improcedibilità dell'azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione,

impegna il Governo

ad intraprendere iniziative di carattere normativo volte a superare le disposizioni della legge n. 134 del 2021 («riforma Cartabia») e del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 riguardanti l'improcedibilità dell'azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione al fine di garantire che, una volta dichiarata l'improcedibilità, il procedimento possa proseguire per la definizione della confisca.
9/705/124. Cafiero De Raho, D'Orso, Ascari, Giuliano, Pellegrini, Gubitosa, Penza, Lovecchio, Pavanelli, Carmina, Cherchi.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 5-bis, apporta modifiche alla disciplina transitoria prevista dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 in materia di modifica del regime di procedibilità di alcuni reati;

    l'articolo 5-sexies, introduce nel citato decreto legislativo n. 150 del 2022, un nuovo articolo (articolo 88-bis) recante la disciplina transitoria in materia di indagini preliminari per i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della riforma in relazione alle notizie di reato già iscritte a tale data ovvero iscritte successivamente ma relative a procedimenti connessi o per determinati reati collegati a livello investigativo;

    l'articolo 5-septies, precisa che le modifiche apportate dal citato decreto legislativo n. 150 del 2022 con riguardo all'inappellabilità delle sentenze di non luogo a procedere relative a reati puniti con pena pecuniaria o con pena alternativa si applicano alle sole sentenze di non luogo a procedere emesse successivamente al 30 dicembre 2022;

    l'articolo 5-octies, chiarisce le tempistiche circa l'operatività della disciplina inerente l'udienza predibattimentale rispetto ai procedimenti penali per cui, alla data di entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 150 del 2022, sia già stato emesso il decreto di citazione a giudizio;

    l'articolo 5-novies, dispone che l'entrata in vigore delle norme che introducono l'istituto della giustizia riparativa nell'ambito del diritto penale e processuale penale sia differita di sei mesi rispetto all'entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 150 del 2022;

    l'articolo 5-decies, specifica che le novelle apportate dal citato decreto legislativo n. 150 del 2022 con riguardo alla facoltà della parte che vi ha interesse di richiedere – nel caso di mutamento del giudice nel corso del dibattimento – la rinnovazione degli esami già svolti salvo che essi siano stati integralmente documentati con registrazione audiovisiva, non si applichino quando le dichiarazioni di cui si chiede la rinnovazione siano state rese anteriormente al 1° gennaio 2023;

    l'articolo 5-undecies, interviene sulla decorrenza del termine di applicazione dell'obbligo di videoregistrazione dell'assunzione di dichiarazioni, prevedendo che il predetto obbligo si applichi decorsi sei mesi (anziché un anno) dall'entrata in vigore della riforma;

    l'articolo 5-duodecies, è volto a stabilire le modalità di transizione dal precedente regime di impugnazione a quello disciplinato nel citato decreto legislativo n. 150 del 2022 attuativo della riforma del processo penale;

    l'articolo 5-terdecies, reca l'inserimento nel citato decreto legislativo n. 150 del 2022, attuativo della riforma del processo penale, di una disposizione transitoria volta a prevedere che ai provvedimenti di condanna alle sanzioni sostitutive (previste dalla disciplina previgente al decreto legislativo medesimo) e ai relativi provvedimenti di conversione continuino ad applicarsi le disposizioni in materia di iscrizione nel casellario giudiziale nel testo vigente prima dell'entrata in vigore della riforma del processo penale (30 dicembre 2022);

    il decreto-legge in esame interviene, dunque, sul citato decreto legislativo n. 150 del 2022 recante le disposizioni attuative della legge 27 settembre 2021, n. 134 «Riforma Cartabia» recante modifiche al codice penale e al codice di procedura penale tra le quali modifiche si annovera la disposizione con cui è stata introdotta l'improcedibilità dell'azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione,

impegna il Governo

ad intraprendere iniziative di carattere normativo volte a superare le disposizioni della legge 27 settembre 2021, n. 134 «Riforma Cartabia» riguardanti l'improcedibilità dell'azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione prevedendo che la stessa non possa intervenire in riferimento ai reati di corruzione.
9/705/125. Fenu, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Lovecchio, Auriemma, Lomuti, Carmina, Pavanelli.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 5-bis, apporta modifiche alla disciplina transitoria prevista dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 in materia di modifica del regime di procedibilità di alcuni reati;

    l'articolo 5-sexies, introduce nel citato decreto legislativo n. 150 del 2022, un nuovo articolo (articolo 88-bis) recante la disciplina transitoria in materia di indagini preliminari per i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della riforma in relazione alle notizie di reato già iscritte a tale data ovvero iscritte successivamente ma relative a procedimenti connessi o per determinati reati collegati a livello investigativo;

    l'articolo 5-septies, precisa che le modifiche apportate dal citato decreto legislativo n. 150 del 2022 con riguardo all'inappellabilità delle sentenze di non luogo a procedere relative a reati puniti con pena pecuniaria o con pena alternativa si applicano alle sole sentenze di non luogo a procedere emesse successivamente al 30 dicembre 2022;

    l'articolo 5-octies, chiarisce le tempistiche circa l'operatività della disciplina inerente l'udienza predibattimentale rispetto ai procedimenti penali per cui, alla data di entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 150 del 2022, sia già stato emesso il decreto di citazione a giudizio;

    l'articolo 5-novies, dispone che l'entrata in vigore delle norme che introducono l'istituto della giustizia riparativa nell'ambito del diritto penale e processuale penale sia differita di sei mesi rispetto all'entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 150 del 2022;

    l'articolo 5-decies, specifica che le novelle apportate dal citato decreto legislativo n. 150 del 2022 con riguardo alla facoltà della parte che vi ha interesse di richiedere – nel caso di mutamento del giudice nel corso del dibattimento – la rinnovazione degli esami già svolti salvo che essi siano stati integralmente documentati con registrazione audiovisiva, non si applichino quando le dichiarazioni di cui si chiede la rinnovazione siano state rese anteriormente al 1° gennaio 2023;

    l'articolo 5-undecies, interviene sulla decorrenza del termine di applicazione dell'obbligo di videoregistrazione dell'assunzione di dichiarazioni, prevedendo che il predetto obbligo si applichi decorsi sei mesi (anziché un anno) dall'entrata in vigore della riforma;

    l'articolo 5-duodecies, è volto a stabilire le modalità di transizione dal precedente regime di impugnazione a quello disciplinato nel citato decreto legislativo n. 150 del 2022 attuativo della riforma del processo penale;

    l'articolo 5-terdecies, reca l'inserimento nel citato decreto legislativo n. 150 del 2022, attuativo della riforma del processo penale, di una disposizione transitoria volta a prevedere che ai provvedimenti di condanna alle sanzioni sostitutive (previste dalla disciplina previgente al decreto legislativo medesimo) e ai relativi provvedimenti di conversione continuino ad applicarsi le disposizioni in materia di iscrizione nel casellario giudiziale nel testo vigente prima dell'entrata in vigore della riforma del processo penale (30 dicembre 2022);

    il decreto-legge in esame interviene, dunque, sul citato decreto legislativo n. 150 del 2022 recante le disposizioni attuative della legge 27 settembre 2021, n. 134 «Riforma Cartabia» recante modifiche al codice penale e al codice di procedura penale tra le quali modifiche si annovera la disposizione con cui è stata introdotta l'improcedibilità dell'azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione,

impegna il Governo

ad intraprendere iniziative di carattere normativo volte a superare le disposizioni della legge 27 settembre 2021, n. 134 «Riforma Cartabia» riguardanti l'improcedibilità dell'azione penale per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione prevedendo che la stessa non possa intervenire in riferimento ai reati ambientali.
9/705/126. Ilaria Fontana, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Carmina, Todde, Pavanelli.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 5-decies specifica che le novelle apportate dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 con riguardo alla facoltà della parte che vi ha interesse di richiedere – nel caso di mutamento del giudice nel corso del dibattimento – la rinnovazione degli esami già svolti salvo che essi siano stati integralmente documentati con registrazione audiovisiva, non si applichino quando le dichiarazioni di cui si chiede la rinnovazione siano state rese anteriormente al 1° gennaio 2023;

    l'articolo 5-undecies interviene sulla decorrenza del termine di applicazione dell'obbligo di videoregistrazione dell'assunzione di dichiarazioni, prevedendo che il predetto obbligo si applichi decorsi sei mesi (anziché un anno) dall'entrata in vigore della riforma,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle norme richiamate in premessa al fine di intraprendere ulteriori iniziative di carattere normativo volte a prevedere l'allineamento dei termini di proroga dell'entrata in vigore delle disposizioni di cui al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 in riferimento agli articoli 5-decies e 5-undecies del presente decreto.
9/705/127. Cantone, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Donno, Lovecchio, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 5-bis apporta modifiche alla disciplina transitoria prevista dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 in materia di modifica del regime di procedibilità di alcuni reati;

    l'articolo 5-sexies introduce nel citato decreto legislativo n. 150 del 2022, un nuovo articolo (articolo 88-bis) recante la disciplina transitoria in materia di indagini preliminari per i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della riforma in relazione alle notizie di reato già iscritte a tale data ovvero iscritte successivamente ma relative a procedimenti connessi o per determinati reati collegati a livello investigativo;

    l'articolo 5-septies precisa che le modifiche apportate dal citato decreto legislativo n. 150 del 2022 con riguardo all'inappellabilità delle sentenze di non luogo a procedere relative a reati puniti con pena pecuniaria o con pena alternativa si applicano alle sole sentenze di non luogo a procedere emesse successivamente al 30 dicembre 2022;

    l'articolo 5-octies chiarisce le tempistiche circa l'operatività della disciplina inerente l'udienza predibattimentale rispetto ai procedimenti penali per cui, alla data di entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 150 del 2022, sia già stato emesso il decreto di citazione a giudizio;

    l'articolo 5-novies dispone che l'entrata in vigore delle norme che introducono l'istituto della giustizia riparativa nell'ambito del diritto penale e processuale penale sia differita di sei mesi rispetto all'entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 150 del 2022;

    l'articolo 5-decies specifica che le novelle apportate dal citato decreto legislativo n. 150 del 2022 con riguardo alla facoltà della parte che vi ha interesse di richiedere – nel caso di mutamento del giudice nel corso del dibattimento – la rinnovazione degli esami già svolti salvo che essi siano stati integralmente documentati con registrazione audiovisiva, non si applichino quando le dichiarazioni di cui si chiede la rinnovazione siano state rese anteriormente al 1° gennaio 2023;

    l'articolo 5-undecies interviene sulla decorrenza del termine di applicazione dell'obbligo di videoregistrazione dell'assunzione di dichiarazioni, prevedendo che il predetto obbligo si applichi decorsi sei mesi (anziché un anno) dall'entrata in vigore della riforma;

    l'articolo 5-duodecies è volto a stabilire le modalità di transizione dal precedente regime di impugnazione a quello disciplinato nel citato decreto legislativo n. 150 del 2022 attuativo della riforma del processo penale;

    l'articolo 5-terdecies reca l'inserimento nel citato decreto legislativo n. 150 del 2022, attuativo della riforma del processo penale, di una disposizione transitoria volta a prevedere che ai provvedimenti di condanna alle sanzioni sostitutive (previste dalla disciplina previgente al decreto legislativo medesimo) e ai relativi provvedimenti di conversione continuino ad applicarsi le disposizioni in materia di iscrizione nel casellario giudiziale nel testo vigente prima dell'entrata in vigore della riforma del processo penale (30 dicembre 2022);

    il decreto-legge in esame interviene, dunque, sul citato decreto legislativo n. 150 del 2022 con il quale sono state apportate modifiche al codice penale e al codice di procedura penale tra le quali si richiama l'articolo 41, comma 1, lettera h) con cui vengono introdotte disposizioni riguardanti il diritto all'oblio degli imputati e delle persone sottoposte ad indagini,

impegna il Governo

ad intraprendere ulteriori iniziative di carattere normativo volte a prevedere che le disposizioni di cui all'articolo 41, comma 1, lettera h) del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 riguardanti il diritto all'oblio non si applichino quando il soggetto o i comportamenti posti in essere dallo stesso abbiano rilevanza pubblica.
9/705/128. Iaria, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 5-bis apporta modifiche alla disciplina transitoria prevista dal decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 in materia di modifica del regime di procedibilità di alcuni reati;

    l'articolo 5-sexies introduce nel citato decreto legislativo n. 150 del 2022, un nuovo articolo (articolo 88-bis) recante la disciplina transitoria in materia di indagini preliminari per i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della riforma in relazione alle notizie di reato già iscritte a tale data ovvero iscritte successivamente ma relative a procedimenti connessi o per determinati reati collegati a livello investigativo;

    l'articolo 5-septies precisa che le modifiche apportate dal citato decreto legislativo n. 150 del 2022 con riguardo all'inappellabilità delle sentenze di non luogo a procedere relative a reati puniti con pena pecuniaria o con pena alternativa si applicano alle sole sentenze di non luogo a procedere emesse successivamente al 30 dicembre 2022;

    l'articolo 5-octies chiarisce le tempistiche circa l'operatività della disciplina inerente l'udienza predibattimentale rispetto ai procedimenti penali per cui, alla data di entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 150 del 2022, sia già stato emesso il decreto di citazione a giudizio;

    l'articolo 5-novies dispone che l'entrata in vigore delle norme che introducono l'istituto della giustizia riparativa nell'ambito del diritto penale e processuale penale sia differita di sei mesi rispetto all'entrata in vigore del citato decreto legislativo n. 150 del 2022;

    l'articolo 5-decies specifica che le novelle apportate dal citato decreto legislativo n. 150 del 2022 con riguardo alla facoltà della parte che vi ha interesse di richiedere – nel caso di mutamento del giudice nel corso del dibattimento – la rinnovazione degli esami già svolti salvo che essi siano stati integralmente documentati con registrazione audiovisiva, non si applichino quando le dichiarazioni di cui si chiede la rinnovazione siano state rese anteriormente al 1° gennaio 2023;

    l'articolo 5-undecies interviene sulla decorrenza del termine di applicazione dell'obbligo di videoregistrazione dell'assunzione di dichiarazioni, prevedendo che il predetto obbligo si applichi decorsi sei mesi (anziché un anno) dall'entrata in vigore della riforma;

    l'articolo 5-duodecies è volto a stabilire le modalità di transizione dal precedente regime di impugnazione a quello disciplinato nel citato decreto legislativo n. 150 del 2022 attuativo della riforma del processo penale;

    l'articolo 5-terdecies reca l'inserimento nel citato decreto legislativo n. 150 2022, attuativo della riforma del processo penale, di una disposizione transitoria volta a prevedere che ai provvedimenti di condanna alle sanzioni sostitutive (previste dalla disciplina previgente al decreto legislativo medesimo) e ai relativi provvedimenti di conversione continuino ad applicarsi le disposizioni in materia di iscrizione nel casellario giudiziale nel testo vigente prima dell'entrata in vigore della riforma del processo penale (30 dicembre 2022);

    il decreto-legge in esame interviene, dunque, sul citato decreto legislativo n. 150 del 2022 con il quale sono state apportate modifiche al codice penale e al codice di procedura penale tra le quali si annoverano;

    le disposizioni normative di cui all'articolo 2 che vanno a modificare il regime di procedibilità per alcuni reati,

impegna il Governo

ad intraprendere iniziative di carattere normativo volte a prevedere la revisione del catalogo dei reati di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 ai quali è stato modificato il regime di procedibilità, in particolare quelli che creano particolari intimidazioni ai cittadini o risultano di difficile emersione come i reati di: lesione personale, violenza privata, sequestro di persona, minaccia, truffa, frode informatica, turbativa violenta del possesso di cose immobili.
9/705/129. Penza, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Fede, Carotenuto, Quartini, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in esame introduce disposizioni transitorie applicabili alla riforma del processo penale, incide sulla disciplina dell'articolo 4-bis ordinamento penitenziario e inserisce nel codice penale (articolo 633-bis) il nuovo delitto invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica;

    l'articolo 5, come modificato nel corso dell'esame da parte del Senato, introduce nel codice penale, all'articolo 633-bis, il nuovo delitto di «Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica»;

    in base al quale è punito, con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000, chiunque organizza o promuove l'invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di realizzare un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento; ritenuto che parlare di raduno musicale appare generico nonché inopportuno in quanto potrebbe interessare un qualsiasi momento, anche di convivialità, durante il quale è previsto l'ascolto o l'esecuzione di musica,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle norme richiamate in premessa al fine di adottare, in provvedimenti successivi, modifiche alle disposizioni di cui all'articolo 5, al fine di includervi i soli grandi raduni musicali organizzati clandestinamente.
9/705/130. Caramiello, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Auriemma, Marianna Ricciardi, Raffa, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    nel corso dell'esame del provvedimento in titolo svoltosi presso il Senato della Repubblica, sono stati esclusi dal regime ostativo, di cui all'articolo 4-bis della legge sull'ordinamento penitenziario, delitti particolarmente gravi tra quelli disciplinati dal libro II, titolo II del codice penale – i quali puniscono comportamenti lesivi dei principi e dei doveri di onorabilità, imparzialità e trasparenza che devono garantire l'esercizio degli uffici pubblici e l'agire amministrativo;

    sono state, altresì, introdotte modifiche in tema di benefìci penitenziari, le quali, obiettivamente, non incentivando la collaborazione con la giustizia da parte dei condannati per i predetti delitti, depotenziano strumenti rivelatisi uffici nella lotta contro la corruzione;

    l'efficacia della disciplina anticorruzione e l'integrità nell'esercizio del potere pubblico rafforzano i sistemi giuridici e la fiducia dei cittadini e delle imprese nelle autorità pubbliche così come gli ostacoli all'applicazione di sanzioni dissuasive nei casi di corruzione, in particolare ad alto livello, possono generare un rischio di impunità, privando le iniziative anticorruzione di deterrenza, questo l'assunto delle istituzioni europee, ribadito nelle Raccomandazioni del Consiglio europeo che hanno accompagnato l'approvazione del Recovery Plan;

    sottrarre i reati contro la pubblica amministrazione al meccanismo ostativo significa perdere la chance di consolidare i dati incoraggianti esposti dalla Transparency International nell'ambito del monitoraggio della corruzione nei pubblici uffici e creare un terreno quanto mai pericoloso rispetto al rischio di infiltrazioni mafiose e di fenomeni corruttivi, soprattutto a fronte della gestione dei fondi e delle ingenti risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza;

    al fine di scongiurare il rischio di un aggravio dei fenomeni corruttivi e del loro tasso di incidenza, in particolare nel momento contingente, con riguardo alle ingenti risorse e alle opere dirette all'esecuzione del Piano nazionale di ripresa e resilienza,

impegna il Governo

a garantire e rafforzare la vigilanza e il monitoraggio sull'attività svolta dai pubblici uffici al fine di contrastare le possibili truffe e frodi sull'utilizzo dei fondi europei destinati all'agricoltura che costituiscono la principale risorsa delle nostre imprese nazionali.
9/705/131. Sergio Costa, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Alfonso Colucci, Lovecchio, Raffa, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    gli articoli da 1 a 3 del decreto-legge in esame intervengono sul tema dell'accesso ai benefìci penitenziari e alla liberazione condizionale da parte di detenuti condannati per specifici reati, particolarmente gravi, e ritenuti tali da precludere l'accesso ai benefìci stessi in assenza di collaborazione con la giustizia (cosiddetti reati ostativi, di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, legge sull'ordinamento penitenziario);

    la funzione rieducativa della pena trova il suo riconoscimento nel terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione, il quale sancisce che: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»;

    il principio costituzionale che attribuisce alla pena una finalità rieducativa presenta profili di tensione con la previsione di una pena perpetua, che, alla base, impedisce il recupero sociale del condannato, destinato all'isolamento carcerario fino alla morte,

impegna il Governo

ad adottare tutte le necessarie misure volte all'assunzione di scelte di politica giudiziaria tali da contemperare le esigenze di prevenzione generale e sicurezza collettiva con il rispetto del principio di rieducazione della pena affermato dall'articolo 27, terzo comma, della Costituzione.
9/705/132. Bruno, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    gli articoli da 1 a 3 del decreto-legge in esame intervengono sul tema dell'accesso ai benefìci penitenziari e alla liberazione condizionale da parte di detenuti condannati per specifici reati, particolarmente gravi, e ritenuti tali da precludere l'accesso ai benefìci stessi in assenza di collaborazione con la giustizia (cosiddetti reati ostativi, di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, legge sull'ordinamento penitenziario);

    la funzione rieducativa della pena trova il suo riconoscimento nel terzo comma dell'articolo 27 della Costituzione, il quale sancisce che: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»;

    il principio costituzionale che attribuisce alla pena una finalità rieducativa presenta profili di tensione con la previsione di una pena perpetua, che, alla base, impedisce il recupero sociale del condannato, destinato all'isolamento carcerario fino alla morte,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare tutte le necessarie misure volte all'assunzione di scelte di politica giudiziaria tali da contemperare le esigenze di prevenzione generale e sicurezza collettiva con il rispetto del principio di rieducazione della pena affermato dall'articolo 27, terzo comma, della Costituzione.
9/705/132. (Testo modificato nel corso della seduta)Bruno, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    nel corso dell'esame del provvedimento in titolo svoltosi presso il Senato della Repubblica, sono stati esclusi dal regime ostativo, di cui all'articolo 4-bis della legge sull'ordinamento penitenziario, delitti particolarmente gravi tra quelli disciplinati dal libro II, titolo II del codice penale – i quali puniscono comportamenti lesivi dei princìpi e dei doveri di onorabilità, imparzialità e trasparenza che devono garantire l'esercizio degli uffici pubblici e l'agire amministrativo;

    l'efficacia della disciplina anticorruzione e l'integrità nell'esercizio del potere pubblico rafforzano i sistemi giuridici e la fiducia dei cittadini e delle imprese nelle autorità pubbliche così come gli ostacoli all'applicazione di sanzioni dissuasive nei casi di corruzione, in particolare ad alto livello, possono generare un rischio di impunità, privando le iniziative anticorruzione di deterrenza, questo l'assunto delle istituzioni europee, ribadito nelle Raccomandazioni che hanno accompagnato l'approvazione del Recovery Plan;

    la cultura della legalità e i princìpi democratici, oltre a permeare tutti gli organi dello Stato e l'agire pubblico, sono alla base della convivenza civile,

impegna il Governo

ad incrementare, tra i programmi educativi e l'offerta formativa degli istituti scolastici, percorsi finalizzati a diffondere la cultura della legalità.
9/705/133. L'Abbate, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    nel corso dell'esame del provvedimento in titolo svoltosi presso il Senato della Repubblica, sono stati esclusi dal regime ostativo, di cui all'articolo 4-bis della legge sull'ordinamento penitenziario, delitti particolarmente gravi tra quelli disciplinati dal libro II, titolo II del codice penale – i quali puniscono comportamenti lesivi dei princìpi e dei doveri di onorabilità, imparzialità e trasparenza che devono garantire l'esercizio degli uffici pubblici e l'agire amministrativo;

    l'efficacia della disciplina anticorruzione e l'integrità nell'esercizio del potere pubblico rafforzano i sistemi giuridici e la fiducia dei cittadini e delle imprese nelle autorità pubbliche così come gli ostacoli all'applicazione di sanzioni dissuasive nei casi di corruzione, in particolare ad alto livello, possono generare un rischio di impunità, privando le iniziative anticorruzione di deterrenza, questo l'assunto delle istituzioni europee, ribadito nelle Raccomandazioni che hanno accompagnato l'approvazione del Recovery Plan;

    la cultura della legalità e i princìpi democratici, oltre a permeare tutti gli organi dello Stato e l'agire pubblico, sono alla base della convivenza civile,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di incrementare, tra i programmi educativi e l'offerta formativa degli istituti scolastici, percorsi finalizzati a diffondere la cultura della legalità.
9/705/133. (Testo modificato nel corso della seduta)L'Abbate, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Pavanelli, Carmina.


   La Camera,

   premesso che:

    in sede di conversione del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, recante misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-COV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali, è emerso con evidenza, durante il dibattito in commissione Giustizia, la volontà di punire in maniera indiscriminata le manifestazioni di libertà;

    l'articolo 5, come modificato nel corso dell'esame da parte del Senato, introduce nel codice penale, all'articolo 633-bis, il nuovo delitto di «Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», in base al quale è punito, con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000;

    il nuovo reato sui «raduni pericolosi», introdotto con un decreto-legge, e presentato come un'iniziativa per contrastare i «Rave party», ha sollevato numerosi dubbi di costituzionalità da parte dei costituzionalisti;

    la stessa sollecitudine, con la quale si cerca di affrontare il tema dei Rave Party avremmo voluta vederla nei confronti del reato di femminicidio poiché sono già 104 le donne vittime di femminicidio in Italia dall'inizio dell'anno, questo per dire che bisogna fare di più e in fretta;

    «Non possiamo ignorare il grido delle donne vittime di violenza», sono state le parole di Papa Francesco nell'aprire l'edizione 2022 della campagna di sensibilizzazione «Questo non è amore» promossa dalla Polizia di Stato per contrastare i fenomeni di femminicidio. Sono «una vigliaccheria e un degrado per tutta l'umanità», secondo il Pontefice, le varie forme di maltrattamento che subiscono molte donne: sono donne uccise in quanto donne, perché hanno messo in discussione il loro ruolo nella società o in famiglia. Il 38 per cento delle vittime aveva figli piccoli. Mentre, per quanto riguarda l'autore del reato, si tratta del marito o del convivente nel 56 per cento dei casi, del figlio o del genitore (19 per cento), dell'ex marito (13 per cento), del fidanzato o dell'ex compagno (12 per cento);

    dal 2020 ad oggi, poi, sono stati oltre 7.500 i soggetti a cui è stato notificato l'ammonimento per violenza domestica o per atti persecutori. E solo uno di questi si è successivamente reso autore di femminicidio, a dimostrazione che la misura preventiva gioca un ruolo decisivo nel bloccare il ciclo della violenza;

    solo in 54 Questure (il 47 per cento del totale) è operativo il protocollo Zeus che consente, dopo la notifica dell'ammonimento, di offrire al destinatario la possibilità di intraprendere un percorso di recupero, finalizzato a far maturare nell'interessato la consapevolezza del disvalore del proprio comportamento attraverso l'aiuto dei professionisti dei Centri dedicati agli autori di comportamenti violenti o persecutori;

    inoltre, alcuni di questi protocolli prevedono ulteriori strumenti di prevenzione che permettono di intervenire in anticipo sulle situazioni considerate più pericolose. In tali casi, infatti, le Divisioni. Anticrimine delle Questure e i Centri per il recupero dei maltrattanti possono condurre un monitoraggio congiunto sulla persona interessata per poi mettere le forze dell'ordine nelle condizioni di adottare le iniziative necessarie per prevenire la commissione di gravi reati, come la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza oppure l'attivazione di servizi di vigilanza specifici per le donne in pericolo;

    considerato, infine, che, con riferimento alla violenza di genere, il provvedimento in esame, all'articolo 5-bis, comma 2-ter, prevede che per i reati di violenza sessuale, atti persecutori e revenge porn commessi prima dell'entrata in vigore della riforma Cartabia si continui a procedere d'ufficio quando il fatto è connesso con un delitto divenuto perseguibile a querela della persona offesa,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di rendere operativo in tutte le Questure d'Italia il protocollo Zeus e nello stesso tempo mettere le forze dell'ordine nelle condizioni di adottare le iniziative necessarie per prevenire la commissione di gravi reati, come la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza oppure l'attivazione di servizi di vigilanza specifici per le donne in pericolo;

   a porre in essere anche provvedimenti legislativi idonei a debellare un reato così infame come il cosiddetto femminicidio.
9/705/134. Zanella, Bonelli, Borrelli, Dori, Evi, Fratoianni, Grimaldi, Ghirra, Mari, Piccolotti, Zaratti.


   La Camera,

   premesso che:

    il disegno di legge in esame reca numerose norme che fanno riferimento alla introduzione di divieti di concessione di benefici penitenziari, di benefici condizionali e di norme inerenti la giustizia riparativa;

    vi sono poi, in particolare, norme in materia di udienza predibattimentale e di mutamento del giudice in corso di dibattimento;

    il testo in esame disciplina altresì le diverse modalità di deposito degli atti processuali, operando una distinzione tra quelli che possono ancora avvenire in forma analogica, presso la cancelleria del giudice, ad opera delle sole parti, e quelli che debbono avvenire obbligatoriamente in modalità telematica, con particolare riferimento al deposito dell'atto di impugnazione per le parti che si trovino all'estero;

    in questo senso e in relazione alle fattispecie procedurali di cui sopra, emerge la necessità di integrare la disciplina contenuta nell'articolo 129, comma 2, del codice di procedura penale, laddove quest'ultimo fa riferimento all'ipotesi in cui ricorre una causa di estinzione del reato e dagli atti risulta altresì evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato;

    il giudice, infatti, in tale ipotesi viene chiamato a pronunciare sentenza di assoluzione ai sensi dell'articolo 530 del codice procedura penale, dunque una sentenza di merito che prevale sulla sentenza di rito per intervenuta estinzione del reato a causa del decorso del tempo;

    la fattispecie appena delineata risulta essere residuale ed eccezionale, in quanto limitata ai casi in cui risulti sufficiente la mera constatazione di circostanze – emergenti ictu oculi dagli atti – idonee ad escludere 1'esistenza del fatto, la sua commissione da parte dell'imputato ovvero la sua rilevanza penale; appare dunque necessario modificare l'impianto normativo delineato dal predetto articolo 129, comma 2, del codice di procedura penale rispetto alle previsioni dettate dalla legge 27 settembre 2021, n. 134,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di adottare le iniziative legislative necessarie a modificare l'articolo 129, comma 2, del codice di procedura penale, al fine di consentire al giudice, in presenza della causa di improcedibilità dell'azione, di pronunciarsi per l'assoluzione ai sensi dell'articolo 530 laddove risulti evidente che ne sussistano le condizioni.
9/705/135. Bonifazi.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame reca una serie di norme legislative volte anche a riformare le regole processuali del giudizio;

    il nostro sistema delle fonti riconosce rilevanza, anche costituzionale, al doppio grado di giurisdizione di merito, anche in ossequio all'articolo 14, paragrafo 5, della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni unite, trattato cui l'Italia ha dato esecuzione con la legge 25 ottobre 1977, n. 881, e che quindi trova, in forza dell'articolo 117, comma 1, della Costituzione, specifica copertura costituzionale;

    il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, che attua la riforma Cartabia, prevede nuove limitazioni all'accesso all'appello con l'introduzione di adempimenti formali e sostanziali per la proposizione e il deposito dell'atto di impugnazione, in continuità con le modifiche già introdotte precedentemente dalla riforma Orlando;

    l'introduzione di ostacoli processuali alla proponibilità dell'appello, seppure finalizzati alla riduzione dei tempi dei giudizi, finiscono con l'inficiare un diritto costituzionalmente garantito all'imputato,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di intervenire sulla disciplina delle impugnazioni per renderla compatibile con il diritto di difesa costituzionalmente garantito, rimuovendo le limitazioni formali e sostanziali all'appello introdotte con le riforme degli ultimi anni.
9/705/136. D'Alessio.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in esame reca alcune disposizioni concernenti l'entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, ossia la cosiddetta «riforma Cartabia», recante la delega al Governo per l'efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari;

    tale riforma rappresentava uno degli imprescindibili tasselli per la compiuta attuazione degli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che ha individuato nella lentezza nella realizzazione di alcune riforme strutturali un limite al potenziale di crescita dell'Italia, richiedendo una profonda revisione del nostro sistema giudiziario;

    quest'ultima, incentrata sull'obiettivo della riduzione del tempo del giudizio, è inserita dal Piano nazionale di ripresa e resilienza tra le cosiddette riforme orizzontali, o di contesto, che consistono in innovazioni strutturali dell'ordinamento, tali da interessare, in modo trasversale, tutti i settori di intervento del Piano;

    per realizzare questa finalità, il Piano prevede – oltre a riforme ordinamentali, da realizzare ricorrendo allo strumento della delega legislativa – anche il potenziamento delle risorse umane e delle dotazioni strumentali e tecnologiche dell'intero sistema giudiziario, al quale sono destinati specifici investimenti;

    gli articoli da 5-bis a 5-terdecies, inseriti nel corso dell'esame da parte del Senato, sarebbero volti ad ovviare ad alcuni dubbi interpretativi di diritto intertemporale sorti con riguardo al decreto legislativo n. 150 del 2022, di riforma della giustizia penale (la cosiddetta riforma Cartabia), la cui entrata in vigore è stata rinviata al 30 dicembre 2022 proprio dall'articolo 6 del decreto-legge in conversione, sulla base di (asserite) difficoltà applicative che gli uffici giudiziari avrebbero potuto riscontrare nell'attuazione delle disposizioni immediatamente applicative del provvedimento;

    secondo il principio del tempus regit actum le disposizioni processuali si applicano a tutti i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore;

    il 7 novembre l'ufficio del massimario e del ruolo della Corte di Cassazione, in un documento titolato «Disciplina transitoria e prime questioni di diritto intertemporale del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150», ha «inventato» una norma transitoria per le «sanzioni» contro la stasi nelle indagini, prevedendo che esse non si applicano ai procedimenti in corso, in contraddizione con il principio del «tempus regit actum»,

impegna il Governo

ad intervenire nel primo provvedimento normativo utile, prevedendo che le disposizioni processuali contenute nel decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 si applichino a tutti i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo.
9/705/137. Faraone.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 6 del decreto-legge in esame rinvia dal 1° novembre 2022 al 30 dicembre 2022 l'entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di attuazione della delega per la riforma del processo penale;

    la legge n. 134 del 2021 ha delegato il Governo a una profonda riforma del processo penale, ma senza intervenire direttamente sulla custodia cautelare;

    l'articolo 5-bis, introdotto nel corso dell'esame da parte del Senato, riscrive il comma 2 dell'articolo 85 del decreto legislativo n. 150 (comma 1, lettera a)) in materia di misure cautelari personali, prevedendo che esse, ove in corso di esecuzione, perdono efficacia se, entro venti giorni dall'entrata in vigore della nuova disciplina (e quindi dal 1° gennaio 2023), l'autorità giudiziaria che procede non acquisisce la querela;

    secondo i dati dell'ultima Relazione al Parlamento su misure cautelari personali e riparazione per ingiusta detenzione, nel 2021 sono state emesse 24.000 misure di custodia cautelare in carcere; una misura cautelare coercitiva su tre emesse è quella carceraria (29,7 per cento);

    le misure cautelari custodiali (carcere – arresti domiciliari – luogo cura) costituiscono il 55 per cento circa di tutte le misure emesse; tale percentuale era stata del 64 per cento nel 2018 e del 67 per cento nel 2017; la somma di arresti domiciliari e custodia cautelare in carcere o nei luoghi di cura si è assestata negli ultimi anni attorno ai 50 mila casi annui;

    sempre in base all'ultima relazione, 1 misura su 10 è stata emessa in un procedimento che ha avuto poi come esito l'assoluzione o il proscioglimento; tale percentuale era stata quasi doppia l'anno precedente;

    nel 2021 l'Italia ha speso oltre 25 milioni per le ingiuste detenzioni;

    l'esigenza cautelare del pericolo di reiterazione di cui all'articolo 274, comma 1, lettera c) del codice di procedura penale, prevede una prognosi complessa sulla quale il legislatore è intervenuto nel 2015: tuttavia la giurisprudenza si è spesso orientata su interpretazioni estensive che hanno giustificato l'applicazione delle misure anche a molta distanza di tempo dai fatti e su pericoli del tutto privi di concretezza; per non parlare di acrobatiche prognosi di recidiva per soggetti incensurati;

    alla luce dei dati illustrati, sarebbe quanto mai opportuno assicurare al soggetto destinatario della misura cautelare la possibilità di difendersi, in modo che l'interrogatorio possa svolgersi, per quanto possibile, prima che si varchi la soglia del carcere, con la possibilità di chiarire preventivamente il quadro ed evitare il carcere,

impegna il Governo

a modificare la disciplina vigente prevedendo che, salvo che per i gravi reati di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e salvo che ricorrano i presupposti di cui all'articolo 274, comma 1, lettera b), dello stesso codice, l'esecuzione degli arresti domiciliari e della custodia in carcere sia preceduta da un'udienza in camera di consiglio davanti al giudice che procede in composizione collegiale, nella quale si proceda all'interrogatorio dell'indagato ovvero dell'imputato e si instauri un contraddittorio sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, anche attraverso la valutazione di misure meno invasive di soddisfacimento delle stesse.
9/705/138. Marattin.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 6 del decreto-legge in esame rinvia dal 1° novembre 2022 al 30 dicembre 2022 l'entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di attuazione della delega per la riforma del processo penale;

    la legge n. 134 del 2021 ha delegato il Governo a una profonda riforma del processo penale, ma senza intervenire direttamente sulla custodia cautelare;

    l'articolo 5-bis, introdotto nel corso dell'esame da parte del Senato, riscrive il comma 2 dell'articolo 85 del decreto legislativo n. 150 (comma 1, lettera a)) in materia di misure cautelari personali, prevedendo che esse, ove in corso di esecuzione, perdono efficacia se, entro venti giorni dall'entrata in vigore della nuova disciplina (e quindi dal 1° gennaio 2023), l'autorità giudiziaria che procede non acquisisce la querela;

    secondo i dati dell'ultima Relazione al Parlamento su misure cautelari personali e riparazione per ingiusta detenzione, nel 2021 sono state emesse 24.000 misure di custodia cautelare in carcere; una misura cautelare coercitiva su tre emesse è quella carceraria (29,7 per cento);

    le misure cautelari custodiali (carcere – arresti domiciliari – luogo cura) costituiscono il 55 per cento circa di tutte le misure emesse; tale percentuale era stata del 64 per cento nel 2018 e del 67 per cento nel 2017; la somma di arresti domiciliari e custodia cautelare in carcere o nei luoghi di cura si è assestata negli ultimi anni attorno ai 50 mila casi annui;

    sempre in base all'ultima relazione, 1 misura su 10 è stata emessa in un procedimento che ha avuto poi come esito l'assoluzione o il proscioglimento; tale percentuale era stata quasi doppia l'anno precedente;

    nel 2021 l'Italia ha speso oltre 25 milioni per le ingiuste detenzioni;

    l'esigenza cautelare del pericolo di reiterazione di cui all'articolo 274, comma 1, lettera c) del codice di procedura penale, prevede una prognosi complessa sulla quale il legislatore è intervenuto nel 2015: tuttavia la giurisprudenza si è spesso orientata su interpretazioni estensive che hanno giustificato l'applicazione delle misure anche a molta distanza di tempo dai fatti e su pericoli del tutto privi di concretezza; per non parlare di acrobatiche prognosi di recidiva per soggetti incensurati;

    sarebbe invece ragionevole prevedere l'utilizzo dello strumento cautelare per le sole fattispecie nelle quali esso sia strettamente necessario, evitando che la privazione della libertà personale – misura che incide direttamente sui diritti costituzionalmente garantiti e, pertanto, da utilizzarsi solo come extrema ratio – venga disposta nei confronti di quei soggetti che risultino incensurati, perlopiù sul presupposto del pericolo che commettano reati della stessa specie,

impegna il Governo

a modificare la disciplina in materia di custodia cautelare, limitando la possibilità di disporla nei confronti dei soli delinquenti abituali, professionali ovvero per tendenza, salvo che per i reati di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale, qualora l'esigenza cautelare riguardi esclusivamente il pericolo di commissione di delitti della stessa specie di quello per il quale si procede, affinché vengano scongiurate applicazioni giurisprudenziali estensive e situazioni di abuso della privazione della libertà che determinano casi continui di ingiusta detenzione.
9/705/139. Sottanelli.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in esame, all'articolo 7, reca alcune modifiche estremamente rilevanti al decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76;

    quest'ultimo aveva introdotto l'obbligo della vaccinazione contro il COVID-19 per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgano la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, sia pubbliche che private, nonché nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali;

    l'obbligo era altresì allargato ai lavoratori, anche esterni, operanti in tali strutture oltre che agli studenti dei corsi di laurea impegnati nello svolgimento di tirocini pratico-valutativi intesi al conseguimento dell'abilitazione all'esercizio delle professioni sanitarie;

    la misura introdotta nell'aprile del 2021, prorogata poi in ultimo fino al 31 dicembre 2022, trovava proprio fondamento nel fatto che la vaccinazione costituisce requisito essenziale per lo svolgimento delle prestazioni lavorative di coloro i quali si trovano a stretto contatto con pazienti ospedalieri e residenti delle strutture sanitarie assistite per evitare, quanto più possibile, le possibilità di contagio, ovvero di sintomaticità grave, tra operatori sanitari e i pazienti stessi, nonché con tutti gli altri contatti indiretti che avvengono al di fuori delle strutture;

    in caso di mancato adempimento, era determinata la sospensione dall'esercizio della professione, il divieto di svolgimento dell'attività lavorativa o dei tirocini pratico-valutativi, oltre all'irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria di 100 euro;

    si rammenta altresì che in caso di accertato pericolo per la salute in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, la vaccinazione poteva essere omessa o differita;

    va peraltro specificato che la stessa Corte costituzionale ha affermato per mezzo comunicato stampa, in attesa del deposito di una sentenza in merito, la legittimità delle norme transitorie sull'obbligo vaccinale e sull'esclusione, in caso di inadempimento e per la durata della sospensione del rapporto di lavoro, della corresponsione degli emolumenti a carico del datore di lavoro;

    la Corte, quindi, ha ritenuto inammissibile per ragioni processuali la questione relativa alla impossibilità, per gli esercenti le professioni sanitarie che non abbiano adempiuto all'obbligo vaccinale, di svolgere l'attività lavorativa;

    nonostante le palesi motivazioni di tutela della salute pubblica alla base di queste misure di natura transitoria, e con la stagione invernale ormai imminente, con il provvedimento in esame si è deciso di anticiparne il decadimento dal 31 dicembre 2022 al 1° novembre 2022, di fatto reintegrando, con stipendio e con due mesi di anticipo, tutti coloro i quali si erano opposti, per meri motivi ideologici e non per accertate condizioni di salute, alla vaccinazione anti-Covid,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle norme menzionate in premessa, al fine di adottare le conseguenti iniziative legislative volte a ripristinare l'obbligo della vaccinazione contro il COVID-19 per le categorie di cui in premessa.
9/705/140. Boschi.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in esame, all'articolo 7, reca alcune modifiche estremamente rilevanti al decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76;

    quest'ultimo aveva introdotto l'obbligo della vaccinazione contro il COVID-19 per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgano la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, sia pubbliche che private, nonché nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali;

    l'obbligo era altresì, allargato ai lavoratori, anche esterni, operanti in tali strutture oltre che agli studenti dei corsi di laurea impegnati nello svolgimento di tirocini pratico-valutativi intesi al conseguimento dell'abilitazione all'esercizio delle professioni sanitarie;

    la misura introdotta nell'aprile del 2021, prorogata poi in ultimo fino al 31 dicembre 2022, trovava proprio fondamento nel fatto che la vaccinazione costituisce requisito essenziale per lo svolgimento delle prestazioni lavorative di coloro i quali si trovano a stretto contatto con pazienti ospedalieri, residenti delle strutture sanitarie assistite per evitare, quanto più possibile, le possibilità di contagio, ovvero di sintomaticità grave, tra operatori sanitari e i pazienti stessi, nonché con tutti gli altri contatti indiretti che avvengono al di fuori delle strutture;

    in caso di mancato adempimento, era determinata la sospensione dall'esercizio della professione, il divieto di svolgimento dell'attività lavorativa o dei tirocini pratico-valutativi, oltre all'irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria di 100 euro;

    si rammenta, altresì, che in caso di accertato pericolo per la salute in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, la vaccinazione poteva essere omessa o differita;

    va peraltro specificato che la stessa Corte costituzionale ha affermato per mezzo comunicato stampa, in attesa del deposito di una sentenza in merito, la legittimità delle norme transitorie sull'obbligo vaccinale e sull'esclusione, in caso di inadempimento e per la durata della sospensione del rapporto di lavoro, della corresponsione degli emolumenti a carico del datore di lavoro;

    la Corte, quindi, ha ritenuto inammissibile per ragioni processuali la questione relativa alla impossibilità, per gli esercenti le professioni sanitarie che non abbiano adempiuto all'obbligo vaccinale, di svolgere l'attività lavorativa quando non implichi contatti interpersonali;

    nonostante le palesi motivazioni di tutela della salute pubblica alla base di queste misure di natura transitoria, con il provvedimento in esame si è deciso di prevedere la sospensione fino al 30 giugno 2023 delle sanzioni previste,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle norme menzionate in premessa, al fine di adottare le conseguenti iniziative legislative volte a ripristinare l'applicazione delle sanzioni amministrative previste dall'articolo 4-sexies del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76 per i casi di inosservanza dell'obbligo vaccinale da parte degli esercenti le professioni sanitarie.
9/705/141. Bonetti.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in esame contiene modifiche alla normativa del cosiddetto «ergastolo ostativo» che avrebbe dovuto rispettare il pronunciamento della Corte costituzionale che con l'ordinanza n. 97 del 2021 ha demandato al legislatore la definizione di un nuovo equilibrio in materia;

    detta ordinanza aveva invitato a contemperare le esigenze di prevenzione con quelle di rieducazione previste dall'articolo 27, comma 3, della Costituzione a partire dal fatto che il quadro normativo fondato sulla collaborazione quale unica via per ottenere i benefici non risulterebbe compatibile con detto principio;

    la Corte ha poi rinviato la discussione della questione di legittimità, sollecitando il legislatore a provvedere; a seguito della pubblicazione del decreto in conversione l'8 novembre scorso, ha restituito gli atti alla Corte di cassazione, giudice a quo del giudizio di legittimità costituzionale, affinché possa verificare gli effetti della nuova disciplina sulla rilevanza della questione;

    anche la sentenza Viola contro Italia n. 77633-16 della Corte europea dei diritti umani ha affermato che l'ergastolo ostativo viola il divieto di trattamenti degradanti e inumani e in generale e si pone in contrasto con rispetto della dignità umana, anche perché il difetto di collaborazione potrebbe non derivare da una scelta libera e la collaborazione non dimostra di per sé l'assenza di collegamenti con l'ambiente criminale;

    in tale sentenza, la Corte rileva che «la presunzione assoluta di pericolosità insita nella mancanza di collaborazione è dunque d'ostacolo alla possibilità di riscatto del condannato che, qualunque cosa faccia durante la detenzione carceraria, si trova assoggettato a una pena immutabile e non passibile di controlli, privato di un giudice che possa valutare il suo percorso di risocializzazione»;

    il ricorso alla decretazione d'urgenza non ha permesso una verifica attenta delle nuove norme introdotte, con il rischio di non aver totalmente ottemperato alle raccomandazioni della Consulta e della CEDU,

impegna il Governo

a istituire un gruppo di lavoro presso il Ministero della giustizia affinché proceda a una verifica puntuale del provvedimento e a un monitoraggio costante dei suoi effetti e relazioni entro sei mesi alle Camere al fine di valutare eventuali correttivi che mettano al riparo da futuri pronunciamenti di incostituzionalità ovvero ulteriori condanne da parte della CEDU.
9/705/142. Giachetti.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in esame reca alcune disposizioni concernenti l'entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, ossia la cosiddetto «riforma Cartabia», recante la delega al Governo per l'efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari;

    tale riforma rappresentava uno degli imprescindibili tasselli per la compiuta attuazione degli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che ha individuato nella lentezza nella realizzazione di alcune riforme strutturali un limite al potenziale di crescita dell'Italia, richiedendo una profonda revisione del nostro sistema giudiziario;

    quest'ultima, incentrata sull'obiettivo della riduzione del tempo del giudizio, è inserita dal Piano nazionale di ripresa e resilienza tra le cosiddette riforme orizzontali, o di contesto, che consistono in innovazioni strutturali dell'ordinamento, tali da interessare, in modo trasversale, tutti i settori di intervento del Piano;

    per realizzare questa finalità, il Piano prevede – oltre a riforme ordinamentali, da realizzare ricorrendo allo strumento della delega legislativa – anche il potenziamento delle risorse umane e delle dotazioni strumentali e tecnologiche dell'intero sistema giudiziario, al quale sono destinati specifici investimenti;

    in questo contesto si inseriva la riforma Cartabia, sulla quale il provvedimento in esame ha scelto di intervenire. Nel testo presentato al Senato, l'articolo 6 prevedeva – in modo piuttosto incauto – di rinviare sic et sempliciter l'entrata in vigore del provvedimento al 30 dicembre 2022, sulla base di (asserite) difficoltà applicative che gli uffici giudiziari avrebbero potuto riscontrare nell'attuazione delle disposizioni immediatamente applicative del provvedimento;

    nel corso dell'esame a Palazzo Madama sono state, inoltre, introdotte alcune disposizioni di modifica puntuale al decreto legislativo n. 150 del 2022. Tra queste, l'articolo 5-quinquies reca una disciplina transitoria in materia di semplificazione delle attività di deposito di atti, documenti e istanze;

    nello specifico, il comma 7, alla lettera c), prevede che l'impugnazione sia inammissibile nelle ipotesi in cui l'atto sia trasmesso ad un indirizzo PEC non riferibile all'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato o – nel caso di richiesta di riesame o di appello contro provvedimenti resi in materia di misure cautelari, personali o reali – ad un indirizzo PEC non riferibile all'ufficio competente a decidere il riesame o l'appello;

    una simile disciplina grava il difensore di un significativo onere istruttorio, facendo dipendere una conseguenza procedimentale così importante, quale è l'inammissibilità di un atto di impugnazione, dalla trasmissione dello stesso ad uno specifico indirizzo PEC;

    la norma, in particolare, non tiene in considerazione, da un lato, la complessità dell'organizzazione degli uffici giudiziari, che spesso si traduce in un dedalo di uffici ed indirizzi di posta elettronica; dall'altro, che l'invio di un atto ad un indirizzo PEC sbagliato potrebbe configurare un mero caso di errore materiale, dal quale sarebbe ingiustificabile far discendere, come detto, una conseguenza così grave come l'inammissibilità,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle norme menzionate in premessa, al fine di adottare le conseguenti iniziative legislative volte ad eliminare la previsione di inammissibilità dell'atto di impugnazione nel caso di invio ad un indirizzo PEC errato.
9/705/143. Gruppioni.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in esame reca alcune disposizioni concernenti l'entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, ossia la cosiddetta «riforma Cartabia», recante la delega al Governo per l'efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari;

    tra gli interventi sulla riforma Cartabia, l'articolo 5-septies — introdotto nel corso dell'esame da parte del Senato – ha precisato che le modifiche apportate dal decreto legislativo n. 150 del 2022 con riguardo all'inappellabilità delle sentenze di non luogo a procedere relative a reati puniti con pena pecuniaria o con pena alternativa si applicano alle sole sentenze di non luogo a procedere emesse successivamente al 30 dicembre 2022;

    a ben vedere, la maggioranza ha perso un'importante occasione per intervenire, in maniera organica e sistematica, sul tema dell'inappellabilità delle sentenze, con specifico riferimento a quelle di assoluzione;

    infatti, il Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, reso esecutivo dalla legge 9 aprile 1990, n. 98, all'articolo 2 statuisce il diritto al doppio grado di giurisdizione in materia penale per chiunque venga dichiarato colpevole di una infrazione penale da un tribunale;

    dall'esigenza di dare attuazione a questa disposizione muoveva la legge n. 46 del 2006 (cosiddetta «legge Pecorella») che, all'articolo 1, escludeva la facoltà per il pubblico ministero di appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi in cui fosse emersa una nuova prova decisiva;

    tale disposizione è stata dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 26 del 6 febbraio 2007. La pronuncia della Consulta, ampiamente commentata in dottrina, è stata definita da alcuni studiosi come insoddisfacente, poiché non avrebbe accordato il giusto peso ai princìpi costituzionali del diritto di difesa e della presunzione di innocenza;

    da quel momento in avanti, l'unico intervento in materia è stata la modifica, con legge 23 giugno 2017 n. 103, dell'articolo 603 Codice di procedura penale con l'aggiunta del comma 3-bis, il quale prevede che «nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale»;

    la nuova normativa, pur muovendo nella giusta direzione, è insufficiente. Come rilevato dal Ministro della giustizia Carlo Nordio in occasione delle sue comunicazioni presso la Commissione Giustizia del Senato, la vigente disciplina produce un paradosso, nella misura in cui una sentenza può essere riformata in peius con un procedimento puramente cartaceo di brevissima durata che può modificare e spedire all'ergastolo una persona che era stata assolta;

    sempre durante le proprie comunicazioni al Senato, il Ministro Nordio ha anche affermato che occorrerebbe – tenuto conto della pronuncia della Corte costituzionale – tornare alla cosiddetta «legge Pecorella», riformando completamente la disciplina in materia,

impegna il Governo

ad adottare tempestivamente e comunque nel minor tempo possibile una nuova disciplina delle impugnazioni delle sentenze di assoluzione prevedendo l'inappellabilità delle sentenze di proscioglimento da parte del pubblico ministero.
9/705/144. Pastorella.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge 162 del 2022, come modificato in sede di conversione al Senato, ha introdotto dagli articoli 5-bis a 5-quaterdecies una serie di modifiche al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 in materia di processo penale; in particolare l'articolo 5 introduce nel codice penale, all'articolo 633-bis, il nuovo delitto di «Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», il cui impianto sanzionatorio, che prevede la reclusione da tre a sei anni e la multa da 1.000 a 10.000 euro, permetterà ingiustificatamente il ricorso alle intercettazioni;

    tale eventualità ha suscitato un acceso dibattito tra le forze politiche, anche della maggioranza, già nella fase immediatamente successiva all'approvazione del decreto-legge da parte del Consiglio dei ministri;

    il Ministro Carlo Nordio ha inoltre annunciato una «profonda revisione» della disciplina delle intercettazioni durante la sua audizione in Commissione Giustizia del Senato, con l'intenzione di orientare complessivamente la disciplina della materia a princìpi di tutela dei diritti degli indagati e degli imputati e dell'efficienza dell'attività giudiziaria;

    il rischio da evitare è che l'accesa discussione sugli interventi necessari per conseguire i suddetti obiettivi comporti, come spesso è accaduto in passato, non l'accelerazione ma la paralisi delle riforme legislative necessarie,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di predisporre e presentare alle Camere una proposta di riforma in tema di intercettazioni.
9/705/145. Grippo.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in esame modifica la disciplina previgente in tema di accesso ai benefici penitenziari da parte di detenuti condannati per reati cosiddetti ostativi, di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354;

    pochi giorni dopo l'entrata in vigore del suddetto decreto sarebbe scaduto il termine concesso dalla Corte costituzionale al legislatore per adeguare la disciplina vigente ai princìpi costituzionali, in coerenza con le indicazioni fornite dalla stessa Consulta, da ultimo nell'ordinanza 97 del 2021;

    il tema che si pone non è se tanto il decreto-legge risponda come detto all'invito della Corte costituzionale ad intervenire in materia ma se esso vada nella direzione indicata dai giudici costituzionali e, prima ancora, dall'articolo 27 della Costituzione secondo cui «le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato»;

    nonostante il dettato e i princìpi che ispirano la nostra Costituzione, le condizioni in cui versano i detenuti – ergastolani e non – è drammatica, come dimostrano anche le 186 morti in carcere registrate nel 2022; il tasso di sovraffollamento è in costante crescita dopo la frenata dovuta alla pandemia, con oltre 5000 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare;

    in tale contesto sarebbe quanto mai opportuno valutare l'introduzione, in via temporanea e per un periodo di due anni, dell'istituto della liberazione anticipata pari a settantacinque giorni ogni semestre di pena, non applicabile ai condannati ammessi all'affidamento in prova, alla detenzione domiciliare o a quelli che siano stati ammessi all'esecuzione della pena presso il proprio domicilio, ovvero per quanto riguarda i condannati che, a decorrere dai 31 dicembre 2015, abbiano già usufruito della liberazione anticipata, del riconoscimento per ogni singolo semestre della maggiore detrazione di trenta giorni, sempre che nel corso dell'esecuzione successivamente alla concessione del beneficio abbiano continuato a dare prova di partecipazione all'opera di rieducazione,

impegna il Governo

ad adottare le opportune iniziative normative volte a dare seguito a quanto esposto, in particolare nell'ultimo capoverso delle premesse.
9/705/146. Del Barba.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in esame reca alcune disposizioni concernenti l'entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, ossia la cosiddetta «riforma Cartabia», recante la delega al Governo per l'efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari;

    tale riforma rappresentava uno degli imprescindibili tasselli per la compiuta attuazione degli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che ha individuato nella lentezza nella realizzazione di alcune riforme strutturali un limite al potenziale di crescita dell'Italia, richiedendo una profonda revisione del nostro sistema giudiziario;

    quest'ultima, incentrata sull'obiettivo della riduzione del tempo del giudizio, è inserita dal Piano nazionale di ripresa e resilienza tra le cosiddette riforme orizzontali, o di contesto, che consistono in innovazioni strutturali dell'ordinamento, tali da interessare, in modo trasversale, tutti i settori di intervento del Piano;

    per realizzare questa finalità, il Piano prevede – oltre a riforme ordinamentali, da realizzare ricorrendo allo strumento della delega legislativa – anche il potenziamento delle risorse umane e delle dotazioni strumentali e tecnologiche dell'intero sistema giudiziario, al quale sono destinati specifici investimenti;

    in questo contesto si inseriva la riforma Cartabia, sulla quale il provvedimento in esame ha scelto di intervenire. Nel testo presentato al Senato, l'articolo 6 prevedeva – in modo piuttosto incauto – di rinviare sic et sempliciter l'entrata in vigore del provvedimento al 30 dicembre 2022, sulla base di difficoltà organizzative che gli uffici giudiziari avrebbero potuto riscontrare nell'attuazione delle disposizioni immediatamente applicative del provvedimento;

    l'articolo 5-bis, introdotto al Senato, apporta alcune modifiche alla disciplina transitoria prevista dall'articolo 85 della riforma Cartabia, in materia di procedibilità di alcuni reati. Nello specifico, la lettera a) della disposizione in parola interviene sull'annosa questione delle misure cautelari personali, prevedendo che esse, ove in corso di esecuzione, perdono efficacia se, entro venti giorni dall'entrata in vigore della nuova disciplina (e quindi dal 1° gennaio 2023), l'autorità giudiziaria che procede non acquisisce la querela;

    così come configurata, produce un paradosso: un presunto innocente rimane in carcere per la commissione di un reato punibile a querela, quando quest'ultima manca, e rimane in carcere non certo per un periodo breve e ragionevole, ma addirittura per 20 giorni;

    la sospensione dei termini massimi di custodia cautelare aggrava poi la situazione. Non solo si prevede la permanenza in carcere per 20 giorni, pur in assenza di condizione di procedibilità, ma si prescinde addirittura dal fatto che siano o meno spirati i termini massimi che l'ordinamento prevede per la custodia cautelare;

    l'intervento in parola avrebbe potuto costituire l'occasione per mettere mano, finalmente in maniere strutturale, sulla disciplina delle misure cautelari personali;

    il termine di venti giorni fissato dalla disposizione in parola è non tiene in considerazione la necessità di ridurre al minimo l'uso – e la prosecuzione – di misure privative della libertà personale, coerentemente con il principio costituzionale di presunzione di innocenza,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle norme richiamate in premessa, al fine di intervenire nel primo provvedimento normativo utile, riducendo a 48 ore il termine entro il quale le misure cautelari perdono efficacia se l'autorità giudiziaria che procede non acquisisce la querela.
9/705/147. Rosato.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 1 del decreto-legge 162 del 2022 modifica la disciplina previgente in tema di accesso ai benefici penitenziari da parte di detenuti condannati per reati cosiddetti ostativi, di cui all'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354;

    pochi giorni dopo l'entrata in vigore del suddetto decreto sarebbe scaduto il termine concesso dalla Corte costituzionale al legislatore per adeguare la disciplina vigente ai principi costituzionali, in coerenza con le indicazioni fornite dalla stessa Consulta, da ultimo nell'ordinanza 97 del 2021;

    esistono seri dubbi che la nuova disciplina, disposta con il decreto 162 del 2022, possa resistere alle censure avanzate dalla Corte costituzionale sulla disciplina precedente, visto che sembra semplicemente sostituire alla presunzione assoluta di pericolosità un regime che giunge agli stessi esiti, rovesciando sui condannati per i reati cosiddetti ostativi una serie di prescrizioni di impossibile adempimento e intrappolandoli in una sorte di probatio diabolica;

    la magistratura di sorveglianza, chiamata a interpretare le norme in oggetto, dimostrerà se la nuova disciplina, relativamente all'accesso ai benefìci dei detenuti non collaboranti, a norma dell'articolo 58-ter della legge 354 del 1975 o a norma dell'articolo 323-bis, secondo comma, del codice penale comporterà esiti analoghi o significativamente difformi da quelli connessi alla disciplina precedente,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di presentare al Parlamento, entro 18 mesi dall'entrata in vigore della legge in oggetto, una relazione sugli esiti dei procedimenti avviati in base alla nuova disciplina dell'ostatività e alle eventuali questioni di costituzionalità su di essa sollevate, nonché a valutare, in base ai risultati, una nuova e ulteriore modifica del regime ostativo, coerente con il principio costituzionale della funzione rieducativa della pena.
9/705/148. Benzoni.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in esame reca alcune disposizioni concernenti l'entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, attuativo della legge delega n. 134 del 2021 ossia la cosiddetta «riforma Cartabia», recante la delega al Governo per l'efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari;

    gli articoli da 5-bis a 5-terdecies, inseriti nel corso dell'esame da parte dei Senato, sarebbero volti ad ovviare ad alcuni dubbi interpretativi di diritto intertemporale sorti con riguardo al decreto legislativo n. 150 del 2022, di riforma della giustizia penale (la cosiddetta riforma Cartabia), la cui entrata in vigore è stata rinviata al 30 dicembre 2022 proprio dall'articolo 6 del decreto-legge in conversione, sulla base di difficoltà organizzative che gli uffici giudiziari avrebbero potuto riscontrare nell'attuazione delle disposizioni immediatamente applicative del provvedimento;

    tra gli interventi contenuti nella predetta riforma Cartabia, figurano le disposizioni in materia di prescrizione, intese a rimediare alle criticità della legge 9 gennaio 2019, n. 3 – la cosiddetta «Spazzacorrotti» – la quale aveva modificato l'articolo 159 del Codice penale, prevedendo che il decorso della prescrizione subisca una sospensione dopo la pronuncia della sentenza di primo grado;

    la riforma Cartabia, tuttavia, non ha modificato il principio di sospensione della prescrizione sostanziale dopo la sentenza di primo grado fissato dalla riforma Bonafede, configurando piuttosto un'ipotesi di improcedibilità in appello;

    infatti, pur dovendosi apprezzare la scelta di ovviare alle macroscopiche criticità derivanti dalla cosiddetta «Spazzacorrotti», non può non rilevarsi la necessità di ripristinare definitivamente la disciplina sulla prescrizione in un quadro di coerenza sistematica;

    l'allungamento dei tempi processuali non solo collide con gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza che, al contrario, ne impongono una significativa riduzione, ma si pone altresì in aperto contrasto con i princìpi costituzionali di presunzione d'innocenza, funzione rieducativa della pena e ragionevole durata del processo,

impegna il Governo

a predisporre, con una rivisitazione organica, il ripristino della disciplina della prescrizione sostanziale in tutti i gradi di giudizio, rimuovendo le criticità attuali derivanti dalla legge 3 del 2019.
9/705/149. Enrico Costa, Richetti, Benzoni, Bonetti, Bonifazi, Boschi, Carfagna, Castiglione, D'Alessio, De Monte, Del Barba, Faraone, Gadda, Giachetti, Grippo, Gruppioni, Marattin, Pastorella, Rosato, Ruffino, Sottanelli, Bicchielli, Pittalis.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 6 del decreto-legge in esame rinvia dal 1° novembre 2022 al 30 dicembre 2022 l'entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di attuazione della delega per la riforma del processo penale;

    la legge n. 134 del 2021 ha delegato il Governo a una profonda riforma del processo penale, ma senza intervenire direttamente sulla custodia cautelare;

    l'articolo 5-bis, introdotto nel corso dell'esame da parte del Senato, riscrive il comma 2 dell'articolo 85 del decreto legislativo n. 150 (comma 1, lettera a)) in materia di misure cautelari personali, prevedendo che esse, ove in corso di esecuzione, perdono efficacia se, entro venti giorni dall'entrata in vigore della nuova disciplina

    (e quindi dal 1° gennaio 2023), l'autorità giudiziaria che procede non acquisisce la querela;

    tale disposizione si inserisce in un contesto già problematico: troppo spesso infatti la custodia cautelare viene disposta con leggerezza e con finalità diverse rispetto a quelle previste dal legislatore, utilizzata come una forma mascherata di anticipazione della pena, che non si sa se e quando verrà comminata, sia perché i processi sono lunghi sia perché alla fine, spesso, si concludono un verdetto di assoluzione; la restrizione della libertà personale viene così fatta discendere da un atto concepito come meramente burocratico;

    la vera sentenza diventa la stessa indagine e i titoli di giornali che descrivono l'impostazione accusatoria, in contrasto con la presunzione di non colpevolezza prevista dalla Costituzione. In tale contesto assume un ruolo fondamentale la pubblicazione dell'ordinanza di custodia cautelare, che genera un cortocircuito mediatico-giudiziario difficile da cancellare anche in caso di assoluzione;

    la normativa prevista prima del decreto legislativo 29 dicembre 2017, n. 216 garantiva al contrario il giusto equilibrio tra diritto all'informazione e principio di presunzione di innocenza, non consentendo la pubblicazione del contenuto del provvedimento sino alla conclusione delle indagini preliminari «ovvero fino al termine dell'udienza preliminare»;

    l'ordinanza, infatti, è un atto che deve ancora essere vagliato dal Tribunale del riesame e dalla Suprema Corte di Cassazione. Consentire la pubblicazione, integrale e letterale, di un atto giudiziario che dispone una misura privativa della libertà personale – nella quale, tra le altre cose, vengono inseriti dati, informazioni ed elementi particolarmente sensibili – appare gravemente pregiudizievole,

impegna il Governo

a intervenire, nel primo provvedimento utile, al fine di modificare l'articolo 114 del Codice di procedura penale estendendo il divieto di pubblicazione «letterale» anche alle ordinanze con le quali vengono disposte le misure cautelari fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell'udienza preliminare.
9/705/150. Richetti, Enrico Costa.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 5 del decreto-legge 162 del 2022, come modificato in sede di conversione ai Senato, ha istituito il nuovo reato di «invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica» (articolo 633-bis del codice penale), prevedendo che sia punito «con la reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000», chiunque organizzi o promuova «l'invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di realizzare un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento», quando possa derivarne «un concreto pericolo per la salute pubblica o per l'incolumità pubblica a causa dell'inosservanza delle norme in materia di sostanze stupefacenti ovvero in materia di sicurezza o di igiene degli spettacoli e delle manifestazioni pubbliche di intrattenimento, anche in ragione del numero dei partecipanti ovvero dello stato dei luoghi»;

    sia pure con una formulazione e collocazione diversa del nuovo reato, il Senato ha confermato la scelta operata dal Governo di modificare il codice penale per punire l'organizzazione non autorizzata di un particolare tipo di raduni musicali, i cosiddetti rave party;

    non è condivisibile la scelta di introdurre una nuova fattispecie penale, considerato che le condotte illecite – dall'invasione di terreni e edifici, allo spaccio di droga, dal danneggiamento aggravato al disturbo della quiete pubblica – già trovano all'interno del codice penale specifiche sanzioni;

    in alcuni Paesi sono state previste forme di regolamentazione legale di questo tipo di raduni, come ad esempio in Francia, ormai da più di vent'anni, con la cosiddetta «legge Mariani», per minimizzare i rischi con politiche non meramente repressive,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di predisporre e presentare alle Camere una proposta di regolamentazione legale dei cosiddetti «rave party», attraverso una modifica del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) nella parte relativa alla disciplina delle manifestazioni musicali che sostituisca la disciplina penalistica approvata con decretazione d'urgenza, con specifiche prescrizioni per l'organizzazione legale di tali raduni, a tutela della sicurezza, igiene e tranquillità dei luoghi.
9/705/151. Castiglione.


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 5, come modificato nel corso dell'esame da parte del Senato, introduce nel codice penale, all'articolo 633-bis, il nuovo delitto di «Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», in base al quale è punito, con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000, chiunque organizza o promuove l'invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di realizzare un raduno musicale o avente altro scopo di intrattenimento;

    nonostante le modifiche apportate al Senato la fattispecie penale introdotta continua ad essere carente del requisito di tassatività prescritto dall'articolo 25 della Costituzione, nella misura in cui non individua con sufficiente chiarezza il perimetro delle condotte sanzionate e i criteri di valutazione della loro pericolosità, né il soggetto competente ad effettuare tale valutazione;

    resta inoltre confermato originario impianto sanzionatorio, che prevede la reclusione da tre a sei anni e la multa da 1.000 a 10.000 euro, permettendo così ingiustificatamente il ricorso alle intercettazioni;

    tale impianto sanzionatorio appare inoltre difettare di proporzionalità e ragionevolezza rispetto a quello previsto per 1'analoga fattispecie di cui all'articolo 633 del codice penale, punita con la reclusione da uno a tre anni e la multa da 103 euro a 1.032 euro,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle norme menzionate in premessa, al fine di adottare le conseguenti iniziative normative di modifica del presente provvedimento, al fine di riportare il trattamento sanzionatorio previsto dalla nuova fattispecie di cui all'articolo 633-bis del codice penale nell'alveo della proporzionalità e ragionevolezza della pena.
9/705/152. Ruffino.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in esame reca alcune disposizioni concernenti l'entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, ossia la cosiddetta «riforma Cartabia», recante la delega al Governo per l'efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari;

    tale riforma rappresentava uno degli imprescindibili tasselli per la compiuta attuazione degli obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che ha individuato nella lentezza nella realizzazione di alcune riforme strutturali un limite al potenziale di crescita dell'Italia, richiedendo una profonda revisione del nostro sistema giudiziario;

    quest'ultima, incentrata sull'obiettivo della riduzione del tempo del giudizio, è inserita dal Piano nazionale di ripresa e resilienza che tra le cosiddette riforme orizzontali, o di contesto, che consistono in innovazioni strutturali dell'ordinamento, tali da interessare, in modo trasversale, tutti i settori di intervento del Piano;

    per realizzare questa finalità, il Piano prevede – oltre a riforme ordinamentali, da realizzare ricorrendo allo strumento della delega legislativa – anche il potenziamento delle risorse umane e delle dotazioni strumentali e tecnologiche dell'intero sistema giudiziario, al quale sono destinati specifici investimenti;

    gli articoli da 5-bis a 5-terdecies, inseriti nel corso dell'esame da parte del Senato, sarebbero volti ad ovviare ad alcuni dubbi interpretativi di diritto intertemporale sorti con riguardo al decreto legislativo n. 150 del 2022, di riforma della giustizia penale (la cosiddetta riforma Cartabia), la cui è entrata in vigore è stata rinviata al 30 dicembre 2022 proprio dall'articolo 6 del decreto-legge in conversione, sulla base di (asserite) difficoltà applicative che gli uffici giudiziari avrebbero potuto riscontrare nell'attuazione delle disposizioni immediatamente applicative del provvedimento;

    secondo il principio del tempus regìt actum le disposizioni processuali si applicano a tutti i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore;

    l'articolo 5-sexies, introdotto nel corso dell'esame da parte del Senato, introduce nel decreto attuativo della riforma del processo penale (decreto legislativo n. 150 del 2022) un nuovo articolo (articolo 88-bis) recante la disciplina transitoria in materia di indagini preliminari per i procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della riforma in relazione alle notizie di reato già iscritte a tale data ovvero iscritte successivamente ma relative a procedimenti connessi;

    il comma 1 prevede il differimento per tali procedimenti dell'applicazione delle nuove disposizioni procedurali introdotte dal decreto in materia di: retrodatazione su richiesta di parte in caso di ingiustificato ed inequivocabile ritardo nell'iscrizione nel registro delle notizie di reato (articolo 335-quater); forme e termini per l'avvio dell'azione penale (articolo 407-bis); rimedi alla stasi del procedimento dovuta alla mancata tempestività dell'esercizio dell'azione penale (articolo 415-ter). Il comma 2 prevede che ai procedimenti i cui al comma 1 continuino ad applicarsi determinate disposizioni procedurali nel testo vigente prima dell'entrata in vigore della riforma,

impegna il Governo

ad effettuare un monitoraggio degli effetti delle disposizioni di cui in premessa per evitare applicazioni strumentali, con particolare riferimento ai reati connessi.
9/705/153. De Monte.


   La Camera,

   premesso che:

    il decreto in esame all'articolo 7, comma 1-bis – inserito nel corso dell'esame in Senato – stabilisce la sospensione, dall'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e fino al 30 giugno 2023, delle attività e dei procedimenti di irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria, pari a cento euro, prevista per l'inadempimento dell'obbligo di vaccinazione contro il COVID-19, obbligo stabilito – con riferimento a vari periodi temporali – per i soggetti di età pari o superiore a cinquanta anni nonché per specifiche categorie di lavoratori a prescindere dall'età del soggetto;

    si tratta in effetti di una sanatoria nei confronti di quanti (una esigua minoranza di italiani) non hanno ottemperato all'obbligo vaccinale; una disposizione che, insieme al reintegro dei sanitari non vaccinati disposto dallo stesso articolo al comma 1, palesa un pericoloso revisionismo da parte della maggioranza di governo sul tema Covid; un segnale preoccupante e irrispettoso verso quanti si sono responsabilmente sottoposti alla campagna vaccinale,

impegna il Governo

a valutare gli effetti applicativi delle norme menzionate in premessa, al fine di adottare le conseguenti iniziative normative volte a ripristinare l'applicazione delle sanzioni amministrative previste dall'articolo 4-sexies del decreto-legge 1° aprile 2021, n. 44, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 maggio 2021, n. 76 per i casi di inosservanza dell'obbligo vaccinale.
9/705/154. Carfagna.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in esame contiene modifiche alla normativa del cosiddetto «ergastolo ostativo» che avrebbe dovuto rispettare il pronunciamento della Corte costituzionale che con l'ordinanza n. 97 del 2021 ha demandato al legislatore la definizione di un nuovo equilibrio in materia;

    detta ordinanza aveva invitato a contemperare le esigenze di prevenzione con quelle di rieducazione previste dall'articolo 27, comma 3, della Costituzione a partire dal fatto che il quadro normativo fondato sulla collaborazione quale unica via per ottenere i benefìci non risulterebbe compatibile con detto principio;

    nonostante il dettato e i principi che ispirano la nostra Costituzione, le condizioni in cui versano i detenuti – ergastolani e non – è drammatica; il tasso di sovraffollamento è in costante crescita dopo la frenata dovuta alla pandemia, con oltre 5000 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare;

    il 2022 è stato un anno orribile per numero di suicidi in carcere, e i tagli fatti in legge di bilancio di certo non semplificano la vita nemmeno a polizia penitenziaria, personale ed educatori;

    le istituzioni tutte devono porre particolare attenzione al problema drammatico della salute mentale nelle carceri, che rende molto complicato il lavoro di tutti gli operatori penitenziari e si riflette su gravi episodi di autolesionismo e convivenza con gli altri detenuti;

    formazione e inclusione devono essere parte integrante dell'esecuzione della pena e hanno un ruolo determinante nella riduzione della recidiva,

impegna il Governo

ad appostare nel primo provvedimento utile maggiori risorse per l'area educativa, trattamentale e sanitaria, nonché per i progetti di lavoro, manutenzione delle strutture, dotazioni e risorse per il personale che opera nelle carceri.
9/705/155. Gadda.


   La Camera,

   premesso che:

    il provvedimento in esame contiene modifiche alla normativa del cosiddetto «ergastolo ostativo» che avrebbe dovuto rispettare il pronunciamento della Corte costituzionale che con l'ordinanza n. 97 del 2021 ha demandato al legislatore la definizione di un nuovo equilibrio in materia;

    detta ordinanza aveva invitato a contemperare le esigenze di prevenzione con quelle di rieducazione previste dall'articolo 27, comma 3, della Costituzione a partire dal fatto che il quadro normativo fondato sulla collaborazione quale unica via per ottenere i benefìci non risulterebbe compatibile con detto principio;

    nonostante il dettato e i principi che ispirano la nostra Costituzione, le condizioni in cui versano i detenuti – ergastolani e non – è drammatica; il tasso di sovraffollamento è in costante crescita dopo la frenata dovuta alla pandemia, con oltre 5000 detenuti in più rispetto alla capienza regolamentare;

    il 2022 è stato un anno orribile per numero di suicidi in carcere, e i tagli fatti in legge di bilancio di certo non semplificano la vita nemmeno a polizia penitenziaria, personale ed educatori;

    le istituzioni tutte devono porre particolare attenzione al problema drammatico della salute mentale nelle carceri, che rende molto complicato il lavoro di tutti gli operatori penitenziari e si riflette su gravi episodi di autolesionismo e convivenza con gli altri detenuti;

    formazione e inclusione devono essere parte integrante dell'esecuzione della pena e hanno un ruolo determinante nella riduzione della recidiva,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità di appostare nel primo provvedimento utile maggiori risorse per l'area educativa, trattamentale e sanitaria, nonché per i progetti di lavoro, manutenzione delle strutture, dotazioni e risorse per il personale che opera nelle carceri.
9/705/155. (Testo modificato nel corso della seduta)Gadda.


   La Camera,

   premesso che:

    in sede di conversione del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, recante misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-COV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali, è emerso con evidenza, durante il dibattito in commissione Giustizia, la volontà di punire in maniera indiscriminata le manifestazioni di libertà;

    l'articolo 5, come modificato nel corso dell'esame da parte del Senato, introduce nel codice penale, all'articolo 633-bis, il nuovo delitto di «Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l'incolumità pubblica», in base al quale è punito, con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000;

    il nuovo reato sui «raduni pericolosi», introdotto con un decreto-legge, e presentato come un'iniziativa per contrastare i «Rave party», ha sollevato numerosi dubbi di costituzionalità;

    tra gli elementi evidenziati vi è quello dell'entità della pena per colui che viene condannato per le condotte di cui al nuovo articolo 633-bis: da tre a sei anni di reclusione e la multa da 1.000 a 10.000 mila euro;

    la previsione della nuova fattispecie è stata giustificata per il presunto allarme sociale e la pericolosità per la sicurezza pubblica dei cosiddetti raduni illegali;

    come emerso dal dibattito parlamentare la sproporzione della pena prevista per tale nuova fattispecie penale appare ancor più evidente in considerazione della pena ben più mite, da sei mesi ad un anno, prevista dall'articolo 697 codice penale per la detenzione abusiva di armi;

    tale sproporzione appare ancor più ingiustificata e paradossale se si considerano le conseguenze, come recenti fatti di cronaca dimostrano, dell'eccesiva diffusione e dell'uso di armi e del più grave allarme sociale e pericolosità per la sicurezza pubblica di tale fenomeno;

    appare, quindi, urgente ogni necessaria iniziativa diretta alla riduzione del numero delle armi in circolazione e alla riduzione del rischio che soggetti problematici detengano o possano comunque avere accesso alle armi, rendendo al contempo più efficienti e mirati i controlli di polizia,

impegna il Governo

a porre in essere ogni urgente iniziativa diretta a rendere più complesso il procedimento per ottenere la licenza di porto d'armi e/o il Dima (Diploma maneggio Armi), giungere alla costruzione di un database unico dei detentori di armi e all'interoperabilità degli archivi del Ministero dell'interno e del Ministero della salute, rendere più stringenti i controlli sui livelli di sicurezza adottati dai poligoni di tiro e sullo stato di salute psico-fisica di chi detiene o ha accesso alle armi, con la finalità ultima di ridurre il numero delle armi in circolazione e i conseguenti rischi per l'incolumità pubblica, valutando altresì un considerevole aumento della pene prevista per la detenzione abusiva di armi.
9/705/156. Fratoianni, Piccolotti, Dori, Bonelli, Borrelli, Evi, Ghirra, Grimaldi, Mari, Zanella, Zaratti.