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Resoconto dell'Assemblea

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XIX LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 531 di martedì 16 settembre 2025

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SERGIO COSTA

La seduta comincia alle 11.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato Segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

BENEDETTO DELLA VEDOVA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 12 settembre 2025.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 87, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta in corso (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Svolgimento di interrogazioni.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interrogazioni.

(Chiarimenti e iniziative in merito alla chiusura dell'agenzia INPS di Piove di Sacco, in provincia di Padova, e al ripristino dei relativi servizi sul territorio - n. 3-02174)

PRESIDENTE. La prima interrogazione all'ordine del giorno è la n. 3-02174, presentata dalla deputata Gardini. Il Sottosegretario di Stato Gianmarco Mazzi ha facoltà di rispondere.

GIANMARCO MAZZI, Sottosegretario di Stato per la Cultura. Grazie, Presidente. Ringrazio l'onorevole Gardini per il quesito proposto, con il quale viene chiesto al Governo se è a conoscenza della chiusura dell'agenzia INPS di Piove di Sacco, in provincia di Padova, e quali siano le iniziative adottate per l'individuazione di una nuova sede per la struttura.

Al riguardo, a seguito di interlocuzioni con l'istituto, l'INPS ha rappresentato di aver assicurato l'operatività di tutti i servizi per l'area facente capo al comune di Piove di Sacco. In particolare, l'attività di presidio fisico è stata garantita mantenendo aperto uno sportello presso gli uffici di altra pubblica amministrazione, ubicata nello stesso comune di Piove di Sacco e collocata in zona più centrale e fruibile dall'utenza, assicurandone l'accessibilità anche per i soggetti fragili.

L'istituto ha poi evidenziato che vi è l'intenzione di mantenere attiva l'Agenzia territoriale di Piove di Sacco, secondo le rassicurazioni già fornite anche al competente comitato regionale direttamente dall'Istituto stesso. A tal fine, infatti, sono in corso le valutazioni delle offerte ricevute a seguito del bando adottato per l'individuazione della nuova sede da parte del coordinamento tecnico del Veneto ed è stata avviata la necessaria istruttoria da parte degli uffici centrali, a seguito della quale è emersa la necessità di richiedere all'Agenzia delle entrate una valutazione circa la congruità economica delle offerte ricevute. L'accordo di collaborazione, e richiesta l'assegnazione dei fondi, è stato sottoscritto in data 5 agosto 2025. Si è pertanto in attesa di conoscere i tempi di definizione della valutazione di congruità da parte dell'Agenzia delle entrate.

Concludo, assicurando che il Governo seguirà con la massima attenzione i futuri sviluppi della questione, assicurando costantemente la presenza dei servizi INPS nel territorio sopraindicato, al fine di vedere sempre rispettato uno dei principi cardine del Governo ovvero il principio di equità nell'accesso ai diritti sociali.

PRESIDENTE. La deputata Gardini ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interrogazione.

ELISABETTA GARDINI (FDI). Presidente, ringrazio il Sottosegretario Mazzi, perché sono soddisfatta della risposta che ha dato a nome del Governo. Sono soddisfatta perché nelle sue parole vedo la volontà di riaprire la sede INPS di Piove di Sacco e la disponibilità di una nuova struttura, in attesa solo delle pratiche burocratiche e delle verifiche tecniche, che sono assolutamente dovute.

Sono soprattutto contenta della tempistica del Governo, perché io ho presentato questa interrogazione all'inizio di agosto, praticamente prima della pausa estiva, e il Governo risponde nella prima seduta della ripresa dei lavori dopo la pausa estiva. Ciò dimostra l'attenzione che il Governo sta dando a questa vicenda.

Questa interrogazione l'ho presentata perché c'era e c'è ancora un disagio notevole sul territorio, perché non parliamo solo del comune di Piove di Sacco - e già sarebbe un disagio -, ma parliamo di una sede INPS che serve un'area vasta nella quale ci sono circa 130.000 utenti, che facevano riferimento alla sede INPS di Piove di Sacco, perché Piove di Sacco fa parte di un'area vasta con tanti comuni limitrofi, al confine praticamente tra tre capoluoghi, tre province: Padova, Venezia e Rovigo. Quindi, si capisce che per molti cittadini raggiungere i capoluoghi diventa una difficoltà, anche perché è vero, lo sappiamo che c'è una sede provvisoria, però sappiamo anche che questa sede provvisoria sta lavorando a scarto ridotto e, quindi, non è sufficiente. Sono migliaia i cittadini che ogni anno si rivolgevano alla sede di Piove di Sacco, almeno 3.500 utenti in presenza, che non sono pochi perché poi a questi si devono aggiungere tutte le pratiche svolte da remoto, le telefonate e le consulenze gestite dall'ufficio.

Ognuna di queste persone, poi, rappresenta una storia, rappresenta un problema, una pensione da avviare, una malattia professionale da riconoscere, un assegno familiare da riscuotere. Sappiamo che l'INPS non è soltanto un ufficio che smista pratiche, ma ho visto nelle parole del Sottosegretario, che condividiamo, che l'ufficio INPS è un presidio sociale dello Stato, è un punto di riferimento per chi spesso non ha veramente altri strumenti. E ogni volta che una sede chiude, si trasmette un messaggio sbagliato, che i diritti sociali possono essere esercitati solo nei grandi centri.

Questo interessamento conferma, invece, la strategia e la visione del Governo, che sta dimostrando una grande sensibilità e una grande attenzione proprio alle cosiddette aree interne e ai territori periferici, che non vuol dire soltanto creare infrastrutture o fare investimenti economici, ma rafforzare proprio la presenza dei presidi istituzionali e dei servizi sociali di prossimità.

Sottosegretario, ancora una cosa, la celerità con cui il Governo si è mosso e ha risposto trova, dall'altra parte, delle lentezze che fanno parte proprio della burocrazia: credo sia un anno almeno che è stato fatto il bando. Sono contenta che adesso le cose si stiano muovendo e sono soprattutto confortata dal fatto che lei ha detto che il Governo continuerà a monitorare, soprattutto la tempistica, per ripristinare a pieno regime un servizio erogato ad un'area molto vasta, nella quale 130.000 cittadini del Veneto meridionale si sentono ora un po' scoperti. Ripeto, quindi, che accolgo davvero positivamente la sua risposta e la ringrazio.

(Intendimenti in merito alla sede dell'archivio di Stato di Foggia e alla salvaguardia del relativo patrimonio bibliografico e documentale - n. 3-02173)

PRESIDENTE. Il Sottosegretario di Stato per la Cultura, Gianmarco Mazzi, ha facoltà di rispondere all'interrogazione Rosato n. 3-02173 (Vedi l'allegato A).

GIANMARCO MAZZI, Sottosegretario di Stato per la Cultura. Onorevole collega, il quesito posto mi offre l'opportunità di aggiornare quest'Aula sulle iniziative che il Ministero intende intraprendere in merito all'archivio di Stato di Foggia. Quest'ultimo è attualmente articolato in due sedi ubicate nel capoluogo provinciale, a cui si aggiunge una sezione distaccata nel comune di Lucera. Fino al mese di luglio 2024, l'archivio occupava anche una minima porzione di Palazzo Filiasi, in piazza XX settembre, esclusivamente a uso degli uffici della direzione e della biblioteca annessa alla sala studio. Tale immobile si è rivelato non confacente alle esigenze dell'istituto, in ragione della generale inadeguatezza strutturale e delle gravi criticità di natura idrometrica che, di fatto, rendevano inutilizzabile l'intero livello interrato per il deposito di materiale cartaceo di pregio.

La sede principale dell'Archivio di Stato si trova oggi presso Palazzo Dogana, edificio di proprietà della provincia di Foggia, che ospita la direzione, la biblioteca e gli uffici amministrativi.

Con riferimento a quanto affermato nell'interrogazione circa la richiesta di rilascio dell'immobile da parte della provincia, si precisa che tale affermazione non corrisponde al vero. La provincia di Foggia, infatti, con nota dello scorso 17 marzo, pur rappresentando l'impossibilità di procedere al rinnovo del contratto di locazione a causa delle richieste documentali avanzate dall'Agenzia del demanio, ha comunque confermato la possibilità di proseguire l'occupazione in regime extracontrattuale, nelle more dell'individuazione di una diversa soluzione allocativa. La sede sussidiaria dell'Archivio è situata in un immobile in viale Francia, di proprietà privata, di cui vengono utilizzate alcune porzioni al piano terra e al piano interrato, destinate a uffici e a deposito. Anche in questo caso il bene è detenuto in regime di occupazione extracontrattuale.

La Direzione generale archivi, la Soprintendenza archivistica e bibliografica della Puglia e l'Archivio di Stato di Foggia hanno intrapreso intense interlocuzioni su più fronti, sia con le proprietà per il rinnovo dei contratti di locazione sia per l'individuazione di un'eventuale nuova sede. A seguito dei sopralluoghi effettuati, nei giorni 5 e 6 maggio 2025, da una delegazione di tecnici degli uffici sopramenzionati, finalizzati all'individuazione di una nuova sede per l'Archivio di Stato di Foggia, sono emerse alcune possibili soluzioni. In particolare, è stato oggetto di indagine il Palazzo Amgas, sito in Foggia, per il quale è pervenuta agli uffici una proposta di acquisto dell'intero stabile, di circa 8.000 metri quadri, per un prezzo base di vendita stimato di 7.357.000 euro. Giudicata eccessivamente onerosa tale offerta, si è presa in considerazione la possibilità di acquisto di una sola porzione dell'edificio, consistente in 2.470 metri quadri di depositi, 400 metri quadri di uffici pronti all'uso e una sala convegni da 250 posti in uso condiviso e che potrebbe garantire la sostituzione di entrambe le attuali sedi d'archivio. A seguito delle interlocuzioni intercorse, la società Amgas Spa ha elaborato un'offerta di acquisto che sarà trasmessa all'Agenzia del demanio, al fine di ottenere la congruità del prezzo e il rilascio del nullaosta propedeutico all'acquisto del suddetto immobile.

Nelle more può, tuttavia, ribadirsi che le sedi attualmente in uso da parte dell'Archivio di Stato di Foggia non sono oggetto di rilascio imminente e che non sussiste alcun rischio di dispersione del patrimonio archivistico o di trasferimento dell'Istituto, poiché, secondo l'ordinamento vigente, le sedi degli Archivi di Stato sono ordinariamente individuate all'interno del comune capoluogo di provincia.

PRESIDENTE. L'onorevole Rosato ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interrogazione.

ETTORE ROSATO (AZ-PER-RE). Grazie signor Presidente e grazie signor Sottosegretario. Queste interrogazioni naturalmente hanno il senso di cercare di risolvere il problema. Quindi, noi stimoliamo l'attenzione del Governo su un tema che esiste e che purtroppo non è nato ieri. Esiste perché il nostro patrimonio bibliotecario, in generale, nel nostro Paese è spesso in sedi non adeguate, non adeguate più rispetto ai carichi, rispetto alle normative antincendio e anche rispetto alla disponibilità dei locali, che spesso non continuano a essere disponibili come abbiamo segnalato nella nostra interrogazione.

L'interlocuzione che si sta costruendo, in particolare rispetto al Palazzo ex Amgas, mi sembra una soluzione che vada nella strada che abbiamo sostenuto anche nella nostra interrogazione. Quindi, sosteniamo il Governo su questa strada, sosteniamo soprattutto il Governo in una strada che comunque, a nostro giudizio, deve avere anche abbastanza rapidità. Oggi questa proposta, che sta sul tavolo dell'Agenzia del demanio, una volta che viene autorizzata potrebbe consentire una rapida soluzione. Quindi, noi affidiamo alle sapienti mani del Sottosegretario questo tema perché naturalmente l'Italia è grande, le periferie sono tante, ci sono città, musei e biblioteche e non tutto riesce a essere all'attenzione degli uffici centrali del Ministero.

Ci fa piacere - lo ha segnalato - e, insomma, il territorio di Foggia ripone grandi aspettative rispetto a una soluzione di questo tipo. La città di Foggia ritiene quel pezzo di patrimonio importante per la sua storia. Quindi, ci auguriamo qui che lei possa continuare a dare la giusta attenzione a questo tema per arrivare a una soluzione che, a nostro giudizio, è a portata di mano e mette insieme la sicurezza su un bene prezioso per la comunità foggiana, ma anche su un bene che è prezioso per la comunità nazionale. Ormai siamo abituati che quando cerchiamo un libro lo andiamo a cercare sulla rete e le biblioteche sono tutte multimediali, però per avere una biblioteca multimediale ci vuole un luogo fisico dove questi beni sono custoditi e sono custoditi con la cura che richiede un testo antico, come molto antichi sono alcuni dei testi conservati nell'ufficio e nella biblioteca di Foggia. Quindi, questa attenzione è un'attenzione che forse non viene percepita come importante; non viene percepita come importante, ma è molto importante. Quindi, la ringrazio per il lavoro.

(Intendimenti in merito ad errate valutazioni dei titoli nelle graduatorie delle classi di concorso per insegnanti di inglese AB24 e AB25 in Emilia-Romagna - n. 3-02175)

PRESIDENTE. La Sottosegretaria di Stato per l'Istruzione e il merito, Paola Frassinetti, ha facoltà di rispondere all'interrogazione Grippo e Richetti n. 3-02175 (Vedi l'allegato A).

PAOLA FRASSINETTI, Sottosegretaria di Stato per l'Istruzione e il merito. Grazie, Presidente. Collega onorevole Grippo, in merito alla vicenda dei candidati inseriti nella graduatoria del concorso PNRR 1 per le classi in inglese, trattandosi di questione di competenza dell'USR Emilia-Romagna, rispondo con gli elementi forniti dallo stesso.

Occorre premettere che per le classi di concorso AB25 e AB24 si è avuta, per la regione Emilia-Romagna, una significativa partecipazione di candidati: 2.276, a fronte di 128 posti disponibili per AB25, e 2.315, a fronte di 25 posti disponibili per AB24. Dopo la pubblicazione della graduatoria per la classe di concorso AB25 sono pervenute segnalazioni relative a presunti errori nella valutazione dei titoli. Per tale motivo e per garantire la correttezza e parità di trattamento, l'USR, prima di procedere alle nomine, ha ritenuto opportuno richiedere alla commissione di concorso la verifica delle segnalazioni, con eventuale redazione di una nuova graduatoria e dell'elenco degli idonei. In data 11 luglio 2025 l'ufficio scolastico, sulla base della nuova graduatoria, ha avviato le immissioni in ruolo nel rispetto delle tempistiche previste. Anche per la classe di concorso AB24, in seguito ad analoghe segnalazioni, la graduatoria è stata rettificata e pertanto l'USR ha riavviato il turno di assegnazione delle province per tale classe di concorso.

Considerate ulteriori osservazioni pervenute da alcuni candidati che, pur non impattando sulle nomine già effettuate, avrebbero potuto incidere su eventuali scorrimenti futuri, l'USR il 31 luglio scorso ha richiesto ai presidenti coordinatori delle commissioni di concorso il riesame urgente dei titoli dei candidati in posizione potenzialmente interessata alla nomina, in tempo utile per l'operazione di scorrimento delle graduatorie. L'ufficio ha quindi proceduto a pubblicare nuovamente la graduatoria, rispettivamente il 20 agosto, per la classe di concorso AB24, e il 22 agosto, per la classe di concorso AB25. Successivamente, ma in ogni caso in tempo utile per l'avvio dell'anno scolastico, l'ufficio ha completato le surroghe e gli scorrimenti a seguito delle rinunce pervenute.

Quanto, infine, al ricorso collettivo avviato innanzi al TAR, menzionato nell'interrogazione dell'onorevole Grippo, l'ufficio scolastico competente ha comunicato che, ad oggi, non risulta essere stato notificato nessun ricorso. Pertanto, alla luce di quanto sopra descritto, emerge l'efficacia delle misure messe in atto dall'ufficio scolastico, che ha garantito che le operazioni di assunzione si concludessero tempestivamente e nel rispetto delle legittime posizioni dei docenti interessati, anche in considerazione del fatto che le richieste di rinvio di tali operazioni, proposte da una sola organizzazione sindacale, avrebbero determinato un danno sia ai docenti da assumere sia soprattutto agli studenti, che non avrebbero potuto beneficiare della garanzia della continuità didattica assicurata dai docenti di ruolo.

PRESIDENTE. La deputata Grippo ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interrogazione.

VALENTINA GRIPPO (AZ-PER-RE). Grazie, Sottosegretaria. La ringrazio per aver approfondito la questione e per aver seguito cosa è avvenuto. È evidente che la responsabilità diretta è dell'ufficio scolastico regionale per l'Emilia-Romagna.

E bene che abbia provveduto a correggere gli errori preventivamente fatti. Ciò non di meno, non possiamo esimerci dal sottolineare alcuni aspetti, anche per evitare che analoghe questioni si presentino in futuro e soprattutto per perfezionare ciò che, sono sicura, lei ha a cuore quanto me, ovvero che non ci siano nocumenti né per coloro che sono stati in modo errato inizialmente assegnatari di un posto al quale poi non hanno più avuto diritto, né per gli altri che ne erano stati esclusi. È evidente che il quadro di incertezza non giova a nessuno.

Sinceramente, nel rapporto dell'ufficio scolastico regionale dell'Emilia-Romagna mi sarei aspettata un tono che non raccontasse un mondo perfetto. Non è un mondo perfetto, sono stati fatti degli errori. Dopodiché, chi lavora sbaglia e, per carità, bene porre rimedio, però noi dobbiamo riflettere in modo un po' più ampio su alcune cose. Primo: è necessario che ci siano criteri uniformi tra regioni anche quando c'è un avvenimento eccezionale come quello dei concorsi PNRR, che so essere solo in parte totalmente governati dal suo Dicastero, però dobbiamo accertarci che abbiano procedure, tempi e svolgimenti analoghi a tutti gli altri concorsi e che prevedano le stesse regole e le stesse certezze.

In secondo luogo, dobbiamo essere sicuri che i correttivi adottati per l'Emilia-Romagna, anche dove non segnalati, visto che randomicamente ci vengono segnalate problematiche in tutte le regioni, siano evitati e prevenuti anche altrove. Inoltre, l'altro elemento su cui dobbiamo riflettere è che magari c'è qualcuno che si è visto inizialmente assegnatario di un posto, ha fatto delle scelte di vita, ha rinunciato ad altre opzioni e poi si è visto tardivamente privato di quel posto. In ultimo, evidentemente, abbiamo bisogno di un quadro certo per tutti.

Allora, su questa questione noi prendiamo atto delle rettifiche e siamo soddisfatti del fatto che comunque oggi abbiamo una fotografia che ci restituisce le effettive graduatorie, l'effettiva situazione di coloro che avevano diritto a questo posto. Vorremmo, però, avere la certezza - in parte nelle sue parole l'ho letto, però mi piacerebbe averla un po' più forte anche in altre occasioni - che prendiamo esempio, per il futuro, da questo evento che è accaduto, per essere sicuri che si prevengano simili possibili errori e che si preveda la possibilità di correggere, con tutto un numero poi di rettifiche, correzioni e contro-correzioni in corso d'opera, la situazione.

Non ultimo il fatto che, se riuscissimo ad anticipare i tempi e non ci trovassimo sempre a 10 giorni dall'apertura dell'anno scolastico per assegnare le cattedre e per completare l'organico, forse avremmo un margine di correzione in più rispetto all'errore umano, che pure può avvenire. In ultimo, le faccio una riflessione: so che le pratiche vengono istruite anche dagli uffici ed è normale che poi si dica quali sono i soggetti coinvolti, però noi siamo abituati a pensare che lo Stato risponde per tutti.

Quindi, l'errore sicuramente è stato dell'ufficio scolastico dell'Emilia-Romagna; è corretto che loro spieghino come sono andate le cose, però poi il Ministero a cui gli uffici scolastici regionali fanno capo è il Ministero dell'Istruzione. I cittadini non devono sapere chi della pubblica amministrazione fisicamente ha sbagliato qualche passaggio, ma devono avere una risposta certa dallo Stato in ogni occasione. Quindi questa premessa forse potevamo risparmiarcela.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni all'ordine del giorno. Sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 15.

La seduta, sospesa alle 11,25, è ripresa alle 15.

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE ANNA ASCANI

Missioni.

PRESIDENTE. La seduta è ripresa. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta sono complessivamente 88, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna.

In morte dell'onorevole Mario Bruno Lagana'.

PRESIDENTE. Comunico che è deceduto l'onorevole Mario Bruno Lagana', membro della Camera dei deputati dalla VIII alla IX legislatura. La Presidenza della Camera ha già fatto pervenire ai familiari le espressioni della più sentita partecipazione al loro dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'Assemblea.

Modifica nella composizione di gruppi parlamentari.

PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data 16 settembre 2025, il deputato Pino Bicchielli, già iscritto al gruppo parlamentare Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare, ha dichiarato di aderire al gruppo parlamentare Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE.

La Presidenza di tale gruppo, con lettera pervenuta in pari data, ha comunicato di aver accolto la richiesta (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE).

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire sull'ordine dei lavori il deputato Giuseppe Provenzano. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE PROVENZANO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Intervengo sull'ordine dei lavori, perché noi non possiamo andare avanti come se nulla fosse, mentre Gaza brucia. Queste sono le parole di esultanza del Governo israeliano e sono le stesse parole per cui il mondo intero guarda lì, attonito e sgomento e si chiede cosa fa il Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista), cosa fanno i Governi, cosa fanno le istituzioni, cosa facciamo tutti noi, cosa fa la politica. Per questo chiediamo alla Presidente del Consiglio di rendere comunicazioni a quest'Aula, non le solite informative inutili di qualche Ministro ma comunicazioni ad horas, in cui ciascuno di noi - ciascuno di noi - è chiamato a votare da che parte della storia vuole che stia l'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

È un dovere di ciascuno di noi, nel giorno in cui persino una commissione delle Nazioni Unite parla di genocidio, nel giorno in cui l'invasione di Gaza, con l'esodo dei palestinesi, rappresenta, con la copertura politica di Donald Trump e degli Stati Uniti, non solo un atto atroce, non solo un errore che porterà ancora più morte e distruzione e che pagherà non solo il popolo palestinese martoriato ma anche lo stesso popolo di Israele (perché a guerra infinita risponde terrorismo infinito), ma un crimine. L'invasione è un crimine, è un crimine di aggressione, sta nello Statuto di Roma (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista) e questa parola dovrebbe dirvi qualcosa. E il crimine di aggressione merita la condanna unanime di questo Parlamento, ma non basta, perché abbiamo non solo il dovere morale, ma anche l'obbligo giuridico internazionale di fermare tutto questo e perciò servono azioni, atti.

È insopportabile la doppia morale di non assumere le stesse decisioni nei confronti di Netanyahu, come quelle che abbiamo assunto nei confronti della Russia di Putin (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista) di fronte allo stesso crimine. Torniamo qui a chiedere sanzioni, sospensione degli accordi di associazione con Israele, del Memorandum di cooperazione militare, di difendere la Corte penale internazionale, di fare tutte le pressioni politiche, diplomatiche e commerciali per fermare tutto questo, l'embargo totale di armi, che significa anche impedire il transito dal nostro territorio, dai nostri porti. Chiediamo di convocare l'ambasciatore israeliano (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e di deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra) per esprimere non solo tutta la nostra condanna, ma per comunicare queste nostre decisioni, insieme al riconoscimento della Palestina, e per chiarire anche un'altra cosa, Presidente: che un attacco alla Flotilla verrà considerato un attacco nei confronti anche nostri.

Perché, vede, l'Europa, anche grazie alla nostra azione (dei socialisti e democratici), finalmente si è svegliata. Lo ha fatto con colpevole, colpevolissimo ritardo, ma ha finalmente annunciato sanzioni, misure precise. Ha capito che sta perdendo la faccia di fronte al mondo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista) con la sua ipocrisia, la sua incoerenza, la sua doppia morale e il suo immobilismo. Ma il problema è che, a causa di questo immobilismo, c'è il Governo italiano che a queste misure si è sempre opposto, fino all'altro giorno. Oggi l'inazione non è più un'opzione, è complicità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Non vi piace questa parola? Guardate che non piace nemmeno a noi, non piace nemmeno a me. E allora venite qui e agite (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista), anzi noi diciamo: agiamo insieme perché è in gioco guardate - e chiudo, Presidente - anche la nostra sicurezza. Gaza ci riguarda non solo perché è un attacco ai cardini del mondo che abbiamo costruito, basato sulle regole, sul diritto internazionale; Gaza ci riguarda perché rischia di portare alla guerra nel Mediterraneo. Ma l'avete visto il vertice a Doha? L'avete visto? Altro che Accordi di Abramo di cui vi siete riempiti la bocca per anni. L'attacco al Qatar è stato un attacco ai negoziati e c'è un'idea dietro che non è solo la guerra infinita di Netanyahu, magari per mantenere il potere o per scampare alla giustizia; è la guerra grande ed è l'escalation che vuole portare allo scontro di civiltà più volte invocato da questo Governo messianico.

E allora bisogna dirlo con chiarezza (Commenti)… Ma come fate a chiacchierare? Come fate a parlare tra di voi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)? Ma bisogna dirlo con chiarezza che quella non è la nostra guerra, di nessuno di noi qui dentro; che quella non è la nostra civiltà (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)! Quella di Netanyahu è la negazione della nostra civiltà! Non è democrazia, è la morte della democrazia. La democrazia la rappresentano in Israele le famiglie che stanno protestando di fronte alla casa di Netanyahu e che piangono i loro ostaggi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista) o gli oppositori o i giudici dell'Alta Corte che chiedono di non affamare le persone. Lo scontro di civiltà è una minaccia anche a noi, perché questa semina d'odio la pagheremo per decenni nel Mediterraneo e la pagheremo…

PRESIDENTE. Concluda.

GIUSEPPE PROVENZANO (PD-IDP). …non con le fantomatiche minacce di Salvini, ma con il terrorismo, con la paura, con la guerra, non è il lavoro sporco che fa per noi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista) come…

PRESIDENTE. Grazie, onorevole.

Ha chiesto di parlare, sullo stesso argomento, il deputato Marco Grimaldi. Ne ha facoltà.

MARCO GRIMALDI (AVS). “Gaza brucia”. Queste parole non sono dette dalle opposizioni; sono dette con qualche soddisfazione - sì, soddisfazione - dal Ministro della Difesa israeliano, Katz, che annuncia il trionfo; il trionfo lo fa sui social. Mi faccia dire, Presidente - e spero di parlare anche per i deputati che stanno ascoltando, anche quelli dai banchi della maggioranza, - che quelle parole sono malvagie. Io non saprei come dire: mi fanno orrore, perché, dietro quel “Gaza brucia”, dietro quelle parole di un Ministro che parla di eroismo, ma dov'è l'eroismo…? Lo dico perché credo che nessun soldato ne goda - o almeno spero - a distruggere, a bombardare, a spianare, ma, dall'altra parte, non c'è alcun esercito.

Vorrei ricordarlo in quest'Aula: non è una guerra, è uno sterminio (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra e di deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Quelle 700.000 persone non sanno dove andare, sono chiuse lì, dopo due anni. Ve l'abbiamo già detto, non volete chiamarlo “genocidio”. Ma come si può ancora stare qui in silenzio? Ecco, prima l'aviazione ha spianato la strada, decine di morti nei bombardamenti; poi Israele ha promesso, appunto, di conquistare Gaza City; lo sta facendo anche grazie all'inerzia dei Governi europei. Io lo dico: ancora osano parlare di migliaia - migliaia - di terroristi, ma lì sotto, sotto quelle bombe ci sono i civili, ci sono le donne, ci sono i bambini, ci sono gli anziani. Aprite quei social, guardate in diretta che schifo, l'orrore di quelle immagini. Allora, noi lo diciamo: Gaza brucia e si compie di fatto il piano di annessione della destra suprematista. Annessione! E annessione, genocidio e pulizia etnica.

Il disegno ci pare chiaro: svuotare per sempre la Striscia e costringere 2 milioni di profughi a stare nei campi, a sud di Gaza. Addirittura, si inizia a parlare esplicitamente di ricolonizzazione. Ecco, Ben Gvir proclama addirittura la creazione di un intero distretto, di un intero quartiere - non so se l'avete letto - per i poliziotti israeliani. Lo chiedo sommessamente: vorremmo le comunicazioni, anche solo per sentirle e per scrivere assieme quello che il Parlamento deciderà. Lo chiedo a Tajani, che non c'è. Che cosa sta facendo? Dice “siamo contrari” all'operazione: mi vien da rispondere: ci mancherebbe! Sulle sanzioni, dice “valuteremo”. Prima di dire alcune cose - che per noi sono imbarazzanti, perché non bastano, non sono sufficienti -, si prenda un attimo. Magari venga qua, ascolti questo dibattito e scriviamo assieme come fermare l'orrore.

Avete un'idea? La vogliamo mettere in campo? C'è un effetto deterrente? Noi diciamo: riconosciamo lo Stato di Palestina, sanzioni, interruzione di ogni rapporto commerciale ed economico. Avete altre idee per fermare questo massacro? Venite qua a dircelo, ma dite una parola e prendete un impegno, perché l'unica cosa che abbiamo sentito dire a quelli che si muovono e che vogliono fermare l'assedio è che lo stanno facendo a loro rischio e pericolo. Ecco, vorrei vedere un Paese fermo, vorrei vedere l'Europa che si ferma per dire, a nostro rischio e pericolo, anche degli interessi economici, ci sentiamo responsabili, ma non ci sentiamo complici (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, sullo stesso argomento, il deputato Soumahoro. Ne ha facoltà.

ABOUBAKAR SOUMAHORO (MISTO). Grazie, Presidente. La responsabilità di questi crimini atroci ricade sulle massime autorità israeliane, che hanno orchestrato una campagna genocida per quasi due anni, con l'intento specifico di distruggere il gruppo palestinese a Gaza. Restare in silenzio dinanzi a tale atrocità vuol dire essere complici. Presidente, sono le conclusioni della Commissione internazionale di inchiesta su ciò che sta succedendo nei territori palestinesi, la Commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite. Presidente, con questo intervento, oltre a chiedere un'informativa da parte del Governo, vorrei ricordare a tutta l'Aula ciò che scrisse Hannah Arendt: La banalità del male.

Abbiamo sentito così tante volte la parola “Gaza”, abbiamo sentito così tante volte la parola “Palestina”, che tali parole, tale male, tale genocidio, tale atrocità si sono trasformate in una sorta di “banalità del male”, ricordando sempre Hannah Arendt.

Presidente, dall'alba di oggi, oltre 70 i palestinesi sono stati uccisi nei territori, a Gaza, nei territori palestinesi dai raid aerei dell'esercito israeliano. Presidente, negli ultimi due anni, oltre 65.000 palestinesi, di cui 370 bambini, morti per mancanza di cibo, donne incinte e persone anziane, Presidente, un'intera generazione. Questo è quanto sta succedendo. L'equidistanza equivale a una complicità. Il silenzio equivale a una complicità. Non schierarsi dalla parte dell'umanità equivale a una complicità.

Presidente, numerose sono state le risoluzioni delle Nazioni Unite non solo per chiedere la fine dell'occupazione dei territori palestinesi, ma anche per ribadire un concetto così semplice, che oggi sembra una sorta di banalità: siamo tutte e tutti esseri umani. Un bambino palestinese cosa ha di diverso rispetto a un bambino israeliano? Un bambino palestinese cosa ha di diverso rispetto a un bambino italiano? Un bambino palestinese cosa ha di diverso rispetto a un bambino statunitense?

Presidente, quanto sta succedendo richiede da parte del nostro Paese un'assunzione di responsabilità, schierandosi dalla parte dell'umanità, riconoscendo lo Stato palestinese, schierandosi non soltanto dalla parte dell'umanità, ma assumendo questa posizione, che è stata messa nero su bianco da parte di una Commissione d'inchiesta internazionale delle Nazioni Unite, che dice ufficialmente - e concludo, Presidente - che quanto sta succedendo nei territori palestinesi, a Gaza, è un genocidio e, dinanzi al genocidio, il silenzio equivale a una sorta, se non dire che è complicità. L'Italia, il nostro Paese non può essere complice di questo genocidio (Applausi di deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, sullo stesso argomento, il deputato Riccardo Ricciardi. Ne ha facoltà.

RICCARDO RICCIARDI (M5S). Grazie, Presidente. Anche noi chiediamo che la Meloni venga in Aula, il Governo venga in Aula, con le comunicazioni, dove si votino impegni, si voti, nero su bianco, quello che il Governo vuole fare.

Ci siamo stufati delle comunicazioni a mezzo social, a mezzo tweet. Ci siamo stufati di sentire Tajani, che oggi è riuscito a dire: siamo contrari all'operazione di Israele, perché c'è un rischio per i civili. È riuscito a dire che c'è un rischio per i civili, il Ministro degli Affari esteri Tajani! E nella solita frase, di fronte a tutto questo, ha trovato il tempo per polemizzare con quei cattivoni violenti del MoVimento 5 Stelle, che lo criticano. Il nostro Ministro degli Affari esteri! Questo sta dicendo e questo ha detto! Allora, voglio capire dov'è la strategia del Governo, perché in questi due anni si è sentito dire: no, noi dobbiamo agire così, non dobbiamo riconoscere lo Stato di Palestina, perché altrimenti interrompiamo i rapporti con Israele e, invece, grazie a questo lavoro diplomatico che noi facciamo, riusciamo a tenere a freno Israele.

Allora, le cose sono due: o siete complici o siete completamente inadeguati (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)! Infatti, è evidente: questa strategia ha fallito, ma non da oggi, da sempre, perché avete messo il limite dell'indecenza sempre un pochino più in alto.

Allora, è partita l'operazione: e va bene sì, però il 7 ottobre, però Hamas. Sparano sulla gente in fila per il pane: e va beh, però lì è una guerra. Violano la sovranità territoriale del Libano, del Qatar, sparano sui diplomatici, sparano sull'ONU: eh sì, però dovete anche capire il 7 ottobre. Sparano su una bambina dentro una macchina con 355 colpi: eh beh, ma quella è una guerra. Il limite è sempre più in alto. L'unico momento in cui la Presidente del Consiglio si è fatta sentire è quando ci sono stati gli spari contro delle chiese cristiane, e va bene! Va bene, ma per 60.000 morti no, non si è fatta sentire. E il limite è sempre più avanti.

Ora, di fronte a una vergogna totale - perché quel video di Trump, il primo video di Trump, con la riviera di Gaza sembrava fantascienza, invece no, era un obiettivo -, arrivano a spianare una terra, arrivano a deportare le persone, le poche sopravvissute, per fare una speculazione immobiliare, dove sicuramente qualcuno, anche italiano, guadagnerà, perché sicuramente ci sarà anche qualche interesse nel finanziare tutto quello.

Cosa arriverete a dire per giustificare anche questa cosa? Perché la troverete una motivazione per giustificare anche questo. Allora, vedete, oggi sta morendo Gaza - perché Gaza sta morendo - perché, purtroppo, il riconoscimento dello Stato di Palestina - che noi chiediamo e che voi vigliaccamente non avete votato mai, mai - non esiste più, non è mai esistito e mai esisterà, perché non esiste più il popolo. Purtroppo siamo oltre. Purtroppo Gaza sta morendo, ma stanno morendo i valori occidentali; l'Europa anche è morta, perché è finita tutta la narrazione dei valori, dei nostri valori, che ci hanno costruito. È finita, perché un'Europa e un Occidente complici di questo genocidio e di questo massacro non hanno più autorevolezza morale di dire più nulla (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Avete seppellito pagine di storia, libri, film. Avete seppellito tutto. Quando si leggono i libri di storia e ci si chiede: ma, di fronte ai massacri che l'umanità faceva e che ha compiuto nei secoli dei secoli, i contemporanei come facevano? Ma non vedevano? Ebbene, la risposta è questa: come fanno i contemporanei di un massacro, di un genocidio, a convivere e ad essere complici? Fanno così.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

RICCARDO RICCIARDI (M5S). Fanno così, come state facendo voi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Guardatevi allo specchio, fanno proprio così (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, sullo stesso argomento, il deputato Giachetti. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI (IV-C-RE). Grazie, signora Presidente. Ci uniamo alla richiesta che è stata avanzata da altri gruppi, affinché il Governo venga in Aula e venga a riferire non solo sulla base delle valutazioni che di tanto in tanto leggiamo sui social o sui media, ma anche a proposito di quali sono le iniziative che il Governo intende intraprendere per contribuire a fare in modo che lo scempio, il dramma che si sta consumando a Gaza venga interrotto.

Io penso, signora Presidente, che forse è arrivato il momento che, con tutto il rispetto per il Ministro Tajani, la Presidente del Consiglio venga in Aula e provi a fare un ragionamento che vada oltre la valutazione e la presa d'atto di quello che accade - anche la condanna di quello che accade -, ma ci dica qual è il ruolo che il Governo intende svolgere, anche alla luce del fatto che, tolto Donald Trump, ormai in tutti i Paesi quantomeno europei - direi che basta vedere quello che accade a livello internazionale, dalla Germania alla Gran Bretagna, alla Spagna - si sta forzando, anche con iniziative, per ottenere che si interrompa il dramma che si sta consumando in terra di Gaza.

È davvero impensabile che, in un contesto di questo tipo, il Governo non senta l'esigenza di venire in Parlamento; ripeto, a prescindere da qualunque valutazione e commento che si può fare a livello accademico o meno. Ma questo è il Parlamento italiano, questo è il luogo nel quale il Governo si confronta, anche con la sua maggioranza, e noi pensiamo che ormai non sia più procrastinabile una presenza ai massimi livelli del Governo e, quindi, attraverso la presenza della Presidente del Consiglio che venga a riferire in Aula. Ovviamente, ahimè, gli aggiornamenti di quello che accade a Gaza li abbiamo minuto per minuto, ma ci venga a dire quali sono le iniziative che il Governo intende prendere - ripeto - per contribuire a fermare un'azione che non è più giustificabile da nessun punto di vista (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Riferirò al Presidente delle richieste appena giunte dai diversi gruppi.

Ha chiesto di parlare su un altro argomento, sempre sull'ordine dei lavori, il deputato Richetti. Ne ha facoltà.

MATTEO RICHETTI (AZ-PER-RE). Grazie, Presidente. Il nostro gruppo si unisce anche rispetto alla richiesta avanzata da tutti i colleghi dell'opposizione, ma ho chiesto di intervenire per un'altra questione, che è relativa alle informazioni che nelle ultime 48 ore stiamo ricevendo circa l'impegno del nostro Paese sul fronte Est a seguito dell'incursione dei 19 droni russi su suolo polacco e, quindi, su suolo europeo.

C'è stato un approccio sacrosanto, dal punto di vista dei Paesi NATO, circa la risposta da mettere in campo. Non credo che il Parlamento possa leggere, via agenzie, di eventuali impegni che il Governo italiano assume - ripeto, anche giusti, legittimi - nell'ambito di quella risposta. Ci sono gruppi parlamentari, come il MoVimento 5 Stelle, che hanno posto pubblicamente la richiesta che questo dibattito non avvenga sulle agenzie ma in Parlamento. E io lo ribadisco e lo chiedo anche formalmente a lei Presidente, perché è vero che il Parlamento vota un atto complessivo delle missioni che interessano l'Italia, ma questo è un dato specifico, di grandissima attualità; con il Ministro della Difesa che, tra l'altro, ci informa che il nostro Paese non sarebbe pronto ad una difesa di fronte ad un eventuale attacco. Credo che tutto questo meriti comunicazioni del Governo, nella fattispecie del Ministro Crosetto, che consentano ai Gruppi di porre atti di indirizzo, come Parlamento, verso il Governo (Applausi dei deputati del gruppo Azione-Popolari Europeisti Riformatori-Renew Europe).

PRESIDENTE. Naturalmente riferirò al Presidente di questa richiesta.

Ha chiesto di parlare, sullo stesso argomento, l'onorevole Alifano. Ne ha facoltà.

ENRICA ALIFANO (M5S). Grazie, Presidente. Tra l'altro, il MoVimento…

PRESIDENTE. Aspetti, onorevole. Colleghi, lo dico a beneficio di tutti: c'è un secondo in cui si accende e si spegne il microfono. Deve aspettare che sia fisso. Lo so che i microfoni nuovi…prego.

ENRICA ALIFANO (M5S). Grazie, Presidente. C'è stato un riferimento, che ha appena fatto il collega Richetti, anche a quello che ha detto il MoVimento 5 Stelle e, cioè, che in una questione di somma importanza, come la postura che deve avere l'Italia in questa crisi - che si appresta ad essere una crisi internazionale di primo piano -, non debbano essere le agenzie di stampa a fornirci indicazioni e a fornirci informazioni. Quindi, anche noi ci associamo alla richiesta che è stata posta dal collega Richetti, che venga in Aula a riferire il Ministro della Difesa.

PRESIDENTE. Come ho detto rispondendo al collega Richetti, riferirò al Presidente di queste richieste.

Discussione del disegno di legge costituzionale: Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare (Approvato, in prima deliberazione, dalla Camera e approvato, senza modificazioni, in prima deliberazione, dal Senato) (A.C. 1917-B​) (ore 15,30).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge costituzionale, già approvato, in prima deliberazione, dalla Camera e approvato, senza modificazioni, in prima deliberazione, dal Senato n. 1917-B: Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione generale - già anticipato ai gruppi per le vie brevi - è in distribuzione e sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Vedi l'allegato A).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1917-B​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

I presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista e MoVimento 5 Stelle ne hanno chiesto l'ampliamento.

La I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, presidente della Commissione affari costituzionali, deputato Nazario Pagano.

NAZARIO PAGANO, Relatore. Grazie, gentile Presidente. Onorevoli colleghi, parlo in questa fase anche a nome dei due colleghi, che ringrazio da subito per il contributo che hanno dato nel corso di questo lungo periodo in cui sono stati relatori con me, e cioè l'onorevole Bordonali e l'onorevole Michelotti. Grazie. In questa fase introduttiva interverrò solo io, loro interverranno in replica.

L'Assemblea avvia oggi la discussione ai fini della seconda deliberazione, come è stato anticipato, del disegno di legge costituzionale n. 1917-B: Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e istituzione della Corte disciplinare - più noto come riforma sulla separazione delle carriere dei magistrati -, approvato già in prima deliberazione dalla Camera e, senza modificazioni, anche dal Senato.

Ricordo che il disegno di legge di revisione costituzionale torna all'esame dell'Assemblea dopo essere stato approvato, nella seduta del 22 luglio di quest'anno, nell'identico testo approvato, in prima lettura, dall'Assemblea della Camera nella seduta dello scorso 16 gennaio 2025. L'esame in sede referente ai fini della seconda deliberazione del disegno di legge costituzionale ha avuto inizio il 29 luglio del 2025 e si è concluso il 16 settembre. Si tratta, quindi, della seconda deliberazione prevista nei progetti di legge costituzionale dall'articolo 138 della Costituzione.

In proposito, ricordo che in base all'articolo 98 del Regolamento della Camera, quando un progetto di legge costituzionale è trasmesso dal Senato nello stesso testo già adottato dalla Camera, l'intervallo di tre mesi per procedere alla seconda deliberazione decorre dalla data della prima deliberazione della Camera. Inoltre, in base all'articolo 99 dello stesso Regolamento, ai fini della seconda deliberazione, la Commissione competente riesamina il progetto nel suo complesso e riferisce all'Assemblea. Non è prevista, pertanto, la presentazione di emendamenti in questa fase, era giusto ricordarlo in questa fase introduttiva.

Quanto all'oggetto del disegno di legge in esame, ricordo, anche se è noto a tutti, essendo questa la terza lettura, che è il prevedere la separazione delle carriere dei magistrati in requirenti e giudicanti. Tutto questo prevede due distinti organi di autogoverno: il Consiglio superiore della magistratura giudicante e il Consiglio superiore della magistratura requirente. Rilevo che una delle principali innovazioni concernenti i due organi di autogoverno attiene alla composizione degli stessi.

Nello specifico, però, la presidenza di entrambi gli organi, voglio ricordarlo, è sempre attribuita al Presidente della Repubblica, mentre sono membri di diritto del Consiglio superiore della magistratura giudicante e di quella requirente, rispettivamente, il primo presidente della Corte di cassazione e il procuratore generale della Corte di cassazione. Gli altri componenti di ciascuno dei Consigli superiori sono estratti a sorte, per un terzo da un elenco di professori e avvocati compilato dal Parlamento in seduta comune e per i restanti due terzi, rispettivamente, tra i magistrati giudicanti e tra quelli requirenti.

Si prevede, inoltre, che i vicepresidenti di ciascuno degli organi siano eletti tra i componenti sorteggiati nell'elenco compilato dal Parlamento. Evidenzio che un ulteriore elemento di novità attiene all'istituzione dell'Alta Corte disciplinare, cui è attribuita la giurisdizione disciplinare nei confronti dei magistrati ordinari, tanto giudicanti che requirenti. Il disegno di legge prevede, quindi, la possibilità di impugnare le sentenze dell'Alta Corte dinanzi all'Alta Corte medesima, che giudica in composizione differente rispetto al giudizio di prima istanza.

Più nel dettaglio, l'articolo 1 interviene sull'articolo 87, decimo comma, della Costituzione, che include tra i poteri del Presidente della Repubblica la presidenza del Consiglio superiore della magistratura. A seguito della modifica apportata, si prevede che il Presidente della Repubblica presieda tanto il Consiglio superiore della magistratura giudicante quanto, come ho spiegato poco fa, quello di quella requirente. L'articolo 2, invece, modifica il primo comma dell'articolo 102 della Costituzione, al fine di precisare che le norme sull'ordinamento giudiziario che regolano la funzione giurisdizionale esercitata dai magistrati ordinari devono altresì disciplinare le distinte carriere dei magistrati.

L'articolo 3 sostituisce integralmente l'articolo 104 della Costituzione. Per quanto invece concerne il terzo comma del nuovo articolo 104, il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione, già membri di diritto del vigente CSM, sono membri di diritto. Per quanto concerne i membri non di diritto, tanto del CSM giudicante quanto di quello requirente, il quarto comma del nuovo articolo 104 stabilisce una proporzione tra i membri cosiddetti laici e quelli togati, analoga a quella prevista dall'attuale quarto comma dell'articolo 104 della Costituzione.

Ma veniamo all'articolo 4, che sostituisce integralmente l'articolo 105 della Costituzione, al fine di ripartire tra i due neoistituiti Consigli superiori della magistratura, giudicante e requirente, le competenze che attualmente spettano al Consiglio superiore della magistratura, fatta eccezione per la competenza a decidere sull'azione disciplinare, che, come abbiamo detto, sarà affidata all'Alta Corte. Aggiungo che nella composizione dell'organo è prevista la prevalenza della componente togata perché, come è così già oggi, resterà per due terzi la componente togata e per un terzo quella laica.

Per quanto riguarda, invece, il quarto comma del nuovo articolo 105 della Costituzione, precisa che il presidente dell'Alta Corte viene eletto tra i componenti nominati dal Presidente della Repubblica e tra quelli estratti a sorte dall'elenco formato dal Parlamento in seduta comune, mentre il quinto comma ne prevede la durata in carica di quattro anni. L'articolo 5 interviene sull'articolo 106, terzo comma, della Costituzione, che disciplina la designazione a consiglieri di Cassazione, per meriti insigni, di professori ed avvocati, in virtù dell'istituzione di due distinti Consigli, uno per la magistratura giudicante e uno per la magistratura requirente.

Il disegno di legge del Governo specifica che la designazione a consiglieri di Cassazione avvenga su designazione del Consiglio superiore della magistratura giudicante. Gli articoli 6 e 7 del disegno di legge recano modifiche di coordinamento rispettivamente agli articoli 107 e 110. Infine, l'articolo 8 del disegno di legge reca disposizioni transitorie. Ma vorrei dire qualcosa, se mi consente, Presidente, di merito rispetto a questa riforma. Ecco, noi credo - e parlo a nome anche dei colleghi Michelotti e Bordonali - ci troviamo davanti ad un passaggio che definirei storico.

Con la separazione delle carriere approviamo sì una riforma costituzionale nei termini che ho appena affrontato, ma, allo stesso tempo, stiamo dando piena attuazione ad un principio di civiltà giuridica: quello del giudice terzo, realmente indipendente, distinto dall'accusa e dalla difesa, come spesso viene ricordato dal Vice Ministro Sisto, che oggi è qui, e che riguarda, appunto, l'articolo 111 della Costituzione.

Per troppo tempo il nostro ordinamento ha tollerato una sovrapposizione che ha prodotto purtroppo spesso storture, ha alimentato il potere delle correnti in magistratura e allontanato i cittadini dalla fiducia nella giustizia. Separare le carriere significa invece garantire equilibrio, trasparenza, parità effettiva tra le parti. Significa restituire ai magistrati stessi una condizione di serenità e di libertà, perché nessuno possa più confondere ruoli e funzioni o ipotizzare condizionamenti reciproci. Come presidente della Commissione affari costituzionali e relatore del provvedimento, insieme ai colleghi, voglio rivendicare - consentitemelo con orgoglio - la qualità dell'istruttoria svolta.

Voglio ricordare che di questo tema, di questa materia, ci si è occupati già con quattro distinti disegni di legge di iniziativa parlamentare, di cui due promossi da gruppi di maggioranza, ma due da gruppi appartenenti alle opposizioni. È stata fatta una lunga istruttoria, iniziata nel febbraio del 2023, fino al luglio del 2024, come è stato ricordato proprio questa mattina in Commissione. In quel momento è intervenuta, evidentemente affrontando e facendo anche tesoro delle tante indicazioni e suggerimenti che erano venuti durante la discussione, la proposta di legge del Governo, appunto nel luglio del 2024.

Tra luglio e dicembre dello scorso anno abbiamo condotto un'approfondita attività conoscitiva. Quindi si è ripresa l'istruttoria che era stata già iniziata nel febbraio 2023 ed è andata avanti fino al dicembre 2024, ascoltando decine e decine di voci autorevoli, accademici, magistrati, avvocati, costituzionalisti.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

NAZARIO PAGANO, Relatore. Un confronto vero - vado alla conclusione -, serio, che ha permesso di esaminare con rigore e responsabilità ogni aspetto della riforma. Oggi l'Aula è chiamata a confermare quella scelta con la consapevolezza che si tratta di una riforma attesa da decenni. Una riforma che non nasce contro qualcuno, ma a favore di tutti: dei cittadini, che hanno diritto ad una giustizia imparziale; degli avvocati, che devono poter difendere ad armi pari; ma soprattutto, mi si consenta, dei magistrati stessi, che vedranno tutelata la loro indipendenza da pressioni e logiche correntizie. Vado a chiudere.

Oggi mi sento di fare un riferimento anche a Silvio Berlusconi. Per lui questa era una battaglia di civiltà. Indicò al Paese quando pochi ebbero il coraggio (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE e di deputati del gruppo Fratelli d'Italia)

PRESIDENTE. Onorevole, come le ho detto, ha esaurito i suoi tempi. No, ha proprio esaurito i tempi, mi dispiace. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo. Si intende che si riserva di farlo in un secondo momento. È iscritto a parlare il deputato Andrea Gentile. Ne ha facoltà.

ANDREA GENTILE (FI-PPE). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, signor Vice Ministro, la questione giustizia è oggi in Italia la questione fondamentale perché ad essa sono ineludibilmente legate le sorti dello Stato di diritto e da essa dipende la nostra democrazia. In questo senso, discutere di separazione delle carriere tra magistratura requirente e magistratura giudicante significa affrontare un tema che riguarda la qualità stessa della nostra democrazia e la fiducia dei cittadini nel sistema giudiziario. Si tratta di una riforma che tocca il cuore stesso dell'architettura costituzionale del nostro Paese e che ha suscitato un rilevante dibattito sociale e politico.

Non si tratta, come qualcuno ha osservato, di un dibattito ideologico, ma di un passo di chiarezza e di coerenza istituzionale che riguarda l'assetto ordinamentale della giurisdizione e il principio cardine della terzietà del giudice. Una riforma opportuna, una riforma per noi dovuta, e ho assistito, con grande interesse, al dibattito che ha riguardato questo provvedimento, il dibattito che ha testé ricordato il presidente della Commissione, l'onorevole Nazario Pagano, che ringrazio, e ho sentito le varie opinioni dei gruppi di maggioranza e, in particolare, quella dei gruppi di opposizione e ho sentito delle affermazioni pesanti, a mio giudizio, in alcuni casi anche gravi, espressioni che ci vorrebbero come coloro che manomettono la Carta fondamentale della nostra democrazia, come coloro che spaccano gli equilibri e i poteri dello Stato. È stata dipinta anche una resa di conti di Forza Italia e del nostro partito nei confronti del controllo di legalità, di impunità. Nulla di più falso e non veritiero e riteniamo che su questo debba essere condotta un'operazione verità, un'operazione di chiarezza, perché occorre dire seriamente e chiaramente come stanno le cose.

Per questo, Presidente, voglio partire dai numeri, da quei numeri che sono ineludibili e che rappresentano lo spaccato del sistema giudiziario del nostro Paese. Dal 1992 ad oggi più di 30.000 persone sono state risarcite dallo Stato perché arrestate ingiustamente, oltre il 50 per cento dei processi di primo grado finisce con l'assoluzione e più del 40 per cento delle impugnazioni si conclude con la riforma totale o parziale della sentenza di primo grado. Assistiamo - ed è capitato di assistere più volte - ad un processo capovolto, focalizzato sulle ragioni dell'accusa e sulla fase cautelare ma non sulla sentenza. Rileva ancora la lentezza dei processi, non solo nel settore civile ma anche in quello penale, e per quanto riguarda i diritti civili si assiste troppo spesso alla violazione dell'articolo 15 della nostra Costituzione, ossia il diritto di segretezza delle conversazioni tra cittadini, conversazioni che non dovrebbero essere divulgate alla pubblica opinione come spesso - ribadisco - purtroppo accade.

Perché ho voluto fornire questi esempi? Perché ho voluto fornire a tutti voi, oggi in quest'Aula, gli esempi di degenerazione del sistema giudiziario, questi esempi basati su dati fattuali? Per spiegare quello che Forza Italia, che è il nostro partito, il nostro movimento politico, chiede da sempre, che è anche quello che molti chiedono, ossia che sia assicurata la piena autonomia e terzietà del giudice, la cui azione deve essere ispirata all'applicazione della legge e non al perseguimento di forme di giustizia sostanziale, che sia garantita la parità delle parti nel procedimento mediante quel regime di separazione fra il ruolo di chi giudica e il ruolo di chi accusa, che è proprio di tutti gli ordinamenti giudiziari democratici, che sia ancora garantito che non siano consentite incriminazioni o, peggio ancora, condanne in base a interpretazioni estensive, analogiche o, comunque, non letterali, che consentano indagini e sentenze soggettive e politicamente orientate e che, in definitiva, ci sia un processo giusto e una giustizia giusta. Questo è quello che chiede Forza Italia da oltre trent'anni (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE). Ebbene, finalmente dopo trent'anni, tutto ciò, grazie a questa riforma, potrà diventare realtà.

Mi soffermo su quello che è il cuore della riforma, ovvero l'articolo 3, che riscrive completamente l'articolo 104 della Costituzione, che introduce la nota distinzione tra carriera requirente e giudicante, facendo sì che le funzioni di pubblico ministero e di giudice siano completamente distinte. Al contempo, però, non possiamo non osservare un dato ineludibile, cioè come l'attuale ordinamento giudiziario e la sua strutturazione, che colloca i magistrati giudicanti e requirenti in un'unica carriera, rispondeva a un contesto assolutamente diverso, un contesto storico mutato nel quale si riteneva che la comunanza rappresentasse un presidio di indipendenza. Forse molti di coloro che formulano obiezioni a questa riforma dimenticano, però, che l'evoluzione del processo penale, a partire dal 1988, ha completamente trasmutato il quadro di riferimento. È la stessa introduzione del modello accusatorio, fondato sulla netta distinzione tra giudice e accusatore, che ha reso plasticamente evidente la necessità di una modifica dell'assetto ordinamentale (non dell'assetto funzionale, ma dell'assetto ordinamentale, che è cosa ben diversa). Lo stesso Ministro Vassalli, più volte citato, senatore, insigne giurista, autore del codice di procedura penale, del nuovo codice del 1989, il giorno dopo l'approvazione del codice evidenziava, lui stesso, le palesi incongruenze, i rischi e le incompatibilità del sistema, affermando chiaramente che bisognava procedere alla separazione delle carriere altrimenti quel procedimento, trasformato da rito inquisitorio a rito accusatorio, non avrebbe avuto alcun senso. Anche la Corte costituzionale, a più riprese, ha sottolineato il principio e la forte valenza assiologica della terzietà del giudice come non soltanto regola processuale, ma garanzia costituzionale di rango primario.

La cosa più importante, che ancora taluni - non so se dolosamente o colposamente - dimenticano, è l'articolo 111 della Costituzione, che circa 25 anni fa è stato riformato con la previsione espressa di un giudice terzo, indipendente e imparziale, con indicazione di un contraddittorio tra accusa e difesa in condizioni di parità, prerogativa che è divenuta fonte di tutela anche da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo. Ecco perché oggi, proprio alla luce di tali previsioni, delle previsioni del codice di procedura penale, delle previsioni, soprattutto e in particolare, del nostro dettato costituzionale, chi accusa e chi giudica non può più appartenere alla stessa logica di carriera senza generare, se non un'effettiva commistione, quantomeno una forte vicinanza culturale e istituzionale che rischia di minare l'imparzialità del processo e, di conseguenza, la fiducia dei cittadini verso la macchina della giustizia.

In molti ordinamenti democratici ed evoluti questa distinzione è realtà già da tempo, ma in questi ordinamenti non c'è stata alcuna compromissione della forza dell'azione penale né della libertà del giudice, anzi vi è stato un innalzamento della trasparenza e della credibilità dell'amministrazione della giustizia. Separare le carriere significa rafforzare quindi, in questo senso, l'equilibrio del processo penale: il giudice deve essere terzo non soltanto per norma, non soltanto per funzione, ma deve esserlo per cultura istituzionale e per cultura ordinamentale; il pubblico ministero deve esercitare l'azione penale con indipendenza, senza mai confondersi con chi è chiamato a decidere. Detto altrimenti, il PM è colui che promuove l'azione penale, ma il controllore del suo operato è il giudice, che deve appartenere ad un ordine diverso perché controllore e controllato devono essere autonomi, devono essere distinti. Sono, infatti, funzioni diverse che meritano, quindi, percorsi professionali autonomi, percorsi diversi, percorsi formativi distinti e logiche di avanzamento differenziate.

Il nostro dovere è dunque quello, in questa sede, di rafforzare le istituzioni, di compiere una scelta di chiarezza, di trasparenza, di rispetto verso i cittadini, di compiere un passo avanti verso una giustizia che sia una giustizia maggiormente comprensibile, più equa, più credibile.

Ecco perché con questo provvedimento si disciplina l'istituzione e la formazione di due differenti CSM - uno per la magistratura giudicante e uno per quella requirente, entrambi presieduti dal nostro Presidente della Repubblica - e perché il provvedimento prevede che tutti i membri del CSM siano nominati a sorteggio. L'introduzione del sorteggio, meccanismo più volte criticato, rappresenta, invece, a nostro avviso, un importante strumento di contrasto alla logica delle varie correnti, spesso al centro di pesanti scontri e spartizioni, unitamente alla previsione dell'Alta Corte disciplinare che sarà chiamata ad amministrare la giurisdizione disciplinare nei confronti dei magistrati ordinari, sia che essi siano giudici, sia che siano PM.

Questa riforma quindi non limita, ma, a nostro avviso, rafforza le garanzie, chiarisce i ruoli, rafforza la terzietà e consolida la fiducia dei cittadini nella giustizia, allineando il nostro ordinamento ai modelli delle principali democrazie liberali.

Votare a favore di questo provvedimento - mi sia consentito - significa, dunque, agire in ossequio al codice di procedura penale, al dettato costituzionale, attualizzare i principi costituzionali e processuali alla luce delle esigenze moderne senza stravolgere, ma anzi consolidando in maniera maggiore le garanzie di indipendenza e di imparzialità della giurisdizione.

Abbiamo il dovere di dissipare quei dubbi di sistema che nascono dalla contiguità dei ruoli. Abbiamo il dovere - mi sia consentito Presidente - di riaffermare il primato della politica, poiché non si tratta, come in maniera riduttiva è stato, a mio avviso, affermato, di mettere l'Esecutivo sotto il pubblico ministero ovvero di mettere il pubblico ministero sotto l'Esecutivo; ma in assenza, tra l'altro, di una previsione espressa che deponga in questo senso - poiché non c'è una previsione di legge che deponga in questo senso, credo che bisogna riaffermare il primato della politica perché riteniamo sia un dovere porre un argine a quegli squilibri che si sono consolidati nel corso degli anni e che non rispondono a una fisiologica distribuzione tra i poteri dello Stato, tenendo a mente alcuni principi fondamentali, cardine del nostro ordinamento, secondo cui le leggi le scrive il Parlamento, la magistratura le applica e il cittadino le osserva (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE).

Allora, finché il sistema ordinamentale sarà questo, finché ci sarà questo Parlamento, noi saremo tenuti a scrivere le leggi e separare le carriere significa dunque restituire al giudice la sua veste naturale ovvero quella di arbitro imparziale e non di collega del pubblico ministero.

E non si venga a dire che questa riforma è un attacco alla magistratura perché, al contrario, è un atto di rispetto verso la magistratura stessa, è un modo per rafforzarne l'autorevolezza, perché un giudice sarà percepito in maniera chiara e trasparente se, come terzo, sarà lontano, avulso dalle logiche di accusa. Non è una riforma contro la magistratura. È una legittima prerogativa in difesa dell'indipendenza dei giudici, in difesa dello Stato di diritto, in difesa dei diritti e della libertà dei cittadini, tenendo a mente, quale riferimento, un principio essenziale, che per noi è fondamentale: il principio della presunzione di innocenza. Perché riteniamo, Presidente, che la potestà punitiva dello Stato non possa e non debba in alcun modo schiacciare le garanzie dei cittadini a favore dell'accusa e non del processo ed è nostro dovere riportare il processo alla sua fisiologia naturale.

Quello di oggi, dunque, rappresenta un passaggio epocale, un passaggio atteso da decenni, che segna la volontà di restituire piena credibilità e imparzialità al nostro sistema giudiziario: una battaglia storica di Forza Italia, fortemente voluta dal nostro presidente Silvio Berlusconi, che oggi diventa realtà grazie alla determinazione del nostro partito, grazie alla sua determinazione, Vice Ministro Sisto, alla determinazione del Ministro Nordio e a quella del Governo presieduto da Giorgia Meloni.

Noi oggi realizziamo un risultato storico, un atto di civiltà giuridica e di rispetto verso i cittadini onesti, verso i tantissimi magistrati che ogni giorno lavorano con dedizione, integrità e verso un Paese che merita, finalmente, una giustizia giusta.

Come ha ricordato, infine, il nostro segretario Antonio Tajani, non è una riforma contro qualcuno, ma è una riforma per tutti, per una giustizia che garantisca sicurezza, legalità e crescita. Siamo oggi solo a un passo dal traguardo definitivo e andremo avanti con responsabilità e coraggio per realizzare quel grande sogno liberale di questo Paese, nella consapevolezza che, se un uomo sogna da solo, il sogno rimane solo un sogno; se molti uomini sognano la stessa cosa, il sogno diventa realtà. E noi siamo pronti (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cuperlo. Ne ha facoltà.

GIANNI CUPERLO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Guardi, le confesso che è quasi imbarazzante per noi ripetere concetti che da mesi risuonano dentro quest'Aula e in quella del Senato, a partire dalla decisione di imporre una riforma costituzionale sottoposta sin dalla sua presentazione a una blindatura che non ha precedenti. Vice Ministro Sisto, a proposito delle sue risposte stamane in Commissione, per smentire quella blindatura non basta dire che il Parlamento è sovrano - questo è fuori discussione - e che non esiste alcun obbligo a modificare una riforma se la maggioranza che la presenta la ritiene perfetta così com'è. Tantomeno basta dire “applichiamo il nostro programma”, perché, in una democrazia, compito della maggioranza è confrontarsi su quel programma per individuare soluzioni il più possibile condivise, soprattutto quando in gioco sono elementi fondanti del nostro ordinamento costituzionale.

Signor Vice Ministro, in democrazia la sintesi la fa il Parlamento, non la maggioranza di Governo.

A noi non resta che confermare tutte le ragioni di una contrarietà a questo vostro disegno, che sono di metodo e di sostanza. Decine - decine - di audizioni hanno spiegato, in punta di dottrina, perché, con la separazione della magistratura requirente e giudicante, si assesta un colpo alle garanzie degli imputati, dando vita a un corpo di magistrati votati esclusivamente all'accusa.

Noi abbiamo indicato in Commissione, al Senato, qui alla Camera, soluzioni alternative, chiedendo che si intervenisse sui problemi materiali, quotidiani della nostra macchina giudiziaria: la durata dei processi, l'assunzione di magistrati, che oggi mancano, il rafforzamento del personale di cancelleria, l'implementazione del processo telematico, il rinnovamento strutturale delle sedi giudiziarie, la stabilizzazione dei componenti degli uffici del processo e, naturalmente, l'emergenza carceraria, dove le condizioni di vita superano oramai di gran lunga la soglia di quella che possiamo definire civiltà. Ripeto, argomenti noti, sui quali noi abbiamo insistito per mesi.

Allora, vorrei approfittare di quest'ultimo intervento nel dibattito generale per svolgere una considerazione, approfittando anche - lo saluto e lo ringrazio - della presenza del Ministro Nordio: una considerazione di ordine più politico. Noi ci siamo chiesti quale fosse il vero obiettivo di questa vostra controriforma e abbiamo evocato lo scenario peggiore: colpire quello che, negli anni, è stato definito il partito dei giudici, contrapposto a singole forze politiche o a singoli leader. Come sapete, anche su questo punto noi abbiamo valutazioni diverse. Pensiamo ai tanti magistrati, la stragrande maggioranza, capaci di esercitare il loro ruolo con assoluta indipendenza, che hanno recato, in tante occasioni e momenti della storia italiana, un contributo fondamentale alla lotta alle mafie e per la tutela dei diritti nel mercato del lavoro, da ultimo per la tutela dei cittadini stranieri, con sentenze che spesso hanno anticipato le scelte della politica.

Tutto questo non ha mai messo in discussione, per noi, la difesa delle garanzie per ogni individuo che, quando accusato, vive la sproporzione di forza tra un giudice, che ha dietro di sé la potenza dello Stato, e un imputato che, per quanto potente sia stato, dinanzi a quel giudizio è solo, a meno di non appoggiarsi sul contrappeso di un'organizzazione criminale.

E, d'altra parte - signor Ministro, lei, questo, ce lo insegna - sono stati sempre i magistrati più illuminati a rammentare l'antica formula di Montesquieu sulla consapevolezza del potere giudiziario, come un potere terribile; lui usava esattamente questo aggettivo. Condorcet avrebbe usato l'aggettivo “odioso”, perché, a differenza di ogni altro potere pubblico (legislativo, politico, amministrativo), quel potere decide della libertà e, dunque, della vita delle persone.

Ecco perché quello che definiamo garantismo non può mai ridurci a uno scontro politico, signor Ministro, perché è molto di più che una bega tra fazioni o parti: è l'essenza stessa del diritto. Senza le giuste garanzie, semplicemente viene meno la natura della giurisdizione e si aprono le porte a derive pericolose. Per questo, la teoria sul partito dei giudici è sempre stata un elemento di inquinamento del clima politico e sociale, in un Paese che dovrebbe invece ricostruire un sano equilibrio tra i poteri dello Stato. Ma, appunto per questo, la garanzia che giudici e pubblici ministeri siano autonomi da ogni altro potere, a partire da quello politico, è principio scolpito nella Costituzione. Il punto è che quel principio vale finché una maggioranza non abbia volontà o numeri, come in questo caso, per modificarlo: dall'obbligatorietà dell'azione penale a carriere uniche per giudici e pubblici ministeri. E, purtroppo, è precisamente quello che voi vi accingete a fare.

Presidente, qualche anno fa, un giurista raffinatissimo come Luigi Ferrajoli, in un intervento di alto profilo, indicò quelle che giudicava le massime della deontologia giudiziaria, muovendo precisamente da quel carattere terribile e odioso di questo potere. E da lì faceva derivare aspetti decisivi di quella deontologia: la consapevolezza del carattere relativo e incerto della verità processuale, il valore del dubbio e la permanente possibilità dell'errore, in fatto e in diritto, la disponibilità delle opposte ragioni, il rispetto di tutte le parti in causa, la capacità di suscitare la fiducia delle parti, anche degli imputati, il valore della riservatezza del magistrato riguardo ai processi di cui è titolare e - ultimo, ma non ultimo - il rifiuto anche solo del sospetto di una strumentalizzazione politica della giurisdizione.

Ecco, il nostro allarme è per una controriforma che, a nostro avviso, muove nella direzione opposta a quanto auspicato dalle più raffinate teorie del diritto e della stessa prassi costituzionale. E questo, signor Ministro, nel maggio del 1947 - l'abbiamo ricordato stamane nella Commissione; era presente il Vice Ministro Sisto -, il Presidente del Consiglio di allora, Alcide De Gasperi, espulse i Ministri comunisti da quel Governo. L'indicazione gli era giunta direttamente dal Segretario di Stato dell'amministrazione americana, George Marshall, quello del Piano Marshall: gli aveva detto che, se non uscivano i comunisti dal Governo, le risorse americane non sarebbero mai arrivate. E l'ambasciatore americano dell'epoca in Italia si rivolse al Presidente del Consiglio italiano dell'epoca e gli disse che non solo bisognava espellere i Ministri comunisti dal Governo, ma che Alcide De Gasperi avrebbe dovuto sciogliere l'Assemblea costituente e dare vita a una nuova stagione che mettesse ai margini le forze politiche che non erano comprese dentro quel disegno.

Il Presidente del Consiglio dell'epoca - uno dei più grandi e autorevoli statisti della storia repubblicana - effettivamente cambiò la formazione di quel Governo, ma respinse duramente l'invito a sciogliere l'Assemblea costituente, nella consapevolezza che le regole fondamentali del compromesso costituzionale, del patto repubblicano, dovessero essere scritte da tutte le culture politiche che avevano lottato contro il regime fascista. E in quei mesi successivi, in un clima di guerra fredda, che, di lì a poco, sarebbe esplosa, l'Assemblea costituente lavorò operosamente e scrisse quella Costituzione con il concorso di forze politiche che, dentro quest'Aula, sul terreno del confronto di Governo, si contrapponevano in maniera frontale. Quello è stato un ammonimento, un monito, una lezione, che, nella storia della Repubblica, abbiamo portato con noi a lungo, con un limite d'errore da entrambe le parti, ma mai, mai sino ad ora, con la volontà di uno stravolgimento di quel presupposto, di quel principio, che porta voi oggi a manomettere la Carta costituzionale con un atto puramente unilaterale.

Mancano pochi secondi. Io voglio solo dire, signor Ministro, che di una cosa però siamo certi ed è che, alla fine, su tutto questo avranno modo di giudicare gli italiani in un referendum che ci vedrà impegnati per arginare quella logica muscolare con la quale questa maggioranza sceglie di manomettere parte della nostra Carta. Non prendetela, non la prenda, signor Ministro, come una minaccia. Per noi è semplicemente un impegno solenne, che speriamo possa affrettare il vostro congedo da quei banchi, dove oggi state, comodamente e colpevolmente, seduti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Alessandro Colucci. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO COLUCCI (NM(N-C-U-I)M-CP). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, signore e signori del Governo, mi fa piacere vedere in Aula il Ministro Nordio e il Vice Ministro Sisto. Mi rivolgo a quest'Aula con l'intento di contribuire al dibattito generale su questo disegno di legge che ha una portata storica. Ovviamente, quella che abbiamo oggi in Aula, non è una discussione di tipo ordinario, ma, con la separazione delle carriere tra magistratura giudicante e requirente, scriviamo una pagina nuova per la giustizia italiana, una pagina che i cittadini attendono da decenni.

È bene chiarirlo subito: questa riforma non mette in discussione l'indipendenza della magistratura, principio cardine scolpito nella nostra Costituzione e irrinunciabile presidio di libertà. Al contrario, ne rafforza le garanzie, separando con chiarezza ruoli e funzioni, che, per troppi anni, sono rimasti intrecciati in un legame ambiguo e fonte di sospetti.

Permettetemi di partire dal contesto storico e costituzionale. La nostra Repubblica, nata dalle ceneri del fascismo e forgiata dai principi della Costituzione del 1948, ha sempre posto al centro la magistratura come garante dell'ordine giuridico e della tutela dei diritti. Tuttavia, il modello attuale che vede giudici e pubblici ministeri condividere le stesse carriere, lo stesso percorso formativo e spesso gli stessi uffici ha mostrato nel tempo i suoi limiti strutturali. Questa promiscuità, ereditata da un'epoca in cui le esigenze erano diverse, rischia di minare l'imparzialità del giudizio, alimentando dubbi e sospetti nella percezione pubblica. Questa riforma nasce dalla consapevolezza che, troppo a lungo, la giustizia in Italia è stata percepita come un terreno opaco, condizionato da logiche corporative e dinamiche interne che hanno allontanato i tribunali dalla fiducia dei cittadini. Troppo spesso, abbiamo assistito a inchieste trasformate in processi mediatici, a carriere costruite nelle stanze delle correnti e a decisioni disciplinari inquinate da equilibri di potere. Tutto questo ha prodotto sfiducia, disillusione e, talvolta, persino paura.

La separazione delle carriere è una riforma di verità e di libertà: di verità, perché finalmente mette ognuno al proprio posto, il giudice terzo e imparziale, il pubblico ministero parte del processo - titolare, quindi, dell'azione penale - e la difesa in piena parità; di libertà perché restituisce ai cittadini il diritto a un processo davvero equo, senza zone grigie, senza sospetti e senza commistioni.

Con il testo approvato in prima deliberazione da entrambe le Camere, la magistratura viene riconosciuta come un ordine unitario, autonomo e indipendente, ma articolato in due carriere distinte: quella del giudice e quella del pubblico ministero. A ciascuna di esse viene attribuito un proprio Consiglio superiore, presieduto sempre dal Capo dello Stato, a garanzia della continuità istituzionale e dell'equilibrio complessivo. Si istituisce, inoltre, un'Alta Corte disciplinare, terza e imparziale, giudice dei comportamenti dei magistrati, composta da figure autorevoli e indipendente da appartenenze correntizie.

Questa riforma è necessaria, anzitutto per un principio di trasparenza e di certezza, perché il giudice deve essere e apparire terzo rispetto alle parti del processo mentre il pubblico ministero è parte processuale, portatore di una tesi.

Se il giudice e il PM appartengono alla medesima carriera, se condividono percorsi professionali, se possono addirittura scambiarsi di ruolo, il cittadino avrà sempre il dubbio che non vi sia piena imparzialità. Non è sufficiente che il giudice sia indipendente, è necessario che appaia tale. Allora, noi respingiamo, Presidente, l'idea che questa riforma sia un atto di ritorsione o di attacco alla magistratura. Crediamo, invece, che l'elemento importante, legato alla separazione delle carriere, che abbiamo sempre annunciato, ha finalmente mosso i primi passi nel percorso legislativo, che spero porti presto alla sua definitiva conclusione.

È una riforma su cui si può essere in dissenso, certamente, ma su cui sono concordi tante forze garantiste presenti in Parlamento, che vanno oltre la maggioranza di centrodestra, e anche molti magistrati. Io vorrei ricordare ai colleghi, a beneficio del dibattito, innanzitutto, che è difficile non citare colui che deve unire, senza distinzioni di parte. Mi riferisco a un magistrato importante, Giovanni Falcone e alle parole rilasciate nell'intervista a Mario Pirani su la Repubblica il 3 ottobre del 1991. Si parlava della riforma Vassalli, del nuovo codice di procedura penale, e Falcone disse: “Un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pubblico ministero che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento, dove egli rappresenta una parte in causa.

Gli occorrono, quindi, esperienze, competenze, capacità, preparazione anche tecnica per perseguire l'obiettivo. E nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para-giudice. Il giudice, in questo quadro, si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti. Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e PM siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri”.

Queste sono le parole nell'intervista del 1991 rilasciata a Mario Pirani da parte di Falcone. Basterebbero queste semplici valutazioni per sgombrare il campo da ogni dubbio sul fatto che l'indipendenza della magistratura possa essere conculcata dalla separazione delle funzioni inquirenti e giudicanti. Ma aggiungo, sempre affidandomi alle parole di un altro autorevole e non certo remissivo magistrato, riferite proprio alla riforma in discussione, le parole sono queste, le recito testualmente: “ Fino a prova contraria, la separazione delle carriere dei magistrati, per come prospettata finora dal Parlamento, non modifica in alcun modo l'articolo 104 della Costituzione, a norma del quale la magistratura, sia quella giudicante che inquirente, sono e restano un ordine indipendente da qualsiasi altro potere dello Stato e, quindi, demonizzare la riforma a priori (…) mi pare una forzatura ideologica”.

Lo diceva, non senza sorpresa e mai avrei creduto di citare le parole del già Ministro, magistrato e parlamentare Antonio Di Pietro, e di condividerle una ad una. Ciò non dimostra che io, il Governo, il centrodestra e altri, come Azione e +Europa, in rappresentanza di un'anima radicale e garantista, e Antonio Di Pietro abbiamo ragione, ma dimostra che questa riforma, come ogni riforma, va valutata con obiettività, senza pregiudizi.

L'ostilità alla separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici è ancora più incomprensibile se si considera che non è certo l'elemento più rivoluzionario contenuto nella riforma della giustizia approvata alla Camera nella prima delle quattro letture necessarie. Attualmente, il passaggio tra le due funzioni è consentito una sola volta. Non è, quindi, una sfiducia verso i magistrati, che svolgono con dedizione un compito difficile. È piuttosto la volontà di eliminare un'ambiguità strutturale, di modernizzare il sistema giudiziario e di garantire la piena parità tra accusa e difesa. In un processo giusto tutte le parti devono avere lo stesso peso.

Separare le carriere significa sancire che il pubblico ministero non è collega del giudice, ma controparte al pari della difesa, ed è una questione di democrazia. Molti ordinamenti democratici, ad esempio quello francese e quello spagnolo, hanno già intrapreso questa strada. Con questa riforma l'Italia si allinea agli standard europei più avanzati, colmando un ritardo che troppo a lungo ha pesato sulla nostra credibilità. Penso al tema anche dei capitali esteri, perché la certezza del diritto è condizione essenziale per attrarre investimenti a favore della crescita economica. È un problema, quindi, ed è un tema di competitività.

Un altro aspetto cruciale - vi ho già fatto riferimento - riguarda i Consigli superiori. L'esperienza ci ha insegnato quanto il CSM sia stato negli anni esposto al rischio di degenerazioni correntizie. Con la riforma ciascun Consiglio sarà chiamato ad occuparsi esclusivamente della propria carriera, riducendo concentrazioni di potere e introducendo meccanismi di sorteggio che rendono più trasparente la scelta dei componenti. È una scelta di rigore ed equilibrio istituzionale.

Poi da questo punto di vista il Ministro e il Vice Ministro sanno molto bene che come Noi Moderati avevamo un'idea diversa rispetto al sorteggio relativo alla parte eletta dal Parlamento, ma abbiamo compreso che l'importante era correre velocemente verso una riforma necessaria, e quindi abbiamo condiviso che il sorteggio appartenesse a entrambe le nomine, quelle laiche e quelle togate. E per venire invece all'altra grande novità, l'Alta Corte disciplinare rappresenta un'innovazione decisiva.

La giurisdizione disciplinare non sarà più esercitata dal medesimo Consiglio che decide carriere e trasferimenti, ma da un organo terzo, composto da magistrati di lunga esperienza e da giuristi di riconosciuta autorevolezza. Ciò ci garantisce imparzialità, spezza legami di appartenenza e restituisce credibilità al sistema disciplinare. Qualcuno parla di attacco alla magistratura. Io dico l'opposto: questa riforma è un atto di rispetto verso i magistrati perché li libera dal sospetto, li protegge dal rischio di conflitti interni e restituisce dignità e autorevolezza al loro ruolo.

È un patto di rispetto anche verso i pubblici ministeri, che continueranno a essere indipendenti, ma con la forza di un proprio Consiglio superiore e non più subalterni alle logiche di un organo unico. Altri temono che possa essere il preludio a un controllo politico dell'accusa. Nulla di più infondato! La riforma mantiene intatto il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale e assicura che i PM siano governati da un proprio Consiglio autonomo e indipendente. Separare le carriere significa depoliticizzare la giustizia e non politicizzarla.

È inutile negare che il cittadino comune non giudica la giustizia leggendo i manuali di diritto, ma la giudica dall'esperienza quotidiana. Oggi, troppo spesso, ha la sensazione che il processo sia squilibrato, che la difesa parta già in svantaggio e che il PM abbia un rapporto privilegiato con chi giudica. Questa percezione mina il rapporto di fiducia tra istituzioni e popolo. Separare le carriere significa dire ai cittadini: “Fidatevi, il giudice è davvero indipendente. Fidatevi, accusa e difesa sono davvero sullo stesso piano. Fidatevi, perché finalmente la giustizia è dalla vostra parte”. Ogni riforma incontra resistenze.

Ci sarà chi tenterà di dipingerci come demolitori della Costituzione, ma la verità è che noi siamo i suoi autentici custodi, perché questa riforma non indebolisce i principi fondamentali, ma li rafforza. Non intacca l'obbligatorietà dell'azione penale, non riduce l'autonomia dei magistrati; rende più chiari i ruoli e più trasparenti le regole. Non è certamente una rottura, ma è un rafforzamento. Ripeto, questa è una riforma di libertà.

Libertà per i cittadini, che avranno la certezza di essere giudicati da un magistrato davvero indipendente; libertà per i giudici, che potranno esercitare il loro ruolo senza sospetti; libertà per i pubblici ministeri, che non saranno più accusati di avere un rapporto privilegiato con chi decide.

Non solo, è un impegno che abbiamo preso con gli elettori e che intendiamo onorare con fermezza. Non si tratta di una misura ideologica, ma di un atto di responsabilità verso lo Stato di diritto. Come forza di maggioranza sosteniamo convintamente questa riforma, perché crediamo che una giustizia efficiente sia il presupposto per una società più giusta e prospera, dove il cittadino si sente protetto e non oppresso da un apparato inefficiente. Pensiamo, ad esempio, alla giustizia civile legata al lavoro: pensare che una causa di lavoro addirittura ha una media di durata di 5 anni. È un problema di competitività, è un problema di equità, è un problema che evidenzia un solo singolo esempio che il sistema non funziona. Allora, colleghi, la giustizia è il cuore della democrazia: se i cittadini non hanno fiducia nei tribunali, viene meno il patto che lega popolo e istituzioni. Questa riforma restituisce alla giustizia il volto della trasparenza, della terzietà e dell'equilibrio. Non perdiamo l'occasione di restituire dignità alla giustizia, autorevolezza alla magistratura e fiducia ai cittadini.

Il fulcro della riforma sono, in realtà, gli interventi rivolti a stroncare ogni possibile commistione tra funzione giudicante e funzione inquirente, e tra magistratura e politica, innanzitutto attraverso - come abbiamo detto - i due Consigli superiori, distinti per le due categorie, costituiti da membri laici e togati che vengono estratti a sorte.

Con questa legge l'Italia si metta al pari con la maggior parte dei Paesi nel mondo, dove non solo le carriere sono separate, ma i pubblici ministeri dipendono dal Governo, cosa che peraltro la riforma non prevede. La separazione delle carriere è un passo importante verso una giustizia più garantista, che valorizza le funzioni della magistratura nel suo complesso e nelle rispettive peculiarità.

Ma come voi, signor Ministro e Vice Ministro, ci avete illustrato in numerose occasioni, non è solo il provvedimento in tal senso nelle intenzioni del Governo, ma come Noi Moderati riteniamo fondamentale che si intraprenda un percorso di revisione delle norme atte a rendere più garantista il nostro sistema giudiziario. Siamo all'inizio di un percorso di riforma dell'intero sistema. Quindi, condividiamo il tema, che già è stato affrontato, sul registro degli indagati, che da tutela per gli iscritti si è trasformato in condanna pubblica. È necessario individuare un nuovo strumento in grado di consentire a coloro che sono oggetto di essere informati delle indagini in corso al fine di poter partecipare a certi atti, se interessati, ed essere assistiti, se lo ritengano necessario. Condividiamo, dunque, l'impostazione delineata e l'obiettivo di individuare istituti di garanzia più efficaci e costruire una giustizia davvero garantista in tutte le sue fasi e per tutti coloro che ne vengano a contatto. È la cartina di tornasole di una società civile che si rispetti.

Da ultimo, mi si consenta di fare una riflessione sulla condizione carceraria che, come hanno sapientemente detto in tante occasioni il Presidente della Repubblica e il Santo Padre, merita un intervento urgente, che deve dare attualità in tempi rapidi all'istituzione di quanto necessario per rendere efficace l'applicazione delle pene alternative, così come dovremmo aprire una riflessione su un provvedimento deflattivo per non intercorre nuovamente nelle critiche comunitarie che sono state alla base della sentenza Torreggiani.

Siamo pronti, nelle sedi deputate, a dare il nostro contributo alla costruzione di una giustizia più giusta, che rispetti ogni individuo e che valorizzi l'operato e le funzioni di tutta la magistratura. Questa riforma, per quanto ci riguarda, vede centrale, nei valori e nei principi, la persona. Quello che noi reputiamo meno Stato e più società è un passaggio, anche, da un certo punto di vista, di sburocratizzazione. Abbiamo già sottolineato l'aspetto legato alla competitività. Questa riforma non tocca i principi, li rafforza. Non indebolisce la giustizia, la rende più credibile. Non divide, ma chiarisce. Per tutti questi motivi, il nostro gruppo la sostiene con convinzione, certi, come siamo, che la discussione che oggi affrontiamo segnerà una pagina importante della storia della Repubblica.

Sono certo che, se il dibattito si concentrerà sugli elementi concreti della riforma del dettame costituzionale, si potranno davvero comprendere i benefici di questa proposta. Troppo spesso - e questa riforma non è, ahimè, esclusa - le riforme della Carta costituzionale diventano terreno di uno scontro politico aspro, fazioso, violento, per nulla adatto alla manipolazione della delicata materia costituzionale.

Innalziamo questo dibattito al livello che la nostra Carta pretende e merita, anche all'interno di quest'Aula.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Giachetti. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI (IV-C-RE). La ringrazio molto, signora Presidente. Onorevole Sisto, colleghi, noi, come noto - comunque, se non è noto, sicuramente lo abbiamo già affermato nella prima lettura -, siamo, in linea di principio, assolutamente favorevoli alla separazione delle carriere. E lo siamo non perché improvvisamente siamo stati illuminati nel percorso del dibattito parlamentare, ma lo siamo perché è anche nella storia di Italia Viva. Io ricordo che, insieme ad altri colleghi, abbiamo sottoscritto la proposta da cui è originato questo dibattito, che era la proposta dell'Unione delle camere penali, sulla quale erano state raccolte decine di migliaia di firme per una proposta di iniziativa popolare, che poi era andata persa nella scorsa legislatura e che abbiamo ripresentato; l'ho firmata insieme al collega Costa (avevamo tutti e due firmato lo stesso testo), come sicuramente molti altri gruppi. Quella era il punto di riferimento, per quanto ci riguarda, della nostra posizione rispetto alla separazione delle carriere.

Ma, se questo non bastasse, quando i radicali e, poi, i consigli regionali hanno presentato il referendum, che non era sulla separazione delle carriere ma sulla separazione delle funzioni, noi sottoscrivemmo anche quel referendum. D'altra parte, nel programma che abbiamo presentato agli elettori, c'era un chiaro riferimento a uno di questi principi, che era esattamente quello della responsabilità e della separazione delle carriere. Personalmente - faccio solo questa citazione personale -, credo che siano cinquant'anni che mi batto per raggiungere questo obiettivo. C'è vicino a me il collega Della Vedova, che ha militato insieme a me nel Partito Radicale, con Marco Pannella ed Emma Bonino: la nostra vita, oltre che ad occuparci di carcere e di altri temi della giustizia, è stata sicuramente dedicata nell'attività politica a portare avanti questo principio fondamentale, questa riforma fondamentale.

Quindi, sul principio e sul tema della responsabilità e della separazione delle carriere è difficile, probabilmente, che in quest'Aula si possa trovare qualcuno più convinto di me. Ne sono convintissimo, ne siamo convintissimi, abbiamo agito in tutte le istanze possibili affinché questo percorso potesse andare avanti.

Però, signora Presidente, signor Vice Ministro, glielo dico perché noi abbiamo avuto modo di discutere anche animatamente alcune volte, magari anche con dei problemi caratteriali reciproci, nel senso che siamo un po' permalosi, ogni tanto, tutti e due. Io le riconosco una lealtà e anche una concezione del sistema democratico seria, però lei sa perfettamente che un principio che poi trova attuazione attraverso una riforma costituzionale non può essere considerato soltanto in quanto tale, perché il percorso formale attraverso il quale si interviene con una riforma costituzionale non è un fatto secondario o relativo, è un fatto che si tiene insieme proprio perché la riforma costituzionale è qualcosa di importante, vorrei dirle, signor Vice Ministro, è qualcosa di grave, nell'accezione positiva della parola, e necessita di una cura e di un'attenzione, dal punto di vista costituzionale ma anche dal punto di vista parlamentare, dei rapporti istituzionali tra il Governo e il Parlamento, che deve svilupparsi in un modo giusto.

E hanno certamente, ovviamente, signor Vice Ministro, un peso politico il merito e la sostanza, su cui pure dirò. Noi qualche rilievo e qualche perplessità ce l'abbiamo, non tutto ci piace, ma anche la forma non può essere distaccata nella valutazione che faremo ai fini del voto, esattamente come abbiamo già espresso nella prima lettura, perché quando si tocca la Costituzione occorre farlo, probabilmente, anche liberandosi di determinati stereotipi e provando ad accrescere la propria sensibilità istituzionale, anche nel rispetto delle opposizioni.

D'altra parte, colleghi e signor Ministro, lei sa perfettamente che siamo alla penultima lettura di un disegno di legge del Governo che è stato blindato fin dalla prima lettura e che non ha consentito alcun confronto reale (se noi il bla bla bla lo consideriamo un confronto reale). Eppure, signor Presidente, la nostra Costituzione - e lo dico al Vice Ministro Sisto - non a caso prevede due letture diverse, anzi quattro letture di due tipi diversi. La prima, nella quale l'esercizio della facoltà emendativa da parte dei parlamentari è consentito, e la terza e la quarta lettura, nelle quali, invece, si procede esclusivamente alla votazione del testo nel suo complesso. Io mi sono domandato lungamente, in questi giorni, perché poi così, all'improvviso, c'è stata questa accelerazione, per la quale avete voluto ulteriormente forzare i tempi e portare la terza e la quarta lettura così rapidamente; perché avevate fretta? Ci ho pensato a lungo e cercavo di darmi una giustificazione per cercarne una che avesse, nella mia interpretazione, una logica.

Signor Vice Ministro, l'ho trovata. Io penso che voi abbiate accelerato perché, visto che l'attuale Ministro della Giustizia su gran parte delle cose che ha scritto e che ha detto nella sua vita e nella sua carriera si è poi trovato a contraddirle dalla mattina alla sera da quando siete al Governo, voi avevate paura che, se non vi sbrigavate alla terza e alla quarta lettura, il Ministro Nordio ripensasse, come ha fatto sul panpenalismo, come ha fatto sulle carceri e come ha fatto su tante altre cose, anche questa riforma e voi vi sareste trovati con la frittata. Quindi, avete deciso di imprimere un'accelerazione per evitare che il corso di Nordio post magistratura, post scrittore, post, post, post, esplodesse in tutto quello che ha fatto negli ultimi due anni. Lo capisco, in questo vi sono solidale e penso che sia stata un'idea obiettivamente comprensibile e anche geniale, perché non c'è dubbio che il rischio che ci fosse un ripensamento, come c'è stato in tante altre cose, potesse arrivare.

Avete blindato il disegno di legge. Signor Vice Ministro, siccome ho sentito ancora adesso dall'onorevole Cuperlo che lei in Commissione ha ribadito, in qualche modo, che non è vero, che il confronto c'è stato e che è lecito da parte della maggioranza, se ritiene un testo perfetto, in qualche modo di organizzarsi di conseguenza, allora mi permetto soltanto di suggerirle che quando parliamo di riforme costituzionali - e non a caso la Costituzione prevede delle maggioranze qualificate, eccetera eccetera - forse almeno in questo, signor Vice Ministro, se vi fosse schizzata l'idea che un confronto era utile, oltre che con la maggioranza anche con l'opposizione, avreste fatto un buon servigio, perché comunque esiste anche l'opposizione, che non ha la maggioranza ma che su una riforma costituzionale un ruolo lo può avere. Ma voi avete blindato questo testo anche nei confronti della maggioranza e mi meraviglia, Vice Ministro Sisto - Presidente, faccio una premessa: sempre attraverso la Presidenza, così abbiamo risolto il problema per tutti i 30 minuti di intervento, ammesso che siano 30 minuti, mi rivolgo al Vice Ministro Sisto -, che avete presentato voi degli emendamenti che noi condividevamo, per esempio rispetto al sorteggio nel Consiglio superiore della magistratura della componente politica. Non è che non avevate qualche dubbio anche voi, finché è arrivato, a un certo punto, il Ministro Nordio che ci ha spiegato che il testo era blindato. Era blindato innanzitutto per mettere a tacere le vostre perplessità, prima ancora che quelle dell'opposizione, ma non ci venga a dire in Commissione che c'era l'accordo, perché, sì, voi siete abituati a questo, Vice Ministro Sisto. Lo avete fatto sul tema delle detenute madri, lo avete fatto sulla liberazione anticipata speciale, lo avete fatto sullo ius scholae. Ogni giorno agitate la bandiera: sembra che si sfasci la maggioranza da un giorno all'altro e poi improvvisamente vi accodate, zitti zitti, e votate tutto quello che vi impongono dall'altra parte. È esattamente quello che è accaduto sugli emendamenti che siete stati costretti a ritirare, e verremo anche ad altre cose.

Vivaddio, non so cosa è meglio, se il Ministro che cambia opinione ogni cinque minuti o voi che fate finta di fare una grande battaglia e poi abbassate la testa e fate esattamente quello che vogliono gli altri. Questo senso critico da parte di Forza Italia, ma anche qui apro e chiudo una parentesi: io, nella mia vita politica, ho sempre avuto grande rispetto di Berlusconi, della persona, della personalità politica, ho anche preso delle posizioni che magari nel mio partito non erano particolarmente popolari, però anche questa litania che continuo a sentir dire dai colleghi di Forza Italia: la grande battaglia di Berlusconi dopo trent'anni e via dicendo. Vice Ministro Sisto, forse c'era anche lei, però comunque sicuramente conosce qualcuno che c'era: non è che in questo Paese Berlusconi abbia al massimo governato un consiglio di amministrazione o una regione; è stato il Presidente del Consiglio per alcuni anni e non ci siamo accorti di questo spirito rivoluzionario e riformista da parte di Berlusconi e di tutta Forza Italia quando aveva una maggioranza - quella sì super blindata - e poteva fare queste riforme e magari, invece, si sono fatte altre riforme che riguardavano altre cose.

Quindi, anche questo storytelling che voi ci piazzate - e perché va benissimo il nome nel simbolo, perché aiuta ancora per un po'; e va benissimo il manifesto sugli autobus, perché aiuta nella campagna elettorale -, però deve anche finire questa cosa, nel senso che voi, come partito politico, avete avuto la possibilità di fare queste riforme che non avete fatto quando potevate farle. Poi io, personalmente, imputo al centrosinistra di non averle fatte quando è stato al Governo, ma perlomeno c'era una posizione obiettivamente diversa dove io ero in minoranza, mentre voi eravate magicamente in maggioranza. Ma, signor Ministro - e mi rivolgo a lei -, si informi con gli uffici della Camera e del Senato se è mai accaduto nella storia parlamentare che un provvedimento di riforma costituzionale, varato dal Governo - e l'anomalia non è certo che lo vara il Governo, che è del tutto legittimo; poi si può parlare di opportunità o inopportunità e ci sono stati dibattiti infiniti su questo - non abbia avuto la possibilità di un confronto reale e di modifiche, perché per me il confronto reale su un testo di questo tipo prevede anche l'esigenza delle modifiche, altrimenti è una finzione, è una finta, è una rappresentazione non veritiera di quello che dovrebbe essere un confronto. Non è mai successo?

Io non voglio portarle - come dire - a riferimento l'unica riforma che abbiamo alle spalle di qualche anno fa, che è la riforma costituzionale che riguardava un impianto un po' più largo di questo, che è stata gestita dalla collega Boschi, che ora è capogruppo di Italia Viva, ma che a suo tempo era Ministra per le Riforme costituzionali durante il Governo Renzi. Signor Ministro, le garantisco che - e qui ci sono i colleghi del Partito Democratico che, comunque, aveva al suo interno anche una discussione molto ampia - quella fu una riforma che fu cambiata, analizzata ed emendata tantissime volte in Commissione e in Aula. Prima di arrivare al voto finale, quella riforma ha subito molti cambiamenti, alcuni dei quali io ritengo assolutamente sbagliati, al di là del fatto che poi è stata bocciata dall'elettorato, ma quando il popolo decide ci inchiniamo tutti; però, questo prescinde dal fatto che chi si fa carico di una riforma pensa che quella sia una riforma utile, qualificata e via dicendo.

È stato un dibattito vero, penso che nessuno possa negare che quello sia stato un dibattito vero; poi il Parlamento ha deciso e il popolo ha deciso contrariamente. In un recente question time, collega Sisto, io avevo interrogato la Ministra Casellati per chiederle se, per caso, era nelle intenzioni del Governo procedere alla riforma elettorale. La Ministra Casellati ha escluso che il Governo si impicciasse minimamente della riforma elettorale - ora basta aprire i giornali in questi giorni e capiamo che anche qui quantomeno si ha scarsa memoria -, ma, rispondendomi, disse: noi non solo non ci occupiamo, ma non faremo come fece Renzi e come fecero il Governo e la maggioranza di allora, che andarono blindati per approvare questa legge.

Colgo l'occasione per lasciare agli atti di nipoti e pronipoti, ammesso che un giorno io ne possa avere, una piccola precisazione, che rimane soltanto come una postilla a futura memoria, forse c'era anche lei nella scorsa legislatura, signor Vice Ministro: quella legge elettorale, che portava la firma del collega Rosato, non solo risulta agli atti come la riforma elettorale che ha avuto la maggioranza più ampia nella storia parlamentare, ma è una riforma elettorale che fu votata anche da Forza Italia, di cui la senatrice Casellati era un'autorevole componente allora, e anche dalla Lega.

Quindi vi rendete conto che poi, nell'incedere delle cose, vi impiccate anche su delle questioni sulle quali rischiate di rinnegare anche quello che avete fatto e siete stati in passato. Io poi penso che quella riforma costituzionale poteva portare parecchi frutti, lo abbiamo visto con il COVID, lo abbiamo visto riguardo alla sanità, lo abbiamo visto in tante altre occasioni. Forse il Ministro Nordio su qualcosa di quelle riforme sarebbe stato anche d'accordo, probabilmente.

Il fatto di non essere riusciti a farla non penso che sia stato un vantaggio per il Paese, penso che sia stata un'occasione persa; però, come detto, come ci siamo detti, d'altra parte, io penso che era una riforma sbagliatissima anche la riduzione dei parlamentari, il popolo ha deciso, ce la pigliamo così. Forse poi, a posteriori, ciascuno di noi si rende conto che effettivamente, al di là magari del fatto che i microfoni ci aiutano, però la mancanza di un certo numero di parlamentari non è che abbia aiutato molto, né dal punto di vista politico, né dal punto di vista economico.

Noi - signor Ministro, lo ricorderà, collega Sisto, lo ricorderà - nella dichiarazione di voto che facemmo in occasione della prima lettura, proprio perché eravamo d'accordo con questa proposta, con la riforma costituzionale della separazione delle carriere, vi dicemmo: guardate, il percorso così non va bene, non potete blindarla in prima lettura, non potete impedire che ci sia la possibilità di sottoporre emendamenti con la disponibilità anche ad accoglierli, modificandoli, cioè di ritoccare questo testo, perché pensare di avere la verità rivelata e la parte giusta della storia è un grande azzardo, che noi rispettiamo, però magari potrebbe non essere.

E vi abbiamo detto: guardate, noi in questa fase ci asteniamo perché, pur essendo d'accordo sul principio e sul tema, ci sono delle cose che non ci convincono e pensiamo che sia giusto che la maggioranza e il Governo si aprano a un confronto reale. Ci sono delle cose che noi non condividiamo. Noi non condividiamo la scelta del sorteggio; ci avete spiegato che questa sarà la soluzione del male delle correnti. Sappiamo invece - e purtroppo saremo facili profeti, lo vedremo - che questa scelta non servirà assolutamente a nulla, non servirà certamente a risolvere il problema delle correnti.

Avete tolto - signor Ministro, lei su questo sicuramente insegna a me il valore del tema - l'abolizione dell'obbligatorietà dell'azione penale, e penso che, anche nello svolgimento di cose che accadono da qualche mese, forse vi potrebbe risuonare il tema… per esempio, signor Ministro, lei sa che io ho proceduto a una denuncia penale nei suoi confronti e dei suoi Sottosegretari per il tema delle carceri. In quel caso l'obbligatorietà dell'azione penale non si è manifestata. Si è manifestata in un'altra occasione, forse perché io non sono un avvocato autorevole o non so che cosa.

Però, come lei vede, c'è sempre una valutazione; non c'è un'azione diretta sulla base di una denuncia, per esempio. Perché altrimenti, esattamente come è successo sul caso Almasri - ci arriviamo -, sarebbe dovuto succedere anche in quell'occasione; in quell'occasione la questione è stata tenuta da parte. Lo dico perché lei sa perfettamente che il tema dell'obbligatorietà dell'azione penale incide notevolmente in tutta una malattia della nostra vicenda dal punto di vista della giustizia. Perché se, in realtà, non c'è l'obbligatorietà dell'azione penale, ma c'è la discrezionalità delle procure, che scelgono loro le priorità sulle quali muoversi, invece di fare in modo, come succede in tanti altri Paesi, che sia…

Non è vero che l'obbligatorietà dell'azione penale implica che la magistratura sia sotto botta del Governo, perché le priorità attraverso le quali agire nella vicenda possono essere stabilite dal Parlamento, e possono essere stabilite dal Parlamento con una maggioranza qualificata, che comporta che non se le può fare soltanto la maggioranza e, quindi, non possono essere ricondotte al Governo. Ci sono degli strumenti. Nel testo delle camere penali, signor Ministro, c'era l'abolizione dell'obbligatorietà dell'azione penale. Perché l'avete fatta sparire?

Quella è sicuramente una leva - e ci arrivo - che incide dall'inizio anche sul tema dei processi mediatici. Perché noi sappiamo perfettamente che, siccome si aprono non so quante centinaia di fascicoli al giorno, si sceglie una priorità su quali agire, magari sulla base della tipizzazione dei reati, piuttosto che di qualunque altra cosa. Sappiamo che ci sono fascicoli che rimangono sempre chiusi e sappiamo che ci sono fascicoli che rimangono chiusi per tanto tempo e poi, improvvisamente, vengono aperti.

Penso che il tema dell'obbligatorietà dell'azione penale sia un fatto importante, e ci arrivo anche rispetto a un'altra vicenda, signor Presidente, perché adesso ho sentito le critiche che vengono fatte dall'opposizione. Penso che ci sia un eccesso di preoccupazione, addirittura di derive autoritarie. Io non lo credo. Ma, signor Ministro e signor Vice Ministro, consentitemi di dirvi che non è neanche questa riforma la panacea di tutti i mali, dei mali della giustizia.

Glielo dico perché ci arriviamo, signor Ministro: voi avete immolato sull'altare della riforma della separazione delle carriere tante altre riforme che vanno fatte sul tema della giustizia, che non impattano minimamente con la separazione delle carriere e che vivono sulla carne quotidianamente di tante persone. Mi riferisco, per esempio, al tema della custodia cautelare. Ce l'avete propinata, signor Ministro, per spiegarci che la vostra soluzione contro il sovraffollamento carcerario è quella di intervenire attraverso la riduzione della gente che sta in galera in attesa di giudizio. Ottimo proposito!

Siamo arrivati alla fine della legislatura, magari - lo auguro a lei, non lo auguro a me e al Paese - lei si farà altre due legislature da Ministro della Giustizia e in 10 anni magari, come è successo per Forza Italia con la separazione delle carriere, riuscirà a fare la riforma della custodia cautelare. Per ora non l'avete fatta. Però, mi consenta, signor Ministro: io ho letto oggi le motivazioni del riesame riguardo agli arresti che ci sono stati a Milano. Leggo dall'agenzia ANSA, se questo è consentito, penso che sia consentito. Dice: “Non è stato dimostrato il patto corruttivo contestato ad Alessandro Scandurra, membro della commissione paesaggio, a cui il tribunale del riesame ha revocato la misura degli arresti domiciliari disposta a luglio nell'indagine della procura di Milano sull'urbanistica”.

“Non si comprende” - si legge nelle motivazioni - “sulla scorta di quali evidenze il GIP abbia ritenuto che gli incarichi di progettazione siano stati affidati a Scandurra in ragione della sua funzione pubblica e non dell'attività di libero professionista”. A diverse conclusioni potrebbe giungersi se “fosse stato dimostrato il patto corruttivo, ma ciò non è avvenuto”.

Signor Ministro, è vero che, come dice il mio amico Gian Domenico Caiazza, la commistione tra il pubblico ministero e il GIP può incidere - perché questo è il tribunale del riesame, ma non il GIP -, ma io vado alla radice del problema. Se non modifichiamo la custodia cautelare, che spetta al Parlamento e alla legge, non al magistrato, che può interpretare in modo estensivo o meno quella norma (va cambiata quella norma, per la quale, lo ricordo ai colleghi della Lega, almeno per una fattispecie, in un referendum, lei era, signor Ministro, il testimone o non so, adesso non mi ricordo la parola), se non si riforma la custodia cautelare, il PM avrà sempre la possibilità all'inizio di buttare la gente in galera, sulla base di cose che vengono clamorosamente e indegnamente smentite dal tribunale del riesame.

Premesso che sono favorevole alla separazione delle carriere, è la carcerazione preventiva, è la custodia cautelare! Sono tre anni che dite che per risolvere i problemi si fa la riforma della custodia cautelare, ma dove sta questa riforma? Dove sta? Sono tre anni che state al Governo. Avete fatto il decreto Sicurezza, in cui avete piazzato 18 reati in più, aumenti di pena, l'ira di Dio, in contraddizione con tutto quello che lei ha detto e ha fatto per una vita, e non riuscite a trovare il tempo per una modifica di una legge che tutti riconoscete ancora!

Allora, signor Ministro, la informo che continua andare in galera la gente in questo modo. Se non se ne fosse accorto, le segnalo che - non è solamente Milano -, ogni giorno, accade così. C'è qualcosa che non va. Vogliamo parlare delle intercettazioni, signor Ministro? Vogliamo parlare delle porte girevoli? Vogliamo parlare, collega Costa, dei fuori ruolo? Vogliamo parlare dei fuori ruolo? La sua battaglia, la mia battaglia per il Governo non è un problema.

Signor Ministro, parlo a titolo personale, nel senso che ho una vicenda personale dal punto di vista della critica nei confronti di un magistrato importante di questo Paese. Ma è buon costume, secondo lei, che il capo della procura della Repubblica di Napoli non solo vada in televisione dalla mattina alla sera a spiegarci cosa dobbiamo fare noi (ma noi non possiamo mai commentare una sentenza, perché sennò facciamo chissà quale danno alla Nazione, alla magistratura e alla sua indipendenza, però abbiamo qualcuno che ci va in televisione a spiegare), ma che abbia una trasmissione fissa in un canale televisivo nel quale parla non so di che cosa (di quello che vuole perché, ringraziando Iddio, siamo in un regime di libera informazione)? È normale? Non le sto chiedendo se è legittimo. No, sto facendo una domanda retorica, signor Ministro. Non sto chiedendo se è legittimo, sto chiedendo se è normale rispetto a quello che dovrebbe essere il magistrato, che da tutti dovrebbe essere vissuto super partes, distaccato… Signor Ministro, purtroppo, non è normale. Di che cosa vi state occupando? Di determinati problemi della giustizia? Vogliamo parlare - mi rivolgo sempre al collega Costa - del fascicolo sui magistrati, sulla loro… Signor Ministro, la riforma della responsabilità civile è una cosa importante… ancora, della separazione delle carriere: ho questo lapsus, perché c'è anche il tema della responsabilità civile dei magistrati, che, grazie - lo devo dire - al Governo Renzi, ha recepito una direttiva comunitaria e l'ha codificata nel nostro Paese, con il piccolo artificio che è una responsabilità civile che comporta che, se il magistrato sbaglia, paghiamo noi. Sia chiaro, infatti: a differenza del medico, che, se sbaglia, attraverso l'assicurazione, come vuole e via dicendo, paga, se sbaglia un magistrato, oltre a quello che passa il disgraziato - ne abbiamo di casi, senza bisogno di tornare a 30 anni fa -, non paga, ma paga il cittadino attraverso le sue tasse, perché il rimborso lo fa lo Stato.

Esprimendo la mia cultura, che è una cultura radicale, penso che la responsabilità civile sia una riforma importante…

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

ROBERTO GIACHETTI (IV-C-RE). …ma che non sia la risoluzione di tutti i mali e che voi, di tutti gli altri mali, non solo non ve ne stiate occupando, ma, se è possibile, li state aumentando, perché, ogni giorno, vi inventate un nuovo reato, vi inventate un aumento di pene e via dicendo.

Faccio fatica, signor Ministro…

PRESIDENTE. Ha venti secondi, collega.

ROBERTO GIACHETTI (IV-C-RE). E allora la mia fatica è finita.

DAVIDE FARAONE (IV-C-RE). Appena mezz'ora ha parlato…

PRESIDENTE. Appena mezz'ora, esatto. È iscritta a parlare la deputata Kelany. Ne ha facoltà.

SARA KELANY (FDI). Grazie, Presidente. Presidente, mi asterrò dal fare considerazioni di natura tecnica, perché mi soccorreranno in questo chi ha seguito il provvedimento da vicino, gli ottimi relatori, la collega Bordonali, il collega Michelotti e il presidente Pagano. Io mi limiterò a fare considerazioni di carattere più generale, partendo da Un'idea di sorteggio per il CSM: è in gioco la libertà. Questo sembra un incipit un po' roboante. Vado a leggere: “Le correnti della magistratura penalizzano il merito e favoriscono i conflitti. (…) Come si designano ai vertici degli uffici giudiziari i magistrati che decidono della nostra reputazione, della nostra libertà e dei nostri beni? Oggi nella grande maggioranza dei casi quelle responsabilità vengono attribuite sulla base di un criterio ‘politico'. I magistrati eletti al Csm (…) appartengono alle correnti dell'ANM. Queste correnti si comportano come piccoli partiti. Le designazioni ad incarichi direttivi, in gran parte dei casi, vengono effettuate grazie a scambi in base ai quali ciascuna corrente offre il proprio voto a un'altra chiedendo come contropartita che l'altra voti un proprio candidato. (…) Non raramente i laici si adeguano a questo criterio ricevendo anch'essi un qualche corrispettivo sottoforma di incarichi attribuiti a magistrati graditi. Le denunce sono state molte, soprattutto all'interno della stessa magistratura. Ma senza effetto. E non per prava volontà degli eletti. È il meccanismo elettorale che conduce a queste conseguenze. L'eletto risponde alla corrente di appartenenza, che in caso di comportamento ‘indipendentè dei propri componenti del CSM pagherà il prezzo in termini di calo dei consensi alle elezioni successive e quindi di minore possibilità di collocare i propri iscritti negli incarichi direttivi. C'è un rimedio? (…) Si potrebbe stabilire con una legge costituzionale che dopo tre anni (…) si sorteggia la metà dei componenti togati e la metà dei componenti laici. (…) La pressione delle correnti sarebbe ridotta”. Seguita, dicendo: “In una democrazia compiuta la politica penale, quali reati perseguire prioritariamente e quali lasciare scivolare verso la prescrizione, rientra nelle responsabilità dell'autorità politica e non nelle responsabilità dei procuratori della Repubblica. (…) Il Parlamento dovrebbe acquisire le relazioni tramite il ministro della Giustizia e pronunciarsi su di esse impegnando il Ministro a informare i procuratori generali (…) Non c'è vincolo per le procure, ma una moral suasion, che non obbliga ma responsabilizza moralmente”. Questo pezzo non lo ha scritto il Sottosegretario Sisto, non lo ha scritto il Ministro Nordio, non lo ha scritto Giorgia Meloni, lo ha scritto Luciano Violante nel 2015 su un articolo del quotidiano Il Foglio intitolato Un'idea di sorteggio per il CSM: è in gioco la libertà (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Ecco, colpiscono i passaggi sul sorteggio, visto che oggi fanno gridare le sinistre allo scandalo, solo perché è stata la destra a prendere le redini dell'Italia, e che la sinistra, aprioristicamente, ideologicamente, ciecamente ci addita come autocrati in servizio effettivo e permanente. Ma, nel 2009, lo stesso Violante dava alle stampe un saggio godibile, intellettualmente onesto, Magistrati - molti lo avranno letto -, in cui tratteggiava già la necessità per la magistratura di ricostruire la propria credibilità, deteriorata dalle derive correntizie, dal debordare del potere giudiziario in questioni che avrebbero dovuto essere e restare eminentemente appannaggio della politica.

Nel quale saggio espressamente afferma che le correnti “con il tempo, si sono trasformate da luoghi di discussione e approfondimento in ben oleate macchine di potere interno. Basti considerare che, prima o poi, tutti i capi delle correnti sono eletti al CSM. La conseguenza è che oggi, come denunciano molti magistrati, chi non appartenga ad una corrente o non sia protetto da un partito, difficilmente arriva a ricoprire incarichi rilevanti. In pratica e spiace dirlo, bisogna difendere l'indipendenza dei magistrati dalle correnti dell'ANM, e bisogna trovare il modo di superare” - e ci tengo a sottolineare questo passaggio - “quel corporativismo che i Costituenti speravano di avere eluso stabilendo che un terzo dei componenti fosse eletto dal Parlamento”.

Anche questo non lo ha scritto il Vice Ministro Sisto, non lo ha scritto il Ministro Nordio, non l'ha scritto Giorgia Meloni, eppure passano gli anni, arriva la destra al Governo, e queste parole, anche da chi le ha scritte, vengono magicamente dimenticate, obliterate.

Andiamo avanti, io resterei nell'anno 2019. È divertente vedere questo excursus, questo profluvio di dichiarazioni che promanano esattamente dalla parte opposta di questo emiciclo. Anno 2019, congresso del Partito Democratico, Martina, candidato alla segreteria del PD, a pagina 24, mi pare, della sua mozione, testualmente si legge: “La realizzazione di un processo basato sulla parità delle parti e la terzietà del giudice è il nostro progetto in materia di giustizia penale. Il tema della separazione delle carriere appare ineludibile per garantire un giudice terzo ed imparziale.” Questa sua mozione, ci tengo a ricordare, veniva sottoscritta da Alfieri, Berruto, Del Rio, De Luca Vincenzo - quindi il padre -, De Maria, Malpezzi, Guerini, Mauri, Orfini, Parrini, Verducci e, udite udite, l'attuale responsabile del dipartimento giustizia del Partito Democratico, Debora Serracchiani (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Io rimango veramente stupefatta di fronte… (Commenti)… esatto, realizziamo i loro sogni, ed è proprio questo il tema. Dopo anni, queste parole vengono nuovamente disconosciute: sì, ma io dicevo la separazione delle carriere - ci dice in un articolo di qualche giorno fa -, ma non intendevo questa, era un'altra separazione delle carriere. Va a capire quale fosse, perché, in realtà, noi stiamo realizzando i loro sogni.

Ma, guardate, gli italiani sono abituati a sentirvi dire di tutto e il contrario di tutto. Ricordo, nella stessa mozione Martina, nell'incipit si parlava addirittura di quanto fossero deleteri per la tenuta democratica i 5 Stelle. Espressamente si diceva, leggo testualmente: “I 5 Stelle hanno una visione della democrazia” - questo è il Partito Democratico nei confronti dei 5 Stelle (Commenti di deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)… la verità fa male. Dicevo: “I 5 Stelle hanno una visione della democrazia che annienta il valore della mediazione, della rappresentanza e del compromesso; fanno una politica economica che usa il futuro come una discarica dove nascondere le scorie radioattive della loro demagogia; propugnano un giustizialismo che calpesta i diritti degli innocenti (…)”. Ecco, questo diceva il PD dei 5 Stelle, all'epoca. E oggi sbandierano il campo largo come una conquista di civiltà.

Dicevo, noi siamo abituati a sentirvi dire tutto, il contrario di tutto, siamo addirittura arrivati a dover pagare per dei referendum in cui avreste voluto auto-annullare delle norme che avevate fatto voi, come il Jobs Act: abbiamo pagato fior di quattrini per questa schizofrenica follia. Noi siamo abituati, ma non si possono prendere continuamente in giro gli italiani. Ed è per gli italiani, per il rispetto che portiamo alla base elettorale, che merita verità o quantomeno onestà intellettuale, che con forza seguitiamo a portare avanti, senza timore, tutte le nostre battaglie, tutto quello che abbiamo indicato nel programma elettorale del centrodestra, che ha portato alla nascita di un Governo stabile, autorevole, riconosciuto a livello internazionale.

Stiamo realizzando il nostro programma, la riforma della separazione delle carriere è uno dei capisaldi dell'azione di questo Governo, una riforma - l'hanno detto anche i colleghi che mi hanno preceduto - che l'Italia aspetta da trent'anni, che rende concreto il principio costituzionale del giusto processo di cui all'articolo 111 della Costituzione che impone - forse lo avrete dimenticato - che il processo si celebri di fronte a un giudice terzo, un giudice imparziale. Oggi, il Vice Ministro Sisto parlava della geometria piana del processo penale, in cui la magistratura inquirente è separata nettamente da quella giudicante. Abbiamo previsto, dunque, la separazione delle carriere che, come avete sentito prima, per buona parte del Partito Democratico, anni fa risultava ineludibile, e lo abbiamo fatto noi. Pare che avreste voluto farlo voi, ma noi ci siamo riusciti. Non vi chiediamo di dirci grazie, ma neanche la retorica falsa e stucchevole che ci dipinge come autocrati pericolosi se separiamo il PM dal giudice. Questo anche no, un po' meno, meno di pericolosi autocrati.

Torniamo a noi. Abbiamo previsto la separazione delle carriere, non si riesce a comprendere, tra l'altro, come facciate a venirci a dire che questo eliminerà l'autonomia della magistratura, che il pubblico ministero andrà a finire, sostanzialmente, alle dirette dipendenze del Governo. Ci dovete dire dove avete letto questa sesquipedale castroneria, perché io, sinceramente, di questi aspetti non ne trovo traccia. Separiamo le carriere; resterà totalmente invariata l'autonomia della magistratura che, anzi, risulterà rafforzata. Rendiamo - lo dicevamo prima - concreto l'articolo 111, che richiede equidistanza, parità. L'equidistanza e la parità impongono che un magistrato che rappresenta l'accusa abbia una carriera distinta. Impone, l'equidistanza anche che la magistratura - lo diceva il collega Colucci prima - non solo sia imparziale, ma appaia imparziale.

E c'è di più. Perché a questa necessaria svolta nell'architrave dell'amministrazione della giustizia si affianca una riforma ancora più necessaria, ancora più sentita, ancora più ineludibile - per prendere a prestito i termini utilizzati dal Partito Democratico -, che serve ancor di più a restituire dignità tanto alla magistratura, quanto ai cittadini.

Colleghi, se c'è un aspetto che ha avvelenato in questi anni la magistratura, la politica e la società, sono le derive correntizie. Le derive correntizie hanno deviato - e scusate il bisticcio di parole - il giusto corso delle nomine nei posti apicali dell'amministrazione della giustizia. Ricorderete il caso di “Magistratopoli”, uno scandalo che ha scoperchiato, sostanzialmente, il vaso di Pandora delle dinamiche relative alla gestione delle nomine da parte del CSM. I tesserati a determinate correnti si vedevano garantire le nomine a capo delle procure migliori (e sembra di leggere nella storia quello che Violante vergava sui suoi testi). Intervenivano scambi di prebende per l'ottenimento di vantaggi da parte dei cacicchi e dei capibastone delle correnti dell'ANM, che negli anni, ben lungi dal portare approcci e sensibilità giuridiche, si sono atteggiati - e lo abbiamo detto prima - come veri e propri partiti politici.

Ebbene, noi mettiamo fine anche a questo, e sapete chi ce ne sarà grato in primo luogo? Ce ne saranno grati i magistrati che per anni si sono visti penalizzati da questi orrori, che per una vita hanno lavorato gestendo i propri ruoli con onore, con passione, con vero spirito di servizio, nel nome del popolo italiano (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). La gran parte della magistratura, per il tramite di questa norma, finalmente viene liberata dal pantano in cui era stata precipitata.

Modifichiamo il CSM, ne prevediamo una duplicazione senza che venga intaccato l'autogoverno della magistratura. Il disegno di legge ne introduce una rivisitazione, con la previsione di un CSM giudicante e di un CSM della magistratura requirente, entrambi presieduti dal Presidente della Repubblica, di cui fanno parte, rispettivamente, il primo presidente della Corte di Cassazione per quello giudicante e il Procuratore generale della Suprema Corte per quello requirente.

Creiamo, poi, l'Alta Corte come organo indipendente, chiamata a decidere delle violazioni deontologiche. Anche qui, il Vice Ministro stamattina ci ha soccorso nel ricordarci che fu una previsione, anche un'idea, del buon Luciano Violante, che oggi ricorre spesso nella nostra discussione. Per scardinare il sistema delle correnti - e questa è la cosa che brucia di più alla magistratura - prevediamo il sorteggio.

Perché per il tramite del sorteggio queste influenze non potranno più determinare le drammatiche derive che abbiamo visto prodursi fino ad oggi. Noi scardiniamo il corporativismo della magistratura. E se “corporativismo” lo diciamo a destra siamo degli autocrati, se lo dice Luciano Violante va bene. Questa è la drammatica verità.

In conclusione - e chiudo, Presidente - non ci fermerete, non arretreremo, potete usare tutte le armi che volete ma andremo avanti. Lo abbiamo promesso agli italiani e questo vostro arroccarvi su posizioni ideologiche, trincerarvi dietro le toghe di quei pochi giudici che vogliono mantenere intatto lo status quo non ci spaventa. Dopo trent'anni di dibattito… Mi ha spento il microfono …

PRESIDENTE. No, io non ho spento niente. Il microfono si spegne da solo, collega. Assolutamente. Ho provato a darle cenno ma era troppo tardi.

È iscritta a parlare la collega L'Abbate. Ne ha facoltà.

PATTY L'ABBATE (M5S). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, membri del Governo, oggi discutiamo un provvedimento che non è un semplice aggiustamento tecnico, diciamolo: è una vera e propria riscrittura della Costituzione. Mi riferisco alla separazione delle carriere dei magistrati e, dobbiamo dire, certo stiamo dividendo ciò che dovrebbe garantire coerenza.

Un cambiamento che viene presentato con una riforma di buonsenso in nome della terzietà del giudice ma che, in realtà, cela un rischio molto grave: minare l'indipendenza della magistratura e aprire la porta a un controllo politico sull'azione penale.

La nostra Costituzione è chiara. All'articolo 104 si dice che la magistratura è un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. Un corpo unico che garantisce che il giudice e il pubblico ministero abbiano le stesse garanzie di autonomia. Non è, quindi, un capriccio. I nostri padri costituenti, reduci dall'esperienza del fascismo, hanno voluto impedire che l'accusa fosse condizionata dal potere politico. Spezzare questa unità significa ridurre le difese della nostra democrazia.

Ma noi lo ricordiamo: l'attuale Ministro Nordio non firmò un appello, da magistrato, contro la separazione delle carriere (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)? Questo ce lo ricordiamo. Abbiamo cambiato idea? C'è stato un cambiamento? Ma anche la nostra Giorgia Meloni non era la giustizialista? E poi sono arrivati gli amichetti, è arrivata al Governo e abbiamo fatto un cambio di casacca, abbiamo cambiato tutto.

Il falso mito della terzietà del giudice: si dice che, separando le carriere, il giudice diventi più imparziale perché non potrà più svolgere la propria funzione, appunto, appartenendo alla stessa identica categoria, che consentirebbe di giudicare e anche di poter diventare pubblico ministero. Oggi, dobbiamo dire che la terzietà del giudice non dipende dal curriculum del magistrato ma dalle garanzie costituzionali di indipendenza e dal modo in cui è regolato il processo. Oggi, chi passa dalla funzione requirente a quella giudicante deve seguire regole rigorose e non può occuparsi di procedimenti dove abbia avuto un ruolo precedente. Già ci sono contrappesi forti. Non c'è nessuna emergenza che giustifichi un terremoto costituzionale come quello che state effettuando.

Ma qual è il vero obiettivo della riforma, diciamolo. Diciamolo, dietro la retorica della terzietà si nasconde un altro disegno: indebolire l'azione penale.

Se il pubblico ministero verrà separato, avrà un proprio organo di autogoverno distinto dal CSM. Questo lo renderà più esposto a pressioni politiche e, nei fatti, potrà portare a una subordinazione all'Esecutivo. Significa che, in parole povere, i reati dei potenti, della politica, delle grandi lobby rischiano di non essere più perseguiti con la stessa libertà. E noi del MoVimento 5 Stelle questo non possiamo permetterlo. La legge deve essere uguale per tutti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), non a seconda del potere che si detiene.

Oggi i cittadini ci chiedono giustizia, giustizia rapida, processi più brevi, tribunali funzionanti, uffici giudiziari efficienti, personale adeguato, ma questa riforma non risolve nulla di tutto ciò. Nulla. È un'operazione politica e ideologica di questo Governo che rischia di paralizzare il sistema con nuovi organi, nuove burocrazie. Intanto, i cittadini continueranno ad aspettare anni per una sentenza, con un sistema percepito come distante e ingiusto.

Il MoVimento 5 Stelle non si oppone a miglioramenti del sistema, non difende lo status quo a tutti i costi, ma noi crediamo che la vera sfida sia rafforzare l'indipendenza della magistratura, semplificare i processi, investire in risorse e tecnologia e garantire al cittadino il diritto - ripeto, il diritto: è una parola che forse dimenticate - a un giusto processo rapido ed equo.

Separare le carriere non va in questa direzione e, al contrario, rischia di riportarci indietro verso un sistema in cui l'accusa deve bussare alla porta del Governo per poter procedere.

Colleghi, questa riforma non è neutrale: è una riforma che tocca gli equilibri fondamentali della nostra democrazia, è una riforma che può limitare la capacità dello Stato di perseguire i reati dei più forti e di difendere i più deboli. I cittadini comuni avranno meno diritti, dovranno pagarsi i migliori avvocati per difendersi, sarà il Governo di turno a dire al PM su cosa o su chi indagare prioritariamente e su chi chiudere un occhio, signori.

Noi del MoVimento 5 Stelle diciamo con chiarezza “no” alla separazione delle carriere, “sì” alla difesa dell'indipendenza della magistratura, “sì” a una giustizia davvero al servizio dei cittadini e non dei potenti.

Diceva Platone: la giustizia è un'arte unica. Dividerla in carriere significa frammentarla e renderla più fragile.

Chiudo, Presidente, con una frase che cantava De Gregori: “la storia siamo noi … nessuno si senta escluso”. Ma, a quanto pare, voi continuate ad escludere i più fragili, quelli che veramente hanno bisogno di giustizia e noi, su questo, non ci stiamo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ziello. Ne ha facoltà.

EDOARDO ZIELLO (LEGA). Grazie, Presidente. Anzitutto, mi preme ovviamente partire da un assunto ovvero che la separazione delle carriere rappresenta, di fatto, l'attuazione di quel principio costituzionale importante dell'articolo 111 della Costituzione, che contiene quel binomio fondamentale per qualsivoglia processo costituito dalla imparzialità e dalla terzietà del giudice. Un articolo che, per chi parla e per la comunità politica che rappresenta, non è stato per niente attuato completamente. Questo per un motivo storico, per l'indebolimento della politica che c'è stato specialmente durante il periodo della conclusione della Prima Repubblica quando, di fatto, si è assistito alla creazione del fenomeno della spettacolarizzazione delle inchieste giudiziarie, quel fenomeno di Mani Pulite, con il crollo di alcuni partiti politici che rappresentavano l'essenzialità dell'arco parlamentare di quel tempo.

E la magistratura, una parte di essa, gradualmente, con la politica che si è ritirata in molti spazi, ne ha guadagnati degli altri. Ed era una magistratura che ovviamente di imparzialità e di terzietà aveva ben poco, una magistratura che condizionava e che condiziona tuttora alcune scelte di alcuni partiti politici di centrosinistra. Signor Presidente, una magistratura che ha sempre combattuto chi si opponeva alla modifica dello status quo, una magistratura che si è sempre opposta a chi non la pensava come lei, una magistratura che ha sempre contrastato l'avversario politico attraverso la tecnica delle inchieste ad orologeria. L'abbiamo visto, purtroppo, nel passato recente e anche da poco tempo.

Ecco, di fronte a ciò, noi ci siamo sempre opposti a questo sovvertimento della realtà, a questa volontà di prevaricare il potere legislativo e di sostituirsi quasi alla politica. Lo abbiamo fatto con tante iniziative da un punto di vista parlamentare, da un punto di vista storico. L'abbiamo fatto ora finalmente con questa riforma, per la quale ringraziamo il Ministro della Giustizia per il grande lavoro che ha portato avanti fino ad oggi, ovviamente nell'intero meccanismo giudiziario complessivo.

E di fronte a chi intende mantenere questo status quo, noi siamo sicuri che con questa riforma elimineremo il problema del correntismo, le cui correnti, di fatto, rappresentano un cancro per questa magistratura. Una situazione, da un punto di vista del correntismo, che rappresenta appieno una situazione di correnti nefaste e sempre più infestanti, che questa riforma vuole colpire duramente per eliminare quelle situazioni imbarazzanti di commistione tra magistratura e politica che sono ben note, tra l'altro, alle cronache recenti. Basti ricordare lo scandalo Palamara e la contiguità che c'è stata, in quello scandalo, tra il Partito Democratico e quella parte di magistratura.

Ecco perché vogliamo andare in quella direzione, signor Presidente. E un motivo anche importante è quello di voler distinguere la funzione giudicante da quella inquirente, perché di fatto ne abbiamo bisogno. Paesi come la Svizzera, la Francia e la Spagna ormai ce l'hanno questo principio, attuato ormai da molto tempo. Non capiamo il motivo per cui noi non possiamo avere la stessa situazione. E cito le parole di un luminare del diritto, luminare dello Stato, ovvero le parole del giudice Falcone, che a la Repubblica, il 3 ottobre 1991, rilasciava le seguenti dichiarazioni: “Il giudice (...) si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti. Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e PM siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri”.

Ecco, non sono le dichiarazioni di un pericoloso sovversivo di destra, come direbbe magari qualche rappresentante, signor Presidente, del Partito Democratico o della sinistra, ma sono le parole di un luminare del diritto del nostro Paese, e noi dobbiamo, di fronte a queste parole, assolutamente trarne ispirazione e procedere nel modo più spedito possibile all'attuazione delle stesse espressioni. Secondo l'opposizione noi staremmo di fatto tritando e distruggendo la sacralità del Consiglio superiore della magistratura; una sacralità che, se poi andiamo a vedere nell'ordinario, nel quotidiano, difficilmente si può registrare.

Basti pensare, per esempio, alla tecnica di conferimento degli incarichi direzionali, che non avviene molto spesso sulla base del merito, sulla base della preparazione, ma avviene interamente sulla base della spartizione di correnti: tu appartieni a questa corrente, e quindi ti conferisco questo incarico; tu magistrato, pur bravo, pur preparato, non facendo parte di questa corrente, ti escludo a priori. Ecco un altro motivo per cui vogliamo andare nella direzione dell'attuazione di questa riforma. Mi accingo a concludere, signor Presidente.

In questi anni, noi, in questo Paese, abbiamo visto giudici che si sono dilettati a disapplicare leggi che questo Parlamento andava ad approvare, che andavano nella direzione, per esempio, di contrastare il fenomeno dell'immigrazione clandestina. Non soltanto si limitavano a disapplicare questi provvedimenti, ma addirittura andavano a manifestare, insieme ad alcune sigle di sinistra, contro il Governo che andava a promuovere le stesse leggi in materia di contenimento dei flussi migratori clandestini. Penso, per esempio, all'allora caso del giudice Apostolico, che andò a manifestare insieme alla sinistra contro le politiche dell'allora Ministro Salvini; penso, per esempio, a quella parte di magistratura che ha fatto ricorso, inspiegabilmente, di fronte alla sconfitta del proprio capo d'accusa e di imputazione in primo grado nei confronti dello stesso Ministro Salvini.

Non contenti di avere perso in primo grado, di fronte di fatto alla verità oggettiva, ovvero che un Ministro aveva esercitato sostanzialmente la propria funzione per garantire l'interesse pubblico, quella parte di magistratura non ha fatto altro che andare avanti, facendo ricorso alle spese di chi? A spese dello Stato. È per tutti questi motivi, signor Presidente, e concludo, che noi della Lega siamo convintamente e compattamente convinti di dover dare attuazione, nel più breve tempo possibile, a questa riforma, per eliminare velocissimamente ogni qualsivoglia forma di correntismo, che ha rappresentato un cancro e un vulnus democratico, anzi, antidemocratico, per questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Dori. Ne ha facoltà.

DEVIS DORI (AVS). Grazie, Presidente. Una riforma costituzionale che va a toccare ben 7 articoli della Costituzione necessita davvero della massima condivisione politica tra maggioranza e opposizione. Eppure, tutto questo non è avvenuto, perché tutte le proposte che sono arrivate dalle opposizioni sono davvero rimaste totalmente inascoltate, anche in forma di emendamento. Ed è certamente questo un dovere della maggioranza, quello di cercare di rendere più condivisibile possibile una riforma che tocca la Costituzione, su articoli, poi, tra l'altro così importanti, come sono i temi di giustizia.

Tra l'altro, una condivisione era necessaria, era doverosa, non solo tra maggioranza e opposizione, ma necessariamente con i destinatari di questa riforma, cioè la magistratura, soprattutto da chi ha svolto, come il Ministro Nordio, proprio la funzione di magistrato. Ed è un vero peccato, da un punto di vista proprio di Alleanza Verdi e Sinistra, perché eravamo comunque disposti a ragionare sul tema, soprattutto laddove si poteva andare a toccare, in particolare, non la Costituzione, ma, come già era un po' nell'intendimento della riforma Cartabia, ma in maniera più netta, nella distinzione netta, nella separazione delle funzioni più che delle carriere.

Cosa che, in realtà, c'è già quasi di fatto, perché ci sono già forti limitazioni da un passaggio all'altro delle funzioni e il numero delle richieste, come dirò fra poco, è veramente limitato. Quindi, davvero, avremmo voluto una riforma che rispettasse l'indipendenza della magistratura rispetto agli altri poteri dello Stato, in particolare dell'Esecutivo, e l'unitarietà della magistratura, cioè un PM che non perda progressivamente la sua natura giurisdizionale. Quindi, il testo che abbiamo qui, in Aula, chiaramente è stato accompagnato nel corso dei mesi da tutta una serie di dichiarazioni di intenti da parte del Governo e della maggioranza.

Non ci rimane davvero alcun dubbio circa lo scopo di questa riforma, con questi continui attacchi alla magistratura, la volontà di delegittimarla, soprattutto nei confronti dell'opinione pubblica. La riforma, davvero, sotto la denominazione “separazione delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri”, mira a qualcosa di più e di diverso rispetto a quello che ci viene raccontato. È davvero il tentativo di ridefinire, in termini distanti dal modello costituzionale, l'assetto del potere giudiziario, rischiando di compromettere in modo irreversibile il principio della separazione non delle carriere, ma dei poteri.

È il progetto davvero di riscrivere i complessi rapporti dei poteri dello Stato, depotenziando la magistratura e il suo governo autonomo, e, quindi, limitando le prerogative e le garanzie del giudiziario, della giurisdizione voluta dai nostri padri costituenti. Come dicevo poco fa, anche la riforma Cartabia già parlava di separazione, ma non era arrivata giustamente alla separazione delle carriere, ma puntando sul tema della separazione delle funzioni, che avrebbe trovato terreno fertile in Alleanza Verdi e Sinistra. Nonostante, quindi, le varie rassicurazioni anche del Ministro Nordio, che abbiamo, però, spesso sentito anche cambiare idea su vari temi, la separazione delle carriere, la costituzione dell'Alta Corte e la costituzione di due CSM aprono, a nostro avviso, la porta al tema della responsabilità del pubblico ministero rispetto al potere esecutivo.

Quindi, come potrebbe non incidere la direzione da parte del Ministro della Giustizia sull'iniziativa penale e del pubblico ministero? Perché la nostra vera preoccupazione è che questo sia solo il primo step di un più pericoloso disegno, più ampio: prima si distanziano la magistratura giudicante e quella requirente con questo provvedimento; poi si crea davvero un solco sempre più profondo tra le due magistrature, dove quella requirente, attraverso il concetto di responsabilità, riesumato dal passato, viene ricondotta sotto il controllo dell'Esecutivo.

E a quel punto, con un PM svincolato dalla funzione giurisdizionale, si arriva alla riforma delle riforme, perché è evidente che è già nella testa di questo Governo, come lo era in passato, nei tanti Governi Berlusconi. Il vero obiettivo della riforma - questo è solo il primo step - è l'eliminazione dell'obbligatorietà dell'azione penale, cioè l'abrogazione dell'articolo 112 della Costituzione. Verremo smentiti da questo punto di vista? Speriamo di sì, ma questa è la vera preoccupazione che noi mettiamo oggi, qui, in Aula. Risponderanno poi, chiaramente, il tempo e la storia rispetto a questa preoccupazione, ma è giusto porre il tema.

È evidente, quindi, comunque da tutte le dichiarazioni di questi mesi, l'intento punitivo della maggioranza contro la magistratura. Non si può nemmeno entrare nel merito, come, tra l'altro, abbiamo provato a fare in Commissione con gli emendamenti: tutto bocciato. Chiaramente, mi riferisco a partire dalla prima lettura. È un vero peccato, come dicevo, perché l'aderenza ai principi costituzionali si sarebbe potuta realizzare attraverso - è quello che dicevo prima - la questione della differenza, della separazione, invece, delle funzioni in maniera più netta. Quindi, il vero esito, quello che intende realizzare il Governo con questo provvedimento, è una progressiva dipendenza del pubblico ministero dall'Esecutivo.

Come dicevo, i numeri, davvero, sono esigui, rispetto a quello che abbiamo visto a partire dal 2019, di questi passaggi dalle due funzioni, che nulla giustifica questa riforma. Davvero parliamo del fatto che nel 2019 sono stati 5, ad esempio, i magistrati giudicanti trasferitisi al ruolo di inquirenti e 19 PM sono diventati giudici e via di seguito, anno dopo anno, i numeri sostanzialmente sono questi. Inoltre, affermare che l'appartenenza del pubblico ministero alla stessa carriera del magistrato giudicante renderebbe, secondo quello che si afferma e si sente dire, il giudizio meno equo per difetto di imparzialità del giudice è veramente incredibile. Cioè, secondo voi, il giudice non sarebbe terzo perché l'appartenenza alla stessa carriera lo renderebbe influenzabile da parte del pubblico ministero.

Allora, da questo punto di vista, per esprimere questo paradosso, cioè il difetto di imparzialità del giudice rispetto al PM solo perché a oggi appartengono alla medesima carriera - a parte che non sarebbe chiaramente dimostrabile -, sarebbe, poi, da verificare anche rispetto, ad esempio, alla separazione delle carriere dei giudici d'appello da quelle dei giudici di primo grado, dei giudici di legittimità da quelle di merito e via di seguito. Allora, se apriamo questo discorso davvero non se ne esce più.

Quanto all'argomento, invece, di tipo giuridico, secondo cui la separazione delle carriere sarebbe imposta dall'articolo 111 della Costituzione, che prevede la parità delle parti davanti al giudice terzo e imparziale, anche da questo punto di vista per noi è una pretesa assurda, frutto davvero di una lettura scorretta dell'articolo 111. Chiaramente, da questo punto di vista, se stiamo parlando della parità fra accusa e difesa, allora noi dobbiamo agire sotto altri punti di vista. La parità tra PM e difensore è di carattere endoprocessuale e, come tale, deve essere pienamente assicurata dall'ordinamento, però non sussiste se riferita a un piano istituzionale che vede i due ruoli completamente disomogenei.

Il ruolo del difensore, per quanto ci riguarda, chiaramente è fuori discussione, ma ciò non significa che sia identico a quello del PM, caratterizzato dalle stesse finalità. Anzi io, come ho già detto più e più volte, ho depositato una proposta di legge dove si inserisce il ruolo dell'avvocato in Costituzione. Quindi, dico, da questo punto di vista: Ministro, facciamolo subito. Si poteva portare avanti anche parallelamente a questo, se davvero questa è la volontà del Governo, dal punto di vista anche - allora, quello sì - dell'ottica della parità tra accusa e difesa.

Quindi, da questo punto di vista non possiamo, come Alleanza Verdi e Sinistra, non esprimere la nostra totale contrarietà rispetto a questa riforma che, come è evidente, è frutto di uno schema politico di scambio fra i gruppi di maggioranza delle varie riforme: da un lato, il premierato, poi, l'autonomia differenziata e la separazione, appunto, delle carriere. Quindi, tutto questo in un gioco chiaramente di dinamiche interne alla maggioranza. Peccato che, però, si va a incidere così, in maniera determinante, sulla Costituzione. Quindi, da questo punto di vista noi chiediamo, però, al Governo e al Ministro Nordio di bloccare oltre alla riforma, che contrasteremo anche in ottica chiaramente di un possibile referendum, queste continue forme di delegittimazione della magistratura, perché delegittimare la magistratura significa delegittimare lo Stato (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Paolo Emilio Russo. Ne ha facoltà.

PAOLO EMILIO RUSSO (FI-PPE). Signora Presidente, signor Ministro e Vice Ministro, onorevoli colleghe e colleghi, oggi in quest'Aula ci riuniamo per la terza lettura di una riforma costituzionale che introduce la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti. È un momento significativo per il nostro ordinamento, un'occasione per riflettere con serenità e spirito costruttivo su come rafforzare le fondamenta della nostra giustizia, sempre nell'interesse supremo dei cittadini e della democrazia. Permettetemi di partire da un punto condiviso, spero, richiamando le argomentazioni che abbiamo sentito negli interventi dei colleghi, in particolare i colleghi Enrico Costa, Andrea Gentile e Pietro Pittalis, cioè che questa proposta non emerge da controversie passeggere o da intenti polemici, ma affonda le radici in un percorso storico ben definito. Ricordiamo, infatti, la riforma del codice di procedura penale del 1989, che ha segnato un turning point fondamentale: il passaggio da un modello inquisitorio, dove il giudice accumulava ruoli di indagine e decisione, ad un sistema accusatorio più equilibrato e rispettoso dei diritti delle parti in causa. Quel cambiamento ha promosso un processo più trasparente, dove l'accusa e la difesa si confrontano ad armi pari davanti a un giudice terzo.

In questo contesto storico, è utile ricordare le parole di figure autorevoli che hanno sostenuto questa evoluzione. Come ha ricordato qualche giorno fa il Vice Premier Antonio Tajani, la separazione delle carriere era un'idea condivisa anche da Giovanni Falcone, che riteneva essenziale che chi accusa non sia collega di chi giudica, per garantire un giudice autenticamente terzo e imparziale. Questo non è un giudizio sui singoli professionisti, ma un riconoscimento del bisogno di strutture che esaltino il ruolo della magistratura riducendo eventuali derive correntizie e favorendo una maggiore specializzazione per modernizzare il nostro sistema giudiziario senza conflitti.

Purtroppo, l'unicità delle carriere ha preservato una certa contiguità tra giudici e pubblici ministeri. Nessuno si permette di mettere in discussione l'integrità o la professionalità della magistratura italiana, che resta un pilastro della nostra Repubblica e un esempio di dedizione al servizio pubblico. Si tratta, piuttosto, di affrontare una questione strutturale: questa vicinanza può influenzare, anche solo in termini di percezione, l'imparzialità del giudice e il pieno dispiegarsi del giusto processo, come sancito dall'articolo 111 della nostra Costituzione? Lo ha ricordato questa mattina proprio il Vice Ministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto: è questo articolo ad imporci di garantire che “il contraddittorio nel processo si svolga in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale”.

In un'epoca in cui la fiducia nelle istituzioni è cruciale, dobbiamo garantire che ogni cittadino si senta protetto da un sistema che separa nettamente i ruoli, permettendo al giudice di essere autenticamente super partes e al pubblico ministero di esercitare la sua funzione requirente con autonomia e vigore.

La separazione delle carriere, in questo senso, rappresenta un'evoluzione naturale e non un capovolgimento. Non si tratta di stravolgere o violentare la Costituzione, come qualcuno è arrivato a dire, ma di una riforma organica che va nel senso dell'efficienza e della modernizzazione. È una scelta meditata che allinea il nostro ordinamento ai principi di un processo più celere e credibile, riducendo potenziali conflitti di interesse e ottimizzando le risorse umane all'interno della magistratura. Non a caso questa prospettiva è condivisa non solo da ampi settori dell'opinione pubblica, che chiedono una giustizia più rapida e affidabile, ma anche da un pezzo importante della magistratura stessa. Molti magistrati, infatti, riconoscono i benefici di una distinzione chiara dei ruoli che valorizza le specifiche competenze e favorisce una maggiore specializzazione, contribuendo così a un sistema giudiziario più efficace per tutti. Si tratta di un provvedimento, dicevamo, che mira a rendere la giustizia più efficiente, prevenendo ritardi e migliorando la qualità del servizio reso ai cittadini, in linea con le esigenze di una società contemporanea che richiede istituzioni agili e credibili.

C'è, poi, un altro punto contestato in questo dibattito. La scelta del sorteggio non è, in realtà, una penalizzazione, ma è immaginato come un sistema per liberare energie e premiare chi lo merita. Può essere considerato un rimedio, magari inelegante, ma risolve il tema del correntismo esagerato e libera la magistratura dal gioco delle correnti, che non sempre ha favorito i migliori e i più preparati. A dimostrazione del fatto che questa riforma non rappresenta affatto una sorta di colpo di Stato o un'iniziativa unilaterale ma un tema maturo e condiviso nel tempo da diverse sensibilità politiche, voglio ricordare anche il voto nei primi passaggi e l'adesione morale di alcuni partiti, formazioni e persone che, di certo, non si richiamano ai principi liberali.

Non citerò anch'io, come hanno fatto i colleghi, l'importante mozione congressuale del Partito Democratico, che citiamo con il rispetto che si deve al principale partito dell'opposizione, baluardo del sistema democratico, che proprio nel 2018 impegnava il partito alla separazione delle carriere. Questo ci ricorda, appunto, come il dibattito sulla separazione delle carriere sia un patrimonio trasversale, frutto di riflessioni profonde e non certo di divisioni ideologiche.

Voglio rispondere ad un'altra e ultima osservazione. C'è chi ha descritto questa scelta politica come un blitz, una forzatura. Il calendario, però, restituisce un'altra versione dei fatti. Questo Parlamento ha iniziato a discutere di separazione delle carriere il 2 febbraio 2023, con audizioni, confronti e dibattiti. L'11 luglio 2024 è arrivata la proposta del Governo e oggi siamo alla terza lettura.

Ne approfitto per ringraziare per il loro lavoro costante e la loro presenza il presidente della Commissione affari costituzionali, l'onorevole Nazario Pagano, e i due relatori, l'onorevole Michelotti e l'onorevole Bordonali. In uno spirito di collaborazione istituzionale, che supera le divisioni partitiche, invito ciascuno di noi a considerare come questa riforma possa contribuire a una giustizia più vicina ai bisogni della società contemporanea, una giustizia che non solo punisce i reati, ma previene ritardi e inefficienze, rafforzando la coesione sociale e la fiducia nello Stato di diritto.

Un ultimo passaggio. Ho sentito i colleghi minacciare il referendum confermativo, ma, a nostro avviso, un referendum non è una minaccia, ma uno strumento che garantisce che una riforma costituzionale possa essere condivisa. Ecco perché non abbiamo paura del referendum (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Bonafe'. Ne ha facoltà.

SIMONA BONAFE' (PD-IDP). Grazie, Presidente. Noi siamo arrivati al secondo e, probabilmente, ultimo passaggio di questa riforma alla Camera, riforma sulla quale abbiamo avuto modo, fin dai lavori in Commissione e poi anche nel corso della prima lettura in Aula, di esprimere la nostra più profonda contrarietà basata sia sul merito sia sul metodo.

Parto proprio dal metodo, perché stiamo parlando di una riforma costituzionale che, però, è stata portata avanti come se si trattasse di un normale decreto-legge, come se si trattasse di una normale proposta del Governo, senza il più assoluto coinvolgimento delle opposizioni.

Stiamo parlando di una modifica costituzionale. Voglio ricordare che la Carta costituzionale è di tutti, non è della maggioranza di turno. Ora, per carità, è assolutamente legittimo volerla modificare, ma la prassi suggerirebbe di coinvolgere le opposizioni, anche perché tutte le volte che la Carta costituzionale è stata modificata senza coinvolgere le opposizioni - per onestà intellettuale, devo ammettere che questo è successo anche dalla nostra parte politica -, questo procedimento - non lo posso negare -, a colpi di maggioranza, non ha mai portato bene.

Pensiamo che si sarebbe dovuto partire da lì, coinvolgendo le opposizioni o, quantomeno, lavorando per avere una maggioranza più ampia possibile, anche perché - l'ho detto prima, ma lo voglio ripetere, perché credo sia un principio fondamentale - la Carta costituzionale riguarda le regole e i principi che tengono insieme la nostra comunità, l'intera società, riguarda la convivenza civile e la convivenza politica del nostro Paese.

La Carta costituzionale è materia molto sensibile e le riforme fatte in questo modo sono riforme che non possiamo accettare. In questo caso, peraltro, andiamo molto oltre il semplice non coinvolgimento delle opposizioni, perché è la prima volta - e nessuno può negarlo - che una riforma costituzionale, così come esce dal Consiglio dei Ministri, molto probabilmente, dopo i due passaggi parlamentari, uscirà dal Parlamento. Per noi è inaccettabile, è una mortificazione del ruolo non solo delle opposizioni, ma dell'intero Parlamento.

È stato ricordato negli interventi che mi hanno preceduto come la stessa Costituzione preveda, all'articolo 138, tutta una serie di procedure, proprio per andare incontro alla necessità di allargare il consenso sulle riforme che riguardano tutti e che riguardano la carta. Qui, invece, abbiamo avuto un'umiliazione del Parlamento e non solo un'umiliazione delle opposizioni.

Certamente, sappiamo bene che c'è stata una blindatura. Infatti, anche i colleghi di maggioranza non hanno potuto più di tanto lavorare su questa proposta e, purtroppo, avvertiamo sempre di più come non ci sia un disegno complessivo a muovere la maggioranza sulle riforme che riguardano l'assetto istituzionale del Paese, ma ci sia invece una pura e semplice spartizione fra le forze di maggioranza, dove ogni forza politica è più interessata a portare a casa il proprio dividendo e non a guardare all'efficacia complessiva del sistema.

Il Vice Ministro Sisto, questa mattina, in Commissione, ha detto che, in verità, non è una forzatura, che, in verità, in Commissione ci sono stati una lunga e dettagliata istruttoria, nei tempi e nei modi, di questo provvedimento e un confronto. Io sinceramente sul confronto in Commissione ho forti dubbi visto che siamo intervenuti più che altro noi delle opposizioni. Però è vero, Vice Ministro Sisto, che in effetti ci sono state tante audizioni che hanno riguardato studiosi, giuristi e anche pezzi della società civile. Ecco, siccome il Vice Ministro Sisto è sempre stato presente ai lavori di Commissione, non mi smentirà, quando dico che circa il 99 per cento delle persone che abbiamo audito in Commissione ha espresso perplessità su questa riforma, che noi abbiamo raccolto, presentando degli emendamenti. Sapete quanti emendamenti sono passati? Zero emendamenti. Ripeto: zero emendamenti! Allora, è possibile che questo confronto e che tutti quelli che sono venuti in Commissione - studiosi e giuristi - non abbiano portato al dibattito niente di così interessante da poter prendere per migliorare la riforma che state presentando al Paese?

Allora, Vice Ministro, non ci venga a dire che c'è stata un'istruttoria dettagliata, perché l'istruttoria dettagliata forse avrebbe previsto anche un confronto maggiore, cosa che invece non c'è stata.

Noi siamo i primi a ritenere che le riforme costituzionali non debbano essere portate avanti con uno scontro politico, ma non con un confronto nel merito, però questo confronto nel merito, purtroppo, non c'è stato.

Passo al merito di questo provvedimento. Non venite a dirci che riguarda la separazione delle carriere, perché la separazione delle carriere è solo nel titolo di questo provvedimento, anche perché, come ben sanno i colleghi, la separazione delle carriere c'è già, è già stata fatta con la riforma Cartabia. Peraltro, a dirlo non è il Partito Democratico, ma sono i numeri che oggi abbiamo: quando oggi meno dell'1 per cento da magistratura requirente passa a magistratura giudicante, e viceversa, vuol dire che non solo è già stata fatta la riforma della separazione delle carriere, ma anche che questa riforma, che prevedeva tutta una serie di procedure più rigide per i passaggi, evidentemente ha avuto anche un buon successo, perché questo è dimostrato dai numeri che vi ho appena citato.

Non solo: non ci venite nemmeno a dire che questa riforma è in nome di una presupposta maggiore terzietà del giudice, perché anche qui sono i numeri a smentirvi. Già oggi, più del 40 per cento delle sentenze non riporta le tesi accusatorie. Quindi, anche su questo, sono i numeri a non andare incontro alla vostra propaganda. E sinceramente chiederei anche di evitare lezioni di garantismo da parte di una maggioranza che non ha avuto nessuno scrupolo nell'approvare i decreti Sicurezza che hanno messo in carcere donne con bambini piccoli e che hanno istituito solo nuovi reati e nuove pene. Quindi, per cortesia, le lezioni di garantismo non ce le potete presentare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)!

È vero che c'è una grande propaganda su questo provvedimento ed è la propaganda che state portando avanti, dicendo che questo provvedimento migliorerà il funzionamento della giustizia. Dovrete essere molto bravi a spiegare ai cittadini come mai l'istituzione di due CSM e di un'Alta Corte della giustizia comportino, di per sé, il miglioramento della giustizia perché, a nostro parere, non funziona esattamente così.

A nostro parere - insomma, lo dico anche qui - noi non siamo per lo status quo. Siamo sicuramente per migliorare il funzionamento della giustizia, siamo i primi a ritenere che oggi vadano rafforzate le garanzie dei cittadini nel processo e siamo i primi a ritenere che oggi vadano ridotti i tempi per arrivare a sentenza, dato che molte volte ci vogliono anni e i cittadini vivono per tanti anni con il peso della colpevolezza sulle spalle e tante volte questo comporta anche uno stigma sociale. Siamo i primi a dire che bisognava attuare quello che ci eravamo impegnati a fare nel PNRR, a partire dal processo telematico. Ecco, niente di tutto questo è stato fatto nella riforma.

Quindi, questa non è una riforma che migliora la giustizia. Qui è solo una la finalità di questa riforma, cioè la volontà di indebolire l'azione della magistratura, indebolendo l'organo di autonomia e indipendenza stessa della magistratura che è il Consiglio superiore della magistratura. E in che modo? Sdoppiando questo Consiglio, levandogli alcune funzioni che passano all'Alta Corte, e attraverso un metodo di selezione che veramente abbiamo contestato in ogni modo, ossia quello del sorteggio, e che non abbiamo contestato solo noi, ma anche quelli che hanno partecipato alle audizioni.

Sempre il Vice Ministro Sisto, questa mattina, ha detto che il metodo del sorteggio supera la degenerazione correntizia che pure è un tema che non abbiamo mai negato e, infatti, qualche correttivo era già stato introdotto. Però, non c'è dubbio che c'è un tema di degenerazione correntizia. Il Vice Ministro ci ha detto stamani che le correnti non selezionano i più bravi. Mi domando e domando, per suo tramite, al Vice Ministro come pensa debbano essere selezionati i più bravi attraverso il sorteggio (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Urzì. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO URZI' (FDI). Grazie, Presidente. Ci sono momenti in cui siamo chiamati a guardarci negli occhi, specie la mattina, allo specchio e a chiederci se stiamo realmente facendo quello per cui siamo stati chiamati a rappresentare gli italiani in questo Parlamento e se stiamo realmente rispettando le promesse che abbiamo fatto. Ecco, la risposta, Presidente, è “assolutamente sì”. Ne siamo orgogliosi, e non vorrei apparire assolutamente minaccioso, ma proseguiremo su questa strada.

Dopo la prima lettura al Senato di questo provvedimento, il Presidente Meloni aveva riassunto perfettamente la sintesi dello spirito: sistema giudiziario sempre più efficiente, equo e trasparente. Non possiamo che sottoscrivere evidentemente queste parole. L'opposizione però fa l'opposizione, anzi fa l'ostruzionismo. È legittimo, Presidente, e non ci sorprende affatto. La realtà non ci preoccupa però in alcun modo. Questa reazione va semplicemente descritta per quello che è, ossia spropositata, e rivela un nesso sostanziale fra la sinistra e una certa parte di quella magistratura che oggi si vorrebbe rappresentare e difendere nei suoi vecchi assetti e organigrammi. È sostanzialmente l'occasione per svelare un nesso di contiguità e di interscambiabilità di opportunità fra ambiti che dovrebbero invece rimanere nettamente distinti.

Questa riforma, Presidente, interrompe lo strapotere delle correnti che hanno influito sull'organizzazione dei magistrati e libera gli entusiasmi fra coloro che non si sono mai rimessi alle decisioni dei capibastone. Lascio ovviamente, così come è successo fino a questo momento già nel corso del dibattito, ai relatori, così come ai colleghi che mi hanno preceduto e quelli che seguiranno, l'entrare nei dettagli tecnici di questa riforma. Si è fatto, però, un discutere su alcuni di questi elementi e fra questi vi è l'estrazione a sorte. La verità è che è il sistema infallibile per scardinare le correnti. Basta solo questo, Presidente, per descriverne la ragione e lo spirito.

L'istituzione di un'Alta Corte disciplinare completa il quadro della riforma. Valuterà eventuali sanzioni e provvedimenti nei confronti dei magistrati. Esiste un tribunale dei Ministri, può esistere un tribunale dei magistrati senza che questo venga considerato lesa maestà.

E al di là di ogni tecnicismo, la parità processuale fra accusa e difesa, il giudice terzo e imparziale, rende più forte la giustizia; e la giustizia è un patrimonio di tutti, non solo di alcuni. La rende più forte, Presidente, anche nella sua percezione, e ciò rinforza la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni. Questo è uno dei compiti che ci siamo prefissati e uno degli obiettivi che stiamo realizzando. È sostanzialmente l'articolo 111 della Costituzione: ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti davanti ad un giudice terzo e imparziale. La separazione esalta questo valore costituzionale, ne dà forma ma ne dà anche sostanza. E a me ha fatto molto piacere che la collega Kelany, in precedenza, abbia richiamato alcuni passaggi importanti, sui quali questo Parlamento deve avere la piena consapevolezza delle posizioni del Partito Democratico solamente pochi anni fa: al congresso del partito del 2019 fu votata una mozione che prevedeva proprio la separazione delle carriere. Anzi, il tema della separazione delle carriere appare ineludibile per garantire un giudice terzo e imparziale; così, a suo tempo, il Partito Democratico disse e sottoscrisse. E lo sottoscrissero tanti che pure sono qui oggi, presenti anche in quest'Aula, che hanno pure aperto una caccia alle streghe verso la riforma proposta dalla maggioranza di Governo. I nomi sono stati fatti in precedenza e non li voglio ricordare, se non quello dell'attuale deputata del Partito Democratico, ma anche responsabile della giustizia nella segreteria del Partito Democratico, Debora Serracchiani.

Insomma, il Partito Democratico ha semplicemente cambiato posizione. Legittimo, basta solo riconoscerlo. Io rinnovo, Presidente, la ferma determinazione di Fratelli d'Italia nel sostenere questo spirito riformatore che sta accompagnando l'azione di Governo in ogni campo, anche quello della giustizia, e confermo quindi il voto di Fratelli d'Italia che sarà assolutamente di sostegno a questa riforma, che si accompagna a un complesso percorso di rifondazione di questo Paese, all'insegna di una novità nei confronti della quale molta parte di questo Parlamento e dell'opposizione ha purtroppo paura (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Lomuti. Ne ha facoltà.

ARNALDO LOMUTI (M5S). Grazie, Presidente. Possiamo mettere nero su bianco che questo Governo è riuscito a disattendere l'intero programma elettorale con il quale si è presentato nelle elezioni del 2022, un programma farlocco che con il tempo, poi, si è rivelato una vera truffa elettorale in piena regola.

Elenco soltanto alcune delle promesse mantenute: il blocco navale, l'Europa che doveva finire la pacchia, il taglio delle accise, il ponte sullo Stretto (su cui prima il giudizio era negativo, mentre oggi è positivo su un progetto antecedente al 2022), l'Alitalia ai tedeschi, la legge Fornero, il superbonus, le trivelle, le privatizzazioni. Insomma, Presidente, potrei andare ancora avanti, però, ecco, con tanta pace anche di questo Governo, forse è meglio mettere un limite all'indecenza, e voglio fermarmi qui.

Ogni giorno buttate giù una maschera, il problema è che ne avete veramente tante. Oggi ne gettate un'altra, perché la riforma che volete approvare è soltanto uno dei pilastri dove si poggia il vostro vero programma sovversivo. E, in questo caso, ognuno ha il suo. Avete diviso questa torta “Italia” in tre fette: la fetta della donna sola al comando a Fratelli d'Italia, la fetta dell'autonomia differenziata ammazza-Sud - che è stata smontata dalla Corte costituzionale - alla Lega e la fetta della riforma della giustizia a Forza Italia, che è il sogno del berlusconismo, per il quale oggi approverete un tassello importante, quello della separazione delle carriere e della riforma del CSM. Tra l'altro, senza un confronto serio, una discussione parlamentare, continuando a infischiarvene della democrazia di quest'Aula e di quella del Senato.

Avete deciso che è così, e così andate avanti a forza di numeri, creando un muro non soltanto fra maggioranza e opposizione, ma anche tra Governo e magistratura, giustificandolo con un motivo che non risponde a verità, e cioè quello secondo il quale un giudice sarebbe succube del pubblico ministero e che, di conseguenza, questo sia un organo giudicante che puntualmente tenderebbe ad accogliere le istanze di quello inquirente. Peccato che a questa tesi si contrappone poi la statistica, che evidenzia invece come, soltanto l'anno scorso, il 54 per cento dei processi si sono conclusi con una sentenza di assoluzione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), e vogliamo ricordarvi che già oggi il giudice è indipendente.

Ciò che serve alla giustizia veramente, Presidente, sono investimenti seri, soldi, perché le risorse che ci sono oggi sono poche e non consentono di risolvere il problema dei carichi pendenti della magistratura.

È qui il problema. Attaccate la nostra Carta costituzionale, che riconosce sia ai PM che ai giudici autonomia e indipendenza, e che afferma che i controlli di legalità siano esercitati nei confronti di tutti, indifferentemente. Sto parlando del principio secondo il quale la legge è uguale per tutti, principio che evidentemente non è condiviso da questo Governo, perché abbiamo notato che, laddove un giudicante emetta una sentenza che non viene condivisa dal Governo, da quella parte politica, quel giudice, secondo la maggioranza, supportata da un sistema di comunicazione nazionale, automaticamente avrebbe un orientamento politico, quando invece semplicemente applica la legge, per il semplice motivo che è obbligato per legge ad applicarla (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Oggi indebolite pericolosamente l'ordine giudiziario, togliendo la funzione di magistrato imparziale al pubblico ministero, trasformandolo in un magistrato accusatore e investigatore, che deve ad ogni costo risolvere un caso. Ricordiamo che il pubblico ministero è un organo che deve indagare non soltanto per individuare l'autore del reato, ma anche per cercare elementi in favore dell'indagato. Chi indaga, al contempo, ha anche il primo filtro sul rispetto delle norme, delle regole, ne è garante. Domani, con questa riforma, il cittadino non potrà più fare affidamento su un organo come tutore del rispetto della legge, perché lo stravolgerete in un superpoliziotto al servizio del potere politico.

Sappiamo che queste preoccupazioni a voi non interessano, perché la verità è che ci troviamo dinanzi a una chiara resa dei conti tra poteri forti, in più di qualche caso occulti, come la storia di questo Paese ci insegna, e l'unico loro ostacolo è l'autonomia e l'indipendenza della magistratura. È questo che vi destabilizza. Vorrei fare una domanda: perché vi rifiutate di riconoscere che, oggi come ieri, il nostro Paese non si è mai liberato dalla corruzione, dalla commistione tra affari e politica, dalla commistione tra poteri di diverso livello con le mafie? La risposta sta nelle motivazioni a questa riforma.

Non avete alcuna voglia di rappresentare gli interessi dei normali cittadini, ma solo quella di tutelare gli interessi degli altissimi livelli della nostra società. Questi sono i motivi per i quali dovete modificare l'elezione del CSM e imporre la separazione delle carriere della magistratura. Questi sono i veri tre motivi alla base della costruzione di uno dei tre pilastri del vostro vero programma sovversivo ed eversivo dell'ordine democratico della nostra società. Forse oggi vincerete una battaglia, ma non la guerra, che continueremo a portare avanti anche fuori da quest'Aula attraverso ogni strumento democratico e costituzionale a nostra disposizione.

Soltanto una richiesta, Presidente, e mi avvio alle conclusioni. Lasciate stare Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tutte quelle donne e quegli uomini che hanno dato la vita per avere combattuto la criminalità organizzata, quella dei cosiddetti colletti bianchi e quella delle associazioni sovversive che, negli anni bui del nostro Paese, hanno cercato di assassinare anche la nostra democrazia. Quei nomi non hanno nulla a che vedere con lo spirito della riforma che voi oggi vi apprestate, in tutta fretta, ad approvare, ma non finirà qui (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Iezzi. Ne ha facoltà.

IGOR IEZZI (LEGA). Grazie, Presidente. Questa è una settimana particolarmente importante, non solo perché ci porta al fondamentale weekend di Pontida, ma anche perché noi, in quest'Aula, in questi giorni daremo il terzo via libera, il penultimo via libera a una riforma fondamentale. Una riforma che ha come scopo quello di attuare, come è stato detto da tanti, l'articolo 111 della Costituzione, in cui, oltre a descrivere il giusto processo, si parla di contraddittorio tra le parti, in condizione di parità, davanti a un giudice che deve essere terzo e imparziale.

Da qui la necessità di mettere in campo dei nuovi meccanismi rispetto a quelli attuali, che non hanno garantito la possibilità di avere un giusto processo. E mi riferisco, in particolare, ad alcuni articoli di questa riforma. Innanzitutto, l'articolo che crea i due CSM, uno per la magistratura inquirente e uno per la magistratura giudicante, a differenza dell'unico CSM che c'è oggi. Questo per fare in modo che i giudici non possano influenzare gli avanzamenti di carriera dei PM e i PM non possano influenzare gli avanzamenti di carriera dei giudici.

Ma non solo, la creazione dell'Alta Corte disciplinare, perché qui ci aiuta la saggezza popolare: cane non mangia cane. Lo abbiamo visto con i dati del CSM, che nel 2023 ci hanno prodotto 15 sanzioni disciplinari rispetto a oltre 2.000 segnalazioni. Vuol dire che il 95 per cento delle segnalazioni nei confronti dei magistrati sono state archiviate (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier). È evidente che c'è un problema sul quale bisogna intervenire, è una questione necessaria e urgente; serve intervenire per ridare un minimo di ordine all'interno di un settore che oramai è fuori da ogni regola.

Ma, in particolare, è importante una norma, che io ritengo la più decisiva e determinante di tutte le altre, cioè quella del sorteggio. Il sorteggio ha una funzione fondamentale, che è quella di porre fine al correntismo clientelare, che è quella di spezzare il legame che c'è oggi tra correnti ed elezione, spesso favorito in un meccanismo di amicizie e di favoritismi.

Di fronte a questo c'era la necessità di intervenire, tra l'altro questa è una riforma che fa parte della storia del centrodestra e della Lega, è uno di quegli elementi fondativi del nostro schieramento; però noi non dimentichiamo che questa riforma ha acquistato particolare forza e cogenza nel momento in cui è venuto alla luce lo scandalo Palamara, forse è passato un po' troppo sottotraccia quello scandalo. Noi abbiamo assistito in questi giorni, in queste settimane, negli ultimi mesi, a un incredibile conflitto di interessi da parte dell'Associazione nazionale magistrati, che oramai è succube del correntismo, e da parte del Partito Democratico, perché la vicenda Palamara è una vicenda molto chiara nel suo esplicarsi.

Cosa succedeva, in estrema sintesi? Che all'Hotel Champagne i vertici della magistratura si ritrovavano con esponenti del Partito Democratico per decidere i capi delle procure (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier), questo è quello che succedeva nel caso di Palamara. Ed è evidente che il Partito Democratico non voglia perdere il potere che ha avuto fino ad oggi su ampi settori della magistratura in parte organizzata.

Noi non dimentichiamo questo, come non dimentichiamo il fatto che ci siano stati magistrati che hanno fatto carriera grazie alle correnti, fino ad arrivare alle più alte vette, alle più alte cariche della procura antimafia, e da lì a fare dossieraggio nei confronti dei partiti avversari (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier - Commenti di deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), e noi questo non lo dimentichiamo, noi questo non ce lo dimentichiamo; come non ci dimentichiamo il fatto che, a causa di questo legame, di questa unione tra le correnti della magistratura e una parte della politica, un Ministro come Matteo Salvini è finito sotto processo, perché questo è quello che è successo.

Noi ci ricordiamo le intercettazioni nel caso Palamara in cui un magistrato, parlando con Palamara, diceva: ma guardate, come facciamo a intervenire contro Salvini, perché ci sta difendendo dagli invasori. E Palamara rispondeva: bisogna colpirlo, bisogna colpirlo per questioni politiche. Questo è quello che è successo nel nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier), e quindi c'è un conflitto di interessi enorme che noi dobbiamo togliere dal campo per poter finalmente tornare a parlare di giustizia in questo Paese.

Quindi noi siamo contentissimi che questa riforma vada avanti e siamo contentissimi che si possa tenere il referendum, che si possa chiedere ai cittadini che cosa pensano di quello che è successo nel nostro Paese. Perché noi siamo pronti a girare - ma senza nessun imbarazzo, noi, a differenza di altri - strada per strada, comune per comune, regione per regione, a spiegare che ci sono forze politiche, e non solo, che non stanno tutelando il sistema della giustizia, ma stanno tutelando solo ed esclusivamente i propri interessi. Questo noi lo faremo senza nessun problema e senza nessuna paura, e aspettiamo con ansia di poter svolgere il referendum.

Oggi nel nostro Paese autonomia e indipendenza della magistratura consistono nella liberazione delle toghe dalle grinfie e dagli artigli del Partito Democratico. Questo oggi è autonomia e indipendenza della magistratura (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

Nel dibattito - vedete - siamo stati accusati di non aver toccato il testo uscito dal Consiglio dei ministri. Su questo è intervenuto anche il Vice Ministro Sisto… ho visto, Presidente; ho otto minuti, se non sbaglio. Ho ancora qualche secondo…

PRESIDENTE. Ha ancora 46 secondi. Prego.

IGOR IEZZI (LEGA). È intervenuto il Vice Ministro Sisto. Noi non l'abbiamo cambiato, perché questo è un elemento fondativo - come dicevo all'inizio - della nostra coalizione. Su questo c'è stato un lavoro particolareggiato e noi rivendichiamo il fatto che su questo tema abbiamo da sempre una linea chiara, perché noi, a differenza di altri partiti di questo Parlamento, non abbiamo commistioni con nessun tipo di corrente (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. Ricordo, a beneficio di tutti, che nell'ultimo minuto disponibile il microfono inizia a lampeggiare e poi si spegne. Non è che il Presidente lo spegne.

È iscritta a parlare la deputata Ghirra. Ne ha facoltà.

FRANCESCA GHIRRA (AVS). Grazie, Presidente. Intanto ringrazio il Ministro e il Vice Ministro per essere oggi in Aula, cosa piuttosto rara quando si affrontano provvedimenti e, quindi, ci tengo a sottolinearlo. Mi dispiace per le parole che stiamo sentendo da parte dei colleghi, che mortificano il ruolo di uno dei pilastri della nostra democrazia, la magistratura, con delle parole veramente umilianti, a mio avviso. Io ribadirò, ancora una volta in questa sede, quanto abbiamo già evidenziato durante il dibattito in Commissione e durante l'esame in prima lettura. Stiamo affrontando una riforma costituzionale che, a nostro avviso, non è certo orientata a garantire il giusto processo, ma - come emerge anche dalle parole dei colleghi - si configura come un vero e proprio attacco alla magistratura, al nostro assetto istituzionale, alla separazione dei poteri, che è prevista dalla nostra Costituzione, e che rientra, come è stato enunciato, in quella che è la spartizione delle riforme delle maggiori forze di Governo: il premierato a Fratelli d'Italia, l'autonomia differenziata alla Lega e la separazione delle carriere a Forza Italia. Sappiamo tutti benissimo che questo era uno dei sogni di Silvio Berlusconi, che state riuscendo a realizzare nonostante la nostra contrarietà. Vedremo cosa succederà con il referendum.

Ministro, lo dico spesso: lei risponde puntualmente alle nostre interrogazioni, è l'unico e per questo la ringraziamo. Ma questo non toglie che, a nostro avviso, lei sia il Ministro più deludente e preoccupante di questo Governo, perché sappiamo bene che la giustizia è il cuore della democrazia e voi state cercando di trasformare l'Italia in quelle che vengono oggi chiamate “democrature”, al pari dell'Ungheria di Orban o scimmiottando quella che sta cercando di fare Trump negli Stati Uniti, con una tendenza panpenalista che è emersa sin dal principio degli atti di questo Governo. Penso all'indispensabile decreto Rave, a tutti i decreti flussi che avete fatto contro i migranti e le ONG, penso al decreto Caivano, per arrivare all'orripilante disegno di legge sulla sicurezza che poi, per approvare in fretta e furia, avete trasformato in un decreto. Noi lo diciamo quando arriva ogni provvedimento in quest'Aula che non ha niente di ordinario, perché andate avanti con la decretazione d'urgenza, esautorando il Parlamento, ma penso che sia molto grave quello che è accaduto con la riforma, perché l'avete trattata come se fosse un decreto-legge necessario e urgente. È arrivato un testo blindato da parte del Governo, che è stato impossibile modificare: una riforma blindata che non ha dato a nessuna e a nessuno di noi la possibilità di intervenire, infischiandovene del fatto che la Costituzione è di tutte e di tutti e non è della maggioranza che temporaneamente governa le sorti del nostro Paese.

Nella relazione introduttiva si legge che la ratio di questo provvedimento sarebbe quella di dare concreta attuazione al giusto processo. Eppure, trattandosi di una riforma costituzionale, ci si sarebbe aspettati un coinvolgimento vero, non solo del Parlamento, ma anche della magistratura, che invece non c'è stato. Questo per noi è un primo dato gravissimo. Per garantire un processo giusto, come dite di voler fare, dovreste intervenire sulle regole procedurali e non a livello ordinamentale. Credo che la giustizia si migliori con altri strumenti: velocizzando i processi, con assunzioni di personale amministrativo e di magistrati, che sono sotto organico, con il reperimento di risorse strutturali e materiali. Invece il Governo appare determinato ad approvare una riforma denominata, sì, di separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri, ma che in realtà mira a qualcosa di diverso. È infatti lampante il tentativo di ridefinire, in termini distanti dal modello costituzionale attuale, l'intero assetto del potere giudiziario, con ciò rischiando davvero di compromettere il principio cardine della separazione dei poteri. Il disegno di legge punta, infatti, a riscrivere i complessivi rapporti tra i poteri dello Stato, depotenziando la magistratura e il suo governo autonomo, limitando le prerogative e le garanzie forti del potere giudiziario e della giurisdizione, come voluta dai nostri costituenti.

Nel merito sono quattro i punti critici che voglio sinteticamente analizzare, come ho fatto anche l'altro giorno in Commissione: la separazione delle carriere, l'estrazione a sorte dei membri dei due CSM, giudicante e inquirente, e le conseguenze dello sdoppiamento dei due organi di garanzia della magistratura, oltre che l'istituzione dell'Alta Corte di giustizia.

Prima di tutto, sulla separazione delle carriere, chi è intervenuto in audizione alla Camera ci ha detto chiaramente che non c'è bisogno di cambiare la Costituzione per separare le carriere e lo ha esplicitamente confermato la sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 2000. Peraltro, la separazione delle carriere è già nei fatti. Con la legge n. 77 del 2022 si è disposto che il passaggio possa avvenire solo una volta nella carriera, a condizioni stringenti e cambiando sede. Avremmo potuto confrontarci, come diceva il collega Dori, e ragionare sulle funzioni della magistratura requirente e di quella giudicante. Ma qual è il senso di voler separare le carriere? Non lo capiamo. Vi voglio leggere uno stralcio di un articolo che è uscito su La Stampa a gennaio, a firma di Gian Carlo Caselli, che dice: “Separare le carriere di Pm e giudici comporta - in concreto - uno sdoppiamento dei rispettivi percorsi professionali. Quindi: due concorsi di assunzione; due Csm; due regolamenti per nomina dei dirigenti, trasferimenti eccetera. Ora, volendo seguire criteri di stretto rigore, si dovrebbe imboccare - per coerenza - la strada che porta a rescindere anche i rapporti fra i giudici delle indagini preliminari e i giudici di primo grado, fra questi e i giudici d'appello e poi di Cassazione. Perché non si vede come i sospetti derivanti dalla ‘colleganza' tra Pm e giudici non debbano estendersi anche ai giudici dei diversi gradi del processo. In pratica avremmo non due concorsi e due Csm, ma cinque concorsi e cinque Csm. Ma è una strada senza via d'uscita e nessuno può seriamente pensare di proporla e men che mai di sostenerla. Tuttavia essa consente - in linea di principio - un'osservazione importante: limitare la separazione a un unico segmento della complessiva linea di ‘colleganza' equivale ad ammettere che la riforma non è coerente con le sue premesse teoriche, il che conferma quanto postulato all'inizio: e cioè che la separazione non è un problema di ‘giusto processo' ma rientra nella strategia di sterilizzazione del Pm che voglia essere ‘troppo' indipendente”.

Quindi, a mio avviso, è innegabile che il punto sia un altro ed è l'obiettivo malcelato di porre la magistratura sotto il controllo dell'Esecutivo - diciamolo chiaramente -, obiettivo che comunque, a detta anche degli auditi intervenuti in Commissione alla Camera e poi anche al Senato, non potrebbe dirsi compiuto con l'approvazione di questo disegno di legge, che lascerebbe ampi margini di incertezza interpretativa.

Il secondo punto è la tecnica del sorteggio, operata per contrastare il cosiddetto correntismo, ma che porterebbe a travolgere la rappresentatività dell'organo e la sua capacità funzionale. Infatti, il sorteggio contrasta con la necessità che siano rappresentate culture diverse, diverse sensibilità e orientamenti giurisdizionali. La pluralità è ricchezza e l'interpretazione delle norme non è un dato solo tecnico, ma è frutto di soggettività che devono essere valorizzate nelle diverse sensibilità presenti in magistratura.

L'ho detto provocatoriamente a un convegno e l'ho detto in Commissione l'altro giorno: io mi chiedo come reagireste se noi proponessimo di sorteggiare i parlamentari o la scelta dei Ministri (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra). Certo, magari in alcuni casi potremmo essere più fortunati di oggi, però non sono criteri che sono ammissibili in uno Stato democratico come il nostro.

Quanto alla capacità funzionale, mi pare incredibile che si pensi che una composizione casuale dell'organo non si traduca in una perdita di autorevolezza del CSM, senza garantire ad esempio, tra l'altro, la parità di genere, come avverrebbe in questo caso.

Poi c'è la questione dei due organi di governo. Mi limito a sottolineare un rischio, ed è quello della corporativizzazione dei diversi tipi di magistrati: contabili, amministrativi, tributari, militari. In pratica, si cerca di risolvere una questione e si generano altre problematiche.

In ultimo, in merito all'istituzione dell'Alta Corte di giustizia, oltre al metodo del sorteggio - sul quale ho già detto, anche se in questo caso l'estrazione è temperata - è legittimo, secondo me, chiedersi perché utilizzare un meccanismo come l'appello a se stessa - la Corte stessa ma in diversa composizione - e non stabilire che l'appello debba avvenire innanzi alla Corte di cassazione, per esempio. Penso che questo disegno di legge si inserisca perfettamente nella logica degli attacchi sistematici nei confronti dei magistrati per sentenze da loro emesse, perché non gradite dall'Esecutivo.

L'obiettivo strategico è chiaro ed è quello che ho già detto: sottoporre un giorno, quanto prima possibile, il pubblico ministero al potere esecutivo. Separando le carriere, la forza del blocco unico dell'ordine giudiziario si indebolisce; un corpo separato di pubblici ministeri, addetto all'esercizio dell'azione penale e alla direzione della Polizia giudiziaria, che non fa più parte della giurisdizione e che risponde solo a se stesso, è destinato inevitabilmente a perdere la propria indipendenza dal potere esecutivo; e questo per noi non è assolutamente accettabile (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Bellomo. Ne ha facoltà.

DAVIDE BELLOMO (FI-PPE). Grazie, Presidente. Se fossimo in una scuola e facessimo un tema direi che tutti gli interventi sono fuori tema. Io non ho sentito un intervento, che sia uno, in cui si legga la norma che noi ci accingiamo ad approvare e in cui le critiche attengano agli articoli della stessa norma. Dico questo perché sento dire dai 5 Stelle: la politica ci deve dire con questa riforma chi è indagato o meno, chi indagare o meno. AVS ci dice: si arriverà a togliere l'obbligatorietà dell'azione penale, ci sarà un depotenziamento dei poteri della magistratura, sterilizzazione del PM. Mi dovete dire in quale articolo di questa norma si dice tutto questo. Quando si fanno affermazioni nell'Aula della Camera dei deputati bisognerebbe avere la pazienza - io direi il dovere - di indicare, per le eventuali obiezioni, in quale parte della norma si dice che non vi deve essere l'indipendenza della magistratura, non vi è più l'obbligatorietà dell'azione penale. Mi dovete dire in quale norma è scritto tutto ciò.

La verità è questa, ossia ci si dimentica di quello che è accaduto nel corso del tempo: i costituenti stabilirono, giustamente, che la magistratura dovesse essere indipendente sia dal Parlamento sia dal Governo. Poi, nel corso del tempo, si è arrivati a determinare che questo non fosse sufficiente a garantire un giusto processo, tant'è che nel 1989 è stata fatta una riforma epocale, la riforma del codice di procedura penale, dalla quale è stato stabilito che il processo deve avere un sistema accusatorio e non un sistema inquisitorio. Che cos'è il sistema accusatorio? Io lo devo dire perché, dagli interventi che ho sentito, forse lo si dimentica. Il sistema accusatorio è quello che prevede che vi sia l'accusa, da una parte, e che vi sia la difesa, dall'altra, che accusa e difesa siano sullo stesso piano e che poi vi sia un giudice terzo; quindi, anche dal punto di vista visivo, nell'aula del tribunale, il procuratore della Repubblica è seduto allo stesso livello del difensore e vi è un giudice, su un trespolo, che deve decidere quale delle due parti ha ragione. E non è stato tolto, nel 1989, l'obbligo per il pubblico ministero, in fase di indagini, di fare alcune cose. Questo è quello che è già esistente e nessuno di voi ha detto che quella riforma è contro la magistratura, nessuno si è sognato di dire questo; o che è contro il pubblico ministero; o che è contro le indagini; o che è a copertura della classe politica. Questo è quello che è oggi esistente. Quindi non è una rivoluzione - le chiedo scusa signor Ministro - il fatto di aver posto in essere una riforma in cui si stabilisce quello che, di fatto, il codice di procedura penale già dice, ossia che vi deve essere un giudice terzo. Non facciamo altro che rendere il giudice un'icona perché, se dal punto di vista costituzionale, prevediamo che il giudice sia diverso dalle parti e che non sia assoggettato a nessuno… Perché, creando due CSM, mi dovete dire dove si scrive che la politica entra all'interno della magistratura. Vi sono due CSM, nasceranno due ruoli diversi, perché, quando si nasce diversi, ci si sentirà diversi. Probabilmente non avremo neanche immediatamente gli esiti di questa riforma. Questo è quello che viene fatto in questa riforma.

Qualcuno di voi dovrebbe dire: riformiamo allora il codice di procedura penale del 1989. Eppure, tutti quanti voi affermate che quella parte - in cui si afferma che vi è un principio accusatorio - sia la parte giusta del sistema, in cui il giusto processo viene determinato perché il giudice non deve solo esserlo, deve anche apparire diverso e terzo. E poi non dovete negare l'evidenza, perché nei vari incontri che abbiamo fatto, anche con l'ANM, è stato detto, tra l'altro, che la percentuale dei magistrati che da inquirenti passano a giudicanti e viceversa è solo l'1 per cento. Vi chiedo: quello che è pleonastico è sbagliato? Credo di no. O è sbagliato o è giusto. Stiamo facendo una cosa pleonastica, bene. Dovete avere il coraggio di dire che il problema non è la separazione delle carriere; voi vi dolete del fatto che vogliamo togliere alla magistratura che, per dogma, per essenza stessa, dovrebbe essere terza in qualsiasi forma… non dovrebbe avere correnti, non dovrebbe avere alcuna aderenza a quella che è la natura politica, che invece oggi assume, perché è evidente che, se ci sarà il sorteggio, non ci saranno più le correnti che potranno determinare le elezioni di qualcuno all'interno del CSM.

Questa è la verità di cui si dolgono e hanno avuto anche il coraggio di dirlo apertamente. E allora io mi meraviglio che i 5 Stelle, che hanno fondato “uno vale uno”, oggi ci dicano il contrario, perché oggi noi siamo nella situazione per la quale chi viene eletto al CSM non deve dar conto a nessuno…

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

DAVIDE BELLOMO (FI-PPE). ...non deve dar conto all'eletto. Questo è il vero problema. Quindi, veramente, mai come su questo provvedimento, vi sarà la mia adesione a questa riforma della magistratura e mi meraviglio che ci sia qualcuno che dica il contrario (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Fornaro. Ne ha facoltà.

FEDERICO FORNARO (PD-IDP). Grazie, signora Presidente. Signor Ministro, signor Vice Ministro, colleghe e colleghi, devo esprimere - forse qualcuno si sorprenderà - intanto una prima soddisfazione: finalmente, dopo mesi di non discussione, di silenzio in sede di Commissione, abbiamo ascoltato anche le ragioni dei proponenti. Lo dico con spirito riformatore, con spirito costituzionale - se mi è consentito - perché, come è stato ricordato anche dalla collega Bonafe', quello che è avvenuto, l'iter parlamentare scelto da questo Governo e da questa maggioranza, assomigliava più a quello di conversione in legge di un decreto-legge che non a quello di una riforma costituzionale. Questo è un primo problema che vorrei non fosse sottaciuto e sottovalutato: il metodo è sostanza, la postura riformatrice di questo Governo si è espressa sostanzialmente nell'approvazione della proposta di riforma costituzionale senza dare la possibilità al Parlamento, per scelta politica, di intervenire in via emendativa. Questo lo riteniamo un vulnus.

Signor Ministro, lei lo sa, essendo conoscitore della materia del diritto, che questa sarà la prima riforma costituzionale che non avrà avuto, nei passaggi parlamentari, alcuna modificazione. Non la consideriamo un'innovazione; la consideriamo un pericoloso precedente. Il Governo decide e il Parlamento esegue. È uno sfregio al Parlamento e, quando dico che è uno sfregio al Parlamento, penso non soltanto alle opposizioni, che potevano, volevano, erano disponibili a dare un proprio contributo, ma anche ai colleghi della maggioranza. È uno sfregio alla Costituzione perché lo spirito dell'articolo 138, dedicato alla possibilità di modificare il testo approvato nel 1947 ed entrato in vigore il 1° gennaio 1948, era l'esatto opposto della scelta che avete compiuto: era l'idea che si potesse e si dovesse ricercare un'intesa dopo un confronto parlamentare, la più ampia possibile.

Questo è il motivo per il quale, in seconda lettura, sono necessari la maggioranza assoluta del plenum e i due terzi, se non si vuole andare al referendum. Così come hanno un senso, ovviamente, i tre mesi per la doppia lettura: è l'idea della riflessione, è l'idea che la Costituzione non la si cambia a colpi di maggioranza. E, su questo, non ho nessuna difficoltà a riconoscere, questo sì, un elemento di autocritica rispetto a quanto fecero i Governi dal 2001, dalla modifica del Titolo V, ma questo non assolve il fatto di ripetere un errore.

Da questo punto di vista, crediamo che il metodo che è stato utilizzato sia figlio di un'idea sbagliata di applicazione della Costituzione, che parte da un presupposto che, in qualche modo, abbiamo sentito enunciare anche in questa sede, è cioè che chi vince le elezioni ha il diritto-dovere di modificare la Costituzione nelle parti che non condivide. Crediamo sia un approccio sbagliato.

Un conto è legiferare, un conto è decretare d'urgenza, altro è mettere mano alla Carta che governa la convivenza civile e i rapporti istituzionali.

Ho sentito parlare - ma veramente sono rimasto stupito dal collega Urzi', per suo tramite - del fatto che abbiamo compiuto e staremmo facendo ostruzionismo. Mi permetto di dire che, da un punto di vista costituzionale, l'ostruzionismo lo avete fatto voi, l'ha fatto la maggioranza, con il silenzio in Commissione. Abbiamo passato decine di ore in cui abbiamo illustrato emendamenti nel silenzio della maggioranza e del Governo! L'unica volta su cui c'è stata l'apertura di una discussione era su una nostra proposta di utilizzare il sorteggio, che non condividiamo, come uno strumento per rinnovare - sì, questa volta per rinnovare - e ottenere la parità di genere nella composizione del CSM. La risposta finale, nei fatti, è stata: potete avere anche ragione, può essere una buona idea, accoglieremmo volentieri un ordine del giorno, ma il testo che è stato sancito dall'accordo dei leader non può essere modificato. Questa è la dimostrazione solare che il vero ostruzionismo l'avete fatto voi. Poi sono rimasto stupito da due accenni che sono stati fatti negli interventi di colleghi che stimo, rispetto a una mozione congressuale nel congresso del PD del 2019.

Purtroppo, temo che la scarsa dimestichezza che avete con i congressi di partito vi porti a confondere le cose. La mozione, in questo caso, non era una mozione singola riferita alla vicenda giustizia. Era una mozione complessiva. Era il documento con cui uno dei tre candidati alla segreteria si presentava. È una cosa profondamente differente. Non è mai stato approvato da quel congresso, tenuto conto che il primo firmatario di quella mozione, il collega Martina, non ha vinto quel congresso.

Allora, quando si fanno questi riferimenti, quando si forzano i paragoni e i precedenti, credo che un invito ad avere maggior rispetto, anche delle dinamiche democratiche interne ai partiti, sarebbe opportuno, visto che il Partito Democratico, che può avere molti difetti, uno non ce l'ha: i congressi, li fa e li fa per davvero! Non sono congressi finti, non sono congressi in cui non c'è dibattito ed è già deciso a priori chi sarà a governare quel partito.

Ma c'è un altro sfregio su cui vorrei tornare, rimanendo al testo e alla ratio di questa riforma. Perché c'era bisogno di sdoppiare il CSM? E visto che dal collega che mi ha preceduto ci è stato fatto un richiamo a rimanere al testo, vorrei dire con estrema chiarezza che questa non è - ed infatti non ha quel titolo - la riforma della separazione delle carriere. Perché questa, come tutti noi sappiamo, se vogliamo usare parole di verità, è già, nei fatti, realtà con la legge Cartabia. Meno dell'1 per cento dei magistrati è passato tra la magistratura inquirente e la magistratura giudicante negli ultimi anni.

E, allora, perché? Quale bisogno c'era di sdoppiare il CSM? È evidente che è uno sfregio all'autorevolezza della magistratura: due CSM indeboliscono quella autorevolezza. In aggiunta al fatto che la scelta scellerata del sorteggio, come voi sostenete - poi lo vedremo -, indebolisce le correnti. Attenzione, perché cosa esca da un sorteggio, a priori, non lo si sa e il rischio, per esempio, di avere un CSM tutto orientato, anche da un punto di vista correntizio, non è escluso a priori dalla scelta del sorteggio. Su questo, vado a memoria. Vedremo che cosa succederà.

Chiudo, quindi, per dire che è un modo sbagliato di affrontare i problemi della giustizia. Non ci è stata data la possibilità di portare un nostro contributo, nonostante ci fosse la disponibilità, perché abbiamo visto e certamente anche noi abbiamo verificato le distorsioni di un eccesso di correntizio, ma questa soluzione rischia di essere un rimedio peggiore del male (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Buonguerrieri. Ne ha facoltà.

ALICE BUONGUERRIERI (FDI). Grazie, Presidente. Colleghi, Governo, discutiamo oggi sul disegno di legge costituzionale in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare, meglio noto come separazione delle carriere. È un provvedimento che prevede in sostanza la riforma dell'articolo 87 della Costituzione, con la previsione di due Consigli superiori della magistratura, presieduti sempre dal Presidente della Repubblica, senza che vengano intaccati, in alcun modo, il potere e le funzioni previste dalla Costituzione.

Un provvedimento che riforma poi l'articolo 102 della Costituzione, con l'introduzione e la concretizzazione della separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e magistrati requirenti, che modifica l'articolo 104 della Costituzione, con cui si ribadisce nuovamente il principio dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura giudicante e requirente da ogni altro potere, e che modifica la composizione dei due CSM, che continuano, come detto, ad essere presieduti dal Presidente della Repubblica e di cui fanno parte, di diritto, il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione, mentre gli altri membri, per la prima volta, vengono eletti mediante estrazione a sorteggio.

Si prevede poi la riforma dell'articolo 105 della Costituzione che, nella nuova formulazione, chiarisce che le competenze in materia di assunzioni, di assegnazioni, di trasferimenti, le valutazioni di professionalità, i conferimenti di funzioni nei riguardi dei magistrati, con questa riforma vengano distribuite tra due autonomi Consigli superiori. Viene istituita - altra grande novità - la cosiddetta Alta Corte disciplinare, deputata, per l'appunto, a decidere sulle infrazioni professionali e deontologiche dei magistrati requirenti e dei magistrati giudicanti. E, ancora, questo provvedimento apporta modifiche all'articolo 106, all'articolo 107, all'articolo 110, con il fine evidente di coordinare le principali modifiche con il restante articolato costituzionale.

Presidente, Ministro, se noi non conoscessimo bene la materia della giustizia, il contenuto di questo disegno costituzionale, l'obiettivo che ci prefiggiamo con questo provvedimento, ad ascoltare le critiche e gli attacchi della sinistra fuori e dentro il Parlamento potrebbe davvero pensarsi che si stia provvedendo a licenziare una norma anticostituzionale, un atto eversivo. Ma badate bene, lo hanno detto anche altri che mi hanno preceduto e io lo ribadisco: quando si fanno attacchi, critiche di questo genere, fateci caso, non si entra mai nel contenuto vero del provvedimento, non si entra mai nel vivo della questione.

Non si dice, per esempio, perché la separazione delle carriere è giusta o sbagliata, perché il sorteggio è giusto o sbagliato. Ogni volta che si interviene in materia di giustizia, si segue lo stesso identico copione: state favorendo la mafia, state favorendo la criminalità, state indebolendo lo Stato, state indebolendo la giustizia, state limitando il potere della magistratura. Sempre, Ministro, il solito stucchevole, infondato, pretestuoso ritornello, che, come tale, è inaccettabile.

Ed è per questo, per amor di verità e per rispetto dei cittadini, che noi qui, da quest'Aula, dobbiamo ripristinare la verità, e lo dobbiamo fare partendo proprio da queste critiche. Ad esempio, la sinistra grida alla riforma antidemocratica: è falso, Presidente, è falso. La separazione delle carriere - noi dobbiamo dirlo - è propria di quegli Stati in cui è nata la democrazia, come gli Stati Uniti d'America, la Gran Bretagna, l'Australia, il Canada, il Portogallo, la Svizzera, la Francia, la Germania, l'Olanda, e potrei proseguire ancora.

E poi grida la sinistra al fatto che questa riforma sarebbe una riforma anticostituzionale. È falso, Presidente. Al contrario, questa riforma dà effettiva attuazione all'articolo 111 della Costituzione, a fronte dell'evoluzione che ha conosciuto il processo penale, dal codice del 1930 al codice Vassalli, entrato in vigore nel 1989, che ha introdotto - è già stato detto - il cosiddetto processo accusatorio. La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo ed imparziale.

Questo dice l'articolo 111 della Costituzione. E vede, Presidente, giusto processo, condizione di parità processuale, giudice terzo che - aggiungo io - deve anche apparire terzo ed imparziale. Quindi noi abbiamo tre parti nel processo in condizioni di parità, ma oggi non è così, Presidente, questo noi ce lo dobbiamo dire. Perché noi abbiamo una parte, l'avvocato, abbiamo un'altra parte, il magistrato, e chi è il terzo, Presidente? Il magistrato giudicante, ce lo dobbiamo dire con chiarezza, che sviluppa la sua cultura giurisdizionale con il magistrato inquirente perde di terzietà.

Condividono la stessa formazione giuridica, la stessa rappresentanza associativa, gli stessi ruoli, le stesse funzioni, lo stesso concorso, lo stesso organo di garanzia, la stessa modalità di elezione del CSM. C'è un problema di terzietà e noi abbiamo la necessità di ripristinare questa terzietà, ed è questo uno degli scopi, checché ne dica la sinistra, che si propone questa riforma. Ancora, abbiamo sentito dire, lo dicevano prima anche i colleghi, che il PM con questa riforma verrebbe sottoposto all'Esecutivo. Lo dice la sinistra, lo dice anche l'Associazione nazionale magistrati, ma anche qui senza alcun tipo di argomentazione.

Perché, badi bene, Ministro e Presidente, lo dico con grande rispetto per tutti gli interlocutori, ho ben presente la riunione fatta in questa Camera dal presidente Bignami e dal presidente Malan, presenti i componenti della I e della II Commissione, presenti i rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati, a cui, fra le altre domande, è stata sottoposta una domanda chiara: perché, secondo voi, il PM con questa riforma sarebbe sottoposto al potere esecutivo? Perché? Ebbene, Presidente, io ad oggi aspetto ancora una risposta.

Aspetto una risposta perché non è così, e una risposta, dunque, non può esserci. E guardate, non lo dice Fratelli d'Italia, non lo dice neanche il Ministro, non lo dice la sottoscritta, ma lo dice la stessa riforma, che, all'articolo 104, nel testo così come riformato, stabilisce che la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. Anzi, aggiungo, con la creazione di due CSM le garanzie raddoppiano, e triplicano con la creazione anche dell'Alta Corte disciplinare. E la politica, Ministro, lo ha detto anche lei in altre occasioni, in questo caso fa un passo indietro, perché, nel momento in cui abdica ad eleggere la parte laica del CSM attraverso il sorteggio, è chiaro che noi ci troviamo in una fase recessiva della politica rispetto alla magistratura.

E questo è un dato di fatto, è lo stato di cose. Il resto, Presidente, Ministro, è puro e strumentale processo all'intenzione, che lasciamo a chi non ha altre argomentazioni. E poi lo ha detto anche il collega Fornaro prima. Ci dicono che la separazione delle carriere è già nei fatti: allora, dico io, se è già nei fatti, ma che problema c'è ad elevarla a rango costituzionale? Che problema c'è, se la separazione è già nei fatti, a ribadirla e confermarla attraverso questa riforma? Qualcuno me lo dovrà spiegare.

Allora, Presidente, non è una riforma antidemocratica, non è una riforma anticostituzionale, il PM non viene sottoposto al potere esecutivo, non sussiste il problema di elevare la separazione delle carriere a rango costituzionale. Allora, Presidente, rimane soltanto un tema, che è quello del sorteggio. È il sorteggio il vero problema che infuoca il dibattito e determina lo scontro tra chi vuole questa riforma e chi non la vuole, perché noi con il sorteggio andiamo a scardinare uno dei pilastri su cui si è retto il malsano rapporto fra la politica e la magistratura, sottraendo alla degenerazione patologica delle correnti la scelta dei giudici, che, ricordiamolo, devono servire il popolo, non una corrente politica, e che ha generato - anche questo ce lo dobbiamo ricordare, Ministro - il cosiddetto “sistema Palamara”, che ha legittimato l'esistenza di giudici - ce lo ricorderemo - che hanno affermato che Giorgia Meloni è pericolosa perché non ha scheletri nell'armadio, perché si muove soltanto per interessi generali e non personali.

Ebbene sì, Presidente, Giorgia Meloni da sempre si muove soltanto con una visione politica, si muove soltanto per interessi generali e non personali. In altre parole, Giorgia Meloni non è ricattabile, ma attenzione, mi assumo tutta la responsabilità di quello che dico: quelle parole, così come sono state proferite, me le sarei aspettate da un delinquente, non da un magistrato (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

Allora sì, Ministro, colleghi, è necessario andare avanti con la riforma della giustizia per restituire dignità, credibilità, serietà alla magistratura. È necessario farla per gli italiani, che ormai, purtroppo, della magistratura non si fidano più; è necessario farla per l'Italia, che deve poter confidare su una magistratura seria, credibile; ed è necessario farla per i tanti magistrati che ci chiedono di andare in questa direzione, perché vogliono poter lavorare e fare carriera per merito, non perché sono costretti a baciare l'anello di una corrente piuttosto che di un'altra (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

Guardi, Presidente: è una riforma che, diversamente da quello che qualcuno vorrebbe narrare, è sostenuta dai più. È sostenuta dalla stragrande maggioranza dei magistrati liberi, silenziosi che, come dicevamo prima, ci chiedono soltanto di poter essere messi nelle condizioni di fare il proprio lavoro in libertà; è sostenuta anche da magistrati - ne ricorderò qualcuno - come Sabino Cassese, già giudice della Corte costituzionale e già Ministro, Antonio Di Pietro, giustizialista per eccellenza. E - ricordiamolo - era sostenuta da Giovanni Falcone che, nel 1991, affermava testualmente: in un sistema accusatorio il PM raccoglie e coordina gli elementi di prova nel processo dove rappresenta una parte in causa; nel dibattimento non deve avere alcuna parentela con il giudice e non deve essere come oggi un para-giudice; avendo carriere unificate con ruoli intercambiabili, sono indistinguibili gli uni dagli altri.

E così è stato anche per Vassalli che, ovviamente, padre di questo nuovo codice, sosteneva la riforma e così è stato - lo abbiamo ricordato - anche per il PD che banalmente, a dispetto delle giustificazioni, sta rinnegando quello che sosteneva ai tempi, solo ed esclusivamente perché oggi a fare questa riforma è un Governo di destra ed è il Governo di Giorgia Meloni.

E, allora - guardi, Ministro - questa riforma si farà e la farà, per la prima volta nella storia, Giorgia Meloni, il Governo Meloni. E Fratelli d'Italia sarà al fianco del Governo e sarà al suo fianco, Ministro, in questo percorso fino alla fine (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia)

PRESIDENTE. Collega, ha esaurito il suo tempo.

È iscritto a parlare il deputato Cafiero De Raho. Ne ha facoltà.

FEDERICO CAFIERO DE RAHO (M5S). Presidente, forse si dimentica che la separazione delle carriere venne inserita nel programma di Licio Gelli per la P2 (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Evidentemente, evidentemente, la P2 riteneva che la separazione delle carriere fosse il metodo per indebolire la magistratura, per renderla attaccabile, per renderla condizionabile. Ecco, perché la separazione delle carriere è stato un tema che venne trattato dal costituente e il costituente non consentì, all'epoca, che si procedesse a una separazione e non si consentì che vi fossero due Consigli superiori. Sono stati questi i temi che la Costituente ha affrontato. E cosa ha detto la Costituente? Ha detto (Commenti – Dai banchi del gruppo MoVimento 5 Stelle: “Il Governo?”)…

PRESIDENTE. I banchi del Governo non possono essere vuoti. Credo che si sia inaspettatamente allontanato il Vice Ministro che era qua, quindi, anche con poteri di teletrasporto. Vice Ministro, eccoci, è tornato, è tornato (Il Vice Ministro Sisto: “Pensavo ci fosse il Ministro!”)... Va bene, diciamo, non vi siete messi… Perfetto, adesso abbiamo il Vice Ministro.

Onorevole, abbiamo ovviamente sospeso il tempo, adesso lo riprendiamo. Prego, onorevole Cafiero De Raho.

FEDERICO CAFIERO DE RAHO (M5S). Cosa ha detto il costituente? Ha detto: la democrazia, uno Stato liberale, si fonda sulla tripartizione dei poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario. Non possiamo indebolire e dividere il potere giudiziario, l'ordine giudiziario, perché questo significherebbe indebolire la magistratura rispetto alla politica. Non possiamo rendere la magistratura succube della politica (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). È necessario che la magistratura eserciti la propria giurisdizione senza alcun timore nei confronti di chiunque. E, guardate, quanti temi sono stati portati avanti: sempre il tema della imparzialità, per esempio. Addirittura, si è affermato che il tribunale del riesame ha modificato la decisione del giudice. E che c'entra questo con la separazione delle carriere? Che c'entra (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)? E vedevo che il Ministro annuiva, come per dire: eh certo, è avvenuto.

Allora, dividiamo anche i giudici: dividiamo i giudici del riesame, i giudici del tribunale, i giudici della corte d'appello, i giudici della Cassazione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Perché ognuno di loro controlla gli altri. Dividiamo tutto, ma dividiamo anche la politica, anche la politica.

È un argomento che mi riservo di trattare successivamente, quello sulla politica. Perché anche la politica deve cominciare a rispettare la magistratura. Non può continuare ad accusarla ogniqualvolta la magistratura intervenga soltanto perché, di volta in volta, smentisce il Governo nelle sue diverse aspirazioni, come immigrazione, industria e così via, in tanti altri punti. E quando viene a condannare un appartenente alla politica della maggioranza, tutti si ergono contro la magistratura, quasi che la magistratura abbia commesso chissà quale violazione. La magistratura ha fatto il proprio dovere senza guardare in faccia nessuno (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). È questo quello che vogliamo conservare, ossia che la magistratura continui a mantenere il potere di una volta, il potere che ha sempre avuto.

Quando ricorriamo al giudice, dobbiamo ricorrere con la certezza che il giudice ascolti e che il giudice decida; decida secondo giustizia, non secondo il controllo, il condizionamento, di volta in volta, del potere di turno. E, guardate, di volta in volta, dalla maggioranza ci arrivano parole sempre più gravi, sempre più, come dire, smentite da ciò che è avvenuto.

Ma quando si parla della imparzialità della magistratura e della giudicante rispetto alla requirente, ben il 54,8 per cento delle decisioni del tribunale o della corte d'appello hanno smentito l'ipotesi accusatoria. Questo che significa? Che il giudice è indipendente rispetto al pubblico ministero. E, ancora, voi pensate che il pubblico ministero e il giudice appartengano alla stessa famiglia, solo perché tutti vengono formati con il carisma della giurisdizione, che è il fondamento dell'esercizio dell'attività giudiziaria? La giurisdizione è un qualcosa che deve guidare le decisioni di ciascuno, ma non possiamo mentire anche sui punti più essenziali.

Cosa ho sentito oggi? Oggi ho sentito il deputato Igor Iezzi, addirittura, calunniare, diffamare in modo vergognoso (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle): ha parlato prima di un'antimafia che ha raggiunto i vertici con l'aiuto delle correnti. Io sono stato nominato all'unanimità (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle e di deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista) sia dai magistrati togati che dai magistrati laici. Primo, tutto il Consiglio superiore ha votato perché io fossi il procuratore nazionale. Secondo, non mi sono mai permesso di fare dossieraggio e sono al di fuori da qualunque ipotesi di questo tipo. Parlare di me come di quello che ha proseguito nel dossieraggio ha esposto Igor Iezzi alla mia denuncia-querela per calunnia e diffamazione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). E, quando terminerò qui, andrò da un giudice terzo, un giudice che, credo, guardi obiettivamente i fatti.

Non ci si può permettere di fare violenza con le parole (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Perché per Igor Iezzi è la seconda volta: l'altra volta una violenza fisica contro il nostro Donno; oggi, una violenza verbale, una violenza fatta di calunnie e diffamazioni (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle, che si levano in piedi). Non si va avanti così. La politica deve rispondere ai criteri di correttezza, lealtà e rispetto. Questo deve fare la politica, non come sta facendo oggi e come ancora una volta dimostra di fare, mentendo al popolo italiano.

Il cittadino non avrà più una difesa. Io ancora credo nella giustizia. Perché è l'unica che ci può dare ragione e soddisfazione dei nostri diritti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), quando ci troveremo il potente di turno, quando questa politica si muove per la propria difesa, per raggiungere i propri risultati e il cittadino, invece, resterà solo, senza un magistrato che sarà in grado di difenderlo, perché diventerà condizionabile.

Ma cosa dire poi del Consiglio superiore della magistratura che è stato spossessato del suo impiego più importante: l'azione disciplinare decisa da una commissione del Consiglio superiore.

Spossessare il Consiglio superiore della competenza disciplinare significa indebolire totalmente il magistrato (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), perché la si attribuisce ad un'altra Corte che non conosce il profilo professionale, non conosce qual è l'andamento dei comportamenti, non conosce come si sviluppa la giustizia, ma si occupa esclusivamente di giustizia disciplinare, e questo è molto grave, perché portiamo davanti ad un plotone d'esecuzione magistrati che hanno tenuto comportamenti a volte anche vicini a determinati parametri, ma che non li hanno violati.

Guardate, il Consiglio superiore della magistratura è un organo che è non solo di autogoverno, e quando si parla dell'autogoverno si parla dell'organizzazione, ma è anche di autotutela. Questo è il compito del Consiglio superiore della magistratura, e qui lo si spossessa di uno dei compiti fondamentali, perché l'indipendenza e l'autonomia della magistratura si garantiscono attraverso una commissione disciplinare presso il Consiglio superiore e non attraverso l'Alta Corte disciplinare, che, invece, finirà per indebolire ancora di più la magistratura.

Quindi non solo una separazione, due categorie diverse che non si parleranno più, probabilmente, mentre invece è necessario che si parlino, perché la giustizia si fa non attraverso la decisione di una parte della magistratura, ma attraverso una decisione collegiale. Pensate, per esempio, che le tabelle giudicanti dei tribunali e delle corti d'appello si fanno con l'intervento del procuratore della Repubblica e del procuratore generale, oltre che degli stessi avvocati, i quali, in sede di consiglio giudiziario, devono ciascuno portare il proprio contributo perché si arrivi ad una migliore organizzazione per tutti. Queste tabelle e questi progetti propri dei pubblici ministeri vengono poi portati al Consiglio superiore. Separare significa una giustizia requirente e una giustizia giudicante (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)

PRESIDENTE. Onorevole, ha esaurito il suo tempo. È iscritto a parlare il deputato Bof. Ne ha facoltà.

GIANANGELO BOF (LEGA). Presidente, onorevoli colleghi, oggi discutiamo di un tema che tocca le fondamenta dello Stato di diritto: la separazione delle carriere tra magistratura giudicante e requirente. Non è un dibattito astratto, non è un tecnicismo riservato agli addetti ai lavori. È un tema che riguarda la libertà dei cittadini, la certezza del diritto e la fiducia nello Stato. La nostra Costituzione ha voluto una magistratura indipendente, e giustamente, ma oggi ci troviamo di fronte a un paradosso: per proteggere l'indipendenza abbiamo creato un sistema, in realtà, che ha concentrato troppo potere in un'unica corporazione.

Giudici e pubblici ministeri, pur avendo ruoli radicalmente diversi, appartengono allo stesso ordine. Questo, diciamolo chiaramente, mina la percezione di terzietà. Per semplificarla, è come se noi avessimo un unico organismo che disciplina e giudica arbitri e giocatori di calcio, ove all'interno vi siano i rappresentanti di interessi contrapposti, perché, se dobbiamo mettere sullo stesso piano chi difende l'imputato e chi lo accusa, ovviamente, uno dei due non può essere nella stessa organizzazione di quello che poi deve giudicare.

Il cittadino deve avere la certezza che il giudice sia un arbitro imparziale, non un fratello professionale del pubblico ministero. Questa non è un'invenzione della Lega, è la logica stessa del giusto processo sancito dall'articolo 111 della Costituzione: parità tra accusa e difesa davanti a un giudice indipendente. Facciamo un esempio concreto. Se un cittadino viene accusato entra in un'aula di tribunale e vede di fronte a sé due persone, un pubblico ministero che lo accusa e un giudice che deve giudicarlo, ma entrambi hanno fatto lo stesso concorso, appartengono allo stesso ordine e rispondono allo stesso Consiglio superiore.

Possono perfino passare, nel corso della carriera, da una posizione all'altra. Come può sentirsi davvero garantito un imputato? Non si tratta di fidarsi o non fidarsi del singolo magistrato, la questione è istituzionale. Le regole devono creare un equilibrio, e senza la separazione delle carriere quell'equilibrio non esiste. Guardiamo anche oltre i nostri confini: in Francia le carriere sono separate da sempre; in Germania i pubblici ministeri dipendono dal Ministero della Giustizia e i giudici hanno percorsi distinti; in Spagna la netta distinzione è considerata una garanzia di trasparenza; in molti Paesi del Nord Europa i magistrati vivono un rapporto di grande fiducia con i cittadini proprio perché i ruoli sono chiari e non confondibili.

In Italia, invece, la commistione tra accusa e giudizio ha creato diffidenza. Noi siamo l'eccezione, e questa eccezione non è un punto di forza, ma una debolezza che alimenta la sfiducia. Colleghi, non possiamo nasconderci dietro a un dito, la mancanza di separazione ha favorito la nascita di un vero e proprio sistema di potere interno alla magistratura. Lo abbiamo visto negli ultimi anni con scandali che hanno scosso la fiducia dei cittadini, ed è qui che entra in gioco la testimonianza di Luca Palamara nel suo libro Il sistema, scritto con Alessandro Sallusti.

Palamara non parla da osservatore esterno, parla da protagonista, da ex presidente dell'ANM e da membro del CSM. Racconta che, per anni, le correnti hanno governato la magistratura, spartendo incarichi, pilotando nomine e creando cordate. Descrive procure considerate fortini di correnti e decisioni prese non per merito, ma per appartenenza, rapporti con la politica e con la stampa che hanno inciso sulla vita del Paese. In quelle pagine emerge una verità scomoda: non tutto il potere della magistratura è stato esercitato nell'interesse esclusivo dei cittadini.

Al contrario, spesso ha risposto a logiche di potere interne, a influenze esterne e a dinamiche che nulla hanno a che vedere con la ricerca della verità. E allora la domanda è inevitabile: se lo stesso Palamara ammette che la magistratura è stata condizionata dalle correnti, che ha avuto un ruolo politico nei processi e nelle inchieste, possiamo ancora sostenere che il sistema attuale garantisca la terzietà? Il rischio lo sappiamo, è che la giustizia diventi uno strumento politico. Non lo dice la Lega per polemica, lo ha ammesso uno dei massimi protagonisti della magistratura italiana.

Separare le carriere significa liberare la giustizia da ogni sospetto, significa restituire onore e dignità a migliaia di magistrati onesti che vogliono solo fare il loro lavoro, lontani da correnti e giochi di potere. Ecco perché la Lega porta in quest'Aula una proposta chiara, netta: separazione delle carriere sin dal concorso, due Consigli superiori distinti. Anche qui, ho sentito la polemica delle opposizioni sulle estrazioni. Allora, noi parliamo di giudici e di magistrati che indagano e portano avanti accuse nei confronti dei cittadini e giudici che devono giudicare sulla vita dei nostri cittadini, delle nostre aziende e delle nostre istituzioni.

Io parto dal presupposto che chi è arrivato a ricoprire queste cariche lo abbia fatto per un percorso che mi fa pensare che ognuno di loro abbia delle conoscenze e delle capacità professionali di altissimo livello, o altrimenti qualcuno mi deve dire che, all'interno della magistratura, ci sono giudici che non sono capaci di stare all'interno del CSM o non hanno le capacità per poter esercitare quel ruolo, però sono gli stessi che poi possono avere la capacità di giudicare i cittadini e di portare avanti accuse nei confronti dei cittadini.

Non voglio pensare che sia così, perché altrimenti, a questo punto, direi che ogni cittadino deve potersi scegliere il giudice che è più capace per essere giudicato bene. Io ritengo, invece, che stiamo parlando di una categoria di eccellenza, per cui, anche andando ad estrazione, ho la certezza che la professionalità e le capacità che la persona ha intrinseche siano tali semplicemente per il ruolo che ricopre. Ecco perché la Lega porta in Aula questa proposta chiara e netta: separazione delle carriere, due Consigli superiori distinti, l'impossibilità di passare da una funzione all'altra.

È un atto di rispetto verso i giudici e i pubblici ministeri che vogliono lavorare serenamente, senza il peso di un sistema che spesso ha ingabbiato anche loro. Non è una battaglia contro la magistratura, è una battaglia per i cittadini, perché la giustizia non appartiene a una corporazione, ma appartiene al popolo. C'è poi un altro tema che non possiamo ignorare, quello dei processi mediatici. Troppo spesso in Italia si assiste a inchieste anticipate sui giornali e a nomi sbattuti in prima pagina prima che un giudice si pronunci.

Pensiamo ai casi di amministratori assolti dopo anni, medici accusati poi riconosciuti innocenti, aziende rovinate da titoli di giornale che nessuna sentenza ha mai confermato. Ogni assoluzione tardiva lascia dietro di sé macerie personali, professionali e sociali, e quando arriva l'assoluzione chi ripaga quel cittadino?

Lo stesso Palamara racconta di come le azioni delle procure siano state capaci non solo di orientare indagini, ma anche di influenzare l'opinione pubblica e la vita politica. Separare le carriere significa anche questo: evitare che accusa e giudizio vengano percepiti come parte dello stesso meccanismo, dare più credibilità alla giustizia e restituire fiducia ai cittadini.

Onorevoli colleghi, lo sappiamo tutti: la giustizia è uno dei temi che più allontana i cittadini dallo Stato. Troppi processi lunghi, troppe incertezze, troppe storture. È arrivato il momento di dire chiaramente che la giustizia non deve essere percepita come un potere chiuso in se stesso e non deve essere un regno delle correnti. Deve tornare ad essere il servizio pubblico a servizio del cittadino e della verità. Noi della Lega diciamo basta (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier)

PRESIDENTE. Grazie, onorevole.

È iscritto a parlare il deputato Zaratti. Ne ha facoltà.

FILIBERTO ZARATTI (AVS). Grazie, signora Presidente. Signori rappresentanti del Governo, colleghi e colleghe, una discussione sulla riforma costituzionale meriterebbe un contesto diverso da questo e anche una maggiore attenzione. Vedo i banchi, soprattutto quelli della maggioranza, totalmente abbandonati. Cambiare la Costituzione è una questione fondamentale e importante. Intanto, è una questione di metodo. Ma vi pare mai possibile che, quando si discute di separazione delle carriere, la separazione più importante, che è quella tra le funzioni del Governo e quelle del Parlamento, non venga considerata? Questa proposta nasce blindata da un'iniziativa governativa su una materia, proprio la riforma della Costituzione, che dovrebbe riguardare, in primo luogo, il Parlamento. È un'esclusività che viene garantita ai rappresentanti del popolo, non ai componenti dell'Esecutivo.

Parlare della separazione delle carriere non è un reato e non è neanche uno scandalo. Ne parliamo ormai da 70 anni, dalla fondazione della nostra Repubblica. L'argomento è stato sviscerato e discusso profondamente all'Assemblea costituente, prima di arrivare alla conclusione del ruolo unico. Ma una delle ragioni tra le più importanti, che determinò l'Assemblea costituente in questa direzione, fu quella di sostenere che il ruolo unico fosse una garanzia di una formazione unica dei magistrati e che assicurasse una cultura giuridica che fosse condivisa tra i giudici e i pubblici ministeri, ma questo a garanzia dei cittadini e delle cittadine! Un pubblico ministero che ha quel tipo di formazione riesce maggiormente a tutelare i diritti della difesa. Credo che questa voglia di cambiare così frequentemente la Costituzione, in modo particolare nei programmi che sono stati detti della destra italiana, è una preoccupazione più politica, è una preoccupazione più su quello che questa garanzia garantisce, piuttosto che una vera necessità. Io voglio ricordare che le Costituzioni degli altri Paesi democratici non si cambiano ogni 2 anni, non si cambiano ad ogni cambiar di maggioranza, non si cambiano proprio! Faccio l'esempio di uno dei Paesi più a cuore in questo momento storico alla nostra Presidente del Consiglio, gli Stati Uniti d'America, che hanno una Costituzione che è stata promulgata nel 1787 e nessuno ha voglia di cambiarla, anzi, speriamo che nessuno la cambi, perché magari adesso, con Trump al Governo, avrà anche questa tentazione. Insomma, da allora ad oggi, non è stata mai cambiata, perché una Costituzione stabilisce i principi fondamentali che riguardano i diritti e i doveri dei cittadini e non si cambiano, a piè sospinto, come si vorrebbe fare oggi.

Forse, c'è la volontà di cambiare quella Costituzione, che è frutto della Resistenza, quella Costituzione antifascista in Italia. Quello, sì, è un po' in uggia ai nostri amici della destra italiana, che non riescono a tirare mai fuori la parola “antifascista” e a considerare la Repubblica italiana come una Repubblica antifascista nata dalla Resistenza (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

Io vorrei anche stigmatizzare il fatto che il testo è stato blindato, signor Ministro. Ma come potete pensare che si fa una discussione vera sulla Costituzione, quando il Governo arriva con un testo dato e nessun emendamento, in nessuna fase della discussione, in due letture di Camera e Senato, è stato accolto? Neanche quelli che stavano dentro lo spirito della riforma! Questo sta a significare una volontà prevaricatrice da parte del Governo e della maggioranza, una volontà di non fare affatto una discussione come si deve.

E se proprio è necessario mettere le mani sulla riforma della giustizia, questo sì che c'è, bisognerebbe partire da un'altra parte, ossia dal diritto alla difesa, da quell'articolo 24 della Costituzione, che definisce questo diritto “inviolabile”, in ogni stato e grado del giudizio. Bisognerebbe partire dal giusto processo, quel procedimento legale che garantisce l'equità e il contraddittorio tra le parti e la parità di condizione. Ministro, ci sono le parità di condizioni tra chi difende e chi accusa in questo momento nel Paese? Non ci sono! E a quello dovete mettere mano! Al diritto della difesa! Il diritto della difesa non si fa facendo la separazione delle carriere! Il diritto alla difesa si fa mettendo i difensori nelle stesse condizioni di parità di chi accusa (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra)!

È questa la riforma in difesa dei diritti dei cittadini, perché, quando si va a processo e quando il povero Cristo si trova davanti al giudice e davanti all'accusatore, l'accusatore, con i mezzi dello Stato e con la forza che ha il suo ruolo, mette in situazione di minorità l'accusato e il suo difensore. È lì che bisogna lavorare. E su questo voi non ci mettete le mani, perché del diritto dei poveri cristi e dei diritti dei cittadini e delle cittadine italiani non vi importa nulla. Non è questo il punto fondante della vostra iniziativa.

Io vorrei ricordare ai nostri colleghi della destra che, quando si fa il dibattito, il dibattito è sempre ricco di spunti, qualche volta di sorprese e qualche altra volta di conferme. E per fortuna che c'è stato oggi un po' di dibattito tra noi, tra l'opposizione, la minoranza e la maggioranza, perché fino ad ora non c'era mai stato, signor Ministro. Finora non c'era proprio stato. E, oggi, che c'è stato un po' di dibattito, finalmente qualcuno ha detto anche la verità: il collega Iezzi, la collega Buonguerrieri. Alla faccia di dire che questa è una riforma per la democrazia! Lo hanno detto esplicitamente: è cercare di mettere in situazioni di difficoltà l'indipendenza della magistratura! Lo hanno detto loro, in modo chiaro, in quest'Aula! La verità viene a galla e l'avete detta voi, non la stiamo affermando noi.

Si cita, come una delle fonti del sapere giuridico del nostro Paese, come una delle persone più autorevoli (è stata citata per ben due volte dai banchi di quest'Aula), Palamara, come una fonte autorevole di informazione! Ma noi ci scordiamo che in questo… Lo ha fatto Iezzi e l'ha fatto anche adesso Bof. Quindi, non faccia gesti, signor Ministro.

Io voglio ricordare che in questo Paese i magistrati hanno pagato con la vita il loro ruolo. Sono stati uccisi dai terroristi e dai mafiosi in questo Paese 27 magistrati! Magistrati come Scopelliti, Guido Galli, Livatino, Occorsio, Alessandrini, Bruno Caccia e tantissimi altri (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra e di deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e MoVimento 5 Stelle), che hanno dato la vita per difendere la loro giustizia, la giustizia italiana e il loro ruolo nel loro Paese! A loro dobbiamo fare omaggio e citare questi magistrati, non citare Palamara! C'è da vergognarsi a fare una cosa di questo genere.

Io penso, signor Ministro, che ci siano molte riforme da fare. E per garantire anche il giusto processo, le vorrei dire che non è possibile continuare nel modo in cui stiamo lavorando finora, non finanziando adeguatamente la giustizia. Infatti, per avere un processo rapido è necessario che ci siano molti magistrati, è necessario che ci siano le strutture che funzionano, è necessario che ci mettiate i soldi.

Non li dobbiamo mettere noi dell'opposizione, li dovete mettere voi che governate, per garantire questi diritti fondamentali ai cittadini e alle cittadine. Finora di chiacchiere se ne sono viste e sentite tante, ma di fatti davvero pochi, perché risorse a sostegno della magistratura non ne sono state messe.

In questa riforma voi proponete anche - diciamo così - questo doppio CSM: uno per la magistratura giudicante e l'altro per la magistratura requirente. Io penso che sia un errore. Lo devo dire, Ministro: io penso che sia un errore, perché cosa vuole che succeda in una situazione come questa, se non una contrapposizione tra questi due CSM? Cosa vuole che succeda a un CSM che rappresenta soltanto i pubblici ministeri, in una fase - che non è soltanto italiana, in verità - che vede sempre di più rafforzarsi i poteri della pubblica accusa, che non è una cosa che accade soltanto in Italia, ma accade anche in altri Paesi, e in cui la spettacolarizzazione della giustizia e le carriere - a proposito di carriere - si fanno soprattutto per quei pubblici ministeri che vanno in televisione. L'ha detto più volte lei, e su questo io le ho dato anche ragione, che più volte pubblicizzano delle inchieste che meriterebbero, invece, maggiore attenzione. Allora, cosa vuole che accada con un CSM che rappresenta soltanto i pubblici ministeri, se non che queste distorsioni diventino ancora più forti e che i poteri del pubblico ministero diventino ancora e sempre più forti?

E a proposito anche dell'elezione dei CSM, come si fa a dire che è necessario arrivare al sorteggio, come se questa fosse una questione che garantisca la democrazia. La democrazia è scegliere, signor Presidente, è scegliere, signor Ministro, è saper scegliere e assumersi le responsabilità di scegliere. Ma le sembra possibile che noi deputati, parlamentari eletti dal popolo, dobbiamo mettere le mani nel bussolotto per scegliere i rappresentanti laici del CSM? È questa la nostra funzione: mettere le mani nel bussolotto? No (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra e di deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista), siamo stati eletti per scegliere in base alle competenze, in base alle qualità, perché non tutti i magistrati sono uguali.

E sulle professionalità vorrei dire che è proprio la scelta che garantisce la professionalità e non il fatto che si estragga il primo che capita. Chi ha preso 110 e lode e chi ha preso 90 sono la stessa cosa per il Paese? È l'identica cosa avere un magistrato che dedica la sua vita, come quelli che abbiamo detto, e altri che invece non riescono a svolgere pienamente la loro funzione? Premiate, in questo modo, non i meritevoli, non i più bravi, ma premiate esattamente il contrario. Così come nessuno di voi si sogna di dire che la prossima…state discutendo della riforma elettorale, ma forse avete proposto o proporrete, anche qui, il fatto che i deputati e i senatori vengano eletti per estrazione a sorte? Non credo o almeno le anticipazioni che fino ad adesso sono state fatte sulla stampa non lasciano pensare tutto questo, signor Ministro.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

FILIBERTO ZARATTI (AVS). Non lo proporrete, perché sarebbe una cosa ingiusta. Comunque, ci rivedremo a Filippi, ci rivedremo al referendum e vedremo cosa diranno gli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ciani. Ne ha facoltà.

PAOLO CIANI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, colleghe, signor Ministro, torniamo a discutere di una riforma che tocca uno dei pilastri dello Stato di diritto: l'indipendenza della magistratura. Non è solo un tema tecnico o riservato agli addetti ai lavori, è un tema che riguarda tutti i cittadini, perché libertà, sicurezza e diritti di ciascuno dipendono dalla capacità dei giudici e dei pubblici ministeri di esercitare le loro funzioni senza condizionamenti esterni.

Questa riforma va a modificare in profondità l'architettura dei pesi e contrappesi voluta dai padri costituenti. È una riforma che riscrive il ruolo e l'organizzazione della magistratura, separa le carriere, divide il Consiglio superiore della magistratura, istituisce un nuovo giudice disciplinare. Le numerose critiche, che abbiamo già mosso durante le fasi di discussione in Commissione, riguardano sia il modo attraverso cui si vorrebbe giungere all'approvazione di questa modifica della Costituzione, sia il merito. Per quanto riguarda il metodo, il Governo ha deciso di affrontare le modifiche su una materia così delicata presentando un testo che, come dichiarato dallo stesso Ministro, è stato blindato fin dalla prima lettura. Nel corso dell'esame parlamentare, è stato impossibile qualsiasi tipo di apporto, sia da parte dell'opposizione che della stessa maggioranza. Perfino l'emendamento che chiedeva di assicurare la parità di genere nel sistema elettivo dei componenti del CSM è stato bocciato, in nome di una blindatura del testo che riteniamo inaccettabile. È una forzatura molto grave, che non ha precedenti nella nostra storia repubblicana e che mortifica non solo le prerogative delle opposizioni, ma dell'intero Parlamento. La riforma della Costituzione dovrebbe essere sempre il risultato di un confronto, di un accordo, di un compromesso tra le forze politiche - e quindi tra tutti i cittadini - e non un patto stipulato dentro il Governo, che il Parlamento deve soltanto ratificare.

Veniamo al merito. Il primo aspetto da mettere in evidenza è che la riforma non risolve in alcun modo tante criticità che la giustizia italiana sta vivendo negli ultimi anni. In un Paese nel quale le prime udienze del giudice di pace vengono fissate nel 2030 - nel 2030, Presidente, nel 2030! - e nel quale il processo telematico è in tilt, ci sono enormi questioni sul tema della giustizia che meriterebbero di essere affrontate con serietà, determinazione e urgenza. Non bisogna raccontare ai cittadini che le cose possono cambiare per loro con questa riforma, perché in questa riforma non è presente alcuna misura che affronti le priorità del sistema giudiziario: la velocizzazione dei processi e il rafforzamento degli organici, in particolare negli uffici giudiziari. Come se non bastasse, la manovra di bilancio che avete realizzato taglierà 500 milioni di euro sulla giustizia dal 2025 al 2027.

In questa riforma, poi, non c'è niente su come far fronte ai sistemi informatici obsoleti e precari, niente sulla digitalizzazione dei processi. E se è vero che la lungaggine dei processi è anche la conseguenza dell'eccessivo numero delle inutili figure di reato nel nostro ordinamento, allora possiamo dire che in quasi tre anni con il vostro approccio panpenalistico, che a ogni possibile problema risponde con l'introduzione di una fattispecie di reato, avete persino peggiorato la situazione, incrementando ancora di più le figure di reato e dunque il sovraffollamento carcerario. Su questo punto, mi preme dirlo, in questa riforma non vi è traccia di alcuna misura volta a mettere fine all'emergenza delle carceri italiane, dove in un contesto di cronico sovraffollamento e drammatici e sempre più numerosi suicidi, a cui mai bisogna abituarsi, viene meno anche il principio costituzionale della rieducazione della pena.

Ma veniamo ora al fulcro di questa riforma, ovvero la necessità di separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante. Ad oggi non sussiste alcuna esigenza di separare queste due carriere, in quanto la separazione delle carriere di fatto già esiste. Dalla riforma del 2006 e poi con la riforma Cartabia, infatti, è possibile un solo passaggio in tutta la carriera, da effettuarsi nei primi 9 anni della carriera. Le statistiche ci dicono che si tratta di circa 20 passaggi all'anno su 10.000 magistrati, quasi sempre dalla carriera di pubblico ministero a quella di giudice. Questi numeri dimostrano che assai meno dell'1 per cento dei pubblici ministeri passa alla funzione di giudice e ancor meno sono i giudici che passano alla funzione di PM. Serviva una riforma costituzionale per affrontare questi 20 passaggi all'anno, oppure questa riforma del Governo non è altro che uno scalpo ideologico…

PRESIDENTE. Aspetti, onorevole: il Governo.

PAOLO CIANI (PD-IDP). Questa riforma del Governo, che al momento è assente (La deputata Boldrini: “Il Governo è assente dai banchi!”).

PRESIDENTE. Deve stare ai banchi, Vice Ministro. Prego, onorevole.

PAOLO CIANI (PD-IDP). Grazie, Presidente…

PRESIDENTE. Aspetti, che abbiamo un problema con la ripresa del tempo. Adesso è ripartito. Prego.

PAOLO CIANI (PD-IDP). Grazie, Presidente…

PRESIDENTE. Perfetto, prego. Scusi.

PAOLO CIANI (PD-IDP). Dicevo, oppure questa riforma è uno scalpo ideologico, è un intervento fuori tempo massimo sulle carriere dei magistrati o un pezzo del patto tra le tre anime del Governo? Una riforma ciascuno: l'autonomia per la Lega, il premierato per Fratelli d'Italia e questa sui giudici per Forza Italia. Di fatto, un mosaico di bandiere ideologiche che nulla ha a che fare con un progetto serio di riforma costituzionale e con quello di cui ha bisogno il Paese.

Abbiamo sentito dire che questa riforma metterebbe fine all'influenza, per il solo fatto di appartenere al medesimo ordine, dei magistrati requirenti nei confronti dei giudici, quando le statistiche dicono che già oggi, in più del 40 per cento dei casi, le decisioni giudiziarie non confermano le ipotesi accusatorie.

Inoltre, paradossalmente, se, per il solo fatto di appartenere al medesimo ordine giudiziario, non vi fosse imparzialità, bisognerebbe separare anche gli ordini dei giudici di primo grado dai giudici di secondo grado, laddove il giudice di secondo grado esamina la sentenza del collega di primo grado. Ma, anche qui, i dati dicono che in molti casi i giudici di secondo grado modificano e riformano le sentenze di primo grado, dimostrando dunque imparzialità e autonomia di giudizio.

C'è, allora, il forte sospetto che questa riforma non voglia separare le carriere - come abbiamo già visto, nei fatti è già qualcosa in essere -, ma piuttosto separare la magistratura, spaccarla in due, quindi indebolirla. Non si tratta di una riforma per i cittadini, ma di una riforma contro la magistratura; una riforma dettata da un'allergia verso ogni organo indipendente.

È utile ricordare che, ad oggi, il CSM è il presidio che garantisce autonomia e indipendenza. Con questa riforma, invece, si prevedono due consigli distinti, scelti persino attraverso il sorteggio, un metodo che, al di là delle intenzioni, svilisce il merito, mortifica le competenze e rischia di consegnare incarichi di altissima responsabilità a persone selezionate non per capacità, ma per pura casualità.

Al contrario, la riforma della separazione delle carriere porterebbe alla creazione di un corpo di circa 2.500-3.000 magistrati fortemente arroccati all'interno del ruolo funzionale del PM. Si rischia così di favorire la creazione di una casta separata di procuratori autoreferenziali, con un proprio CSM di riferimento, facendo emergere la figura di un super PM, un accusatore di professione sganciato dal resto della magistratura, con una forte vocazione colpevolistica, svincolato dalla cultura del giudice terzo e con a disposizione l'intero apparato della polizia giudiziaria, senza più controllo alcuno se non quello eventuale - e, a quel punto, probabile - del potere politico.

E, allora, la battaglia contro questa riforma è una battaglia per difendere il sacrosanto principio dell'indipendenza della magistratura, che è un pilastro costituzionale che distingue un sistema democratico autentico da uno in cui il potere giudiziario è subordinato all'interesse di pochi.

Alle accuse di chi dice che noi vogliamo mantenere la situazione e lo status quo, ribadiamo che noi siamo disponibili a un impegno comune per le riforme, che assicurino davvero funzionalità e garanzia al processo. Ma, per questo, siete voi che dovete abbandonare i vostri feticci ideologici sulla giustizia. Non possiamo accettare che venga minata la terzietà del giudice, che venga creata una casta di pubblici ministeri autoreferenziali e potenzialmente condizionabili dalla politica. Non possiamo tollerare che una Costituzione scritta per garantire la libertà dei cittadini venga piegata alle esigenze contingenti della maggioranza di Governo. Difendere l'indipendenza della magistratura significa difendere il diritto di ogni cittadino a un processo giusto, rapido, imparziale; significa difendere la democrazia stessa, i diritti fondamentali, la Costituzione repubblicana. E la Costituzione, colleghi, ricordiamocelo sempre, è di tutti: non appartiene a una parte, a una maggioranza, non appartiene a un Governo. È il frutto di un compromesso alto, faticoso ma condiviso, che ha retto per decenni e che ci ha garantito libertà e giustizia.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

PAOLO CIANI (PD-IDP). Non distruggiamolo per inseguire battaglie ideologiche o per soddisfare appetiti di parte.

Noi non ci stiamo a un dibattito compresso, a una discussione che si voglia ridurre a un passaggio burocratico. Chiediamo un confronto vero, approfondito, aperto. Chiediamo che (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista) ...

PRESIDENTE. Grazie, onorevole. È iscritto a parlare il deputato Pellicini. Ne ha facoltà.

ANDREA PELLICINI (FDI). Grazie, Presidente. Vorrei iniziare il mio intervento ringraziando il Ministro Carlo Nordio, manifestandogli tutta la solidarietà per gli ingiusti attacchi che ha subito nel corso del dibattito (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Mi riferisco, ad esempio, a un intervento dell'onorevole Giachetti che, assolutamente non con cattiveria ma con immotivata ironia, ha detto che la maggioranza avrebbe anticipato la discussione di questa riforma in seconda lettura perché, altrimenti, magari, il Ministro Nordio avrebbe cambiato idea. Ecco, ciò non poteva accadere, perché il Ministro Nordio da sempre è stato un grande garantista (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). È stato un pubblico ministero garantista e, se tutti i pubblici ministeri fossero stati come lui, avremmo, da un lato, risparmiato sofferenze alla dignità di tante persone e, dall'altro, lo Stato avrebbe risparmiato un miliardo di euro, che è quello che ha pagato a titolo risarcitorio per le ingiuste detenzioni negli ultimi trent'anni. Quindi, grazie, Ministro.

Tra l'altro, trovo assolutamente ingeneroso, ad esempio, contestargli - come è stato fatto - di aver fatto poco per arginare il triste fenomeno della custodia cautelare. Cito soltanto due esempi, prima di entrare nel merito della riforma che stiamo discutendo (queste sono riforme già attuate in questa legislatura): è stato introdotto l'interrogatorio preventivo della persona nei confronti della quale viene richiesto l'arresto ed è stato previsto (la riforma decorrerà dal 2026) il collegio di tre giudici per decidere sulle richieste d'arresto del pubblico ministero. Riforme importantissime proprio per far sì che la custodia cautelare sia applicata solo quando, come dice il nostro codice, deve essere eccezionalmente applicata.

Inoltre, ho anche sentito critiche relative al fatto che non è la separazione delle carriere la riforma che migliora la giustizia, ma è l'investimento di risorse. Cito anche qui due elementi: ad esempio, è di quest'estate l'emanazione del bando che prevede l'assunzione di circa 3.000 cancellieri. Uno dei problemi che abbiamo nei tribunali è quello del personale amministrativo: questo bando dà una concreta risposta a questa esigenza. E cito, ad esempio, nell'ultimo decreto-legge approvato dal Governo, ad agosto, l'assunzione di 58 magistrati di sorveglianza, che andranno a lavorare con riferimento a situazioni di urgenza come quella delle carceri. Quindi, anche sul piano delle risorse, il Governo e il Ministro stanno facendo di tutto per dare risposte concrete.

Ma veniamo al merito della riforma costituzionale in discussione. Cito una frase: la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri è una riforma necessaria per assicurare un processo equo e imparziale. Queste non sono le parole del Governo o di qualche esponente della maggioranza: queste sono le parole dell'Unione delle Camere penali italiane, cioè del massimo organismo degli avvocati penalisti che da sempre si batte affinché si giunga finalmente a una effettiva parità tra accusa e difesa. Basterebbe questa considerazione, espressa da coloro che ogni giorno, in tutte le sedi d'Italia, si battono per tutelare i diritti fondamentali dei propri assistiti, per far comprendere che questa riforma non è di destra o di sinistra, ma è portata avanti soltanto nell'esclusivo interesse dei cittadini.

E non è nemmeno, come ho sentito, una riforma contro la magistratura. Ho ascoltato, ad esempio, l'onorevole Ghirra che ha parlato di umiliazione della magistratura. Vorrei ricordare le parole che spesso ha citato al riguardo il Presidente del Senato, Ignazio La Russa, che ha affermato: la destra italiana, sin dal Movimento sociale italiano, ha sempre avuto considerazione, stima e gratitudine nei confronti dei giudici e dei pubblici ministeri, difendendo spesso e apertamente la magistratura contro attacchi ingiusti che venivano anche da altre forze politiche.

Sono d'accordo, ad esempio, con l'onorevole Zaratti: tutti dobbiamo ricordare - e sono onorato oggi di farlo in quest'Aula - il sacrificio di tanti magistrati che hanno perso la vita, assassinati dalla mafia (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

Voglio ricordare Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia), ma anche - non li cito tutti - Rosario Livatino, Rocco Chinnici, Antonino Saetta, Gaetano Costa. Altri assassinati dal terrorismo: Emilio Alessandrini, ucciso da Prima Linea a Milano nel 1979; Guido Galli, assassinato da Prima Linea nel 1980; Nicola Giacumbi e Girolamo Minervini, uccisi dalle Brigate rosse; Mario Amato, assassinato dai NAR, a Roma, nel 1980; Francesco Coco e Vittorio Occorsio, tra le prime vittime nel 1976, il primo ucciso dalle Brigate rosse e il secondo da un militante di Ordine Nuovo. La destra italiana ha sempre avuto il senso delle istituzioni, e il ringraziamento e la piena considerazione vanno anche a tutti i magistrati che ogni giorno, nelle tantissime sedi giudiziarie d'Italia, portano avanti con grande impegno e professionalità il loro lavoro, assicurando in ogni dove l'amministrazione della giustizia.

L'obiettivo della riforma è semmai quello di eliminare distorsioni e abusi determinati dalla non effettiva parità tra accusa e difesa. Il disegno di legge costituzionale si pone, infatti, un obiettivo: dare piena attuazione all'articolo 111 della Costituzione, la cui ratio, a seguito della riforma costituzionale della legge costituzionale n. 2 del 1999, è quella di garantire il giusto processo, cioè un processo che garantisca i diritti delle parti nel processo. La norma afferma - lo hanno ricordato altri, ma sono tenuto a ricordarlo anch'io - che ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale.

Ed è quindi la nostra Carta costituzionale, a seguito della riforma costituzionale del 1999, a segnare la via per il definitivo completamento del processo accusatorio, introdotto nel codice di procedura penale dal Ministro Vassalli nel 1989, ma ancora sino ad oggi purtroppo monco a causa di questa continua commistione tra giudici e pubblici ministeri. La separazione delle carriere, onorevoli colleghi, non è una fissazione del centrodestra, ma è un obiettivo di chiunque abbia a cuore l'affermazione del garantismo. Anche a sinistra il dibattito è stato molto interessante negli anni, e lo dico con grande rispetto.

Vi chiedo di ascoltare questa riflessione. “Nonostante la forza notevolissima della corporazione dei magistrati, io credo che si arriverà alla separazione delle carriere perché gli abusi che stanno facendo alcuni pubblici ministeri, che ormai si considerano intoccabili, sono tali, dunque, che non è possibile concepire che poi quel magistrato vada a fare il giudice”: parole che non sono di Silvio Berlusconi o di qualche altro politico del centrodestra, ma sono del senatore Agostino Viviani, partigiano, membro del Comitato di liberazione nazionale a Siena per il Partito Socialista Italiano, senatore socialista dal 1972, presidente della Commissione giustizia del Senato.

Uno dei padri del garantismo e, tra le altre cose, nonno dell'onorevole Elly Schlein; un grande avvocato e un uomo politico profondamente garantista, che fu anche il primo a presentare una proposta di legge sulla responsabilità civile dei magistrati, che poi pagò, purtroppo per lui, con la non ricandidatura perché ci furono delle proteste serrate nei confronti del Partito Socialista. Aveva ragione il senatore Viviani. La corporazione dei magistrati, incaricata dall'Associazione nazionale magistrati, è già sulle barricate. Sabato è stata annunciata a gran voce la nascita di un comitato che ha questo nome: non comitato per il “no” al referendum sulla giustizia, ma comitato a difesa della Costituzione e per il “no” al referendum. Verrò dopo a spiegare, dal mio punto di vista, qual è l'errore di questo nome.

Al riguardo, Errico Novi, giornalista de Il Dubbio, scrive oggi sulla rivista: “l'Associazione magistrati ci ha vagamente ricordato un gruppo ultrà, un'armata che annuncia il proprio arrivo nel luogo dove si giocherà la partita. Bisognerebbe interrogarsi: è normale che un sindacato rappresentativo di alti funzionari pubblici, quali sono pur sempre i magistrati, scenda in campo contro una riforma voluta e approvata dall'organo depositario della sovranità popolare, cioè il Parlamento? Non ci vedete nulla di strano? Parliamo di alti funzionari che, vinto un concorso, hanno nelle loro mani la vita dei singoli cittadini e se ne occupano per conto dello Stato, di cui sono un'articolazione. Si ribellano ad una legge, ad una modifica costituzionale, comunque legittima, voluta da altre articolazioni della Repubblica.

Mettiamola così: l'Italia è in una condizione di conclamata anomalia istituzionale, sistemica, dai tempi di Mani Pulite, con i magistrati, i PM soprattutto, assurti a custodi della morale calpestata dai politici. Adesso, con la separazione delle carriere, contro cui l'Associazione nazionale magistrati marcia come un plotone di ultras, quel paradosso della democrazia sotto tutela giudiziaria dovrebbe estinguersi. E come reagiscono i magistrati all'eventualità? Con una discesa in campo uguale e contraria a quella di Berlusconi nel ‘94. Di fatto, con il loro gesto, confermano implicitamente l'urgenza della riforma e probabilmente realizzano un clamoroso autogol”.

Io dico: bravo, Errico Novi. Ha espresso con parole chiare un paradosso tutto italiano. È normale che il sindacato della magistratura si ribelli in questo modo ad una riforma legittima del Parlamento, qualificando tra l'altro la sua azione, come dicevo prima, come a difesa della Costituzione, come se il Parlamento eletto dai cittadini agisse indefessamente contro la Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia)? È un Paese normale quello in cui l'Associazione nazionale magistrati ha deliberato di spendere 500.000 euro in campagna politica referendaria contro una legge di questo Parlamento?

Questa discesa in campo dell'Associazione nazionale magistrati, mai così agguerrita, non può che destare preoccupazione e sconcerto in chiunque creda nell'equilibrio dell'indipendenza tra i poteri dello Stato. Tra l'altro, la protesta veemente e per certi aspetti mistificatoria, sulla base della quale vengono proclamati scioperi e altre iniziative dal tentativo demolitorio di questa riforma, si concentra anche su aspetti che non c'entrano nulla con questa riforma. Viene detto, ad esempio, che con la riforma il pubblico ministero sarà assoggettato all'Esecutivo.

Sappiamo tutti, perché è stato detto, che basta leggere il primo comma dell'articolo 104 della Costituzione, che non è stato assolutamente modificato, per cui la magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere. Questo è quello che è scritto nella Costituzione e non è stato modificato, e ciò vale per la magistratura requirente e per la magistratura giudicante. Affermare che uno scopo della riforma sia quello di assoggettare il pubblico ministero al Ministro della Giustizia costituisce una falsità che non è neanche degna di essere dibattuta in questo Parlamento.

Un'altra cosa importante: non è possibile, e secondo me è assolutamente sbagliato, sostenere l'assunto - abbiamo avuto anche un confronto con il direttivo dell'Associazione nazionale magistrati, e anche lì, in quella sede, l'ho espresso come mio parere - che il pubblico ministero cambi pelle, cioè che la riforma gli dia una forte connotazione colpevolista, perché si parla di un pubblico ministero che, con questa riforma, sarebbe soltanto improntato a ottenere, a volere a tutti i costi la condanna dell'imputato. Assolutamente no!

Un dato di fatto? Non è modificato l'articolo 358 del codice di procedura penale, per cui il pubblico ministero deve ricercare elementi favorevoli anche alla persona sottoposta alle indagini. Basta questo per chiarire la situazione.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

ANDREA PELLICINI (FDI). Mi dicono che ho un minuto. Dico che…

PRESIDENTE. No, ha trenta secondi.

ANDREA PELLICINI (FDI). Allora, trenta secondi. Volevo parlare del sorteggio, ma ne hanno parlato i miei colleghi, e quindi evito. Vado alle conclusioni. Veramente trenta secondi. Ribadiamo, ribadisco, come siamo di fronte ad una riforma storica, ad una riforma di sistema, che vuole attuare la piena parità tra accusa e difesa e che vuole liberare i vertici della magistratura (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia)

PRESIDENTE. Purtroppo ha esaurito i suoi tempi, collega. È iscritta a parlare la deputata Marianna Ricciardi. Ne ha facoltà.

MARIANNA RICCIARDI (M5S). Grazie, signora Presidente. Piero Calamandrei, Nilde Iotti, Alcide De Gasperi: tre nomi illustrissimi tra 556 membri della nostra Assemblea costituente, padri e madri fondatori che lavorarono per quasi 2 anni alla stesura della nostra Costituzione, e nell'Assemblea c'erano comunisti, socialisti, cattolici, liberali e conservatori. Nel 1946 il mondo si andava dividendo nel blocco comunista e nel blocco occidentale, e c'erano ancora le macerie della guerra per strada, la miseria e la brutalità che la fame genera.

Eppure, malgrado tutto, nel 1946 si riuscì a creare un assetto istituzionale tale da impedire, anche in caso di vittoria elettorale, che qualcuno potesse riportare l'Italia ai tempi bui del Ventennio, quando mancava la libertà. Per farlo, si basarono su idee dei rivoluzionari francesi, ossia dividere il potere in tre blocchi: esecutivo, giudiziario e legislativo.

Nel Ventennio, il potere esecutivo predominava sugli altri due. Esistevano il potere legislativo e giudiziario, sì, ma il Governo poteva modificare le leggi a suo piacimento.

E, finché siamo stati una Repubblica parlamentare, le Camere hanno potuto approvare leggi sgradite al Governo, penso ad esempio alla legge sul divorzio che venne approvata nonostante il parere contrario del partito di maggioranza, la DC. Passò, infatti, grazie ai voti del PCI, del PSI e dei liberali.

È come se oggi venisse approvato lo ius scholae con i voti di Forza Italia e delle opposizioni. Il Ministro Tajani ne parla spesso, magari per intrattenere i giornalisti, probabilmente perché non crede davvero che oggi il Parlamento, nel 2025, sia in grado di approvare una legge che sia sgradita al Governo. Giorgia Meloni non lo permetterebbe mai, non lo consentirebbe e ha il potere di impedirlo.

Ma come ha fatto il Capo del Governo ad aumentare il suo potere? Non sono cose che accadono dall'oggi al domani ma, se mettiamo insieme i vari pezzi, la direzione che stiamo prendendo è quanto mai preoccupante.

Tutto nasce nel 1992, quando vennero abolite le preferenze: non più persone elette, rappresentanti dei cittadini, ma rappresentanti dei partiti che li avevano indicati. Non tutti si adattarono subito: ci è voluto del tempo perché questo seme germogliasse, ma oggi, chiaramente, non c'è più la necessità di doversi confrontare con i cittadini, né tantomeno con gli iscritti dei propri partiti. Non conta più aver fatto delle buone leggi, conta soltanto aver detto sempre “sì” al proprio capo per essere ricandidati poi in una posizione favorevole la prossima volta.

C'è poi una cosa che ha distrutto l'autonomia del Parlamento rispetto al Governo, fino all'apice raggiunto in questa legislatura. Vedete, le leggi ordinarie dello Stato, quelle fatte dal Parlamento, promulgate dal Presidente della Repubblica e pubblicate in Gazzetta Ufficiale, di fatto, non esistono più perché oggi si va avanti a decreto-legge. Una norma che, in teoria, dovrebbe essere riservata a condizioni straordinarie, che viene emanata dal Governo, immediatamente esecutiva e che il Parlamento ha semplicemente il compito di approvare. Certo, il Parlamento potrebbe anche modificarla ma di fatto non accade quasi mai, e non succede perché il Governo pone quasi sempre la questione di fiducia. In pratica, dice ai suoi parlamentari: o voti come abbiamo deciso noi o andate a casa. E dato che il nostro Parlamento, purtroppo, è pieno di politici di professione, di fatto succede che, ogni volta che il Governo fa una legge, il Parlamento l'approva senza batter ciglio.

E adesso volete eliminare anche l'ultimo freno alla questione di fiducia, e sono le 24 ore che si danno come pausa di riflessione per poter poi consentire alla Camera di approvare la fiducia. La volete abolire perché ormai non c'è più nulla su cui riflettere. E ora che il Governo ha finalmente fagocitato il potere del Parlamento restano la stampa e la magistratura, che sono il prossimo pasto.

Per la stampa ci ha già pensato il Governo Renzi, subordinando i vertici della Rai al Governo di turno e ora a voi spetta il semplice compito di intimidire, con querele e denunce strumentali, tutti i giornalisti che osano raccontare la verità. Finirà che i giornalisti di Report avranno più condanne rispetto ai corrotti che cercano di smascherare. Abbiamo sentito anche il Capo di un Governo di uno Stato democratico dire: io con la stampa italiana non parlo. E i suoi sostenitori hanno anche pensato: fa bene, perché con quelle domande, con le loro domande faziose, le impediscono di lavorare.

E, quindi, l'ultimo potere che, se non inglobato, va quantomeno addolcito è quello della magistratura.

La giustizia, vedete, ha tantissimi problemi: i processi lunghissimi, l'impunità per numerosi reati, ma anziché lottare contro questi mali atavici - che chiaramente non imputo a voi ma che sono problemi reali della giustizia - volete fare alla magistratura ciò che è successo già con il Parlamento, ossia renderla una formale appendice del potere esecutivo. Per questo la vostra riforma passerà senza dibattito; per questo, nemmeno un emendamento sostanziale verrà approvato, né di maggioranza né di opposizione.

Per questo io sono contraria e preoccupata, perché se un singolo magistrato su 500, una sola volta nella sua carriera, può o meno cambiare funzione a me non cambia nulla. A me preoccupa il quadro d'insieme, perché dopo il Parlamento e la stampa si tenta di intimidire l'unico vero contropotere che è rimasto al potere esecutivo. Il vero motivo per cui voi lo fate è dividere la magistratura per mettere il pubblico ministero al di sotto del potere esecutivo, in modo diretto o indiretto, perché questo è quello che accade nei Paesi dove già funziona così. E quando arriveremo a questo, nessun giudice si esprimerà più sulle truffe ai danni dello Stato che commette un membro del Governo perché i PM dipendono dal potere politico, quindi non faranno partire le indagini. Non c'è bisogno di condizionare i giudici, perché nessun giudice si potrà più esprimere sulla liceità del comportamento di un membro del Governo che ha rivelato dei segreti d'ufficio a dei coinquilini perché il PM dipenderà da quel membro del Governo. E se il vostro piano andrà in porto, i giudici non si esprimeranno più nemmeno sui politici che hanno sottratto soldi pubblici per fini personali, perché quei pubblici ministeri saranno alle loro dipendenze.

Quindi - e concludo - a me preoccupa questo quadro d'insieme, e dovrebbe preoccupare anche voi se non avete completamente perso lo spirito critico in cambio di un posto al sole (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Essendo giunti in prossimità delle ore 20, sospendiamo a questo punto l'esame del provvedimento, che riprenderà alle ore 21. La seduta è sospesa.

La seduta, sospesa alle 20, è ripresa alle 21.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SERGIO COSTA

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla ripresa notturna della seduta sono complessivamente 86, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali - A.C. 1917-B​)

PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione sulle linee generali del disegno di legge costituzionale numero 1917-B.

È iscritta a parlare la deputata Ingrid Bisa. Ne ha facoltà.

INGRID BISA (LEGA). Grazie, Presidente. Colleghi, Governo, quando parliamo di giustizia non parliamo di un concetto astratto, parliamo della vita delle persone e delle loro famiglie, della libertà e della dignità che ognuno di noi ha diritto di vedere rispettate.

Il tema della separazione delle carriere non è una questione tecnica riservata agli addetti ai lavori. È invece il cuore di una battaglia di civiltà (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier), perché si tratta non soltanto di come funziona la macchina della giustizia, ma anche di come garantire davvero che chi giudica sia imparziale, indipendente e libero da ogni sospetto.

Palamara nel suo libro, nelle sue testimonianze, ha aperto uno squarcio che non possiamo più fingere di non vedere. Un sistema in cui il confine tra chi indaga e chi giudica è sottile, in cui logiche di appartenenza, correnti e carriere rischiano di offuscare la missione più alta che la magistratura dovrebbe avere: cercare la verità, non un risultato. E Sallusti, nel suo libro Lobby & Logge, chiede (cito testualmente): “Lei, quella ragnatela, l'ha tessuta oppure c'è incappato dentro? Io ho tessuto relazioni dentro la magistratura e tra la magistratura e la politica, come da manuale d'uso del presidente dell'Associazione nazionale magistrati prima e da membro del Consiglio superiore della magistratura poi. Era il mio mestiere. Vuole la verità? Alcuni fili li ho intravisti e scavalcati in tempo, altri scansati per un soffio”. E ancora, sempre in questo libro si legge: “C'è una frase pronunciata nei giorni in cui questo libro sta per prendere forma che illumina la scena; la pronuncia il 15 novembre del 2021 Nino Di Matteo, magistrato eroe dell'antimafia e riferisce: io temo che, soprattutto negli ultimi anni, si siano formate anche al di fuori e trasversalmente alle correnti della magistratura, attorno a un procuratore o a un magistrato particolarmente autorevoli, cordate composte da ufficiali di Polizia giudiziaria e da esponenti estranei alla magistratura che pretendono di condizionare l'attività del Consiglio superiore e dell'intera magistratura”. E ancora: “Appartenere a queste cordate significa essere tutelato nelle tue ambizioni e l'avversario un corpo da danneggiare”. Poi la chiusura: “Tutto ciò è qualche cosa di molto simile alle logiche mafiose, è il metodo mafioso che ha inquinato i poteri, non solo la magistratura”.

Ora, Presidente, la nostra Costituzione parla chiaro: i cittadini sono uguali davanti alla legge. Ma come possiamo credere fino in fondo a queste uguaglianze, se lo stesso corpo che accusa è anche quello che giudica? Se chi oggi è pubblico ministero domani può diventare giudice e viceversa, portandosi dietro relazioni, culture professionali e, talvolta, perfino pregiudizi? Non si tratta di sfiducia verso la magistratura, si tratta, al contrario, di rispetto. Rispetto per i giudici che devono poter svolgere il loro compito senza ombre, senza sospetti. Rispetto per i pubblici ministeri che hanno il diritto di condurre le indagini con la forza della loro autonomia senza la tentazione di essere giudici mancati. Rispetto soprattutto per i cittadini che meritano un processo equo davanti a un giudice che non abbia mai vestito i panni dell'accusa.

Separare le carriere significa dare più forza alla giustizia, non indebolirla. Significa renderla più trasparente, più credibile e più vicina al senso comune di equità che ogni cittadino porta nel cuore. E allora, credo che, oggi più che mai, abbiamo il dovere di avere coraggio, di guardare in faccia le verità scomode, come quelle raccontate da Palamara, e di trasformarle in riforma, perché la giustizia non può essere né percepita né utilizzata come un terreno di potere. Deve tornare ad essere ciò che è sempre stata nella sua essenza più pura: un luogo di verità e di tutela dei cittadini.

La separazione delle carriere non è un attacco, è un atto d'amore verso la giustizia, è la condizione necessaria per restituire fiducia ai cittadini, per ridare credibilità a uno dei poteri fondamentali dello Stato, per garantire che mai più l'accusa e il giudizio possano confondersi nello stesso volto, perché in gioco non c'è una riforma qualunque, c'è la libertà di ciascuno di noi. Oggi non discutiamo su un dettaglio tecnico ma su una riforma che riguarda il cuore stesso del nostro Stato di diritto. La separazione delle carriere tra magistratura requirente e magistratura giudicante non è una bandiera ideologica, è una necessità storica. Lo abbiamo visto, lo abbiamo letto o ascoltato in questi in questi anni. Come Lega ci abbiamo provato con il referendum nel 2022. Le parole di Palamara hanno squarciato un velo mostrando un sistema in cui il confine tra chi indaga e chi giudica è diventato troppo labile, troppo condizionato da logiche di corrente, di appartenenza e di potere. Noi abbiamo il dovere politico e morale di affrontare questo tema con coraggio, senza nasconderci dietro i formalismi.

Separare le carriere significa rafforzare non indebolire la magistratura, significa garantire che chi accusa la faccia con forza e autonomia e che chi giudica la faccia con terzietà assoluta, senza legami, né passato né futuro con la funzione inquirente. Perciò, colleghi non possiamo chiedere ai cittadini di credere nella giustizia, se lo stesso corpo che indaga può diventare quello che giudica.

Colleghi, in quest'Aula siamo chiamati a decidere se vogliamo una giustizia più giusta, più credibile e più forte. La separazione delle carriere non è un capriccio, non è un atto di sfiducia, è un atto d'amore verso lo Stato di diritto, verso la Costituzione, verso la libertà di ogni cittadino (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier). Se davvero crediamo che tutti siano uguali davanti alla legge, allora abbiamo il dovere di rendere questa legge trasparente, imparziale, incorruttibile.

Oggi, possiamo scegliere: conservare un sistema che ha mostrato crepe profonde o avere il coraggio di riformarlo. Io credo che il Paese si aspetti da noi la seconda strada. La giustizia è un valore che non deve mai (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier)

PRESIDENTE. Grazie, deputata Bisa. È iscritta a parlare la deputata Serracchiani. Ne ha facoltà.

DEBORA SERRACCHIANI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Ho ascoltato oggi molti interventi, ci sono state tante citazioni. Ora mi permetterete di citare prima di tutto il collega Fornaro, che ha ben spiegato a chi ovviamente non ha questa esperienza - e lo posso capire - la differenza tra una mozione congressuale e un programma elettorale. Non tornerò sulla differenza, mi auguro che sarete in grado prima o poi di fare un congresso e capire qual è la differenza, ma mi auguro anche che leggerete i programmi elettorali dei partiti, soprattutto quando sono vostri avversari.

Ebbene, nel programma elettorale del Partito democratico del 2022 non troverete la separazione delle carriere, semplicemente perché noi abbiamo ritenuto di fare la separazione delle funzioni nella scorsa legislatura. Ma come ricordavo, si sono fatte molte citazioni. Si sono fatte, però, citazioni sempre molto limitate, sempre molto circoscritte, andandole anche a pescare nel passato. È stato citato più volte Luciano Violante, è stato citato però il Luciano Violante di qualche anno fa.

Vi invito a leggere uno degli ultimi interventi del presidente Violante, quando dice: “La cosiddetta separazione delle carriere non ha nulla a che vedere con l'amministrazione della giustizia. Si tratta di un tentativo di riequilibrio dei rapporti tra politica e magistratura, a vantaggio della politica, dopo circa mezzo secolo di primato della magistratura. L'esigenza è fondata; tuttavia non vanno sottovalutati i rischi della soluzione proposta. Separare dai giudici i circa 1.500 pubblici ministeri e costruire per loro un apposito CSM, distinto dal CSM dei giudici, significa creare una nuova corporazione giudiziaria del tutto autogestita.

Una sorta di superpolizia, priva di controlli, separata dai giudici, autogovernata, dotata di formidabili poteri di ingerenza nella vita dei singoli, delle famiglie, delle imprese e della stessa politica, con rischi rilevanti per le libertà di tutti i cittadini. Si tratterebbe di una istituzione illiberale sconosciuta ai paesi civili”. Dispiace che questo pezzo del presidente Violante non sia stato citato e siano stati citati dei vecchi scritti, che sì, parlavano di separazione delle carriere, ma non di questa separazione delle carriere. Potrei andare avanti con le citazioni, ne faccio una.

È qui presente davanti a noi, sicuramente si riconoscerà nella frase che sto per leggere: “C'è un rischio nel doppio CSM. O si va fino in fondo e si porta il PM sotto l'esecutivo, come avviene in tanti Paesi, oppure gli si toglie il potere di impulso sulle indagini”, ma “dare ai pubblici ministeri un proprio CSM è un errore strategico che, per eterogenesi dei fini, si rivolterà contro”. E insiste: “I PM, prima di divorare i politici, andranno a divorare i giudici. L'unica cosa figa della riforma è il sorteggio dei togati al CSM, basta”. Sto parlando, naturalmente, del Sottosegretario Delmastro Delle Vedove, che, in una parte di questo suo intervento … mi verrebbe da dire che lo condivido per la prima volta, pensi un po', e questo francamente mi lascia un po' anche perplessa (Commenti del Sottosegretario Delmastro Delle Vedove) perché mi fa appunto pensare al peggio su questa riforma, ma evidentemente, se lo ha sottolineato e segnalato il Sottosegretario Delmastro Delle Vedove, effettivamente questa riforma è il peggio che si potesse pensare ed immaginare.

Potrei anche andare avanti con altre citazioni. Potrei ricordare, ad esempio, ai colleghi, che dall'altra parte lo hanno dimenticato completamente, che anche il Ministro Nordio ha firmato un appello nel 1994 quando, pensate, era pubblico ministero a Venezia, e disse di “no” alla riforma che riguardava proprio la separazione delle carriere. Questo vi siete dimenticati di citarlo, come spesso, lo fa anche il Ministro Nordio, si cita il professor Vassalli. Credo, francamente, che dovremmo smetterla di strumentalizzare una figura così alta e importante della nostra storia repubblicana.

Però vi invito a leggere quello che diceva e scriveva il Ministro e professore Vassalli: sì, parlava di separazione delle carriere, certo che è il padre del codice di procedura penale, peccato, però, che non ha mai, mai voluto due CSM, e peccato che lui non ha mai pensato a una riforma costituzionale. M perché non ci ha pensato il professor Vassalli? Per un semplice motivo: perché, se si volevano separare le carriere dei magistrati, era sufficiente fare una legge ordinaria, non c'era bisogno di fare una riforma costituzionale.

Allora perché avete voluto la riforma costituzionale? Perché avete un altro obiettivo. Dopo che avete immobilizzato la Rai e il servizio pubblico, dopo che siete intervenuti sulla libera informazione, che cosa si fa per cercare di evitare ogni controllo? Si fa la riforma costituzionale che indebolisce l'autonomia e l'indipendenza della magistratura. E qui è inutile che vi stracciate le vesti, dicendo: “noi non siamo quelli antidemocratici”. Lo siete, è evidente, perché state intaccando valori fondanti della nostra Carta costituzionale, del nostro essere democrazia, del nostro vivere civile: la separazione dei poteri, su cui si sono soffermati tanti colleghi, l'indebolimento della magistratura, per arrivare all'eterogenesi dei fini - e su questo sono d'accordo con il Sottosegretario Delmastro Delle Vedove - per cui chi oggi dice che il pubblico ministero è troppo forte, e quindi bisogna riequilibrare quei poteri tra la magistratura e la politica, farà esattamente il contrario.

L'eterogenesi dei fini è scritta nero su bianco: avremo dei superpoliziotti, quei superpoliziotti che saranno i pubblici ministeri, che continueranno ad avere la polizia giudiziaria e che avranno anche un proprio Consiglio superiore della magistratura, che li difenderà e li coprirà. Domandatevi perché oggi il Consiglio superiore della magistratura ha solo tre PM e gli altri sono tutti giudici. Domandatevi perché già oggi si ritiene che si debba intervenire su quella forza, ma, per farlo, non si interviene sull'organizzazione della magistratura, dividendola.

Per farlo si interviene sul processo, si interviene sulle indagini preliminari, si modificano gli articoli del codice di procedura penale che non garantiscono fino in fondo che il pubblico ministero guardi agli elementi a difesa dell'imputato tanto quanto a quelli dell'accusa. Si interviene appunto su questo, non si interviene sull'organizzazione della magistratura, a meno che non si abbia l'obiettivo di indebolirla, con l'eterogenesi dei fini di ottenere un superpoliziotto, che, a quel punto, entrerà in competizione, che dovrà fare le indagini, che dovrà cercare per forza gli imputati, che dovrà correre alla ricerca di un colpevole. Bene, questo avverrà nonostante nella vostra riforma diciate esattamente il contrario.

C'è una cosa su cui veramente vi invito a una riflessione, riflessione che Forza Italia aveva provato a fare, ma che poi, al primo “no” di Fratelli d'Italia e di Lega, ha ritratto l'obiettivo, ed era quella di cercare di modificare la parte sul sorteggio, perché prevedere il sorteggio dei membri di un organo costituzionale è uno scempio alla Costituzione. È uno scempio e lo sottolineo che è uno scempio. Ed è una vergogna che si pensi che con il sorteggio si possano scegliere le persone che stanno lì, perché allora dico: scegliamo per sorteggio anche i Ministri, scegliamo per sorteggio il presidente del Consiglio nazionale forense, scegliamo per sorteggio il presidente delle camere penali. Perché allora i togati sì e gli altri no?

Anche qui dico: vuoi vedere che qualcun altro ci aveva già pensato nel passato? Certo che qualcun altro ci aveva già pensato nel passato. Nel 1971, proposta di legge a prima firma Giorgio Almirante. E Giorgio Almirante che cosa diceva? Che i magistrati dovevano essere scelti per sorteggio. E perché diceva che andavano scelti per sorteggio? Perché diceva che i magistrati sono soggetti soltanto alla legge. Ma come interpretava, nella relazione illustrativa, Giorgio Almirante, quell'essere soggetti soltanto alla legge? … Che il magistrato deve applicare la legge secondo la volontà del legislatore.

Ecco che quindi siamo arrivati alla fine: secondo la volontà del legislatore. Questo è quello che volete, prima la libera informazione, poi la magistratura. Ricordo che in questo Paese, in questa democrazia ancora liberale, in questa Costituzione, la magistratura serve a porre limiti agli altri due poteri, serve a controllare gli altri due. Noi non stiamo difendendo la magistratura, stiamo difendendo la democrazia, stiamo difendendo la Carta costituzionale, stiamo difendendo i valori per i cittadini, perché quello che succederà con questa riforma è nulla con riguardo all'efficienza e all'efficacia.

Non ci sono assunzioni, non ci sono più risorse, non c'è rispetto dei target del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ma c'è una cosa: ridurrete le tutele e le garanzie dei cittadini, che non saranno più uguali davanti alla legge (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista), e quando entreranno in tribunale e dietro al tribunale ci sarà scritto “La legge è uguale per tutti”, sapranno che non è più così. E questo accadrà perché la destra al Governo, questo Governo e questa maggioranza hanno tolto tutele ai cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Ascari. Ne ha facoltà.

STEFANIA ASCARI (M5S). Presidente, la libertà, come diceva Calamandrei, è come l'ossigeno: te ne accorgi quando ti manca, nel momento in cui non riesci più a respirare. È quello che state facendo voi, state togliendo ossigeno in primis al Parlamento, dopo ormai quasi 100 decreti-legge. Il Parlamento è diventato un fantasma, un fantasma! Avete approvato norme bavaglio contro la stampa libera e decreti aberranti, che hanno addirittura trasformato il dissenso e la legittima protesta in reato, perché il dissenso vi fa paura. State punendo i cittadini e le cittadine che scendono in piazza per manifestare pacificamente, per fermare il genocidio a Gaza, il riarmo, il business della morte, e ad alcuni di loro è stato notificato addirittura un foglio di via obbligatorio. È veramente vomitevole, perché siete i primi ad avere la coscienza sporca.

Come oggi che state per approvare l'ennesimo obbrobrio che ha lo scopo di indebolire la magistratura, indebolendo così la democrazia, perché questo Governo vuole togliere la libertà di espressione a tutti e a tutte.

Adesso voglio elencare quelle che sono le criticità di questa riforma o, sarebbe meglio dire, le atrocità di questa riforma sulla separazione delle carriere.

Innanzitutto, l'indipendenza della magistratura che è sotto attacco. La nostra Costituzione garantisce l'unità della magistratura come presidio di democrazia. Con questa riforma, invece, si punta a creare due magistrature distinte, due Consigli superiori della magistratura. Il risultato è un pubblico ministero più esposto all'influenza del Governo e del Parlamento di turno. È un colpo diretto all'indipendenza della giustizia.

Ed ancora, si viene a creare uno squilibrio che minaccia l'intero processo penale. Il processo accusatorio è fondato sul principio di equilibrio tra accusa e difesa. Con la separazione delle carriere il pubblico ministero rischia di diventare un organo piegato all'Esecutivo, non più una parte autonoma e imparziale, ma uno strumento che sposta l'ago della bilancia a favore dell'accusa su indicazione del Governo, minando i diritti fondamentali dei cittadini e delle cittadine. Questo vuol dire fine delle garanzie per i cittadini e le cittadine.

Oggi, i magistrati giudicanti e requirenti mantengono un legame culturale e professionale, potendo, entro limiti precisi, passare da una funzione all'altra. Questo rafforza l'imparzialità e la comprensione reciproca. Con la vostra riforma quel legame si spezza, diventano due corpi separati, due mondi che non comunicano più. Un danno irreparabile per chi chiede giustizia e che molto probabilmente non l'avrà, perché ci sarà il concreto rischio di un pubblico ministero politicizzato, che esegue ordini.

Un pubblico ministero con un organo di autogoverno plasmato dalla politica rischia di diventare una sorta di avvocato dello Stato penale subordinato - ripeto - al Governo di turno; significa indebolire proprio quella funzione che deve indagare su mafia, corruzione e reati dei colletti bianchi. Una vera e propria resa dello Stato di diritto di fronte ai poteri criminali ed economici più forti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

E questo è un colpo al cuore della lotta alle mafie. In Italia, la lotta a mafia e corruzione è stata possibile solo grazie all'autonomia del pubblico ministero, indebolirne l'indipendenza vuol dire disarmare lo Stato di fronte alla criminalità organizzata.

E questo non è un rischio teorico, è un favore concreto a chi vive di illegalità e di connivenze; è un favore che voi fate alle mafie. Dopo aver abbattuto lo strumento delle intercettazioni, lo strumento della collaborazione con la giustizia, dopo aver abrogato il reato di abuso d'ufficio, indebolito il reato di traffico di influenze illecite, di fatto, indebolito tutti i reati contro la pubblica amministrazione, annientata la Corte dei conti, infine, il colpo di grazia: annientare la magistratura, perché per voi è scomoda.

Avremo, quindi, più burocrazia, meno giustizia, due concorsi, due carriere, due organi di autogoverno: non efficienza, non giustizia, ma caos; non velocizzazione, ma ulteriori ritardi.

In un sistema già gravato da carenze di personale e di strutture, questa riforma, la separazione delle carriere, significa soltanto aumentare i costi e ridurre l'efficacia. E questo è un vero e proprio sfregio alla Costituzione, in quanto l'articolo 104 della nostra Carta prevede un unico Consiglio superiore della magistratura come garanzia di indipendenza. Stravolgere questo assetto significa manomettere uno dei pilastri della Repubblica.

Ve lo hanno detto veramente tutti gli auditi che voi non avete ascoltato, al di sopra veramente della vostra arroganza: questa riforma - vi hanno detto - rischia di aprire una ferita profonda e permanente nello Stato di diritto, perché scardina l'equilibrio tra i poteri costituzionali.

Quella che voi presentate come una riforma di civiltà è, in realtà, un attacco senza precedenti alla giustizia italiana. Non è una garanzia di terzietà, è un tentativo di mettere le mani sulla magistratura, di piegare le indagini al controllo della politica o di impedire indagini scomode, di rendere più deboli i cittadini e le cittadine e più forti i poteri criminali e i sistemi occulti.

È bene ricordare in quest'Aula del Parlamento che la giustizia italiana non ha bisogno di riforme bandierina o di riforme che aggravano i problemi della giustizia.

Ma la giustizia ha bisogno di risorse, ha bisogno di personale, ha bisogno di strumenti moderni e ha bisogno di potenziare i mezzi informatici e telematici; ha bisogno di promuovere concorsi, ha bisogno di stabilizzare i lavoratori e le lavoratrici precarie dell'Ufficio per il processo; ha bisogno di migliorare le condizioni disumane che esistono all'interno delle carceri. Ha bisogno di mettere a norma i regimi di 41-bis. Non ce n'è uno a norma: i mafiosi fanno addirittura le riunioni all'interno del carcere, alla luce anche dell'inchiesta de l'Espresso. E questo l'avevamo già scritto noi nella relazione che avevamo approvato in Commissione antimafia all'unanimità, all'unanimità (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), quando ancora in Commissione antimafia si poteva lavorare, si poteva fare inchiesta.

Non come oggi che è veramente impedita ogni forma di inchiesta, dove la mafia è diventata influencer di se stessa, dove c'è un reato che sta prendendo polvere, una proposta di legge per l'introduzione del reato di istigazione o apologia del delitto di associazione mafiosa.

Bene, continuate così. Continuate a svuotare la giustizia dall'interno, perché fare come state facendo significa solamente condannarla al caos o, meglio, condannare l'intero Paese al caos. Ma forse è proprio quello che volete e che state realizzando: una dittatura giudiziaria del Governo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ottaviani. Ne ha facoltà.

NICOLA OTTAVIANI (LEGA). Grazie, Presidente. La prossima settimana dovrò ricevere 4-5 ragazzi che vogliono farsi una chiacchierata prima dell'esame di diritto pubblico e diritto costituzionale sulle norme che presiedono al corretto esercizio della giurisdizione e soprattutto alla separazione dei poteri.

E, allora, dovremmo discutere necessariamente dell'articolo 101 della Costituzione. L'articolo 101 che, al primo comma, recita, purtroppo per alcuni di coloro che questa sera hanno preso la parola: “La giustizia è amministrata in nome del popolo”. Questo è soltanto il preludio, la propedeuticità - possiamo dire - normativa rispetto al secondo comma. Perché il secondo comma - più di qualcuno degli intervenuti probabilmente lo continua a stralciare o a saltare a piè pari - è ancora più chiaro su questo punto: “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”.

Ora, a meno che ci sia una novità nell'ambito di questa riforma della separazione delle carriere, rispetto alla possibilità che, magari, siano a legiferare direttamente alcuni, non tutti, i referenti della magistratura, c'è obiettivamente qualche cosa che non va nel dibattito che abbiamo seguito fino a questo momento. Perché all'interno di quella tripartizione, alla quale facevano riferimento prima alcuni colleghi, anche da parte, appunto, del gruppo del MoVimento 5 Stelle, però c'è una sorta non di primus inter pares, ma di filtro diretto.

Potremmo dire di fil rouge che si va ad innestare tra il popolo che determina chi deve effettivamente emanare le leggi e qualcuno che dice: no, ma queste leggi, in realtà, sono foriere di una interpretazione molto soggettiva e molto particolare. E allora quando c'è confusione - ricordano i costituzionalisti - bisogna tornare all'interpretazione autentica di determinati fatti e, probabilmente, di distorsioni che nel corso degli anni sono venuti fuori. Più di qualcuno ha tirato in ballo, in modo più o meno proprio od improprio, Palamara, però per evitare che ci siano distorsioni rispetto all'esegesi effettiva che bisogna attribuire ad alcune espressioni di Palamara corre l'obbligo, Presidente, di ricordare come, nell'intervista rilasciata il 3 novembre 2021 a Il Dubbio, all'indomani della pubblicazione del primo testo - “Il sistema” - Palamara faceva queste dichiarazioni: “Le correnti” - non si riferisce al singolo magistrato o a tutta la magistratura perché bisogna evitare la generalizzazione - “dicano tutta la verità e smettano di coprirsi dietro il mio nome. Sulla magistratura è come se ci fosse un tappo”. Palamara trova - dice la giornalista - un'immagine efficace. “Un tappo sulla verità, che però si deve far emergere: va chiarito che cosa è stato davvero il sistema delle correnti. Ne sono stato un protagonista, ma non è possibile che si usi ancora il mio nome per compiere operazioni di facciata e dare l'impressione di un falso rinnovamento nell'associazionismo giudiziario”. E fa riferimento poi a quelle che sono le considerazioni che vengono svolte all'indomani di alcuni fatti particolari da parte del nuovo Presidente di Unicost, la dottoressa Marro. Dice “di aver offerto una descrizione senz'altro meno negazionista” - queste sono le parole che utilizza per lealtà, possiamo dire, anche istituzionale lo stesso Palamara - “di quanto sia avvenuto con il mio procedimento disciplinare. Ma sarebbe opportuno…” - aggiunge Palamara, sempre relativamente all'esegesi e, quindi, l'interpretazione autentica di quello che è avvenuto - “se a prendere la parola sulle spartizioni correntizie fossero i responsabili dei gruppi, che ne sono stati protagonisti come il sottoscritto, e che però diversamente da me esercitano ancora tutto il loro peso sull'attività delle correnti”.

Chiede l'intervistatore: “ma non è bastato il suo libro a far emergere le spartizioni?” E qui andiamo al cuore di quello che è il problema che rimane irrisolto. “Ancora oggi” - testualizza Palamara - “privati cittadini e magistrati esclusi da tutto mi chiedono: ma com'è possibile che comportamenti come quelli venuti fuori in questi due anni, pressioni e richieste di magistrati per ottenere e assicurare incarichi negli uffici giudiziari non abbiano implicato accuse di traffico illecito di influenze” (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier) - proprio quel traffico a cui si faceva riferimento prima da parte dei banchi della minoranza -, “come sarebbe avvenuto a qualsiasi imprenditore che avesse tentato l'interlocuzione con un'amministrazione pubblica per ottenere un appalto? Perché l'imprenditore viene indagato per traffico di influenze o corruzione e il magistrato no?”, che ha favorito quell'incarico a dispetto dell'altro? E a dispetto di quel merito a cui si faceva riferimento come profilo alternativo rispetto al sorteggio per quanto riguarda la composizione del CSM.

E allora come si fa a saltare a piè pari la seconda intervista che sempre Palamara è andato a concedere quando si è trattato della pubblicazione del suo secondo testo, “Lobby & Logge”, nel quale ha fatto riferimento a tre elementi importanti, tre pezzi di storia e, potremmo dire, di antisistema del nostro Paese, che sono stati celebrati, possiamo dire, in modo certamente poco edificante sotto il punto di vista istituzionale. In merito alla Loggia Ungheria Palamara dice: “Davanti ad una vicenda simile, i casi sono solo due: o iscrivi Amara per calunnia o iscrivi tutti i nomi da lui fatti per l'appartenenza alla loggia. Dopo quanto? Il tempo di preliminari accertamenti, diciamo da uno a un massimo di sei mesi, Covid o non Covid. Le faccio un esempio, così capiamo meglio come funziona: dalla sera in cui alla questura di Milano è scoppiato il caso Ruby al giorno in cui Ilda Boccassini ha chiesto non un avviso di garanzia ma il rinvio a giudizio di Silvio Berlusconi sono passati appena sei mesi”. È molto strano che istituzioni e giornali alleati nel non far uscire la notizia di una possibile loggia segreta specializzata in depistaggi abbiano messo su una potenza di fuoco in campo tale per evitare che si continuasse a definire quello che era sul tappeto.

Allora, signor Presidente, come potrò riferire a questi ragazzi che si occupano di diritto pubblico e di diritto costituzionale che questa riforma non è sicuramente la panacea, ma un primo passo? Un primo passo col quale si stacca per la prima volta la barca inerme e inerte dal porto per metterla nel mare della realizzazione della pienezza della Costituzione e dell'imparzialità del magistrato davanti alla legge e davanti al popolo per cui la amministra (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Ghio. Ne ha facoltà.

VALENTINA GHIO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Stiamo assistendo in queste ore ad interventi della maggioranza che hanno un po' spulciato tutte le interviste degli ultimi anni per scovare la parolina che fa comodo. Avete citato - state citando - in tanti Palamara, ma vorrei ricordarvi che il capo dei magistrati è stato indagato da altri magistrati e sanzioni disciplinari sono state applicate (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Quindi, la storia raccontatela tutta, non soltanto la parte che vi fa comodo.

In realtà non basta e non serve scovare le paroline utili, le paroline giuste perché oggi siamo a discutere una delle riforme più delicate e più controverse dell'intera architettura costituzionale della Repubblica. Un disegno di legge costituzionale che tocca un punto delicatissimo dell'assetto della nostra giustizia: la separazione delle magistrature e l'indebolimento delle garanzie con lo sdoppiamento del CSM. È un tema che meriterebbe cautela, che meriterebbe rispetto e che meriterebbe soprattutto una visione coerente con i principi fondanti della nostra Costituzione.

Come Partito Democratico abbiamo sostenuto, non da ora, che il sistema della giustizia italiana vada migliorato. Non ci siamo sottratti al confronto e siamo stati fra i primi a dire che serve più efficienza e tempestività nel sistema giustizia. Tuttavia, siamo consci e consapevoli che la riforma della giustizia non può essere costruita come una bandiera ideologica né tantomeno come una risposta punitiva verso una parte della magistratura. Quindi, questo disegno di legge propone e vuole modificare la Costituzione con un cambio radicale che mina il principio dell'unità della giurisdizione e rischia di compromettere fortemente - magari non ora, non in modo dichiarato, ma poi ci saranno le leggi attuative - l'autonomia della magistratura. Non si tratta per nulla di una questione meramente tecnica, è una questione profondamente politica che riguarda l'equilibrio dei poteri dello Stato e che rischia di rendere il pubblico ministero molto più esposto a pressioni esterne, meno autonomo e meno libero di esercitare le prerogative costituzionali. Una perdita di autonomia del sistema giustizia che, come è stato detto da molti, viene acuita dalla creazione di due Consigli superiori separati e indebolita anche da quello che sembra paradossale, ossia - l'ha detto bene la collega Serracchiani che ha un pregresso, un passato - l'estrazione, l'indicazione dei componenti per sorteggio.

Non ci sono meccanismi sufficienti in questo testo che, di fronte a simili enormità, tutelino davvero la piena autonomia della magistratura. Questo è un vulnus molto serio, è un vulnus che va verso l'indebolimento complessivo del sistema, peraltro in una situazione in cui non è nemmeno necessario, perché il nostro ordinamento già distingue nettamente le due funzioni; esistono percorsi, esistono criteri e responsabilità distinti. Non è affatto una riforma organica, ma sono interventi frammentari ed orientati da una visione punitiva e divisiva.

Così come riteniamo inaccettabile il metodo, che si proceda con una modifica così profonda della Carta senza un confronto ampio, serio e partecipato, non solo di facciata e non solo tra le forze politiche, ma anche fra tutto il sistema della giustizia. Non è mai accaduto fino ad oggi che una riforma costituzionale sia arrivata, così come uscita dal Consiglio dei ministri, al voto. Neanche il principio della parità di genere avete recepito, neanche questo, rifiutandovi di recepire l'emendamento presentato in tal senso, ma andando dritti con una blindatura del testo.

Questo testo, peraltro, non contiene nessuna garanzia e nessuna misura che rafforzi le garanzie per il cittadino. Avete citato tanto i vulnus della giustizia, ma, di fatto, i fatti e le cose certe sono che nelle manovre finanziarie avete sottratto le risorse per sostenere il sistema della giustizia. È una riforma che non affronta i veri nodi del sistema: i tempi dei processi, la qualità degli uffici giudiziari, l'accesso alla giustizia, la digitalizzazione, la carenza di personale amministrativo. E di questioni da affrontare ce ne sarebbero.

Ce lo conferma proprio oggi, nella giornata di oggi, lo sciopero che hanno indetto i lavoratori precari della giustizia, e ce lo confermano le tragedie che quotidianamente accadono nelle nostre carceri. La riforma non contiene nulla per migliorare la situazione drammatica di sovraffollamento delle carceri. E, allora, dobbiamo chiederci qual è il vero obiettivo della riforma. È davvero una riforma nell'interesse dei cittadini o piuttosto nasconde un mero intento politico di maggiore controllo? Ci è stato detto che questa riforma è necessaria, ma di fatto la riforma Cartabia del 2022 - lo hanno detto in tanti - ha reso il sistema impermeabile, restringendo drasticamente i passaggi tra le funzioni.

Ce lo confermano i numeri e quell'1 per cento di passaggi effettivi. Ecco, noi crediamo invece che tutto questo abbia molto a che fare con il carattere identitario di una norma come quella che proponete. È una riforma di potere che nasce da una concezione del potere come dominio, non come responsabilità. Altro che giustizia più giusta! Lo hanno detto e lo dicono giuristi, penalisti ed accademici - quelli non li citate, non avete scovato le citazioni adatte - che da decenni si occupano di diritto e che non hanno avuto simpatie particolari per il giustizialismo o per derive corporative.

Lo dicono con una preoccupazione fondata, non ideologica. Il pubblico ministero che disegnate sarà sempre più esposto al controllo dell'Esecutivo, e quindi è evidente - è evidente! - che con questa riforma non è la giustizia che volete cambiare, non è la giustizia che volete migliorare, non sono risposte che volete dare ai cittadini e alle disfunzioni che si trovano ad attraversare, ma il rapporto fra i poteri dello Stato.

Questa riforma nasce da un progetto politico che viene da lontano, credo che vada detto. Quindi, oggi siamo in presenza di una visione del sistema istituzionale che prevederà maggiore concentrazione del potere e trasformazione delle istituzioni in strumenti di parte. Il lavoro dei nostri Costituenti è stato esemplare, una costruzione sapiente di equilibrio tra i poteri dello Stato. Equilibrio che state stravolgendo con una responsabilità gravissima, che state stravolgendo per motivi ideologici e per intenti punitivi ben lontani dagli interessi e dai bisogni dei cittadini e delle cittadine del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Perantoni. Ne ha facoltà.

MARIO PERANTONI (M5S). Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi, stiamo esaminando in seconda lettura il disegno di legge governativo costituzionale noto come la separazione delle carriere, che questo Governo e questa maggioranza stanno portando avanti a tappe forzate, imponendo l'approvazione di un testo governativo inemendabile, e quindi sostanzialmente non soggetto ad alcuna critica o discussione o miglioramento. Tutto questo avviene nonostante si tratti di un disegno di legge che stravolge gli equilibri costituzionali tra i poteri dello Stato.

Anzi, io penso che probabilmente sia questa la ragione del rifiuto del confronto, sta proprio in questo, cioè nella volontà del Governo di riscrivere la Costituzione a colpi di maggioranza, calpestando e ignorando quello che dovrebbe essere lo spirito di fondo posto a base non solo di ogni Carta costituzionale, ma anche delle riforme che interessano la Carta costituzionale, e cioè la ricerca della più ampia condivisione possibile su quelle che sono le regole fondamentali di convivenza in uno Stato civile e di diritto.

Questo disegno di legge, invece, è evidentemente uno di quei tasselli che questa destra ha messo in campo per disarticolare la Costituzione repubblicana, democratica e antifascista. Oltre al disegno di legge che stiamo discutendo ed esaminando in quest'Aula, che ha come unica finalità quella di indebolire il potere giudiziario e condurre gradatamente il pubblico ministero sotto l'influenza del Governo, va ricordato il cosiddetto premierato, con il quale si vorrebbe consentire al Governo il controllo sostanziale sul Parlamento e addivenire allo svuotamento delle funzioni del Capo dello Stato, tarpando quindi l'autonomia e la preminenza del potere legislativo su quello esecutivo e svilendo le funzioni di controllo e di garanzia del Presidente della Repubblica.

Ricordo anche la cosiddetta autonomia differenziata, un disegno che è antitetico al principio di unità e indivisibilità della nostra Repubblica e che colpisce al cuore quei principi di solidarietà sociale che sono i collanti e gli ispiratori della nostra Carta costituzionale. E ciò a tacere di altri provvedimenti, provvedimenti ordinari, introduttivi di decine di nuove fattispecie di reato, reati finalizzati alla compressione di diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, quali, ad esempio, la libertà di manifestare pacificamente, di riunirsi pacificamente, ma anche quella di manifestare liberamente il proprio pensiero.

Ciò detto, questo intervento che noi stiamo esaminando ha forse in qualche misura una ragion d'essere, una giustificazione così importante che possa supportare l'esigenza di una tale modifica della Carta costituzionale, di un rischio così elevato di stravolgimento dei rapporti tra poteri dello Stato? Sinceramente, nessuno degli argomenti che avete portato in quest'Aula per sostenere questa vostra iniziativa mi pare che abbia solide basi, mi pare che non ne abbia affatto. Sostenete che sia necessario intervenire per migliorare la giustizia a favore del cittadino.

Questo non è vero, è palese, basta leggere questo disegno di legge per comprendere che non c'è una misura, una, che possa portare un beneficio al quisque de populo. È una riforma che non avrà alcun risvolto pratico positivo nella realtà concreta. Nessun cittadino troverà giovamento da questa riforma e nessun ufficio giudiziario sarà più efficiente. È già stato detto da molti e lo ribadisco anch'io: per migliorare la giustizia ci vogliono investimenti, finanziamenti, assunzioni di personale; non riforme inutili, prive di senso concreto e di ratio pratica.

I cittadini vogliono sapere quanto costa accedere alla giustizia, quanto tempo durano i processi, se ci sarà un magistrato che giudicherà, che gli darà ragione, se ci sarà il funzionario che metterà il timbro che deve mettere. Ma noi sappiamo che la situazione degli uffici giudiziari in tutta Italia è assolutamente drammatica: ci sono carenze di organico, per quanto riguarda i magistrati, superiori alle 1.800 unità; ci sono 15.000 unità di personale amministrativo che devono essere reintegrate; ci sono oltre 7.000 agenti di Polizia penitenziaria che mancano nel quadro organico; gli uffici del giudice di pace sono in gravissima sofferenza.

Insomma, il quadro che emerge è assolutamente drammatico e voi che fate? Voi fate due CSM, voi fate un'Alta Corte di giustizia. Con questo voi pensate, forse, di risolvere i problemi del cittadino?

Nessuno mi ha mai chiesto che fine ha fatto la separazione delle carriere: ma che fanno? Io aspetto questa separazione delle carriere come se non ci fosse un domani. No, no, no! Tutti ci chiedono di avere una sanità che funzioni e che sia degna di questo nome, dei trasporti che funzionino, pensioni dignitose, la sicurezza sul lavoro, un lavoro retribuito dignitosamente (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle): tutte quelle aspettative che la nostra Costituzione dà ai cittadini e che tutela nei confronti dello Stato, ma che voi avete bellamente ignorato. Avete fatto due CSM e l'Alta Corte di giustizia, e risolviamo i problemi.

Questa separazione già c'è nei fatti. L'hanno detto i colleghi che mi hanno preceduto, lo sappiamo benissimo: la riforma Cartabia, se mi è consentito, ha praticamente chiuso il rubinetto che consentiva il travaso dalla magistratura giudicante a quella requirente, se non per una eccezione che è stata assolutamente condivisa nella scorsa legislatura, proprio perché si voleva dare un segnale chiaro sulla separazione delle funzioni, ma evidentemente questo non vi è bastato. Forse non vi bastano neanche i numeri, evidentemente, perché dal 2006 ad oggi, mediamente, sono passati dalla magistratura giudicante alla magistratura requirente meno di 20 magistrati all'anno, e dalla magistratura requirente alla magistratura giudicante una media di 28, 29 magistrati all'anno. Vi risparmio gli altri numeri. Nel 2024 due PM sono passati alla funzione giudicante e 11 giudici sono passati alla funzione requirente. Quindi, mi pare che sia un problema veramente forte, un problema che deve essere affrontato e risolto con una riforma costituzionale che va a intaccare l'equilibrio tra poteri dello Stato.

Questa destra ha posto in cantiere numerosi interventi riguardanti la giustizia, interventi in materia di giustizia sostanziale e giustizia processuale. Uno di questi interventi ha avuto ad oggetto le intercettazioni che, come strumento di ricerca della prova, sono state drasticamente ridimensionate. Ci è stato detto che tale intervento era necessario fondamentalmente per due motivi: il primo, perché i mafiosi non usano più i cellulari, quindi le intercettazioni non ci interessano; poi, perché costano 170 milioni all'anno forse, una cosa del genere. Una grande sensibilità, quindi, per l'erario, per i danari che i cittadini devono sborsare per tenere in piedi la struttura dello Stato. Una sensibilità che invece qua è venuta meno, visto che triplicheremo le spese e i cittadini pagheranno tre volte tanto (almeno) per istituire queste due nuove istituzioni, il CSM requirente e l'Alta Corte di giustizia. Passeremo a spendere, invece che 50 milioni all'anno o giù di lì, 150 milioni all'anno, che però, di fronte ai miliardi che vengono buttati sullo Stretto di Messina, che vengono buttati andando in Albania, che vengono buttati nelle armi per sedicenti e fantasiose esigenze di difesa, non sono proprio assolutamente niente. Cosa vuole che siano 150…

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Perantoni.

È iscritto a parlare, come ultimo intervento, l'onorevole Gianassi. Ne ha facoltà.

FEDERICO GIANASSI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Mi associo alle osservazioni che hanno fatto i tanti colleghi del mio gruppo e delle opposizioni, negli interventi che mi hanno preceduto, per esprimere critiche dure nei confronti di questo intervento normativo costituzionale del Governo.

Innanzitutto sul metodo. Siamo in presenza di una riforma costituzionale che stravolge in quella parte, nei rapporti tra potere politico e magistratura, dentro la definizione della magistratura, le regole che (Commenti)

PRESIDENTE. Colleghi, per favore. Un po' di silenzio.

FEDERICO GIANASSI (PD-IDP). …sono state sapientemente scritte dai Costituenti tantissimi anni fa. E per un intervento così significativo, il Governo ha voluto procedere con un'iniziativa governativa - questo è del tutto legittimo - ma blindando la maggioranza parlamentare e facendo del Parlamento, di fatto, un passacarte.

Oggi è la prima occasione nella quale i parlamentari di maggioranza si sono espressi; al terzo passaggio nel quale non è possibile presentare emendamenti, finalmente, abbiamo ascoltato la voce di alcuni parlamentari di maggioranza: non era mai successo fino ad oggi. Ma è un testo blindato, rispetto al quale il Parlamento è stato supino di fronte al diktat del Governo.

E noi assistiamo, per la prima volta nella storia repubblicana, a una riforma costituzionale che viene approvata senza un intervento modificativo, migliorativo del Parlamento, nemmeno nelle parti rispetto alle quali il Governo stesso ha detto più volte che vi erano le condizioni per introdurre delle modifiche. Non dico su tutto l'impianto della riforma, che noi contestiamo, ma nemmeno su quelle parti rispetto alle quali - penso alla parità di genere nel Consiglio superiore della magistratura - tutte le forze politiche avevano riconosciuto l'esigenza di alcune modifiche.

Ma non c'è solo un problema di metodo: qui c'è una scelta politica della maggioranza e del Governo coerente con…

PRESIDENTE. Colleghi, per favore. Colleghi… Se cortesemente i colleghi possono girarsi verso la Presidenza. Cortesemente, grazie. Prego, onorevole.

FEDERICO GIANASSI (PD-IDP). Dicevo: qui c'è stata una scelta… Può darsi che, se il Sottosegretario provasse a convincere i parlamentari di maggioranza che questa è una pessima riforma… perché, come è stato detto prima, il Sottosegretario che siede nei banchi del Governo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista) - lo dico al Ministro Nordio -, il Sottosegretario che le siede accanto e che lei tante volte ha difeso, ha detto che dare ai pubblici ministeri un proprio CSM è un errore strategico, signor Ministro: glielo dice il suo Sottosegretario.

È un errore così grave che, per l'eterogenesi dei fini, si rivolterà contro, e i PM, prima di divorare i politici, andranno a divorare i giudici. C'è un rischio nel doppio CSM, dice il Sottosegretario Delmastro, signor Ministro: o si va fino in fondo e si porta il pubblico ministero sotto il Governo, sotto l'Esecutivo, come avviene in tanti Paesi, oppure gli si toglie il potere di impulso sulle indagini.

Vede, signor Ministro, è quello che diciamo anche noi, incredibilmente siamo d'accordo: tante volte abbiamo espresso questa critica. Avviene in tutte le parti del mondo nelle quali si è deciso di lavorare sulla separazione delle carriere, che il pubblico ministero sia stato ricondotto sotto il potere esecutivo.

Lei non lo ha scritto esplicitamente nella riforma, non avrebbe potuto farlo. Nella relazioncina introduttiva di una paginetta, ha cercato di giustificarsi e dire che non c'è questo intendimento, ma il Sottosegretario le ha ricordato che sarà l'approdo naturale, come è avvenuto in altre parti del mondo. Perché un pubblico ministero che si trasforma da organo di giustizia in accusatore seriale o viene ricondotto sotto un sistema di regole e controlli - quelli dell'Esecutivo - come avviene in alcuni luoghi, oppure è un soggetto che si muove protetto da un proprio CSM, in assenza di bilanciamenti di potere.

Lei, signor Ministro, non è d'accordo, ma allora avrebbe dovuto spiegarlo al Sottosegretario, perché, evidentemente, non solo non ha convinto le opposizioni, ma non ha convinto nemmeno il Sottosegretario che siede accanto a lei.

L'intendimento è del tutto evidente, al di là di quello che pensa il signor Ministro. Io non penso nemmeno che poi il Ministro abbia un ruolo decisivo in queste dinamiche, abbiamo già assistito ad altre occasioni nelle quali hanno deciso altri al posto del Ministro. Evidentemente, c'è una scelta del Governo, di un Governo di destra, che, coerentemente alle scelte che si fanno anche in altri Paesi, intende attaccare gli organi di autonomia e indipendenza che esistono nelle democrazie. Abbiamo visto che questo è l'atteggiamento che adotta Trump negli Stati Uniti contro i giudici quando esprimono opinioni, posizioni o emettono sentenze che non sono gradite. Lo fa Orbán in Ungheria; lo ha fatto la destra radicale in Polonia, prima di essere sconfitta e lo fa Erdogan in Turchia, dove fa arrestare il sindaco di Istanbul che da mesi è in carcere. Gli organi autonomi e indipendenti sono sgraditi alle destre e bisogna colpirli. Ed è questo il motivo, e lo hanno detto tante volte anche membri del Governo. Lo ha detto il Vicepresidente del Consiglio dei ministri, Matteo Salvini, il quale ha dichiarato che la separazione delle carriere serve per contrastare la magistratura che, su alcuni temi, come, ad esempio, quelli sull'immigrazione, ha adottato decisioni sgradite al Governo, ritenendo sostanzialmente che la magistratura, in un Paese democratico - ed è incredibile pensarlo e ancora peggio dirlo -, debba essere un soggetto che attua il programma del Governo; mentre deve essere assolutamente indifferente rispetto al programma del Governo, ma deve interpretare e applicare la legge, protetta dalle tutele che un organo indipendente deve avere rispetto al volere politico.

Lo avete detto, lo hanno detto membri del Governo, e quindi non basta che il Ministro della Giustizia dica che non è così. È poi una scelta ideologica, perché la destra italiana ha gli occhi rivolti al passato, non riesce a guardare il futuro e interpretarlo, anticiparlo.

È una bandiera vecchia di trent'anni e, nel frattempo, il mondo è cambiato; il giusto processo è entrato in Costituzione e persino la separazione delle carriere con legge ordinaria è stata fatta prima con la riforma Castelli e poi con la riforma Cartabia, ma non basta. Viene omesso, rimosso tutto quello che è successo, perché bisogna realizzare la bandiera ideologica della separazione delle carriere: ideologia pura, furore ideologico, accompagnato da intendimento punitivo. Le giustificazioni che sono state addotte dal Governo e dalla maggioranza non hanno rilevanza e sono infondate. L'esigenza di adottare la separazione delle carriere in riforma costituzionale è un'argomentazione che non regge. La Corte costituzionale aveva già detto che la separazione delle carriere può essere fatta con legge ordinaria.

La volontà era, tramite riforma costituzionale, abbattere il modello del CSM che era stato costituito in Costituzione, perché, sì, in quel caso era necessaria la riforma costituzionale. Non è necessario al processo accusatorio: non esiste un unico modello di processo accusatorio, le garanzie possono essere realizzate in molti modi. Non serve a migliorare le garanzie nel processo, perché in questa riforma nulla c'è scritto rispetto alle garanzie nel processo per gli indagati durante la fase delle indagini preliminari. Niente è scritto e, anzi, abbiamo ragione di ritenere che nel fare del pubblico ministero un accusatore seriale tutto sia teso al raggiungimento della vittoria nello scontro forense, niente migliorerà per le garanzie dell'indagato prima e dell'imputato poi. Fare del processo penale uno scontro, senza possibilità di appelli tra le parti, non aiuterà a raggiungere l'obiettivo delle garanzie nei confronti delle persone che si trovano all'interno del processo. E se qualcuno dice, come voi dite, che già oggi spesso il pubblico ministero si è trasformato in un accusatore seriale, dovremmo riconoscere che quella è una patologia del sistema e, dinanzi alla patologia del sistema, bisogna lavorare per contenerne i difetti e le storture e non fare una riforma costituzionale che istituzionalizza quella patologia, trasformando la natura del pubblico ministero.

E poi, anche l'esigenza della separatezza tra pubblico ministero e giudice, perché vi sarebbero le porte girevoli: abbiamo visto che meno dell'1 per cento dei magistrati cambia la propria funzione, passando dal pubblico ministero a giudice o da giudice a pubblico ministero. E, ripeto, non avete tenuto conto delle modifiche radicali già fatte dal Parlamento nelle precedenti legislature su questo, così come non avete voluto tenere in considerazione i dati che la prassi dei tribunali ci mostra. In gran parte - mi riferisco alla maggioranza delle sentenze di primo grado - si tratta di sentenze di assoluzione nelle quali, evidentemente, il giudice prende le distanze rispetto alle conclusioni del pubblico ministero.

E se poi il tema è garantire una separazione radicale tra le parti, perché, allora, a garanzia dell'imputato, non dividere addirittura anche il giudice di primo grado da quello del secondo grado, visto che il giudice di appello giudica esclusivamente sulla sentenza emessa dal collega? Non è in questo che si realizza la parità delle parti, ma attraverso altri strumenti, ad esempio sulle norme sul processo, sul procedimento, che invece non avete previsto e, quando le avete previste, non toccano certamente questo tema.

Anche l'indebolimento del Consiglio superiore della magistratura rappresenta un errore strategico. C'è la volontà di punire, umiliare l'organo di autogoverno. Il che non significa affatto che l'organo di autogoverno abbia sempre ben lavorato; nessuno può sostenere questo, ma la scelta di sostituire il meccanismo elettivo, previsto per tutte le categorie, previsto anche per la nostra categoria di parlamentari, con il meccanismo del sorteggio è evidentemente un'umiliazione, una stortura. I richiami al nostro ordinamento, nel quale le composizioni degli organi sono scelte mediante sorteggio, sono stati un tentativo che il Ministro Nordio ha fatto anche in quest'Aula, ma sono rarissime eccezioni. Anche le citazioni riferite agli organi giurisdizionali non attengono all'organo di rilievo costituzionale, non organo giurisdizionale, che è il Consiglio superiore della magistratura (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista) … Peraltro…

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Gianassi. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1917-B​)

PRESIDENTE. È stato comunicato, per le vie brevi, alla Presidenza che né i relatori, né il rappresentante del Governo interverranno in sede di replica.

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Gianluca Vinci. Ne ha facoltà.

GIANLUCA VINCI (FDI). Grazie, Presidente. Prima di passare alle dichiarazioni di voto finale, chiedo la convocazione della Conferenza dei presidenti di gruppo per valutare di proseguire l'esame del provvedimento con una seduta fiume fino alla conclusione del provvedimento stesso.

PRESIDENTE. Essendone stata fatta richiesta, la Conferenza dei presidenti di gruppo è immediatamente convocata presso la Biblioteca del Presidente. Pertanto, sospendo la seduta, che riprenderà al termine della riunione della Conferenza dei presidenti di gruppo. La seduta è sospesa.

La seduta, sospesa alle 22,05, è ripresa alle 23,20.

Preavviso di votazioni elettroniche.

PRESIDENTE. La seduta è aperta. Poiché nel corso della seduta potranno avere luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di 5 e 10 minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Come anticipato in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo, pongo in votazione la proposta che la seduta prosegua ininterrottamente fino al voto finale sul disegno di legge costituzionale in materia di ordinamento giurisdizionale, approvato in prima deliberazione dalla Camera e dal Senato.

Come anticipato in quella sede, resta fermo che la votazione finale non avrà in ogni caso luogo prima delle ore 12 di giovedì 18 settembre.

Si riprende la discussione.

PRESIDENTE. Sulla richiesta avanzata di deliberare la seduta continuata (Commenti)… Colleghi, per favore. Sulla richiesta avanzata di deliberare la seduta continuata nei termini indicati, ai sensi dell'articolo 41, comma 1, del Regolamento, ove ne sia fatta richiesta, darò la parola ad un deputato contro e ad un deputato a favore, per non più di cinque minuti ciascuno. Quindi chiedo: chi parla contro? La deputata Braga. E poi chiederò chi parla eventualmente a favore (Il deputato Grimaldi: “Chiediamo uno per gruppo!)”… Applichiamo l'articolo 45 del Regolamento. Intanto, ha chiesto di parlare la deputata Braga. Ne ha facoltà.

CHIARA BRAGA (PD-IDP). Presidente, il voto che stiamo per fare è un ulteriore schiaffo e strappo alla democrazia parlamentare (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra).

Avete fatto questa sera, su questa riforma costituzionale, un'innovazione impensabile: la richiesta di seduta fiume intenzionale, solo per soddisfare le esigenze di agenda di una maggioranza che non è in grado di stare due giorni per votare una riforma costituzionale in Aula (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra). Perché il vero motivo per cui avete portato la discussione della richiesta fiume è semplice: è quello che non avete i numeri per garantire la maggioranza assoluta. Avete la necessità di garantire alla vostra Presidente del Consiglio e ai vostri leader una vetrina domani nelle Marche e non avete nemmeno la volontà e la decenza di dirlo e questo è uno strappo alla democrazia e ai Regolamenti, al modo in cui noi abbiamo sempre utilizzato uno strumento eccezionale, Presidente, come la seduta fiume, che è quella che si utilizza a fronte di provvedimenti in scadenza, di decreti-legge o di una manifesta volontà di ostruzionismo delle forze di opposizione. Non è il caso quello in cui siamo oggi.

Questa è una riforma costituzionale. Non ha nessuna scadenza. Non è uno dei tanti decreti-legge che siete abituati a ingoiarvi senza neanche aprire bocca e non c'è un ostruzionismo delle opposizioni (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra). Nessuno di noi ha iscritto tutti i componenti del proprio gruppo. Abbiamo semplicemente utilizzato il tempo della discussione generale e chiesto di poter fare delle dichiarazioni di voto per parlare qui, nel Parlamento, che è l'Aula più importante di questa istituzione, e spiegare che cosa state facendo attaccando la Costituzione. Non volete consentirci neanche questo per soddisfare le vostre esigenze banali, quelle proprio organizzative. Ma non vi vergognate (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)? State stralciando la Costituzione. Non avete neanche la forza di stare qui due giorni! Non avete neanche la forza di stare qui a svolgere gli interventi, a votare. Avete bisogno di usare questo escamotage, mentre non avete detto nulla sulla richiesta che vi abbiamo fatto oggi di avere la Presidente del Consiglio e il Governo di fronte al dramma che si sta consumando a Gaza (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra). Dovete vergognarvi e noi ne chiediamo conto anche alla Presidenza, Presidente, per avere consentito questa forzatura, aver ammesso che alle 22 del primo giorno in cui si vota una riforma costituzionale venisse convocata una Conferenza dei capigruppo per chiedere una fiume, senza che uno dei capigruppo di maggioranza abbia spiegato le ragioni per avere un voto, una data, un orario di voto certo. Ma state innovando il Regolamento. Vi state scrivendo ancora una volta le leggi, le norme, i regolamenti, a vostro uso e consumo. Però non avete dato nessuna risposta alla richiesta di venire qui a dirci cosa intende fare il Governo per fermare quel massacro a Gaza. Il Ministro Ciriani ci ha preso in giro dicendo che lui apprendeva questa sera la richiesta. Ma noi ci possiamo fidare della Presidenza della Camera oppure no? Ci possiamo fidare quando chiediamo al Presidente di rivolgere al Governo e alla Presidente del Consiglio una richiesta legittima, necessaria, di portare in Parlamento quella discussione?

E non possiamo accettare, Presidente, la presa in giro - la presa in giro - della comunicazione che abbiamo appena letto. Avete spiegato che la decisione di fare il voto finale non prima delle ore 12,00 di giovedì è individuata al fine di dare ai gruppi di opposizione la possibilità di utilizzare tutti i tempi potenzialmente a loro disposizione, come sempre è avvenuto in precedenza in corso di sedute fiume. Mai una seduta fiume è stata fatta per soddisfare i desiderata della maggioranza, mai, mai, Presidente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)! Non prendete in giro noi, non prendete in giro gli italiani, assumetevi la responsabilità delle scelte che fate e fatelo rispettando però la Costituzione e il Regolamento di questa Camera e rispondete alla richiesta nostra e del popolo italiano, che non può accettare un Governo che è espressione di un'ignavia vergognosa nei confronti della tragedia, del massacro che si sta consumando a Gaza.

Noi voteremo “no” a questa richiesta di seduta fiume e continueremo a chiedervi conto delle vostre forzature e chiederemo e lo rappresenteremo anche agli italiani, perché quello che state scrivendo è una pagina bruttissima, un precedente inaccettabile che coinvolge questa maggioranza, ma purtroppo anche questa istituzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ai sensi dell'articolo 45 del Regolamento, do la parola all'onorevole Grimaldi.

MARCO GRIMALDI (AVS). Condividiamo i toni e le parole dure della capogruppo Braga, ma se è possibile, Presidente, questa vicenda è ancora peggio di così e forse andrebbe raccontata tutta, perché non c'è precedente che tenga. E sa perché? Perché non siamo davanti a un decreto, non c'è scadenza e già questo dovrebbe essere un'anomalia. C'è chi nella Conferenza dei presidenti di gruppo ha fatto notare che c'era una riforma costituzionale che aveva il nome di Matteo Renzi come Presidente del Consiglio - lo dico alla collega Boschi -, che abbiamo avversato lì e poi davanti al Paese con un voto a me pare - lo dico, non so se lo ricorderà, io non ero qua -, ma a me sembrava che dai banchi delle opposizioni più o meno facessero così (Il deputato Grimaldi batte una mano sul banco), un gran frastuono.

E sa quanti erano iscritti in quelle discussioni? Ecco io solo le farei notare l'anomalia, perché sa quanti erano iscritti in questa discussione, in queste dichiarazioni finali? Poco meno del 10 per cento dei colleghi delle opposizioni. Allora, di solito - lo spiego per chi non segue i lavori d'Aula -, cosa sarebbe dovuto succedere, visto che siamo davanti a due notturne già convocate? Che domani qualora tutti i gruppi, anzi tutti i colleghi delle opposizioni si fossero iscritti, sapete a che ora saremmo arrivati? Alle 22 di domani sera. E facciamo finta che io sbagli, che ci sia qualche collega in più, anche di maggioranza, a quel punto alle 22,00, alle 23,00, allora quei colleghi che, tornati da Ancona, dal comizio della Presidente del Consiglio - che non viene qua a dare le comunicazioni - e dei due Vice Premier, di cui un Ministro degli Esteri, tutti e tre sul palco di Ancona … se tornati da Ancona qualcuno vuole intervenire e dire: no, vogliamo parlare anche noi, anche noi. Allora lì avreste potuto chiudere con una fiume, dicendo: no, scusate, stavamo in giro per l'Italia a far comizi mentre voi parlavate di Costituzione, adesso vogliamo parlare anche noi. Perché, guardi, i tempi non si tengono, siamo davanti a una follia dal punto di vista istituzionale, uno sbraco a tutta la nostra intelaiatura. E per cosa lo state facendo (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Verdi e Sinistra, Partito Democratico-Italia e Democratica e Progressista e MoVimento 5 Stelle)? Per qualche comizio? Per non rispondere del genocidio di Gaza? No, lo fate perché siete degli arroganti e volete fare così sulla Costituzione, volete fare così con le opposizioni perché le uniche parole dure le fate contro di noi! Non sapete dire niente contro i criminali di guerra! No, l'unica cosa che fate è questa cosa qui, vi dovete vergognare (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Verdi e Sinistra, Partito Democratico-Italia e Democratica e Progressista e MoVimento 5 Stelle)!

E ogni volta che un'altra autorità, che sia internazionale, che sia un magistrato, dice “no, queste non sono le leggi”, sapete cosa dite voi? “Dovete stare zitti e buoni” e quello che stiamo per fare qua è esattamente la vostra idea di democrazia. I giudici alzano la testa: separazione della carriera. È un'ossessione per voi, volete punire e reprimere la democrazia, è questo quello che siete e dovete vergognarvi ed è per questo che vi diremo di no, non solo questa volta (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Verdi e Sinistra, Partito Democratico-Italia e Democratica e Progressista e MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Do la parola, sempre a norma dell'articolo 45 del Regolamento, all'onorevole Riccardo Ricciardi.

RICCARDO RICCIARDI (M5S). Grazie, Presidente. Insomma, la riforma epocale, quella che doveva liberare il Paese dal giogo dei giudici comunisti, quella che finalmente doveva dare, portare l'Italia nella modernità… finalmente, finalmente finire questa guerra tra politica e magistratura ventennale, tutto quello, non si può fare domani perché la maggioranza deve stare nelle Marche (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Cioè tutto questo, tutto questo perché domani dovete mantenervi la regione, perché se perdete quella regione - e potete essere anche sulla via buona di perderla -, chissà cosa succede. Quindi tutta la vostra retorica su questa cosa si frantuma, perché noi abbiamo fatto una proposta insieme alle altre opposizioni in Conferenza dei presidenti di gruppo chiarissima: votiamo domani, diamo tutto il tempo per esprimere le nostre opinioni di fronte a un provvedimento che non è in scadenza, domani sera votiamo. Ma no, no, voi dovete starvene due giorni, due giorni a farvi gli affari vostri, tornare giovedì mattina, tornare giovedì mattina e votate. Quindi la lotta che la maggioranza fa in Parlamento è essere stati qua oggi, rivenire giovedì mattina e mercoledì e giovedì mattina non farsi vedere e tornare all'ora di pranzo. Questo è quello che voi state proponendo al Parlamento.

Poi abbiamo sentito in Conferenza dei presidenti di gruppo delle espressioni del tipo: “noi vi concediamo di parlare”. Noi vi concediamo di parlare? Ma, signor Presidente, qui stiamo arrivando oltre ogni limite della decenza. Abbiamo chiesto di fare una discussione su questa riforma che ha una sua importanza, abbiamo chiesto che venisse la Meloni in Aula a fare delle comunicazioni su quello che sta succedendo a Gaza, ci ritroveremo invece il Parlamento, fermo per due giorni, che giovedì mattina farà un voto dopo non aver fatto sostanzialmente nulla, perché la maggioranza se ne va e se ne sta a fare i comizi. Questo è come trattate le istituzioni e soprattutto come trattate i cittadini, perché noi qui teoricamente saremmo a rappresentare i cittadini, pagati profumatamente per stare qui a lavorare e non andare a fare i comizi in campagna elettorale (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, sempre a norma dell'articolo 45 del Regolamento, la deputata Boschi.

MARIA ELENA BOSCHI (IV-C-RE). Grazie, Presidente. Visto che è stato evocato il precedente delle riforme costituzionali del 2016, guardi, Ministro… mi rivolgo a lei e non mi rivolgo al Ministro Ciriani perché, dopo le dichiarazioni dei giorni scorsi, sinceramente ho poco da dire al Ministro Ciriani, finché non si scuserà con le opposizioni per averci paragonato alle Brigate rosse (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra), quindi mi rivolgo a lei, Ministro Nordio, e non al Ministro Ciriani.

Nel metodo c'è anche il merito e lei lo sa bene, Ministro, non c'è solo la differenza dei tempi di esame e delle dichiarazioni di voto in Aula sulla riforma costituzionale, tra quella che ha proposto lei a sua firma sulla separazione delle carriere, e quella del 2014-2016. In entrambi i casi sono state proposte dal Governo, quindi per me è perfettamente legittimo che il Governo possa proporre una riforma costituzionale. Quello che per me non è comprensibile è come il Governo decida di esautorare del tutto il Parlamento, come è avvenuto solo con la vostra riforma costituzionale, non con la nostra, senza accettare nemmeno una modifica proposta dalla maggioranza o dall'opposizione in nessuna lettura parlamentare, né alla Camera né al Senato. Non paghi di aver blindato, per sua stessa richiesta, questa riforma fin dal primo giorno, adesso venite addirittura a mettere la fiume sulle dichiarazioni di voto per non stare qui venerdì o sabato ad ascoltare le dichiarazioni di voto dei colleghi. Perché questo provvedimento l'avremmo portato alla fine, ci sono soltanto le dichiarazioni di voto da fare, il voto finale. Quando è stata messa la fiume, nella precedente riforma, c'erano emendamenti su emendamenti, ordini del giorno perché era stato fatto un lavoro parlamentare alla Camera e al Senato e c'era un ostruzionismo vero, manifesto, che non c'è in questo caso. Non c'è ostruzionismo. Avete sentito qualcuno bloccare i lavori? Occupare i banchi del Governo? Si tratta semplicemente di dichiarazioni di voto. Almeno questo, almeno ascoltarci, visto che non accogliete nessuna delle nostre modifiche.

Vede, Ministro, io glielo dico perché siamo una forza politica che non è né ideologicamente contrapposta alla sua riforma, né ha fatto mai ostruzionismo su questa riforma, né in Commissione né in Aula, né alla Camera né al Senato. Poi, possiamo avere i nostri motivi di critica su come avete scritto questo testo ma la critica principale è sul metodo che state adottando. Siccome questa è una riforma che poi sarà sottoposta, molto probabilmente, anche al voto dei cittadini con il referendum, continuare con forzature su forzature rispetto alle forze politiche che rappresentano comunque in Parlamento, come opposizione, un pezzo importante del Paese, a mio avviso non vi fa onore perché non c'è nessuna scadenza, non c'è nessuna esigenza di calendario, perché chiuderla giovedì, chiuderla venerdì o chiuderla sabato, anche rispetto al vostro calendario ipotetico - perché avete in mente la scadenza di ottobre per andare a referendum -… sarebbe stato rispettato. È solamente l'ennesimo atto di arroganza e di prepotenza che questa maggioranza e questo Governo stanno attuando di fronte alle opposizioni, di fronte al Parlamento e, guardate, prima o poi ve ne chiederanno conto i cittadini, molto prima di quanto pensiate (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. Quindi, chiedo se c'è qualche collega che intende parlare a favore. Non mi pare che nessuno (Commenti di deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)… colleghi! …non mi pare che nessuno abbia alzato la mano. Passiamo, dunque, alla votazione.

Pongo in votazione, mediante procedimento elettronico senza registrazione di nomi, la proposta che la seduta prosegua ininterrottamente sino alla conclusione dell'esame del disegno di legge costituzionale in materia di ordinamento giurisdizionale, al nostro esame.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione)

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera approva per 88 voti di differenza.

Essendo stata approvata la proposta di seduta fiume nei termini sopraindicati, la seduta stessa proseguirà ininterrottamente sino alla conclusione dell'esame del provvedimento. Resta fermo, come già anticipato (Commenti dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e MoVimento 5 Stelle) in sede di Conferenza dei Presidenti di gruppo - colleghi! - che la votazione finale non avrà in ogni caso luogo prima delle ore 12 di giovedì 18 settembre e che, ove nel corso della seduta non risultino ulteriori iscritti a parlare, verrà dichiarata chiusa la fase delle dichiarazioni di voto e non si procederà alla votazione finale prima di tale ora.

Come è stato altresì convenuto in sede di Conferenza dei Presidenti di gruppo, l'esame del provvedimento verrà sospeso dalle ore 14,45 alle ore 16,15 di domani, mercoledì 17 settembre, al fine di consentire lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata.

La Presidenza, secondo la prassi, si riserva inoltre di stabilire sospensioni di natura tecnica ritenute necessarie. Rammento che, una volta deliberata la seduta continuata, sono da ritenere inammissibili richieste volte a determinare con voto dell'Assemblea sospensioni a vario titolo della seduta stessa, incluse richieste di rinvio a breve termine avanzate ai sensi dell'articolo 99, comma 2, del Regolamento. Passiamo al seguito della discussione, avverto che trattandosi di seconda deliberazione su una proposta di legge costituzionale, a norma del comma 3 dell'articolo 99 del Regolamento, si procederà direttamente alla votazione finale.

(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 1917-B​)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.

Ha chiesto di parlare il deputato Francesco Emilio Borrelli. Ne ha facoltà.

È acceso, è acceso. Non funziona forse? Provi un po'. Provi a parlare… Provi a parlare. No, allora dobbiamo cambiare. Cortesemente, passi a quello affianco, onorevole Borrelli. Attiviamo quello affianco, lo accenda. Lo accenda. Ecco, perfetto.

FRANCESCO EMILIO BORRELLI (AVS). Grazie, Presidente. Ecco, adesso si sente. Presidente, dobbiamo fare una verifica su questi nuovi impianti che abbiamo perché sono molto più difettosi dei precedenti. Allora, vorrei aprire questo mio intervento con una dichiarazione di un magistrato di cui non farò il nome (Commenti)...

PRESIDENTE. Colleghi, per favore, sono iniziati gli interventi. Chi deve uscire, cortesemente, lo faccia in silenzio. Abbia pazienza un attimo, onorevole Borrelli, tanto il tempo è sospeso. Penso che possiamo provare.

FRANCESCO EMILIO BORRELLI (AVS). Grazie, Presidente. Volevo citare l'intervento di un magistrato, di cui non dirò il nome, che dice testualmente: “Cosa accade nei Paesi dove c'è la separazione delle carriere dei magistrati? Accade...” - una sola cosa - “che il pubblico ministero sta sotto l'Esecutivo. Ogni anno il Ministro della Giustizia dà l'indirizzo di quali sono le priorità” e, ad esempio, un Ministro può non ritenere prioritaria la lotta alla mafia, il riciclaggio, i reati finanziari; eppure, questo sta accadendo nel nostro Paese. Qualcuno potrà dire: è importante fare questa riforma costituzionale perché ogni anno, a causa della mancata separazione delle carriere dei magistrati, ci sono problemi incredibili. E io vi do i dati: chi fa il pubblico ministero a Roma, se vuole fare il giudice, deve andare in un'altra regione. Ogni anno, però, solo lo 0,2 per cento - ripeto, lo 0,2 - dei magistrati e dei pubblici ministeri chiede di cambiare le proprie funzioni. È una percentuale così irrisoria tanto da valere la pena fare una riforma costituzionale (Commenti)…?

PRESIDENTE. Colleghi, per cortesia, vi prego, la notte è lunga da passare. Aspetti, aspetti.

FRANCESCO EMILIO BORRELLI (AVS). Mai vista una cosa che funziona così male come questi nuovi microfoni che hanno messo in Parlamento. Presidente, voglio dire una cosa: io ho partecipato a vari consessi nella mia vita, anche meno importanti di questo, però una mancanza di rispetto così grande dell'Esecutivo rispetto alla minoranza non l'ho mai vista (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra). È veramente una cosa che mi lascia perplesso... Continuate a parlare! Facciamo una cosa: parlo quando gli esponenti della maggioranza e del Governo decideranno che possiamo parlare e non fare tutta questa comunella sotto i banchi della Presidenza.

PRESIDENTE. No, no, colleghi! Credo che adesso ci sia lo spazio per parlare, ci proviamo. Onorevole Borrelli.

FRANCESCO EMILIO BORRELLI (AVS). Io posso anche aspettare…

PRESIDENTE. No, no, no…

FRANCESCO EMILIO BORRELLI (AVS). Quello che trovo irrispettoso è che io parlo davanti a persone che mi stanno di spalle. Perdonate, siamo nell'Aula del Parlamento, non in un mercato. Forse qualcuno pensa che le riforme costituzionali siano un mercato. Per me no! È una cosa seria, è notte e io sono rimasto in Aula per esprimere il mio parere. Il mio giudizio può non interessare e lo comprendo, ma come faccio io… Quando non sono interessato e devo fare altre cose, esco dall'Aula. Quest'idea che l'Aula sia un mercato mi dà molto fastidio (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

Allora, Presidente…

PRESIDENTE. Prego.

FRANCESCO EMILIO BORRELLI (AVS). …cercherò di portare avanti, per la terza volta, il mio intervento. Noi non comprendiamo l'esigenza e l'urgenza di aver portato avanti questa riforma costituzionale e vogliamo partire da un elemento: se ci fosse una sola possibilità che questa riforma costituzionale portasse un solo vantaggio ai cittadini, rispetto alla giustizia, noi l'avremmo valutata. La verità è che è soltanto uno scambio che viene fatto all'interno della maggioranza per altre riforme (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra). Il dato di fatto vero è che non è al centro il cittadino che ha necessità di più giustizia, ha necessità di più magistrati, di più giudici, di persone più preparate e su questo noi saremo pronti a confrontarci da ora...

FEDERICO FORNARO (PD-IDP). Presidente, le chiediamo di fare il Presidente. Abbia pazienza!

PRESIDENTE. Mi pare che lo sto facendo. Però, colleghi, colleghi… Colleghi, francamente (Il deputato Fornaro: “Siamo in un'Aula del Parlamento, siamo in dichiarazione di voto sulle riforme costituzionali!”)… Colleghi! Colleghi, per favore. Per favore. Chiedo ai colleghi che ho di fronte cortesemente… Grazie. Onorevole Borrelli, riproviamoci.

FRANCESCO EMILIO BORRELLI (AVS). Non è un uno sgarbo nei miei confronti, è uno sgarbo rispetto all'istituzione. Tra l'altro, siedo nel banco sotto quello dove stava Matteotti e veramente mi lascia molto perplesso l'idea della trasformazione di un Parlamento da luogo dove vi erano persone interessate a cambiare veramente il Paese a quello nel quale c'è chi, anche di fronte a una riforma costituzionale per cui ha chiesto di fare la notturna, si comporta in questo modo nei confronti di altri colleghi. Ed è la quarta volta che vengo interrotto. Mi dispiace, sono profondamente deluso al di là di tutto perché penso sia anche una questione di rispetto. E ulteriormente aggiungo: sembra che questa riforma costituzionale interessi poco e questo svilisce anche il ruolo del Parlamento perché se non siamo coscienti di quello che votiamo diventiamo yes man ed io sono contrario all'idea di essere uno yes man.

Per questo intervengo in quest'Aula con convinzione, anche se sono minoranza, perché io rispetto il Parlamento e il ruolo che svolgo pro tempore in nome dei cittadini. Ed in nome dei cittadini esprimo un parere e se qualcuno non è interessato può non ascoltarlo ma non deve mancare di rispetto, non a me ma all'istituzione che tutti quanti noi rappresentiamo.

Allora, cercherò di portare a termine questo ragionamento. In primis, per noi i problemi della giustizia ci sono e sono importanti, ma l'ultimo dei problemi era quello della separazione delle carriere dello 0,2 per cento dei magistrati e dei giudici. Quello che sta avvenendo non porterà una sola causa ad essere svolta più rapidamente, una sola sentenza ad arrivare prima, un solo cittadino ad avere più giustizia, ed è questa la nostra rabbia. Perché la giustizia ha bisogno di essere riformata ma non c'è bisogno di avere magistrati piegati rispetto all'Esecutivo (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra), perché devono rimanere indipendenti rispetto ad ogni forma di potere. Ed è questa la nostra grande preoccupazione: piegare i magistrati o piegare una parte di essi non significa migliorare la qualità del servizio per i cittadini.

Non ci stanno nuove assunzioni, non ci stanno nuove visioni di come si dovrebbe svolgere la funzione per permettere ai cittadini di avere sentenze più rapide, di avere più uomini e più donne che lavorano in questo settore per permettere di avere quello che loro chiedono sempre, che chiediamo tutti: giustizia rapida, efficiente. Ed invece è un gioco di potere e il gioco di potere ci fa paura. Ci fa paura l'idea che si voglia piegare un pezzo del nostro Paese rispetto all'Esecutivo pro tempore. E guardate che quello che succederà sarà negativo per tutto il nostro Paese e anche per il Parlamento stesso. Non stiamo immaginando un miglioramento delle funzioni della magistratura, non stiamo immaginando di dare un servizio migliore ai cittadini. Stiamo immaginando di mettere una parte della magistratura sotto l'Esecutivo e questo, come ho già detto poc'anzi, non porta alcun miglioramento, anzi porta un ulteriore disservizio. Noi abbiamo cose importanti da fare rispetto alla magistratura e alla giustizia ma avremmo dovuto farlo in accordo con la magistratura stessa e, soprattutto, in una visione di servizio ai cittadini che chiedono di avere riforme, non chiedono di avere magistrati asserviti.

Ed è questo il tema che ci preoccupa maggiormente perché non c'è una visione d'insieme; sembra solo lo scambio che avviene all'interno di una maggioranza. C'è chi cassa questo, chi ha tentato di incassare l'autonomia differenziata ed è andato a sbattere ma, forse, in futuro, potrebbe non sbattere cercando di piegare chi dovrà decidere, cioè le corti. E questo ci fa paura: l'idea che gli uomini e le donne che compongono la magistratura non siano più indipendenti e autonomi.

E questo non significa difendere a prescindere ogni singolo magistrato.

Noi siamo stati i primi a criticare negativamente quando abbiamo visto cose sbagliate. Nella nostra storia, nel nostro DNA, c'è stata una battaglia contro la mala giustizia, come nel caso Tortora, ma questo non significa che nessuno di noi ha mai pensato di piegare i magistrati, ma casomai di contestare chi sbagliava. Invece, in questo caso, si è cercato e si sta cercando di fare un percorso che ci porterà in una direzione molto negativa, non solo per la magistratura stessa, ma per tutti i cittadini. Ed è qui che noi siamo ancora assolutamente non convinti.

Noi ci poniamo un tema: perché questo Governo chiude la prima riforma più importante - quella che è l'autonomia differenziata, l'abbiamo vista, è andata a finire molto male -, come mai la chiude su questo aspetto, sulla magistratura, su un aspetto che riguarda lo 0,2 per cento, attualmente, dei magistrati? Lo fa perché vuole mandare anche un messaggio, un messaggio di forza. Ma non è una forza utilizzata a fin di bene, è una forza utilizzata per piegare chi si ritiene possa essere avversario o si possa mettere di traverso rispetto alle scelte dell'Esecutivo.

Ma guardate che un Paese rimane democratico se i poteri sono bilanciati. Se c'è un eccesso di potere da una parte o dall'altra, il Paese è sbilanciato e quello che succede è sempre negativo. Stiamo vivendo momenti molto difficili per il nostro Paese, a livello nazionale, ma anche a livello internazionale, e la nostra grande preoccupazione è che tutto sentivano, come priorità e necessità, i cittadini, fuorché avere urgentemente questa riforma costituzionale, che fa un po' pendant con l'emergenza rave party.

Il primo atto che abbiamo approvato in Parlamento è stata l'emergenza rave party. I rave party in Italia erano tre o quattro. Abbiamo fatto la corsa per affrontare e per approvare una riforma inutile, proprio come stiamo facendo adesso. Per questo voteremo convintamente “no” (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Alessandro Colucci. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO COLUCCI (NM(N-C-U-I)M-CP). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, signore e signori del Governo, con la separazione delle carriere tra magistratura giudicante e requirente scriviamo una pagina nuova e storica per la giustizia italiana, una pagina che i cittadini attendono da decenni. È bene chiarirlo subito, questa riforma non mette in discussione l'indipendenza della magistratura, a differenza di quanto ho sentito poco fa; rimane un principio cardine, scolpito nella nostra Costituzione, e irrinunciabile presidio di libertà.

Al contrario, ne rafforza le garanzie, separando con chiarezza ruoli e funzioni, che, per troppi anni, sono rimasti intrecciati in un legame ambiguo e fonte di sospetti. La nostra Repubblica, forgiata dai principi della Costituzione del 1948, ha sempre posto al centro la magistratura come garante dell'ordine giuridico e della tutela dei diritti. Tuttavia, il modello attuale, che vede giudici e pubblici ministeri condividere la stessa carriera, lo stesso percorso formativo e, spesso, gli stessi uffici, ha mostrato nel tempo i suoi limiti strutturali.

Questa promiscuità, ereditata da noi da periodi in cui le esigenze erano diverse, rischia di minare l'imparzialità del giudizio, alimentando dubbi e sospetti nella percezione pubblica. Questa riforma nasce dalla consapevolezza che troppo a lungo la giustizia in Italia è stata percepita come un terreno opaco, condizionato da logiche corporative e dinamiche interne che hanno allontanato i tribunali dalla fiducia dei cittadini. Troppo spesso abbiamo assistito a inchieste trasformate in processi mediatici, a carriere costruite nelle stanze delle correnti e a decisioni disciplinari inquinate da equilibri di potere.

Tutto questo ha prodotto sfiducia, disillusione e, talvolta, persino paura. Noi, oggi, con questa riforma diciamo basta. La separazione delle carriere è una riforma di verità e di libertà. Verità perché mette finalmente ognuno al proprio posto: il giudice terzo e imparziale, il pubblico ministero parte del processo e titolare dell'azione penale e la difesa in piena parità. Invece libertà perché restituisce ai cittadini il diritto a un processo davvero equo, senza zone grigie, senza sospetti, senza commistioni.

Con la separazione delle carriere la magistratura viene riconosciuta come un ordine unitario, autonomo e indipendente, ma articolato in due carriere distinte, quella del giudice e quella del pubblico ministero. A ciascuna di esse viene attribuito un proprio Consiglio superiore, presieduto dal Capo dello Stato a garanzia della continuità istituzionale e dell'equilibrio complessivo. Si istituisce, inoltre, un'Alta Corte disciplinare, terzo e imparziale giudice dei comportamenti dei magistrati, composta da figure autorevoli e indipendenti da appartenenze correntizie.

Respingiamo, quindi, il tentativo di rappresentare questa riforma come un atto di ritorsione o di attacco alla magistratura. È una riforma su cui si può essere certamente in dissenso, ma su cui sono concordi tante forze garantiste: il centrodestra, una parte di +Europa, Azione e anche molti magistrati. Anche in questo caso, in questa occasione, voglio ricordare le parole del più autorevole dei magistrati, Giovanni Falcone, quando, rilasciando un'intervista a Pirani di la Repubblica, il 3 ottobre 1991, si esprimeva, in riferimento alla riforma Vassalli e al nuovo codice di procedura penale, con queste parole: “un pubblico ministero (...) rappresenta una parte in causa. E nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere (...) una specie di para-giudice”.

L'ostilità, quindi, alla separazione delle carriere tra pubblici ministeri è ancora più incomprensibile, se si considera che non è certo l'elemento più rivoluzionario contenuto nella riforma della giustizia. Infatti, attualmente, il passaggio tra le due funzioni è consentito una sola volta; quindi polemiche eccessive e certamente strumentali. Con questa legge l'Italia si metta al pari con la maggior parte dei Paesi del mondo. Faccio l'esempio della Spagna, della Francia, dove non solo le carriere sono separate, ma i pubblici ministeri dipendono dal Governo, cosa che in questa riforma non è prevista.

Tutto ciò che viene detto su questo, che ho ascoltato anche poco fa, non corrisponde al vero. Un altro aspetto cruciale riguarda i Consigli superiori. L'esperienza ci ha insegnato quanto il CSM sia stato, negli anni, esposto al rischio di degenerazioni correntizie. Con la riforma, ciascun Consiglio sarà chiamato a occuparsi esclusivamente della propria carriera, riducendo concentrazioni di potere e introducendo meccanismi di sorteggio che renderanno più trasparente la scelta dei componenti. È una scelta di rigore ed equilibrio istituzionale.

Inoltre, altra innovazione è l'Alta Corte disciplinare. Non sarà, quindi, più esercitata la giurisdizione disciplinare dal medesimo Consiglio che decide carriere e trasferimenti, ma da un organo terzo, composto da magistrati di lunga esperienza e da giuristi di riconosciuta autorevolezza. Così si garantisce imparzialità, si spezzano legami di appartenenza e si restituisce credibilità al sistema disciplinare. È inutile negare che il cittadino comune non giudica la giustizia leggendo i manuali di diritto; la giustizia la giudica attraverso l'esperienza quotidiana.

Oggi troppo spesso ha la sensazione che il processo sia squilibrato, che la difesa parta già in svantaggio, che il PM abbia un rapporto privilegiato con chi giudica. Questa percezione mina il patto di fiducia tra istituzioni e popolo. Separare le carriere significa dire ai cittadini: fidatevi, il giudice è davvero indipendente; fidatevi, accusa e difesa sono davvero sullo stesso piano; fidatevi, perché finalmente la giustizia è dalla vostra parte.

Ogni riforma incontra resistenze. Ci sarà chi tenterà di dipingerci come demolitori della Costituzione, ma la verità è che noi siamo i suoi autentici custodi, perché questa riforma non indebolisce i principi fondamentali, li rafforza; non intacca l'obbligatorietà dell'azione penale; non riduce l'autonomia dei magistrati; rende più chiari i ruoli e più trasparenti le regole.

Non solo, è un impegno che abbiamo preso con gli elettori, lo abbiamo preso tutti insieme come centrodestra e che intendiamo onorare con fermezza. Non si tratta di una misura ideologica, ma di un atto di responsabilità verso lo Stato di diritto. Come forza di maggioranza, sosteniamo convintamente questa riforma, perché crediamo che una giustizia efficiente sia il presupposto per una società più giusta e prospera, dove il cittadino si sente protetto e non oppresso da un apparato inefficiente, oltre ad essere fondamentale da un punto di vista della competitività del Paese per sburocratizzare e per attrarre investimenti esteri.

Colleghi, la giustizia è il cuore della democrazia. Se i cittadini non hanno fiducia nei tribunali, viene meno il patto che lega popolo e istituzioni. Questa riforma restituisce alla giustizia il volto della trasparenza, della terzietà e dell'equilibrio. Non perdiamo l'occasione di restituire dignità alla giustizia, autorevolezza alla magistratura e fiducia ai cittadini. Questa riforma non tocca i principi, li rafforza; non indebolisce la giustizia, la rende più credibile; non divide, ma chiarisce. Per tutti questi motivi, il nostro gruppo la sostiene con convinzione. Troppo spesso questa riforma non è, come tante altre, esclusa da contestazioni che dividono, non entrando sufficientemente nel merito, e ci si pone per opporsi.

Crediamo che non sia l'atteggiamento giusto per confrontarsi su una questione costituzionale fondamentale che riguarda la vita di tutti i cittadini. Crediamo che sia un percorso importante che ha fatto questa maggioranza e che sia l'inizio di un importante percorso di riforma di tutta la giustizia, di cui questa maggioranza prenderà merito, ma crediamo che poi, nel Paese, i cittadini riconosceranno il grande valore che abbiamo portato avanti (Applausi dei deputati dei gruppi Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare) e Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Alfonso Colucci. Ne ha facoltà.

ALFONSO COLUCCI (M5S). Grazie, Presidente. La separazione delle carriere, ma diamo il giusto nome: è la resa dei conti del centrodestra contro i giudici. Tra le peggiori dichiarazioni di Silvio Berlusconi da Presidente del Consiglio, primeggia questa del 2003: “Questi giudici sono doppiamente matti! Per prima cosa, perché lo sono politicamente, e secondo sono matti comunque. Per fare quel lavoro devi essere mentalmente disturbato, devi avere delle turbe psichiche. Se fanno quel lavoro è perché sono antropologicamente diversi dal resto della razza umana”.

Con la riforma costituzionale della separazione delle carriere la destra, dopo 30 anni di guerra ai giudici, chiama la magistratura al regolamento dei conti finale. Esprime così profondo disprezzo delle leggi, del controllo di legalità, del principio stesso di legalità. Ebbene, vi ricordo che avere vinto le elezioni non vuol dire avere pieni poteri, né sentirsi al di sopra delle leggi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), né avere carta bianca.

Il risultato elettorale non è uno scudo dai processi, non lo è per il Sottosegretario Delmastro, condannato in primo grado per rivelazione di notizie d'ufficio coperte da segreto (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), non lo è per la Ministra Santanchè a processo per il crack Visibilia e per truffa aggravata ai danni dell'INPS in relazione all'utilizzo dei fondi COVID. Non è uno scudo per il Ministro dell'Interno Piantedosi, per il Ministro della Giustizia Nordio, per il Sottosegretario di Stato Mantovano, che fuggono dai processi con l'immunità parlamentare per i reati loro contestati dal Tribunale dei ministri per il rimpatrio del generale Almasri (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Giorgia Meloni, giustizialista con gli avversari, ma supergarantista, anzi, direi mansueta, docile, con i suoi amichetti. Qual è il messaggio del centrodestra? Abbiamo vinto le elezioni, dunque facciamo quello che vogliamo. Perché questa riforma costituzionale spezza l'unitaria cultura della giurisdizione, caposaldo dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura. È il primo passo per mettere i pubblici ministeri sotto la direzione e sotto il controllo dell'Esecutivo, della politica.

Così domani saranno sufficienti leggi ordinarie che sottopongano l'esercizio dell'azione penale al controllo del Governo. Sarà sufficiente modificare il codice di procedura penale, trasferire i poteri di direzione delle indagini dai pubblici ministeri alle Forze di Polizia che dipendono dal Governo, e il gioco sarà fatto: la magistratura requirente, quella che fa le indagini, starà al guinzaglio del Governo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) e nessuno potrà più disturbare i potenti di turno.

Sostenete che chi accusa deve stare lontano da chi giudica, sarei d'accordo, ma questa vostra riforma non serve a questo. Se l'esigenza fosse davvero questa, perché, vi chiedo, non separate il giudice di primo grado dal giudice d'appello e poi dal giudice di Cassazione e poi dal giudice del riesame? La verità è che volete mani libere, non volete essere disturbati nell'esercizio del vostro potere (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), e per raggiungere l'obiettivo siete disposti a tutto.

Siete pronti ad inventarvi uno slogan, la separazione delle carriere, che è falso. Perché ben sapete che, già oggi, la carriera del pubblico ministero e quella del giudice sono separate. Siete pronti a mentire ai cittadini, giurando che manterrete l'indipendenza della magistratura. Siete addirittura disposti a dire che la riforma serve per una giustizia più giusta. Ma quale giustizia più giusta, questa riforma non risolve neanche uno dei problemi dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)! Non accelera i processi, non rende più trasparenti le decisioni e non equipara la posizione processuale dell'accusa con quella della difesa.

Nessun beneficio per il cittadino comune, che si troverà di fronte a un superpoliziotto che potrà perseguire i reati della gente comune, ma dovrà tralasciare quelli della casta dei potenti. Create altri organi: avremo non più uno, bensì due Consigli superiori della magistratura, e un'Alta Corte, con aggravio di costi e di burocrazia. Scegliete i componenti togati del CSM con il sorteggio, che non è certo il metodo migliore per scegliere i più bravi e motivati, e con buona pace anche per la parità di genere.

Le vere inconfessabili ragioni politiche di questa riforma non sono, quindi, quelle formalistiche, espresse nella relazione di accompagnamento, ma quelle ben più gravi e sostanziali esternate apertamente dal 1994 ad oggi dal centrodestra italiano, ragioni che riassumete dentro questi slogan: “uso politico della giustizia”, “giustizia ad orologeria” e amenità di questo tipo. Come se le condanne di Silvio Berlusconi, di Marcello Dell'Utri, di Cesare Previti, di Roberto Formigoni, di Denis Verdini - per citarne solo alcuni - fossero il frutto non già del rigoroso accertamento giudiziario dei fatti e delle responsabilità, ma di un fantomatico disegno eversivo della magistratura di sinistra.

Eh già, le cosiddette “toghe rosse”, un'altra amenità. Diciamolo, Presidente, una volta per tutte: condanne definitive per frode fiscale, mafia, corruzione, bancarotta fraudolenta non sono persecuzioni inventate, sono reati conclamati (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). E quindi oggi vi fate forti dei vostri numeri in Parlamento per azzoppare il controllo di legalità, chiedendo alla magistratura di pagare il conto di tante inchieste, da Mani Pulite fino ad oggi, per avere osato tanto. Ma c'è di più, c'è molto di più. Il vostro grosso problema non è sottrarre al controllo di legalità solo il presente, ma anche il passato.

E qui veniamo a un altro punto focale: chissà se la separazione delle carriere non vi serva ad impedire che venga accertato il possibile collegamento tra le stragi neofasciste degli anni Settanta fino alle stragi di mafia degli anni 1992 e 1993 (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) e gli interessi politici e imprenditoriali tra Palermo e Milano, proprio nel momento storico della discesa in campo di Berlusconi (Commenti dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE) e della nascita del centrodestra per come lo conosciamo oggi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Voi vorreste ridurne la ricostruzione a meri interessi economici, mafiosi, legati agli appalti. Vorreste che la politica ne sia lasciata fuori, così come in Commissione antimafia. Non è forse vero? Avete respinto tutte - e dico tutte - le nostre proposte, i nostri emendamenti.

È una riforma costituzionale blindata dal Governo e basterebbe questo a chiarire l'anomalia costituzionale del vostro agire. E domani la Camera sarà chiusa, perché voi preferite la vostra campagna elettorale nelle Marche (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) all'esame di un provvedimento così importante come questo che è costituzionale.

Ma dopo aver approvato in seconda lettura questa riforma, la parola finalmente spetterà ai cittadini. Dovrete andare a referendum confermativo costituzionale e lì troverete noi. Ci troverete uniti e forti nelle piazze, con la gente, nelle università, nei convegni per spiegare le ragioni del “no” alla separazione delle carriere (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Noi non ci arrendiamo al declino morale, economico, sociale nel quale state trascinando il Paese. Noi combatteremo fino alla fine per dire “no” a questa riforma e, con essa, a questa maggioranza di destra che sta facendo solo danno al Paese.

L'Italia ha bisogno di legalità e non di una classe dirigente che pensa solo ai propri interessi. Noi non siamo con Berlusconi né con Dell'Utri né con Previti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Noi siamo con Giovanni Falcone, con Paolo Borsellino, con Rocco Chinnici, Antonino Saetta, Rosario Livatino, Emilio Alessandrini, Vittorio Occorsio, Antonino Scopelliti e tanti altri magistrati, eroi della giustizia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle – I deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle si levano in piedi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Gentile. Ne ha facoltà.

ANDREA GENTILE (FI-PPE). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, Vice Ministro Sisto, Ministro Ciriani, la questione giustizia oggi in Italia: parlo della questione giustizia perché, a sentire gli interventi che mi hanno preceduto, sembrava di essere non in un'Aula parlamentare, ma a Zelig, al circo Togni o in qualche altra trasmissione televisiva, magari, degli anni Ottanta, magari un Drive in.

Riporto e vorrei riportare, assieme ai colleghi del mio gruppo, la discussione al tema centrale di oggi: la riforma della separazione delle carriere. E vorrei parlare della questione giustizia, perché la giustizia, sì, è una questione fondamentale, un problema serio per il Paese. Perché, come ho avuto modo di ribadire questa mattina, anche in sede di discussione generale, alla giustizia sono legate le sorti dello Stato di diritto e dalla giustizia dipende la nostra stessa democrazia…

ANTONINO IARIA (M5S). Però, non puoi parlare di giustizia!

PRESIDENTE. Colleghi, no, no. Colleghi, per favore, no! No, collega Iaria, la smetta. Non si fa, basta. Prego. No, no, prosegua, prosegua.

ANDREA GENTILE (FI-PPE). Presidente, non ho sentito…

PRESIDENTE. Prosegua. La prego.

ANDREA GENTILE (FI-PPE). Ci sono delle mosche in Aula forse (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE e di deputati del gruppo Fratelli d'Italia)?

PRESIDENTE. La prego, prosegua.

ANDREA GENTILE (FI-PPE). Dicevo che, in questo senso, discutere di separazione delle carriere tra magistratura requirente e magistratura giudicante significa oggi affrontare un tema che riguarda la qualità della nostra democrazia e la fiducia dei cittadini nell'istituzione giustizia. Si tratta di una riforma che tocca il cuore stesso dell'architettura costituzionale del nostro Paese e che per questo ha suscitato un dibattito molto rilevante.

Ma non si tratta, come è stato osservato, di un dibattito ideologico, non si tratta di spaccare gli equilibri dei poteri dello Stato, non si tratta - ho sentito anche questo - di manomettere la Carta costituzionale o di chiedere impunità o altre cose simili. È bene fare un'operazione chiarezza, è bene fare un'operazione verità ed è bene anche dipingere il quadro del nostro Paese per quello che è. Per questo dobbiamo dirci la verità e dobbiamo dirlo a chiare lettere in quest'Aula proprio partendo dai numeri, perché i numeri sono i numeri. Capisco che qualcuno faccia fatica ad accettarli, ma i numeri sono numeri: incontestabili, veritieri e certi.

Dal 1992 ad oggi, più di 30.000 persone sono state risarcite dallo Stato perché arrestate ingiustamente; oltre il 50 per cento dei processi di primo grado finisce con l'assoluzione; più del 40 per cento delle impugnazioni si conclude con la riforma totale o parziale della sentenza di primo grado. Oggi assistiamo il più delle volte ad un processo capovolto e focalizzato sull'accusa e sulla fase cautelare e non sulla fase di emissione della sentenza.

Rileva ancora la lentezza dei processi non solo nel settore civile, ma anche in quello penale e, per quanto riguarda i diritti civili, si assiste troppo spesso alla violazione dell'articolo 15 della nostra Costituzione, ossia il diritto alla segretezza delle conversazioni tra cittadini, conversazioni che non dovrebbero essere divulgate alla pubblica opinione come purtroppo spesso accade.

Ho voluto fornire questi esempi, taluni esempi di degenerazione del nostro sistema giudiziario, proprio per spiegare quello che Forza Italia chiede da sempre, che è quello che molti chiedono, ovvero che sia assicurata la piena autonomia e terzietà del giudice, la cui azione deve essere ispirata all'applicazione della legge e non al perseguimento di forme di giustizia sostanziale; che sia garantita la parità delle parti nel procedimento mediante quel regime di separazione fra il ruolo di chi giudica e il ruolo di chi accusa che è proprio di tutti gli ordinamenti giudiziari democratici; che non siano consentite incriminazioni o, peggio ancora, condanne in base a interpretazioni estensive, analogiche o non letterali e sentenze soggettive e politicamente orientate. Insomma, Forza Italia chiede da anni un giusto processo e una giustizia giusta. Ebbene, finalmente, dopo oltre 30 anni, tutto ciò potrà diventare realtà.

Mi soffermo su quello che è il cuore della riforma e quindi sulla separazione e la netta distinzione tra carriera requirente e carriera giudicante, facendo sì che le carriere di queste due tipologie di magistrati siano completamente distinte. Ebbene, non si può non osservare però come tutto questo, come l'attuale configurazione dell'ordinamento giudiziario risponda a un contesto storico diverso nel quale si riteneva che la comunanza rappresentasse un presidio di indipendenza.

Nel corso del tempo però l'evoluzione del processo penale, a partire dalla riforma del 1988, ha trasformato completamente il quadro di riferimento. Ed è la stessa introduzione del modello accusatorio, fondato sulla distinzione tra giudice e accusatore, che ha reso plasticamente evidente la necessità di una modifica dell'assetto ordinamentale. Parlo di assetto ordinamentale e non funzionale. E questo percorso poi ha trovato un coronamento con la riforma dell'articolo 111 della nostra Costituzione che prevede espressamente un giudice terzo, indipendente e imparziale con l'indicazione di un contraddittorio tra accusa e difesa in condizioni di parità, prerogativa che anche la Corte dei diritti dell'uomo ci impone di preservare.

Ecco perché oggi alla luce di queste previsioni, cioè del codice di procedura penale, del rito accusatorio e del dettato costituzionale, chi accusa e chi giudica non può più appartenere alla stessa logica di carriera senza generare, se non un'effettiva commistione, quantomeno una forte vicinanza culturale e istituzionale che rischia di minare l'imparzialità del processo e la conseguente fiducia dei cittadini verso la macchina della giustizia.

Separare le carriere dunque significa rafforzare l'equilibrio del processo penale. Il giudice deve essere terzo non solo per norma, ma anche per cultura istituzionale e ordinamentale. Il pubblico ministero deve esercitare l'azione penale con indipendenza senza mai confondersi con chi è chiamato a decidere.

Ecco perché il provvedimento in questione disciplina l'istituzione della formazione di due differenti CSM, quello della magistratura giudicante e quello della magistratura requirente, e perché il provvedimento prevede che tutti i membri del CSM siano nominati a sorteggio. L'introduzione di questo meccanismo, più volte criticato, invece rappresenta, a nostro avviso, un importante strumento di contrasto alla logica delle correnti, spesso al centro di pesanti scontri e spartizioni. Tutto questo, unitamente alla previsione dell'Alta Corte disciplinare, chiamata ad amministrare la giurisdizione disciplinare nei confronti dei magistrati, potrà chiudere il cerchio.

Votare, dunque, a favore di questo provvedimento significa agire in ossequio al codice di procedura penale e al dettato costituzionale e attualizzare i principi costituzionali e processuali alla luce delle esigenze moderne, senza stravolgere, ma, anzi, consolidando quelle che sono le garanzie di indipendenza e imparzialità della giurisdizione.

Abbiamo il dovere di dissipare quei dubbi di sistema che nascono dalla continuità dei ruoli e abbiamo il dovere - mi sia consentito, Presidente - di riaffermare il primato della politica, perché riteniamo che sia un dovere porre un argine a quegli squilibri che si sono consolidati nel corso degli anni e che non corrispondono a una fisiologica distribuzione tra i poteri dello Stato, tenendo bene a mente gli assetti fondamentali del nostro ordinamento secondo cui le leggi le scrive il Parlamento, la magistratura le applica e il cittadino le osserva (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE).

E non ci si venga a dire che questa riforma è un attacco alla magistratura, perché è un atto di rispetto verso la magistratura. È un modo per rafforzarne l'autorevolezza, perché un giudice sarà percepito in maniera più chiara e trasparente se, come terzo, sarà avulso dalle logiche di accusa. Non è una riforma contro la magistratura, è una legittima prerogativa in difesa dell'indipendenza dei giudici, dello Stato di diritto, dei diritti e della libertà dei cittadini, tenendo a mente un principio essenziale: quello della presunzione di innocenza. Non possiamo consentire che la potestà punitiva dello Stato possa schiacciare le garanzie dei cittadini a favore dell'accusa e non del processo, ed è nostro dovere riportare il processo alla sua fisiologia naturale e porre un rimedio agli abusi che, per troppi anni, sono stati perpetrati da una minoritaria parte della magistratura nel nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE).

Quello di oggi rappresenta, dunque, un passaggio epocale, un passaggio atteso da decenni, che vuole restituire credibilità e imparzialità al sistema giudiziario. Una battaglia (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE)

PRESIDENTE. Grazie onorevole, il tempo è terminato.

È iscritto a parlare l'onorevole Ottaviani. Ne ha facoltà.

NICOLA OTTAVIANI (LEGA). Grazie, Presidente. In ragione della nuova organizzazione dei lavori d'Aula e, quindi, in ragione del fatto che, in realtà, dobbiamo limitare il nostro intervento, in questa sede, che è quella della dichiarazione di voto, non posso non ricollegarmi a quella che è stata, invece, la prima parte del nostro intervento, che ha rievocato quello che noi abbiamo definito come il fenomeno dell'esegesi di quello che effettivamente sta avvenendo, ossia quel libello particolare che oggi viene tanto vituperato e agognato da parte della minoranza, ma che, in realtà, è riconducibile a uno di quei personaggi che per anni hanno dato le carte proprio all'interno di quel CSM e, soprattutto, dell'ANM, che tanto continuano oggi ad osteggiare questo primo tassello della grande riforma della giustizia.

Lo ribadiamo: qui non stiamo parlando di una fase ultimativa, ma di una fase essenziale, propedeutica a tutta una serie di altre riforme che daranno piena attuazione a quelli che sono i principi di rango costituzionale, che vengono soltanto attualizzati, ma che rimangono parte integrante di quel dettato costituzionale del 1948 al quale credo tutta l'Assemblea ancora oggi voglia rifarsi.

E, allora, si parlava prima del libro, del libello Lobby e logge. Ebbene, in quel libello - purtroppo per alcuni e fortunatamente, invece, per altri - sempre il soggetto che per tanti anni è stato preso come punto di riferimento, il dottor Palamara - che poi, invece, è stato di fatto defenestrato da quella sinistra che probabilmente per anni lo ha portato avanti -, che cosa scrive relativamente al caso Morisi? Scrive: “Quando una notizia risale la scala gerarchica, a ogni tappa c'è un rischio di fuga di notizie, casuale o voluto, perché a ogni tappa ci sono in agguato i servizi, le lobby politiche ed economiche, ognuna delle quali ha i propri giornalisti di riferimento”. Palamara, quindi, dice che qualcuno che conosceva i fatti si sarebbe accorto del ruolo di Morisi - la cui posizione, è bene ricordarlo, poi venne archiviata dalla magistratura inquirente - e del fatto - queste sono le testuali parole di Palamara - che “colpire lui significava indebolire Salvini”.

E come facciamo noi a dire che non c'è la necessità di un quid novi, di qualche cosa di nuovo sotto il punto di vista anche della riorganizzazione delle competenze e, soprattutto, delle carriere tra magistratura requirente e magistratura giudicante? Per poi concludere - diceva sempre Palamara - con quello che è stato l'avviso di garanzia a Berlusconi. In una sorta di duetto all'interno del libro - uno scambio tra lui e Sallusti -, Palamara dice, sostanzialmente, a Sallusti di sapere che lui era stato “avvertito in modo discreto che di lì a poco” - quando Sallusti collaborava con il Corriere della Sera nel 1994 - “avrebbero perquisito casa sua in cerca della fotocopia e di alcuni nastri di registrazione, da cui sarebbe stato possibile, ammesso di averne la volontà, risalire al procuratore o al carabiniere infedele”, che quei nastri li aveva fatti avere. E poi: “Avvertimento che le permise, caro Sallusti” - dice Palamara, in questa sorta di duetto - “di disfarsi di quel materiale, che uscì di casa nella borsetta di sua moglie e finì poi bruciato nel cesso” - queste sono le espressioni che riferisce lui stesso - “del di lei parrucchiere”. Sallusti risponde: “Non confermo e non smentisco. So per certo che di quell'avviso di garanzia fu informato anche l'allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro”.

E, allora, a quei quattro studenti a cui facevamo riferimento prima, nel corso del nostro intervento, studenti di diritto pubblico e diritto costituzionale, che sono convinti di abbeverarsi a quella che è la fonte della separazione dei poteri, che tipo di spiegazione noi dovremmo dare rispetto a questa lettura che ci viene data in modo, potremmo dire, originale, ma soprattutto autentico, da parte del dottor Palamara?

E, quando si fa riferimento a quella che sarebbe una riforma che non ha senso di essere, ossia quella del sorteggio, si dice: “ma viene depauperato quello che è il profilo del merito”. Il problema è che non è possibile fare un paragone con i mandati elettivi, perché non si può dire che, allora, anche i sindaci o i parlamentari li prendiamo per sorteggio. Sindaci, amministratori pubblici, parlamentari e quant'altro sono soggetti che acquisiscono una carica in virtù di un profilo democratico, in virtù di un profilo elettivo. Qui si sta parlando, invece, di ricoprire incarichi di controllo e, soprattutto, di sindacato di giustizia, laddove, forse, potrebbe essere non l'unico dei metodi percorribili, ma certo, sotto il punto di vista statistico, il sorteggio evita che ci sia la prevalenza dell'una corrente rispetto all'altra; quelle stesse correnti che, probabilmente, non saranno mai eliminate all'interno del sistema.

E allora, forse, il problema è quello dell'Alta Corte disciplinare? Questa è la domanda che ci si può porre. E perché si dovrebbe aver paura di una Corte indipendente, di una Corte che fa il proprio mestiere e, soprattutto, è avulsa da qualsiasi tipo di condizionamento? Prima si faceva riferimento, da parte del gruppo del PD, all'interpretazione autentica che il dottor Violante avrebbe dato nel corso dell'audizione del 6 marzo 2025 innanzi alla I Commissione (Affari costituzionali). Bene, se il dottor Violante - e conosciamo la sua storia, che non è certo una storia di centrodestra - afferma che alla fine di questa riforma si potrebbe creare una preoccupazione per una corporazione illiberale, e si riferisce alla magistratura inquirente, beh, se lui l'ha conosciuta bene e siamo certi che, naturalmente, stiamo parlando del peritus peritorum su questa materia, la preoccupazione cresce da parte di chi in questo momento sta cercando di porre un freno ad una patologia che riguarda alcuni gangli, alcuni elementi del sistema e non di certo la stragrande maggioranza dei magistrati, che, anche all'interno di quello che è il profilo della magistratura inquirente, sono perbene.

Sono onesti e si espongono quotidianamente a quello che è il servizio pubblico che portano avanti (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier), mostrando anche capacità molto importanti in termini di assunzioni di responsabilità e di coraggio. E allora, prima si faceva riferimento ad altri commentatori e purtroppo non avrei mai pensato di dover indicare tra i commentatori il dottor Di Pietro. Lo stesso dottor Di Pietro, ascoltato in più di qualche sede di carattere istituzionale, sempre nel marzo del 2025, ha tirato fuori questo tipo di aforisma: “qui si parla di asservimento del potere giudiziario rispetto all'Esecutivo. E dov'è?”.

Ecco, con la sua particolare semplicità, con la sua plastica semplicità, se lui stesso, che è stato utilizzato e che è stato comunque indicato come l'antisistema dal 1992 in poi, arriva a dire che non c'è nessun tipo di asservimento, allora, signor Presidente, lei, che dirige l'Assemblea, potremmo dire, dato che abbiamo sentito parlare a piene mani e a più ore di questo, che sarebbe il profilo della prospettazione di un Esecutivo che riesce a governare addirittura l'azione penale, che siamo davanti a un articolo 479 del codice penale, se non fossimo tutti quanti liberi nelle nostre espressioni.

A che cosa si riferisce l'articolo 479? A un falso ideologico, perché abbiamo assistito per ore intere a questa pantomima, a questa sorta di mantra “ah, ma qui si vuole addomesticare la giustizia, soprattutto quella di carattere inquirente”. E allora, se si smentiscono quegli stessi personaggi che, all'interno del centrosinistra, per anni invece erano dall'altra parte della barricata, c'è qualche cosa che non va. Se addirittura si smentisce lo stesso Palamara, allora potremmo dire a chi blocca la riforma della giustizia: confessi.

Ecco, si confessi come in un'aula, non parlamentare, ma di giustizia, che vuole far sopravvivere Palamara a se stesso, nonostante Palamara abbia fatto abiura di se stesso. Quindi siamo davanti, signor Presidente, a un chiaro fenomeno di sdoppiamento della personalità politica. E dato che invece il centrodestra e la Lega hanno coerenza, identità e soprattutto normale personalità politica, è questo il motivo per il quale assecondiamo e votiamo convintamente a favore di questa riforma (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Bonafe'. Ne ha facoltà.

SIMONA BONAFE' (PD-IDP). Grazie, Presidente. Mah, lo dico molto sinceramente, Presidente: noi, dopo avere blindato questa riforma in Commissione, pensavamo di non dover vedere altre forzature. E invece, siccome la maggioranza non è in grado di garantire, su una riforma costituzionale sulla giustizia, la presenza in Aula, ha fissato una seduta fiume, chiudendo il Parlamento. Anche perché è evidente a tutti che avete necessità di dover andare a fare il comizio elettorale nelle Marche, e quindi viene prima la vostra campagna elettorale del bene dei cittadini italiani (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

E peraltro lo avete fatto subito, all'inizio delle dichiarazioni di voto, senza che l'opposizione stesse facendo alcun tipo di ostruzionismo, e non su un decreto qualsiasi, ma su una riforma costituzionale, peraltro su una riforma sulla giustizia. Insomma, per noi tutto questo è assolutamente vergognoso, è inaccettabile, è una mortificazione non solo del lavoro dell'opposizione ma anche del lavoro di questa maggioranza, del lavoro del Parlamento intero.

Come è inaccettabile che una modifica della Costituzione, che riguarda le regole e i principi che tengono insieme l'intera società, la convivenza civile, la convivenza sociale nel nostro Paese, che una riforma della Carta costituzionale venga fatta a colpi di maggioranza, senza il minimo coinvolgimento delle opposizioni e per una mera spartizione tra forze di maggioranza, dove ognuno porta a casa il proprio dividendo. Ma, appunto, qui non stiamo parlando di una riforma qualsiasi, stiamo parlando di una riforma che ha a che fare con il bene più prezioso che ogni cittadino ha, che è la libertà personale.

Ora, Presidente, non veniteci a dire, come è stato fatto questa mattina in Commissione, che c'è stata un'istruttoria dettagliata di questa riforma, perché, è vero, le audizioni ci sono state, hanno interessato giuristi, hanno interessato studiosi. E però va detto, il 99 per cento di queste persone che sono state audite in Commissione ha mostrato delle perplessità su questa riforma, che noi avevamo raccolto con emendamenti, che però sono stati puntualmente bocciati, al punto tale che, come dicevo prima, è la prima volta che una riforma costituzionale, così come esce dal Consiglio dei ministri, uscirà molto probabilmente dal Parlamento.

Questa, ripeto, è una forzatura che non possiamo accettare. Non venite a parlarci poi di separazione delle carriere, perché lo sapete benissimo anche voi che qui non stiamo parlando di una riforma che ha a che fare con la separazione delle carriere, perché la separazione è già stata fatta. È stata fatta dalla riforma Cartabia e i numeri testimoniano molto chiaramente che quella riforma ha funzionato, perché oggi meno dell'1 per cento della magistratura passa dalla funzione requirente alla funzione giudicante e viceversa. E non solo.

Noi siamo qui anche a contestare come, in nome di una maggior terzietà, voi state proponendo questa riforma, perché anche qui sono i numeri a smentirvi e le statistiche dicono che già oggi, in più del 40 per cento dei casi, le decisioni giudiziarie non confermano le ipotesi accusatorie. C'è un altro tema sul quale noi non accettiamo lezioni da questa maggioranza, ed è il fatto che voi ci siate venuti a dire che questa riforma ha a che fare con il garantismo.

Non accettiamo lezioni da parte di chi ha approvato un decreto Sicurezza che manda in carcere le donne con i bambini piccoli, che aumenta le pene e che non fa altro che aumentare i reati (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Ora, qui sì stiamo parlando non di giustizia, ma di propaganda, e questa la sapete fare molto bene, perché avete detto più volte che questa riforma migliora il funzionamento della giustizia. Noi non abbiamo capito, durante i lavori di Commissione, e continuiamo a non capire come possa l'istituzione di due CSM e di un'Alta Corte migliorare di per sé il funzionamento della giustizia, che invece avrebbe bisogno, sì, di altre riforme. Avrebbe bisogno, per esempio, di rafforzare le garanzie di tutela del cittadino nel processo; avrebbe bisogno, sì, di un giusto processo; avrebbe bisogno di una riduzione dei tempi delle sentenze, perché in questo Paese ci vogliono anni prima che i cittadini possano avere una sentenza; cittadini che vivono per anni con il peso della colpevolezza sulle spalle, che in molti casi è uno stigma sociale.

E non solo, abbiamo sempre detto che ci voleva una riforma che, per esempio, attuasse quello che è il Piano nazionale di ripresa e resilienza fino in fondo, con l'avvio del processo telematico. Tutto questo non è stato fatto, perché l'obiettivo vero di questa riforma non è migliorare la giustizia, come avete detto, ma è la volontà di indebolire l'azione della magistratura, indebolendo l'organo di autonomia e di indipendenza, che è il Consiglio superiore della magistratura.

Non solo, avete detto che nel riformare il Consiglio superiore della magistratura volevate dare un segnale forte alla degenerazione correntizia, che pure secondo noi è un tema, che infatti nelle passate riforme si è cercato di aggredire; e ho anche sentito dire proprio questa mattina dal Vice Ministro Sisto che le correnti non selezionano il più bravo. Io vorrei chiedere, vorrei capire come si fa a selezionare il più bravo con il sorteggio, perché questo è un tema che ancora non avete chiarito.

Cioè voi, che siete il Governo del merito, che avete cambiato addirittura il nome del Ministero della Pubblica istruzione in Ministero del Merito, ci state venendo a dire che per delle funzioni così delicate, come quelle che dovrà affrontare il Consiglio superiore della magistratura, in questo caso ci si affida non al merito, ma ci si affida al caso, facendo peraltro venir meno quello che è un criterio fondamentale, che è il criterio della rappresentatività.

E ve lo diciamo già ora, guardate che, così come eravamo stati facili profeti con altre riforme, che poi la Corte costituzionale vi ha cassato, anche su questo vi diciamo: occhio, perché il sorteggio, e quindi il far venir meno la rappresentatività, lede anche il principio costituzionale. Quindi anche su questo vi diciamo: occhio, perché io penso che, anche su questo, la Corte costituzionale potrebbe avere molto da dire. Noi siamo stati accusati, anche questa mattina, durante la discussione generale, di voler mantenere lo status quo. Forse non avete capito, noi non siamo per mantenere lo status quo; certo, non siamo per violentare la Costituzione, come state facendo voi.

Siamo, però, per una riforma vera della giustizia, non per il feticcio della separazione delle carriere, un feticcio ideologico che ci state presentando. Perché lo sapete benissimo anche voi: questa riforma non inciderà sulla qualità del servizio della giustizia ai cittadini, che domani continueranno ad avere, anche con questa riforma, una giustizia che non funziona e processi non giusti. Peraltro, se fosse stata vostra intenzione migliorare davvero la giustizia, non avreste tagliato 500 milioni di euro nelle scorse manovre da qui al 2027 (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista) e vi sfidiamo e vogliamo vedere che cosa farete con la prossima manovra.

Presidente, tutto questo per dire che noi voteremo convintamente contro questa riforma, che non è la riforma per la separazione delle carriere, ma è semplicemente una riforma per mettere il bavaglio alla magistratura, della quale non accettate, evidentemente, l'indipendenza e l'autonomia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Dondi. Ne ha facoltà.

DANIELA DONDI (FDI). Grazie, Presidente. Ministro Ciriani, colleghi, oggi siamo chiamati a votare e sciogliere uno dei nodi più delicati e più attesi della nostra democrazia, la riforma dell'ordinamento giudiziario, con la separazione delle carriere tra magistratura giudicante e requirente. Già da ora annuncio convintamente il voto favorevole del gruppo di Fratelli d'Italia. Un progetto organico, meditato, che rafforza il principio del giusto processo sancito dall'articolo 111 della Costituzione.

L'architettura della riforma rende più chiaro l'assetto del potere giudiziario e risponde a un principio fondamentale: chi giudica deve essere e deve apparire come terzo e imparziale, chi accusa deve essere libero da condizionamenti e chi controlla deve essere indipendente da entrambi. Perché serve la separazione delle carriere? La Costituzione ha previsto un'unica magistratura, ma l'esperienza storica ci consegna un sistema che non ha evitato zone grigie, sovrapposizioni e, talvolta, conflitto di interessi.

È triste avere sentito in quest'Aula oggi dire che il potere giudiziario deve vigilare sugli altri poteri. Vi ricordo che la Costituzione prevede che tutti e tre i poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) siano autonomi e indipendenti. Non vorrei che questa affermazione fosse ciò che parte dell'opposizione intende per il potere giudiziario. Sappiamo che ci sono voci critiche alla riforma, oggi ne abbiamo sentite tante. C'è chi teme un indebolimento della lotta alla criminalità, chi paventa rischi di ingerenze politiche.

A queste obiezioni rispondiamo con chiarezza: nessuno mette in discussione l'autonomia e l'indipendenza della magistratura; al contrario, le rafforziamo, garantendo a ciascuna funzione un proprio organo di governo. Fratelli d'Italia sostiene da anni la necessità di separare le carriere, per dare più forza al principio di terzietà. Il nostro impegno è sempre stato coerente. Non si tratta di una battaglia contro i magistrati, come in quest'Aula oggi si è detto tante volte, ma di una battaglia a favore dei cittadini e dello Stato di diritto. Con questa riforma manteniamo una promessa, quella di costruire una giustizia più equa, più trasparente e più vicina al popolo.

Oggi abbiamo l'opportunità di scrivere una pagina di storia costituzionale. Non sarà un percorso semplice, ma il segnale che diamo oggi è forte e chiaro. La giustizia non è un terreno di scontro ideologico, è un pilastro della nostra democrazia. Già nel 1989 il professor Vassalli aveva capito che un processo accusatorio senza separazione delle funzioni resta inefficace. Il professor Vassalli è stato un giurista pragmatico, consapevole delle resistenze della magistratura - e poi non ha visto cosa è accaduto negli anni successivi -, da sempre marcatamente conservatrice sul punto, e ritiene di poter compensare, almeno in parte, il difetto della struttura ordinamentale con una più netta distinzione dei ruoli processuali. Separare le carriere dei magistrati giudicanti e requirenti non rappresenta, come sostiene l'Associazione nazionale magistrati, un attacco al potere giudiziario, né il tentativo di indebolirlo, ma solo l'attuazione dell'articolo 111 della Costituzione, secondo cui “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale”.

Solo la creazione di due distinte carriere può rafforzare la terzietà del giudice, unico obiettivo della riforma, invocata peraltro anche dalle Camere penali italiane. Risibili, poi, appaiono le posizioni assunte dalla sinistra, e in particolare dal Partito Democratico, visto e considerato che proprio durante il loro congresso del 2019 - è già stato detto oggi anche dalla collega, onorevole Kelany - fu votata una mozione che prevedeva proprio la separazione delle carriere. Anzi, affermavano: il tema della separazione delle carriere appare ineludibile per garantire un giudizio terzo e imparziale.

E ancora, la bozza Boato del 1997, elaborata nella Commissione bilaterale presieduta da Massimo D'Alema, prevedeva una Corte di giustizia svincolata dal Consiglio superiore della magistratura, proprio per evitare che il rapporto tra eletti ed elettori si traducesse in una sorta di stanza di compensazione, dove tutti sanno, ma nessuno ha il coraggio di dirlo, che per decenni è avvenuto lo scambio di favori, di baratteria politico-giudiziaria tra gli appartenenti delle varie correnti. Emerge, quindi, sempre di più il carattere pretestuoso e strumentale della polemica in corso, e in particolare di quella politica.

Se da un lato l'Associazione nazionale magistrati assume posizioni contrarie alla riforma, destituite però di fondamenta a fronte del testo della riforma, e in considerazione di mere presunzioni, peraltro irrealizzabili e indimostrate, come appunto la sottoposizione all'Esecutivo dei pubblici ministeri, dall'altro rimangono sterili gli argomenti di certa opposizione, che pensa più al proprio orticello che al bene del Paese. È stato sostenuto anche oggi, in quest'Aula, che la riforma non sarebbe utile perché ad oggi appena l'1 per cento dei magistrati cambia funzione.

Una domanda: se così è, non si comprende per quale motivo non si dovrebbe formalizzare la separazione delle carriere. L'errore della contestazione sta nel fatto che non si prende in considerazione il presupposto della riforma, vale a dire preparazione, destinazione e ruolo intercambiabili. Come ha detto Giovanni Falcone: “avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e Pm siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri”.

È questo il presupposto che la riforma mira a cambiare, rendere definitivamente distinto, autonomo e indipendente l'accusatore dal giudicante e viceversa. La verità è che, mentre Fratelli d'Italia porta avanti con coerenza ciò che ha sempre promesso ai cittadini, separare le carriere, rafforzare la terzietà del giudice, introdurre l'Alta Corte disciplinare, la sinistra preferisce piegarsi alle logiche corporative, difendendo lo status quo e dimenticando le proprie stesse proposte.

Ecco la differenza: da una parte c'è chi lavora con serietà per restituire fiducia e trasparenza alla giustizia italiana, l'attuale Governo; dall'altra, c'è chi usa la giustizia come terreno di battaglia politica, anche a costo di contraddirsi clamorosamente.

Le opposizioni che siedono in quest'Aula hanno dimostrato con i loro interventi di difendere a spada tratta le caste e le corporazioni che, a fasi alterne e in occasione di campagne elettorali, avete contestato, predicando onestà, trasparenza e legalità; e poi le opposizioni. Con questa riforma Fratelli d'Italia dimostra che le promesse fatte non restano parole, ma diventano fatti (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mari. Ne ha facoltà.

FRANCESCO MARI (AVS). Grazie, Presidente. Ho ascoltato oggi pomeriggio un collega dire che nel dibattito che si è svolto le opposizioni non hanno affrontato il merito della discussione, non sono state capaci di analizzare in profondità il provvedimento. Ovviamente non è vero: è stato analizzato profondamente, sviscerato, in modo un po' colorito si potrebbe dire “rigirato come un calzino”.

Ma devo contestare questa idea, perché credo che, di fronte a provvedimenti, a riforme di questa portata - ma in fondo sempre - il compito di quest'Aula è anche quello di contestualizzarle e analizzarle nel loro complesso, collocarle nella condizione del Paese, metterle in relazione con il nostro sistema, immaginarne anche le conseguenze; quindi, non è soltanto una fotografia puntuale quella che dobbiamo fare, ma un ragionamento evidentemente più complesso.

Allora, io faccio una domanda: siamo di fronte a un disegno autoritario? Perché questa è la domanda che mi viene, perché questo credo sia il punto della discussione. E lo dico subito: io penso di no, non penso che sia un disegno autoritario, anche se la domanda è legittima perché pezzi di questa maggioranza hanno relazioni, sono sodali di Governi, di movimenti illiberali, antidemocratici, appunto autoritari, in giro per il mondo; d'altra parte, “autoritario” è una parolaccia per me, ma può essere un complimento per molti che siedono dall'altra parte dell'emiciclo.

Farebbe pensare a qualcosa di autoritario, poi, il complesso delle riforme, perché anche questo è il punto: questa riforma non può essere guardata da sola; né si può dire che il rapporto con le altre che avanzano e che vengono annunciate - l'autonomia differenziata, con tutte le difficoltà che ha, il premierato - sia soltanto uno scambio politico. Io credo che questo sia sbagliato e riduttivo. In realtà, se immaginiamo le satrapie ci vuole l'imperatore e quindi, se immaginiamo l'autonomia differenziata, ci vuole qualcuno investito di un potere al di sopra, che possa governare una situazione di quel tipo.

E quindi, se abbiamo le satrapie e abbiamo l'imperatore, abbiamo una delle caratteristiche dei sistemi autoritari, cioè l'insindacabilità del potere, ancorché esercitato in modo irrazionale. E quindi non può non esserci un controllo del potere giudiziario. Le cose stanno assieme, altrimenti di che parliamo?

Allora, ho detto prima che non c'è, secondo me, un disegno autoritario semplicemente perché è troppo complicato, perché non è che tutta la maggioranza ha queste caratteristiche, perché non credo che si tratti di questo. Io credo, però, che si tratti di un'altra cosa, questo è certo: siamo di fronte a una deriva autoritaria, non c'è dubbio, soprattutto se la guardiamo nel contesto che abbiamo appena detto; cioè, la prospettiva che abbiamo davanti - e di questo ci dobbiamo preoccupare - è quella di una deriva di questo tipo ed è per questo che state sbagliando.

Voi state commettendo un grandissimo errore e siete anche degli irresponsabili, perché in una situazione come questa e in un contesto come questo non si mette mano alla magistratura, al di là, cari colleghi, degli impegni elettorali o di quello che si è sognato per una vita in politica.

Quando si è nel vivo di una crisi mondiale che tutti, in qualche modo, approcciamo diversamente e della quale non sappiamo le conseguenze sulla nostra vita, non si tocca la magistratura, non si toccano gli elementi di garanzia per tutti i cittadini. Quando c'è una parte politica che accusa l'altra di fomentare la violenza - e, quindi, siamo anche a un degrado profondo delle relazioni politiche e della politica nel suo complesso - non si tocca la magistratura perché non si tocca l'elemento di garanzia di tutti i cittadini, non di chi fa politica, ma di tutti i cittadini. Quando c'è una profonda sofferenza sociale - e, purtroppo, la tendenza è quella di rispondere con l'introduzione di nuovi reati, con aggravanti e con panpenalismo - toccare anche la magistratura è un fatto veramente pericoloso, perché il combinato disposto di queste due cose, come dire, può lacerare la società in profondità.

Quando le migrazioni spingono - perché spingono ancora e, nonostante le vostre promesse, arriva tanta gente sui nostri territori - e quindi ci vuole una risposta politica, e questa risposta politica deve stare nell'alveo delle leggi, deve stare rigorosamente dentro il contesto delle leggi, delle regole e delle norme, non si tocca la magistratura.

Voi, invece, dentro questa situazione sociale commettete il grande errore di toccare la magistratura e alterate, guardate, una cosa fondamentale, perché il modo in cui è stata fatta questa riforma compromette l'equilibrio dentro la magistratura e il rapporto tra la magistratura e il Paese, tutte e due le cose assieme: perché è fatta senza il consenso della magistratura ed è fatta, sostanzialmente, nel dissenso della parte del Paese che, invece, si occupa di queste questioni.

Ma è proprio quell'equilibrio nella magistratura e quel rapporto con il Paese che ci ha consentito di affrontare i grandi momenti di difficoltà come questo. È l'equilibrio nella magistratura e il rapporto tra la magistratura e il Paese che ci ha consentito di affrontare il terrorismo, di affrontare le mafie, di affrontare la corruzione politica e di vincerli.

Voi, di fronte alle sfide del Paese, intervenite su uno dei poteri. È davvero da irresponsabili. È davvero una cosa che si può spiegare soltanto con un'idea sbagliata della democrazia e una lettura sbagliata della Costituzione.

Questo è il punto: voi avete un'idea sbagliata della democrazia, perché la richiamate continuamente e io credo che lo facciate sinceramente, e una lettura sbagliata della Costituzione, perché anche la Costituzione la richiamate continuamente e credo che lo facciate onestamente, sinceramente. Ma quelle due cose sono tutte e due profondamente sbagliate, e oggi si disvelano. Oggi si disvelano perché questa riforma non solo e non tanto non andava fatta, quanto non andava fatta assolutamente così, come l'elemento di rottura e di divisione del Paese.

Guardate, si rompe il Paese proprio quando si ha nella testa un modello che non è esattamente quello democratico. Per questo noi siamo di fronte al rischio di una deriva, siamo anzi di fronte a una deriva autoritaria, perché si mette davanti a tutto quello che si pensa essere giusto. Questa è la radice dell'autoritarismo, è l'idea dell'insindacabilità del potere. La democrazia è un'altra cosa. È equilibrio prima di tutto, ma prima ancora che equilibrio è limitazione del potere e deconcentrazione.

E invece oggi, diciamo così, noi registriamo una pagina abbastanza triste della nostra storia democratica non tanto per il merito - mi dispiace, perché su quello si poteva discutere, si poteva trovare un equilibrio e si potevano fare assieme passi in avanti -, ma perché la modalità ci parla di un modo di governare le istituzioni.

E guardate, se questo è il modo di governare le istituzioni, voi non vi dovete rinzelare per l'accusa che vi viene fatta, che è sostanzialmente quella di immaginare una magistratura sottomessa al potere esecutivo. Non vi potete rinzelare, perché voi siete i primi a mostrare questa tendenza. Siete voi che state mostrando di essere su quella strada. Questa è la deriva autoritaria, è a tutti gli effetti una deriva autoritaria. E proprio per questo, guardate, per fortuna, perderete il referendum. Perderete il referendum perché si capirà che avete messo mano alla democrazia e…

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Mari.

Ha chiesto di parlare l'onorevole Paolo Emilio Russo. Ne ha facoltà.

PAOLO EMILIO RUSSO (FI-PPE). Signor Presidente, onorevole Ministro, onorevoli colleghe e colleghi, come nella famosa scena del film Robin Hood è l'una di notte e tutto va bene. E infatti, desidero ringraziare tutti i colleghi di maggioranza e di opposizione per il dibattito serio, approfondito e ricco di contenuti che si è sviluppato in quest'Aula. È stato un confronto anche duro - sono volate parole grosse -, ma certamente utile, come dovrebbe sempre essere in Parlamento, in un Parlamento che è capace di mettere al centro le idee e il bene comune al di là delle differenze politiche.

Oggi, con questo voto finale sulla riforma costituzionale che introduce la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti, abbiamo l'opportunità di compiere un passo significativo verso un sistema giudiziario più equo, trasparente e vicino ai cittadini. Questa proposta si inserisce in un percorso storico che tutti possiamo riconoscere. La riforma del codice di procedura penale del 1989 ha segnato un passaggio cruciale dal modello inquisitorio a quello accusatorio, promuovendo un processo più equilibrato dove accusa e difesa si confrontano davanti a un giudice terzo.

Magistrati integerrimi come Giovanni Falcone, più volte citato in quest'Aula, hanno sostenuto la necessità di distinguere chi accusa da chi giudica, per garantire un'imparzialità autentica come previsto, peraltro, dall'articolo 111 della Costituzione, che ci impegna a garantire un contraddittorio in condizioni di parità. Noi riconosciamo il valore della magistratura italiana, pilastro della nostra Repubblica, e la sua dedizione al servizio pubblico, tuttavia, l'attuale organizzazione delle carriere può generare - e lo ha fatto, anche solo in termini di percezione - una contiguità tra giudici e pubblici ministeri che rischia di offuscare la fiducia dei cittadini nel sistema.

La separazione delle carriere non intende stravolgere, ma perfezionare, rendendo il giudice pienamente super partes e il pubblico ministero autonomo nella sua azione requirente. Abbiamo osservato, infatti, una dinamica nei procedimenti penali che meritava attenzione. Le indagini in fase preparatoria, sotto il controllo giurisdizionale, talvolta assumono un peso preponderante, amplificato da una dimensione mediatica che può anticipare i giudizi. E così le richieste di proroga di intercettazioni e misure cautelari sono accolte con grande frequenza e il ruolo del giudice, in queste fasi, appare talvolta meno attivo di quanto il sistema accusatorio richiederebbe. La difesa, d'altro canto, rischia di rimanere in secondo piano compromettendo, appunto, l'equilibrio del processo, e questo squilibrio può lasciare cicatrici profonde, soprattutto per quel 50 per cento di imputati assolti che escono dai processi con la vita segnata.

La separazione delle carriere offre una risposta strutturale: giudici liberi di valutare le prove con serenità, pubblici ministeri indipendenti nel perseguire le indagini e una formazione più mirata che valorizzi le competenze specifiche. Il sorteggio non è un sistema dei più eleganti, ma certamente sarà efficace e servirà per ridurre le influenze correntizie che tutti, tutti, hanno censurato nei loro eccessi.

Questa non è una riforma divisiva, ma è un patrimonio condiviso. Lo dimostra non solo il voto di partiti e formazioni politiche che non fanno parte della maggioranza, ma anche un dibattito, che dura da anni e che va avanti almeno dal 2018, anche in alcuni grandi e importanti partiti dell'opposizione.

Questo percorso che concludiamo con questo voto è iniziato nel febbraio del 2023 con audizioni e dibattiti. Non è stato un blitz, ma un lavoro meditato, culminato oggi nella terza lettura. È un'opportunità per costruire una giustizia più celere, credibile e vicina ai cittadini, capace di rafforzare la coesione sociale e la fiducia nello Stato di diritto. Ci sarà un referendum? Ho sentito colleghi che minacciavano il referendum confermativo, ma, a nostro avviso, un referendum non è una minaccia, ma è uno strumento che garantisce che una riforma costituzionale possa essere condivisa il più possibile dagli italiani. Ecco perché nessuno ha paura del referendum, né dovrebbe averne. Siamo pronti, nel caso, a spiegare, come stiamo facendo oggi, le ragioni di questa riforma, convinti che la maggioranza degli italiani sarà capace di condividere questa proposta e sarà pronta a voltare pagina, che prevarrà negli italiani quella maggioranza riformista, che i difensori dello status quo saranno sconfitti come è già successo in passato (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Manzi. Ne ha facoltà.

IRENE MANZI (PD-IDP). Grazie, signor Presidente. Mi verrebbe da dire, cari colleghi, che ci siete riusciti. Siete riusciti, a più di trent'anni, a regolare i conti con la magistratura italiana e con la sua indipendenza, con questo provvedimento. Purtroppo è un'ironia amara quella che mi spinge a pronunciare in quest'Aula queste parole. E avete realizzato questo obiettivo nel modo peggiore possibile, sia nel merito che nel metodo. Nel merito, andando a separare le carriere, andando a sdoppiare il Consiglio superiore della magistratura, prevedendo il sorteggio per la nomina dei membri togati del CSM. Per quanto riguarda il metodo, esso è anche una questione di merito e, con voi, fino all'atto più grave, che è la seduta fiume che avete votato poco più di un'ora fa, il metodo è anche merito. È anche merito perché andate ad intervenire con una riforma costituzionale, andate ad utilizzare lo strumento offerto e previsto dall'articolo 138 della Costituzione, che, giustamente, prevede un procedimento aggravato per la riforma costituzionale, essendo la nostra una Costituzione rigida, ma lo prevede con una modalità che dovrebbe essere profondamente differente da quella che voi avete adottato in questi passaggi. Infatti, formalmente, voi avete rispettato alla lettera quelle che sono le procedure dell'articolo 138, peccato che il testo che ci troveremo a votare nelle prossime ore, in quest'Aula, sia lo stesso, identico, testo uscito dal Consiglio dei Ministri. Avete presentato in quest'Aula un testo blindato, ed è la prima volta per un testo e per una riforma costituzionale, e questo è un atto gravissimo di cui voi vi rendete responsabili. Avete persino evitato di far approvare a quest'Aula un emendamento che prevedeva il riequilibrio di genere nel sorteggio e nella composizione dei futuri Consigli superiori della magistratura. Chissà che preoccupazione, che problema esso poneva.

Voi, colleghi, state liquidando questa riforma come un qualunque decreto-legge; non potete mettere la fiducia giusto perché l'articolo 138 non lo concede, perché forse avreste utilizzato anche quella modalità. Al Senato, addirittura, siete andati in Aula senza relatore, proprio per la fretta di dover andare avanti e di procedere con l'approvazione di questo testo, e lo fate in nome del consueto, tragico baratto che anima questa maggioranza: a una forza politica viene data l'autonomia differenziata, ad un'altra viene data la riforma della magistratura e la separazione delle carriere, ad un'altra ancora il premierato. Tutti contenti e soddisfatti, come l'orchestrina che suonava sul Titanic mentre il transatlantico, con i suoi passeggeri, andava ad inabissarsi.

Voi adottate questo provvedimento per colpire un potere dello Stato, appunto la magistratura, che, per Costituzione, è autonoma e indipendente e non è responsabile dell'attuazione politica del programma della maggioranza di turno, e lo fate giustificandovi in nome del programma, il programma, appunto, di Governo, che vi ha portato al Governo.

Mi viene in mente il titolo di una canzone, che recitava che “il vincitore prende tutto”. Questa è la filosofia che ogni volta anima questo Governo. Avete vinto e, quindi, proprio per questo potete arrogarvi il diritto di prendervi tutto, di occupare tutto, di modificare a vostro piacimento le leggi e l'ordinamento dello Stato, perché avete i numeri. Del resto, questa è una modalità di agire delle destre in molte parti del mondo, a cominciare dagli Stati Uniti, a cominciare dal modello trumpiano.

Ma noi, in quest'Aula, in queste notti, siamo qui per ricordarvi una cosa: che chi vince le elezioni e governa certamente può molto, ma in un ordinamento democratico, costituzionale e pluralista non può tutto e soprattutto non può mettere in discussione il principio su cui si regge l'intero ordinamento costituzionale secondo cui ogni potere, a cominciare da quello politico, può essere esercitato solo nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione. Questa riforma, nella modalità con cui va a ridisegnare il ruolo del pubblico ministero, lo rende di fatto un soggetto autonomo, un soggetto che ha essenzialmente il compito di suffragare quella che è la propria tesi accusatoria.

Oggi il pubblico ministero, in base al nostro codice di procedura penale, può svolgere e deve svolgere indagini anche a favore della stessa persona sottoposta alle indagini. Invece voi, rendendo il pubblico ministero una parte, una parte che deve perseguire esclusivamente l'accusa, rischiate di produrre una seria involuzione di quella figura, riducendo quella che è la sua funzione di parte imparziale e disinteressata a quella, invece, di una parte che ha il compito fondamentale di accusare e di svolgere quella funzione.

Eppure, rispetto a questi ultimi anni, si è avuto già un provvedimento importante, con la riforma Cartabia, di separazione delle carriere. E pensate, lo hanno citato più volte i colleghi in quest'Aula: in un anno si assiste a circa venti passaggi, su 10.000 magistrati, da una carriera all'altra. Ecco, per venti passaggi, per evitare del tutto quei venti passaggi, voi addirittura andate a disturbare e a cambiare la Costituzione. Serviva davvero una riforma per fare questo? Noi pensiamo che questa riforma non fosse necessaria, soprattutto perché è una riforma che spezza l'unità della magistratura, va a dividere il Consiglio superiore della magistratura e svuota il significato stesso della rappresentanza attraverso il sorteggio.

Si va verso una strada ignota in cui si moltiplicano i rischi e soprattutto si logora la fiducia dei cittadini e degli operatori nei confronti della giustizia. Questo, sostanzialmente, è un intervento che tradisce la volontà di limitare gli spazi di azione della magistratura, di limitarne la terzietà e l'autonomia, oltre che l'indipendenza, sostanzialmente, rischiando di renderla un mero esecutore burocratico contro il senso stesso della Costituzione. Avete giustificato questa riforma, anche nelle stringatissime righe della relazione che accompagna questo testo di legge, con la volontà di migliorarne l'organizzazione.

In realtà, non c'è nulla, in questo testo, che va ad intervenire su quelle che sono le preoccupazioni reali che riguardano l'organizzazione della giustizia, che interessano i cittadini stessi rispetto ad essa. Non c'è nulla rispetto alla velocizzazione dei procedimenti, al rafforzamento degli organici, in particolare negli uffici giudiziari. Oggi, poco lontano da qui, c'è stata una manifestazione dei precari della giustizia. Il vostro Governo, oltre a tagliare pesantemente le risorse, come la collega Bonafe' ha ricordato, nell'ultima legge di bilancio, a sostegno del settore giudiziario, non ha fatto nulla per stabilizzare i componenti dell'Ufficio del processo.

Niente rispetto alle assunzioni, agli spazi, ai luoghi. Niente - e lo voglio ricordare - rispetto alle carceri e alla loro drammatica condizione. Attualmente, nelle carceri italiane ci sono più di 15.000 detenuti in più della capienza normale, ci sono condizioni gravi che questo Governo non ha alcuna intenzione di affrontare, e noi lo vogliamo ribadire anche questa notte, in quest'Aula. Un carcere di questo tipo, un carcere così, che non riesce a svolgere la sua funzione di risocializzazione, in realtà rischia di creare altro carcere, di creare ulteriore recidiva, e noi continueremo ad insistere e a ricordarvelo in quest'Aula, chiedendo più risorse.

Più risorse per la giustizia, più risorse per il carcere, e non solo quelli che sono i tanto a voi cari interventi repressivi. Voi continuate con la vostra strategia repressiva, partita con il decreto Rave, proseguita con il decreto Caivano, culminata nel decreto Sicurezza, che ha impegnato quest'Aula in un'altra seduta, una lunga seduta fiume. Voi siete convinti che la creazione di nuovi reati, in assenza di azioni e di strumenti preventivi, in assenza del reale rafforzamento delle Forze dell'ordine, possa migliorare le condizioni di vita dei cittadini. Senza un'azione seria che parta anche dalle carceri, in realtà, tutto questo sarà inefficace.

Nel frattempo, agitate sullo sfondo, con l'approvazione a marce forzate di questo provvedimento, il referendum costituzionale, il referendum confermativo di questa misura. E lo fate andando a dividere - e questa è una delle cose più gravi di cui vi rendete responsabili - la giustizia. La giustizia non ha bisogno di essere divisa, avrebbe bisogno di essere rafforzata, di essere più efficiente, più accessibile, più giusta. E già il solo fatto che abbiate messo nel mirino i giudici e la loro indipendenza per tanto tempo, in tante occasioni e in vario modo farà sì che questo referendum finirà per (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Manzi. Ha chiesto di parlare l'onorevole La Salandra. Ne ha facoltà.

GIANDONATO LA SALANDRA (FDI). Grazie, Presidente, un grazie al Governo e un grazie anche ai colleghi che sono qui presenti e partecipano a questa discussione, a questa dichiarazione di voto. Mi sia consentita una piccola digressione rispetto ad una interruzione che si è consumata prima. Ho sentito dire che non ci è consentito parlare di giustizia: vorrei ricordare come proprio questa parte dell'emiciclo, nel maggio del 1992, propose Paolo Borsellino come Presidente della Repubblica (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia), e lo dico non come un esercizio di memoria o semplicemente come la necessità di voler appuntare una medaglietta a questa parte, ma lo dico perché?

Perché la destra italiana, nella sua storia, non ha mai vissuto conflitti con la magistratura, non si è mai posta contro la magistratura, ma si è posta sempre nell'interesse della giurisdizione, nell'interesse della giustizia che sia amministrata nel nome del popolo italiano, esattamente come è scritto nella Carta costituzionale. E mi sia consentito provare a prendere e a fare mie le parole del Vice Ministro Sisto, quando - ero un giovane praticante, allora, nel 2005, lei ne ha fatte tante di udienze, però alcune io le ricordo -, discutendo con il giudice, disse “noi siamo avvocati, noi siamo parti del processo e dobbiamo discutere di quello che è e non di quello che non è”.

Io ho ascoltato con interesse tutte le discussioni generali di questa mattina - e i colleghi mi sono testimoni in ordine alla mia presenza - e anche le dichiarazioni di voto, e devo dire la verità, tante cose che sono state dette non le ho riscontrate nel testo che oggi siamo chiamati nuovamente ad approvare e a discutere. E questo perché? Perché molte delle argomentazioni che mi hanno preceduto hanno avuto quasi come unico filo conduttore la paura, e io non ho mai visto nessuno provare a cambiare le cose con la paura. Di solito le cose si cambiano con il coraggio.

Credo che questa sia una riforma estremamente coraggiosa. Ho sentito parlare del CSM che, all'unanimità, in alcune occasioni si è espresso. Beh, ma vorrei ricordare anche quel CSM del 1988 che bocciò la figura di Giovanni Falcone a capo dell'ufficio istruzione di Palermo. È una bocciatura, storicamente accertata, in nome di che cosa? In nome di quelle correnti che regnavano e regnano nel CSM. A me hanno fatto veramente male le parole del collega di Alleanza Verdi e Sinistra, quando ha detto che la nostra lettura della democrazia è sbagliata.

Io non so quale sia il criterio per cui qualcuno possa dire a qualcun altro che la propria lettura della democrazia sia sbagliata. Io credo che esista un problema, ho sentito parlare di campagna elettorale. Credo che la democrazia si basi su che cosa? Sugli impegni che si prendono con gli elettori, e mi sembra abbastanza chiaro che la parte opposta a me di questo emiciclo abbia un problema con gli elettori. Noi abbiamo presentato un programma di Governo, frutto di un accordo tra forze di maggioranza, lo abbiamo sottoposto agli elettori.

Gli elettori ci hanno votato e faccio mie, in questo caso, le parole del mio attuale capogruppo, di Galeazzo Bignami, quando dice che per Fratelli d'Italia il problema non è mai vincere o perdere le elezioni, ma avere la forza e il coraggio di mantenere gli impegni che vengono presi con gli elettori. E questo è un dato di fatto.

Io non credo che noi tocchiamo l'impianto costituzionale e non lo credo perché non mi sembra che venga modificato quello che è il rapporto tra i poteri dello Stato. Non mi sembra che questo venga fatto e non mi sembra, perché? Perché sempre seguendo il tenore letterale della nostra Carta costituzionale – che vorrei ricordare non essere immutabile - il tenore letterale parla di indipendenza della magistratura e non mi sembra che questa riforma tocchi l'indipendenza della magistratura.

Probabilmente, la paura di qualcuno è che venga toccato l'autogoverno della magistratura, cioè quell'idea per cui la magistratura non debba essere soggetta a nessuno. Ed io credo che la magistratura, invece, sempre leggendo il dettato costituzionale, sia soggetta alla legge che credo sia competenza del Parlamento e delle Camere.

Quindi, anche questo dimostra come le tesi delle opposizioni siano fondate, se non sulla paura, sulla misconoscenza di quello che è il dettato costituzionale. E dico questo perché? Perché quando parliamo di indipendenza della magistratura mi piacerebbe, anche in questa sede, ricordare quelli che sono stati i lavori preparatori della riforma del 1999, una riforma che quasi universalmente - mi sia concesso di dire - all'indomani della sua approvazione fu ritenuta una riforma incompleta; la famosa riforma dell'articolo 111. Sono passati 25 anni per arrivare a quel completamento, perché l'articolo 111 non è semplicemente la norma che parla del giusto processo, ma è quella norma che introduce anche il concetto del processo giusto. E un processo giusto si attua attraverso quella che viene definita la parità delle armi: l'eguaglianza, nel caso del processo penale, tra accusa e difesa. Perché dico questo? Perché un giudice non deve soltanto essere terzo, non deve soltanto essere imparziale, ma deve anche apparire imparziale.

Chi mi ha preceduto ha citato tanti rappresentanti, siamo passati dalla narrativa di Palamara a più o meno autorevoli esponenti del passato, però io voglio citare e voglio fare mie queste parole: “L'esercizio della funzione giurisdizionale impone al giudice il dovere non soltanto di essere imparziale ma anche di apparire tale; gli impone non soltanto di essere esente da ogni parzialità ma anche di essere al di sopra di ogni sospetto di parzialità. Mentre l'essere imparziale si declina in relazione al concreto processo, l'apparire imparziale costituisce, invece, un valore immanente alla posizione istituzionale del magistrato, indispensabile per legittimare, presso la pubblica opinione, l'esercizio della giurisdizione come funzione sovrana: l'essere magistrato implica un'immagine pubblica di imparzialità”, Cassazione, Sezioni Unite, 14 maggio 2020, sentenza n. 8906. Io credo che questa riforma costituzionale ottemperi esattamente a quello che sostenevano le Sezioni Unite.

E si è discusso tanto - e, Presidente, mi avvio già alle conclusioni perché tanto si è detto e io credo che in questa sede qualche riflessione vada affidata agli italiani perché siamo tutti soggetti al popolo italiano - e tanto si è detto sul sorteggio. Ora, io non sono un luminare del diritto o un grande processualista, però non mi sembra che questo testo abbia toccato il codice di procedura penale. Non mi sembra che sia scritto qui, da qualche parte, che abbiamo modificato le competenze del pubblico ministero o l'autonomia del pubblico ministero, né tanto meno mi sembra di leggere in alcuna parte che abbiamo creato una sorta di soggezione tra il pubblico ministero e l'Esecutivo.

Così come io conosco la genialità processuale del Vice Ministro Sisto, però non credo che il Vice Ministro Sisto o il Ministro Nordio o il Governo abbiano inventato il sorteggio. Io credo che la scelta del sorteggio - tra l'altro, il Ministro Nordio, già in passato, ha avuto modo di spiegare quante volte si ricorre al sorteggio - sia uno strumento di trasparenza, di trasparenza nella scelta di determinate figure.

Ecco, credo che questa riforma risponda esattamente all'esigenza di completare un lavoro iniziato nel 1999 e di rispondere a quella necessità di trasparenza che gli italiani chiedono a questo Parlamento e a ognuno di noi (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Grimaldi. Ne ha facoltà.

MARCO GRIMALDI (AVS). Grazie, Presidente. Colleghe e colleghi che ascoltate a quest'ora di notte, la separazione delle carriere campeggiava già nel programma elettorale di Forza Italia del 1994. Immagino facciate tutto questo anche per sentirvi ancora giovani: che tempi, i mondiali, per me i primi baci. È da quel momento che ha cessato, di fatto, di essere oggetto di un dibattito - fatemi dire - analitico e profondo.

È diventata ormai uno strumento di propaganda, parte di una retorica fatta di attacchi feroci e sguaiati anche nei confronti della magistratura, desiderio di una vita costellata da lunghe e penose vicende giudiziarie, vicende a cui il vostro nume tutelare rispose a colpi di leggi ad personam.

Evochiamo lo spirito, non abbiamo paura visto che voi gli dedicate tutto questo. E, gradualmente, la separazione delle carriere divenne, nell'immaginario della destra, parte di una riforma complessiva, una riforma di indebolimento del potere giudiziario, tesa a ricondurre l'azione del PM sotto il controllo condizionante del Governo, a rendere i giudici più vicini al potere e più lontani dai cittadini e la giustizia più fragile, più esposta a pressioni politiche e meno indipendente. È così, non fate i permalosi se lo diciamo: non spezzerete le correnti, il legame patologico fra l'elettore e l'eletto, caro Ministro Nordio.

Spezzerete la giustizia e l'equilibrio fra i poteri. Darete un colpo innanzitutto alla sezione disciplinare di cui non sopportate l'insubordinazione, quella che vi ha messo in crisi, magari tutelando i giudici di Bologna, rei solo di aver fatto il loro lavoro sui decreti migranti.

D'altra parte vi dite garantisti, ma dal vostro insediamento non avete fatto altro che introdurre nuovi reati, sanzioni, aggravanti o aumenti di pena. Solo col DDL sicurezza - lo ricordiamo - si mette mano in senso punitivo al codice penale più di 30 volte. Di sicuro, realizzate il sogno di Berlusconi e di altre figure più eversive di lui.

Oggi la proposta di legge Nordio è oltretutto una riforma datata. Sì, perché il nostro modello processuale già distingue le funzioni di pubblico ministero e giudice: la riforma Castelli del 2006-2007 ha separato nettamente le funzioni giudicanti e requirenti, ha ristretto notevolmente la possibilità per i magistrati del passaggio da una funzione all'altra; la separazione delle funzioni è stata resa ancora più stringente dalla riforma Cartabia del 2022.

E allora perché un'ulteriore diversificazione delle carriere? Perché rompere il modello costituzionale? Secondo la vostra vulgata, allo stato attuale, il giudice è influenzabile dal pubblico ministero, ma davvero la separazione servirà a realizzare la parità di accusa e difesa nel processo e l'imparzialità del giudice?

Nel nostro ordinamento, il pubblico ministero non può effettuare alcun controllo sul giudice, non può determinare né avanzamenti né ritardi della sua carriera. Soprattutto, la separazione delle carriere non limiterà l'eccesso di potere dei PM, anzi lo accrescerà a scapito delle garanzie difensive, e l'imparzialità del PM è un valore prezioso soprattutto nelle fasi di indagini.

La connotazione del PM come parte ridimensionerà il suo ruolo nella fase preparatoria, però a vantaggio di chi? Credo della Polizia giudiziaria: un drammatico arretramento sul piano delle garanzie per la difesa, perché il PM deve controllare la legalità dell'operato della Polizia giudiziaria e può fare la differenza, per esempio difendere i diritti di libertà dei cittadini anziché agire in senso repressivo.

Lo dico per chi verrà: noi non siamo una sinistra giustizialista, non siamo idolatri della magistratura, né di nessun potere. Teniamo gli occhi ben aperti perché nessun potere istituzionale, economico e simbolico abusi di sé; perché i vulnerabili, i più poveri, le minoranze, i più piccoli non abbiano nulla da temere dallo Stato. Questo è il nostro faro, ma già oggi molti PM agiscono di concerto con la Polizia giudiziaria, lo fanno in senso punitivo. Abbiamo visto arresti, fogli di via, ipotesi di accusa del tutto sproporzionate, ma abbiamo visto anche scarcerazioni e mancate convalide, perché pubblici ministeri attenti fanno valere i diritti dei cittadini. È questo il bene più prezioso.

Rompere il modello costituzionale di unicità della magistratura avrà un solo effetto: spingere il pubblico ministero fuori dalla cultura della stessa giurisdizione, avvicinarlo ancora alla funzione di polizia; ma noi non abbiamo bisogno di un avvocato della Polizia che difenda ancora di più, magari, da impunità, quando commette gli abusi. Abbiamo bisogno della circolazione di una comune cultura, una cultura fatta di garanzie e di diritti. La contaminazione non intacca l'autonomia, serve a far circolare i saperi e le esperienze.

Non abbiamo bisogno di due CSM distinti per i magistrati giudicanti e requirenti, di un rafforzamento della componente politica rispetto a quella togata. Il CSM della magistratura requirente? Semplicemente alla cosiddetta casta dei magistrati subentra la casta dei pubblici ministeri, più autoreferenziali che mai, un corpo isolato e autonomo da ogni altro potere, con discrezionalità incontrollata nelle scelte sull'azione penale.

Non abbiamo bisogno di una magistratura requirente che, nel dibattito pubblico, getti magari benzina sulle spinte punitive e vendicative dell'opinione pubblica o di un Consiglio superiore della magistratura requirente con un peso spropositato, che condizioni i dibattiti sulle riforme della giustizia. Voi volete una categoria di accusatori di professione, avulsi dalla giurisdizione e pieni di ansia da prestazione. Soprattutto volete la dipendenza del PM all'Esecutivo, anche se lo negate. Separato magari dalla magistratura giudicante, il PM finirà facilmente assoggettato al controllo politico della maggioranza.

È la verità, dovete smettere di offendervi se vi viene detto, come è vero che limiterete pesantemente il sistema di autogoverno della magistratura. Lo farete sostituendo le elezioni con il sorteggio, un sorteggio secco dei membri togati del CSM e un sorteggio temperato per i membri laici, sorteggiati da un elenco compilato mediante le elezioni del Parlamento. Vuol dire semplicemente far regredire i giudici a corpo omogeneo di funzionari, escludere la dialettica dall'organismo che li amministra, negare il fatto che in esso si rispecchino le idee e le culture dei giudici, colpire e affondare l'associazionismo giudiziario e la partecipazione elettorale.

La funzione disciplinare è affidata all'Alta Corte disciplinare creata ad hoc. I suoi giudici vengono scelti di nuovo con sorteggio, ma attenzione, solo fra magistrati con almeno 20 anni di esercizio della funzione giudiziaria. La giustizia disciplinare diventa monopolio dei magistrati di Cassazione, slegata dall'autogoverno, e la funzione disciplinare rafforzerà il conformismo del corpo dei magistrati, e la collocazione dell'Alta Corte è superiore rispetto alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura. Per quale motivo, visto che la scelta dei suoi componenti è affidata alla cieca sorte?

Non vergognatevi, insomma, del vostro disegno: abbattere l'indipendenza reale della magistratura, sottrarre al controllo di legalità gli abusi dei poteri pubblici o privati, addomesticare una magistratura che non deve più interferire con l'operato del Governo, anzi, deve essere garante del potere contingente. Zagrebelsky lo ha chiamato “uso congiunturale della Costituzione” e sta dentro il vostro ampio programma di riduzione della democrazia a “democratura”, dove il potere esecutivo si forma con l'investitura di un capo da poteri illimitati; dove le grandi opere non sono intralciate da bazzecole come l'abuso d'ufficio; dove la sicurezza dei forti si esercita contro i settori marginali della società, sempre più indifesi, sempre più vessati, ho concluso; dove chi cerca di emanciparsi da sfruttamento e abusi viene messo a tacere; dove chiunque si ribelli a tutto ciò viene punito con pene severissime; dove chi abusa è protetto e immune e, alla fine, saremo ancora meno uguali di fronte alla legge.

Scappate, scappate da questa notte, e anche se salite su quel palco, ve lo dico, cadrete presto. Ma non saremo noi a tirarvi giù, saranno le persone che, dopo di noi, voteranno “no” nei giorni della Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bellomo. Ne ha facoltà.

DAVIDE BELLOMO (FI-PPE). Grazie, Presidente. Qui, siamo nella massima assise legislativa e, quindi, nel momento in cui parliamo di un disegno di legge costituzionale, dovremmo, quando si obietta qualcosa, fondarlo sulle norme che sono presenti nel disegno di legge. Sento dire che vogliamo sottoporre il pubblico ministero all'Esecutivo, che vogliamo togliere l'obbligatorietà dell'azione penale e altre cose del genere. Mi si deve dire in quale parte del disegno di legge c'è scritto tutto ciò.

È volontà della maggioranza mantenere la magistratura autonoma, non si sta facendo altro che quello che già avviene nel codice di procedura penale. Nel 1989 è stata fatta la riforma del codice di procedura penale che ha introdotto il regime accusatorio, anziché quello inquisitorio. Che cos'è questo sistema? È un sistema che pone l'accusa e la difesa nella stessa parte processuale e in cui il giudice è un organo terzo. Anche da un punto di vista fisico e visivo, noi abbiamo che il pubblico ministero e la difesa giacciono sullo stesso tavolo, e di fronte abbiamo un giudice terzo, che non conosce neanche una carta di quello che è il fascicolo processuale e che deve essere, appunto, terzo.

Quindi, la riforma costituzionale non è neanche una cosa così epocale, perché non è altro che la coerenza rispetto a quello che è stato fatto. Mai nessuno di sinistra, né nessun magistrato ha obiettato che il nostro codice, così come è impostato nel regime accusatorio, fosse di per sé ingiusto. Il nostro codice di procedura penale prevede esattamente questo. Allora, noi che cosa vogliamo fare con questa riforma? Vogliamo fare in modo che il giudice diventi un'icona, che diventi effettivamente terzo.

Non deve solo sembrare terzo, lo deve essere, in maniera tale che nascano in maniera diversa e, quindi, nel momento in cui il giudice debba emettere una sentenza, sia effettivamente un organo terzo. Ma non è altro che la consecutio rispetto a quello che già avviene. Tant'è che la stessa ANM negli incontri poi privati, perché anche con il gruppo di Forza Italia ha fatto un incontro, ci dice: guardate che, alla fine, solo l'1 per cento dei magistrati si pone da una parte all'altra, da requirente a giudicante. Quindi, di fatto, la separazione delle carriere già esiste.

Allora, qualcuno mi può dire che forse è una riforma pleonastica? Direi di sì, ma pleonastico non significa ingiusto. Non significa sottoporre il pubblico ministero o volere che il potere esecutivo entri nelle indagini o che blocchi le indagini. Ho sentito dei colleghi, anche esperti colleghi di legge, che hanno detto delle vere e proprie amenità solo per preconcetto e per pregiudizio, e solo perché si è all'opposizione e non in maggioranza. Ma quando si sta in quest'Aula, bisogna fare in modo che le proprie argomentazioni siano effettivamente enucleate su quella che è la base normativa del disegno di legge.

Quindi, quando ci si lamenta, bisogna anche dire che la stessa ANM dice: sì, va bene, non è tanto la separazione delle carriere, è il sorteggio. Perché si lamentano del sorteggio? Mi meraviglio che proprio il MoVimento 5 Stelle dica che il sorteggio non è adeguato. Qualcuno dice addirittura: no, ma i più bravi devono essere, non siamo tutti uguali, i più bravi devono andare al CSM. Quindi, si dice che un magistrato può sì erogare un ergastolo nei confronti di un cittadino, però non è degno di poter stare al CSM.

Il magistrato per preconcetto, per pregiudizio, è sì un organo già competente e preparato, perché siede sul banco, siede davanti alle aule di giustizia e può irrogare pene anche importanti, e quindi, se vince un concorso, è di per sé preparato.

Quindi, se così non fosse, vuol dire che abbiamo giudici che non dovrebbero vestire la toga.

Allora, cosa voglio dire con questo intervento? Nel momento in cui si palesa la necessità di fare in modo, con tutte le ingiustizie che si vivono oggigiorno, che il giudice effettivamente sia un organo terzo a cui tutti devono tendere, come decisione, non capisco la ragione per la quale si continui ad opporsi a questa riforma.

Con riferimento al sorteggio, tutti quanti ci dicono che effettivamente le correnti della magistratura sono state un danno notevole e l'ho sentito dire anche da esponenti di sinistra. Il sorteggio - ecco perché c'è l'avversione - prevede di per se stesso che nessun eletto debba dare riguardo alla corrente che lo ha espresso. Si deve avere il coraggio di dire questo: che siete voi che volete mantenere il potere, che volete mantenere un sistema correntizio all'interno di un organo che, invece, per essenza, per dogma, dovrebbe essere un'unità e non dovrebbe avere correnti politiche al proprio interno. Invece, si comporta con le elezioni come se fosse un partito. Un partito ha tutta la legittimità di rivendicare il proprio elettorato; la magistratura non può e non deve rivendicare il proprio elettorato perché esso stesso dovrebbe essere un'unicità, questo sì, dal punto di vista giudiziario.

Quindi, questa riforma non fa altro che dare alla Carta costituzionale quello che è stato fatto già nel 1989, cioè il regime accusatorio, parità tra accusa e difesa. Vogliamo fare in modo che il giudice agli occhi di tutti sia un organo terzo, sia trasparente. Per questo sono stati creati due CSM e, quindi, è stata mantenuta ampiamente l'autonomia rispetto a qualsiasi potere che sia quello del Parlamento o esecutivo. Quindi, non vedo perché ci sia tutta questa opposizione. Forse perché si vogliono privilegiare, sì, una casta, una corrente, diverse correnti. Noi vogliamo fare esattamente il contrario (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE – Commenti del deputato Iaria).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pizzimenti. Ne ha facoltà. Onorevole Iaria, per favore.

Onorevole Pizzimenti, prego.

GRAZIANO PIZZIMENTI (LEGA). Grazie, Presidente. Signor Presidente, Ministro, colleghi, oggi quest'Aula è chiamata ad una scelta di una verità, non a un dettaglio tecnico, non a un aggiustamento di rito, ma a una riforma che segnerà il futuro della giustizia italiana: la separazione delle carriere tra chi accusa e chi giudica.

Lo dico subito: questa non è una battaglia contro la magistratura, come vuole farla passare il centrosinistra, ma è, invece, una battaglia a favore della magistratura, dei cittadini e dello Stato di diritto. Infatti chi difende l'imparzialità del giudice, non indebolisce la giustizia, la rafforza.

Troppo a lungo abbiamo convissuto con un'anomalia che ha logorato la fiducia dei cittadini: un sistema in cui si poteva passare da pubblico ministero a giudice e viceversa ha creato ovviamente ambiguità, sospetti e distorsioni. Non è così che si costruisce un Paese credibile. Oggi, con questa riforma, tracciamo finalmente un confine chiaro, non un muro, ma una garanzia; una garanzia per i cittadini, che potranno sapere che il giudice è davvero terzo, una garanzia per i magistrati onesti, che vedranno riconosciuta la loro autorevolezza e un sistema più limpido. Tutti noi sappiamo che l'indipendenza e l'autonomia della magistratura sono principi cardini della nostra Costituzione, essi sono intoccabili e sacrosanti e la Lega non permetterà a nessuno di indebolirli. Oggi, dimostriamo anche che, sul terreno della giustizia, sappiamo essere affidabili e moderni (Commenti di deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), all'altezza delle grandi…

PRESIDENTE. Colleghi, grazie.

GRAZIANO PIZZIMENTI (LEGA). …democrazie europee. Lo dimostriamo (Commenti di deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)

PRESIDENTE. Colleghi!

GRAZIANO PIZZIMENTI (LEGA). …ai nostri partner internazionali, ai mercati, che guardano all'affidabilità del Paese, e soprattutto ai cittadini, che chiedono istituzioni trasparenti. Questo, colleghi, conta non solo per i cittadini italiani, ma anche per la nostra credibilità internazionale. Infatti, uno Stato che garantisce certezza del diritto è uno Stato che si fa rispettare, è uno Stato competitivo, attrattivo e sicuro. È uno Stato che dà fiducia.

Oggi non stiamo votando un atto qualsiasi, stiamo mettendo fine ad un'anomalia che per decenni ha minato la fiducia dei cittadini e reso l'Italia meno credibile agli occhi del mondo. Chi oggi si oppone a questa riforma difende di fatto l'opacità e l'ambiguità di un sistema passato, che non garantiva né l'equilibrio né la trasparenza. Chi parla di un pubblico ministero sotto il controllo del Governo diffonde una paura infondata. Non esiste alcun articolo in questa riforma che vada in questa direzione. È solo un fantasma agitato per propaganda.

La Lega, invece, sceglie con chiarezza da che parte stare: dalla parte della certezza del diritto, della fiducia dei cittadini e dell'autorevolezza.

Il nostro voto, quello della Lega-Salvini Premier, sarà convintamente favorevole, perché la giustizia non si diffonde con gli slogan, ma con le riforme coraggiose e, oggi, questa maggioranza dimostra di avere il coraggio che altri non hanno mai avuto (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Di Biase. Ne ha facoltà.

MICHELA DI BIASE (PD-IDP). Debbo dire che oggi abbiamo assistito a uno spettacolo abbastanza deprimente, Presidente, perché, nella Commissione che ha esaminato questo provvedimento, su una riforma tanto importante, su una riforma costituzionale, su una riforma che investe e che riguarda i diritti fondamentali dei cittadini come la libertà, in tale circostanza e nelle tante circostanze in cui tutte le opposizioni hanno provato a proporre emendamenti, a migliorare e a modificare quella che noi troviamo una riforma particolarmente pericolosa - e poi verrò su questo -, non abbiamo avuto la possibilità, non abbiamo sentito levarsi neanche una voce.

Oggi, il fatto che abbiate avete scelto di lavarvi le coscienze, facendo questi interventi in dichiarazione di voto - oltretutto, per coprire quanto sta accadendo e quanto accadrà nei prossimi giorni, dove la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, con i due Vicepresidenti, è impegnata, è affaccendata nella campagna elettorale, come se la campagna elettorale fosse importante, anzi più importante di una riforma costituzionale -, la dice lunga, almeno a me che parlo a un'Aula deserta, rispetto a quale sia lo stato della democrazia nel nostro Paese e a quale sia il rispetto che questa maggioranza ha delle istituzioni.

Il Partito democratico, anche nel corso di questi 2-3 anni, non è mai stato ideologicamente contrario alle riforme. In particolare, Presidente, sul tema della giustizia, spesso abbiamo voluto interloquire con il Governo, perché ci sta a cuore affrontare i tanti temi e nodi che riguardano la giustizia. Siamo i primi, per esempio, a denunciare la lentezza dei processi, la carenza di personale e le difficoltà organizzative. Ma di tutti questi problemi, che più volte abbiamo sottolineato, purtroppo, nessuno viene affrontato, lambito, toccato, né tantomeno risolto dalla separazione delle carriere. In questa riforma, infatti, non c'è nulla di tutto questo, perché - ve lo ricordiamo - per risolvere questi problemi è necessario investire risorse concrete. A noi spiace ricordarlo alla maggioranza, ma abbiamo visto tagliare 500 milioni di euro sul sistema della giustizia.

E, allora, ci chiediamo quale sia la motivazione reale per cui avete scelto di portare avanti questa riforma.

Non ci sfuggono i pesi, gli equilibri e i contrappesi tra le varie forze di maggioranza, per cui oggi vediamo e assistiamo a un protagonismo di Forza Italia. Su altre questioni, naturalmente, abbiamo visto un iperattivismo di Fratelli d'Italia piuttosto che della Lega. Però oggi, che siamo qui a parlare della separazione delle carriere, alcune cose è giusto puntualizzarle. Questa è una riforma che viene presentata come una modernizzazione dello Stato. Questa narrazione per noi naturalmente è irricevibile, perché questa proposta non è neutrale e non è tecnica.

Questa è una proposta fortemente politica e si inserisce, dal nostro punto di vista, in un disegno politico preciso, che è quello che voi state portando avanti dagli ultimi 2 anni e mezzo, che è quello della demolizione costante della magistratura. È inutile che oggi provate a raccontarcela come una riforma tecnica. Io non mi metto qui a leggere le dichiarazioni che ha fatto Salvini sui magistrati, non mi metto per amore di quest'Aula, perché veramente ci vorrebbe poco per sbugiardarvi rispetto alle vostre stesse dichiarazioni, e non a quelle che ha fatto il Partito Democratico.

E questo furore vi ha portato naturalmente a compiere, a mio avviso, un passo molto grave, perché i nostri padri costituenti lo sapevano bene: la giustizia non può essere sottomessa ad alcun potere, perché la libertà dei cittadini dipende da giudici e pubblici ministeri capaci di operare senza condizionamenti. Per questa ragione scelsero l'unità della magistratura. Una scelta che non nasceva dal caso, ma dalla convinzione che giudici e PM, pur con ruoli diversi, dovessero condividere la stessa cultura professionale e la stessa identità.

Ecco, vorrei dire che quest'unità ha tenuto per decenni la tenuta della Repubblica e non ha mai significato confusione. I giudici giudicano e i pubblici ministeri esercitano l'azione penale, ma essere parte di un'unica magistratura ha impedito che i PM fossero subordinati al potere politico. E io sostengo e sono convinta - lo siamo tutti - che ha preservato la loro indipendenza e, con essa, la possibilità di perseguire chiunque violasse la legge, anche se potente. È il presupposto su cui si fondano le garanzie del giusto processo per i cittadini. Separare queste carriere significa rompere quell'equilibrio e significa modificare la natura stessa della giurisdizione.

Oggi noi rischiamo che con questa separazione delle carriere trasformiamo il pubblico ministero in un accusatore di professione, con il pericolo di sbilanciare il processo e di compromettere quello che è l'equilibrio tra le parti. Oggi ho sentito alcuni colleghi dire: dove lo vedete scritto in questa riforma? Scusate, ma noi abbiamo ascoltato ore e ore di audizioni in Commissione, dove ci è stato spiegato che questo sarà un rischio connesso a questa riforma. Io penso che la domanda che dovremmo porci è un'altra: è davvero minacciata l'imparzialità dei giudici?

I dati ci dicono di no. Più volte sono stati sottolineati, ma ricordiamoli, perché giova più a voi che a noi, che li conosciamo. Meno dell'1 per cento dei magistrati cambia funzione nel corso della carriera, esistono già oggi incompatibilità rigidissime tra giudicanti e requirenti, esistono criteri oggettivi per l'assegnazione dei processi. L'imparzialità è già garantita, e lo è da anni, lo è da anni! Semmai il punto è che il rapporto tra pubblico ministero e giudice non discende semplicemente dall'appartenenza a un medesimo ordine professionale, come vorreste far credere con questa proposta, ma da un legame più profondo e sostanziale.

Entrambi, infatti, seppur con funzioni distinte, operano per lo stesso obiettivo, che è la tutela dell'interesse pubblico, è la tutela del cittadino. Io continuo a dire che dunque il vostro obiettivo è di natura politica ed è semplicissimo: isolare la funzione requirente, renderla più debole e più esposta a pressioni esterne. E abbiamo ascoltato dichiarazioni di esponenti della maggioranza che la vorrebbero sotto il controllo del potere dell'Esecutivo, non dite di no, li abbiamo ascoltati.

Allora io vorrei, perché vedo che già siamo agli sgoccioli, leggere le parole della presidente emerita della Cassazione, Margherita Cassano, rispetto alla vicenda del sorteggio, che è una delle cose su cui noi ci siamo maggiormente battuti: “il sorteggio non rafforza l'autogoverno, lo indebolisce, perché priva i magistrati del diritto di scegliersi i propri rappresentanti e riduce la responsabilità di chi viene chiamato a governare la categoria”. Neanche su questo voi siete stati in grado di avere un confronto sano con le opposizioni, che più di una volta vi hanno messo in guardia su quelli che sono i rischi che, purtroppo, questa riforma costituzionale porterà nel nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Bordonali. Ne ha facoltà.

SIMONA BORDONALI (LEGA). Presidente, Vice Ministro Sisto, onorevoli colleghi, intervengo oggi per esprimere il mio sostegno convinto all'approvazione della riforma costituzionale della separazione delle carriere; convinto perché rappresenterà un passo essenziale per restituire la credibilità, l'imparzialità e la trasparenza al sistema giudiziario italiano. Questa riforma non nasce da un capriccio politico, ma da un'esigenza di giustizia e trasparenza che il Paese attende da anni.

Un'esigenza che viene da cittadini, avvocati, studiosi e persino da alcune delle più autorevoli voci interne alla magistratura stessa. La magistratura ha bisogno, oggi più che mai, di essere percepita come un presidio di giustizia imparziale, libero da conflitti interni, pressioni politiche o logiche di corrente. La riforma, separando nettamente le carriere dei pubblici ministeri da quelle dei giudici, assicura che non ci sia sovrapposizione, contaminazione dei ruoli, con rischi pratici per il diritto alla difesa e per la correttezza del processo, e vi sia un giudice terzo.

Chi istruisce, accusa, non deve avere parallele funzioni giudicanti, evitando situazioni in cui il PM, nel corso del suo percorso, possa poi influenzare o essere influenzato da logiche di carriera, che premiano la prossimità a strutture di potere. La separazione delle carriere non è un attacco all'autonomia della magistratura. Abbiamo sentito anche dall'ultimo intervento, ma già nella discussione generale, tutti nell'opposizione hanno insistito che ci sia questo attacco all'autonomia della magistratura. Probabilmente i cari colleghi non hanno letto l'articolo 3 della legge, che indica, appunto, che l'articolo 104 della Costituzione è sostituito dal seguente: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”.

Quindi quello che voi oggi avete continuato a ribadire di fatto non esiste. E l'opposizione ha sostenuto anche che questa riforma indebolisca i giudici, minacci l'indipendenza e apra la strada a pressioni politiche. Esattamente il contrario, cari colleghi, separare chi accusa da chi giudica significa rafforzare le garanzie, tutelare l'imparzialità, garantire al cittadino che il giudice che lo giudica non sia mai stato e mai possa diventare il pubblico ministero che lo accusa. È il principio stesso del giusto processo. Io ho sentito chi mi ha preceduto dire addirittura che noi vogliamo demolire la magistratura.

Addirittura questo (Commenti di deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)? Ma avete ragione, noi vogliamo demolire qualcosa. Non la magistratura, vogliamo demolire il sistema che si è creato in questi anni (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier e di deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Questo noi vogliamo demolire, il famoso sistema, cari colleghi (Commenti del deputato Iaria).

Infatti, la separazione delle carriere non basta da sola, è solo una parte di questa riforma perché è imprescindibile separare anche i due CSM, uno per i giudici e uno per i PM, in modo che le dinamiche elettive di autogoverno di ciascuna categoria siano autonome, trasparenti e non soggette a pressioni reciproche o interferenze improprie.

Introdurre metodi come l'estrazione a sorte. Si è parlato molto dell'estrazione a sorte per i membri togati del CSM. Qualcuno ha anche detto: ma se voi li estraete a sorte, non è detto che estraiate il più bravo. Certo, non c'è questa certezza, ma oggi c'è la certezza che il più bravo, se non appartiene a una corrente, non diventerà mai membro del CSM. Questa è una certezza oggi (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier e di deputati del gruppo Fratelli d'Italia), questa è l'unica certezza. Perché comunque c'è la necessità di evitare che l'accesso al CSM dipenda esclusivamente dall'affiliazione alle correnti della magistratura. Sono le correnti, come più volte denunciato da Luca Palamara, ad aver determinato per decenni il sistema delle nomine, distribuendo posti, favori e incarichi sulla base del consenso interno a una corrente, piuttosto che sulla qualità oggettiva del merito e della competenza.

Il vero cuore di questa riforma è la separazione dei Consigli superiori della magistratura. Oggi il CSM è il luogo in cui si intrecciano le carriere dei giudici e dei pubblici ministeri, ed è anche il luogo in cui le correnti hanno condizionato pesantemente nomine, trasferimenti, avanzamenti. Non lo dico io, non lo dice una forza politica, lo ha spiegato in modo inequivocabile l'ex presidente dell'ANM ed ex membro del CSM, Luca Palamara. E a chi prima ha detto: voi continuate a parlare di Luca Palamara e a riportare quello che ha detto - quasi come fosse una vergogna, anzi, vi invito a leggerlo questo libro, se non l'avete ancora letto, e a leggere le sue dichiarazioni -, dicendo poi che Luca Palamara, alla fine, è stato giudicato e sanzionato dagli stessi magistrati. Sì, l'ha detto anche lui, da quei magistrati che gli hanno chiesto i favori per progredire nelle loro carriere. È stato giudicato dai magistrati, ma perché? Perché ha scoperchiato un sistema, solo perché ha scoperchiato un sistema.

Nel libro Il sistema. Potere, politica, affari: storia segreta della magistratura italiana, scritto con Alessandro Sallusti, Palamara descrive con chiarezza il ruolo centrale che le correnti hanno avuto nel determinare le nomine del CSM e nelle carriere dei magistrati. Alcune citazioni utili, se non avete letto questo libro: “Tutti quelli - colleghi magistrati, importanti leader politici e uomini delle istituzioni, molti dei quali tuttora al loro posto - che hanno partecipato con me a tessere questa tela, erano pienamente consapevoli di ciò che stava accadendo”. O ancora: “Le correnti? Anche chi mi accusa le usava per fare carriera”. In merito al CSM e alle nomine, la denuncia dell'autopromozione: “Fai come al solito, scegli chi deve andare e poi bandiamo il posto”, in riferimento a come si gestivano certe assegnazioni con l'intermediazione delle correnti. Ancora: “(…) dietro ogni nomina, un patteggiamento che coinvolge le correnti della magistratura, i membri laici del CSM e, direttamente o indirettamente, i loro referenti politici, e ciò è ampiamente documentabile”. E poi: “Il sistema ha fallito quando ha escluso dalle nomine chi non faceva parte delle correnti, e in questo senso ho sbagliato anch'io”.

Queste affermazioni sono fondamentali, non sono mere accuse ideologiche, ma testimonianza diretta di come il sistema attuale favorisca la logica di corrente rispetto al merito. Ecco la prova di ciò che tutti sanno, ma pochi ammettono: che non sempre conta il merito, ma spesso conta l'appartenenza. Come dice lo stesso Palamara: “Il sistema premia chi appartiene alle correnti, chi lo nega dice una bugia”.

Separare i CSM e introdurre meccanismi di estrazione dei componenti significa togliere ossigeno a questo sistema di potere, significa stroncare il controllo delle correnti, significa restituire dignità alla magistratura, cari colleghi. L'opposizione ha sollevato diverse obiezioni: che la separazione delle carriere sarebbe inutile perché di fatto è già esistente, che la riforma potrebbe creare ingerenze politiche nei PM, che il sorteggio danneggerebbe la rappresentanza, che cambiare strutture storiche crea incertezza. Vorrei rispondere brevemente su tutte.

Sul fatto che le carriere siano già separate, alcuni di voi l'hanno anche ribadito e finalmente oggi l'hanno ammesso: non sono separate le carriere, sono separate le funzioni. Sull'ingerenza politica, la riforma, adeguatamente costruita, deve garantire che i criteri di nomina, di valutazione e i meccanismi disciplinari restino indipendenti, ma non è accettabile che si mantenga un sistema le cui correnti fungono da filtro, spartizione invisibile di potere politico e giudiziario. Sul sorteggio è vero che è una novità. Può sembrare radicale, ma, proprio perché le correnti hanno reso farraginoso ogni tentativo degli apparati, il sorteggio ben regolato può garantire trasparenza.

Concludendo, cari colleghi, voi avete parlato di ingerenze, che questo Esecutivo vorrebbe controllare la magistratura. Quello che è presente in questo libro testimonia quanto oggi questo controllo da parte…

PRESIDENTE. Trenta secondi.

SIMONA BORDONALI (LEGA). … del sistema della politica e della magistratura, di fatto, sia esistito fino ad oggi. Noi vogliamo combattere quello per dare una magistratura trasparente, concreta, reale, ma, soprattutto, ridare dignità a tutti quei magistrati che non hanno fatto parte, in questi anni, di questo sistema e devono essere finalmente tutelati (Applausi dei deputati dei gruppi Lega-Salvini Premier e Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Gianassi. Ne ha facoltà.

FEDERICO GIANASSI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Intervengo in dichiarazione di voto in quest'Aula vuota, abbandonata dalla maggioranza, che costringe le minoranze a intervenire senza un reale ed effettivo contraddittorio. Non servono questi pochi interventi fatti oggi, che hanno fatto seguito al silenzio che nelle prime due letture c'è stato, al silenzio in Commissione. La maggioranza è scappata dal confronto serio, rigoroso e leale con le opposizioni, perché ha subito il diktat del Governo, che le ha imposto di essere supina, suddita, inutile, in relazione a una riforma, invece, così importante.

Le frasi di oggi sono tardive, sono soltanto una perdita di tempo per garantire che la discussione possa procedere un po' rispetto alla fuga del Governo, rispetto ai lavori dell'Aula; Governo che preferisce i comizi elettorali, piuttosto che mettere la faccia su una riforma così devastante rispetto all'assetto istituzionale che abbiamo ereditato dai nostri padri costituenti. È una riforma del tutto inutile rispetto ai mali della giustizia italiana, lo ha ammesso persino il Ministro Nordio in un momento di sincerità. Ha detto: questa riforma è del tutto irrilevante rispetto all'efficientamento del sistema della giustizia.

Ogni giorno, nei tribunali italiani assistiamo al collasso della giustizia italiana. Oggi manifestavano 12.000 precari della giustizia - ripeto, 12.000 precari della giustizia -, in un comparto così fragile, nel quale le risorse del PNRR sono a rischio, come dimostra l'urgenza con la quale avete adottato un decreto. Anche qui avete mentito. Fino a pochi mesi fa, dicevate che era tutto a posto e noi vi dicevamo che i dati che pubblicavate sul sito del Ministero dimostravano una retrocessione rispetto al raggiungimento degli obiettivi del PNRR.

Di fronte a queste situazioni così gravi, di fronte al fatto che un cittadino che si rivolge al giudice, e finisce davanti al giudice di pace, vede fissata la propria udienza, prima udienza, al 2031 o al 2032, voi vi girate dall'altra parte, lasciate che il sistema della giustizia affondi, che cittadini e imprese siano abbandonati rispetto alle esigenze di giustizia e portate all'approvazione del Parlamento una riforma ideologica e punitiva, che è coerente con la faccia muscolare e anche un po' ottusa della destra internazionale, che, ovunque governi, decide di attaccare gli organi di garanzia e di indipendenza, siano esse le opposizioni politiche, come ha fatto vergognosamente, in modo infame, il Governo italiano in questi giorni attaccando le opposizioni sulla vicenda dell'omicidio Kirk, come fanno nei confronti del giornalismo indipendente e d'inchiesta e come viene fatto con la magistratura. Succede in Ungheria, succede in Turchia, succede negli Stati Uniti d'America, dove governano le estreme destre e si mette nel mirino chi non può essere, per funzione, suddito nei confronti del Governo.

Questo è il motivo per cui voi portate all'approvazione questo provvedimento: scritto male, strampalato, con mille criticità, che voi stessi avete riconosciuto, ma che non avete avuto il coraggio di correggere. La giustizia è al collasso e voi rispondete con l'ideologia e con la punizione nei confronti di chi, per Costituzione, ha un ruolo di autonomia e indipendenza.

L'altro elemento che è stato sollevato è una pretesa coerenza del Governo. Abbiamo già svelato che nemmeno su questo il Ministro Nordio è stato coerente. Il Ministro Nordio è un po' il dottor Jekyll e mister Hyde della politica italiana: è quello che dice che il panpenalismo, la diffusione dei reati, è un errore clamoroso e poi li firma tutti quando siede nel Consiglio dei ministri.

Anche sulla separazione delle carriere abbiamo scoperto che ha cambiato idea: prima firmava gli appelli da pubblico ministero contro la separazione delle carriere e, oggi, si fa difensore del modello della separazione delle carriere.

Ma la vostra incoerenza non è solo su questo. Dopo tre anni di Governo avete fallito su tutto: dicevate che la benzina costava troppo e avete tolto gli sconti sulla benzina; dicevate che avreste risolto i problemi della sicurezza e, per la prima volta dopo dieci anni, i reati aumentano, dimostrando il fallimento clamoroso della vostra propaganda; avevate promesso miracoli agli italiani e state invece fallendo sotto tutti i punti di vista, tradendo le promesse che avevate fatto.

Non avete nessuna coerenza da rivendicare. L'unico elemento di coerenza che mostrate è la faccia muscolare verso i soggetti sui quali non potete esercitare una posizione di comando, come in questo caso nei confronti della magistratura.

Anche gli attacchi che rivolgete al Partito Democratico sono sostanzialmente patetici e possono sperare di funzionare solo se accompagnati da molte falsità, come il fatto che il Partito Democratico abbia cambiato idea. Non c'è mai stata una posizione ufficiale del Partito Democratico a favore della separazione delle carriere, ma sarebbe anche inutile stare a discutere su questo. L'ha spiegato prima, anche bene, la collega Serracchiani. Siccome, a differenza di altri - penso alla Lega, che ormai si è trasformata in un partito salviniano, vannacciano, ed esegue gli ordini del capo -, noi siamo un partito vero, ci confrontiamo. Quindi, anche nei nostri congressi abbiamo discusso di questo e abbiamo presentato mozioni su questo punto che però non sono diventate mai la posizione del partito, il quale però, rispetto a quei dibattiti congressuali, ha tratto spunti che ha utilizzato nella precedente legislatura dove, ad esempio, in coerenza con quegli spunti, pur non diventati una posizione del partito, ha sostenuto la riforma Cartabia per limitare i passaggi tra le funzioni.

Insomma, oggi siamo in una fase davvero diversa e questi tentativi di attaccare il Partito Democratico sono modesti e falliscono di fronte alla prova. È forse più facile per voi. Potete evadere rispetto all'esigenza di giustificare, spiegare e argomentare sulla bontà di una riforma che di buono non ha nulla, ma non funziona.

In generale, gli argomenti che sono stati ripetuti anche oggi sono lontani dal cogliere nel segno da parte della maggioranza. Abbiamo pochissimi passaggi da una funzione all'altra. Abbiamo moltissime sentenze di assoluzione da parte dei giudici, che dimostrano di distanziarsi dalle richieste dei pubblici ministeri, così come abbiamo moltissime riforme di sentenze di primo grado da parte dei giudici di secondo grado.

Avete detto che volete sottrarre dal CSM il peso e il ruolo delle correnti, ma, di fatto, umiliate il Consiglio superiore della magistratura - che è presieduto dal Presidente della Repubblica, che è l'organo di garanzia nel nostro Paese, e il cui Vicepresidente è una figura laica e non appartiene al corpo della magistratura - costruito sapientemente dal confronto dei costituenti, che avevano molte posizioni diverse, ma seppero confrontarsi in un dibattito ricco, plurale (al contrario di quello a cui abbiamo assistito in questi mesi) e trovarsi, in modo anche originale, a condividere delle posizioni originali, come fu quella del Consiglio superiore della magistratura.

Niente vieta di riflettere ulteriormente su quegli assetti, ma decidere di umiliare quell'organismo che è presieduto dal Presidente della Repubblica, per cancellare l'elettività che è riconosciuta ad ogni categoria che sceglie mediante le elezioni la propria rappresentanza, è un atto ostile e sbagliato.

Sdoppiare i due CSM è persino un atto controproducente: cioè, voi che volete contrastare il potere del pubblico ministero, il cui ruolo incide molto di più di quello del giudice nella fase dibattimentale sui diritti e sulle garanzie dell'indagato, voi che dite di voler ridurre quello strapotere, prevedete per i pubblici ministeri un Consiglio superiore della magistratura ad essi dedicato. Oggi sono minoranza dentro il Consiglio superiore della magistratura rispetto ai magistrati giudicanti. Voi concedete al pubblico ministero un proprio Consiglio superiore della magistratura.

Per quale motivo questa misura servirebbe a contenere il ruolo o il potere del pubblico ministero? Peraltro questo è un dibattito che riguarda tutti i Paesi, anche quelli con la separazione delle carriere: se ne discute negli Stati Uniti d'America sullo strapotere del pubblico ministero; abbiamo visto le eccedenze dei pubblici ministeri, in Belgio, nel procedimento, e se ne è discusso molto, sul Parlamento europeo e sui parlamentari europei, là dove c'è la separazione delle carriere. Ma qual è il motivo logico, razionale - smentito da ciò che vediamo negli altri Paesi - che vi induce a ritenere che la separazione delle carriere aumenti le garanzie dell'individuo sottoposto al procedimento penale e riduca il potere del pubblico ministero? È smentito dai fatti. Nei Paesi nei quali c'è la separazione di carriere stanno riflettendo. In Francia ci sono iniziative legislative di questo tipo per realizzare modalità diverse; ad esempio, anche se è contrario a quella tradizione giuridica lì, immaginare anche una unicità delle carriere.

Insomma, sono tutte argomentazioni lontane dalla verità. C'era bisogno di una bandiera ideologica, che porterete a casa nel voto parlamentare e c'era bisogno di mandare un messaggio alla magistratura: piegatevi o vi combatteremo.

Certo, non finisce qui. Finisce qui la sfida parlamentare, non finisce quella nel Paese. Ci confronteremo nel referendum e chiederemo agli italiani se preferiscono la Costituzione scritta da Piero Calamandrei o se vogliono invece quella scritta da Carlo Nordio. Noi difendiamo, con grande decisione e convinzione, quella voluta e scritta da Piero Calamandrei.

Nel confronto modesto con le forze di maggioranza, più ricco con gli auditi che hanno partecipato alle audizioni…

PRESIDENTE. Trenta secondi.

FEDERICO GIANASSI (PD-IDP). …abbiamo ascoltato molti interventi, anche di giuristi di ispirazione liberale, che criticano l'approccio alla separazione delle carriere: lo vedono pericoloso perché spingono il pubblico ministero verso l'agonismo.

Tra i tanti interventi - Silvestri, Scoditti, Gialuz - ricordo, da ultimo, quello di Piero Calamandrei che, in una conferenza a Città del Messico nel 1952, sposando l'idea di un modello ordinamentale unico, pur nella sua diversità, ribadendo l'importanza della leale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)...

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la presidente Boldrini. Ne ha facoltà.

LAURA BOLDRINI (PD-IDP). Grazie, signor Presidente. Signor Presidente, noi parliamo di giustizia. Parliamo di giustizia e siamo costretti a farlo di notte - alle 2,20 - perché domani i deputati e le deputate di maggioranza devono precipitarsi nelle Marche. A fare che cosa? Ad applaudire Giorgia Meloni. Ecco, siamo arrivati a questo punto.

Allora, vorrei innanzitutto concentrarmi sui problemi della giustizia, quelli veri. Come prima cosa, vorrei esprimere il mio e il nostro saluto e la nostra vicinanza alle lavoratrici e ai lavoratori precari della giustizia, che proprio ieri - perché oramai siamo a ieri -, martedì 16 settembre, sono scesi in sciopero in tutta Italia per protestare contro l'incertezza che pesa sul loro futuro. Si tratta di tante persone, 12.000 persone assunte temporaneamente con i fondi del PNRR, impegnate prevalentemente negli uffici per il processo, che coadiuvano i magistrati e le cancellerie smaltendo pratiche arretrate. Con il loro contributo, secondo i dati del Ministero, sono stati smaltiti 100.000 procedimenti civili.

Quindi, parliamo di una presenza preziosa, tenendo conto che, nel corso degli anni, il Ministero della giustizia ha perso 15.000 unità e che prossimamente andranno in pensione altre 5.000 persone. Quindi, manca un dipendente su 4 di quelli previsti nella pianta organica.

Ebbene, il contratto per i 12.000 precari scade a giugno del 2026 e si prevede che solo la metà di loro sarà stabilizzata. E gli altri? Gli altri, Presidente, arrivederci; arrivederci e forse grazie. Quindi, un grave danno per loro, ma anche per il funzionamento della giustizia in Italia. Noi ne chiediamo la stabilizzazione. E voi, Governo e maggioranza, voi che fate? Voi vi occupate della separazione delle carriere.

Signor Presidente, al 31 agosto il numero dei detenuti nelle carceri italiane ha raggiunto la cifra di 63.167, cioè il 140 per cento della capienza effettiva. Dall'inizio dell'anno, al 20 agosto scorso, 55 persone si sono suicidate nelle carceri italiane e, purtroppo, nelle settimane successive se ne sono aggiunte altre. Si sommano agli 85 suicidi del 2022, ai 70 del 2023, ai 91 del 2024. State al Governo da tre anni con le mani in mano di fronte a questo dramma.

Qual è invece la vostra priorità? La separazione delle carriere. Una causa civile può completare il suo iter perfino dopo 7 anni, e lo stesso, circa, vale per quelle penali. Più della metà dei procedimenti finiscono in prescrizione, quindi giustizia negata. E qual è invece la vostra priorità? È la separazione delle carriere. Non sono le esigenze e i diritti dei cittadini, ma la crociata contro la magistratura. La considerate una priorità tale da dover addirittura vedere compromesse le prerogative del Parlamento.

Oggi Calamandrei è stato nominato più volte, ma, cari esponenti del Governo, Calamandrei diceva che, quando si discute di Costituzioni, i banchi del Governo dovrebbero essere vuoti. Voi invece avete svuotato il ruolo delle Aule parlamentari, espropriando il Parlamento delle proprie prerogative, imponendo un disegno di legge governativo, fino al punto di rifiutare qualsiasi emendamento, persino quello che garantiva la parità di genere nei due CSM.

Voi sostenete che, nella situazione attuale, ci sarebbe una eccessiva commistione tra giudici e PM, e i giudici, invece di essere terzi e imparziali, come dice l'articolo 111 della Costituzione, sarebbero troppo inclini a condividere le ragioni dell'accusa. Il dottor Parodi, che è il presidente dell'ANM, nei giorni scorsi ha smentito questa tesi, ricordando che, nel 40 per cento circa dei casi, i processi finiscono con le assoluzioni, con una smentita, cioè, delle tesi della pubblica accusa. E questa cosa l'ha detta anche un avvocato e giurista di prestigio, che dovreste rispettare e conoscere: Franco Coppi.

Dove sta, quindi, questa impellente esigenza di introdurre due carriere separate? Dove sta? Voi sapete benissimo che quello del passaggio da una carriera all'altra della magistratura è ormai, in realtà, un fenomeno limitatissimo, perché con la riforma Cartabia del 2022 si è introdotto un ulteriore forte vincolo, cioè si può cambiare carriera solo una volta nella vita e solo dopo 10 anni dall'avvio dell'esperienza in magistratura. Oggi molti meno dell'1 per cento - meno dell'1 per cento! - sono i magistrati che cambiano carriera. E per questo si va a modificare la Costituzione? Per lo 0,6 per cento?

È chiaro, quindi, che l'obiettivo è un altro: l'obiettivo è indebolire il Consiglio superiore della magistratura, dividendolo in due tronconi, togliendogli la funzione disciplinare e affidando al sorteggio la scelta dei magistrati che dovranno farne parte. Ma chiedo io - e mi rivolgo al Governo, magari mi aiuta - in quale associazione, in quale gruppo, in quale categoria di persone, per scegliere da chi essere amministrati, ci si affida al sorteggio? Al sorteggio invece che a una scelta libera, una scelta consapevole?

Ministro, me lo dica lei: quali sono queste categorie?

Vice Ministro, siete uomini di esperienza, fatemi qualche esempio. In nessuna categoria, perché democrazia vuol dire poter scegliere, non estrarre a sorte. Il CSM, secondo Costituzione, è l'organo di autogoverno della magistratura ed è presieduto dal Capo dello Stato. Colpirne la funzionalità, colpirne l'autorevolezza, corrisponde alla principale vostra ossessione, quella dell'insofferenza verso ogni limite al potere esecutivo. Un'insofferenza che abbiamo visto già all'opera nella riforma del cosiddetto premierato: meno potere al Parlamento, meno potere al Presidente della Repubblica e ora meno potere all'autogoverno e, quindi, all'indipendenza della magistratura.

È una brutta china, Presidente, quella in cui volete far scivolare la democrazia italiana, una bruttissima china, ma, come avete visto, le forze di opposizione si stanno compattando, le elezioni si avvicinano e si annuncia il referendum. Il vostro progetto illiberale non andrà lontano, perché saranno le italiane e gli italiani a respingerlo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Serracchiani. Ne ha facoltà.

DEBORA SERRACCHIANI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Oggi, come è stato detto da diversi colleghi, per la prima volta abbiamo ascoltato la voce della destra italiana sul tema della separazione delle carriere e abbiamo appreso che, dopo Il Signore degli Anelli, è diventata una pietra miliare nella formazione della destra un altro libro fondamentale, la biografia di Palamara. È un bel salto di qualità, non c'è dubbio, e lo vogliamo sottolineare. Sicuramente noi non vogliamo sminuire quelle che sono state distorsioni nella magistratura di quelli che sono stati i punti sui quali la stessa magistratura è stata chiamata ad intervenire. Vedo nei banchi del Governo il Vice Ministro Sisto. Ebbene, il Vice Ministro, come me, come tanti altri, si è impegnato proprio nella scorsa legislatura per aggiustare quelle distorsioni e abbiamo fatto una riforma che aveva e ha avuto ad oggetto proprio la riforma dell'ordinamento giudiziario.

Ebbene, evidentemente non è bastato, ma citare continuamente Palamara, dimenticando invece quelli che sono i fondamenti della formazione del Consiglio superiore della magistratura, del perché ci sono le correnti, basterebbe leggere l'Assemblea costituente, quegli atti, basterebbe capire che i nostri padri e madri costituenti hanno voluto creare all'interno anche del Consiglio superiore della magistratura un potere giudiziario dove vi fossero però aree culturali diverse, il pluralismo.

Capisco che è una parola che vi sfugge, il pluralismo, ma il pluralismo anche nella magistratura significa che la formazione della cultura giuridica e giudiziaria avviene appunto attraverso il confronto, attraverso il confronto, la condivisione. Certamente anche questo vi sfugge. Beh, in quella condivisione e in quel confronto io preferirei che in Consiglio superiore della magistratura… e voglio dire, per suo tramite, Presidente, alla collega, che già oggi nel Consiglio superiore magistratura non tutti gli appartenenti appartengono a delle aree indicate dalle cosiddette “correnti”; ci sono anche i cosiddetti “indipendenti”, hanno nome e cognome e agiscono in quanto indipendenti.

Però, se questo non basta, perché non basta che ci siano gli indipendenti, allora io suggerisco come cittadino, come cittadina, che è meglio avere lì un consigliere indicato da una vasta area, nominato, eletto da decine, centinaia di magistrati, perché vuol dire che è più autorevole, vuol dire che è più competente, vuol dire anche che ha qualcuno a cui rispondere, e questo non dovrebbe mettere paura.

A me mette molta più paura che venga sorteggiato uno qualunque, che non appartiene a niente e a nessuno, che non ha nulla ed altro, e che, quindi, sarà sul mercato, e anche questa è una parola che forse vi spaventa, ma forse dovreste abituarvi anche a questa possibilità. Non torno nel merito, l'ho detto anche prima, durante l'intervento in discussione generale; ora aggiungo alcuni aspetti, però, alle critiche che noi facciamo alla separazione delle carriere, tra l'altro citando delle persone. Cito - non l'ho ancora sentito nominare, mi permetto di farlo io - una persona che dichiara: “I sinceri liberali e democratici non vogliono che la separazione diventi la foglia di fico per pratiche giudiziarie anche peggiori di quelle di oggi, perciò la separazione da sola non basta, se non si tocca davvero la Costituzione complessiva sull'ordinamento della magistratura.

La riforma da benemerita potrebbe diventare immeritevole. Non è un caso che là dove c'è la separazione, praticamente in tutto il mondo occidentale, il PM è, in un modo o in un altro, collegato al potere politico. Chi altri potrebbe dargli le direttive di politica anticriminale, di priorità, di opportunità, di rilevanza, di urgenza? È un problema serio e ci si dovrebbe pensare seriamente, perché una democrazia senza separazione giudici-pubblici ministeri soffre, ma senza equilibrio fra poteri soccombe”.

Sapete di chi sono queste parole? Sono del senatore Marcello Pera, che certamente non può essere indicato nell'area di centrosinistra, che credo sollevi una questione importante, che è più o meno la stessa che vi abbiamo detto finora, relativa al togliere i 1.300 pubblici ministeri e metterli da una parte, senza garantire quell'autonomia e quell'indipendenza a tutta la magistratura, e soprattutto facendo di quei pubblici ministeri, appunto, dei superpoliziotti, dei superaccusatori, che avranno e continueranno ad avere non solo la Polizia giudiziaria, ma avranno anche il proprio Consiglio superiore della magistratura.

Beh, francamente - lo abbiamo detto infinite volte, lo ripetiamo -, a noi sembra una eterogenesi dei fini, cioè significa esattamente fare il contrario di quello che avete detto e di quello che mettete alla base della proposta sulla separazione delle magistrature. Noi non la chiameremo più “separazione delle carriere”, perché non lo è, perché quelle erano già separate, perché le funzioni erano già distinte, perché, se volevate veramente fare la separazione delle carriere, non c'era bisogno di portarci qui a fare una riforma costituzionale, era sufficiente una legge ordinaria che prevedesse due distinti concorsi pubblici. Evidentemente, però, l'obiettivo non è quello - lo abbiamo già detto e lo ribadisco ancora una volta -, l'obiettivo non è quello di riorganizzare la magistratura, l'obiettivo è quello di indebolirla e il modo migliore per poterlo fare è attaccare l'organo di autogoverno, sdoppiandolo, prevedendo l'Alta Corte. Anche lì, penso che ci siano addirittura rilievi di incostituzionalità. Certo, non sono un costituzionalista, ma abbiamo ascoltato, fatto anche tante audizioni, addirittura abbiamo fatto audizioni come Partito Democratico, perché non ci avete consentito di fare le audizioni in questa lettura. Tante cose non ci avete consentito, non ci avete consentito neanche di fare le audizioni, però in quelle audizioni abbiamo ascoltato giuristi, abbiamo ascoltato la prima Presidente della Corte di cassazione, abbiamo ascoltato non solo giuristi, ma anche associazioni, preoccupate di questa modifica, che incide sulle garanzie e sulle tutele dei cittadini. Ebbene, tutte queste persone nella sostanza ci hanno detto che non sono chiamate a discutere sulla separazione delle carriere, ma sono chiamate a discutere sul perché volete togliere equilibrio ai poteri e alla separazione dei poteri.

Quello che poi non si capisce è perché, laddove - lo diceva anche il Presidente Violante -, c'è la necessità di trovare un riequilibrio, qui vi stiate affannando in un eccesso diametralmente opposto, cioè la politica che invade la magistratura, la politica che dice alla magistratura quello che deve fare. Questo significa semplicemente smembrare, smantellare la nostra Carta costituzionale, la nostra idea di democrazia liberale. Significa avere un'altra idea; oddio, è la vostra idea, ed è un'idea che viene da lontano, non a caso prima nella discussione generale ho citato Giorgio Almirante, la volontà di prevedere il sorteggio, perché, come diceva Giorgio Almirante, non è vero, o meglio, sottolineava che, in base alla Costituzione, i magistrati sono sottoposti soltanto alla legge e sto citando, ovviamente, la Costituzione; peccato però che il presidente Almirante poi intendesse dire - lo ha messo nero su bianco nella relazione illustrativa - che, a suo parere, il dovere esclusivo dei magistrati è quello di applicare la legge secondo la volontà del legislatore.

Queste parole a me sono risuonate un po' già sentite. Sa, Vice Ministro, da chi le ho sentite? Dalla Presidente Meloni, ma d'altronde la famiglia di appartenenza è quella. E la Presidente Meloni che cosa ci ha spiegato finora? Che i magistrati devono stare muti e zitti, che i magistrati non possono permettersi di non andare d'accordo con le leggi che vengono fatte dal Governo, non sia mai, mica dal Parlamento, noi qui siamo chiamati soltanto a ratificarle, voi siete chiamati soltanto a ratificarle. Quindi, crediamo che, in questa logica, la Presidente Meloni stia semplicemente facendo quello che ha sempre detto. Dopodiché, voi dite: state parlando di paure, state parlando di rischi, non è scritto nella legge. Mah, insomma, basterebbe leggere la relazione illustrativa, seppure breve, che dice tante cose e non sono cose che non possono non preoccupare. Però, quanto a credibilità, noi stiamo parlando del Governo che ci ha detto che, al primo Consiglio dei ministri, avrebbe abolito la Fornero. È il Governo che ci ha detto che, al primo Consiglio dei ministri, avrebbe abolito le accise.

Ora, siccome non soltanto le pensioni sono intoccabili, come è intoccabile la legge Fornero, non soltanto le accise stanno ancora lì, sono vive e lottano insieme a noi, che credibilità possiamo dare a un Governo il cui programma elettorale finora non solo non è stato rispettato, ma va in direzione diametralmente opposta a quello che è stato detto? Per cui, sinceramente, non solo non vi crediamo, non solo indichiamo dei rischi, ma purtroppo abbiamo alcune certezze. Purtroppo, ce lo dicono illustri membri di questo Governo, quali il Sottosegretario Delmastro Delle Vedove, lo stesso Ministro, la stessa Presidente del Consiglio. L'obiettivo è uno solo: l'obiettivo è mettere i magistrati sotto l'Esecutivo, l'obiettivo è cambiare il volto della democrazia liberale italiana, l'obiettivo è cancellare una Costituzione di cui non vi interessa niente, perché voi, quella Costituzione, non la rispettate, perché non l'avete scritta. E, allora, a chi, invece, quella Costituzione, ce l'ha nel DNA, ce l'ha nella propria storia, a noi non solo interessa salvaguardarla, interessa attuarla e ci interessa soprattutto lasciare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)

PRESIDENTE. Grazie, deputata Serracchiani.

Ha chiesto di parlare l'onorevole Simiani. Ne ha facoltà.

MARCO SIMIANI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, ancora una volta, ci troviamo di fronte a una narrazione pericolosa, una mistificazione che il centrodestra porta avanti da decenni: quella secondo cui la giustizia italiana, negli ultimi quarant'anni, sarebbe ostaggio di un presunto “partito delle toghe”, di un potere parallelo che avrebbe agito contro la politica. È questa, ci dicono, la ragione per cui bisognerebbe spezzare l'unità della magistratura e imporre la separazione delle carriere.

Ebbene, questa affermazione non è solo falsa, ma, come dite voi, è un'offesa a quello che oggi è quest'Aula e la Costituzione italiana; è un'offesa, perché offende non solo questa istituzione e la Costituzione, ma anche la magistratura, che ha lavorato con dedizione e sacrificio, spesso a rischio della vita, per difendere la legalità e per combattere le mafie, la corruzione, gli abusi di potere. E voglio ricordare molti uomini che hanno lottato, hanno combattuto e sono morti per il nostro Paese, come Francesco Coco, Vittorio Occorsio, Rocco Chinnici, Antonino Saetta, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Girolamo Minervini, Guido Galli, Mario Amato, Gaetano Costa, Rosario Livatino, Antonino Scopelliti: tutti uomini morti per il nostro Paese e per aver lottato con la convinzione che la nostra Costituzione e la magistratura fossero un elemento fondante della nostra vita sociale, economica e lavorativa.

Questa vostra proposta offende soprattutto questo Parlamento, perché getta fango su uno dei pilastri della nostra democrazia, insinuando che per quarant'anni la giustizia sia stata una giustizia deviata, di parte, ostaggio. È una narrazione che scredita l'Aula, in cui da stanotte discutiamo, ed è inaccettabile che si sia riproposta come un fondamento di una riforma che tocca i diritti fondamentali dei cittadini.

La verità, colleghi, è che non c'è stato mai un partito delle toghe, c'è stata una magistratura che ha fatto il proprio dovere, ci sono state sentenze che hanno colpito anche esponenti politici di alto livello, e questo non perché i magistrati fossero mossi da un disegno politico, ma perché, davanti alla legge, tutti devono essere uguali.

E in merito a questo principio, che qualcuno oggi vuole mettere in discussione, il centrodestra dice chiaramente di separare le carriere per garantire l'imparzialità, ma sappiamo bene che la conseguenza reale sarebbe un'altra: rendere i pubblici ministeri più vulnerabili al potere politico, limitare la loro capacità di indagare, ridurre l'indipendenza complessiva della giustizia.

Si vuole trasformare un problema di efficienza, perché di questo si tratta, in un sistema lento, sovraccarico, spesso inefficace. Un pretesto per indebolire le garanzie di libertà.

I cittadini ci chiedono una giustizia che funzioni meglio, che dia risposte rapide, che sappia coniugare rigore e umanità. Non ci chiedono di mettere i magistrati sotto il controllo dell'Esecutivo, non ci chiedono di sacrificare l'indipendenza in nome di un finto equilibrio. La vera riforma, se vogliamo parlare di futuro, non è quella della separazione delle carriere, ma è investire risorse e modernizzare gli uffici giudiziari, è garantire più personale, più strumenti, più tecnologia, è dare dignità a chi lavora nei tribunali, è dare un sogno anche a quei ragazzi che decidono di entrare in magistratura, di creare questa carriera che, in questo caso, può garantire non solo equilibrio, ma anche un futuro a un Paese come il nostro. In questo, soprattutto, il vostro parere è quello di poter togliere la libertà a chi, invece, oggi vuole rispettare la legge.

Questa è la vostra proposta, non dare addosso e colpire chi oggi vuole rispettare la legge.

E, allora, con forza lo ripetiamo in quest'Aula: questa riforma non è un passo avanti, è un passo indietro; non rafforza la giustizia, la rende più fragile; non tutela cittadini, li espone a rischi; non onora la Costituzione, la tradisce. Noi siamo qui per dire “no” con fermezza, perché difendere l'unità e l'indipendenza della magistratura significa difendere la democrazia.

State facendo una vera forzatura, state mortificando la Costituzione, state mettendo chiaramente in difficoltà oggi l'intero assetto dello Stato, visto che per anni e per decenni questo Paese ha garantito democrazia e libertà di espressione, capacità di poter mettere in campo, da parte dei partiti politici ma anche delle associazioni di categoria e dei sindacati, proteste e azioni in cui la libertà di espressione fosse il principale elemento di coesione di un popolo, ma soprattutto la capacità di mettere in campo un'azione concreta.

Voi avete pensato soprattutto una cosa, cari colleghi, ossia che colpire la magistratura o cambiare questo sistema fosse l'elemento principale della proposta politica. Voi state pensando soprattutto, però, a un aspetto su cui non riflettete: che due cose sbagliate non fanno mai una cosa giusta. E voi state attivando la seconda parte sbagliata di questo ragionamento, perché la prima è quella di mettere in discussione la magistratura, la seconda è quella di mettere in campo un sistema che non cambierà assolutamente niente; anzi, cercherà di mettere in difficoltà i cittadini ma soprattutto chi oggi dovrebbe rappresentare la terzietà di un Paese democratico come il nostro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Andrea Rossi. Ne ha facoltà.

ANDREA ROSSI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Siamo chiamati, come è stato ribadito in tanti interventi, a una riforma costituzionale che riguarda, appunto, la separazione delle carriere in magistratura. Non si tratta di un tema tecnico e marginale. Stiamo parlando di una trasformazione profonda dell'assetto del nostro sistema giudiziario, un cambiamento che, se approvato, avrà effetti concreti sulla qualità della giustizia, sull'equilibrio tra i poteri dello Stato e sulla fiducia dei cittadini nelle istituzioni.

Vorrei partire dalle ragioni che motivano il Governo e la maggioranza a portare avanti questa riforma. Dietro l'apparente volontà di migliorare l'organizzazione della magistratura è evidente che si intrecciano due elementi: da un lato, un intento punitivo nei confronti di una parte della magistratura e, dall'altro, una persistenza ideologica, storica, che caratterizza, appunto, la destra italiana quando si tratta del sistema giudiziario.

Il Governo e alcuni esponenti della maggioranza hanno più volte espresso pubblicamente senza esitazioni la percezione che la magistratura sia, in qualche modo, ostile e distante dagli obiettivi politici della maggioranza. Un messaggio chiaro, arrivato anche dal dibattito avvenuto in discussione generale con gli interventi dei deputati della Lega. Citare i casi giudiziari che hanno riguardato il loro capo politico, Matteo Salvini, per giustificare una magistratura politicizzata dimostrano un'idea di magistratura ma, soprattutto, di garantismo “alla carta”, molto frequente in questo Paese, e basta citare non da ultimo il caso di Bibbiano.

Una rappresentazione, quindi, semplificata che riduce la complessità di un sistema autonomo e indipendente a strumento di politica. La conseguenza è che la riforma della separazione delle carriere viene proposta non per migliorare il funzionamento della giustizia, ma per punire quella magistratura che esercita con responsabilità e indipendenza le proprie funzioni.

Parallelamente c'è un elemento ideologico, radicato da decenni. La separazione delle carriere non è un tema nuovo. Da oltre trent'anni, la destra italiana ne parla come di una soluzione necessaria, senza mai fare i conti con le trasformazioni che sono avvenute già nel nostro Paese, né con l'evoluzione della giurisprudenza, dei processi e della cultura giudiziaria europea. Anche oggi, davanti a contesti completamente diversi da quelli di allora, la proposta viene riproposta con la stessa rigidità ideologica. Non si tratta di un approccio pragmatico basato sull'analisi dei problemi reali, ma di un automatismo ideologico che rischia di allontanare la politica dalla comprensione concreta del funzionamento della giustizia.

Passando al cuore della questione, la riforma stessa presenta criticità strutturali rilevanti. La proposta prevede una netta separazione tra magistratura giudicante e magistratura requirente con effetti che non possiamo ignorare. In primo luogo, il pubblico ministero, che oggi è un organo di giustizia con il compito di garantire equilibrio tra l'obbligatorietà dell'azione penale e il buonsenso, rischia di trasformarsi in un accusatore seriale. La riforma, così come concepita, tende quindi a creare un soggetto formale sempre più concentrato sull'azione punitiva, a discapito della sua funzione originaria di garante del rispetto della legge.

Questo cambiamento avrebbe ripercussioni significative sulla terzietà del giudice. Il giudice non sarebbe più inserito in un unico ordine giudiziario dove le interazioni tra colleghi e l'esperienza comune garantiscono un equilibrio naturale, ma si troverebbe a confrontarsi con un sistema nel quale l'accusa è istituzionalmente separata e potenzialmente rafforzata; ciò aumenta il rischio di squilibri nelle dinamiche processuali e mina la fiducia dei cittadini nella neutralità delle sentenze.

In termini pratici, la riforma ignora problemi concreti e urgenti - come ricordato ieri dal collega Cuperlo ma anche in tanti altri interventi del nostro gruppo - in particolar modo quando si parla di durata dei processi, assunzioni di magistrati, rafforzamento del personale di cancelleria, implementazione del processo telematico, stabilizzazione dei componenti degli uffici del processo e condizioni carcerarie, come - lo dicevo prima - sottolineato da diversi interventi.

In un contesto simile, l'attenzione alla separazione delle carriere appare non solo scollegata dalle priorità reali ma anche pericolosamente fuorviante. La questione, guardate, non è meramente tecnica, è un problema politico, perché decide dove concentrare energie, risorse e attenzione. Scegliere di impegnarsi in un'azione ideologica significa trascurare la necessità di intervenire concretamente per rendere il sistema giudiziario più efficiente, rapido e accessibile.

A questo, si aggiunge pure la superficialità delle argomentazioni utilizzate dal Governo per giustificare la riforma: si è detto che l'articolo 111 della Costituzione e il principio del giusto processo impongono la separazione delle carriere, ma non è così. L'articolo 111 stabilisce le garanzie del processo, il diritto alla difesa, l'equilibrio tra le parti e il corretto svolgimento del giudizio, ma non definisce l'organizzazione interna alla magistratura.

Allo stesso modo, il modello accusatorio adottato con le riforme del 1988, che valorizza il confronto tra le parti per la formazione della prova, non richiede in alcun modo che i giudici e i pubblici ministeri siano separati da una barriera strutturale.

Il punto cruciale è che il sistema giudiziario italiano è stato progettato per garantire imparzialità e terzietà attraverso strumenti concreti: incompatibilità, astensione, ricusazione e rimessione del processo. Questi strumenti funzionano quotidianamente e costituiscono una difesa efficace contro la possibilità che il pubblico ministero eserciti un'influenza indebita sul giudice. Dati alla mano, le assoluzioni superano spesso - anche qui è stato ricordato da diversi colleghi - il 54 per cento. Ciò dimostra che il giudice mantiene un'autonomia decisionale anche quando l'accusa sostiene posizioni determinate. È evidente, quindi, come la riforma proposta non risponda a problemi reali ma tenti di correggere criticità percepite, più che esistenti.

La riforma ignora, inoltre, i dati concreti sulla mobilità fra le funzioni: oggi i passaggi tra pubblico ministero e giudice sono già estremamente limitati, inferiori all'1 per cento. Ciò dimostra che la preoccupazione della contaminazione tra funzioni è in gran parte teorica e non giustifica, appunto, anche qui, una riforma costituzionale radicale.

In sintesi, la proposta del Governo e della maggioranza appare guidata da un mix di volontà punitiva, rigidità ideologica e superficialità analitica. Non tiene conto dei problemi reali del sistema, ignora i dati concreti e propone una ristrutturazione che rischia di indebolire la magistratura giudicante e di ridurre la qualità complessiva della giurisdizione.

È necessario sottolineare i rischi concreti che deriverebbero dall'approvazione della riforma: la creazione di una magistratura requirente separata e rafforzata potrebbe generare quindi una concentrazione di potere che allontani il pubblico ministero della funzione di organo di giustizia, trasformandolo in un soggetto teso a ottenere il risultato processuale a ogni costo.

Questa dinamica, già presente in forma patologica in alcune situazioni, rischia di diventare strutturale e, con il tempo, potrebbe richiedere nuovi interventi legislativi o costituzionali per correggere, appunto, gli squilibri creati.

Un effetto collaterale significativo riguarda poi il rapporto tra magistratura e opinione pubblica: con l'accento posto sulla funzione requirente aumenterebbero inevitabilmente le pressioni sociali e mediatiche sugli operatori della giustizia, creando un clima in cui la performance dell'accusa diventa più visibile e centrale rispetto all'equilibrio tra difesa e accusa.

Questo fenomeno può minare la percezione d'imparzialità del giudice, indipendentemente dalle reali garanzie previste dal sistema.

Occorre fare attenzione, quindi, alla traiettoria futura della magistratura. Investire esclusivamente sul rafforzamento dell'organo inquirente significa trascurare la formazione equilibrata dei magistrati, la cultura della terzietà e l'ibridazione di competenze che fino a oggi hanno garantito un funzionamento complesso e armonico del sistema giudiziario. Ignorare questi elementi rischia di creare figure professionali specializzate unicamente nell'accusa, meno sensibili ai principi fondamentali della giurisdizione e meno preparate a interpretare i casi con equilibrio e attenzione alle garanzie dei cittadini.

Alla luce di tutto questo, diventa chiaro come il disegno della maggioranza non sia un semplice adeguamento tecnico bensì un intervento politico e ideologico.

Infine, un richiamo alla prudenza e alla lungimiranza: la Costituzione italiana, con l'equilibrio tra i poteri e la garanzia di indipendenza della magistratura, ha resistito a decenni di sfide politiche, economiche e sociali. Qualsiasi modifica radicale a questo equilibrio richiede serietà, analisi approfondita e rispetto della complessità del sistema.

Non possiamo permetterci di seguire l'urgenza ideologica del momento, trascurando la responsabilità che abbiamo verso i cittadini e il futuro della giustizia in Italia. È necessario dunque fermarsi e riflettere, ascoltare gli esperti, valutare i dati concreti e considerare scenari futuri senza cedere a slogan o semplificazioni. Solo così potremo veramente avere un modello di giustizia che sia efficace, equo e credibile, tutelando l'indipendenza dei magistrati e, al tempo stesso, garantendo il diritto dei cittadini a un processo giusto, rapido e imparziale.

In conclusione, il nostro obiettivo non è difendere un ordine costituito, fine a sé stesso, ma proteggere un equilibro istituzionale che rappresenta una garanzia fondamentale per la democrazia italiana. La riforma proposta quindi, così come concepita, rischia di compromettere questo equilibrio.

Presidente, siamo nel pieno della notte e vorrei concludere con una breve e simpatica metafora narrativa, che spero sia di buon auspicio: c'era volta un fiume che nasceva in una montagna; un fiume che scorreva allegro tra le rocce, saltava nelle cascate e accarezzava le radici degli alberi lungo le sue rive. Più cresceva, più diventava curioso: dove andrò a finire? Qual è il mio destino? Questo chiedeva ai pesci, agli uccelli e ai bambini che si tuffavano nelle sue acque. Un giorno arrivò lì, vicino al mare. Subito ebbe paura, davanti a lui non c'era niente, non un sentiero da seguire, ma un'immensità sconfinata: se entro lì dentro mi perderò, non sarò più io, il fiume. Il mare, sentendo i suoi dubbi, gli sussurrò: tu non ti perderai, tu diventerai parte di qualcosa di più grande, sarai ancora acqua, ma sarai ancora onda, corrente, respiro dell'oceano; non smetterai di esistere, cambierai forma. Così il fiume si lasciò andare, si immerse e, nel fondersi con l'oceano, non si perse finalmente d'animo, e capì di essere diventato infinito.

Chiudo veramente. In quest'Aula la maggioranza oggi ci ha incanalato in questa seduta fiume, appunto, ma arriveremo al referendum che sarà, quello sì, il nostro oceano, e lì sarà tutta un'altra storia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Scarpa. Ne ha facoltà.

RACHELE SCARPA (PD-IDP). Grazie, Presidente. Mi permetta di iniziare questo intervento stigmatizzando quanto è avvenuto questa sera con la convocazione improvvisa di una seduta fiume e anche di esprimere la mia solidarietà ai funzionari, ai commessi e al personale che lavora nella ristorazione della Camera. Loro, a differenza dei colleghi di maggioranza che hanno voluto imporre questa seduta notturna, rimarranno qui tutta la notte e ascolteranno tutti gli interventi, ed è solo grazie al loro lavoro se noi potremo esercitare l'ombra pallida di quello che è un dibattito parlamentare. Dico ombra pallida perché non una modifica, non un emendamento è stato approvato nel corso delle diverse letture di questo provvedimento. Forzature su forzature, come ormai questa maggioranza ci ha abituati, a rendere la democrazia un esercizio vuoto da svolgere davanti ad aule vuote. Io lo trovo triste, penso che sarebbe anche una questione di rispetto, a un certo punto, e quindi dico “vergogna” alle forze di maggioranza che oggi non si degnano nemmeno di ascoltare questa discussione e “grazie” a chi invece, lavorando, consente a noi di fare almeno quello che possiamo per esercitare i nostri diritti democratici di rappresentanti eletti.

Il testo che discutiamo viene presentato come un intervento di efficienza assoluta e di garanzia. Si viaggia per titoli, come “separazione delle carriere”, e per assiomi, come “la attendiamo da trent'anni questa riforma e risolverà tutti i problemi della giustizia”. In realtà, non penso che serva essere dei tecnici dell'argomento per comprendere che questa riforma non affronta nessuno dei problemi reali della giustizia e che, anzi, rischia di produrre degli effetti opposti a quelli dichiarati. Le ragioni sono due, e sono abbastanza plastiche davanti a noi: da un lato, c'è un intento punitivo nei confronti della magistratura, accusata di essere politicizzata quando non si piega al programma del Governo di turno e, dall'altro, c'è un'ossessione ideologica che la destra coltiva da decenni, riproponendo vecchie ricette che però, ormai, non rispondono ai problemi dei cittadini per quanto riguarda la giustizia.

Eppure, in questi trent'anni molto è cambiato: sono cambiati i limiti ai passaggi tra giudici e pubblici ministeri - l'hanno ricordato tantissimi colleghi: ormai è l'1 per cento la quantità dei giudici che fanno il passaggio da magistratura giudicante a magistratura requirente -, è cambiata la cultura del processo accusatorio, è cambiata l'Europa, dove molti Paesi guardano anche con interesse al nostro modello. Ma, ovviamente, nulla di tutto questo interessa alla destra, una destra che continua a ripetere gli stessi slogan di 30 anni fa, come se il tempo non passasse mai.

E così mentre la giustizia quotidiana arranca, con udienze fissate al 2030, con organici insufficienti, con il processo telematico che non funziona, il Governo decide di concentrare tutte le sue energie su una bella bandiera ideologica: non investimenti, non assunzioni, non soluzioni concrete, solo lo scalpo ideologico del titolo di questa riforma, che è la separazione delle carriere. Il risultato è una riforma inutile, rischiosa e pasticciata. Inutile perché - lo dicevo prima - il problema che dite di voler risolvere non esiste: meno dell'1 per cento dei magistrati cambia funzione nella carriera e, spesso, lo fa nei primi anni di servizio. Rischiosa perché spezza l'unità della giurisdizione - è una riforma costituzionale, un cambiamento serio, per cui, invece, probabilmente, sarebbe stata sufficiente una legge ordinaria - e si rischia di trasformare il pubblico ministero in un corpo separato, autoreferenziale, sempre più spinto verso la logica della condanna ad ogni costo e anche, quindi, inevitabilmente, esposto alla pressione del potere politico.

Pasticciata perché, oltre ad essere scritta piuttosto male, divide il Consiglio superiore della magistratura in due CSM, più un'Alta Corte disciplinare, indebolendo l'autogoverno dei magistrati e introducendo perfino il sorteggio dei membri. Una scelta che non ha nulla di democratico, a mio parere, e che rischia di produrre organismi fragili, meno rappresentativi e più permeabili all'influenza politica. Non è valsa neanche la nostra critica, penso costruttiva, rispetto alle quote e alla composizione di genere, che non è stata minimamente accolta, così come nessun'altra modifica.

Oggi, non stiamo, in ogni caso, discutendo di una vera e propria separazione delle carriere come il titolo vorrebbe far credere, lo ha spiegato la Corte costituzionale questo, che potrebbe essere realizzata con una legge ordinaria, che c'è già di fatto nella riforma Cartabia, qui si parla della separazione delle magistrature. È una scelta radicale, questa, che rompe l'unità dell'ordine giudiziario, creando due corpi distinti, ciascuno con un proprio Consiglio superiore, un proprio autogoverno, una propria logica corporativa. E questa, è bene dirlo con chiarezza, colleghi, non è un'operazione neutrale: dividere un organismo unitario significa indebolirlo, così come accade in natura, la frammentazione produce fragilità, sicuramente non forza.

Voi dite che lo fate per garantire l'imparzialità del giudice, ma l'imparzialità è spesso già garantita, ci sono regole di incompatibilità, di astensione, di ricusazione, ci sono criteri rigorosi di assegnazione dei procedimenti, c'è un codice che impone al PM di raccogliere non solo le prove a carico, ma anche quelle a discarico. È questa la vera garanzia per i cittadini, non di certo questa riforma costituzionale.

Un pubblico ministero non deve essere un accusatore di professione, deve restare un organo di giustizia perché, se diventa un accusatore, il rischio è duplice: da un lato processi meno equi, dall'altro la tentazione, prima o poi, di metterlo sotto il controllo dell'Esecutivo. Questa è la traiettoria che temiamo: dopo la separazione, l'assoggettamento al Governo. E questo non può essere accettato, non possiamo accettare tutto questo in un Paese che ha conosciuto una dittatura, che ha visto la giustizia piegata al potere politico; non possiamo accettarlo in un Paese che ha perso 28 magistrati assassinati dalle mafie e dal terrorismo, quasi tutti pubblici ministeri. E a loro dobbiamo rispetto, non riforme che cercano subdolamente di indebolire la loro funzione.

I cittadini non chiedono a questo Governo una giustizia potenzialmente piegata al potere. Chiedono una giustizia che funzioni, che sia rapida, che sia accessibile, che sia comprensibile; chiedono tribunali che non crollino, uffici che non siano deserti, personale sufficiente, digitalizzazione vera ed efficiente; chiedono di ridurre i costi e i tempi per garantire i diritti delle vittime e degli imputati. Niente di tutto questo c'è nella vostra riforma, non un euro in più, anzi, tagli per 500 milioni dal 2025 al 2027. Non una misura per accelerare i processi civili, che paralizzano famiglie ed imprese; non un intervento serio sulle carceri, che esplodono di sovraffollamento e sono il pozzo nero della nostra democrazia; nessuna visione sulla giustizia del futuro.

Avete scelto, invece, la scorciatoia ideologica, quella che divide, quella che colpisce un potere dello Stato, quella che alimenta la propaganda, certamente, ma sicuramente non risolve i problemi; ed è una scelta grave questa, un'altra che mina l'equilibrio tra i poteri e riduce le garanzie per i cittadini, a maggior ragione viste le modalità con cui le state portando avanti.

Noi non siamo qui a difendere una categoria, siamo qui a difendere i diritti di tutti, perché difendere l'autonomia del potere giudiziario significa difendere la libertà dei cittadini, significa dire che nessun Governo, nessuna maggioranza, può mettere la giustizia al proprio servizio, e, per questo, voteremo contro la vostra riforma, e siamo certi che anche il Paese, quando verrà chiamato a pronunciarsi, saprà dire con forza la stessa cosa: “no” a una giustizia piegata al potere, “sì” a una giustizia indipendente e al servizio dei cittadini, dentro la cornice della nostra Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Bakkali. Ne ha facoltà.

OUIDAD BAKKALI (PD-IDP). Grazie, Presidente. In quest'Aula, dove stanno risuonando le nostre voci, una dopo l'altra, se c'è uno spirito che non sta aleggiando è lo spirito delle leggi di Montesquieu, è la base della costruzione dell'idea di democrazia nella separazione dei poteri, principio che ha costruito l'idea di Stato moderno. E non aleggia in questa cosiddetta riforma, perché credo che lo abbiano detto in tanti, forse meglio, che in questa riforma non si parla di giustizia, non si parla di giustizia al servizio dei cittadini e delle cittadine.

Tocchiamo certamente il cuore della nostra democrazia, della nostra Costituzione; lo facciamo, seppur consapevoli tutti quanti, a partire da chi ha proposto questa riforma, che sarebbe stato sufficiente operare, se davvero fosse stato l'obiettivo separare le carriere, con una legge ordinaria. Invece si è voluto procedere quasi a dare un marchio, una solennità, una svolta epocale attraverso una riforma costituzionale. La cosiddetta separazione delle carriere in questa riforma viene proposta come una riforma di modernità, eppure non vi è nulla né di epocale, né di moderno; risuonano i titoli, risuonano le solite narrazioni, i soliti nomi che abbiamo sentito ripetere negli interventi della maggioranza, l'approccio ideologico, l'intento chiaro, dichiarato in tante sedi, di punire, di avere questo approccio di scontro, appunto, tra poteri e non di equilibrio.

Perché, per come è stata disegnata, questa riforma rischia di compromettere l'autonomia e l'indipendenza della magistratura, quei poteri, quei principi che sono pilastri del nostro Stato di diritto.

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE ANNA ASCANI (ore 3)

OUIDAD BAKKALI (PD-IDP). Questa riforma separa il pubblico ministero dal giudice, ma non lo eleva ad ordine autonomo; resterebbe una sorta di terra di mezzo, priva della piena dignità costituzionale che la Carta riconosce oggi all'ordine giudiziario unitario. Se ne indebolisce l'indipendenza, esponendolo a pressioni esterne, in particolare a interferenze della politica e del potere esecutivo. Il Consiglio superiore della magistratura è organo di autogoverno della magistratura stessa e la riforma vuole scinderlo in due organi distinti, smembramento, come abbiamo detto più volte.

E se vi è un apparente rafforzamento di autonomia, in realtà è una frammentazione che priva la magistratura della sua unitarietà e, con essa, della forza che deriva dal sentirsi parte di un unico ordine costituzionale. Il nuovo meccanismo prevede che la composizione dei due Consigli non sia elettiva, il sorteggio, il merito nel sorteggio, con una riduzione chiara del ruolo diretto della magistratura nella scelta dei propri organi di autogoverno. Si prevede di istituire un organo disciplinare separato, limitato ai soli magistrati ordinari.

Anche qui si tocca un principio fondamentale: il controllo disciplinare non è neutro, perché incide sull'indipendenza concreta dei magistrati. Chi giudica un magistrato per la sua condotta professionale deve poterlo fare senza vincoli esterni, senza condizionamenti, senza rischi di strumentalizzazioni politiche, che, invece, sono ordinari da parte di questo Governo. Questa riforma, quindi, non nasce per rafforzare l'equilibrio democratico; nasce per indebolire le garanzie, per scalfire l'autonomia della magistratura, e quindi di uno dei tre poteri che reggono la nostra democrazia.

E questo è tanto più grave in un Paese come il nostro, dove la storia repubblicana ci ha insegnato quanto sia fondamentale avere giudici e pubblici ministeri liberi da ogni condizionamento, una magistratura che è stata protagonista in pagine decisive della storia di questo Paese, nella lotta al terrorismo, nella lotta alle mafie, nella difesa dei diritti, proprio perché ha potuto esercitare le sue funzioni con indipendenza. Ogni riforma che mina questa autonomia è una minaccia alla giustizia, alla democrazia, alla capacità di ogni cittadino, al diritto di ogni cittadino di sentirsi tutelato, quando entra in un'aula di giustizia.

La scelta del Governo di affrontare questo tema attraverso la revisione costituzionale rischia di trasformare la Costituzione - questo lo abbiamo visto - in un campo di battaglia ideologico. La nostra Carta è stata costruita su un equilibrio delicato, frutto di compromessi tra culture politiche diverse, culture liberali che volevano sminare il campo dalle polarizzazioni, quelle culture politiche che hanno saputo integrarsi, che hanno saputo mettere insieme e fare sintesi su visioni del futuro, del futuro della nostra Repubblica, integrando le proprie culture, ma lo abbiamo già ripetuto.

La maggioranza di questo Governo e il partito di maggioranza di questo Governo questa Costituzione non la riconosce, non fa parte di quelle culture politiche che l'hanno costruita e portata avanti nel tempo.

Un collega di maggioranza, questo pomeriggio, si chiedeva quanto sarebbero stati soddisfatti i cittadini rispetto a questa riforma e come avrebbero percepito sulla propria vita quotidiana questa riforma. Io credo, noi crediamo, che non percepiranno assolutamente nulla, nessun tipo di vantaggio e di beneficio; questa riforma sarà irrilevante rispetto a quanto sta succedendo oggi nei tribunali, nelle procure.

Abbiamo citato la mobilitazione dei 12.000 precari. I cittadini oggi vogliono una giustizia rapida, una giustizia funzionale, una giustizia degna di fiducia, una giustizia che sappia porre rimedio, anzi, un Ministero che sappia porre rimedio a quelle che sono ormai mancanze croniche. Si va dal 17 per cento della pianta organica in deficit a situazioni che sfiorano il 40 per cento. Di fatto, quindi, strutture che non riescono a rispondere ai bisogni dei cittadini e delle imprese, e quindi a dare alle persone procedimenti, ma banalmente l'apertura degli sportelli al pubblico dentro ai tribunali, perché questo ci stanno dicendo quando stiamo nei nostri territori e visitiamo i tribunali o visitiamo questi luoghi.

Queste sono le emergenze che emergono e che, ovviamente, qui non troviamo nemmeno menzionate, così come crediamo a questo punto anche il fallimento di quanto, nel Piano di ripresa e resilienza, si poteva fare sul tema della giustizia. Noi crediamo che l'indipendenza della magistratura non sia un privilegio di una casta, ma una garanzia per tutti i cittadini. È ciò che assicura che un processo venga celebrato senza condizionamenti, che un diritto venga tutelato anche contro il potere più forte, che la legge sia davvero uguale per tutti.

Per questo diciamo con fermezza che la separazione delle carriere, così come è stata disegnata, non rafforza la giustizia, la indebolisce; non rende più libero il cittadino, lo rende più debole di fronte allo Stato e rende più debole il nostro Stato di diritto. Il Parlamento non può procedere a colpi di maggioranza su una materia tanto delicata. Abbiamo il dovere di difendere questa Costituzione, non di piegarla a interessi contingenti. Ecco perché noi continueremo a opporci anche fuori, nel percorso referendario, a questa riforma.

Vogliamo onorare chi in questa Repubblica, attraverso la sua Costituzione e attraverso quell'equilibrio dei poteri, ha voluto garantire i diritti dei nostri cittadini, perché questa Repubblica l'abbiamo voluta indivisibile, antifascista e giusta. E crediamo che questo potere, questo equilibrio dei poteri, sia alla base della garanzia di cittadinanza per i nostri italiani e italiane (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Ghio. Ne ha facoltà.

VALENTINA GHIO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Inizio anch'io con una considerazione di contesto, che poi è una considerazione sull'importanza che viene attribuita dalla maggioranza a questa istituzione, istituzione che cerchiamo di onorare anche questa sera. Da inizio mandato avete annunciato questa riforma come un cambiamento epocale, come uno degli elementi portanti del vostro percorso, e questa sera avete dato uno spettacolo eloquente anche del rispetto delle istituzioni, del Parlamento, con la posizione della seduta fiume, con voto giovedì, per consentire di svolgere gli appuntamenti elettorali, e, nel silenzio, comunque, anche in questo caso, come in molte altre situazioni, abbiamo avuto l'occasione di verificare.

Eppure ci apprestiamo e ci accingiamo a votare una riforma che interviene in maniera profonda, in maniera dirompente sull'architettura costituzionale della giustizia del nostro Paese; una riforma che nel suo impianto non si limita a correggere un sistema, ma lo trasforma radicalmente, alterando gli equilibri tra i poteri dello Stato, introducendo un principio che rompe la tradizione giuridica e costituzionale su cui si è fondata, sin dalla nascita della Repubblica, la nostra democrazia.

Il provvedimento separa, per via costituzionale, le carriere dei magistrati, e fin qui si potrebbe pensare anche ad un dibattito tecnico, un dibattito ordinamentale, ma è stato dimostrato dai tanti interventi che si sono susseguiti in queste ore, che ci sono stati in Commissione, ma anche quelli portati avanti da esperti, da giuristi, che non è così, perché questa non è una riforma tecnica. È una riforma politica, ma non nel senso più alto del termine. È una riforma della modalità che avete di gestire il potere, di pensare il potere.

È una scelta identitaria, ideologica, divisiva, e come tale va trattata, come tale pensiamo che vada giudicata.

L'ho detto anche in occasione della discussione generale: come Partito Democratico non ci siamo mai sottratti al confronto sulle riforme della giustizia, non abbiamo mai omesso di segnalare la necessità di miglioramenti. Abbiamo sostenuto, in più occasioni, che il sistema giudiziario ha bisogno di interventi profondi, e lo abbiamo detto e ribadito anche oggi: servono più efficienza, più tempestività. Ma nessuna riforma può essere considerata giusta se, invece, indebolisce le garanzie, anziché rafforzarle. E lo diciamo ancora una volta con chiarezza: questa riforma non serve alla giustizia, ma serve al controllo del potere sulla giustizia.

Il disegno che avete costruito non si limita a separare le carriere, che, del resto, avevano già un percorso e hanno già un percorso di separazione quasi reale, lo dimostra anche quell'1 per cento di passaggi fra una magistratura e l'altra, a maggior ragione rafforzato dalla riforma Cartabia del 2022. Ma quello che volete, con questa impostazione, è separare le culture, le funzioni e le visioni del diritto. Volete due magistrature chiuse, impermeabili l'una all'altra.

C'è una bella e profonda considerazione, opportuna in questo senso, seppur arriva da contesti diversi, che fece Piero Calamandrei nel 1952, sposando l'idea di un modello ordinamentale unico nella sua diversità, ribadendo l'importanza della leale collaborazione, della fiducia tra le diverse parti della giurisdizione, quando dice: “nel processo giudice e avvocati sono come specchi; ciascuno, guardando in faccia l'interlocutore, riconosce e saluta, rispecchiata in lui, la propria dignità”.

È diversissimo, ovviamente, il modello di cui parliamo, ma è diversissima anche la concezione dello Stato, la concezione dei poteri dello Stato, che va a modificare anche i principi, il senso dei principi dei padri e delle madri costituenti, che hanno impostato un equilibrato rapporto fra i poteri nel percorso costituzionale.

Questo è lo sforzo che dovremmo continuare a fare, che dovremmo continuare a perfezionare; voi state, invece, facendo l'esatto contrario, state andando a dividere gli attori della giurisdizione. E lo fate per ragioni ideologiche, in modo ideologico, perché pensate di punire in tal modo la magistratura. E l'ho detto, non era neanche necessario intervenire. La riforma Cartabia, appunto, aveva già stabilito barriere robuste tra le funzioni. Chi sostiene che serviva un intervento costituzionale non dice tutta la verità, perché non si tratta di separare solo delle funzioni, ma il vostro intento è proprio quello di intervenire sull'identità stessa della magistratura.

E, allora, la domanda è legittima: a chi giova tutto questo? Qual è lo scopo? Non giova certo ai cittadini, perché queste riforme e queste misure non contengono un solo intervento che incida su quella che è l'aspettativa e la necessità dei cittadini, i tempi dei processi, l'organico. Lo ribadisco, questa mattina, oggi, in piazza c'erano i precari della giustizia ad evidenziare ancora una volta delle problematiche evidenti. Non incide sull'accesso alla giustizia, non incide sulla digitalizzazione degli uffici e del processo.

Questo testo non interviene in alcun modo e non incide sul tema del sovraffollamento carcerario, e sappiamo bene che elemento di tragicità rappresenta per il nostro Paese questo tema; sappiamo quanto siamo stati ripresi anche dagli organismi internazionali su questo tema. Ma il Governo è impegnato in tutt'altra operazione, riformare la Costituzione per piegare la giustizia a una logica di potere. Non si era mai visto, in epoca repubblicana, un disegno di legge costituzionale che arriva in Parlamento così come è uscito dal Consiglio dei ministri, senza modifiche, senza apertura al dialogo e senza alcuna disponibilità ad un percorso condiviso.

Nemmeno l'emendamento sulla parità di genere avete pensato di accettare, avete pensato di inserire. Che cosa avrebbe cambiato nel disegno complessivo? Questo è grave, è molto grave, perché una riforma costituzionale, per definizione, non può essere imposta esclusivamente a colpi di maggioranza. Deve essere costruita nella condivisione, nel rispetto delle reciproche posizioni, delle diverse visioni, della responsabilità istituzionale.

Queste parole “responsabilità istituzionale” esprimono una sostanza che manca, che è mancata in questi anni e che continua a mancare, soprattutto quando i rischi che questa riforma, che andate ad approvare direttamente in solitudine, porta con sé sono gravissimi. Intanto per il centro di questo percorso, ovvero il fatto di rendere radicalmente separate le carriere, senza adeguati contrappesi, significa rendere il pubblico ministero più esposto alle pressioni esterne, più vulnerabile rispetto all'Esecutivo e meno libero di esercitare la funzione che gli deriva anche dalla Costituzione.

Poi, il disegno dei Consigli superiori della magistratura, spezzettati, più deboli, permeabili e facilmente condizionabili, ancora di più se il meccanismo che avete previsto per formarlo è un meccanismo che non premia il merito, che non seleziona le competenze, non costruisce responsabilità, ma avviene attraverso il sorteggio. Quindi, se viene meno la cultura del dubbio, la logica della prova, se si distrugge il legame tra chi accusa e chi giudica, non crediamo proprio che avremo una giustizia più giusta; avremo solo una giustizia più esposta, una giustizia più fragile, una giustizia più politicizzata.

Quindi, il Governo non interviene su quello che serve ai cittadini, ma preferisce la battaglia ideologica, il posizionamento della bandierina della separazione delle carriere, senza preoccuparsi, nei fatti, del ruolo del Parlamento, ma soprattutto delle reali esigenze dei cittadini e delle cittadine.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Prestipino. Ne ha facoltà.

PATRIZIA PRESTIPINO (PD-IDP). Presidente, eccoci in questa seduta fiume che avete imposto a quest'Aula. Sono passate le 3 del mattino e siamo qui a discutere, in un'Aula vuota, di un disegno di legge costituzionale che propone la separazione delle carriere nella magistratura. È un intervento normativo in merito al quale nessuno sembra avere interesse al fatto che avrà conseguenze significative sul sistema giuridico, sulla reale separazione dei poteri nel nostro Paese.

Come rappresentanti del Partito Democratico - voglio sottolineare, democratico - dobbiamo al nostro Paese la chiarezza che merita. Qui stiamo parlando non di una riforma, ma di un tentativo del Governo di invadere i confini di uno dei tre poteri dello Stato, quello giudiziario, attraverso una riforma che ha tanto il sapore della punizione; una punizione verso chi, per Costituzione, è chiamato a giudicare e indagare ciascun cittadino italiano, a prescindere dal posto che occupa nella società, a prescindere dal suo essere o meno membro del Governo.

Si tratta, quindi, di un attacco meditato da anni, anche contro le garanzie costituzionali del giusto processo e dell'indipendenza della magistratura, che è una sola, una sola, senza una netta distinzione tra le carriere. Poiché ad essere diversa è solo la funzione esercitata e non il ruolo, quello fondamentale di garantire un uso equo e imparziale della giustizia, cioè la forma più alta di tutela degli individui. Per questo la riforma da voi sostenuta non solo è inadeguata a risolvere i problemi della giustizia in Italia, ma è soprattutto dannosa per il nostro ordinamento.

La separazione delle carriere, giudicante e requirente, e l'idea di creare due organi distinti di autogoverno rendono chiaro il vostro disegno: una legittimazione di un sistema che, sotto l'apparente proposito di un miglioramento nell'andamento degli uffici giudiziari, potrebbe, invece, portare a un'accresciuta conflittualità tra le diverse carriere della magistratura. Eppure, lo sapete, lo sappiamo, siamo in un momento in cui la credibilità della magistratura è già fatta oggetto di attacchi, con le polemiche da tutti noi conosciute sui giornali, sui media, nei talk show, e portate avanti proprio da chi oggi vuole l'approvazione di questa riforma: il Governo.

Ma sappiamo tutti che separare quel che per ruolo è sempre stato unito non è la soluzione ai mali che affliggono l'amministrazione e gli uffici giudiziari. Guardate, è un cahier de doléances: mancato rafforzamento degli organici, nessun investimento in formazione e sviluppo del personale. C'erano 15.000 persone, proprio di questo settore, a protestare. Lo hanno detto bene i miei colleghi. Nessun investimento, uffici al collasso sotto il peso di un contenzioso mai proporzionato alle pochissime risorse stanziate e il doloroso taglio di 500 milioni in 2 anni, di cui tanto si è parlato.

Questo vorrebbe dire guardare ai problemi. Invece, anziché rispondere alle vere esigenze dell'apparato giudiziario a garanzia dei cittadini, questo disegno di legge sembra cercare di accontentare le pulsioni di un Governo che vuole monopolizzare le norme e i poteri della magistratura. Inoltre, voglio sottolineare un altro aspetto critico della riforma: il sistema preposto con un meccanismo di estrazione a sorte per la composizione di due separati organi di autogoverno.

Questa è una cosa che fa veramente sorridere, se non fosse che da insegnante di storia e letteratura greca ricordo bene quali organismi democratici venivano eletti a sorte, ma siamo in ben altro periodo e in ben altro contesto. Questo approccio viene giustificato come un tentativo di garantire rappresentanza, ma in realtà sembra più vicino a un gioco che per tradizione viene praticato sotto le festività natalizie. Chissà se anche in questo gioco della fortuna le estrazioni saranno fatte con i numeri che vanno da 1 a 90.

Sì, lo so, bisogna anche utilizzare un po' di ironia, di questo mi perdonerete, ma la competenza e l'esperienza non sono una questione di fortuna e non possono ridursi a qualcosa che somiglia a un gioco piuttosto che a una questione riguardante 60 milioni di italiani, quelli che noi qui rappresentiamo, o meglio, dovremmo rappresentare. L'agenda politica di un Governo dovrebbe essere basata sull'idea di voler rafforzare gli strumenti a disposizione di chi amministra la giustizia e non su iniziative che sembrano più voler occupare un dibattito politico fatto di pregiudizi e idee distanti dalle reali esigenze del Paese.

Non possiamo permettere, colleghi e colleghe, che un disegno di legge come questo diventi la bandiera di un messaggio distorto su quale debba essere il futuro della magistratura italiana. Per tutto questo davvero invito ciascuno di voi a riflettere molto attentamente prima del voto. Dobbiamo difendere un sistema giuridico che si basi su valori di equità, trasparenza e competenza, e non possiamo permettere che la separazione delle carriere segni la fine di un'idea di giustizia integrata e collegiale.

Quindi, so che sarà un appello che cadrà nel vuoto. Vi chiedo di valutare, di valutare con attenzione le conseguenze di questo disegno di legge, contro il quale noi voteremo convintamente, senza mai dimenticare che, come viene ricordato a chiunque entri in un'aula di tribunale, la giustizia è amministrata in nome del popolo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Mauri. Ne ha facoltà.

MATTEO MAURI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Intervengo per aggiungere qualche riflessione a quelle che hanno già fatto bene i colleghi che hanno sviscerato la natura di questo provvedimento e messo in luce tutte le lacune e soprattutto tutti i pericoli che porta con sé. Io vorrei fare un paio di riflessioni. La prima è questa: la natura profonda di questo provvedimento è legata al livore che in tutti questi anni la destra e il centrodestra hanno dimostrato nei confronti della magistratura.

Qualcuno ricordava prima le parole di Berlusconi, che, quando si parla di giustizia, viene sempre evocato come se fosse un padre della Patria, non da tutta la destra, ma almeno da una parte della destra, che ha fatto della battaglia non per la giustizia, ma contro il sistema della giustizia, un tratto distintivo della sua azione politica e, devo dire, anche della sua esperienza personale.

Nonostante qualche dichiarazione, che mi sembra un po' folcloristica, che ho sentito, la verità è che a destra c'è un vizio, ed è un vizio pesante in democrazia e, in generale, in un sistema liberale, cioè quello di non difendersi mai nel processo, ma cercare di difendersi dal processo. E, in questo caso, è il tentativo preventivo di intervenire sulla norma per difendersi dai processi.

Io credo che ci sia consapevolezza dentro la maggioranza e dentro il Governo del danno che si produce, ma che ci sia anche grande indifferenza, perché è difficile definire questa legge figlia del programma di Governo, come spesso viene sbandierato, perché questo Governo non ha un programma e non ha mai avuto un programma. Questo Governo ha le bandierine ideologiche dei partiti che lo compongono e non è un caso che questa legge sia stata definita, in quest'Aula, un baratto, perché questa è un pezzo del baratto, che vede i tre partiti principali portatori di proprie istanze, di proprie bandiere e bandierine ideologiche, che vengono giustapposte dentro uno schema tutto meno che organico - nemmeno nella logica della destra e del centrodestra -, su cui si costruisce una competizione anche interna. Per cui, da un lato, vi è l'autonomia differenziata, come qualcuno ha detto, dall'altro, la separazione delle carriere e, dall'altro ancora, il premierato, con la bandierina, che forse, in realtà, sembrava la più piccola all'inizio della legislatura, che, di fatto, è quella che si trova ad essere più avanti sul percorso di approvazione, cioè quella delle carriere.

Di questo stiamo parlando. Stiamo parlando del tentativo di tenere insieme, da un lato, una campagna elettorale permanente, dall'altro, il tentativo, molto presente in questo Governo, di identificare sempre e comunque dei nemici - se non è l'opposizione, sono gli stranieri alle porte, se non sono gli stranieri alle porte, sono i magistrati - e, di conseguenza, fare quello che molti di loro hanno sempre voluto fare, cioè provare a destabilizzare la magistratura, a togliere peso e rilevanza, a incidere in maniera profonda sull'equilibrio dei poteri. Ascoltate l'espressione: “equilibrio dei poteri”. Capite quanto è rotondo e quanto è importante questo aspetto. Qui si sta cercando - temo con un certo successo, poi, ovviamente, vedremo cosa accadrà con il referendum - di fare esattamente questa cosa: entrare in profondità, minando l'autogoverno della magistratura e, di conseguenza, minando l'autorevolezza della magistratura, anche di fronte ai cittadini. Perché è del tutto evidente che, se c'è una parte politica che fa della propria azione politica, della propria iniziativa politica l'attacco a un soggetto, qualsiasi esso sia, è chiaro che produce un danno, perché orienta e contribuisce ad orientare anche un pezzo dell'opinione pubblica.

Ma noi cosa vogliamo? Noi vogliamo un sistema in cui ci sono i cittadini contro i magistrati? Pensiamo che si possa reggere un meccanismo su continue contrapposizioni? Io penso che dovrebbe essere esattamente il contrario e con questo - badate bene - noi non stiamo dicendo che va tutto bene, madama la marchesa, perché basta guardare, anche con un minimo di attenzione, a ciò che accade quotidianamente per capire che le cose non vanno bene. Ma, allora, la domanda è: questo è il modo, più o meno condivisibile, per mettere mano ai problemi della giustizia, per dare un servizio migliore ai cittadini, per garantire i cittadini su un aspetto molto rilevante della propria vita personale e della vita del sistema Italia? No. Qui non è che c'è un'idea diversa, non è che si può condividere o meno la scelta di mettere mano in questo modo al sistema per migliorarlo, perché qui non si vuole migliorare il sistema. Qui si fa semplicemente un'operazione di arroganza politica, per la quale ci si scaglia contro la magistratura e non si fa niente per migliorare il sistema magistratura.

Dove sono i soldi? Dove sono le iniziative per avere più personale amministrativo, che, poi, è proprio il gradino su cui cade spesso anche il sistema e allunga i tempi? Dov'è un sistema di formazione adeguato? Dove si interviene sul sistema carcerario? Cioè, quali sono le iniziative concrete e sostenute anche dall'aspetto economico? Faccio notare che, in tantissima parte dei provvedimenti di questo Governo, si parla, si parla, ma di soldi non se ne vede mai l'ombra. Vale per la giustizia adesso, vale per la sicurezza, vale per la cybersicurezza, vale per mille ambiti. Dove sono queste iniziative? Io ho ascoltato anche con attenzione le parole che qualche - pochi, a dire la verità - esponente del Governo e della maggioranza ha voluto spendere su questo tema. Oggi, in Commissione, ho ascoltato con attenzione le parole del Vice Ministro; io però, sinceramente, ho trovato la difesa d'ufficio anche ben argomentata, viste le capacità del Vice Ministro, ma non ho trovato alcun argomento che rispondesse a queste domande. Che non sono le mie domande, che non sono le domande del Partito Democratico, che non sono le domande dell'opposizione, ma sono le domande dei cittadini. Cioè, voi con questa, chiamiamola riforma, sicuramente costituzionale, non avete messo al centro della vostra riflessione i cittadini con le loro esigenze, avete messo al centro della legge le vostre esigenze politiche, i vostri desiderata, la vostra arroganza e la vostra voglia di dimostrare, in una prova di forza muscolare continua, chi comanda tra voi e i magistrati.

Il tema è che ognuno, in un sistema equilibrato - come dicevamo all'inizio -, deve fare il proprio pezzo. A me sembra, sinceramente, che qui chi stia facendo al peggio il proprio pezzo purtroppo siate voi, e dico “purtroppo” perché, alla fine, a farne le spese qui siamo tutti. E guardate che l'arroganza non è sempre sinonimo di forza, spesso è anche sinonimo di debolezza, e io penso che questa debolezza ci sia e sia legata esattamente a quello che dicevo prima. L'arroganza di venire in Parlamento presentando una legge non modificabile non è un gesto di arroganza solamente nei confronti delle minoranze, è un gesto di arroganza anche nei confronti della maggioranza. Impedire anche alla maggioranza, a un deputato di maggioranza, di poter alzare la mano e dire la propria, di poter intervenire su un testo di Governo, è una violenza complessiva nei confronti del Parlamento, e non solo della minoranza. Ovviamente qui c'è la massima acquiescenza: tutti inchinati per spiegare perché il Governo ha ragione, non per dire cosa si sarebbe dovuto fare.

Allora chiudo, la Presidente giustamente mi annuncia che stiamo per finire il tempo. Io, sinceramente, non mi sento nemmeno di fare un appello alla maggioranza, perché, quando c'è la malafede c'è la malafede, e con la malafede - fatemi dire - nessuno è andato particolarmente lontano. Voi dite spesso: il consenso, i cittadini. Vedremo il consenso e i cittadini cosa diranno.

PRESIDENTE. Grazie, Onorevole.

Ha chiesto di parlare il deputato Mancini. Ne ha facoltà.

CLAUDIO MANCINI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Colleghe e colleghi, esponenti del Governo, io penso che la migliore notizia della serata sia la vostra decisione di accelerare questa seduta fiume, la decisione di anticipare i tempi, l'ultima lettura al Senato, poi, finalmente, andremo al confronto nel Paese, andremo a un referendum. Il referendum sarà su di voi: voi che siete contro i magistrati, voi che siete contro i giornalisti, voi che siete contro quelli che vanno a ballare, voi che siete contro gli studenti che vanno in piazza, voi che siete contro tutti quelli che protestano, voi che siete contro chi perde il lavoro, voi che siete contro la povertà.

Quando ci sarà il referendum, Presidente, sarà un giudizio sul Governo, su questi anni, sulla vostra politica. Non pensiate di trasformarlo in una discussione sui cavilli giuridici; vi siete messi dentro un processo politico che porterà gli italiani a misurare nel referendum il consenso del Governo. Voi raccontate di avere il consenso degli italiani; in realtà, in questo Parlamento avete una grande maggioranza di parlamentari, ma avete preso solo il 37 per cento dei voti del 60 per cento dei cittadini, che hanno votato. Questo vuol dire che in pratica vi ha votato un italiano su quattro, vuol dire che quando entrate in un bar, su quattro persone, tre non vi hanno votato. E quelle tre avranno la possibilità di venire a votare al referendum e di votarvi contro. Votare contro la vostra riforma della Costituzione contro i magistrati e usare quel voto per dare un giudizio sul vostro Governo. Voi sperate che la gente rimanga a casa, sperate nella sfiducia, nella rassegnazione, ma non sarà così, perché nel referendum costituzionale, lo sappiamo, non serve il quorum, e i cittadini comprendono, capiscono che quel voto è utile e verranno a votare.

Per voi sarà un giudizio senza appello, perché questo referendum costituzionale lo avete imposto come Governo e come maggioranza, quindi se lo perdete, il Governo deve andare a casa, si deve dimettere. E quando avrete perso il referendum e il Governo si dovrà dimettere, dovrete decidere: un anno di agonia della legislatura, facendo un nuovo Governo - da soli, perché certo noi non vi aiuteremo -, oppure le elezioni anticipate, dopo una sconfitta referendaria e dopo la caduta del vostro Governo. Grazie, noi siamo pronti a raccogliere i frutti di questa vostra iniziativa scellerata. E lo faremo mettendo assieme non solo le forze politiche dell'opposizione, ma chiamando i cittadini a un giudizio su di voi. E il giudizio su di voi sarà rafforzato dal fatto che nel Paese le condizioni reali delle persone non sono migliorate: aumentano i prezzi, i salari rimangono fermi; cresce l'inflazione e voi parlate d'altro; c'è una distanza, che cresce, tra il vostro discorso pubblico e le preoccupazioni delle cittadine e dei cittadini. Quindi il referendum, che sarà a valle di questo provvedimento, è bene che venga rapidamente, perché prima ci sarà un giudizio dei cittadini e prima si metterà fine all'agonia di questo Governo e all'agonia di questa legislatura. Legislatura che, al di là dei provvedimenti bandiera, al di là dei provvedimenti punitivi, al di là delle bandierine che sono state raccontate nel dibattito, nel corso degli interventi di tante colleghe e colleghi, ha già sostanzialmente esaurito la sua funzione. Non c'è un'idea da parte del Governo su come affrontare la situazione economica, non c'è una prospettiva su come affrontare la prossima legge di bilancio; si preannunciano misure confuse, spesso punitive, il taglio verso gli enti locali, che è già stato annunciato, perché principalmente gli enti locali non li governate e quindi pensate che si possano tagliare le risorse; non vi interessa se poi questo porterà al taglio dei servizi, al taglio del trasporto pubblico locale, delle politiche sui servizi sociali.

Ora, avete scelto la forzatura di una modifica della Costituzione senza confronto e noi andremo davanti ai cittadini e vi metteremo sul banco del giudizio dei cittadini. Perderete il referendum, questo farà cadere il Governo, si aprirà una stagione positiva per il Paese e di questo, Presidente, noi saremo protagonisti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Romeo. Ne ha facoltà.

NADIA ROMEO (PD-IDP). Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghi, si sente?

PRESIDENTE. Deve tirare un po' su il microfono. Perfetto.

NADIA ROMEO (PD-IDP). Così va bene?

PRESIDENTE. Così meglio.

NADIA ROMEO (PD-IDP). Bene. Onorevoli colleghi, anche se - devo dire - l'ora è tarda, non possiamo non portare avanti quello che riteniamo sia davvero un provvedimento sbagliato. “Nel processo giudici e avvocati sono come specchi; ciascuno, guardando in faccia l'interlocutore, riconosce e saluta, rispecchiata in lui, la propria dignità”. Non lo dico naturalmente io, ma così parlava Piero Calamandrei nel 1952, ricordando che la fiducia tra gli operatori del diritto nasce anche dalla comune appartenenza a un'unica cultura giurisdizionale. E aggiungeva: l'avvocato si fida dei giudici, perché ieri furono avvocati come lui e il magistrato si fida dell'avvocato, perché sa che domani salirà anche lui, dalla sbarra del difensore, al banco del giudice. E, quindi, cosa succede? Queste parole sono davvero più attuali che mai, perché questa cosiddetta controriforma costituzionale quel gioco di specchi lo frantuma.

Oggi siamo chiamati a discutere questa proposta: una proposta che presentate come riforma della giustizia, ma che è in realtà una controriforma ideologica, punitiva e pericolosa per l'equilibrio democratico del nostro Paese.

La separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, che volete introdurre, non nasce da un'esigenza di efficienza o di garanzia del giusto processo, ma da un intento chiaro e inequivocabile: indebolire l'autonomia e l'indipendenza della magistratura sotto la bandiera di un cambiamento tanto inutile quanto dannoso. Anche perché dobbiamo chiarire un punto fondamentale. Lo hanno chiarito più colleghi in quest'Aula, però sembra non sortire effetto. Lo ribadiamo: nel nostro ordinamento la distinzione tra le funzioni giudicanti e quelle requirenti esiste già. La riforma Cartabia, votata anche da molte forze oggi proprio sedute in questa maggioranza - non questa sera, perché non ci sono, però, insomma, ci sono -, ha introdotto limiti stringenti alla mobilità tra i due ruoli: un solo passaggio consentito in tutta la carriera entro i primi 9 anni. I numeri quindi sono davvero chiari: meno dell'1 per cento dei magistrati effettua questo passaggio ogni anno. Quindi parlare di commistione è un falso problema; è un falso problema costruito per legittimare una riforma che nulla ha a che fare con la realtà. Mi chiedo: è davvero necessario stravolgere la nostra Carta costituzionale per impedire questi 20 passaggi l'anno? Ripeto: forse è meglio iniziare a sgombrare il campo delle favole e raccontare la verità agli italiani. Questa controriforma del Governo Meloni è soltanto un feticcio ideologico, è fuori tempo massimo ed è da porre sul tavolo della contrattazione tra le componenti di questa destra di Governo, con la Lega che pretende l'autonomia differenziata, Fratelli d'Italia che sbandierava il presidenzialismo, ma si accontenterebbe anche del premierato, e Forza Italia che ormai ha una fissa da trent'anni per la separazione della carriera dei magistrati. Anche se, a dire il vero, non di separazione delle carriere si tratta, ma di qualcosa di diverso e più profondo. Infatti, per separare le carriere mantenendo un unico ordine giudiziario non serve affatto una modifica costituzionale. La Corte costituzionale è stata chiarissima sul punto. Nella sentenza n. 37 del 2000 ha precisato che la Costituzione, pur considerando la magistratura come unico ordine, soggetto ai poteri dell'unico Consiglio superiore, non contiene alcun principio che imponga o, al contrario, precluda la configurazione di una carriera unica o di carriere separate fra i magistrati addetti rispettivamente alle funzioni giudicanti e a quelle requirenti, o che impedisca di limitare o di condizionare, più o meno severamente, il passaggio dello stesso magistrato nel corso della sua carriera dalle une alle altre funzioni.

In altri termini, la separazione delle carriere in senso proprio, con la previsione di concorsi differenziati, di una progressione ispirata a criteri e a valutazioni diverse e l'impossibilità di transitare da un ruolo a un altro, non trova alcun limite nella Carta costituzionale e potrebbe decisamente, come hanno detto più colleghi, essere realizzata anche attraverso una legge ordinaria, purché rimanga un unico ordine e un unico Consiglio superiore. Invece questa controriforma, pur proclamando l'unitarietà dell'ordine giudiziario, lo divide in due magistrature, quella requirente e quella giudicante, che saranno governate da due CSM differenti.

Al di là delle proclamazioni di principio, l'ordine unico, anche se permanesse tale, ne risulterebbe sicuramente indebolito, perché in natura, come nelle istituzioni, la divisione di un organismo unitario ne determina generalmente il ridimensionamento. Pertanto, risulta chiaro che tale controriforma persegua non la separazione delle carriere, ma la separazione delle magistrature.

È altrettanto vero che nel nostro modello processuale il pubblico ministero e il giudice sono già distinti in modo chiaro e netto sul piano funzionale. Questa diversificazione delle funzioni non richiede in alcun modo una differenziazione, quindi, anche sul versante ordinamentale.

Allora, è davvero facile cogliere l'intendimento punitivo del Governo: si procede alla separazione delle magistrature perché si vuole colpire la magistratura, che, per Costituzione, è autonoma e indipendente e non è responsabile dell'attuazione politica del programma della maggioranza di turno.

Anche l'introduzione del sorteggio per la nomina dei componenti di ciascuno dei due Consigli superiori, con l'estrazione a sorte, per un terzo, da un elenco di professori e avvocati compilato dal Parlamento in seduta comune e, per i restanti due terzi, rispettivamente tra i magistrati giudicanti e i magistrati requirenti, in realtà, appalesa proprio ulteriormente lo spirito punitivo della controriforma, che punta a delegittimare l'autonomia e la credibilità della magistratura e a colpire il fenomeno associativo giudiziario, che è un diritto garantito costituzionalmente, facendo apertamente intendere che il secco fato darebbe risultati migliori della libera e autonoma scelta dei magistrati.

Ma allora potremmo andare avanti, anche perché la separazione potrebbe costituire anche una maggiore distanza tra pubblico ministero e giudice, perché nessun condizionamento deriva dalla pura stretta colleganza tra i giudici: stesso concorso, stessa carriera, stesso CSM. Ma i giudici d'appello non si fanno scrupoli a riformare le sentenze dei loro colleghi di primo grado.

Discorso simile può essere fatto per i rapporti tra i pubblici ministeri e i giudici. La percentuale di assoluzioni pronunciata in primo grado lo conferma: nel 2019 il 50 per cento delle pronunce del tribunale monocratico è stato dato da proscioglimenti, di cui il 39 per cento di assoluzioni nel merito; nel collegio i proscioglimenti invece sono stati il 35 per cento. Anche qui nessun condizionamento derivante dalla colleganza tra appartenenti alla stessa magistratura: stesso concorso, stessa carriera, stesso CSM. I giudici si discostano dal posizionamento del pubblico ministero e assolvono più di quanto condannino.

Detto questo, solo per non ripetere tutto ciò che è già stato detto in quest'Aula, allora noi dobbiamo porci una domanda, necessaria, forse un po' scomoda: ma qual è l'obiettivo di questa riforma? Separare le carriere, e peggio ancora forse le magistrature, significa snaturare la figura del pubblico ministero, trasformandolo da organo di giustizia a mero accusatore professionale, autoreferenziale, isolato dalla cultura giurisdizionale, più facilmente esposto alle pressioni mediatiche e politiche. Questo è il pericolo.

È quello che avviene anche in molti altri ordinamenti europei, dove accade che si separano le carriere e, non a caso, i pubblici ministeri poi dipendono dall'Esecutivo. Credo - mi sembra evidente - che la strada che si vuole imboccare qui sia la stessa: indebolire l'obbligatorietà dell'azione penale, aprire la porta alla discrezionalità politica sulle indagini, decidere quali reati perseguire e quali ignorare. Insomma, il controllo del potere.

Signori, non è questa, colleghi, la giustizia che noi vogliamo; non è questa la giustizia che ci è stata consegnata dai nostri (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)

PRESIDENTE. Grazie, onorevole, ha esaurito il suo tempo. Ha chiesto di parlare il deputato Care'. Ne ha facoltà.

NICOLA CARE' (PD-IDP). Grazie, signora Presidente. Colleghe, colleghi, oggi discutiamo di una riforma che il Governo presenta come modernizzazione, ma che in realtà rappresenta un colpo all'equilibrio costituzionale su cui si fonda la nostra Repubblica. Parliamo della separazione delle carriere tra magistratura requirente e giudicante.

Il Partito Democratico, insieme alla nostra segretaria Elly Schlein, lo ha detto chiaramente: noi siamo contrari. Siamo contrari perché questa non è la riforma che i cittadini aspettano, non accelera i processi, non rende più accessibile la giustizia, non riduce le disuguaglianze. Questa riforma non nasce per i cittadini, ma per il potere politico.

Separare le carriere significa spezzare l'unità della magistratura, significa rendere i pubblici ministeri più vulnerabili, più esposti, più controllabili; significa, sì, aprire la strada a una giustizia meno libera, meno indipendente, meno coraggiosa. E noi sappiamo bene che una giustizia che non è libera non è mai davvero giusta.

La Costituzione, all'articolo 101, ci ricorda che i magistrati sono soggetti soltanto alla legge, non a un Ministro, non a un Governo, non a una maggioranza: solo alla legge. Questa è la garanzia che i nostri costituenti ci hanno consegnato e che oggi rischiamo di mettere in discussione.

Io vi chiedo: vogliamo davvero un sistema in cui chi indaga deve guardarsi le spalle prima di toccare interessi forti, economici o politici? Vogliamo davvero una giustizia che abbassa lo sguardo di fronte al potere? Noi diciamo fermamente “no”. Noi diciamo “no” a una riforma che indebolisce la magistratura, noi diciamo “no” a una riforma che politicizza la giustizia, noi diciamo “no” a una riforma che allontana l'Italia dall'Europa.

E diciamo “sì” a ciò che serve davvero al Paese: sì a più personale nei tribunali, sì a più digitalizzazione e più strumenti moderni, sì a processi più rapidi, più certi, più vicini ai cittadini, sì alla giustizia che protegge i più deboli e non i più forti.

Perché, colleghi, la verità è che questa riforma è inutile e dannosa: inutile, perché non risolve nulla dei problemi concreti della giustizia; dannosa, perché rompe gli equilibri tra i poteri, mina l'autonomia della magistratura e riduce la fiducia dei cittadini nello Stato di diritto.

Guardate cosa accade nei Paesi dove la giustizia è piegata al potere. Dove la giustizia è piegata al potere politico diminuisce la fiducia, cresce la corruzione, si allarga la distanza tra cittadini e istituzioni. Sì, si allarga la distanza tra cittadini e istituzioni: è quella la strada che vogliamo percorrere? Noi diciamo assolutamente no.

Il Partito Democratico non difende corporazioni: difende la Costituzione; difende l'indipendenza della magistratura, perché è l'indipendenza di tutti noi; difende la giustizia, perché senza giustizia non c'è libertà; difende i cittadini, perché ogni volta che si indebolisce un giudice o un pubblico ministero, ebbene si indebolisce la possibilità di ciascuno di avere diritti garantiti.

Allora, signora Presidente, colleghi, sia chiaro: questa è la differenza profonda tra chi vuole piegare la giustizia al potere e chi vuole che la giustizia resti un presidio, un presidio di libertà per tutti; tra chi guarda alla propaganda e chi guarda ai diritti dei cittadini; tra chi mette la democrazia in pericolo e chi, come noi, la difende ogni giorno. Il Partito Democratico è qui per dire “no”, “no” a questa deriva, e lo faremo con forza, con coraggio e con passione, perché senza giustizia, senza giustizia libera, non c'è democrazia, e senza democrazia non c'è futuro.

Con questo io volevo ringraziare il Partito Democratico per la presa di posizione, perché è importantissima questa discussione che stiamo portando avanti, soprattutto per salvaguardare i diritti dei nostri cittadini, diritti che sono importantissimi, ma soprattutto anche per quei cittadini che si trovano all'estero, italiani, che guardano a questa Costituzione da lontano, ma sempre vicini; vicini perché sono cittadini nati, sì, all'estero, ma sono cittadini che vivono ogni giorno le nostre forse contraddizioni, ma soprattutto quello che rappresenta l'Italia oggigiorno all'estero, e cioè la grande democrazia, una democrazia occidentale rappresentata da questo Parlamento.

E in questo Parlamento si discute oggi quello che per noi rappresenta un punto fondamentale nel cambiamento della Costituzione stessa. Io, a nome dei cittadini italiani, che rappresento orgogliosamente, della mia circoscrizione, la circoscrizione dell'Asia, Africa, Oceania ed Antartide, porto qui questa sera, questa notte, anzi, la loro voce, che è forte e ferma contro questo cambiamento. Un cambiamento che non serve così velocemente, che forse bisognava discutere a fondo, perché è il metodo con cui non concordiamo, e, per questo motivo, il Partito Democratico ed io votiamo fermamente “no” e siamo contrari a questa riforma.

Con questo io ringrazio tutti i miei colleghi che si trovano qua questa sera, tutti i miei colleghi che, insieme a me, insieme a tutti noi, credono nella libertà, nei diritti dei nostri cittadini, nei diritti di quegli italiani che forse non hanno la forza di alzare la voce, ma con il cuore vogliono mantenere questa grande democrazia, che è una democrazia che porta i valori dei diritti dei cittadini, ma anche dei diritti umani, in tutto il mondo.

L'Italia che è guardata in maniera appassionata, con amore, da tutti gli italiani che sono nati in questa Nazione e si sono trasferiti all'estero, come me, ma soprattutto da tutti quegli italiani che sono nati all'estero, ma portano all'interno di loro quell'amore e quel rispetto verso la forma democratica che esprime questo grande Paese che si chiama Italia. Io, con questo, ringrazio tutti, ringrazio soprattutto il Partito Democratico. Ancora una volta, fermamente, dico “no” a questa riforma (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Girelli. Ne ha facoltà.

GIAN ANTONIO GIRELLI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Parliamo oggi di una riforma costituzionale che tocca l'equilibrio tra i poteri dello Stato: la separazione della carriera tra giudici e pubblici ministeri viene così descritta, ma, in realtà, istituisce anche una nuova realtà, l'Alta Corte disciplinare, e prevede una revisione radicale del Consiglio superiore della magistratura. Siamo alla seconda deliberazione, perché è già stato approvato, come tutti sappiamo, alla Camera e al Senato, dovrà tornare al Senato, e abbiamo fatto tutto questo in una situazione di completa blindatura.

È fare una blindatura impedire a un Parlamento di poter discutere, poter intervenire in maniera anche puntuale e anche senza la presenza del Governo, che, a quanto pare, ha tutt'altro da fare rispetto ad ascoltare quelle che sono le riforme costituzionali che propone, o meglio, impone a questo Parlamento. Perché nel merito la riforma riscrive gli articoli 104 e 105 della Costituzione e modifica gli articoli 87, 102, 106, 107 e 110, cose non di poco conto; prevede alcune formali situazioni che rimangono precise, uguali, come la presidenza da parte del CSM del Presidente della Repubblica, ma di fatto interviene in maniera appunto radicale sulla composizione degli stessi organi, sostituendo quella che è un'elezione con il sorteggio.

Sorteggio, badate bene, che, per quanto riguarda la competenza parlamentare, è affidato ad un elenco che viene predefinito, e sarà tutto da capire con quali criteri e con quali caratteristiche verranno individuate le persone che all'interno dello stesso potranno essere sorteggiate. Ma perché diciamo “no” a questa riforma? Per una serie di ragioni. Prima perché, appunto, questa riforma, sotto un'apparente neutralità, mina l'architettura della separazione dei poteri, di fatto indebolisce quell'indipendenza della magistratura che - mi verrebbe da dire - sta alla base del fondamento di uno Stato democratico.

Io credo che chiunque abbia avuto un minimo di formazione scolastica, quando affronta il tema del diritto, la separazione dei poteri diventa uno dei punti essenziali su cui si distingue uno Stato democratico da uno Stato con un'involuzione che non è più democratica. Ma siamo anche assolutamente contrari perché separare rigidamente le carriere non rende certo automaticamente più imparziale il giudice, né più equilibrato il pubblico ministero, come viene descritto dai propositori di questa riforma.

Perché oggi l'unità della giurisdizione, con percorsi formativi comuni, con culture processuali condivise, sì, con limiti stringenti ai passaggi di funzione che la riforma Cartabia ha già introdotto, è una garanzia sistemica; e voi la incrinate senza offrire evidenza che i problemi reali della giustizia - che sono i tempi, gli arretrati, le carenze di organico, un'edilizia assolutamente inadeguata, la digitalizzazione - non troveranno certo soluzioni con queste forzature di separazione dei poteri. Peccato che poi ai cittadini andiamo invece a descrivere che sta proprio qui il problema, sta nella non separazione delle carriere, sta in un CSM che ha troppa giurisdizione e indipendenza, sta nel non avere una Corte che possa giudicare il giudice il motivo di tutti questi ritardi.

Ma la disciplina degli illeciti dell'organico disciplinare viene oltretutto esternalizzata, appunto, nella famosa Corte. Anche da questo punto di vista, badate bene, impedire al CSM di intervenire in maniera diretta sui provvedimenti che riguardano i giudici significa, di fatto, sottoporre i giudici stessi a dei giudizi condizionati non più da una cultura e da un'etica dell'essere giudice, dell'esercitare la magistratura, bensì da una serie di condizionamenti esterni, che rischiano evidentemente, senza particolari sforzi di immaginazione, di consegnare l'Alta Corte ad una pressione esterna, ad un sentire politico del momento; di far venire meno, insomma, quell'indipendenza e quella neutralità che tanto viene difesa anche da chi propone questa riforma, ma che va in direzione, a nostro parere, completamente diversa.

Ma non si può anche non rilevare il metodo, che davvero va ulteriormente sottolineato. Io penso che, quando si mette mano alla Costituzione, ci vuole sempre un quid di attenzione e di prudenza in più, e quando si tocca un tema sensibile come la giustizia, forse questo dovrebbe essere ulteriormente interiorizzato e sentito, oserei dire patito dal punto di vista politico.

Invece noi, di fatto, stiamo facendo una riforma che, per quanto riguarda la competenza parlamentare, potrei definire “al buio” - è già stato detto da qualcuno che mi ha preceduto -, impedendo non solo alla minoranza, costretta ad usare i pochi metodi, i pochi strumenti che i Regolamenti ci consegnano per far sentire la propria voce - a dir la verità, sentirla è solo fra di noi -, ma anche alla maggioranza - che non è composta da persone estranee al confronto con i cittadini e anche al dovere di rappresentanza degli stessi - di poter dire qualcosa, di poter modificare qualcosa, secondo un sempre crescente meccanismo che consegna al Governo la possibilità di dettare i tempi, le regole, ma, addirittura, i provvedimenti al Parlamento. Anche questo dovrebbe far riflettere sulla separatezza dei poteri: dove sta il potere esecutivo, dove sta il potere legislativo e dove sta il potere giudiziario. Da questo punto di vista, io penso che sia un fatto estremamente grave, proprio perché, tra i tre poteri, probabilmente, quello legislativo dovrebbe sentire maggiormente addosso la responsabilità di garantire la separatezza, proprio perché, per sua natura, è quello che approva le regole, è quello che emana o, meglio, che propone le leggi stesse.

Ma esistono anche dei problemi, se volete, di natura anche molto pratica, perché questa rivoluzione, questa transizione come avverrà, in quali tempi, in quali modi, con quali costi, con quale impatto, sul lavoro della magistratura stessa? Perché questo è il pericolo vero, questo è uno dei tanti paradossi che, purtroppo, viviamo nel nostro Paese recentemente, dove vengono promosse leggi che vengono presentate come risolutive di determinate situazioni e, poi, di fatto creano un ulteriore aggravamento delle situazioni che, negli annunci, dovrebbero essere risolte. Pensiamo alle liste d'attesa, se vogliamo parlare di sanità. Perché, in realtà, tutto questo rischia di aumentare i tempi e i ritardi della giustizia, rischia di complicare la vita stessa dei giudici, rischia di avere un impatto ulteriormente negativo sui cittadini.

Ma vorrei anche sottolineare un aspetto. Da deputato dell'opposizione, che però con il partito a cui appartiene si sforza di pensare a un'idea di cambiamento e di modernizzazione del Paese, vorrei dire che non siamo di certo contrari ad ogni forma di cambiamento, anzi, noi siamo fortemente convinti che cambiare le cose per quanto riguarda la giustizia significa fare delle assunzioni stabili; significa intervenire sull'organizzazione degli uffici; significa avere degli spazi adeguati e avere una strumentalizzazione adeguata; significa dare anche continuità e stabilità a tante persone che in giustizia lavorano, che vivono nella precarietà assoluta; significa insomma stabilizzare un sistema, mantenendone fino in fondo l'autonomia, perché di questo io credo ci sia bisogno. Non siamo certo dei conservatori tout court, non siamo certo persone indisponibili al confronto di merito, siamo semplicemente difensori delle caratteristiche della democrazia. E quando si parla di giustizia, quando si parla di giustizia in Costituzione, badate bene, non si parla di un sentire di parte, si parla di qualcosa che riguarda tutti, che ci è stato consegnato dopo una riflessione seria, dopo che anche la storia del nostro Paese ci ha dimostrato cosa succede quando un po' alla volta si perde la tutela della democrazia, dove si può arrivare in maniera lenta e apparentemente poco percepibile, ma che, un po' alla volta, rischia di essere terribilmente impattante sulla libertà dei cittadini e delle cittadine.

Noi su questo saremo pronti a denunciare nel Paese nel momento in cui ci sarà il passaggio del referendum, consapevoli della responsabilità che ci spetta: quella di essere custodi delle regole democratiche, che nel nostro Paese hanno un fondamento ben preciso. Sono nate dalla lotta di tante persone, di tante donne, di tanti uomini che avevano sperimentato che cos'è un deficit di democrazia e, proprio per quello, noi siamo dei custodi…

PRESIDENTE. Grazie, onorevole.

Ha chiesto di parlare il deputato De Maria. Ne ha facoltà.

ANDREA DE MARIA (PD-IDP). Grazie, Presidente. Noi stiamo continuando tenacemente a illustrare in quest'Aula le ragioni della nostra contrarietà a questo provvedimento. Lo stiamo facendo in questo modo, anche a quest'ora del mattino, perché davvero siamo molto preoccupati delle scelte che il Governo ha fatto e della riforma che questo Parlamento si appresta ad approvare. E lo siamo perché il tema della giustizia è un tema di grandissima delicatezza, ed è grandissimo valore in una democrazia. È un tema di grandissima delicatezza e di grandissimo valore perché il diritto alla giustizia è un diritto fondamentale dei cittadini: attiene al diritto di chi è stato vittima di un crimine di ricevere giustizia, come attiene al diritto di chi viene sottoposto a un procedimento giudiziario, a un processo, di vedere tempi certi per la conclusione di quel procedimento e per sapere se sarà condannato o assolto. Quindi, il diritto alla giustizia è un elemento fondamentale nella vita dei cittadini e nella nostra democrazia. In secondo luogo, perché l'autonomia della magistratura in un sistema di equilibrio dei poteri è un fondamento indispensabile del nostro assetto democratico, del nostro assetto costituzionale, l'ha ricordato molto bene, nell'intervento che mi ha preceduto, il collega Girelli. Non a caso, questo elemento è nato dalla Resistenza, dall'antifascismo, dalla sconfitta di una dittatura che, invece, faceva del controllo della magistratura un elemento costituente dell'organizzazione dello Stato. Quindi, certo, in un equilibrio dei poteri - che è un tema che anche noi ci poniamo -, l'autonomia della magistratura è una garanzia democratica assolutamente fondamentale.

Poi vorrei aggiungere questo elemento di riflessione. Ormai, da trent'anni, sui temi della giustizia è in campo uno scontro politico molto duro, che impedisce e ha impedito alle forze politiche e ai gruppi parlamentari di trovare - su un tema su cui pure delle riforme ci starebbero, sarebbero importanti, ci sono temi certamente da affrontare - la capacità di costruire un dibattito sereno e di costruire riforme condivise. E, in particolare, il centrodestra, la destra in questo Paese, nel tentativo di mettere in discussione l'autonomia della magistratura, ha anche creato una condizione complessiva per il sistema politico che rende più difficile qualunque processo di riforma. Si aggiunge che, questa volta, siamo di fronte a qualcosa di così delicato nel nostro assetto istituzionale, anche nel lavoro che deve svolgere la nostra Camera, che è una riforma costituzionale.

Di fronte a questo contesto, a questo quadro così importante, io penso che, prima di tutto, noi dobbiamo fare una critica di metodo a quello che sta accadendo, perché siamo di fronte a un vulnus democratico molto serio su tre aspetti che vorrei sottolineare. Prima di tutto - ho parlato, appunto di una storia trentennale -, siamo, ancora una volta, di fronte a una riforma di parte. Cioè, non c'è il tentativo di condividere nel sistema politico un'idea di riforma della giustizia, di discuterla con la magistratura, con l'Avvocatura, di costruire un percorso democratico per affrontare temi che, anche qui, sono stati posti da tanti colleghi, ma siamo di fronte a una forzatura di una parte politica, che decide di imporre un proprio disegno di riforma.

In secondo luogo, quest'azione politica viene messa in campo davvero umiliando il Parlamento, e il Parlamento è fatto anche dai gruppi di maggioranza. Perché è vero che ci può stare una riforma di iniziativa governativa, anche una riforma costituzionale di iniziativa governativa, ma il Parlamento, a maggior ragione, dovrebbe essere messo nelle condizioni non di votare un testo blindato che non si può toccare, ma di poter lavorare su quel testo. E questo non è accaduto, fino a quello che stiamo vedendo in queste ore: c'è una seduta fiume che poteva essere benissimo deliberata fino a domattina e che, invece, è stata deliberata fino a giovedì perché c'è un problema di campagna elettorale. Questo è davvero un modo di costruire il rapporto con il Parlamento che io ritengo inaccettabile.

Infine, lo dicevo prima, si ripropone, intorno al tema così delicato della giustizia, una scelta di scontro nel Paese, di conflitto, di conflitto fra politica e magistratura, che non può veramente fare bene all'Italia, in una logica - anche questa, io ritengo davvero sbagliata - di scambio politico sulle riforme, anche questo qualche collega l'ha già ricordato.

Quindi, c'è la riforma che è prioritaria per Fratelli d'Italia, la riforma che è prioritaria per la Lega, e poi questa riforma che è prioritaria per Forza Italia, senza un progetto riformista complessivo che poteva esserci e poteva riguardare le nostre istituzioni e in uno scambio che, alla fine, nell'incrocio fra tutte queste riforme, apre complessivamente un problema democratico di indebolimento dell'assetto costituzionale, di indebolimento dell'equilibrio dei poteri e di indebolimento complessivo delle nostre istituzioni democratiche.

Poi, certamente, c'è un merito. Alcuni colleghi hanno segnalato, anche qui, un elemento così paradossale come un'eterogenesi dei fini, per cui, volendo in qualche modo limitare il ruolo del pubblico ministero, riequilibrarlo, in realtà si rischia di ottenere l'effetto contrario separando quella magistratura dall'insieme del sistema giudiziario.

E poi, davvero, le priorità della riforma della giustizia sarebbero altre: certamente i tempi della giustizia, probabilmente anche l'equilibrio fra accusa e difesa e la stabilizzazione del personale della giustizia, perché alla fine, appunto, il tema è garantire il diritto alla giustizia ai cittadini in tempi certi; poi vi sono la certezza della pena e il fatto che un elemento così importante della società, appunto, come il sistema giudiziario, funzioni in modo più efficace.

Quindi, siamo di fronte a quella che evidentemente non è una priorità, anche perché - e questo è stato già ricordato - la riforma Cartabia era già intervenuta in modo significativo e il numero di magistrati e operatori della giustizia che si spostano tra il ruolo di giudice e il ruolo di pubblico ministero è davvero ormai molto, molto limitato.

Per questo noi abbiamo una preoccupazione, che abbiamo messo al centro di tanti dei nostri interventi, e cioè che, in realtà, dietro quest'azione ci sia qualcos'altro: ci sia, cioè, la volontà di aprire un percorso che arriverà a mettere il pubblico ministero sotto il controllo del potere politico. Questa è la ragione più di fondo per cui ci stiamo opponendo con questa forza, con questa determinazione, perché riteniamo questo un pericolo per la nostra democrazia. E vediamo anche nelle dichiarazioni di esponenti della destra e del Governo, nel percorso politico che è stato messo in atto, il rischio che lì si voglia arrivare. Un percorso del genere va impedito subito, bloccando questa riforma costituzionale.

Ora noi abbiamo messo in campo il massimo di opposizione parlamentare possibile. Credo si potesse davvero consentire un maggiore spazio al dibattito parlamentare, pur arrivando all'approvazione della riforma. Ci sarà quasi certamente il referendum confermativo, e noi davvero pensiamo di spostare nel Paese questa battaglia che abbiamo condotto in Parlamento, perché alla fine saranno i cittadini italiani a dover decidere e penso che gli italiani, ancora una volta, come hanno fatto in tanti altri passaggi, faranno una scelta di difesa del nostro assetto costituzionale, di quell'equilibrio dei poteri che è così fondamentale per la nostra democrazia, di un'idea delle istituzioni che forse è radicata tra i nostri cittadini, nel nostro popolo, più di quanto tanti colleghi possano pensare.

Certamente noi, come Partito Democratico, questa battaglia che adesso stiamo facendo in Parlamento la proseguiremo con la stessa, e forse ancora più, determinazione nel Paese.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Madia. Ne ha facoltà.

MARIA ANNA MADIA (PD-IDP). Presidente, Governo, io vorrei, in queste ore ormai dell'alba, mettere in luce tre aspetti di questa sedicente riforma che il Governo sta con prepotenza cercando di imporre anche a questo ramo del Parlamento. E vorrei farlo senza un'opposizione di pregiudizio su quelli che, almeno a parole, sono gli obiettivi di questa norma costituzionale, ma lasciando però agli atti ciò che io penso sia un grave errore che sta compiendo il Governo con la sua maggioranza.

Il primo è un punto di metodo, il secondo punto è quello che avremmo potuto fare in questo Parlamento se il Governo e la maggioranza avessero voluto procedere verso una riforma della giustizia e non una semplice riforma della magistratura, e il terzo punto è quell'eterogenesi dei fini, già sottolineata da alcuni colleghi, che io temo - vedo qui a rappresentare per il Governo il Vice Ministro Sisto - Vice Ministro, che, se così sarà, diventerà il peggiore dei suoi incubi, se mai gli italiani, ma non credo, non fermeranno poi nel referendum questa modifica costituzionale.

Arrivo al primo punto, dicevo, il punto di metodo. Vede, Vice Ministro, io credo molto nella qualità del confronto politico. Credo che, anche quando a parti invertite noi eravamo al Governo e lei presiedeva una importante Commissione di questo ramo del Parlamento, abbiamo dimostrato insieme quanto importante possa essere un vero confronto politico di qualità; e quando dico “vero” e “di qualità” io credo che ci sia un dovere del Governo e della maggioranza di saper cogliere anche dalle critiche opportunità e modalità per migliorare i provvedimenti.

Penso davvero di averglielo dimostrato quando ero Ministro e voglio dire, voglio lasciare agli atti che lei, in quei mesi, ha fornito diversi suggerimenti che sono stati importanti per migliorare le riforme che noi abbiamo portato all'attenzione di questo Parlamento. E credo - e questo è un punto importante rispetto agli argomenti che voi avete voluto sottolineare per procedere a forzature continue e andare avanti su questa norma costituzionale - che riuscire ad affrontare la fatica del dialogo (certo, è una fatica riuscire a cogliere, seppur mantenendo i propri obiettivi, degli aspetti che possono migliorare il punto di partenza) non significhi tradire i propri elettori, rinunciare al proprio programma e cambiare le proprie intenzioni.

Io penso che avere nel proprio programma politico delle riforme costituzionali, come voi avete ricordato più volte, non significa e non può significare imporle al Parlamento senza neanche tentare una condivisione più larga, perché questo significa tradire un rispetto sostanziale dell'articolo 138 della Costituzione che però, grazie al cielo, come hanno saggiamente voluto i padri costituenti, darà proprio per questo, proprio per come avete voluto procedere, l'ultima parola - nel caso si andasse avanti con l'approvazione di questa norma - agli italiani.

Ecco, io credo che possano esserci riforme costituzionali che all'esito di un dibattito non trovano una maggioranza più ampia, questo è già successo, questo è persino nelle cose perché non ci si può imporre di trovare degli equilibri e degli accordi, ma bisogna almeno provarci, perché è all'esito di un confronto che si può capire se era possibile trovare un accordo.

Io quello che davvero trovo grave del modo in cui il Ministro Nordio ha voluto impostare la discussione su questa norma è che non è stato un esito il non incontro con le opposizioni, non è stato un esito il non aver accolto alcuni miglioramenti che erano stati proposti. Io penso che la cosa grave e il tradimento sostanziale dell'articolo 138 da parte del Governo e del Ministro Nordio siano stati partire con l'intenzione che questa riforma non poteva essere emendabile, impedendo così al Parlamento di compiere il suo dovere, al di là di quello che sarebbe stato l'esito.

Tra l'altro, mi scusi Vice Ministro, ma questo io devo dirglielo, sempre provando a dismettere gli abiti di parte e provare a fare insieme a lei un ragionamento calmo, pacato e di merito; tra l'altro, partendo dall'idea che una norma costituzionale non possa essere discussa, né emendabile, e raccontando questa riforma con una scelta comunicativa di attacco continuo alla magistratura che, voglio ribadirlo in quest'Aula, certamente ha mostrato negli anni difetti e compiuto errori. Ma è questo il modo di procedere di un Governo serio rispetto a una norma che deve cambiare la magistratura?

È questo l'approccio equilibrato, l'approccio da statisti che è richiesto a un Governo di un Paese che ha la storia dell'Italia per procedere e andare avanti su una norma costituzionale di questa portata? Ecco, io credo che non possa essere così, io credo ai principi della democrazia liberale, ci credo ancor di più in un momento in cui nel mondo la democrazia liberale è in affanno. Penso che proprio in questa epoca storica chi governa ha il dovere non di non arrivare ai propri obiettivi, non di tradire il proprio programma elettorale, ma di farlo attraverso un modo che, prima di tutto, rispetti la Costituzione, e, lo voglio ripetere, non partendo dall'idea che ciò che si propone non possa essere discusso e modificato.

Vice Ministro, c'erano altre strade possibili. Io credo che un grande male del nostro Paese - e tutte le parti politiche si sono negli anni macchiate, purtroppo, di questo male - è che, ogniqualvolta si procede a un cambiamento, a una riforma, si approva la legge e poi il Governo dopo si dimentica di attuare quella riforma e quella legge, di monitorarla e di farne i tagliandi. Ora, perché io dico che c'erano altre strade possibili?

Perché il vostro Governo nasce dopo un Governo, il Governo Draghi, che aveva portato avanti tre riforme, una ordinamentale, una penale e una civile, che non erano probabilmente riforme perfette - nessuna riforma è perfetta -, ma erano leggi importanti, leggi che erano state approvate non contro qualcuno; leggi che, io credo, meritavano di essere attuate, applicate, monitorate, anche modificate in meglio.

Voi, invece, procedendo in questo modo, state, di fatto, reiterando quello che è il male di questo Paese, che non riesce mai a cambiare perché non riesce mai a portare avanti le riforme (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista); e non riesce mai a portare avanti le riforme perché, Vice Ministro, lei è un fine giurista, lei sa molto bene che non è approvare una legge fare una riforma. E allora noi dovremmo, tutti insieme, provare, nel succedersi dei vari Governi, a non lasciare dei grandi incompiuti senza capire il perché sono grandi incompiuti.

Ma questo che cosa vi avrebbe imposto di fare? Vi avrebbe imposto di andare oltre i confini non del vostro programma di Governo, ma oltre i confini politico-elettorali dello scambio su cui si regge il patto di legislatura, che non è il programma di Governo con cui vi siete presentati ai cittadini, ma è, appunto, un patto tra voi tre principali partiti di maggioranza. Alla fine - mi scusi se glielo dico, sempre a quest'ora dell'alba - per fare di questa legislatura, che sulla carta, nelle migliori vostre intenzioni, doveva essere una legislatura costituente, al netto di qualche nuovo reato, senza lasciare alcuna traccia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)

PRESIDENTE. Grazie, onorevole, purtroppo ha esaurito i suoi tempi.

Ha chiesto di parlare il deputato Berruto. Ne ha facoltà.

MAURO BERRUTO (PD-IDP). Grazie, signora Presidente. Colleghe, colleghi, non so se sia più umiliante parlare in quest'Aula deserta, alle 4,30 di notte, con i miei compagni e le mie compagne di partito di fronte alle sedie vuote della maggioranza, fatta eccezione per due colleghi su 225 - “rari nantes in gurgite vasto”, come diceva Virgilio, questo grande gorgo di questa notte buia della democrazia -, oppure se sia più umiliante parlare della sostanza, oppure se sia più umiliante parlare del metodo di questa riforma costituzionale.

Umiliante non per me, naturalmente, che poco conterebbe, ma umiliante per il ruolo che rappresentiamo per questa istituzione, per quest'Aula, che è il posto dove è nata la nostra Costituzione, dove è stata immaginata, dove è stata votata, e che ci è stata regalata in modo che la custodissimo e la difendessimo.

Invece, siamo qui, alle 4,30 del mattino, chiamati a discutere di una proposta di modifica di quella Costituzione che interviene su un punto nevralgico del nostro ordinamento, la struttura della magistratura e il rapporto tra i giudici e i pubblici ministeri. Parliamo, dunque, della cosiddetta separazione delle carriere.

Questo è un tema che, fin dall'inizio della storia repubblicana, ha attraversato il dibattito pubblico e politico, è tornato ciclicamente sempre sull'onda di stagioni in cui la politica si è sentita sotto assedio da parte di una magistratura autonoma. Non è mai stato, però, un tema neutro o meramente tecnico, è un tema piuttosto che riguarda il cuore stesso della democrazia. Per questo, oggi sentiamo la responsabilità di dire con chiarezza che questa riforma rappresenta un pericolo per l'equilibrio dei poteri, un arretramento nella tutela dei diritti e, soprattutto, una ferita, un vulnus per la nostra Costituzione.

Vorrei ricordare che l'indipendenza della magistratura è una conquista preziosa, scritta nella nostra Carta all'articolo 104, laddove, appunto, si afferma che la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. Non è una clausola di stile, è la risposta a un passato in cui la giustizia era stata piegata agli interessi del regime, che, naturalmente, nella fattispecie era il regime fascista, in cui i giudici non erano liberi, ma controllati dal potere politico.

Quando i padri e le madri costituenti decisero che i giudici e i pubblici ministeri dovessero appartenere allo stesso ordine, essere sottoposti allo stesso Consiglio superiore della magistratura, non lo fecero per ingenuità o certamente non lo fecero per comodità; lo fecero perché sapevano che la libertà del pubblico ministero di indagare senza dover chiedere permesso al Governo è la garanzia per ogni cittadino di avere una giustizia imparziale. Separare le carriere, come oggi si propone, significa spezzare questo equilibrio, significa avvicinare il pubblico ministero al potere politico, renderlo più vulnerabile a condizionamenti esterni, trasformarlo in una sorta di avvocato di polizia o, peggio ancora, in un ufficio in cui le priorità investigative rischiano di dipendere dall'indirizzo dell'Esecutivo.

Chi sostiene questa riforma ci dice che così si garantisce l'imparzialità del giudice, ma l'imparzialità del giudice non dipende dalla separazione delle carriere; dipende piuttosto dall'osservanza delle regole costituzionali, ancora una volta, dal funzionamento del CSM, da meccanismi di controllo interno e deontologici. Separare le carriere non rende più imparziali i giudici, ma rende più esposti i pubblici ministeri. Significa introdurre due Consigli superiori, uno per i giudici e uno per i PM, con il rischio che quello dei pubblici ministeri diventi terreno di lottizzazione politica.

Vorrei chiedere ai colleghi di maggioranza, se ci fossero, naturalmente: davvero pensate che i cittadini saranno più tutelati se il pubblico ministero che deve indagare su un grande appalto, su un caso di corruzione, su un intreccio tra criminalità organizzata e potere economico, dovrà farlo con la consapevolezza che il suo organo di governo è controllato o, peggio, influenzato dalla politica? Non è un'ipotesi scolastica, guardiamo alla storia di questo Paese.

Senza la libertà dei pubblici ministeri coraggiosi e indipendenti non avremmo mai avuto le inchieste che hanno scoperchiato la corruzione sistemica negli anni Novanta, non avremmo avuto i maxiprocessi contro la mafia, non avremmo avuto indagini che hanno colpito poteri criminali radicati.

Questa riforma, soprattutto, non serve ai cittadini, serve solo a riequilibrare a favore della politica un conflitto mai risolto con la magistratura. È una specie di vendetta istituzionale, vendetta istituzionale, peraltro, su un tema che praticamente non esiste. Con le riforme della precedente legislatura, con la riforma dell'allora Ministra Cartabia è possibile un solo passaggio in tutta la carriera da effettuarsi nei primi nove anni della carriera stessa. Si parla, infatti, di circa 20 passaggi all'anno su 10.000 magistrati, quasi sempre dalla carriera di PM a quella di giudice. Quindi, assai meno dell'1 per cento dei pubblici ministeri passa alla funzione di giudice e ancora meno sono i giudici che passano alla funzione di pubblico ministero.

Serviva allora una riforma costituzionale? No, e lo abbiamo già detto, lo hanno detto tanti miei colleghi e mie colleghe. Semplicemente, questa riforma targata Governo Meloni non è altro che uno scalpo ideologico, un modo per suggellare il patto tra le varie anime della destra di Governo, l'autonomia e la sua riforma alla Lega, il premierato ai Fratelli d'Italia e questa riforma sulla giustizia a favore di Forza Italia.

Altro tema, perché al peggio non c'è mai fine, è quello del metodo. Il Governo Meloni ha deciso di affrontare le modifiche alla Costituzione su una materia così delicata, come quella della giustizia, presentando un testo che, come dichiarato dallo stesso Ministro Nordio, è blindato fin dalla prima lettura. Impermeabile a qualunque apporto, a qualunque correzione sia da parte dell'opposizione che da parte della stessa maggioranza. Una blindatura… Presidente, c'è un rumore insopportabile, non posso continuare con il mio intervento.

PRESIDENTE. Collega, io…

MAURO BERRUTO (PD-IDP). Mi ha interrotto il collega della maggioranza.

PRESIDENTE. Capisco tutto, però la concezione di rumore a quest'ora…

MAURO BERRUTO (PD-IDP). Era ironico, Presidente.

PRESIDENTE. Prego.

MAURO BERRUTO (PD-IDP). Una blindatura che non ha precedenti, che è contraria allo spirito dei costituenti e che mostra una concezione della democrazia preoccupante. Non possiamo però nasconderci dietro le parole: la giustizia in Italia ha problemi reali e profondi. I cittadini chiedono processi più rapidi, un sistema penitenziario dignitoso capace di rieducare, uffici giudiziari digitalizzati e in grado di funzionare con migliore efficienza. Quali di questi problemi viene risolto dalla separazione delle carriere? Nessuno, anzi rischiamo di aggiungerne: duplicare le strutture, moltiplicare i conflitti di competenza, politicizzare l'azione penale.

Noi, come Partito Democratico, siamo pronti a discutere di riforme vere sull'organizzazione degli uffici, sulle risorse umane, sulla semplificazione dei riti processuali, sul rafforzamento della giustizia civile, sull'efficienza dei tribunali, ma non siamo disponibili a stravolgere la Costituzione per indebolire l'autonomia della magistratura.

Colleghi, non illudiamoci: qui non stiamo parlando di interessi corporativi o di tecnicismi; stiamo parlando di un diritto fondamentale, quello dei cittadini e delle cittadine del nostro Paese ad avere una giustizia indipendente. Ogni volta che un cittadino o una cittadina entra in un'aula di giustizia per difendere se stesso, il proprio lavoro, per rivendicare un diritto, per rispondere ad un'accusa, deve sapere che il giudice e il pubblico ministero sono liberi da condizionamenti esterni. Separare le carriere significa minare questa fiducia, significa dire ai cittadini che il pubblico ministero potrebbe non essere più un magistrato autonomo ma un funzionario più vicino al Governo e questo crediamo che sia inaccettabile in uno Stato che si vuole definire democratico.

Concludo richiamando la lezione dei nostri costituenti, la scelta di non… (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha esaurito il suo tempo, onorevole. Mi spiace. Io per aiutarvi sto suonando a 30 secondi dal termine, però immagino che la concentrazione, soprattutto a quest'ora, non aiuti.

Ha chiesto di parlare il deputato D'Alfonso. Ne ha facoltà.

LUCIANO D'ALFONSO (PD-IDP). Presidente, grazie. Credo che dedicherò tutte le mie energie per realizzare un intervento non ideologico, fortemente preteso dal merito della questione.

Sono anni che studio la vicenda penale, il suo procedimento, che significa nella sua distinzione rispetto al processo. Allora, ho messo in piedi una specie di agenda di 11 punti che inverano il miglioramento della giustizia all'indirizzo dell'attesa dei diritti di giustizia del cittadino. Noi sappiamo che in Italia esiste il procedimento e il processo. Noi dobbiamo fare in modo che, nella fase del procedimento, delle indagini preliminari, aumentino le garanzie per la persona che è sottoposta ad indagine. Questa riforma, per la quale vi siete molto impegnati, salvo organizzare la discussione, la discutibilità dell'ordinamento giudiziario, non aumenta di un millimetro i diritti e le garanzie del cittadino rispetto alla domanda di giustizia.

Allora elenco quali sono, secondo me, i nodi da affrontare per far sì che la giustizia in primo luogo non faccia paura nei confronti dei cittadini che sono sottoposti ad indagine e, per quanto mi riguarda, può accadere che l'accertamento riguardi tutti. La prima esigenza è la certezza dei tempi per quanto riguarda la durata delle indagini preliminari: cinque anni di indagini preliminari sono insopportabili.

Dobbiamo fare in modo che ci sia il rafforzamento del filtro selettivo dell'udienza preliminare.

Dobbiamo fare in modo che i provvedimenti di archiviazione siano neutri, senza organizzare fotografie che veicolano giudizi, aggettivazioni nei confronti delle persone sottoposte ad archiviazione.

Dobbiamo fare in modo che ci sia la genuinità nella raccolta delle dichiarazioni in fase investigativa e non che ci sia lo spingimento da parte di questa o quella aliquota di Polizia giudiziaria. Le videoregistrazioni durante le SIT devono essere una garanzia: altro che non c'è disponibilità di tecnologia o di geometria! Dobbiamo fare in modo che ci sia la responsabilità civile tipizzata della Polizia giudiziaria. Spero che il Vice Ministro Sisto ci sia in Aula, in questa larga, libera realtà di geometria parlamentare come è in questo momento il nostro spazio d'Aula, perché lui sa di che cosa sto parlando.

Dobbiamo fare in modo che ci sia la temporizzazione degli incarichi nella Polizia giudiziaria, per evitare i bracconieri che costruiscono fatti non veritieri e prima o poi si vedrà che anche a Milano c'è stata un'attività di bracconieri.

Dobbiamo fare in modo che ci sia il divieto nell'uso degli aggettivi, quando si realizzano le relazioni di Polizia giudiziaria; utilizzi l'aggettivo il magistrato con la sentenza, non la Polizia giudiziaria.

Dobbiamo fare in modo che ci sia una formazione particolare, valutata per ogni innovazione normativa che impatti sulla vita reale dell'economia pubblica o privata.

Per quanto concerne poi il dispiegamento dell'attività della Polizia giudiziaria, dobbiamo consentire la facoltà dell'avvocato di poter utilizzare le risorse umane della Polizia giudiziaria, facendo in modo che l'avvocato anche trovi collocazione nella Carta costituzionale e che possa utilizzare il Fondo giustizia quando ha bisogno di relazioni dedicate, per fare in modo che la sua ricostruzione della verità bilanci la costruzione della verità accusatoria del pubblico ministero.

Dobbiamo fare in modo che si determini la collegializzazione dell'ufficio dell'accusa, com'è così già adesso in Europa: non è possibile che si dica che è una questione di economia organizzativa. Quanto vale la verità quando viene coltivata se un accorgimento organizzativo-riformatore aumenta la possibilità di cogliere la verità? Collegializzare il momento dell'accusa.

E quante cantonate avremmo evitato; avremmo evitato quello spirito di antagonismo che a volte si crea tra chi accusa e chi è accusato e c'è quasi dispiacere quando, poi, la verità è un'altra, al termine delle indagini preliminari (poche volte), al termine del processo (tante volte).

Così come noi dobbiamo far sì che si cominci a pensare a un piano degli esiti rispetto a coloro i quali coltivano la richiesta di azione penale. Vediamo che cosa accade, quali sono gli esiti dell'azione penale che viene richiesta da certa pubblica accusa.

Tutto questo richiede non la separazione delle carriere, gli attraversamenti delle carriere. È complessa l'attività della ricerca della verità; serve fare in modo che si combinino, si compongano i dati di esperienza. Vorrei tanto che il pubblico ministero che mi accusa dopodomani, quando sarò il sindaco di Atene, sia stato prima avvocato, poi giudice, poi pubblico ministero. E sarebbe stato ottimale se fosse stato anche indagato per avere la pienezza conoscitiva della gravità della questione della ricerca della verità. È su questo che ho trovato limiti, infantilismo normativo solo per cercare di guadagnare un prodotto da comunicare nella competizione politica. È più un “lampadario” che una riforma normativa che migliori la qualità e la quantità della vita delle persone.

Sono stato indagato dallo stesso pubblico ministero 53 volte. Ho vinto 53 volte. Mi sono dovuto organizzare con strumenti, competenza, dedizione particolareggiata. Non ho potuto trascurare un millimetro di nulla. C'era un antagonismo sociale tra me e lui. Quante volte, però, il cittadino rinuncia rispetto a questo tipo di pretesa esigente di battaglia? Allora dobbiamo lavorare affinché l'ordinamento preveda queste garanzie attraverso quegli accorgimenti che ho provato a tratteggiare.

È fondamentale il minus all'interno del processo riformatore, non l'ingigantimento che magari dà soltanto lo spazio per fare comunicazione. Tipizzare per evitare l'eterogenesi dei fini, come nel caso dell'abolizione dell'abuso e poi si va nella briglia più alta accusatrice ed è davvero un disastro. È la tipizzazione delle fattispecie: non ho trovato questo spirito all'interno di questo dossier normativo che non avete voluto arricchire con il punto di vista delle opposizioni e di coloro i quali, fuori da quest'Aula, ogni giorno, cercano di costruire giustizia.

Per queste ragioni, mi auguro che, finito quest'adempimento, vissuto burocraticamente nel deserto delle attenzioni, sia la società civile a metterci mano. Nessuno può dire che io non sia per la ricerca delle garanzie da aumentare nel processo di accertamento della verità, per tutto quello che ho vissuto e non lo auguro a nessuno. Assomiglia a un tumore chi incontra la giustizia ed è per questa ragione che ci voleva un supplemento di adeguatezza, di appropriatezza e non renderla materia di “battagliamento” delle parti, perché troppo delicata è questa materia, rovina la vita delle persone, toglie motivazione, toglie qualità della vita alla vita che va vissuta interamente. Ecco perché me lo auguro, al di là delle assenze. Mi sono formato studiando testi sacri che descrivono che cosa sono le istituzioni. La presenza fisica non invera l'istituzione. In quest'Aula c'è comunque l'istituzione, con la sua sacralità. Mi auguro che ci sia spazio per una riflessione fuori, nella società, nei mondi vitali della società, dove di più la consapevolezza pulita, ordinata si può fare carico della gravità di questa riforma (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire sull'ordine dei lavori il deputato Fornaro. Ne ha facoltà.

FEDERICO FORNARO (PD-IDP). Grazie, signor Presidente. Mi sono permesso di chiedere un intervento sull'ordine dei lavori per comprendere le intenzioni della maggioranza, ma soprattutto della Presidenza su come proseguiamo i nostri lavori. Ricordo che, in sede di capigruppo, in particolare il capogruppo di Fratelli d'Italia, il collega Bignami, in due occasioni, ha messo in evidenza come la scelta della seduta fiume andava nella direzione di consentire alle opposizioni di avere il massimo spazio possibile.

Noi stiamo svolgendo diligentemente il nostro lavoro. Devo dire anche che con questo nuovo sistema non ci sono più sfridi sui tempi e sul rispetto di questi. Ricordo anche che nello speech del Presidente Fontana c'era un richiamo alla possibilità di pause tecniche. Io vorrei chiedere una pausa tecnica con le tempistiche che definirà la Presidente. Credo sia ragionevole una pausa tecnica di un'ora, visto che siamo arrivati alle cinque del mattino, in modo da consentirci anche, ovviamente, una possibilità di organizzazione, tenuto conto del lavoro che abbiamo di fronte e del numero di colleghi che devono ancora intervenire. Mi sembra una cosa di assoluta ragionevolezza e con precedenti. Ricordo precedenti anche molto più ampi. È vero che eravamo in situazione di COVID, ma abbiamo fatto pause tecniche di diverse ore, in un'occasione certamente.

Quindi, è una richiesta che io faccio a nome del nostro gruppo e, diciamo, mi appello alla ragionevolezza: vorrei evitare di discutere e di litigare se debba esser di mezz'ora, di tre quarti d'ora o di un'ora. Mi sembra che da parte nostra abbiamo tenuto un comportamento non ostruzionistico. È il primo intervento sull'ordine dei lavori che facciamo dall'inizio della seduta. Perché se poi, invece, c'è un atteggiamento di tipo diverso, cambia anche il nostro atteggiamento.

Allora, a livello regolamentare possiamo “sbizzarrirci”, lo dico tra virgolette. Non è una minaccia, è un'osservazione, è un invito alla ragionevolezza in questa fase.

Poi decida la Presidenza se interrompere adesso o un po' più avanti, ma - ripeto - credo sia una richiesta che va anche, diciamo, nello spirito con cui la maggioranza ha chiesto la seduta fiume.

Noi eravamo e rimaniamo contrari. Dopodiché - lo segnalo anche al collega Deidda, in questo caso, come rappresentante dei gruppi di maggioranza - vorrei che fosse anche tenuto conto del fatto che, dopo la concessione, dopo il voto sulla fiume, non abbiamo dato seguito ad azioni che potevamo fare per allungare… Io credo che un'ora sia ragionevole. Davvero, non ho voglia di accapigliarci su questo, se è possibile.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il presidente Deidda. Ne ha facoltà… Aspetti che le devo dare la parola con il nuovo sistema. Prego.

SALVATORE DEIDDA (FDI). Quello che le volevo proporre era di fare una pausa dalle 5,30 alle 7,30.

PRESIDENTE. Va bene. Allora, diciamo, che resta inteso - mi pare di capire - in questo modo.

Nel frattempo, ha chiesto di parlare la deputata Ferrari. Ne ha facoltà.

SARA FERRARI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Sento tutto l'onore e la responsabilità di essere qui, alle 5 del mattino, di questo mercoledì di settembre del 2025, per intervenire sull'incursione, operata dalla maggioranza del Parlamento di questo Paese, rispetto alla Carta fondamentale dei diritti della nostra Repubblica, cioè la nostra Costituzione: la fonte suprema del diritto nel nostro Paese, a cui fanno riferimento tutte le nostre leggi. Costituzione deriva dal latino constitutio che si riferiva a una legge di particolare importanza perché emanata dall'imperatore.

La nostra Costituzione, scritta ed emanata dopo il terribile periodo del fascismo, ebbe come obiettivo quello di fondare una nuova Repubblica su valori e principi opposti proprio al fascismo, recuperando e riconoscendo libertà e uguaglianza ai e tra i cittadini. Queste libertà e diritti, uniti all'efficacia dell'azione amministrativa, sono garantiti da una Costituzione che prevede la divisione dei poteri. Era propria ed è ancora propria di Stati assoluti l'arbitrarietà del potere statale che porta con sé.

Dobbiamo risalire al filosofo illuminista Montesquieu per ricostruire il concetto di divisione dei poteri, perché lui fu il primo a parlare di uno Stato non più identificato soltanto con il re, la religione e la ricchezza dei cittadini. Teorizzò che il potere va controbilanciato dal potere stesso per evitare quella degenerazione che ancora oggi vediamo nei regimi autoritari. Questo concetto fu poi ripreso dalla Costituzione americana e fu ripreso anche all'inizio della rivoluzione francese che però poi, rafforzando il potere esecutivo, aprì la strada a Napoleone.

Perché ho voluto fare questa brevissima introduzione? Perché noi oggi dobbiamo avere la consapevolezza di essere in un momento particolare della storia del nostro Paese in cui, attraverso incursioni di questo tipo, si va a incidere e ad intaccare principi sui quali è fondato il nostro vivere comune. La nostra Costituzione è basata sulla separazione dei poteri. L'operazione che con questa norma, con questa modifica costituzionale stiamo andando a fare - “Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare”: è il titolo dell'operazione in corso - rischia, nel banalizzare un ragionamento sulla divisione delle carriere, di andare a intaccare quella che invece è la divisione dei poteri; ossia di avere, come fine ultimo, un indebolimento dell'autonomia di uno di questi poteri e dell'indipendenza della magistratura, correndo il rischio, come hanno già argomentato in molti e lo riprenderò anch'io, di andare a intaccare il potere della magistratura sottoponendolo alle decisioni del potere esecutivo.

Che cosa c'è dentro a questo progetto di legge di revisione costituzionale dunque? C'è una serie di scelte che suonano - lo diceva chi mi ha preceduto con un esemplare intervento - più come una vendetta politica nei confronti della magistratura che un disegno ben preciso e articolato di superamento di problemi oggettivi che il mondo della giustizia italiana oggi ha. Eppure, in questo progetto di legge non c'è nulla che vada a risolvere quelli che sono oggi i problemi veri che incontriamo e che tutti i giorni, anche in quest'Aula, andiamo sottolineando. Non ci sono interventi per il superamento del dramma del sovraffollamento delle carceri, accompagnato dalla mancanza di personale, perché non ci sono nemmeno i soldi per risolvere questi problemi. Le ultime leggi di bilancio - e anche la prossima appare indirizzata in quella direzione - sono andate riducendo, paradossalmente, gli investimenti in questo campo.

Noi stiamo ragionando di un provvedimento che ha un'importanza fondamentale, perché è, lo dicevamo prima, una norma costituzionale. Eppure, ci è stato detto, non ci sarebbe stato bisogno di una norma di rango costituzionale per intervenire sulla separazione delle carriere. Questa scelta è stata invece voluta, assunta, per intervenire sull'organo di autogoverno della magistratura, cioè il Consiglio superiore della magistratura, che qui viene stravolto, diviso, riorganizzato in due Consigli superiori della magistratura, uno giudicante e l'altro requirente. Ma non solo, per riorganizzare questo Consiglio superiore della magistratura avete introdotto una modalità di composizione, ma soprattutto di organizzazione, che non è quella decisa dai nostri padri e madri costituenti, che è andata a stabilire un'operazione di selezione attraverso l'elezione. E si introduce, invece, un'assegnazione alla sorte, attraverso un sorteggio. E il sorteggio che cosa fa? Il sorteggio sostanzialmente umilia non solo il Parlamento, ma i professionisti; umilia la rappresentatività, la possibilità di costruire un organismo attraverso quello che viene valutato essere il merito. Proprio voi, che avete inventato il Ministero dell'Istruzione e del merito, compiendo un'operazione a mio avviso - da docente lo dico - indegna, perché la scuola, che è uno dei pilastri principali della Costituzione di cui sto parlando, dell'organizzazione in termini di uguaglianza nel nostro Paese, uguaglianza di diritti, di ascensore sociale, di possibilità di realizzazione, viene oggi inserita all'interno del tema del merito, che non può essere misurato, ma deve poter essere l'obiettivo attraverso il quale si costruiscono i migliori cittadini e le migliori cittadine.

Ebbene, vorrei dire oggi, chiudendo, a quelli che sono (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)

PRESIDENTE. Ha esaurito il suo tempo, onorevole. Grazie.

Ha chiesto di parlare il deputato Barbagallo. Ne ha facoltà.

ANTHONY EMANUELE BARBAGALLO (PD-IDP). Grazie, signora Presidente. Quella che si sta consumando in queste giornate, in queste ore, è l'ennesima pagina buia di questa legislatura.

Vede, Presidente, viene violentato uno dei principi, dei cardini fondamentali che abbiamo studiato nei libri di scuola e all'università, quello del procedimento previsto dall'articolo 138 della nostra Carta costituzionale. I nostri padri costituenti hanno immaginato la doppia lettura, prevista dall'articolo 138 per le modifiche alla Carta costituzionale, come una valutazione approfondita, un momento di riflessione del Parlamento e delle varie forze parlamentari, come un momento di confronto per garantire al dibattito di soppesare le conseguenze sociali, le valutazioni giuridiche necessarie per modificare la nostra Carta costituzionale.

Invece, quello che è accaduto in questi mesi, con il doppio passaggio, è questa forzatura per far valere la legge dei numeri, imponendo questa nottata, nell'assenza e nei banchi vuoti dei colleghi della maggioranza, tranne qualche rara eccezione, che certamente non onora il dibattito parlamentare e il prestigio e la tradizione costituzionale del nostro Paese. Quindi viene confermata, ancora una volta, quest'idea per cui il centrodestra, la maggioranza che sostiene il Governo Meloni, utilizza le regole costituzionali e utilizza le pieghe dei Regolamenti parlamentari per forzare il dibattito e piegarlo ai propri desiderata.

Nel corso sia del primo passaggio alla Camera che nel corso del primo passaggio al Senato, il Partito Democratico ha evidenziato una serie di vulnus che caratterizzano questa sedicente riforma. Diciamo intanto sedicente perché non ha certo le caratteristiche di una riforma, perché la riforma per se stessa va condivisa. Lo dice lo stesso termine, “riforma”. Quindi evoca un momento di condivisione e di approfondimento, va condivisa con le forze parlamentari, con le categorie produttive, con le categorie sociali, con gli ordini professionali, ed è quello che è assolutamente mancato nella riforma che riguarda la separazione delle carriere.

Questa è la prima contestazione che abbiamo mosso nel dibattito. Sul metodo: un metodo che il Governo Meloni ha deciso di affrontare su una materia delicatissima, come quella della giustizia, proponendo un testo blindato fin dalla sua prima lettura. Un testo chiuso, impermeabile a qualunque apporto, sia da parte dell'opposizione, ma anche da parte della stessa maggioranza; una blindatura che non ha precedenti, che è contraria allo spirito dei costituenti e che mostra una concezione della democrazia preoccupante.

Si decide di modificare una legge fondamentale dello Stato non solo a colpi di maggioranza, ma respingendo ogni emendamento, ogni proposta che avrebbe potuto arricchire una riforma che accade in un tempo nerissimo per la giustizia. È stato respinto perfino il nostro emendamento che chiedeva di assicurare la parità di genere nel sistema elettivo dei componenti del Consiglio superiore della magistratura, bocciato nel nome di una blindatura veramente inaccettabile.

Per venire poi al merito della riforma, abbiamo evidenziato alcuni dati, come quello che è evidente, cioè che la separazione delle carriere di fatto già esiste. Con le riforme nella precedente legislatura, con la riforma proposta dall'allora Ministro Cartabia, è possibile un solo passaggio in tutta la carriera, da effettuarsi nei primi 9 anni della carriera stessa. Ed ancora, si parla di circa 20 passaggi all'anno, pensate, su 10.000 magistrati, quasi sempre dalla carriera di pubblico ministero a quella di giudice. E i numeri citati dai deputati del PD in Commissione fino ad adesso dimostrano che assai meno dell'1 per cento dei pubblici ministeri passa alla funzione di giudice e ancor meno sono i giudici che passano alla funzione di pubblico ministero.

Ci dobbiamo chiedere con forza, anche in questa nottata di interventi, se veramente serviva una riforma costituzionale per affrontare questi 20 passaggi all'anno, oppure, come a noi pare, questa riforma del Governo Meloni non è altro che uno scalpo ideologico, è un intervento fuori tempo massimo sulle carriere dei magistrati o, addirittura, un pezzo del patto, come è parso e com'è evidente, tra le varie anime che sostengono la maggioranza, con la riforma dell'autonomia differenziata che sta tanto a cuore alla Lega, quella del premierato che sta a cuore a Fratelli d'Italia e questa della separazione delle carriere che sta a cuore a Forza Italia.

Quindi si demolisce la Costituzione per tenere la maggioranza compatta. Inoltre, un altro aspetto che ci preoccupa è che, se, per il solo fatto di appartenere al medesimo ordine giudiziario, non vi è più imparzialità, bisognerebbe, per paradosso, separare anche gli ordini dei giudici di primo grado dagli ordini dei giudici di secondo grado. Allora a noi resta il sospetto che questa riforma, in realtà, non voglia separare le carriere, ma piuttosto separare la magistratura, spaccarla in due, e dunque indebolirla, in un momento in cui le istituzioni democratiche e l'articolazione dei poteri sono messi a dura prova.

Resta la consapevolezza - lo abbiamo detto all'inizio del dibattito, anche stasera lo hanno ben evidenziato i miei colleghi all'inizio degli interventi - che, francamente, le priorità della giustizia italiana in questo momento erano altre. La giustizia italiana soffre di numerosi e gravi problemi. Il Governo Meloni, con l'ultima legge di bilancio, ha previsto tagli per 500 milioni di euro all'intero comparto nei prossimi 2 anni. C'è una strutturale carenza di organico, mancano magistrati, le udienze dal giudice di pace vengono fissate al 2030 e il processo telematico è in tilt.

Questa certamente era una delle priorità per la giustizia italiana, quella di garantire un processo telematico adeguato. Abbiamo sprecato l'opportunità che ci aveva dato anche il COVID, da questo punto di vista: un processo telematico moderno ed efficiente, come accade in altre democrazie mature e in altri Paesi europei, e che invece vede l'Italia al palo. Le imprese e i cittadini chiedono giustizia e chiedono di uscire da questo calvario della lentezza dei processi. Su questo ci saremmo aspettati una riforma, un momento di confronto tra le forze parlamentari.

E poi c'è un altro tema, un altro grande tema che ci affligge e che riteniamo la priorità assoluta nel sistema della giustizia italiana: quello delle carceri. Presidente, nella mia esperienza parlamentare ho avuto modo di visitare numerosi istituti di pena. Lo abbiamo detto più volte: il sistema delle carceri è veramente al collasso, non solo per il sovraffollamento, con punte superiori al 130 per cento rispetto alla capienza prevista; il numero dei suicidi è eloquente, non soltanto dei suicidi tra i detenuti, ma - ahimè - anche tra la Polizia carceraria, che nel 2024 ha già superato ogni record e che continua ancora, con dati peggiori, nel 2025. Rispetto ai problemi veri, a cui stiamo accennando, della giustizia italiana, il Governo Meloni non ha fatto e non fa assolutamente nulla, non apportando nessun beneficio e nessun miglioramento.

Chiudo il mio intervento, Presidente, con uno scandalo che sta colpendo la giustizia e su cui il Governo non muove una foglia, che a nostro giudizio rappresenta la vera priorità, ed è questa vergogna tutta italiana dei telefonini nelle carceri. Venerdì abbiamo fatto una missione a Catania, come Commissione nazionale antimafia, e il procuratore ha ribadito ancora una...

PRESIDENTE. Onorevole, ha esaurito i suoi tempi, sa che con il sistema nuovo io non posso farci nulla.

Ha chiesto di parlare la deputata Filippin. Ne ha facoltà.

ROSANNA FILIPPIN (PD-IDP). Grazie, signora Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, per lo meno quelli che sono rimasti in quest'Aula vuota alle ore 17,20 del mattino…

FEDERICO FORNARO (PD-IDP). Sono le 5,20!

ROSANNA FILIPPIN (PD-IDP). Le 5,20, scusate, sono le 5,20 anche per me…

PRESIDENTE. Onorevole, è tardi per tutti, comunque sono le 5,20. Prego.

ROSANNA FILIPPIN (PD-IDP). Qualcuno, vista la luce, potrebbe anche pensare che fossero le 17,20. La riforma costituzionale che stiamo votando in questa terza lettura, perché il risultato di questo procedimento è chiaramente scontato, non è un dettaglio tecnico, né una mera questione ordinamentale.

È un passaggio che incide sul rapporto fra potere politico e giustizia, tra le garanzie dei cittadini e il funzionamento stesso della democrazia. La separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri o, più correttamente, la separazione delle magistrature viene presentata come un passo in avanti verso il giusto processo. In realtà è un passo indietro, è una scelta che rischia di piegare la giustizia all'interesse del potere politico. I nostri costituenti vollero che i giudici e i pubblici ministeri appartenessero allo stesso ordine, con le stesse garanzie di indipendenza, perché - lo sappiamo tutti - venivamo da un regime in cui il pubblico ministero era un funzionario del Governo, soggetto al Ministro della Giustizia e, come tale, non libero.

Con la riforma costituzionale - quella vera - volevano invece liberarlo da quella catena, perché sapessero tutti - vittime, imputati, cittadini - che l'accusa sarebbe stata esercitata non per compiacere il potente di turno, ma solo in nome della legge. Invece con questa piccola riforma, questa catena rischiamo di rimetterla, perché un pubblico ministero separato dal corpo della magistratura con un suo proprio Consiglio superiore, con carriere autonome e culture professionali distinte, sarà inevitabilmente più esposto alle pressioni dell'Esecutivo, sarà inevitabilmente più vicino al potere politico che al potere giudiziario. E, allora, diciamolo chiaramente: il pubblico ministero post-riforma non sarà più il magistrato indipendente che esercita obbligatoriamente l'azione penale, sarà un organo che, passo dopo passo, tenderà ad allinearsi alle priorità del Governo di turno. L'obbligatorietà dell'azione penale, che è il nostro presidio di uguaglianza e di imparzialità, perché tutti devono sapere di essere uguali davanti alla legge, si trasformerà invece in discrezionalità politica. E noi sappiamo bene cosa significa: inchieste che si aprono e si chiudono non in base alla legge, ma in base all'opportunità del momento, in base a chi si vuole colpire o a chi si vuole proteggere.

Colleghi e colleghe, questo non è il giusto processo, è il rischio di un processo ingiusto, in cui la bilancia pende dalla parte dell'accusa - esattamente il contrario di quello che si vorrebbe -, forte della vicinanza al potere, in cui la difesa resta schiacciata da una macchina investigativa ancora più sbilanciata. Non basta separare i ruoli per garantire l'imparzialità. L'imparzialità si garantisce con regole processuali o, meglio ancora, procedimentali - come ha appassionatamente difeso ed esposto, poco fa, il collega D'Alfonso - e con una cultura del contraddittorio che oggi manca e che questa riforma non affronta affatto. Questa separazione, inoltre, non risolve nessuno dei veri problemi della giustizia, a cominciare dalla lentezza esasperante dei processi.

Come Partito Democratico non abbiamo mai nascosto i problemi della giustizia. Qualche volta abbiamo proposto anche soluzioni che, per certi versi, si avvicinano a soluzioni che sono state anche discusse oggi, in quest'Aula. Ad esempio l'eccessiva durata dei processi, dei processi penali, l'imprevedibilità delle sentenze penali: è semplicemente intollerabile. Così si contraddice la civiltà giuridica, perché la civiltà giuridica dice che sulla base delle norme dovrebbe essere possibile prevedere il risultato di una sentenza, di un processo. E, invece, talvolta non è così, lo sappiamo molto bene.

Quindi questa riforma non risolve i problemi della giustizia, non li risolve perché, per esempio, non risolve nulla a proposito di carenze di organico, di mancanza di strutture e di tecnologie; non ridurrà di un giorno la durata dei procedimenti; non darà maggiore certezza ai cittadini; non porterà più efficienza nelle aule di giustizia. Servirà soltanto a ridefinire i rapporti di forza tra il potere politico e l'esercizio dell'azione penale. Il rischio è l'opposto rispetto al giusto processo: che un pubblico ministero, dotato di un proprio organo di autogoverno, diventi ancora più autoreferenziale, ancora più sganciato dai limiti costituzionali, ancora più esposto alle pressioni mediatiche e politiche, chiuso nel suo fortino, non contaminato dalle esperienze degli altri, sempre citando il collega D'Alfonso che suggeriva che un pubblico ministero dovesse aver fatto nella sua vita l'avvocato e, perché no, persino l'imputato.

Ricordava, in un recente articolo, la presidente Cassano che, nel 1999, il Parlamento fece una scelta completamente diversa da quella di oggi, perché, con la legge n. 479, stabilì che, prima di essere assegnati alle funzioni di pubblico ministero, obbligatoriamente i magistrati dovessero esercitare funzioni giudicanti collegiali, perché è nel collegio che si stempera l'individualismo, è nel collegio che si impara a mettere in discussione le proprie convinzioni, è nel collegio che ci si confronta con gli altri e si affina quella sensibilità sul concetto di prova che dovrebbe fondare l'esito dei nostri processi. La prova, non la vicinanza a qualcuno.

E, allora, io mi chiedo e vi chiedo: è questo che vogliamo consegnare ai cittadini? Un pubblico ministero che, di fatto, torna a rispondere più al Governo che alla Costituzione? Un processo in cui il principio di uguaglianza viene sacrificato sull'altare di una presunta riforma ordinamentale? Io credo di no, io credo che il nostro compito sia difendere l'autonomia e l'indipendenza della magistratura in tutte le sue funzioni, perché così, solo così, garantiamo a ciascun cittadino che la giustizia sarà uguale per tutti, sia per chi è seduto in quest'Aula sia per chi è per la strada, come il tassista che, poco fa, mi ha portato a Montecitorio, alle 4 del mattino.

Il vero obiettivo, invece, deve essere un altro: formazione rigorosa del pubblico ministero, rispetto delle regole del giusto processo, equilibrio tra accusa e difesa, una revisione - anzi, una istituzionalizzazione - di regole procedimentali che davvero mettano fine agli abusi, non un pubblico ministero superpoliziotto, esaltato oggi e domani reso strumento del potere politico.

Onorevoli colleghi, noi non possiamo votare a favore di una riforma che spaccia per modernizzazione solo ciò che è arretramento. Non possiamo votare a favore di un progetto, come in questo caso, che mina l'indipendenza della magistratura, ma lascia tutti irrisolti i veri nodi del processo penale. Questa riforma davvero - come diceva il collega prima - resta, a questo punto, un mero adempimento burocratico, ed è la vera ragione - al di là di quello che, talvolta, viene individuato come lo scontro politico, lo scontro ideologico - del nostro voto contrario. L'adempimento burocratico che nulla…

PRESIDENTE. Grazie, onorevole.

Come concordato, sospendo a questo punto la seduta per una pausa tecnica. La seduta è sospesa e riprenderà alle ore 7,30.

La seduta, sospesa alle 5,30 del 17 settembre 2025, è ripresa alle 7,40.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla ripresa antimeridiana della seduta sono complessivamente 89, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta in corso (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Poiché non è presente il Governo, non possiamo proseguire nella nostra discussione. Per le vie brevi ci è stata chiesta una pausa di 15 minuti. Quindi, sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 7,55.

La seduta, sospesa alle 7,41, è ripresa alle 7,57.

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. La seduta è ripresa. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori il deputato Fornaro. Ne ha facoltà.

FEDERICO FORNARO (PD-IDP). Grazie, signora Presidente. Nulla di personale col Vice Ministro, che saluto e a cui do il buongiorno. Ci siamo lasciati due ore fa, quindi ha assistito a tutti i lavori, però credo che non posso non stigmatizzare. Rivolgo la lamentela nei confronti del Ministro per i Rapporti col Parlamento, perché la decisione di concedere le due ore di pausa tecnica è stata adottata quando peraltro c'era il Ministro in Aula, che quindi era a conoscenza di questa nuova calendarizzazione. Insomma, se si potesse evitare, devo dire, per rispetto soprattutto dei colleghi che sono arrivati puntuali, sarebbe opportuno. Nulla di grave, però oggettivamente credo che sia giusto sottolinearlo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Fornaro. Naturalmente, i nostri lavori avrebbero dovuto riprendere alle 7,30. Il Presidente è informato.

Si riprende la discussione.

(Ripresa dichiarazioni di voto finale - A.C. 1917-B​)

PRESIDENTE. Riprendiamo il seguito della discussione del disegno di legge costituzionale n. 1917-B.

Ha chiesto di parlare la deputata Evi. Ne ha facoltà.

ELEONORA EVI (PD-IDP). Signora Presidente, colleghe e colleghi, questa riforma è come un farmaco pubblicizzato come miracoloso, ma senza alcun principio attivo: ha un bel nome, un bel pacchetto, viene presentata come la cura definitiva per tutti i mali della giustizia italiana, ma non cura proprio nulla, anzi rischia di peggiorare la malattia. È una pillola di zucchero venduta come medicina, un placebo istituzionale che genera solo illusioni e come tutte le false cure fa più male che bene, illude i cittadini, alimenta diffidenza verso le istituzioni e nasconde le vere responsabilità di chi oggi governa. Quella che oggi ci troviamo a discutere e su cui siamo chiamati a votare non è una riforma della giustizia, è una riforma contro la giustizia, una riforma che, sotto l'apparenza di una misura tecnica, nasconde un disegno politico chiaro, preciso, mirato: delegittimare la magistratura, indebolirne l'autonomia, alterare gli equilibri costituzionali che garantiscono la nostra democrazia. La realtà è che questa riforma nasce non per migliorare la giustizia, ma per regolare i conti con la magistratura.

È un disegno di legge che si inserisce in un clima di conflitto aperto tra il potere politico e il potere giudiziario in un clima che la destra ha voluto, ha creato e ha alimentato con toni aggressivi, accuse infondate e una continua delegittimazione dell'operato dei giudici. L'obiettivo lo abbiamo visto chiaramente; è lunga la lista dei casi in cui avete gridato ai giudici brutti e cattivi. Pensiamo alle inchieste scomode, ai processi che coinvolgono esponenti della maggioranza, alle pronunce che hanno evidenziato l'illegittimità o l'incostituzionalità di alcuni vostri provvedimenti. In ultimo, le sentenze che hanno messo in discussione il folle e mostruoso progetto del Governo del centro lager per migranti in Albania, in cui alla fine è arrivata anche la Corte di giustizia europea, peraltro, a dire che sotto il profilo delle regole del diritto il modello Albania non funziona. Sentenze che hanno fatto infuriare l'Esecutivo: perché? Perché quei giudici, nel fare semplicemente il loro lavoro, hanno osato dire la verità, hanno osato porre dei limiti chiari alle forzature del Governo, hanno osato dire che non si possono trattare i diritti umani come un fastidio burocratico, hanno osato porre limiti agli abusi del potere politico, hanno osato affermare che i diritti umani non sono una variabile dipendente dalle esigenze elettorali; hanno, quindi, ricordato al Governo che non tutto è permesso. E quale è stata la risposta del Governo? Invece di rispettare l'autonomia della magistratura, si è preferito alimentare una narrazione tossica e strumentale: giudici politicizzati, giudici ideologici, giudici da riformare.

Ma la verità è un'altra; la verità è che si vuole delegittimare la magistratura proprio perché osa fare il proprio dovere. Allora, diciamolo senza ipocrisie: questo disegno di legge costituzionale è una ritorsione politica, non una riforma organica. Ma non è tutto, perché questo disegno di legge rappresenta un tassello di un disegno più ampio e inquietante: la costruzione di un modello autoritario in cui la giustizia diventa strumento di repressione piuttosto che garanzia di diritti. Lo abbiamo visto con i decreti Sicurezza, con l'introduzione di nuovi reati per ogni disagio sociale, con un uso sistematico della risposta penale a problemi che richiederebbero politiche sociali, di istruzione, di prevenzione; lo vediamo con l'uso della giustizia penale per colpire il dissenso, i migranti, le persone in difficoltà. È il panpenalismo del Governo Meloni: tanti reati, pochissime soluzioni. Una giustizia punitiva, vendicativa, verticale e inefficace.

E così si arriva alla separazione delle carriere, spacciata come misura tecnica, quando in realtà è un atto politico. Non è separando le carriere che si velocizzano i processi, non è con un tratto di penna sulla Costituzione che si risolvono i problemi veri della giustizia italiana quali le carenze di organico, le scarsità di risorse, la mancanza dei magistrati, le udienze del giudice di pace che vengono fissate al 2030, l'arretratezza digitale, il processo telematico in tilt. I cittadini e le imprese che chiedono giustizia devono affrontare il calvario della lentezza dei processi e l'insostenibile peso del contenzioso; per non parlare, poi, della situazione drammatica delle carceri italiane.

Una parola su questo punto. Per un Governo tutto “chiacchiere e distintivo”, che fa della repressione la sua cifra politica, che brandisce la giustizia penale come una clava a colpi di nuovi reati e aumento di pene, non sorprende che davanti ad una vera e propria emergenza all'interno delle carceri italiane non muova un dito, di fatto. Il Governo non fa nulla, se non la solita propaganda, e invece, come dicevo, siamo di fronte a una vera e propria emergenza umanitaria. Un Governo che si riempie la bocca di sicurezza e legalità dovrebbe vergognarsi per le condizioni in cui versa oggi il sistema penitenziario: sovraffollamento, suicidi, mancanza di personale e degrado strutturale. Cosa fa il Governo, quindi? Nulla.

Non è con una riforma bandiera che si garantiscono processi più equi o giustizia più accessibile. Anche su questi punti non state facendo nulla, anzi fate pure peggio considerati i tagli previsti in manovra: dal 2025 al 2027 il Governo taglierà 500 milioni di euro; altro che riforma. Siete voi a rendere la giustizia più lenta, più costosa, più inaccessibile.

Poi c'è il cuore del problema: la separazione delle carriere. Così come formulata, mette a rischio l'equilibrio tra i poteri dello Stato. Oggi giudici e pubblici ministeri fanno parte dello stesso ordine non per caso, ma per garantire la loro comune indipendenza dal potere esecutivo. Separarli senza un sistema solido di nuove garanzie significa esporre il pubblico ministero a pressioni e influenze politiche. È questo quindi che volete? Un pubblico ministero che non indaga più i potenti e che si limita a eseguire gli ordini del Governo? Un magistrato che diventa un superpoliziotto, una figura a metà tra l'investigatore e il funzionario ministeriale, privato delle garanzie che oggi ne assicurano la terzietà? È pericolosissimo. Ecco perché - come è stato detto da più parti - questa riforma non nasce per migliorare la giustizia, ma per colpire la magistratura. È ideologica, punitiva e inutile e, come hanno ricordato anche i tanti colleghi intervenuti prima di me, rompere l'unità della magistratura senza costruire nuove garanzie significa alterare gli equilibri della Costituzione e rendere la giustizia meno indipendente.

E voglio aggiungere: non è vero che oggi non esista una separazione funzionale tra PM e giudici; nei fatti questa separazione già esiste ed è tutelata dalle norme e dalle prassi. Invece, il problema che dite di voler risolvere non esiste. Meno dell'1 per cento dei magistrati cambia funzione nella carriera e spesso lo fa nei primi anni di servizio. La riforma Cartabia ha già regolato il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa. Una riforma, peraltro, approvata nella scorsa legislatura anche da gran parte della maggioranza attuale e, come hanno richiamato diversi autorevoli esperti della materia da voi puntualmente e inesorabilmente ignorati, questa diversificazione delle funzioni non richiede in alcun modo una differenziazione anche sul versante ordinamentale.

Ma voi - come abbiamo capito - non volete la separazione delle carriere: voi volete spaccare la magistratura in due, volete indebolirla, dividerla e renderla più controllabile. State compiendo un attacco vero e proprio al principio di separazione dei poteri, nonostante ad ogni piè sospinto tentiate di negarlo, di nascondere e di edulcorare la pillola. E avete fatto tutto questo con un disegno di legge costituzionale; avete trattato la modifica della nostra Costituzione con la forza, con un testo blindato, senza un vero confronto, senza modifiche, né da parte delle opposizioni né da parte della maggioranza. Un confronto che, di fatto, ha avuto luogo solo nelle ultime ore, in cui abbiamo avuto la possibilità di ascoltare le argomentazioni della maggioranza, fino a oggi, di fatto, silente.

Quindi, è un testo che arriva oggi qui alla Camera in seconda lettura dopo un percorso blindato, come se fosse uno qualsiasi dei tanti decreti che emanate, calpestando il ruolo di questo Parlamento, mortificandolo e umiliandolo, mortificando e umiliando la nostra stessa storia democratica - non era mai successo in questo modo così volgare nella storia della nostra Repubblica -, per poi concludere il provvedimento in questo modo, con una seduta fiume notturna che avete forzato per i vostri motivi di organizzazione e di agenda per la campagna elettorale. Un'ennesima vergogna e un'ennesima pagina buia che avete scritto con il vostro Governo e noi ovviamente voteremo contro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Guerra. Ne ha facoltà.

MARIA CECILIA GUERRA (PD-IDP). Grazie, Presidente. Sono dichiarazioni di voto, quindi dichiaro subito il voto contrario mio come di tutti i colleghi del Partito Democratico. Lo faccio intanto con riferimento a importanti questioni di merito, anche se, com'è evidente, anche le questioni di metodo sono assolutamente rilevanti.

Il punto cruciale che vorrei sottolineare è che la riforma costituzionale - perché di questo si tratta - che oggi discutiamo non è all'altezza dei problemi che pure solleva, che pure agita: non li analizza, non li comprende e, proprio per questo, non riesce neppure lontanamente a risolverli. Si concentra su aspetti dell'ordinamento in larga parte simbolici, evocativi, adatti ad essere raccontati con un'enfasi che però non è coerente con la loro effettiva rilevanza. Come è stato ampiamente ricordato, la riforma si concentra su aspetti fra di loro legati: la separazione delle carriere, la duplicazione del Consiglio superiore della magistratura e cioè lo sdoppiamento dell'attuale organo di autogoverno, che viene privato delle sue competenze disciplinari e i cui componenti vengono scelti per sorteggio. Tutto qui. La riforma è tutta qui e rispetto ai problemi della giustizia, insomma… Ma quali sono le motivazioni? Perché questa è la cosa importante: perché si vogliono separare le carriere? Da quello che ho capito, dai pochissimi interventi della maggioranza, si dice che sarebbe importante questa separazione per garantire la terzietà del giudice, cioè il giudice come soggetto terzo fra la difesa e l'accusa. Ma la domanda a cui non c'è risposta è: da che cosa sarebbe minata, nella situazione attuale, questa terzietà? Da quello che ho capito, i motivi sono fondamentalmente due: il primo è la possibile commistione di funzioni. Cosa significa? Sembrerebbe che oggi chi mi giudica potrebbe essere stato, in altro periodo della sua vita, in altri processi, interprete dell'accusa, ma dell'accusa in altri processi. Cioè, in che senso il fatto che uno, che oggi mi giudica, sia stato in passato un PM di un altro processo, può inficiare la sua terzietà? Diverso sarebbe se ci fosse il rischio che sia chiamato a giudicare la mia causa qualcuno che in questa stessa mia causa ha svolto, in momenti precedenti, la funzione di pubblico ministero, ma questo oggi è già non possibile. Sono presenti regole di incompatibilità molte precise a questo proposito.

Allora, la terzietà del giudice da che cosa è messa in discussione? Da che cosa potrebbe essere compromessa? Forse dal rapporto di colleganza? Cioè, fare parte della stessa magistratura potrebbe portare a condizionamenti di chi accusa su chi giudica? Però, se andiamo a vedere i dati, questo problema non sembra trovare giustificazione nella situazione attuale.

Una giustificazione tale da portare addirittura alla richiesta di una riforma costituzionale, perché la realtà ci dice, da un lato, che i passaggi di carriera, dopo la riforma del 2022, sono già ridotti al lumicino. Lo ricordavano i colleghi. Molto meno dell'1 per cento dei magistrati cambia funzione e lo fa nei primi anni della sua carriera. E ancora, nella situazione attuale, quella di “non separazione”, c'è l'evidenza che una percentuale molto elevata - direi, elevatissima - di decisioni dei giudici è difforme rispetto alle richieste dei PM. Quindi questa colleganza grigia non sembra proprio emergere.

Allora, mi chiedo e vi chiedo: è proprio necessaria una riforma costituzionale, che ha costi sia economici che burocratici di funzionamento, e che comporta due CSM e un'Alta Corte disciplinare, per affrontare questi “non problemi”? È proprio l'oggettiva impossibilità di credere che ci sia un senso o quantomeno una proporzionalità fra i costi effettivi e gli obiettivi richiamati nella riforma proposta che fa pensare, che fa capire che l'obiettivo sia un altro. Non siamo noi a pensare male. È oggettivo, perché altri motivi non ci sono. La separazione delle carriere, con la rottura del principio, sino ad ora garantito dalla Costituzione, dell'unitarietà della magistratura, è una scelta funzionale a differenziare le garanzie di autonomia e indipendenza riconosciuta al pubblico ministero rispetto a quelle riconosciute al giudice. L'obiettivo è quello di porre la magistratura requirente alle dipendenze dell'Esecutivo. Il Governo e la maggioranza negano che questa sia la finalità. Eppure, questo è un esito che appare scontato.

E lo è per due ragioni. In primo luogo, perché praticamente tutti i Paesi europei (credo eccetto il Portogallo), che hanno separato le carriere, hanno anche assoggettato il PM alle direttive del Governo. Certo, in questi diversi Paesi questo potere del Governo viene esercitato con più o meno moderazione ed equilibrio nei diversi contesti, a seconda del grado di democraticità di quei Paesi. Il pericolo, però, è il modello Ungheria, e noi non vogliamo proprio andare in quella direzione.

Il secondo motivo per cui ci aspettiamo questo esito di subordinazione del PM all'Esecutivo è che ci portano in quella direzione le dichiarazioni, nei confronti della magistratura, da parte di esponenti di Governo e della maggioranza, già ampiamente ricordate in questo dibattito. E il fatto di ritenere che questo sia l'obiettivo lo dimostra, in particolare, il reiterato attacco all'indipendenza e all'autonomia della magistratura con la seguente motivazione: i magistrati non sono soggetti eletti. Sono soggetti non eletti e come tali non dovrebbero e non devono fare altro che adeguarsi alle decisioni degli eletti. Devono lasciare alla politica decidere. La politica e i politici sono gli unici che possono decidere, in quanto eletti e legittimati dalle elezioni, e come tali sono al di sopra delle norme.

Sono affermazioni molto pesanti e, in quanto ripetute continuamente, creano e acuiscono una crisi di rapporti tra politica e magistratura che la riforma sottolinea e amplifica. La riforma viene, infatti, agitata continuamente contro la magistratura in modo punitivo. La cosa è ancora più grave se si considera che il conflitto e la crisi dei rapporti tra magistratura e politica si inserisce in tendenze che stanno emergendo anche a livello globale. Penso agli Stati Uniti di Trump, ad esempio, secondo cui la legittimazione popolare - come dicevo - ottenuta attraverso libere elezioni, deve permettere una libertà di governo senza limiti. E quindi, anche senza i limiti posti dal necessario controllo di legittimità affidato ai giudici.

È molto grave questa tendenza. Si tratta di forme di insofferenza nei confronti dell'idea stessa di democrazia costituzionale. È quell'idea di democrazia costituzionale che è radicata nella nostra Costituzione che all'articolo 1 recita, in modo molto preciso, che la sovranità appartiene al popolo, ma dice al tempo stesso che questa sovranità il popolo la esercita, non solo nelle forme ma anche nei limiti stabiliti dalla Costituzione stessa. E questo proprio per evitare, da un Paese che ha conosciuto la dittatura, che ne usciva e che ne sapeva bene le conseguenze, che la democrazia si trasformi in una delega assoluta - quella che invece voi chiedete, anche attraverso la legge sul premierato - a decidere, svilendo le regole della rappresentanza, intimamente connesse a quelle relative al rispetto delle minoranze, svilendo, come oggi state plasticamente facendo in questa maratona che ci avete stupidamente - mi lasciate usare questo termine, “stupidamente” - e senza senso imposto.

In questo contesto, quindi, il rischio e la pericolosità di questa riforma sono legati al ruolo che si prospetta per il pubblico ministero nel nuovo assetto e vanno considerati anche con riferimento al possibile venir meno del principio di obbligatorietà dell'azione penale. Se viene meno l'obbligatorietà dell'azione penale e il PM decide quali reati perseguire e quali reati privilegiare sulla base di un indirizzo dell'autorità politica, quello che in gioco è qualcosa - questo, sì - di fondamentale per i cittadini. Il cittadino non si preoccupa di sapere se sono separate le carriere; si preoccupa di sapere se siamo tutti uguali davanti alla legge oppure se il reato di qualcuno è un reato su cui si può soprassedere mentre il reato di qualcun altro no; quindi, se io, che sono vittima, posso avere, come singolo, la giustizia a cui ho diritto oppure sono esposta all'arbitrio di scelte politiche. Come collettività ci espone ed espone tutti i cittadini rispetto a reati, come quelli ambientali, come quelli relativi alla sicurezza sul lavoro, che, quando non fossero adeguatamente perseguiti, potrebbero compromettere significativamente il benessere collettivo. Non ho tanto tempo e quindi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)...

PRESIDENTE. No, ha proprio esaurito il suo tempo, onorevole, grazie. Vi suono quando mancano trenta secondi per aiutarvi. Ovviamente, il microfono comincia a lampeggiare a un minuto dalla fine. Ha chiesto di parlare la deputata Forattini. Ne ha facoltà.

ANTONELLA FORATTINI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Colleghi, la separazione delle carriere dei magistrati, che istituisce di fatto due CSM, rappresenta a nostro avviso una delle più gravi minacce all'indipendenza della magistratura e, di conseguenza, all'equilibrio tra i poteri dello Stato, sancito dalla nostra Costituzione. Non è un caso che questa proposta, approvata alla Camera in prima lettura con il voto già contrario del Partito Democratico, arrivi in un momento di profondo disagio per la giustizia italiana. È un comparto che il Governo ha scelto di penalizzare, prevedendo tagli per 500 milioni di euro in due anni, in un Paese dove mancano magistrati, dove le udienze del giudice di pace vengono fissate al 2030, dove il processo telematico non funziona, dove le carceri sono al collasso e i suicidi tra detenuti e detenute e agenti sono all'ordine del giorno. Di fronte a tutto questo la risposta del Governo non è investire per migliorare il servizio di giustizia, ma manipolare l'assetto costituzionale, con l'evidente intento di minare l'autonomia della magistratura. È una riforma della giustizia inutile, nei fatti, che non accorcerà i tempi dei processi o migliorerà la vita dei cittadini. Nel merito, siamo di fronte a una riforma - come ha già detto - inutile. La separazione delle carriere nei fatti - l'abbiamo più volte ripetuto - esiste già. La riforma Cartabia ha limitato a un solo passaggio consentito nei primi nove anni. E parliamo di circa 20 casi l'anno su 10.000 magistrati. Non si può usare un dato statistico dello 0,2 per cento per giustificare un'operazione costituzionale così invasiva. Ma ciò che è peggio è che questa riforma è dannosa. Istituire due Consigli superiori della magistratura separati, con componenti in larga parte estratti a sorte da elenchi formati dal Parlamento, significa politicizzare l'organo di autogoverno della magistratura, rompere il principio di unità dell'ordine giudiziario e aprire la strada a un controllo indiretto del potere esecutivo sulla pubblica accusa. È questo il vero obiettivo del centrodestra. L'abbiamo sentito esplicitare da esponenti di primo piano come Salvini. “Punire la magistratura”: l'ha ripetuto più volte in questi mesi. Colpire l'autonomia di chi indaga, limitare l'azione dei PM, delegittimare l'equilibrio costituzionale del Paese.

Eppure, proprio questo assetto, che vede il pubblico ministero come parte dell'ordine giudiziario, obbligato a cercare anche le prove a discarico, è ciò che garantisce la terzietà e l'equità del nostro processo. Separare le carriere significa anche creare un super pubblico ministero, un accusatore di professione, sganciato da ogni forma di scambio culturale con la funzione giudicante, potenzialmente più incline a una visione colpevolista, come di fatto hanno più volte illustrato autorevoli professori durante le audizioni che sono state fatte in Commissione giustizia; e senza più il controllo interno della magistratura, con l'azione penale obbligatoria svuotata, si rischia che sia la politica appunto a decidere quali reati perseguire e quali no: è la fine del principio di uguaglianza davanti alla legge; lo abbiamo detto, la legge non sarà più uguale per tutti.

Questa riforma, colleghi, non nasce da una necessità funzionale, ma da un accordo politico: è il prezzo che Forza Italia ha chiesto nel patto interno alla maggioranza; alla Lega l'autonomia differenziata, a Fratelli d'Italia il premierato, a Forza Italia appunto la vendetta sui giudici. Peccato che anche Forza Italia non tocchi palla sulle modifiche che riteneva essere opportune; sì, perché questa riforma non ha accolto alcuno degli emendamenti proposti dalla maggioranza e tanto meno dalla minoranza.

Come ha detto la collega Serracchiani in Aula, state demolendo la Costituzione, esattamente come state demolendo il servizio pubblico, il servizio sanitario o giudiziario che sia e saranno i cittadini a pagarne il prezzo più alto, perché vedete, anche questo l'abbiamo già detto: di fatto, i cittadini ci chiedono una giustizia che funzioni meglio, che dia risposte rapide, che sappia coniugare rigore e umanità; non ci chiedono di spezzarla in due, non ci chiedono di mettere i magistrati sotto controllo dell'Esecutivo, non ci chiedono di sacrificare l'indipendenza in nome di un finto equilibrio.

La vera riforma, se vogliamo parlare di futuro, non è la separazione delle carriere; è investire risorse, è modernizzare gli uffici giudiziari, è garantire più personale, più strumenti, più tecnologie appunto per chi lavora negli uffici della giustizia, è dare dignità a chi lavora nei tribunali, non togliere la libertà a chi deve far rispettare la legge.

E, allora, con forza, lo ripetiamo in quest'Aula: questa riforma non è un passo in avanti, ma un passo indietro; non rafforza la giustizia, la rende anzi più fragile, non tutela i cittadini, li espone a rischi, non onora la Costituzione, ma anzi la tradisce. Ecco, un testo che è arrivato blindato sin dalla prima lettura, come abbiamo detto impermeabile a ogni contributo persino sui temi come la parità di genere nella composizione dei consigli; è una riforma costituzionale gestita come un decreto omnibus, chiusa, ideologica, autoritaria, un precedente grave nella storia parlamentare e costituzionale della nostra Repubblica.

Per tutte queste ragioni il Partito Democratico si oppone fermamente a questa riforma. Non accetteremo di essere complici di un disegno che punta a indebolire la giustizia e a rafforzare il controllo politico sulle sue articolazioni. Il nostro compito è difendere la Costituzione, non assecondare chi la vuole piegare ai propri interessi. Lo dobbiamo alla storia democratica di questo Paese, lo dobbiamo ai cittadini, lo dobbiamo alla verità e per queste ragioni voteremo convintamente contro questo disegno di legge e continueremo la nostra battaglia in Aula, ma soprattutto sul territorio, perché riteniamo che siamo di fronte a una vera e propria ingiustizia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Morassut. Ne ha facoltà.

ROBERTO MORASSUT (PD-IDP). Grazie, Presidente. Il Partito Democratico ha duramente criticato qui e contestato questo provvedimento nelle precedenti letture parlamentari.

Voteremo contro anche in questa occasione. Le critiche che abbiamo espresso, sia nel confronto nelle Commissioni che nelle Aule e anche nel confronto pubblico nella società civile, riguardano il modo attraverso il quale si intende giungere alla modifica di questa parte della Costituzione, profonde questioni di merito e, infine, anche il contesto nel quale questa riforma viene calata, la cosiddetta riforma della giustizia, ossia lo stato di salute reale della giustizia italiana, partendo dalle questioni di contesto, dell'efficienza della macchina della giustizia; e abbiamo evidenziato che i numerosi e gravi problemi di cui la giustizia soffre e sui quali la riforma Cartabia aveva iniziato a mettere mano sono del tutto ignorati da questo Governo che, come è stato ricordato, ha tagliato risorse per centinaia di milioni per due anni e ce ne aspettiamo altri (e provvederà con la prossima legge di bilancio). Viene lasciata a se stessa, senza risposta, la strutturale carenza di organico, sia per i magistrati che per il personale amministrativo; si allungano i tempi delle udienze per i giudici di pace; si ferma il processo telematico e la lentezza dei processi non è affrontata, anzi l'introduzione e il rafforzamento del decisivo ufficio del processo vengono di fatto accantonati; le carceri hanno un affollamento del 130 per cento e i suicidi tra i detenuti e la Polizia penitenziaria hanno toccato in questo anno del 2025 livelli da record.

Ecco tutto questo, che è la polpa viva della situazione della giustizia italiana, non viene affrontato dal Governo, che non investe, non velocizza i processi, non allevia la situazione dei penitenziari, non porta beneficio alle imprese e ai cittadini, che sono e restano impastoiati nelle sabbie mobili delle lentezze burocratiche, con costi enormi anche per l'economia, oltre che per il diritto.

È una condotta che ci sta portando, anche qui, fuori dall'Europa, fuori dal cerchio - ahimè, sempre più ristretto - di quelle Nazioni civili che guardano alla pena come strumento riabilitativo, pur nelle sue durezze necessarie, anziché come vendetta meramente punitiva.

Sul metodo va ricordato ancora una volta - e lo abbiamo visto - che il Governo ha deciso di affrontare questa discussione, così importante, con un testo, come ha sempre detto il Ministro Nordio, che era bloccato fin dall'inizio, impermeabile a qualunque modifica dell'opposizione, ma anche della stessa maggioranza, volendo dimostrare così che la Costituzione, per la destra, si cambia a colpi di maggioranza; comportamento del tutto contrario allo spirito dei padri costituenti che, va sempre ricordato, pure in un momento di forti e incipienti divaricazioni politiche e ideologiche, seppero ben distinguere, tra il giugno del 1947 e il dicembre del 1947, il terreno politico da quello costituzionale, lo scontro ideologico da quello delle comuni regole democratiche e di convivenza dentro la Repubblica. E le scelte della maggioranza e del Governo nella condotta parlamentare di queste ore aggravano il carattere dispregiativo nei confronti del Parlamento che, nonostante l'impegno del Partito Democratico e delle opposizioni, verrà lasciato per 24 ore e più senza lavorare, pur di garantire quei numeri che la maggioranza stessa ha bisogno, con fatica, di racimolare.

Questa rottura, che viene operata, con queste e con altre riforme costituzionali, che forse non riuscirete nemmeno a portare in porto per le loro evidenti lacune proprio sul piano del diritto costituzionale, che sono state rilevate dai massimi organi di garanzia, a partire dalla Consulta, è molto grave, perché vuol dire che considerate le regole figlie della politica e non il contrario, dimenticando anche che una parte - una parte - della destra italiana, erede mai negata della storia del fascismo, esiste oggi e governa anche grazie a una democrazia liberale, aperta, universale, che fu costruita sulle ceneri del regime fascista e dell'occupazione straniera e nazista, con la lotta popolare di migliaia di italiane e di italiani.

Sul merito: la separazione delle carriere nei fatti già esiste, si è ricordato, ma non esiste come legge, ma come scelta dei magistrati all'interno di una legge e all'interno di un ordinamento che non fossilizza cristallizzandole forzatamente, le due funzioni, le due carriere del magistrato requirente e del giudice giudicante.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LORENZO FONTANA (ore 8,37)

ROBERTO MORASSUT (PD-IDP). Con la riforma Cartabia, è noto, il numero dei passaggi di carriera era già stato notevolmente ridotto, in percentuale sull'insieme del numero dei magistrati, in totale assai meno dell'1 per cento e in un tempo limitato di nove anni. Quindi non serviva una riforma costituzionale per questo; la verità è che questa riforma fa parte di un accordo sconclusionato, all'interno della maggioranza, tra le forze politiche che ne fanno parte, ad ognuna delle quali è stato garantito un tema, una bandiera: la giustizia a Forza Italia, il premierato a Fratelli d'Italia, l'autonomia differenziata alla Lega, che legge costituzionale non è ma di fatto lo è. Un accordo che già appare compromesso dalla effettiva realizzabilità dell'intero pacchetto.

E poi la realtà è che l'altro grave aspetto - che è contenuto in questo testo cioè la demolizione di un CSM unico per tutta la magistratura - serve per indebolire uno dei poteri dello Stato, per azzopparlo, quello della magistratura, definendo due organismi e metodi di nomina che, nel cancellare peraltro la parità di genere all'interno degli organismi, ne inficiano l'articolazione democratica, pensando e credendo di risolvere il problema delle correnti e del pluralismo introducendo un sorteggio che solo apparentemente affida al caso la scelta dei componenti, componenti selezionati dal Parlamento e quindi dalla maggioranza che governa il Parlamento in quel preciso momento.

Si vuole, è evidente, una magistratura schiava della politica, impaurita dalla politica e la si vuole in nome di un garantismo double face. Questo non è garantismo, è un garantismo per i livelli alti e decisionali della società, mentre verso i livelli bassi, indifesi, si persegue la politica repressiva, aggressiva dei decreti Sicurezza.

E qui, signor Presidente, vorrei fare l'ultima annotazione. Con questo nuovo disegno della giustizia italiana si va verso una giustizia di classe, che colpirà più facilmente i deboli o coloro che non hanno la forza, l'organizzazione e le risorse per difendersi efficacemente in processo e premierà i forti che, per converso, possono sostenere con più chance l'impatto con i procedimenti giudiziari, per tre motivi.

Primo, se le figure del PM e del giudice vengono, per così dire, cristallizzate o, dico io, incarognite, sparirà l'obiettivo comune della ricerca della verità e della giustizia che oggi pesa, comunque, su entrambi e sulla difesa dell'imputato - indipendentemente dal ruolo in processo - ma si stabilirà, per legge, per ruolo e per prospettiva definitiva, un regime di competizione con obiettivi contrapposti. Sparirà il confronto sempre più - che è la base del processo e della ricerca della verità - per sfociare in una dimensione quasi pirandelliana dove il vero non è il vero ma è quello che esce dalla lotta rude tra posizioni in campo. Rischio che è sempre in agguato ma che così verrà sancito per sempre.

Secondo, come già detto, il PM diventa un superpoliziotto che viene riassorbito dalla Polizia giudiziaria resuscitando il codice Rocco - la cui ombra peraltro non si è mai del tutto dispersa, nello stile italiano - mentre il giudice uscirà come una figura strana che dovrà persino dimostrare, in primo luogo, di essersi definitivamente liberato dall'umore accusatorio del pubblico ministero. Un sistema conflittuale, quindi non compositivo e non di collaborazione, nella pur diversa funzione come in un vero sistema liberale.

E infine, in prospettiva, nulla impedisce di pensare - anzi lo si deve tenere il conto - che prima o poi venga messa in discussione l'obbligatorietà dell'azione penale, da parte del PM, il quale finirà per valutare in modo sostanzialmente discrezionale i procedimenti da intraprendere, quindi di una figura di fatto politica, anche se non in senso partitico - ma volendo anche -, che decide in base alla sua opinione, non alla legge. Se si mettono in fila questi tre elementi è evidentissimo il rischio che i più deboli, i più indifesi, i meno strutturati, meno organizzati, persino coloro che commettono reati più lievi finiscano implacabilmente sotto la frusta (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)

PRESIDENTE. Mi dispiace onorevole, ha terminato il suo tempo. Ha chiesto di parlare l'onorevole Marino. Ne ha facoltà.

MARIA STEFANIA MARINO (PD-IDP). Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, oggi ci troviamo a discutere una riforma che, se approvata definitivamente, non rappresenterà un passo avanti per il nostro Paese, ma un salto indietro di decenni. Una riforma che non nasce, quindi, da un'analisi seria e imparziale dei problemi della giustizia italiana, ma da un calcolo politico e da una pulsione punitiva nei confronti della magistratura, e nasce senza un barlume di rispetto per il Parlamento, perché dichiarata da voi immodificabile.

Il Partito Democratico ha espresso e continuerà ad esprimere una contrarietà netta e motivata, ma non perché i magistrati abbiano necessità di essere difesi, lo sanno fare bene da soli, ma perché è un attacco alla democrazia. Innanzitutto perché la cosiddetta separazione delle carriere è soltanto un diversivo del Governo, che vuole limitare il potere del PM. Non risponde, infatti, a nessuno dei reali problemi della giustizia italiana: ridurre, ad esempio, i tempi dei processi, incrementare l'organico e implementare la digitalizzazione, intervenire sui servizi di supporto per far sì che la giustizia migliori e diventi più efficiente.

Tutto questo non c'è e i dati che abbiamo non hanno bisogno di essere interpretati. Il Governo Meloni, con l'ultima legge di bilancio, ha previsto tagli per 500 milioni di euro al comparto giustizia nei prossimi 2 anni. I tribunali sono al collasso, Presidente, i magistrati e il personale amministrativo sono insufficienti, le udienze del giudice di pace vengono fissate al 2030, le carceri scoppiano, con un tasso di sovraffollamento che supera il 130 per cento, mentre i suicidi di detenuti e agenti penitenziari hanno raggiunto numeri mai visti prima.

Davanti a questo scenario drammatico ci saremmo aspettati investimenti, assunzioni, riforme mirate a ridurre la durata dei processi, a modernizzare il processo telematico, a garantire condizioni umane nelle carceri. E invece no, il Governo sceglie di intervenire sulla Costituzione per dividere le carriere dei magistrati, come se questa fosse l'unica criticità della giustizia in Italia. Ma non solo, questa riforma è sbagliata nel merito, ma anche nel metodo.

Un metodo, d'altronde, che maggioranza e Governo utilizzano ormai da 3 anni; un metodo, quindi, che definire autoritario non solo non è eccessivo, ma addirittura riduttivo. Separando magistrati requirenti e giudicanti voi assestate un duro colpo alle garanzie degli imputati, formando un corpo di magistrati votati solo all'accusa, magari privilegiando, anche in barba al principio dell'obbligatorietà dell'azione penale e magari su indicazione dell'Esecutivo, i reati minori, i reati di strada, i reati nel palinsesto televisivo rispetto ai reati gravi di allarme sociale, come la corruzione, i reati contro la pubblica amministrazione e la criminalità organizzata.

Seconda questione, l'estrazione a sorteggio che può portare all'anarchia. Voi avete immaginato l'estrazione a sorteggio come risposta alle correnti. Queste ultime, al di là delle distorsioni e dei limiti, svolgono comunque una funzione di mediazione, di bilanciamento, di ascolto collettivo. Con l'estrazione a sorte, dopo il sorteggio, risponderà solo a se stesso l'estratto, e Dio ce la mandi buona, perché i confini sono veramente ignoti quando non si risponde a nessuno e solo a se stessi.

Si è relegato il Parlamento al ruolo del semplice ratificatore dei patti di Governo, come se fossimo davanti a un decreto-legge. Questo testo è stato blindato dal Ministro Nordio fin dalla prima lettura, impermeabile a qualunque proposta di modifica. Questa non è la democrazia che ci hanno insegnato, è un'imposizione, un colpo di maggioranza sulla legge fondamentale dello Stato. E ancora più grave è l'atteggiamento del Ministro che ha invitato la magistratura a non schierarsi sul referendum, un segnale che appare come un tentativo di limitare ulteriormente ogni forma di dissenso e critica.

E poi, approfondendo il merito, le nostre critiche trovano oggettivo fondamento. La separazione delle carriere, di fatto, già esiste. Grazie alla riforma Cartabia un magistrato può cambiare funzione una sola volta entro i 9 anni di carriera: parliamo di circa 20 passaggi l'anno su 10.000 magistrati, meno dell'1 per cento. Serviva davvero, Presidente, una riforma costituzionale per bloccare 20 passaggi all'anno? Oppure, più realisticamente, siamo di fronte a uno scalpo ideologico, parte di un patto politico tra le forze di maggioranza?

C'è un rischio enorme, quello di spaccare la magistratura in due corpi separati e indebolirla. Due Consigli superiori, due carriere, due ordini giudiziari separati. Il risultato? Un corpo di procuratori autoreferenziali con un proprio organo di autogoverno, inevitabilmente più esposto al controllo politico, come già accade in altri Paesi, dove il pubblico ministero dipende dal potere esecutivo. Se davvero, infatti, l'obiettivo ventilato fosse stato quello di creare un pubblico ministero indipendente, questa riforma ottiene l'effetto opposto.

Si rischia di creare quindi un super PM, un accusatore di professione, con l'intero apparato della Polizia giudiziaria a disposizione e senza alcun legame con il resto della magistratura. A quel punto, l'unico controllo possibile sarà quello del Governo e il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, come dicevo poc'anzi, sancito dalla nostra Costituzione, diventerà una scatola vuota. Saranno i politici, quindi, a decidere quali reati perseguire e quali ignorare.

Nel tentativo di indebolire i pubblici ministeri, li renderete quindi ancora più forti, al punto che l'unica soluzione sarà metterli sotto il controllo dell'Esecutivo, e allora sì avremo smantellato non solo la Costituzione, ma il modello stesso di democrazia liberale che i nostri padri costituenti hanno costruito. Abbiamo ascoltato autorevoli voci della cultura giuridica che hanno spiegato come questa separazione delle carriere sia controintuitiva: non rafforza le garanzie, ma concentra il potere, spezza il pluralismo, accentua gli squilibri.

Altro monito è stato poi quello che, con la separazione delle carriere, si rischia di formare un corpo di pubblici ministeri chiuso in se stesso e autoreferenziale, inevitabilmente più vicino a una mentalità colpevolista che a un'idea equilibrata di giustizia. La collega Bisa ieri parlava di atto d'amore: mi auguro che quest'atto di amore non diventi come gli innamorati che uccidono la loro donna per amore. È quindi un provvedimento che non accorcia i tempi del processo e non riduce il sovraffollamento delle carceri, come dicevo.

Presidente, le riforme istituzionali durano solo se fatte insieme; se sono fatte da sole durano poco, perché, ad ogni legislatura, la tentazione della maggioranza politica del momento sarà di cambiarle. Penso anche che sia sbagliato spaccare il Paese sul terreno delle regole, che dovrebbe unire: averle nel programma, come avete ricordato più volte, non vuol dire imporle al Parlamento e agli italiani. Tutto ciò serve, invece, a spaccare la magistratura, a indebolirne l'autonomia, a preparare il terreno per un controllo politico sull'azione penale.

Per questo, ancora una volta, diciamo “no”; diciamo “no” in nome dei principi costituzionali, in nome di una giustizia davvero al servizio dei cittadini, in nome di una democrazia che non deve mai cedere alle tentazioni del potere di oggi, ma pensare alla libertà di domani. In ultimo, signor Presidente, vorrei fare un ringraziamento a tutti coloro che in questa notte ci hanno accompagnato negli interventi e a tutti coloro che, per un principio di democrazia, oggi combattono contro questa riforma costituzionale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Iacono. Ne ha facoltà.

GIOVANNA IACONO (PD-IDP). Grazie, signor Presidente. Stiamo discutendo di un provvedimento che, sotto l'apparente veste della modernizzazione, cela invece una profonda minaccia all'equilibrio costituzionale della nostra Repubblica. Le numerose critiche che abbiamo espresso riguardano e hanno riguardato sia il modo attraverso il quale si sta arrivando all'approvazione di questa modifica della Costituzione, sia il merito delle modifiche, sia il contesto in cui nasce questa proposta di riforma, e cioè lo stato di salute della giustizia italiana.

Non possiamo non continuare ad evidenziare che la giustizia italiana è in grande sofferenza a causa di numerosi e gravissimi problemi. Il Governo Meloni ha previsto solo tagli, invece, 500 milioni di euro in meno all'intero comparto, a fronte di una strutturale carenza di risorse, di strumenti e di organico. Mancano, infatti, i magistrati, il processo telematico è in tilt, i cittadini, le cittadine e le imprese che chiedono giustizia devono affrontare la lentezza dei processi.

La situazione carceraria è disastrosa: le carceri sono sovraffollate, con punte superiori al 130 per cento rispetto alla loro capienza e i suicidi, sia tra i detenuti, sia tra la Polizia penitenziaria, nel 2024 hanno superato ogni record e stanno continuando peggio nel 2025.

Rispetto a tutti questi problemi, questa riforma non fa assolutamente nulla. Il Governo ha deciso di affrontare una riforma, di affrontare delle modifiche alla nostra Costituzione, presentando un testo blindato e chiuso, e ciò mostra una concezione della democrazia molto, molto preoccupante. Chi ha pensato a questa riforma prova a raccontare al Paese una favola: che separando i giudici dai pubblici ministeri si garantirà maggiore imparzialità. Ma la realtà è un'altra: questo disegno di legge spezza l'unità della magistratura sancita dalla nostra Costituzione e apre la strada a una pericolosa subordinazione del pubblico ministero al potere esecutivo.

L'articolo 104 della nostra Costituzione stabilisce che la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. L'unità delle carriere non è un vezzo corporativo, ma la garanzia che il pubblico ministero non diventi un funzionario del Governo, piegato a logiche di convenienza politica. Con questa riforma, con la cosiddetta separazione, il rischio concreto è quello di avere un pubblico ministero che risponde, non più soltanto alla legge e alle leggi, ma a chi detiene il potere politico. Inoltre, il sistema attuale garantisce un equilibrio dinamico: il giudice e il pubblico ministero hanno la stessa formazione, lo stesso status, la stessa cultura giuridica. La possibilità di passare da una funzione a un'altra non è soltanto una tutela per la carriera individuale, ma è soprattutto una difesa della giustizia, perché impedisce che si creino blocchi di potere separati e contrapposti, con interessi e logiche corporative distinte. Questa riforma, invece, cristallizza la divisione e accresce i rischi di conflitto istituzionale. E non possiamo dimenticare le conseguenze pratiche perché, con la separazione delle carriere, si dovranno istituire due distinti Consigli superiori, due strutture burocratiche parallele, moltiplicando così costi e procedure, senza alcuna garanzia di efficacia e di efficienza in più. Altro che semplificazione, signor Presidente; si creerà un doppione istituzionale che graverà sul funzionamento della giustizia.

La verità è che questa proposta non nasce dall'esigenza di fornire un miglioramento della giustizia al servizio dei cittadini e delle cittadine italiane, ma da un vecchio disegno: limitare l'indipendenza della magistratura requirente, quella che ha osato indagare sui centri di potere politico ed economico del Paese. Questa è una riforma punitiva e vendicativa, che maschera, sotto il nome di garanzia di terzietà, un tentativo di controllo. È una riforma ideologica, che è un pezzo del patto tra le forze politiche del centrodestra che compongono questa maggioranza di Governo, che prevede l'autonomia differenziata per la Lega, il premierato per Fratelli d'Italia e questa sui giudici per Forza Italia. Se davvero volessimo rafforzare l'imparzialità, dovremmo intervenire su altri fronti: ridurre i tempi dei processi, investire sul personale e sulle strutture, semplificare il rito. Separare le carriere non serve alle cittadine e ai cittadini italiani, non serve alla giustizia, ma serve soltanto a ridurre gli spazi di indipendenza dei magistrati. Perciò bisogna chiedersi se quello che vuole questo Governo è una giustizia al servizio della Costituzione o è una giustizia piegata ai potenti di turno.

Noi, per tutte queste ragioni, consideriamo questo disegno di legge non un passo avanti, ma un gravissimo arretramento della democrazia nel nostro Paese. Ed è per tutte queste ragioni, come hanno già espresso le colleghe e i colleghi che mi hanno preceduto, che noi voteremo “no” a questa proposta di riforma costituzionale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pandolfo. Ne ha facoltà.

ALBERTO PANDOLFO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Colleghe e colleghi, il nostro giudizio su questo provvedimento è molto chiaro e netto: siamo contrari. Riteniamo, infatti, che questa riforma riduca l'autonomia e l'indipendenza della magistratura, spingendo il pubblico ministero sempre di più sotto l'influenza, fino al controllo, da parte dell'Esecutivo. Dietro questa proposta non c'è una riflessione serena e condivisa che, proprio per il rango costituzionale, sarebbe stata necessaria, e ne è la dimostrazione l'ordine dei lavori che si è scelto in quest'Aula, fino alla seduta fiume.

Ci sono, invece, due motivazioni che appaiono ispiratrici e sono ben precise: un intento punitivo nei confronti della magistratura e un'ossessione ideologica, ormai strutturale nella destra, verso l'attuale assetto della giustizia. Non dobbiamo fare grandi congetture per comprendere l'intento punitivo. Basta leggere i giornali o ascoltare le dichiarazioni pubbliche dei rappresentanti del Governo. Si vuole colpire la magistratura perché, secondo una visione distorta e pericolosa, essa rappresenterebbe un potere nemico, non conforme alla volontà della maggioranza. Ma la magistratura non è tenuta ad attuare programmi di Governo, di qualunque Governo. Altresì, occorre garantirne l'autonomia e l'indipendenza.

Accanto all'intento punitivo c'è l'ossessione ideologica. Una fissazione della destra, che da decenni propone, ripropone, rilancia la separazione delle carriere come una soluzione a tutto, ignorando le riforme già fatte e, complessivamente, la realtà di quello che è.

Con questa riforma si riscrive in maniera radicale l'ordinamento giudiziario, così come fu pensato dai nostri costituenti. E lo si fa ignorando tutto ciò che è avvenuto in Italia e in Europa negli ultimi trent'anni. Si fa in piena emergenza del comparto giustizia, con una manovra di bilancio che prevede, tra il 2025 e il 2027, 500 milioni di euro di tagli alla giustizia. Questo in un Paese in cui le prime udienze del giudice di pace sono fissate nel 2030, in un Paese in cui il processo telematico è in tilt, in un Paese in cui i cittadini aspettano anni per vedere riconosciuti i propri diritti.

Ma il Governo che cosa fa? Anziché intervenire sulle vere emergenze, preferisce alzare la bandiera ideologica della separazione delle carriere. Si presenta un disegno di legge di revisione costituzionale in cui si fanno rassicurazioni sul rispetto dell'indipendenza della magistratura, ma a parole. Nei fatti la si va a compromettere. E non serve appellarsi all'articolo 111 della Costituzione, al principio del giusto processo e al modello accusatorio, perché queste norme non impongono affatto un'azione di separazione delle magistrature. È una forzatura, una distorsione propagandistica che questo Governo sta mettendo in atto con un provvedimento che mira, appunto, a separare le carriere, cioè la separazione tra la magistratura requirente e quella giudicante, a sdoppiare il Consiglio superiore della magistratura. Il risultato qual è? La creazione di una casta separata di procuratori autoreferenziali, sempre più vicini al potere politico, perché in tutti i sistemi che prevedono la separazione tra PM e giudice, il pubblico ministero finisce sotto il controllo del potere esecutivo.

Poi, c'è il sorteggio per la nomina dei membri togati del CSM, una misura che rappresenta un colpo evidente all'autorevolezza e alla legittimazione democratica della rappresentanza togata. In un Paese democratico, le rappresentanze si scelgono con le elezioni, non con il sorteggio. Eppure, proprio la Corte costituzionale ha stabilito che anche un sorteggio parziale all'interno della sezione disciplinare del CSM è incostituzionale. E oggi che cosa fa? Si rilancia e si peggiora tutto ciò. Poi, ovviamente, c'è l'Alta Corte, con cui, di fatto, si svuota il CSM delle sue funzioni fondamentali. Insomma, la magistratura viene sorvegliata e, dunque, condizionata. Il tutto in un clima politico in cui gli attacchi del Governo verso la magistratura sono all'ordine del giorno, mi verrebbe da dire, anche rispetto alle legittime necessità dell'opposizione, e lo abbiamo sentito negli ultimi giorni dalle parole del Ministro Ciriani.

Insomma, siamo in un contesto evidente, oggettivo e anche dichiarato di ostilità istituzionale verso la magistratura. C'è un clima inquinato, in cui ovviamente si inserisce questa riforma. Di fatto, poi, la separazione delle carriere esiste già. Lo hanno ricordato molti miei colleghi negli interventi di queste ore. Con la riforma Cartabia della scorsa legislatura si è fissato un limite molto stringente. È possibile un solo passaggio di funzione nei primi nove anni di carriera. I numeri parlano già chiaro: meno dell'1 per cento dei magistrati cambia funzione. La commistione di ruoli è un problema che, di fatto, è già stato risolto.

Ma, ripeto, l'obiettivo è alzare una bandiera ideologica. L'urgenza ovviamente non c'è, ma ci sono invece i veri problemi che la giustizia ha, che sono ovviamente legati alla drammatica lentezza dei processi, da ricercare nella carenza strutturale degli organici negli uffici giudiziari.

Il nostro partito, il nostro gruppo, i miei colleghi stanno facendo un'azione a tutto tondo negli uffici giudiziari del nostro Paese e raccolgono questa emergenza. Abbiamo un sistema informatico obsoleto per la mancanza della digitalizzazione, oltre a un drammatico sovraffollamento carcerario, in violazione di ogni principio costituzionale di rieducazione della pena.

Su tutto questo nella riforma non c'è una parola, non c'è una riga nella riforma. E, allora, non ci si illuda di raccontare agli italiani che questa riforma cambierà qualcosa nella loro vita quotidiana. Non è così.

Per questo, noi non possiamo condividere questo disegno costituzionale perché il fine ultimo cui porta questa riforma non è quello di mettere la giustizia al servizio del cittadino, ma quello di mettere la magistratura al servizio della politica, della vostra politica, dove è la politica a dire che cosa va perseguito e che cosa no, quali sono i reati sui quali indagare e quali no, e attraverso quali strade.

Dunque, cancellare anni di cultura giuridica in Italia, fare carta straccia del principio della separazione dei poteri alla base delle Costituzioni liberali e rendere, alla fine, il cittadino più debole nei confronti della giustizia.

Questo non è lo Stato di diritto, è un'altra cosa. Ecco perché ci opponiamo. Perché la posta in gioco è l'indipendenza della magistratura, che non è un privilegio di casta ma un presidio di garanzia per ogni cittadino. Perché senza magistrati indipendenti, non c'è libertà, non c'è giustizia e non c'è democrazia. E a chi ci accusa di voler difendere lo status quo, rispondiamo con chiarezza che siamo pronti a sederci a un tavolo a discutere di vere riforme, di riforme utili, efficaci, condivise, a partire dai problemi che ho evidenziato poc'anzi.

Ma noi non siamo disposti a svendere la Costituzione per ragioni ideologiche. Verso il referendum dovrete dire la verità agli italiani. Dovrete dire loro che non state chiedendo se sono soddisfatti o meno della giustizia, ma se sono disposti a cancellare l'equilibrio dei poteri pensato dai costituenti. Dovrete dire loro che volete un Paese dove la magistratura sia sotto il controllo della politica. E siccome sarà difficile che lo facciate, lo faremo noi. Perché non vogliamo un Paese in cui la legge non è più uguale per tutti. Noi non lo vogliamo, ci opporremo con fermezza, con determinazione e, ovviamente, con responsabilità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Malavasi. Ne ha facoltà.

ILENIA MALAVASI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Cari colleghi, care colleghe, intervengo anche io e, devo dire, sento tutta la responsabilità della discussione che stiamo facendo, su una proposta di riforma costituzionale che abbiamo visto correre con molta fretta, senza dibattito, con una blindatura del testo che in realtà umilia il Parlamento, tanto per i gruppi di opposizione quanto per i gruppi di maggioranza. Ci siamo trovati, infatti, davanti a un testo inviolabile, così perfetto da rendere inutile il ruolo del Parlamento, dei legislatori eletti dai cittadini. Per la prima volta nella storia della Repubblica, una proposta di riforma costituzionale arriva in Aula senza che sia stato approvato neanche un emendamento nelle prime due letture.

La cosa che mi ha colpito di più è che non avete nemmeno avuto il coraggio di darci la possibilità di modificare il testo per garantire la parità di genere nei nuovi organi, con il sorteggio che non consente nessuna forma di tutela, di garanzia di parità, di merito e di trasparenza: un passo indietro rilevante, gravissimo sulla strada dei diritti delle donne e della loro presenza paritaria negli organi.

Del resto, la Presidente del Consiglio aveva chiesto ai suoi parlamentari di non modificare neanche una virgola e così è stato. Di fatto, la Premier è già andata ben oltre la riforma del premierato che ha proposto e ha trasformato la nostra democrazia parlamentare in una specie di autocrazia, in cui lei decide e ha deciso e gli altri obbediscono.

Abbiamo superato ogni record negativo, siamo di fronte a una riforma costituzionale blindata. Abbiamo visto in questi due anni e mezzo continui decreti-legge, oltre 100 fiducie, uno svilimento continuo del Parlamento silenziato, una mancanza delle istituzioni democratiche del nostro Paese.

Oggi, parliamo di giustizia e sappiamo bene quali sono le priorità e i bisogni della giustizia italiana: serve potenziare il personale amministrativo, che ogni giorno regge interi uffici con numeri drammaticamente insufficienti; serve rafforzare gli organici dei magistrati, il cui turnover crea scoperture per anni; serve rafforzare le risorse e anche il personale delle Forze dell'ordine; serve digitalizzare davvero, superando le differenze fra i distretti, dotando gli operatori di strumenti che funzionino e che siano efficienti e sicuri; serve sostenere l'accesso alla difesa per tutti, comprese le fasce più fragili, e, in generale, stabilizzare l'organizzazione. Mentre parliamo dei bisogni, questo Governo prevede 500 milioni di tagli per l'intero comparto.

Allora, non raccontiamoci che questa è una riforma utile, perché è una riforma che non affronta in alcun modo i nodi strutturali della giustizia italiana. Non affronta i tempi dei processi, non aumenta la capacità di risposta del sistema, non rafforza gli uffici e non migliora l'accessibilità. È una riforma tutta interna all'ordinamento della magistratura, perché di cosa parla questa proposta di riforma costituzionale? Parla solamente di organi, di assetti, di carriere e lo fa e lo ha fatto senza ascolto, senza confronto, senza nessun disegno organico di quello che oggi servirebbe alla giustizia italiana.

Diciamolo, più che una riforma della giustizia è un tentativo di riforma della magistratura. I magistrati, gli avvocati, gli operatori della giustizia chiedono ogni giorno di efficientare il sistema, di supportarli per superare la mancanza dei cancellieri e degli operatori di settore, per velocizzare i processi, e i cittadini ci chiedono di velocizzare i processi, di efficientare il sistema. Non troviamo e non abbiamo trovato cittadini interessati alla separazione delle funzioni e delle carriere e noi, intanto, ci occupiamo di altro, ci occupiamo di una riforma costituzionale che in realtà scrive due cose: dividere il CSM e istituire l'Alta Corte. Non c'è nient'altro in questa proposta di riforma che va, però, a cambiare ben sette articoli della nostra Costituzione.

Allora, ci vuole il coraggio di dire la verità ai cittadini italiani: questa non è una riforma della giustizia, è una riforma della magistratura, anzi, una riforma contro la magistratura. Davvero, ci chiediamo: la separazione delle carriere è dunque la panacea di tutti i mali? È davvero questa la riforma che serve per cambiare e migliorare oggi la giustizia? Lo hanno fatto anche altri colleghi e lo ricordo anche io: oggi, solamente lo 0,1 o lo 0,2 per cento dei magistrati cambia funzione e passa da magistratura inquirente a giudicante. Vale, dunque, davvero la pena fare una riforma costituzionale per questo 0,1 o 0,2 per cento?

Il dubbio che questo non sia il vero motivo viene e il sospetto pure. E il sospetto è che il passo successivo rischi di portare la magistratura sotto il controllo dell'Esecutivo: un potere pericoloso, senza contrappesi, irresponsabile, potenzialmente lesivo dei diritti fondamentali dei cittadini, molto più dipendente dalla politica e, stranamente, fortemente voluto da un Governo intollerante verso la magistratura, quotidianamente attaccata quando vengono colpiti gli interessi del potere e del Governo.

Perché ci vuole anche l'onestà di dire che, di altri vantaggi, in questa riforma, non ce ne sono e non li abbiamo sentiti nemmeno dagli esponenti della maggioranza che sono intervenuti, pochi, ma qualcuno ha provato a difenderla. Abbiamo sentito, però, dagli interventi della maggioranza gravissime illazioni e accuse infondate per costruire una propaganda e una motivazione politica strumentale per giustificare questa riforma, perché, quando una riforma non è supportata dai numeri, allora, si fa ricorso alla solita propaganda, costruendo una narrazione strumentale e populista. Così abbiamo sentito: questa riforma serve per difendere la credibilità della magistratura, l'autorevolezza, l'autonomia e la terzietà della magistratura stessa; serve per evitare che le nomine siano fatte dalla politica e decise dalle correnti della magistratura, per evitare che la magistratura sia dipendente dalla politica, che le toghe rosse, brutte e cattive, continuino a perseguitare i Ministri di questo Governo. Bisogna, dunque, cambiare la Costituzione, che, in sé, ha quell'equilibrio di poteri, che garantisce invece esattamente il contrario. Oggi, abbiamo una magistratura autonoma, seria, competente e indipendente, guidata da un principio di terzietà, come dimostrano i numeri. I dati sono chiari, le percentuali di assoluzione, di accoglimento delle impugnazioni cautelari e di proscioglimento in udienza preliminare dimostrano come oggi i giudici non siano affatto condizionati dai pubblici ministeri.

Dunque, mentre parliamo di riforma costituzionale, mentre costruiamo una narrazione per far dibattere il Paese, il Paese va sempre peggio: i dati sull'occupazione non migliorano, il carrello della spesa costa di più, l'inflazione aumenta, i progetti del PNRR vanno a rilento, i dazi mettono in ginocchio la nostra economia, sei milioni di cittadini italiani non hanno più il diritto alla salute garantito e la sanità va a rotoli. Nel mentre, avevate deciso di abbassare le tasse, ma la pressione fiscale è aumentata; il potere di acquisto delle famiglie è fortemente diminuito; la povertà è in aumento e anche chi lavora spesso non riesce a sostenere la propria famiglia e sul piano internazionale assistiamo a un Governo muto, assente, senza alcun ruolo di primo piano.

Riteniamo tutto questo inaccettabile, perché una democrazia solida non teme i giudici; una politica forte rispetta la magistratura, anche quando le sue decisioni non piacciono.

Per tutte queste motivazioni, siamo preoccupati e contrari al modo e al tono con i quali questa riforma viene portata avanti, perché, insieme ad altre iniziative, porta ad uno scontro fra poteri. Al di là dei colori politici, ciò che farà perdere il Paese saranno gli scontri tra la magistratura e la politica e, quando è successo, non c'è mai stato un buon risultato, perché si crea un clima negativo, nel quale la conflittualità cresce e ci rimettono i cittadini.

Questa proposta non fa l'interesse del Paese, alla fine ci rimetteranno i cittadini e per questo motivo continueremo a batterci contro una riforma che sovverte i principi della giustizia italiana (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Amendola. Ne ha facoltà.

VINCENZO AMENDOLA (PD-IDP). Grazie, Presidente. Il dibattito che noi facciamo oggi in dichiarazione di voto con gli interventi del gruppo del Partito Democratico e delle altre opposizioni è frutto di un percorso, di una procedura che non ha mai visto eguali nella storia repubblicana.

Modificare 7 articoli della Costituzione è qualcosa che dovrebbe unire, nel dibattito e nelle differenze, questo Parlamento. Non è successo così. Per la prima volta una proposta, uscita dal Consiglio dei ministri, arriva su un binario blindato e cerca, anche in una procedura parlamentare abbastanza particolare, di arrivare a segnare un punto. Qual è il punto, Presidente, che sottopongo alla sua riflessione e alla sua attenzione? È evidente che un Governo, quando nasce, ha il diritto - e anche un dovere da esprimere - di avere una visione del Paese, una visione della modifica della Carta costituzionale, di lanciare proposte che possano cambiare il sistema decisionale. Mentre i valori sono insondabilmente attuali, la seconda parte della Costituzione è sempre stata oggetto di revisione, per il funzionamento, per l'efficientamento della macchina decisionale, ma soprattutto per un punto centrale: per allargare la possibilità ai nostri cittadini di avere più diritti, più libertà e avere dalla macchina dello Stato, della nostra casa comune, prerogative, possibilità migliori. Questa maggioranza nasce…

PRESIDENTE. Un attimo solo, si è spento il suo microfono. Un attimo solo, che vediamo di risolvere. Prego.

VINCENZO AMENDOLA (PD-IDP). Grazie, Presidente. Dicevo che questa maggioranza nasce su una proposta, su tre fuochi elettorali. Tre fuochi che i nostri colleghi hanno descritto: sono i tre fuochi costitutivi di un patto politico, niente di scandaloso. Ogni partito costituente di questa maggioranza ha scelto un fuoco da proporre agli elettori. Ora, cari colleghi, siamo oltre la campanella. Dopo le elezioni regionali, si avvierà un turno, che porterà questo Paese… Io non so se questi tre fuochi diverranno tre fuochi fatui. C'è qualcosa di evanescente: l'abbiamo visto già sul premierato, l'autonomia differenziata si è schiantata. L'unico fuoco che sta cercando di passare da questa mannaia, che è dovuta alla realtà politica del nostro Paese e della storia che viviamo, è questa scelta che avete fatto.

Ora, ragioniamo un attimo. Tre fuochi fatui possono costituire un elemento portante per questa maggioranza, ma non verso un miglioramento del rapporto tra cittadini ed elementi della seconda parte della Costituzione, come nel caso della giustizia, perché è evidente che, quando si cambiano sette articoli, si cambia anche il metodo di rapporto tra le regioni e i cittadini o si cerca anche di cambiare il potere decisionale e l'Esecutivo nelle sue modalità, si cerca un equilibrio tra gli elementi funzionanti e funzionali della seconda parte della Costituzione e i cittadini. Qui non c'è tutto questo. Non a caso, gli altri due fuochi fatui - cioè l'autonomia differenziata e il premierato - non arriveranno da nessuna parte, perché il tema è nel rapporto con i diritti e le libertà dei cittadini.

Io credo, Vice Ministro Sisto, che voi abbiate segnato un punto, in questo fuoco fatuo, non su questo versante, ma nel rapporto tra politica e magistratura. Se non ci fosse stato un côté di dichiarazioni fuori dal procedimento che ci siamo dati fino ad adesso, uno potrebbe essere anche più tranquillo, ma dato che la marea di dichiarazioni continue su ogni scontro tra politica e magistratura dalla vostra parte veniva chiaramente a segnalare una diffidenza, differenza e soprattutto anche una noncuranza degli equilibri istituzionali e costituzionali, è evidente che, quando arriviamo a gestire questo fuoco fatuo della separazione delle carriere, ci troviamo di fronte non a un'analisi sul rapporto tra magistratura e cittadinanza, i suoi diritti, le prerogative e le libertà, ma a un rapporto, a uno scontro che voi ideologicamente portate da tempo, oltre ogni debita constatazione dei comportamenti singoli di alcuni magistrati, ma in una questione complessiva.

Ora, c'è un altro punto che le sottopongo Presidente: i fuochi fatui, nel corso di un processo politico, come quello di un Governo, oltre il suono della campanella, poi si confrontano con i fuochi della realtà. Presidente, il fatto che la Presidente del Consiglio non venga ad horas in quest'Aula a discutere di un'operazione militare che cambia la mappa geografica e geopolitica del Medio Oriente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista) non è un problema di propaganda, è un problema di sussistenza della lettura del nostro Paese.

Caro Presidente, il fatto che il Vicepremier Salvini ieri all'ambasciata cinese abbia abbracciato l'ambasciatore russo non è un fatto di costume, è un fatto di sussistenza della politica estera di questo Governo. Il fatto che il Ministro degli Esteri, invece di prendere un aereo, andare a Tel Aviv e dire che lui, quell'operazione, la combatte, prende un aereo e va ad Ancona a fare i comizi, è un problema di identità di questo Parlamento, di dignità di questo Parlamento e - se me lo permette - anche di dignità del nostro Paese di fronte a conflitti. I fuochi veri della realtà, su cui questa riforma diventa un fuoco fatuo, sono questi.

La storia che noi stiamo vivendo e che ci racconteremo e a cui le nostre coscienze dovranno far fronte, non solo in questi giorni, ma nei prossimi anni, è come noi affrontiamo i fuochi della storia, non questi fuocherelli che arrivano perché c'è una campagna elettorale da fare, sapendo che tutte queste tre riforme sono partite, saranno medagliette che vi mettete, ma che non arriveranno a compimento.

Noi viviamo un passaggio delicato, Presidente e non lo dico per una questione di opposizione: abbiamo una congiuntura economica drammatica per le condizioni dell'Unione europea - l'ha segnalato il Presidente Draghi di nuovo ieri -, perché abbiamo scadenze, anche nel tendenziale del nostro bilancio, in una società che è invecchiata per termini demografici, in cui dobbiamo far fronte a scelte di competitività, dobbiamo pagare una tassa, che si chiama “dazi”, imposta dall'amministrazione americana, abbiamo obblighi che voi avete firmato sul tendenziale e sulla difesa e abbiamo due conflitti che mettono in discussione l'essenza stessa dell'Unione europea.

Bene, di fronte a questo fuoco della storia, fermarsi un attimo e procedere a modificare la Costituzione, unendo il Paese, credo non sia una concessione, ma l'intelligenza dello statista, che è differente dal governante. I governanti passano, gli statisti hanno una visione. E quando modificano il rapporto tra Carta costituzionale e cittadini, cercano di unire il Paese.

A me quello che ha fatto più male - glielo dico, Presidente, e credo che anche il suo intervento, in questo senso, sarebbe utile - è che, nelle vicende di cronaca, quelle dolorose - perché, nel fuoco della storia, ci sono vicende come quella della polarizzazione e dell'odio politico -, uno statista cerca di calmare le pulsioni peggiori; un governante, un politicante ci si butta su e cerca i voti.

Di fronte a queste due realtà, a fuochi fatui e al fuoco della storia, credo che questo Parlamento aveva il diritto non solo di chiedere dignità per se stesso, perché cambiare la Carta costituzionale si fa qui dentro, nella somma esperienza storica e soprattutto nella grande tradizione della democrazia italiana, ma anche di confrontarsi con il diritto di questa maggioranza a proporre, ma soprattutto a unire, questo Paese.

Noi vedremo i dati del PNRR sulla giustizia, li vedremo a breve. Vedremo qual è il funzionamento reale, dal mondo delle carceri fino alla vicenda quotidiana dei cittadini. E voi sarete giudicati, anche quando ci sarà il referendum, su questo, perché il tema del fuoco fatuo della separazione della carriera, dinanzi al rapporto e all'equilibrio tra Carta costituzionale e diritti dei cittadini, si misura su altro, non su questo, perché tutti sanno - e le dichiarazioni sono evidenti - che questo è un equilibrio che voi cercate di cambiare, sottoponendo a uno stress l'autonomia della magistratura, perché avete un punto ideologico e politico che, da tempo, portate avanti nel rapporto tra politica e magistratura: è tutto qui.

Se farete un referendum su questo, non sarete giudicati dai cittadini, come è sempre stato per una vicenda solo politica, ma per quanto cambia il diritto singolo, la libertà e la richiesta di efficienza.

Caro Presidente, noi viviamo in un fuoco tremendo in questo passaggio. Lo dico ai colleghi del centrodestra, così lo metto per iscritto. È evidente che ognuno ha logiche di parte, di partito e di Governo, però c'è anche la coscienza personale ed è quella che mi fa oggi una gran difficoltà a intervenire su questo tema, mentre dovremmo parlare della tragedia, dell'assenza di pietà, della disumanità che si sta vivendo in queste ore, perché questo sarebbe richiesto dal Parlamento, non dall'opposizione, dal sentimento popolare che esiste, che incontrate pure voi, nei vostri incontri, nelle vostre feste di partito, nei comizi, perché si discute di questo, di qual è l'essenza stessa della politica quando è confrontata con la disumanità, che non è la differenza di parte, è la disumanità! E allora (Commenti)... Ma lascia… il Governo andasse dove vuole… Il collega protestava per l'assenza…. Sisto, non si preoccupi: è l'intemperanza di un collega (Commenti del Vice Ministro Sisto)

No, no, ma va benissimo. Vice Ministro, se vuole le porto pure un caffè, ma non era un problema mio, mi stavo rivolgendo al Presidente della Camera, non a lei, si figuri. Stavo cercando di ragionare, in conclusione, che, mentre c'è lo svolgimento di questi fuochi fatui, questo Parlamento avrebbe il diritto e il dovere di ragionare, incontrarsi e - le dico una cosa - anche unirsi sull'essenza stessa della storia che stiamo vivendo, che non è il rapporto tra maggioranza e opposizione, ma è quello che è il nostro Paese, il nostro continente, di fronte ai capovolgimenti della storia.

PRESIDENTE. Concluda.

VINCENZO AMENDOLA (PD-IDP). Un Ministro, un Vicepremier, che abbraccia un ambasciatore. Un altro Vicepremier che va a fare i comizi. Una procedura blindata, senza discussione, arrivata qui come l'abbiamo vista: se pensate che con questi fuochi fatui il sentimento nazionale possa vincere, vi sbagliate alla grande (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Merola. Ne ha facoltà.

VIRGINIO MEROLA (PD-IDP). Grazie, signor Presidente. Voglio dichiarare, fin da subito, il mio voto contrario su questo disegno di legge costituzionale. La separazione delle carriere era stata impostata, come separazione delle funzioni, già dal Governo Draghi. Se si voleva andare avanti, bastava proporre una legge ordinaria. Invece, ancora una volta, avete voluto forzare, presentando una legge di modifica costituzionale che, più che separare le carriere, divide la magistratura in due corpi separati, con due CSM diversi formati attraverso il sorteggio.

Per il Governo del merito, non è certo un buon segnale. Che sia il caso a decidere dei componenti è uno sberleffo alla competenza. Ma per voi conta che passi questo testo, che avete blindato con forzature successive fino a questo finale indecente, dove imponete un orario, perché non siete in grado di garantire la presenza numerica dei vostri parlamentari necessari.

Abusate, ancora una volta, dei vostri numeri di maggioranza, come avete abusato finora della riduzione delle prerogative parlamentari. È una maggioranza di parlamentari piegata al volere del Governo e piegata alle esigenze e contingenze di presenza in campagna elettorale nelle Marche.

Signor Presidente, il contesto in cui avviene questa discussione è un contesto dove manca completamente una seria discussione sui provvedimenti necessari alla riforma della giustizia. Un servizio pubblico di giustizia efficace e moderno: questo serve al nostro Paese e ai cittadini. Questa è la priorità autentica, mentre invece voi volete convincere gli italiani che la separazione delle carriere sia importante per rimediare ai problemi della giustizia.

Il contesto - il metodo e il contenuto di questa divisione della magistratura in due corpi separati - è quello di una democrazia autoritaria, per la quale la legge della maggioranza soverchia i diritti delle minoranze e l'indipendenza e l'autonomia di Parlamento e magistratura. Così come l'autonomia differenziata della Lega è un colpo duro all'autonomia delle regioni e dei comuni, così come il premierato è la museruola della democrazia parlamentare, ora la separazione delle carriere, fatta in questo modo, è la negazione dell'autonomia della magistratura.

L'Italia da tempo ha bisogno di un sistema giudiziario efficace e moderno. Lo ripeto. I tempi dei processi civili e penali sono troppo lunghi. Una recente analisi (di agosto) della Commissione europea certifica che ci vogliono circa sei anni in Italia per concludere una causa civile. Siamo tra i peggiori in Europa, ancora una volta. Governate da tre anni, ma siete immobili sulle scelte necessarie a rendere più efficiente e rapido il nostro sistema giudiziario. Siamo ben lontani dai target di riduzione dei tempi del processo penale e civile, previsti dall'attuazione del PNRR.

E lo siamo - guarda un po' - soprattutto perché mancano gli organici amministrativi. Ci sono, infatti, ancora da stabilizzare 6.000 persone del personale amministrativo, mentre non scorrono, come dovrebbero, le graduatorie per i nuovi magistrati. Le carceri sono sovraffollate e il personale della Polizia penitenziaria è largamente insufficiente. Si può dire che state pianificando la recidiva per i detenuti. Il destino di continuare a delinquere senza alternative, alla faccia della sicurezza per i nostri cittadini. Non vi preoccupate di questo.

Non è una priorità per voi applicare, ad esempio, la sperimentazione del processo penale e ridurre i costi inaccettabili per i cittadini del servizio di giustizia. Efficacia e rispetto autentico dei bisogni di giustizia dei cittadini richiedono la digitalizzazione, l'implementazione del processo telematico, il rinnovamento strutturale ed edilizio delle sedi giudiziarie, l'assunzione di magistrati adeguata. Invece di occuparvi di tutto questo, la vostra priorità è la separazione, o meglio, ripeto, la divisione e l'indebolimento della magistratura. Volete modificare la Costituzione, dunque, senza un vero confronto.

Avete infatti blindato il testo, non avete accettato nessun emendamento delle opposizioni. In realtà, volete convincere i cittadini che la giustizia non funziona perché i magistrati sarebbero politicizzati o perché le leggi esistenti sarebbero troppo indulgenti rispetto ai delinquenti. Anche qui, come vostra antica e rinnovata tradizione, vi inventate un nemico, esasperate e aizzate. Per questo la mia dichiarazione di voto è un atto di accusa soprattutto nei vostri propositi autoritari. È un voto contrario al vostro disegno di legge, e quindi a favore della nostra Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Ubaldo Pagano. Ne ha facoltà.

UBALDO PAGANO (PD-IDP). Presidente, onorevole Vice Ministro, la chiamate “separazione delle carriere”, ma questo disegno di legge costituzionale, arrivato ormai alla terza lettura, in realtà non si limita a introdurre una diversa organizzazione funzionale. Non è, come provate a farla passare, una riforma neutra o addirittura un tecnicismo verso il giusto processo. È, in realtà, un vero e proprio strappo, un taglio profondo nel tessuto della nostra Costituzione, che invece è stata concepita per tutelare i diritti fondamentali di tutela della persona contro ogni abuso di potere, qualunque esso sia.

È in questo spirito che la Costituzione del 1948 ha affidato la tutela dei diritti e delle libertà a un ordine giudiziario unico, composto da giudici e pubblici ministeri uniti da una comune cultura della giurisdizione, uniti dall'obbligo della ricerca della verità, garantiti in questo lavoro da autonomia e indipendenza, e soggetti, in quanto tali, soltanto alla legge. Invece, la riforma che state proponendo disgrega alla radice questo impianto, perché spezza il legame tra chi è chiamato a decidere e chi è chiamato a esercitare l'azione penale.

Lo fa in nome di una presunta esigenza di terzietà, che pur sarebbe necessaria per migliorare il sistema giudiziario, ma che in realtà utilizzate come pretesto per smantellare il sistema di equilibrio tra poteri che è stato voluto dal costituente antifascista. Nel dibattito pubblico, addirittura con leggerezza, siete arrivati a parlare - non solo con leggerezza, direi con irresponsabilità, signor Presidente - di un presunto uso politico dello strumento giudiziario da parte della magistratura globalmente intesa. C'è chi ha addirittura evocato tratti eversivi in talune inchieste, invocando a tal proposito una riforma organica dell'assetto costituzionale, per mettere fine a questa deriva.

Ora, io non nego che ci siano degli abusi, non nego che ci siano degli errori, che molto spesso finiscono per coinvolgere la vita degli esseri umani in maniera troppo frettolosa, ma da qui a immaginare che ci sia un tentativo eversivo, attraverso talune inchieste, di sovvertire l'ordine democratico rappresenta di per sé non solo una menzogna, ma anche un tentativo, attraverso questa suggestione, di sottoporre il potere giudiziario al controllo del potere politico. Queste parole che avete pronunciato sono pesanti e offensive, ma soprattutto sono pericolose.

Chi le pronuncia, soprattutto quando ha un ruolo di Governo della Repubblica italiana, dovrebbe avere almeno consapevolezza del significato dei termini che utilizza, perché le parole hanno un peso, e del peso che essi portano nella storia ne dovranno rispondere di fronte alla Repubblica, ammesso e non concesso che abbiano ancora in testa un ordine repubblicano. Arrivare a giustificare una riforma costituzionale con il fatto che alcuni processi si siano conclusi con assoluzioni o con archiviazioni non è solo capzioso, ma denuda la reale volontà su cui state costruendo questa riforma e, soprattutto, non affronta il vero nodo che da più tempo vi stiamo dicendo, e cioè tutta la fase delle indagini.

Non si vuole migliorare la giustizia, si vuole mettere al riparo il potere da ogni possibile controllo; il potere, non una categoria, il potente di turno. Nel dossier che accompagna il disegno di legge costituzionale che è alla nostra attenzione il Governo ha elencato tre ragioni principali a sostegno della riforma: la garanzia della terzietà del giudice, la necessità di superare il sistema elettivo del CSM, il trasferimento del potere disciplinare a un organo esterno per rafforzare l'imparzialità del giudice e della disciplina, ma nessuna di queste giustifica uno stravolgimento costituzionale.

Sebbene la ratio la si può anche indagare nel confronto tra le parti, evidentemente, come voi la declinate nel concreto, in realtà ha tutt'altro significato, in quanto sul primo punto voi affermate che nei sistemi accusatori, come il nostro dopo la riforma del 1988, la separazione delle carriere sia un principio naturale; in realtà, lo fate in maniera ingannevole, perché sostenete, richiamando modelli di common law che, in realtà, secondo il vostro impianto, funzionerebbero meglio. Ma omettete di dire che in quei Paesi il pubblico ministero, l'accusa, l'avvocato dell'accusa non è parte dell'ordine giudiziario, ma è un funzionario del potere esecutivo, spesso nominato dalla politica o eletto direttamente dal popolo, soggetto a logiche discrezionali e a interferenze anche di carattere para-amministrativo, per concludere prima della fase dibattimentale, attraverso accordi di natura amministrativa, anche tutto quello che c'è da dire, in barba alla logica del giusto processo.

La carriera del magistrato, negli ordinamenti di common law, può però, in quel caso, alternarsi con incarichi politici e amministrativi. Basta citare il caso del vostro tanto amato Rudolph Giuliani, già procuratore dello Stato di New York e poi sindaco di New York, alla faccia della commistione che voi vorreste combattere. In realtà, le “porte girevoli” lì sono all'ordine del giorno. È falso anche sostenere che oggi non ci sia separazione tra giudici e pubblici ministeri, perché la legge già oggi prevede che il passaggio da una funzione all'altra sia possibile una sola volta nella carriera e, guardate, i dati e l'approccio scientifico alla decisione dimostrano che si tratta di casi rarissimi, solo lo 0,83 per cento, non l'83 per cento, lo 0,83 per cento, meno dell'1 per cento dei PM è passato a fare il giudice e solo lo 0,21 per cento dei giudici è poi diventato PM negli ultimi 5 anni.

Quindi, perché state facendo questa riforma? Per fermare quale deriva? Perché i numeri, evidentemente, sbugiardano tutta la vostra propaganda. Inoltre, i PM non sono complici dei giudici, sono parte processuale, sottoposta agli stessi vincoli degli avvocati, e le loro valutazioni nei consigli giudiziari sono soggette a bilanciamenti e controlli. E allora, se davvero il problema fosse il “tu”, che molto spesso ho sentito nominare da molti Sottosegretari, nei corridoi o il caffè condiviso, dovremmo separare anche i giudici di primo grado e di secondo grado, quelli del riesame dai GIP, e così via, per evitare che ci sia anche la possibilità di un contatto fisico tra ordinamenti che devono soppesare i contrappesi nelle garanzie all'interno di un processo penale.

Così facendo, però, arriveremmo al paradosso di dover costruire tribunali separati, vietare le conversazioni informali ed evidentemente controllare anche il tono delle voci che si disperdono nei corridoi delle aule giudiziarie. Quello che si vuole realmente ottenere, invece, è un pubblico ministero meno autonomo, più debole, magari più prudente quando deve indagare su un potente.

E, guardate, il fatto che i costituenti avessero immaginato che, all'interno del CSM, i PM fossero soltanto 5 su 33 era già di per sé garanzia che si volesse tutelare anche all'interno di quell'organismo che doveva valutare l'efficacia, l'effettività e la giustezza dei processi all'interno della fase giudicante e che, in realtà, non fosse sottoposto a un eccessivo potere di quella che sarebbe stata, nella tripartizione del cicaleccio tra i soggetti che corrispondono all'interno di un processo, la possibilità di essere i PM a dover giudicare i giudici in maniera pervasiva.

Non è un caso che venga proposta questa riforma in un momento storico in cui cresce la tensione tra il potere politico e gli organi di garanzia e non è un caso che la state sostenendo insieme a coloro ai quali interessa trasformare il PM da garante della legalità a braccio del Governo. Questo è, sì, il progetto eversivo su cui vi state concentrando, un po' come quando avete abolito l'abuso d'ufficio, ma guardate la storia, per l'eterogenesi dei fini, solitamente poi si occupa di queste furbate e si ritorce contro. Come vi avevamo detto in quella circostanza, il problema è evitare che un amministratore venga perseguito ingiustamente, ma se si va a derubricare completamente l'istituto giuridico con l'effettività dell'azione penale in maniera cogente…

PRESIDENTE. Concluda.

UBALDO PAGANO (PD-IDP). …quel PM, da questo punto di vista, dovrà per forza iscrivere il reato per una fattispecie superiore e questo, purtroppo, produrrà qualcosa di distorto. Anche in questo caso state creando…

PRESIDENTE. Ha concluso il tempo, onorevole Pagano.

Ha chiesto di parlare l'onorevole Orfini. Ne ha facoltà.

MATTEO ORFINI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Penso che l'immagine, abbastanza desolante, di quest'Aula meglio delle mie parole dimostri che siamo di fronte a una forzatura grave, che umilia non tanto le opposizioni - noi siamo qui a onorare la nostra funzione e il nostro ruolo, nonostante tutto -, ma umilia la funzione di quest'Aula, la funzione del Parlamento, perché io - con onestà intellettuale - ormai ho una certa esperienza di quest'Aula e devo riconoscere che non sono uno di quelli che si scandalizza per le forzature. Ci sono nella dialettica parlamentare, noi ne abbiamo subite dall'opposizione, ogni tanto le abbiamo anche fatte quando eravamo in maggioranza, però qui siamo di fronte a qualcosa di diverso da una forzatura ordinaria, perché stiamo discutendo di una riforma della Costituzione, che è qualcosa di un pochino più importante di un decreto da convertire o di una legge da approvare, perché una Costituzione - vale sempre, ma vale soprattutto per la nostra Costituzione - non è stata solo un atto normativo, ma un fatto politico: quella Costituzione nasce dalla lotta antifascista, nasce da una guerra di liberazione, nasce dal fatto che, dopo quella guerra, le forze che avevano fatto la Resistenza si unirono e in Parlamento, superando anche le differenze, lavorarono per raggiungere il massimo grado di unità possibile e scrivere una Costituzione meravigliosa, come tutti riconosciamo essere la nostra, che è meravigliosa proprio per quel metodo che fu utilizzato nella scrittura di quella Costituzione, Costituzione che è talmente perfetta da aver previsto anche i meccanismi di autoriforma. Non è una tavola delle leggi scolpita e immodificabile: ci sono le procedure, che sono quelle attivate in questa discussione, per riformare la Costituzione, però lo spirito di quelle norme - basta ricostruire, rileggere gli atti parlamentari di quel periodo - immaginano una procedura di discussione molto articolata, come avremmo dovuto svolgere - mettiamola così -, proprio per favorire, anche nei momenti di modifica della Costituzione, il raggiungimento di quello stesso spirito costituente che diede vita al testo costituzionale. Per questo ci sono più letture, per questo c'è bisogno di determinati numeri di maggioranza, per questo c'è la previsione anche del referendum.

Fra tante forzature fatte e subìte in questi anni, che ci si arrivi addirittura a portare in Aula, programmaticamente dichiarandolo, una riforma costituzionale immodificabile e argomentando, come ha fatto il Vice Ministro Sisto - spiace sia andato via - il fatto che non serviva una discussione emendativa parlamentare perché avevano già fatto tutto il dibattito loro dentro il perimetro della maggioranza, è la dichiarazione - diciamo surreale, ma ormai siamo abituati a tutto - che questo Governo considera persino la Costituzione un fatto di maggioranza, cioè un fatto che nemmeno prevede la necessità dello sforzo di costruire un dialogo con l'opposizione, non per dare ragione all'opposizione - siamo tutti adulti -, ma perché banalmente in quella discussione qualcosa, magari anche proveniente dai parlamentari di maggioranza o da quelli di opposizione, può produrre dei miglioramenti. Nemmeno sull'equilibrio di genere siamo riusciti a far approvare un emendamento.

Io penso che questo sia davvero un fatto grave. Lo voglio dire - e mi rivolgo al Presidente Fontana, non solo perché lo prevede il Regolamento e non solo perché non c'è quasi nessun altro a cui rivolgersi; quindi, mi dispiace per lei, mi tocca parlare con lei - ma anche perché vorrei approfittare dell'intimità di questo momento, in cui siamo pochi in Aula, per dirle che io ho massimo rispetto per la funzione che svolge e, ci tengo a dirlo, anche per il modo in cui lei l'ha svolta fino a ieri, cosa che io non mi aspettavo, perché ha mostrato equilibrio e attenzione per le opposizioni. Io penso che lei ieri abbia creato un vulnus nel rapporto almeno con le opposizioni, perché aver avallato questa procedura e concesso una seduta fiume all'inizio di una discussione è un fatto, onestamente, inaccettabile per noi, che riguarda anche il modo in cui si garantisce l'equilibrio della gestione di quest'Aula.

C'era urgenza? No, non c'era nessuna urgenza di affrontare questa discussione con questi tempi. Eppure, se parliamo di giustizia, di argomenti che meriterebbero un approccio urgente ce ne sono: ci sono i tagli che avete fatto, c'è la carenza degli organici, c'è la lentezza dei processi il cui prezzo pagano cittadini e imprese, c'è il processo telematico in panne, in tilt, c'è l'enorme emergenza delle carceri. Quante volte noi abbiamo provato a discutere con voi, in quest'Aula, di cosa fare per affrontare l'emergenza delle carceri senza ottenere alcun successo? Noi abbiamo fatto anche una campagna - e continueremo a farla - di ispezioni nelle carceri per segnalare quello che, appunto, sta scritto nella nostra Costituzione, che anche i detenuti hanno dei diritti e hanno diritto ad essere trattati vedendo riconosciuta la loro dignità e questo, nel nostro Paese, non accade.

E invece questa procedura forzata e accelerata è stata utilizzata per la separazione delle carriere, separazione delle carriere che non era un tema… Sottosegretaria, lei c'era, c'eravamo tutti: noi avevamo affrontato questa discussione nella passata legislatura e larga parte di questa maggioranza aveva votato insieme a noi la riforma Cartabia. Era un tema a cui avevamo dato un'altra soluzione, ma che sostanzialmente stava funzionando. Noi abbiamo fatto i conti - l'abbiamo detto nel dibattito - e stiamo parlando di una cosa che riguarda 20 passaggi di funzione all'anno, quindi non è che stiamo discutendo di qualcosa di così impattante come necessità di riforma. L'avevamo fatta in modo ordinato, l'avevamo fatta nel dialogo, avevamo trovato una soluzione. Non andava bene? Si poteva intanto misurare quell'effetto e capire insieme come migliorarla.

E invece no, si mette in campo una riforma aggressiva, barocca, che ingolferà il sistema, che non ha nulla a che fare con il garantismo, come è stato spiegato anche dall'onorevole Pagano prima di me, perché crea le condizioni del controllo dell'Esecutivo - neanche della politica - sul pubblico ministero e quindi produrrà un meccanismo semplicemente di controllo, non di garanzie per i cittadini, e lo facciamo perché appunto è - i fuochi fatui di Amendola - un pezzo di una bandiera ideologica. Lo sappiamo (c'è una maggioranza): separazione delle carriere, premierato e autonomia differenziata. Questo era il patto costitutivo della maggioranza: è perché si vuole colpire e indebolire la magistratura. Anche questo è qualcosa di programmaticamente dichiarato dal Governo, non solo nelle azioni: sentenze sull'Albania contestate, il caso Almasri contestato alla magistratura; c'è sempre la stessa sceneggiatura.

Ma, fatemelo dire, visto che la polemica di queste ore è il clima d'odio. Non è che questa aggressione sistematica alla magistratura non sia qualcosa che alimenta un clima d'odio nel Paese. Non è che individuare sempre nelle istituzioni - almeno in una parte delle istituzioni - un nemico favorisce la pace e la serenità del dibattito pubblico nel nostro Paese. La verità è che voi siete allergici a qualunque strumento che equilibri poteri.

Quell'equilibrio così perfetto immaginato dalla nostra Costituzione voi lo state mettendo in discussione con le dichiarazioni, con i fatti e con le norme, secondo una logica per cui chi vince ha diritto a fare tutto, anche al di là delle norme, anche aggirando le norme, anche rifiutando il controllo e le verifiche degli organismi nazionali e internazionali. Questa roba, che è in linea con quello che sta facendo la destra nel mondo - pensiamo a Trump -, è sbagliata, è inaccettabile, è intollerabile, ed è la ragione per cui noi ci opponiamo a questa riforma e alle altre che avete messo in campo.

Però fatemi dire l'ultima cosa, perché, a volte, ci pensa la storia a raccontare meglio delle mie parole quello che sta succedendo. Sono ore drammatiche - è stato ricordato - per il mondo, non solo per il nostro Paese. Quello che da ieri è l'ulteriore salto di qualità avvenuto a Gaza è qualcosa di agghiacciante, di cui sta discutendo il mondo, che sta preoccupando tutti i cittadini, italiani e non.

Noi ieri abbiamo fatto, in apertura di questa sessione, una cosa banale: abbiamo chiesto che venisse qui la Presidente del Consiglio a discutere con noi di cosa si può fare, oltre alle dichiarazioni, per fermare i crimini di Netanyahu, per cercare insieme a noi, senza polemica, di discutere di cosa si può fare. Lo abbiamo fatto, non abbiamo ancora ottenuto risposta. La Meloni non è qui, non perché è in Israele, non perché è all'ONU, non perché è da qualche parte, ma perché deve andare a fare campagna elettorale e, fosse stato per il Governo e per questa maggioranza, in questi...

PRESIDENTE. Concluda.

MATTEO ORFINI (PD-IDP). …due giorni drammatici, il Parlamento sarebbe rimasto vuoto, lo sta tenendo aperto il Partito Democratico (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista), perché noi pensiamo che onorare la funzione di questo Parlamento, in un momento così grave della storia, è essere qui e discutere, non andare a fare campagna elettorale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Lai. Ne ha facoltà.

SILVIO LAI (PD-IDP). Grazie Presidente. Colleghe, colleghi - in questo caso soltanto del Partito Democratico, visto che la maggioranza è, praticamente, totalmente assente -, io intervengo, Presidente, per esprimere il mio voto contrario a questa che voi chiamate riforma della giustizia, che, nei fatti, si occupa solo di separare le carriere tra magistrati requirenti e giudicanti, e affida l'autogoverno di tutto il sistema dell'amministrazione della giustizia - quindi, della magistratura - al caso, alla casualità, e non alla competenza. Sarebbe anche una cosa ridicola, perché da nessuna parte succede che si costruiscano organismi di autogoverno con il caso, da nessuna parte. Nelle università, nei sistemi semplicemente di rappresentanza dei cittadini, nei sistemi scolastici ci sono tutti modelli elettivi, figurarsi quello che è uno dei tre poteri dello Stato, uno dei tre poteri costituzionali, una delle colonne più importanti su cui si basa la nostra democrazia liberale. Perché lo faccio da parlamentare che crede nella distinzione dei poteri stabilita dai padri della Costituzione: potere giudiziario, quello legislativo e quello esecutivo.

Voi lo avete detto nei vostri interventi, nei pochi, pochissimi interventi che sono stati fatti dalla maggioranza in sede di discussione generale: la separazione delle carriere servirebbe per evitare l'influenza dei PM sui giudici, per avere un giudice più terzo, e la modifica del sistema elettivo del CSM sarebbe la via per scardinare le sensibilità, le aggregazioni culturali, le correnti, come voi le chiamate. Ma davvero i problemi della giustizia italiana - se foste sinceri anche solo per un attimo - stanno nell'autogoverno della magistratura, cioè in questa parte sulla quale e nella quale voi intervenite in maniera così violenta?

Allora, proviamo a esaminare questa teoria in maniera oggettiva. Io non prendo neanche in considerazione l'idea che prendere un caffè insieme, o avere l'ufficio due porte più in là, possa portare all'influenza sulle sentenze che riguardano una causa. Penso anche che - lo ha detto molto bene il mio collega che ha appena finito di parlare -, con la riforma condivisa da larghissima parte del Parlamento, durante la scorsa legislatura, il tema è stato persino affrontato in maniera molto sobria, molto concreta. Il passaggio diretto tra magistratura requirente e magistratura giudicante è, sostanzialmente, rarissimo - 20 persone su 10.000 -, mentre sono molto numerose le sentenze difformi, per esempio, tra primo e secondo grado o tra le proposte del PM e quello che decide poi, alla fine, il giudice. Quindi qual è il problema vero che pensate che ci sia?

Andiamo sull'altro punto, la trasformazione del CSM con due strutture distinte. Questa divisione, questa suddivisione, rafforza l'autorevolezza della magistratura oppure, invece, la ridimensiona? Si riduce o si rafforza l'autonomia della magistratura, che, con questa separazione, rischia di essere eterodiretta? Alla fine, se guardiamo concretamente ai problemi che voi dite di voler affrontare, c'è un'idea di fondo e, cioè, che l'autonomia della magistratura - il fatto che possa parlare, nel suo insieme, con una voce sola attraverso il CSM, che il CSM sia presieduto dal Presidente della Repubblica - è per voi molto, molto fastidiosa. È fastidiosa quando accusa e, poi, condanna, magari, un membro del Governo o della maggioranza, reo di aver reso noti dati e informazioni secretate per usarle contro componenti della minoranza, magari per intimidirli o minacciarli (è successo qualche mese fa); è fastidiosa quando la magistratura pone dei limiti alla politica, magari anche nella legislazione, perché non è vero che fare delle leggi che non siano rispettose delle norme costituzionali è un potere nelle mani della maggioranza del Parlamento; ed è anche fastidiosa se applica la Costituzione quando questa pone dei limiti ai sistemi di garanzia.

Ecco, con questa norma che voi ci proponete - siamo alla terza lettura -, emerge questa idea di fondo, cioè il fatto che la tripartizione dei poteri, la separazione dei tre poteri fondanti costituzionalmente definiti deve finire: tutto deve essere concentrato su uno solo di questi poteri, il potere di chi vince. Lo avete già fatto con la cancellazione di fatto del potere legislativo, che è totalmente assorbito in questa legislatura dall'attività dell'Esecutivo. Non c'è una legge seria lasciata all'iniziativa parlamentare e persino una riforma costituzionale è stata blindata sin dall'inizio, evento assolutamente nuovo e non previsto - non ci potete dire certamente che questo sia già successo quando noi siamo stati maggioranza -, tra l'altro nonostante le vostre dichiarazioni ufficiali, anche di autorevoli membri del Governo, che le riforme sarebbero state fatte con il lavoro del Parlamento. In questo Parlamento non passano le iniziative della maggioranza, ma solo quelle del Governo, che detta ritmi, vuoti e presenze e priorità.

Cancellato il secondo dei poteri, quello legislativo, ora tocca al terzo e l'obiettivo è, anche lì, ridurlo - visto che non può essere cancellato - al controllo dell'Esecutivo, con due colpi assestati molto bene alle basi, cioè la separazione delle carriere, e quindi la disunità del sistema della magistratura, della giustizia, e la cancellazione della libertà di espressione del CSM, per la sua perdita di unità e, quindi, di autorevolezza.

Se volessimo guardare, invece, ai contenuti veri che avremmo dovuto affrontare, il dato è assolutamente evidente: voi non siete entrati in nessuno dei problemi che toccano i cittadini nel funzionamento della giustizia, che fa subire loro ritardi, ingiustizie e l'impossibilità di avere giustizia in tempi certi e in tempi adeguati alla vita civile e alla vita economica delle imprese. Avete scelto proprio la strada dell'ideologia, rifiutando di guardare ai fatti, anche quando questi sono sotto gli occhi di tutti, perché i fatti raccontano totalmente un'altra urgenza: sono le condizioni carcerarie e il rispetto della dignità delle persone detenute (anche quando si tratta di qualcuno che ha militato dalla vostra parte vi girate dall'altra parte); l'incertezza del diritto, che logora i cittadini e le imprese; la lunghezza dei processi, che incide sulla fiducia delle persone e, quindi, sull'economia; i ritardi della giustizia amministrativa, che bloccano investimenti e servizi. Su questi nodi non c'è un rigo di risposta nella vostra riforma, che definite storica. Non c'è risposta nemmeno sugli abusi delle intercettazioni, come li chiamate voi, sugli eccessi di spettacolarizzazione dei processi - come li chiamate voi -, o sul tema delle “porte girevoli” tra politica e magistratura. Niente. La vostra azione, in questi anni, è stata tra il panpenalismo - quindi, esagerazione delle pene, risposta alla cronaca con nuove pene e pene più grandi, talvolta anche ripetitive e squilibrate nel rapporto complessivo - e la cancellazione di reati semplicemente perché comodi, come l'abuso d'ufficio, generando poi, alla fine, vuoti normativi e delegittimazione della giustizia, costretta - come è successo a Milano - a perseguire reati in maniera forzata e impropria solo perché non esiste più un reato adeguato a quello per il quale si erano avviate le indagini.

Qual è il senso, qual è il motivo del lasciare tutto così com'è, del ridurre i finanziamenti al sistema, del rispettare controvoglia gli impegni presi nel PNRR, del rallentare e complicare le azioni della riforma Cartabia, della sua riduzione all'inutilità?

Semplice: volete far vedere che il sistema è inefficiente, volete far vedere che il sistema giudiziario è in crisi. Ma non volete risolvere questa crisi: applicate all'amministrazione della giustizia, alla magistratura, che però è uno dei poteri fondanti della democrazia liberale nel nostro Paese, la tecnica che usate per i temi della sicurezza, il cinismo con il quale agitate le paure del diverso, dell'immigrazione e della violenza. Usate e diffondete un linguaggio violento, per poi dire che lo subite, magari dalle opposizioni; create la paura, per poter dire che la state affrontando, confidando nella distrazione dei cittadini e spesso nella non conoscenza di merito dell'argomento di cui si si tratta.

Insomma, per raggiungere l'obiettivo dell'intimidazione della magistratura e della sua destrutturazione non vi fate nessuno scrupolo di modificare la Carta costituzionale, con una modalità svilente per il Parlamento e aggressiva nelle modalità, sino alla cancellazione del dibattito pubblico con questa vergognosa richiesta della maggioranza di seduta fiume, che si aggiunge al “canguro” utilizzato al Senato, semplicemente per partecipare a un comizio alle elezioni regionali nelle Marche.

Intanto, il fuoco divampa in tutto il mondo e il vostro Governo è concentrato a vincere a Pesaro piuttosto che a provare a bloccare la guerra…

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

SILVIO LAI (PD-IDP). …in Ucraina dovuta a una invasione - concludo, Presidente -, oppure il genocidio in Palestina.

Chiudo con un'osservazione politica: mentre qui piegate la Carta alla propaganda, vediamo Salvini invocare la separazione delle carriere ogni volta che viene coinvolto in un processo, e Meloni farne una bandiera identitaria per polarizzare il dibattito.

La giustizia non dovrebbe diventare un campo di battaglia personale o un terreno di propaganda; dovrebbe restare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)

PRESIDENTE. Ha concluso il tempo a sua disposizione. Ha chiesto di parlare l'onorevole De Luca. Ne ha facoltà.

PIERO DE LUCA (PD-IDP). Grazie, Presidente e onorevoli colleghi. Siamo qui oggi a discutere di un provvedimento che non rappresenta soltanto un capitolo nella lunga e travagliata storia delle riforme e della giustizia in Italia, ma rischia di diventare davvero una pagina buia per la nostra democrazia parlamentare e per il rapporto tra i poteri dello Stato.

Mentre discutiamo di una riforma che rischia di alterare l'equilibrio istituzionale ed i rapporti tra i poteri dello Stato e che smonta l'attuale impostazione dell'ordinamento giudiziario del nostro Paese, la maggioranza di Governo è scomparsa; i banchi vuoti della maggioranza che sostiene il Governo sono davvero una ferita alla nostra democrazia. È intollerabile il disinteresse e l'ignavia rispetto a questa riforma, che voi state portando avanti peraltro con tempi e modalità che sono per noi completamente inaccettabili.

Come è possibile - signor Presidente, mi rivolgo a lei - un dibattito svolto in queste condizioni, con la totale assenza della maggioranza in Aula? Ma che segnale si dà al Paese? Che messaggio date al Paese? È vergognosa questa vostra fuga dalle responsabilità politiche rispetto a questa riforma, per noi è davvero intollerabile.

Siamo qui, come opposizione, a far sentire la nostra voce, a far sentire le nostre argomentazioni di merito, parlando del contenuto di questa riforma con argomenti che avremmo chiesto di ascoltare, di valutare e di verificare. Invece, da parte vostra, c'è una chiusura totale rispetto al dibattito, rispetto al confronto che è arrivato, da richieste dell'opposizione, ma anche della società civile, degli operatori del diritto, dei costituzionalisti, dei professori universitari e dei giuristi.

Nulla di tutto questo vi ha interessato e oggi i banchi vuoti rappresentano e dicono solo una cosa molto semplice: questa è una riforma che rappresenta per voi l'ennesima bandierina ideologica, semplicemente questo. È il terzo elemento di un patto, di un accordo di potere che tiene in piedi il Governo: premierato, riforma della giustizia e autonomia differenziata. È solo per questo che oggi state portando avanti questa riforma, peraltro nel disinteresse totale della vostra maggioranza, ed è un qualcosa che noi condanniamo e stigmatizziamo davvero in modo forte e chiaro.

Non si è mai visto un qualcosa del genere: un'Aula vuota è davvero una ferita alla democrazia e al dibattito parlamentare. Perché non interviene nessuno della maggioranza a sostenere oggi le ragioni di questa riforma? Perché non parlate al Paese e le spiegate? Abbiate almeno il coraggio di assumervi le responsabilità politiche della vostra azione. Avete deciso di imporre questa riforma senza un confronto, senza un dialogo, senza apertura al contributo dell'opposizione, dell'avvocatura, della magistratura, della società civile. Siete andati avanti nella totale indifferenza di tutti i riscontri che arrivavano da mondi differenti, anche volti a migliorare, semmai nella logica vostra, questa riforma. Ma nulla da parte vostra.

La verità è che ci troviamo, allora, di fronte alla volontà di portare avanti una proposta che rischia davvero di rappresentare, come è stato rilevato da più parti, una sorta di volontà punitiva da parte vostra nei confronti della magistratura ed è caratterizzata da un'ossessione ideologica per il controllo di altri poteri e organi dello Stato che state mettendo in campo.

Non c'è alcun intento riformatore. Questo vorrei che fosse chiaro al Paese. Voi non state in alcun modo migliorando l'organizzazione della giustizia nel nostro Paese, non state migliorando la macchina della giustizia nel nostro Paese, non state affrontando nessuna delle criticità che oggi ancora, purtroppo, esistono nell'amministrazione della giustizia in Italia. Nemmeno una. Questo è il tema che noi oggi rileviamo e lo stiamo dicendo con forza, entrando nel merito delle problematiche.

Non toccate la qualità del servizio della giustizia, nessun interesse alle criticità e ai “colli di bottiglia”, alla necessità di rendere i processi più rapidi, più efficienti, più equi. Il problema della giustizia sono gli organici carenti. Abbiamo circa 12.000 donne e uomini che rischiano oggi di perdere il posto perché assunti a tempo determinato per rafforzare l'organico della macchina giustizia, ai quali voi non state dando nessuna risposta che possa garantire una loro stabilizzazione al termine del PNRR. Dovreste occuparvi del tema degli organici, dovreste occuparvi degli uffici giudiziari al collasso, delle carceri sovraffollate che vedono purtroppo, troppo spesso, anzi quasi sempre, condizioni non dignitose al proprio interno, dei processi lunghi.

A queste emergenze il Governo risponde con una proposta che non affronta nessuno di questi temi. Non stanzia più risorse, non si occupa del tema degli organici, non si occupa del tema dell'ammodernamento delle strutture, dei tempi e dei costi dei procedimenti e dell'amministrazione giudiziaria.

Ci si concentra sulla separazione delle carriere. È un tema che non rappresenta una priorità, non è una richiesta che è arrivata dagli operatori del diritto e non incide sui “colli di bottiglia” dell'amministrazione della giustizia. Piuttosto, è l'ennesima bandierina ideologica, una battaglia simbolica che portate avanti, mentre si ignora ciò che davvero serve al sistema: uffici e amministrazioni funzionanti, digitalizzazione del processo, edilizia giudiziaria, carceri sicure e dignitose, stabilizzazione dell'ufficio del processo. Tutti problemi a cui voi non date risposte.

Allora, scritta così com'è, peraltro, questa riforma rischia non solo di non risolvere alcun problema della giustizia italiana, ma di aggravare e di produrre danni che rischiano di essere irreparabili. Si immagina un pubblico ministero separato e autonomo, svincolato dalla cultura della giurisdizione comune, trasformato in una sorta di accusatore di professione che rischia di veder svanire quelle prerogative di autonomia e imparzialità che il nostro ordinamento oggi pretende dalla funzione giudiziaria. Il PM è quasi assimilato a un organo di polizia che rischia di minare l'unità della giurisdizione, alterando l'equilibrio oggi esistente senza creare peraltro due ordini separati, il tutto rischiando di creare due poteri differenti in un coacervo di confusione che oggi rischia di esistere, come è stato rilevato da tanti interventi di autorevoli giuristi che vi hanno fatto presente queste criticità durante le audizioni nelle prime letture.

Il paradosso è evidente: in nome di una presunta parità delle armi si istituzionalizza un pubblico ministero sbilanciato verso la funzione accusatoria e si prepara, soprattutto, il terreno verso un pericolo più serio. Perché si apre la porta, si apre un varco, direi una crepa, verso la possibile creazione di un pubblico ministero che possa essere in futuro esposto all'indirizzo del potere politico da parte del Governo. Perché una volta frantumata l'unitarietà della funzione giudiziaria, le strade e i rischi sono proprio questi. Da un lato, un pubblico ministero privo di contrappesi con un CSM autonomo che rischia di aggravare lo squilibrio che in taluni casi ancora oggi esiste tra accusa e difesa nella fase delle indagini, e, dall'altro, ciò rischia di portare a un pubblico ministero progressivamente ricondotto nell'orbita dell'Esecutivo, cosa per noi inaccettabile.

Dietro la facciata ideologica, allora, il disegno rischia di essere questo: ridurre l'autonomia e, direi, l'autorevolezza stessa della magistratura; creare le condizioni per un futuro assoggettamento all'indirizzo politico del Governo senza migliorare di un millimetro le criticità, ripeto, che oggi esistono ancora nell'amministrazione della giustizia. Peraltro, questo non è un timore astratto.

È stato rilevato da giuristi, costituzionalisti, ex magistrati. È un tema che voi avreste dovuto tenere in considerazione. A ciò si aggiunge e aggrava questo rischio: la demolizione citata del Consiglio superiore della magistratura, la divisione in due di quel CSM che da sempre rappresenta un presidio costituzionale di autonomia e indipendenza della funzione giudiziaria. Allora, per tutte queste ragioni, noi vi abbiamo invitato, e continuiamo a farlo, ad un impeto di ragionevolezza.

Vi chiediamo di rifletterci, vi chiediamo di fermarvi, vi chiediamo di approfondire ulteriormente questo tema, perché toccare la Costituzione non può essere fatto con colpi di mano, non può essere fatto con le modalità con le quali state procedendo, peraltro senza un confronto reale in questa seconda lettura, qui, in Parlamento, cosa per noi davvero intollerabile. Senza un confronto reale perché? Perché avete la necessità di portare un po' di pubblico non pagante a un comizio elettorale della vostra Presidente del Consiglio da qui a qualche ora, ignorando completamente quindi le ragioni, l'importanza, il rilievo storico che potrebbe avere in negativo questa riforma e senza occuparvi in questo momento di altri problemi che toccano il nostro Paese e la comunità internazionale intera.

Abbiamo chiesto con forza, come Partito Democratico, insieme alle altre forze di opposizione, che la Presidente del Consiglio dei ministri venisse a riferire in Aula sull'apocalisse umanitaria, sui crimini che stanno avvenendo oggi a Gaza. E da parte del Governo nessuna risposta in questo senso, cosa che rappresenta un rischio davvero di essere complici da un punto vista politico di quello che sta accadendo.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

PIERO DE LUCA (PD-IDP). Allora, vi chiediamo di occuparvi dei problemi reali che toccano l'Italia, che toccano l'Europa, l'intera comunità internazionale, di difendere i presidi di legalità e di democrazia, di difendere le istituzioni giudiziarie nazionali ed internazionali, la Corte penale internazionale, la Corte di giustizia europea (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.

LUANA ZANELLA (AVS). Grazie, Presidente. Cominciamo con il dire che questa riforma, oltre che a inserirsi in un disegno politico profondamente reazionario, risente delle mediazioni e degli accordi di basso profilo che caratterizzano le relazioni interne al Governo e alla maggioranza. Questa modalità di scambio, quando si tratta non di qualche dettaglio o aspetto secondario di un provvedimento, ma di riforme costituzionali, direi che è molto preoccupante, inaccettabile. Mi riferisco all'autonomia differenziata e al premierato, con cui intendete picconare la divisione dei poteri e scompaginare gli equilibri costituzionalmente previsti e caratterizzanti la nostra Repubblica.

Con il premierato è chiaro il disegno di accentrare il potere nelle mani del Governo, prosciugare ulteriormente le competenze e le funzioni in capo al Parlamento, tendenza, ahimè, già in atto. Basti pensare al numero e alla frequenza dei decreti-legge, delle richieste di fiducia conseguenti, che hanno mortificato il dibattito parlamentare, maggioranza e minoranza comprese, nel corso della legislatura. Questa riforma della giustizia, la vostra riforma della giustizia, mina il principio fondamentale dell'indipendenza della magistratura.

La Costituzione salvaguarda il potere giudiziario perché la democrazia ha necessità che giudici e pubblici ministeri siano autonomi e indipendenti rispetto al potere politico, al Governo di turno, alle forze di maggioranza che si insediano temporaneamente al Governo del Paese. Circa la necessità di intervenire perché il nostro Paese si possa avvalere di una giustizia giusta, efficiente, affinché i tempi dei processi siano diminuiti, i cittadini e le cittadine si sentano tutelati e garantiti, siamo ovviamente d'accordo, ma questo provvedimento non ha certamente questo obiettivo, né si pensa a investire sugli organici, sull'organizzazione, sul precariato.

Ricordo che, proprio ieri, si è svolto uno sciopero di 12.000 precari della giustizia, perché a giugno del 2026 i cosiddetti precari del PNRR saranno licenziati; ebbene, non una parola da parte vostra. Oltre a questo, c'è anche il problema del riconoscimento adeguato dei giudici onorari, e lasciamo da parte la questione delle carceri, questione scandalosamente irrisolta, vero buco nero della nostra democrazia. Questa riforma costituzionale - è stato detto e ridetto - ha visto un percorso non a caso mai così blindato a qualunque modifica, a qualunque intervento dell'opposizione.

Anzi, sono stati utilizzati tutti gli strumenti possibili per limitarne il ruolo, tutti: il “canguro”, il contingentamento dei tempi, perfino questa seduta fiume, veramente paradossale. Tutti, tutti gli emendamenti delle opposizioni sono stati respinti, credo che non sia mai accaduto in una riforma costituzionale, è davvero gravissimo. Ma noi siamo qui perché abbiamo rispetto delle istituzioni, della nostra Costituzione e del nostro ruolo, da svolgere con disciplina e onore.

Il vostro progetto - entriamo in parte nel merito - è la rottura del modello costituzionale dell'unicità della magistratura, con la creazione di due distinti Consigli superiori per amministrare i due corpi separati dei magistrati giudicanti e requirenti. È evidente che è un tentativo di indebolimento. Si lascia inalterata la composizione dei membri elettivi del Consiglio superiore della magistratura di due terzi di togati contro un terzo di membri di nomina politica: i membri togati vengono scelti per sorteggio, quelli laici anche vengono scelti per sorteggio, ma all'interno di una platea di soggetti scelti dal Parlamento in seduta comune mediante elezione.

La competenza disciplinare - e questa è una novità - è affidata ad un organo creato ad hoc, denominato Alta Corte disciplinare, composto da 6 membri laici e 9 membri togati. Tre membri laici sono nominati dal Presidente della Repubblica, tre nominati, ancora una volta, per sorteggio da un elenco compilato dal Parlamento in seduta comune. I membri togati, tre provenienti dalla carriera giudicante e tre da quella requirente, sono scelti per sorteggio solo tra i magistrati che abbiano almeno 20 anni di servizio e che svolgano o abbiano svolto funzioni di legittimità. Contro le sentenze disciplinari, anche se attengono ai diritti, non è ammesso il ricorso in Cassazione; si potrà solo proporre appello dinanzi alla stessa Alta Corte, che giudicherà con una diversa composizione.

La creazione di una magistratura requirente con un suo Consiglio superiore finirà, ovviamente, ed è stato spiegato in mille modi in questi giorni, per rafforzare sensibilmente il PM. La riforma del 2006-2007 già comportava una netta separazione delle funzioni giudicanti e requirenti, e restringeva notevolmente la possibilità per i magistrati del passaggio da una funzione all'altra.

La separazione delle funzioni è stata resa ancora più stringente dalla riforma Cartabia; la legge n. 71 del 2022, ha determinato un'accentuazione estrema del processo di divisione interna del corpo della magistratura, procedendo oltre i già rigidi steccati eretti dalla riforma Castelli del 2006 e realizzando il massimo di separazione possibile tra i giudici e i pubblici ministeri a Costituzione invariata.

Ricordo che l'articolo 12 della legge n. 71 del 2022 ha modificato l'articolo 13 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, stabilendo la regola generale che il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti - e viceversa - può essere effettuato una volta nel corso della carriera, entro il termine di 9 anni dalla prima assegnazione delle funzioni, ma, evidentemente, non era sufficiente. Quindi, se, per separazione delle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri, si intende una netta divaricazione dei percorsi professionali, la diversità di contesti organizzativi nei quali vengono svolti i rispettivi ruoli, allora, bisogna prendere atto che, a seguito degli interventi legislativi degli ultimi vent'anni, la separazione di fatto si è già realizzata.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

LUANA ZANELLA (AVS). Nonostante ciò, e concludo, l'intento dichiarato - il correntismo -, la riforma minaccia l'indipendenza e la credibilità della magistratura, ripeto, dividendo il Consiglio superiore della magistratura, introducendo il sorteggio per la nomina dei suoi membri, squalificandone, quindi, la composizione.

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Braga. Ne ha facoltà.

CHIARA BRAGA (PD-IDP). Grazie, Presidente. Intervengo sull'ordine dei lavori e colgo l'occasione della sua presenza alla Presidenza, per ricordare che sono passate da poco le 10, sono trascorse altre 12 ore dalla Capigruppo che abbiamo svolto ieri sera. Nel frattempo, a Gaza è stata un'altra notte da incubo: si vanno a cercare i bambini e le donne, casa per casa. Non c'è un Paese, nemmeno tra quelli più prudenti, che, in queste ore, non abbia sentito il dovere di condannare quello che sta accadendo.

Ieri, una Commissione indipendente dell'ONU ha detto che siamo di fronte a un genocidio. Come lei sa, ieri sera, nella Conferenza dei presidenti di gruppo, abbiamo ribadito la richiesta di avere comunicazioni della Presidente del Consiglio in Aula. Noi vorremmo sapere e poter chiedere al Governo che cosa aspetta, che cosa aspetta anche la Presidente Meloni a venire qui ad avere un mandato pieno ad agire subito nelle sedi opportune su questi temi, perché siamo a un bivio della storia. Penso che tutti, lo possiamo riconoscere, non potremo raccontare a chi verrà dopo di noi, che abbiamo avuto tempo, che abbiamo dovuto aspettare per capire le mosse dalla Presidente del Consiglio, per consentire magari al Vicepremier di abbracciare l'ambasciatore russo, per non prendere una posizione chiara nei confronti del Governo israeliano. Leggiamo ancora esitazioni del Governo italiano.

Io voglio ribadire, Presidente, la richiesta che abbiamo fatto ieri e le voglio chiedere anche se, certa della sua iniziativa, abbia avuto un riscontro da parte del Governo: mettete il Parlamento nella condizione di discutere di quello che sta sconvolgendo il mondo, che sta sconvolgendo Gaza, che sta distruggendo un'intera popolazione, perché l'inazione, davvero, non è più accettabile ed è una complicità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e della deputata Zanella). Noi vogliamo che questa discussione si faccia qui. Approfitto davvero della sua presenza per rinnovare questo invito e per chiederle se, nelle ore che abbiamo alle spalle, abbia avuto un riscontro da parte del Governo. Su questo, vorremmo avere una comunicazione, un'informazione, per mettere il Parlamento nelle condizioni di esercitare e di fare il suo compito di fronte a un dramma della storia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e della deputata Zanella).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, sullo stesso argomento, l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.

LUANA ZANELLA (AVS). Grazie, Presidente. Mi unisco alla richiesta, già avanzata ieri nel corso della Conferenza dei capigruppo, della collega Braga, perché è veramente inaudito che stiamo qui a parlare della giustizia, della riforma, della vostra riforma della giustizia, e non si colga invece la necessità, da parte del Governo, di mettere fine all'estrema ingiustizia, di smettere di far finta che non stia succedendo niente di terribilmente e irrimediabilmente ingiusto, lì nel territorio di Gaza.

Chiedo, perciò, a questo Governo, alla Presidente del Consiglio, che lei, madre, cristiana, eccetera eccetera, si metta la mano sulla coscienza e capisca che siamo di fronte a una tale tragedia, ad un genocidio senza precedenti e senza contrasti, pur vedendolo e avendolo sotto gli occhi ogni giorno, ogni minuto e ogni attimo. Venga in quest'Aula e apra con dignità, onore e disciplina - direi - il dibattito nella sede istituzionale preposta, che è il Parlamento. Grazie, Presidente.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Zanella. All'onorevole Braga rispondo che non abbiamo avuto fino a questo momento un riscontro, ma ovviamente portiamo ancora la richiesta che è stata fatta - e abbiamo anche il Governo presente, con il Sottosegretario per i Rapporti con il Parlamento che è qui presente - e la faremo anche arrivare a tutti gli uffici preposti.

Si riprende la discussione.

(Ripresa dichiarazioni di voto finale - A.C. 1917-B​)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Gribaudo. Ne ha facoltà.

CHIARA GRIBAUDO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, come abbiamo più volte sostenuto, questa è una riforma della magistratura e non della giustizia.

Il disegno di legge di revisione costituzionale, di cui oggi discutiamo per la seconda volta, riguarda esclusivamente le carriere e l'autogoverno della magistratura ordinaria. La riforma non incide, invece, come ammesso pubblicamente dallo stesso Ministro Nordio, sulla durata dei processi, sull'efficienza della giustizia e sulla sua capacità di tutelare i diritti dei cittadini, perché, nel sistema della giustizia, in Italia, problemi ce ne sono, ma vi assicuro che i cittadini, più che l'esigenza dell'estrazione a sorte dei membri del CSM, ci segnalano il problema di una giustizia lenta, spesso farraginosa, costosa, che spesso spinge a rinunciare a chiedere giustizia.

L'intervento mio e dei miei colleghi del Partito democratico, vi assicuro, sarebbe stato molto più accomodante o dialogante su una riforma su cui intanto si poteva dialogare, ma comunque su una riforma della giustizia che avesse affrontato il problema per esempio della scopertura degli organici dei magistrati, del personale amministrativo, della Polizia giudiziaria o dell'inumano stato delle nostre carceri, con un indice di sovraffollamento pari al 132,6 per cento, con oltre 60 suicidi finora nel 2025 e con alle porte una prevedibile nuova condanna della Comunità europea. Insomma, i problemi veri. Tra questi, vorrei sottolineare quello della giustizia, nei casi di infortuni, anche mortali, sul lavoro, con troppe cause che finiscono in prescrizione. Ci piacerebbe avere dal Ministro i dati nazionali aggregati su questo fenomeno; li aspettiamo ancora, li abbiamo chiesti un anno fa, ma ancora nessuna risposta. Procure in carenza di personale, di risorse e di competenze specifiche ed è per questo che ho depositato una proposta di legge per istituire una procura nazionale che si occupi di questi reati, spinta dalle grida di rabbia e di dolore dei parenti dei caduti sul lavoro.

Tornando al provvedimento in discussione, la separazione di fatto delle carriere tra magistrati requirenti e giudicanti esiste già da quasi vent'anni e lo sapete benissimo anche voi. Oggi, la quasi totalità dei magistrati svolge soltanto una funzione, requirente o giudicante, dal tirocinio alla fine della carriera. Un solo passaggio è consentito e ogni anno solo lo 0,1-0,2 per cento dei magistrati fa questa scelta; in numeri, una decina o poco più in tutta Italia.

Se l'obiettivo della riforma fosse realmente questo e soltanto questo si tratterebbe di un incredibile spreco di risorse. Sappiamo bene, ovviamente, che questa riforma si inserisce in uno scenario, quello dell'azione di Governo, che si palesa ogni giorno nelle scelte e nelle dichiarazioni di un Governo e di una maggioranza a cui l'assetto istituzionale formato da pesi e contrappesi, definito nella nostra Costituzione, sembra andare un po' stretto; in cui l'equilibrio tra i poteri costituisce quei lacci e lacciuoli che la destra da sempre prova a tagliare per avere mano libera. Da decenni, ormai, dalla destra - al Governo, come all'opposizione - la magistratura è vilipesa, mal tollerata, affrontata con atteggiamento muscolare e aggressivo, come fosse un avversario, e accusata, infatti, innumerevoli volte, di fare opposizione.

Ma se poi analizziamo il provvedimento, questa separazione delle carriere è anche sbagliata: la riforma prevede la creazione di un corpo separato di magistrati requirenti, completamente autoreferenziale, con una propria procedura di reclutamento e un proprio organo di autogoverno; spezza in due l'ordinamento giudiziario e il suo meccanismo di autogoverno, previsto dai padri e dalle madri costituenti come strumento dell'autonomia e indipendenza dei magistrati. La riforma attribuisce paradossalmente più autonomia e più poteri a quei pubblici ministeri che sono il principale oggetto delle attuali critiche della maggioranza e del Governo.

Grave e pericolosa è anche la previsione che i componenti togati dei nuovi due CSM non siano più eletti, ma estratti a sorte, eliminando ogni forma di rappresentatività dei due organi, che si trasformano da organi di autogoverno legittimati democraticamente in una sorta di consiglio di amministrazione. Lo fa, inoltre, in modo asimmetrico perché i componenti laici saranno estratti a sorte da un elenco compilato mediante elezione. La riforma priva inoltre i due CSM delle funzioni disciplinari, che vengono trasferite a un'Alta corte, le cui decisioni possono essere impugnate solo davanti alla stessa Alta corte. In questo modo, la responsabilità dei magistrati è affidata a un nuovo giudice speciale, diverso da tutti gli altri e completamente scollegato dagli altri organi giurisdizionali. Una delle conseguenze più paradossali è che, in questo modo, i magistrati ordinari - il 90 per cento circa della magistratura - avranno meno garanzie e minore autonomia dei magistrati delle giurisdizioni speciali - amministrativa, contabile e tributaria -, che manterranno, invece, gli attuali organi di autogoverno e il controllo della responsabilità disciplinare. La fretta di realizzare questa riforma ha impedito persino di considerare questa evidente anomalia.

Le conseguenze della riforma sono altrettanto evidenti: nessun miglioramento del servizio giustizia per i cittadini, maggiori costi e un generale indebolimento della magistratura, che viene spaccata in due, vede cancellata la propria rappresentanza e indebolito il proprio meccanismo di autogoverno. Come dichiarato anche da esponenti del Governo, l'obiettivo finale della riforma sarà di portare i magistrati requirenti sotto il controllo dell'Esecutivo ed eliminare l'obbligatorietà dell'azione penale. La separazione delle carriere creerà dei superpoliziotti investiti di grandi poteri e del tutto autoreferenziali. Non appena questo risulterà evidente, si agirà per ricondurli sotto l'Esecutivo.

Per concludere, questa riforma pone, quindi, le basi per un sistema nel quale il Governo decide quali reati vanno perseguiti e quali no; quali indagini sono consentite e quali no. Pone le basi per indebolire uno dei principi cardine della democrazia: la separazione dei poteri. Forse è il desiderio di qualcuno, noi invece lo troviamo pericoloso e per questo diciamo “no”, che siamo certi sarà lo stesso voto che esprimeranno gli italiani ad un referendum in cui giudicheranno questa riforma e questo Governo. Un referendum in cui non potrete più intestarvi i non votanti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Vaccari. Ne ha facoltà.

STEFANO VACCARI (PD-IDP). Grazie, signor Presidente. Colleghe e colleghi, lo dico subito: votare “no” a questo provvedimento è un dovere morale e democratico, prima ancora che politico. E, prima di proseguire in questa lunga maratona di dibattito, è doveroso ricordare ancora una volta a tutti - come ha giustamente stigmatizzato la nostra capogruppo, Braga, ieri sera - che stiamo svolgendo questa seduta fiume perché il centrodestra e la Premier Meloni dovevano essere oggi ad Ancona, ad una manifestazione elettorale per provare a salvare la poltrona del presidente della regione Marche, Acquaroli. Cioè, dopo aver annunciato in pompa magna, nelle due precedenti letture, che si stava per approvare la riforma costituzionale che avrebbe risolto i problemi della giustizia italiana, nella settimana, questa, calendarizzata per approvarla, senza scadenze imminenti, la destra ricorre alla seduta fiume per avere il tempo, oggi, da dedicare ad una campagna elettorale regionale dalla quale, evidentemente, dipende il futuro del Paese o, forse, della Premier e della sua maggioranza, perché, se perderanno le Marche, gli scenari futuri politici potranno cambiare.

Premesso questo, è proprio il caso di dire che, dagli esponenti del centrodestra che si sono degnati di intervenire nella prima parte di questo dibattito, abbiamo ascoltato tutto e il suo contrario. Accuse infondate alle opposizioni, alla magistratura e alle fantomatiche toghe rosse, ancora una volta. Pluricitazioni del dottor Palamara, come se fosse il novello Tommaso Buscetta, sulle correnti interne al CSM, additando le correnti stesse come il problema dei problemi della giustizia italiana, incuranti, invece, dei veri problemi, di cui ci sarebbe stato bisogno di discutere per rendere più efficiente, imparziale e giusto il sistema giudiziario e garantire così a tutti i cittadini i diritti stabiliti nella Costituzione, nata ottant'anni fa dalla guerra di liberazione dal nazifascismo. E invece, no. Dei problemi veri non avete voluto discutere perché non sapevate cosa dire e, soprattutto, quale soluzione proporre ai problemi dei cittadini per superare la lentezza, per abbassare i costi inaccessibili per tante famiglie, per affrontare la carenza di personale, soprattutto amministrativo; cosa fare del processo telematico in tilt, della giustizia sul lavoro, delle carceri sovraffollate, inumane e dove viene negata la dignità umana.

La cosa più grave è che avete negato il confronto su questi problemi non solo alle opposizioni in Parlamento, dove questo confronto dovrebbe svolgersi sempre. Invece voi procedete da tre anni con la decretazione d'urgenza su ogni passo che fate e lo calpestate sistematicamente. Il problema è che avete negato il confronto anche agli operatori della giustizia e alle categorie interessate, e non avete nemmeno letto le memorie consegnate dagli auditi, che in tanti vi hanno detto “discutiamo e correggiamo senza forzature”, come invece avete voluto fare. E vi siete arroccati nel vostro fortino di arroganza per difendere con le unghie e con i denti l'accordo di potere dentro la maggioranza. Quello che ha barattato questo obbrobrio di riforma voluto da Forza Italia con la riforma dell'autonomia voluta dalla Lega e con il premierato del partito di Giorgia Meloni.

E il bello di questa vicenda è che in quest'Aula, qualche ora fa, abbiamo ascoltato la verità vera su questa riforma per ammissione ed esplicitazione di alcuni esponenti della maggioranza, che hanno candidamente affermato che questa riforma è stata fatta per combattere le correnti politicizzate dentro la magistratura, per spaccarla e indebolirla e, quindi, sottoporla al potere politico, con tanti saluti all'autonomia, all'indipendenza e alla terzietà, di cui vi siete riempiti la bocca in modo ipocrita finora.

La stessa operazione la state facendo con l'informazione, attraverso iniziative giudiziarie contro giornali e giornalisti, considerati di parte o contro trasmissioni d'inchiesta come Report. Sono “querele bavaglio” nei confronti di chi non si piega ai vostri voleri.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO RAMPELLI (ore 10,36)

STEFANO VACCARI (PD-IDP). In questo dibattito ci avete dato ragione implicitamente quando vi dicevamo, nelle due precedenti letture, che si trattava di uno scalpo ideologico, di un intervento fuori tempo massimo sulle carriere dei magistrati, che separate lo sono già dalla riforma Cartabia, che ha prodotto meno dell'1 per cento di passaggi dei pubblici ministeri alla funzione di giudici e ancora meno nei passaggi inversi, a riprova della falsità delle vostre vere intenzioni.

E a proposito della legge Cartabia, vi chiediamo: perché non avete fatto la legge applicativa prevista dall'articolo 1, comma 9, per garantire l'efficace e uniforme esercizio dell'azione penale, nell'ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge, individuando criteri di priorità trasparenti e predeterminati, da indicare nei processi organizzativi delle procure della Repubblica? Ve lo diciamo noi perché non lo avete fatto. Perché era troppo complicato per voi fare una cosa semplice e lineare, perché dovevate fare la fatica di discutere e confrontarvi per scrivere quella legge con chi avete coperto di insulti e calunnie, con chi volete rendere più deboli e controllabili. Quei magistrati verso i quali avete riversato accuse infamanti, con una sete di vendetta senza precedenti, per demolire uno dei poteri autonomi e indipendenti dello Stato e che per questo, nel corso degli ottant'anni che ci lasciamo alle spalle, ha saputo garantire la libertà e i diritti dei cittadini.

Certamente si tratta di persone che, nell'esercizio delle loro funzioni, hanno commesso anche errori a danno degli imputati, ma voi avete preso a pretesto questi casi per buttare il bambino con l'acqua sporca, per fare una riforma da soli, senza confrontarvi con nessuno e che, come tutte le altre riforme fatte prima, solo dalle maggioranze che governavano, non avrà vita lunga e non durerà e, peggio, spaccherà il Paese in modo ideologico il prossimo anno al momento del referendum.

Avete avuto persino il coraggio di motivare la vostra scelta sciagurata dicendo che l'attuale assetto sul ruolo del pubblico ministero sia lacunoso, e così avete proposto di separarlo, allontanandolo e contrapponendolo alla figura del giudice e della difesa. In sostanza, avete evidenziato una patologia e, anziché contenerla, curarla o contrastarla, l'avete fatta diventare una regola generale dell'ordinamento, con il risultato di una concentrazione inaccettabile di potere rispetto all'esigenza, invece, di produrre una migliore integrazione di un sistema plurale.

A dimostrare che a voi non interessa nulla dei problemi veri della giustizia italiana ci sono pure i numeri veri, quelli del bilancio dello Stato, che voi avete scelto di scrivere con scelte politiche precise e che raccontano che, da quest'anno al 2027, verranno tagliati 500 milioni di euro. Ciò a fronte di un sovraffollamento carcerario non più tollerabile per un Paese civile e democratico, che ha raggiunto nel 2024 oltre il 133 per cento della capienza regolamentare e che porterà a una sicura multa dall'Unione europea, con un aumento dei suicidi, degli atti di autolesionismo e dei reati violenti ai danni della Polizia penitenziaria.

Ecco, a fronte di tutto ciò, avete messo pochi spicci su progetti già pensati da chi governava prima di voi. E vi siete dimenticati colpevolmente alcuni interventi su penitenziari in grande sofferenza, come quello di Modena, dove sono stipati come sardine 590 detenuti, a fronte di 280 posti regolamentari, dove il personale in servizio è sotto organico da tempo e non è in grado di garantire i servizi minimi, dove questa estate la temperatura nelle celle all'ultimo piano ha raggiunto i 50 gradi, perché l'impianto elettrico non regge nemmeno l'aggiunta di un ventilatore e i detenuti, grazie solo all'impegno di personale della Polizia penitenziaria, venivano fatti sostare a turno nella sala del teatro, perché era l'unica con l'aria condizionata, oppure sotto i nuovi nebulizzatori installati nelle zone comuni.

Perché non fate una visita anche voi, cari colleghi, nelle carceri italiane, invece di pontificare sul nulla e aumentare ogni giorno dei reati per la repressione del dissenso, che rischiano di ingrossare ancora inutilmente le carceri? Noi del Partito Democratico ci siamo andati più volte dall'inizio della legislatura e anche prima. Vi abbiamo incalzato in modo concreto sugli interventi da fare, ma ve ne siete usciti con la nomina di un commissario che ha prodotto un Piano carceri insufficiente e tardivo per le soluzioni che propone.

In un mondo complesso come quello in cui viviamo, sempre più caratterizzato dalla sovrapposizione delle fonti e dalla sfida dell'interdisciplinarità dei saperi, la strada per migliorare il servizio giustizia, assicurando maggiore qualità della giurisdizione, sembra esattamente opposta a quella che si vorrebbe perseguire con la frammentazione della magistratura. Ed ecco perché, con grande convinzione, voteremo “no” a questa riforma (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Elly Schlein. Ne ha facoltà.

ELLY SCHLEIN (PD-IDP). Grazie, Presidente. Oggi in quest'Aula assistiamo all'ennesima prova di una destra che, non sapendo dare risposte ai problemi concreti dei cittadini, offre qualcosa di più semplice: nemici, capri espiatori su cui addossare tutti i mali possibili e che in qualche modo poi vengono colpiti con insensata durezza. Oggi è il turno dei giudici. È una strategia precisa questa, è chirurgica. Serve a coprire i fallimenti dell'azione del Governo, dando sempre la colpa a qualcun altro.

Serve a fingere che gli insuccessi che fioccano da ogni lato, dall'economia alla sanità, non siano il coerente risultato dell'insipienza del Governo, ma la responsabilità di altri, sempre di qualcun altro: dei Governi precedenti, della sinistra, degli immigrati, delle persone trans, dei manifestanti, dei sindacati, dei giornalisti liberi, oggi dei giudici. Quello contro la magistratura è un disegno antico però, non nasce certo oggi. È un vecchio vizio dai tempi di Berlusconi.

Ha radici antiche il vostro fastidio per la giustizia e il vostro disprezzo per il controllo di legalità, visto come un limite al comando assoluto. Non siete i primi ad attaccare i giudici e le sentenze sgradite, e a gridare al complotto. E oggi siete in pessima compagnia, con Trump, con Netanyahu, con Orbán, che delegittimano persino le corti internazionali, nate anche grazie all'impulso fondamentale che ha dato proprio il nostro Paese. Il punto, dite la verità, è che non accettate di essere sottoposti alla legge come tutti gli altri, anzi, più di tutti gli altri, perché chi ha responsabilità istituzionali e di Governo dovrebbe essere il primo a curarsi di far rispettare le leggi, anziché calpestarle.

Negli articoli di questo disegno di legge non c'è alcun vero intento riformatore, Ministro: c'è solo il desiderio di voler assestare un colpo all'indipendenza della magistratura. Quali sono, invece, le condizioni della giustizia in Italia? Manca personale, risorse insufficienti, gli arretrati nei processi civili, le udienze del giudice di pace fissate nel 2030, il sovraffollamento disumano delle carceri e il dramma del tasso record di suicidi tra detenuti e tra agenti della Polizia penitenziaria, la lentezza dei processi, lo scarso ricorso alle misure alternative al carcere, una lentezza dei processi che poi delude le aspettative di cittadini e imprese e, in qualche modo, si può dire che ritardi, anzi, incida sulla scarsa attrattività degli investimenti, così come sappiamo che quella lentezza, alla fine dei conti, è una lentezza che lede il principio della certezza del diritto.

La vostra riforma costituzionale non tocca nemmeno uno di questi nodi cruciali sul funzionamento della giustizia italiana, nemmeno uno. Negli anni precedenti, alcune riforme hanno provato ad affrontare le criticità più acute del sistema, riuscendo a migliorare numerosi aspetti; non hanno risolto tutti i problemi, per carità, ma andavano nella giusta direzione, quella di costruire una giustizia giusta, al servizio dei cittadini.

Cosa avete fatto voi, invece, in questi 3 anni di Governo, per migliorare la giustizia italiana? Avete tagliato 500 milioni solo tra il 2025 e il 2027, avete creato tanti nuovi reati, messo il carcere per i minori, peggiorato il sovraffollamento, ingolfato i tribunali, e siete in ritardo anche con gli obiettivi del PNRR. Avete seguito un approccio unicamente securitario e repressivo, che non ha prodotto alcun beneficio concreto per la sicurezza dei cittadini, ma ha solo aumentato la repressione, anche del dissenso pacifico. Lo stato della giustizia, Ministro, con voi è peggiorato.

Voi dite: la separazione delle carriere, chi fa il giudice faccia il giudice, chi fa il pubblico ministero faccia il pubblico ministero. Ebbene, ci sono stati 20 passaggi all'anno in tutta Italia, di questo stiamo parlando, 20 passaggi all'anno su 10.000 magistrati, quasi sempre dal pubblico ministero alla carriera di giudice. Meno dell'1 per cento dei pubblici ministeri passa alla funzione di giudice e ancora meno sono i giudici che passano a fare il pubblico ministero. Serviva una riforma costituzionale per affrontare questi 20 passaggi all'anno o l'obiettivo è forse un altro? Creare una classe separata di procuratori con un proprio CSM, una sorta di super pubblico ministero, un accusatore di professione, sganciato dal resto della magistratura, con a disposizione l'intero apparato della Polizia giudiziaria, soggetto ai richiami della pressione mediatica e del potere politico. Il sorteggio per eleggere i componenti di un organo costituzionale come il CSM è uno scempio (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

Voi non volete rafforzare le garanzie processuali per assicurare l'effettiva terzietà del giudice, voi volete mettere le mani sui pubblici ministeri per assoggettarli al controllo politico, volete rendere meno obbligatoria l'azione penale e far decidere dalla vostra agenda politica quali reati perseguire e quali no, dove concentrare le attenzioni e le risorse e dove, invece, chiudere un occhio, come avete fatto in questi anni con le leggi bavaglio, abrogando l'abuso di ufficio, mentre fioccavano nuovi reati di strada e le aggravanti alla stazione.

Una giustizia truce solo con gli spacciatori, ma tenera, tenera con i criminali e con i colletti bianchi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Sono mesi che avete ingaggiato uno scontro quotidiano con i giudici, con l'obiettivo di dare a loro la colpa dei vostri fallimenti. Sugli inumani centri in Albania, per cui bastava leggere le sentenze e le leggi europee per sapere che erano illegali, avete provato a dire che i giudici italiani si stavano vendicando di questa riforma.

Poi è arrivata la Corte europea, dicendo esattamente le stesse cose: direte che anche i giudici europei si vendicavano della riforma Nordio (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)? Quei centri sono rimasti vuoti, ma li avete costruiti, buttando 800 milioni, per deportare i torturati, mentre riaccompagnavate a casa il torturatore libico con un volo di Stato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista), e anche in quel caso ve la siete presa con la Corte penale internazionale.

Ministro Nordio, si ricordi quando firmava gli appelli contro la separazione delle carriere. Come si cambia per il potere. A cosa serve questa riforma, per davvero? A migliorare la giustizia, ad accelerare i processi, a rendere un servizio migliore a cittadini e imprese? No, no e no. Serve soltanto a rendere più debole la magistratura, a minare il principio della divisione dei poteri, per la vostra ossessione dei pieni poteri in mano a chi comanda. Ma perché, invece di calpestare la Costituzione, non iniziate ad usare bene i poteri che già avete? Perché non li usate per migliorare la vita dei cittadini, per migliorare la sanità pubblica, la scuola, il lavoro? Avete numeri in Parlamento che vi consentirebbero di farlo, ma nulla: in tre anni non avete fatto nulla che rimanga in testa agli italiani, che abbia migliorato i loro salari, che abbia migliorato loro la vita quando vanno a fare la spesa o che abbia accorciato una lista d'attesa per fare una gastroscopia.

Avete proceduto su questa riforma a suon di forzature, umiliando il Parlamento e i vostri stessi parlamentari. Quando si è mai vista una riforma costituzionale che, nei quattro passaggi d'Aula, non subisce nemmeno una minima modifica, nemmeno una? Chi ha scritto la Costituzione ha previsto questi quattro passaggi proprio per ascoltare e riflettere, per favorire il dialogo tra maggioranza e opposizione e ci troviamo, invece, oggi a fare questa discussione da soli. L'avete blindata. L'avete blindata per la vostra debolezza e per le vostre divisioni, avete respinto ogni emendamento, anche quelli di buonsenso, come quello sulla parità di genere nel sistema elettivo del CSM. Non avete ascoltato non soltanto noi dell'opposizione, ma nemmeno gli autorevoli e trasversali pareri di esperti, delle associazioni, dei giuristi, non avete tenuto in considerazione le audizioni, avete ignorato i numerosi appelli di costituzionalisti e penalisti. Perché la verità, Ministro, è che a voi non sta a cuore il buon funzionamento dello Stato, non vi interessa affrontare i problemi reali della giustizia e degli italiani; vi serve questa riforma come baratto al vostro interno per uno scambio di potere indecente tra giustizia, premierato e autonomia differenziata (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista), che è l'unico collante che tiene insieme questo Governo.

Con quale irresponsabile e colpevole leggerezza state mettendo mano ai pesi e contrappesi sani della Costituzione che reggono la nostra democrazia? Non il bene dei cittadini, ma la sete di potere vi guida, non l'amore per la giustizia, ma la furia ideologica di chi si vuole innalzare al di sopra della legge e della giustizia e dei giudici. Noi ci siamo battuti in tutte le sedi parlamentari e nelle piazze…

PRESIDENTE. Concluda, deputata Schlein.

ELLY SCHLEIN (PD-IDP). … e continueremo a farlo, potete starne certi. Ci impegneremo affinché al referendum prevalgano i “no”, i “no” alla vostra arroganza, i “no” a una giustizia dei potenti, i “no” alla compressione delle garanzie democratiche dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Con questo noi diciamo “sì”, invece, a una giustizia più giusta, al servizio dei cittadini, che fa rispettare le leggi uguali per tutti e che è indipendente dal Governo di turno. Ne va della qualità della nostra democrazia che noi difenderemo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, che si levano in piedi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Peluffo. Ne ha facoltà.

VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Colleghi deputati, rappresentanti del Governo, Ministro Nordio, oggi sentinella solitaria di una maggioranza che ha abbandonato l'Aula nei giorni di discussione di una riforma costituzionale che avete definito tanto importante, ma che poi non avete il coraggio di difendere nella dialettica parlamentare. Non è la prima volta che questo Governo e questa maggioranza scappano dal confronto; non è la prima volta che vilipendono con arroganza e prepotenza le istituzioni repubblicane. Il confronto su questa modifica scellerata della Costituzione non si esaurirà con i nostri interventi, ma proseguirà nel Paese e sono convinto che i nostri concittadini puniranno la vostra tracotanza.

Il Partito Democratico ha fortemente contrastato questo provvedimento, ha votato “no” in prima lettura, farà lo stesso in questa seconda lettura di un disegno di legge costituzionale che modifica il Titolo IV della Costituzione, con l'obiettivo di separare le carriere dei magistrati intervenendo su diversi articoli della Costituzione (87, 102, 105, 106, 107 e 110), prevedendo una separazione della funzione giudicante da quella requirente e istituendo due distinti organi di autogoverno della magistratura.

Le numerose critiche che abbiamo espresso riguardano sia il modo attraverso il quale si è giunti all'approvazione di questa modifica della Costituzione, sia il merito delle modifiche contenute all'interno della riforma, sia infine il contesto dello stato di salute della giustizia italiana all'interno del quale viene calata la riforma.

La vera urgenza su cui intervenire sarebbe esattamente questa, perché la giustizia italiana nel suo insieme soffre di numerosi e gravi problemi. Il Governo Meloni, con l'ultima legge di bilancio, ha previsto tagli per 500 milioni di euro all'intero comparto nei prossimi due anni.

C'è una strutturale carenza di organico, mancano i magistrati, le udienze del giudice di pace vengono fissate ormai al 2030; il processo telematico è in tilt, i cittadini e le imprese che chiedono giustizia devono affrontare il calvario della lentezza dei processi. Le carceri sono sovraffollate con punte superiori al 130 per cento rispetto alla capienza prevista e i suicidi - tra detenuti e la Polizia carceraria - che nel 2024 hanno superato ogni record continuano in maniera ancora peggiore nel corso di quest'anno.

Rispetto ai problemi che affliggono la giustizia italiana la riforma del Governo Meloni non fa assolutamente nulla e non porterà alcun beneficio, alcun miglioramento. Non investe risorse, non velocizza i processi, non allevia la situazione nelle carceri, non porta alcun beneficio per cittadini e imprese.

Vi siete sottratti al confronto su questi incontrovertibili dati di fatto e avete scelto di procedere con un metodo inaccettabile, presentando un testo che - come ha dichiarato lei stesso, Ministro - è blindato fin dalla prima lettura, chiuso, impermeabile a qualunque apporto, sia da parte dell'opposizione che da parte della maggioranza. Una blindatura che non ha precedenti, che è contraria allo spirito dei Costituenti, che mostra una concezione preoccupante della stessa democrazia. Si decide di modificare la legge fondamentale dello Stato non solo a colpi di maggioranza, ma addirittura respingendo a priori qualunque emendamento, qualunque modifica, qualunque correzione e tutto questo è inaccettabile.

Per quanto riguarda il merito, la separazione delle carriere di fatto già esiste. Con le riforme della precedente legislatura - con la riforma dell'allora Ministra Cartabia - è possibile già un solo passaggio in tutta la carriera, da effettuarsi nei primi 9 anni della stessa carriera. Si parla di circa 20 passaggi all'anno su 10.000 magistrati, quasi sempre dalla carriera di pubblico ministero a quella di giudice. Ha ricordato poc'anzi Elly Schlein che meno dell'1 per cento dei pubblici ministeri passa alla funzione di giudice, ancor meno sono i giudici che passano alla funzione di pubblico ministero.

Serviva una riforma costituzionale per affrontare questi 20 passaggi all'anno? La verità è che sfregiate la Costituzione con un intervento fuori tempo massimo sulle carriere dei magistrati, per il patto politico scellerato e velleitario di questa maggioranza, in cui ogni forza politica si è intestata una bandierina ideologica. Questa sui giudici per Forza Italia, la riforma dell'autonomia per la Lega, quella del premierato per Fratelli d'Italia.

L'autonomia differenziata è impantanata, il premierato al giorno del mai e anche questa riforma subirà lo stesso destino. È la vostra hybris che vi condanna al fallimento, che svilisce le istituzioni e blocca il Paese.

In fondo, con questa riforma, non volete separare le carriere - cosa nei fatti già in essere - piuttosto separare la magistratura, spaccarla in due e dunque indebolirla. C'è in voi un intento punitivo nei confronti della magistratura. Come ha detto intervenendo in Aula la collega Simona Bonafe', questa riforma che prevede due CSM ha un solo obiettivo: quello di dividere l'ordine giudiziario e indebolire l'autonomia e l'indipendenza della magistratura.

Il risultato sarà quello di creare una casta separata di procuratori autoreferenziali, con un proprio CSM di riferimento. Allora lì sarà ineluttabile, prima o poi, una forma di controllo, diretto o indiretto, del potere esecutivo sulla pubblica accusa, come succede in tutti i sistemi che prevedono il PM separato dai giudici.

Peraltro, con questa riforma, cade qualunque vostra parvenza garantista, perché si rischia di ottenere esattamente il risultato opposto, con la creazione di un super PM, un accusatore di professione, sganciato dal resto della magistratura, con l'intero apparato della Polizia giudiziaria a disposizione, senza più controllo alcuno, se non quello, eventuale - e a quel punto probabile -, del potere politico e così si arriverà alla fine del principio che prevede l'obbligatorietà dell'azione penale. Verrà deciso, a livello politico, quali reati perseguire e quali no, dove concentrare le attenzioni e dove invece ridurle.

Lo ha ricordato la collega Debora Serracchiani, intervenendo in Aula: “Voi, che volete, in qualche modo, indebolire i PM, li renderete ancora più forti e saremo qui a discutere di come compensare quella forza. E l'unico modo che si è trovato nelle altre democrazie per compensare quella forza è mettere il pubblico ministero sotto l'Esecutivo”.

Presidente, in conclusione, mi lasci ricordare le parole di uno dei tanti auditi nel ciclo di discussione in Commissione, il consigliere della Corte di cassazione Enrico Scoditti, che ha rilevato come la separazione delle carriere giudicante e requirente ha nel contesto dell'ordinamento italiano un effetto controintuitivo rispetto ai principi del costituzionalismo liberale, perché è in grado di creare l'effetto indesiderato di una concentrazione di potere con tendenze centrifughe rispetto all'integrazione di un sistema che è e deve rimanere plurale. E ancora mi lasci ricordare l'insegnamento del professor Vittorio Grevi, un altro dei padri del codice di procedura penale, il quale era convinto che la separazione delle carriere avrebbe finito per condurre alla configurazione di un corpo di magistrati fortemente arroccati all'interno del ruolo funzionale del PM. Un corpo di magistrati inquirenti autoreferenziali, cui sarebbe preclusa ogni possibilità di scambio di cultura e di esperienze con gli ambienti dei magistrati assegnati alla funzione giudicante, con un pericolo da parte degli stessi di acquisizione di una mentalità propensa ad appiattirsi sullo schema mentale tipico della polizia giudiziaria, cioè un PM a vocazione fatalmente colpevolista.

Una riforma sbagliata nel merito e nel metodo, che non risponde alle esigenze del sistema giustizia e che non corrisponde alle priorità degli italiani. Per questo voteremo contro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Graziano. Ne ha facoltà.

STEFANO GRAZIANO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Io penso che già l'esempio della fotografia di quest'Aula, dove la maggioranza è completamente assente, dà il segno sostanzialmente della volontà di quello che sta accadendo. Ma, soprattutto, c'è un'altra cosa grave. Noi, da ieri, abbiamo chiesto alla Presidente del Consiglio di venire a fare le comunicazioni su quello che sta accadendo a Gaza. In realtà, la Presidente del Consiglio, ieri, nei fatti, ha dato l'ordine alla maggioranza di realizzare la seduta fiume per blindare questa maggioranza e fare questa riforma per un solo obiettivo, perché oggi devono fare un comizio, quindi, invece di occuparsi dei reali bisogni dei cittadini, si occupano di fare comizi.

E perché dico questo? Perché, vedete, la storia di questa riforma è una storia scellerata. Questa riforma costituzionale, questa volontà di voler fare il doppio CSM, non risolve nessuno dei problemi della giustizia, ma, in realtà, paga una cambiale a un accordo di maggioranza che è stato fatto. E questo accordo su che cosa verte? Poi arriveremo al merito.

L'accordo verte fondamentalmente su tre cose: il premierato, che vuole la Presidente del Consiglio, la riforma della giustizia, con il doppio CSM, che vuole Forza Italia e l'autonomia differenziata, che vuole la Lega. Nella sostanza, il complesso di queste tre riforme ha un solo obiettivo: disarmare il piano istituzionale del Paese, metterlo in totale contraddizione, ma soprattutto prendere una parte del Paese, quella del Mezzogiorno e provare a massacrarla completamente.

Questo in realtà è l'obiettivo politico che si pongono il Presidente del Consiglio e la maggioranza nel suo complesso. Penso che questo sia di una gravità enorme.

E poi, nel merito, in relazione a questo doppio CSM - già nei fatti la riforma Cartabia, molte delle cose, le ha dette e le ha fatte -, se ci sono soltanto venti passaggi tra PM e magistratura giudicante o, viceversa, tra magistratura giudicante e PM, la domanda è la seguente: perché dobbiamo fare una riforma costituzionale per il fatto che sostanzialmente si realizzano soltanto venti passaggi in un anno? Perché l'obiettivo, in realtà, è quello di sottoporre totalmente la magistratura al potere politico; questo è il vero obiettivo.

Ma diciamo una cosa in più. L'allergia al controllo è un fil rouge che riguarda tutta la maggioranza di Governo nel suo complesso. L'obiettivo in questo momento è di evitare qualsiasi modalità di controllo del potere politico, che comunque deve essere sottoposto alla legge. Ecco, si vuole realizzare una condizione nella quale, se si fa il paio con quello che sta accadendo nell'ambito dell'informazione - e quindi assoggettare l'informazione al potere politico e soprattutto al potere di chi comanda -, insieme alla giustizia, insieme al fil rouge delle banche, insieme a tutto quello che si vede ogni giorno, quando si immagina un nemico ad ogni passaggio; in questa giornata, il nemico sono i magistrati -, ecco, ogni giorno c'è un nemico, un avversario che bisogna colpire, perché serve a costruire una bandierina ideologica, che permette di realizzare la condizione di compattezza di una maggioranza che ha condizioni completamente diverse. E poi, si continua così per tutto ciò che riguarda la politica estera e la politica interna. È un ondeggiamento continuo su tutto quello che si realizza, per far sì che ci sia una bandierina vera, da questo punto di vista, di un nemico contro cui ogni giorno combattere.

Nel merito, questo doppio CSM, questa riforma della giustizia - chi fa il PM deve fare il PM, chi fa il magistrato deve fare il magistrato - non risolve nessuno dei problemi della giustizia, che avverte il cittadino, perché il cittadino chiede altro: il cittadino, alla giustizia, chiede la certezza dei tempi nel penale e nel civile. Se parlate con una qualsiasi azienda, vi dirà questo, ma soprattutto, con riguardo al penale, nella sostanza, vi dirà: “Il mio tema principale è che ci vuole una certezza dei tempi”.

Perché questa, che dovrebbe essere una bandiera unanime di tutti, non è tale? Perché non si lavora su norme che vanno a favore del cittadino, per continuare il lavoro che ha già fatto la Cartabia, nella direzione di realizzare condizioni regolamentari che permettano di realizzare una giustizia più veloce, più certa e più celere?

C'è un tema che riguarda le carceri e un tema che riguarda gli uffici giudiziari e la carenza del personale. Ecco, perché non ci occupiamo dei temi veri e in realtà qui ci occupiamo del doppio CSM? Non c'è mai una condizione per la quale, da questo punto di vista, si può svolgere una discussione di merito. L'obiettivo è sempre la bandierina, ma mai dire che abbiamo l'esigenza di parlare della giustizia che riguarda i cittadini. Perché non ne parliamo? Perché non diciamo che c'è un tema che riguarda la velocità della giustizia, che riguarda le carceri, che riguarda il problema del personale? C'è oggi nei tribunali una carenza di personale a tutti i livelli, non solo dal punto di vista dei magistrati, ma anche delle Forze dell'ordine e anche del personale amministrativo. Perché non partiamo da qui per velocizzare il tema della giustizia? Per non parlare del processo telematico e di ciò che dovrebbe portare verso la velocizzazione: invece, è tutto bloccato. Però, il Ministro Nordio non si occupa di questo, perché l'obiettivo della maggioranza è realizzare le condizioni di bandierina, è realizzare l'obiettivo di avere un nemico da abbattere ogni giorno.

Questo giorno non è un bel giorno, io penso che sia un brutto giorno, “nun è nu juorno buono” direbbero a Napoli, perché penso ci sia la volontà, ancora una volta, di forzare.

Per non parlare poi del metodo che è stato usato per arrivare qui: nemmeno un emendamento delle forze di opposizione o anche della stessa maggioranza e addirittura neanche l'ascolto di quello che hanno detto in merito la società civile e gli autorevoli e straordinari esperti di giustizia, che hanno da sempre dato la speranza di una giustizia giusta.

L'obiettivo di tutto questo è colpire e disarmare sempre di più lo Stato e creare le condizioni di una sottoposizione al potere politico, con un'allergia al controllo di qualsiasi tipo, compreso quello della magistratura.

Da questo punto di vista, il nostro obiettivo sarà esattamente l'opposto. Per queste ragioni voteremo convintamente contro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Marco Lacarra. Ne ha facoltà.

MARCO LACARRA (PD-IDP). Grazie Presidente, onorevoli colleghi e membri del Governo. Quella che discutiamo oggi è una riforma costituzionale che non nasce dal confronto, non nasce dall'ascolto delle categorie, non nasce da una seria analisi dei problemi della giustizia italiana, ma nasce da un'ossessione ideologica e da un intento punitivo nei confronti della magistratura.

È una riforma che non risponde ad alcun bisogno reale dei cittadini, ma che rappresenta piuttosto un regolamento di conti politico. Il Governo e la maggioranza hanno deciso di incidere su ben sei articoli della Costituzione - gli articoli 87, 102, 105, 106, 107 e 110 - per dividere in due le carriere, giudicante e requirente, istituendo due Consigli superiori della magistratura separati e un'Alta Corte disciplinare composta in larga parte tramite sorteggio. Tutto questo senza alcuna vera motivazione legata all'efficienza del sistema, alla durata dei processi e all'accesso alla giustizia.

Al contrario: è evidente che l'obiettivo è piegare il potere giudiziario, limitarne l'indipendenza, isolarlo dal resto della giurisdizione per renderlo più vulnerabile al controllo politico. Non è un caso che i principali sostenitori di questa riforma siano gli stessi che da anni attaccano i magistrati, accusandoli di fare politica, anche quando molto semplicemente si limitano ad applicare la Costituzione o il diritto europeo. Non è un caso che il Vice Premier Salvini invochi la separazione delle carriere per punire quei giudici che non condividono le leggi sull'immigrazione.

È la conferma che non ci troviamo davanti a una riforma della giustizia, ma a una vendetta contro la magistratura. E mentre il Governo mette mano alla Costituzione con una leggerezza senza precedenti, la realtà della giustizia italiana resta drammatica: udienze fissate al 2030, processi telematici in tilt, carenze croniche di personale, carceri al collasso con oltre 15.000 detenuti rispetto alla capienza regolamentare. Su tutto questo silenzio, silenzio assoluto. Anzi, tagli pesantissimi: mezzo miliardo in meno tra il 2025 e il 2027. Altro che riforme della giustizia! State distruggendo il sistema giudiziario italiano, mentre sollevate una bandiera ideologica per distrarre l'opinione pubblica.

Il meccanismo del sorteggio che avete introdotto è una vera e propria aberrazione costituzionale. La Corte, con la sentenza n. 12 del 1971, aveva già dichiarato illegittimo un analogo meccanismo previsto per la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura. Voi lo riesumate oggi, come se nulla fosse, e lo estendete addirittura alla composizione dei nuovi Consigli superiori e dell'Alta Corte disciplinare. È un colpo diretto all'autorevolezza e alla credibilità delle istituzioni di autogoverno della magistratura. Trasformate le elezioni in una lotteria, la rappresentanza in casualità.

Così non si rafforza la democrazia, la si umilia. Poi c'è il rischio, più volte sottolineato da studiosi e magistrati, di creare un pubblico ministero trasformato in accusatore di professione, separato dalla cultura della giurisdizione, ridotto a parte a tutti gli effetti, privo di quel dovere oggi sancito dall'articolo 358 del codice di procedura penale di ricercare anche gli elementi a favore dell'indagato.

Volete istituzionalizzare la patologia, anziché combatterla. E non lo diciamo solo noi, lo dicono penalisti di riconosciuta autorevolezza come Franco Coppi. Egli ha ricordato che mai nella sua lunga esperienza abbia pensato di vincere o perdere una causa per l'appartenenza del pubblico ministero e del giudice al medesimo ordine. Lo dicono giuristi comparatisti i quali avvertono che il modello accusatorio non richiede affatto una separazione ordinamentale delle carriere perché la distinzione funzionale è già pienamente garantita. Lo dice l'Associazione nazionale magistrati, secondo cui questa riforma ridurrà il pubblico ministero a un attore meno imparziale, meno garante della libertà dei cittadini. Ma voi andate avanti.

Avete blindato il testo sin dall'inizio, dichiarandolo non emendabile. Avete impedito alla Commissione giustizia e alle Commissioni referenti un vero dibattito, arrivando a calendarizzare in Aula una riforma costituzionale senza relatore, come se fosse un decreto da convertire in fretta. È una forzatura gravissima, senza precedenti. È una mortificazione del Parlamento e delle sue prerogative. Insomma, avete scelto la via dell'arroganza rifiutando ogni confronto.

Eppure, la storia repubblicana ci insegna che le riforme costituzionali possono durare solo se costruite insieme, non se imposte da una maggioranza numerica. Altrimenti, finiscono davanti al giudizio del popolo e vengono bocciate, come accadde nel 2006 e nel 2016.

Vi illudete che il referendum possa legittimare la vostra scelta, ma sarà inevitabilmente un voto politico, un voto contro il Governo Meloni e contro le sue derive autoritarie.

Questa riforma è un boomerang perché, mentre dite di voler limitare il potere dei pubblici ministeri, rischiate di rafforzarli oltre misura, dotandoli di un loro CSM autonomo, senza più alcun bilanciamento con la magistratura giudicante. Perché mentre dite di voler eliminare le correnti, introducete il sorteggio che crea solo irresponsabilità individuale e opacità. Perché mentre dite di voler difendere i cittadini, in realtà, li private di una giustizia indipendente, efficiente, imparziale.

Colleghe e colleghi, in gioco non c'è un tecnicismo ordinamentale, c'è l'equilibrio tra i poteri dello Stato, c'è la tenuta della nostra democrazia liberale, c'è l'idea che il potere politico non sia onnipotente ma debba convivere con pesi e contrappesi.

Il Governo Meloni vuole, invece, costruire un sistema in cui ogni contrappeso viene ridotto a fastidio. Il Parlamento è esautorato dal premierato, la Corte dei conti è imbavagliata, la magistratura è isolata e delegittimata. È un disegno tanto coerente quanto pericoloso.

Per questo, noi diciamo con forza che questa riforma non è nell'interesse dei cittadini, ma contro i cittadini. Non è una riforma della giustizia, ma contro la giustizia. Non è un passo avanti nella modernizzazione dello Stato, ma un passo indietro nella sua democraticità.

Noi ci opporremo in Parlamento con le nostre proposte alternative, ma soprattutto ci opporremo nel Paese perché questa battaglia non riguarda una categoria, riguarda la libertà di tutti. E siamo certi che, ancora una volta, gli italiani sapranno dire “no” a chi vuole concentrare tutti i poteri nelle mani di pochi. Per queste ragioni, il nostro voto sarà convintamente contrario (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Silvia Roggiani. Ne ha facoltà.

SILVIA ROGGIANI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Intanto, annuncio subito, in dichiarazione di voto, la fermissima contrarietà per un tema sia di metodo sia di merito. Lo abbiamo ripetuto più volte in quest'Aula, purtroppo dinanzi a un'Aula assolutamente vuota, e credo che anche questo faccia parte di quel metodo che citavo prima. Siamo di fronte a una riforma costituzionale. Io ricordo benissimo il primo giorno che sono entrata in quest'Aula e penso che ciascuno di voi abbia questo ricordo vivido. Entrare in quest'Aula significa respirare qui, dove si è fatta la Costituzione, quanto le leggi del Paese possono cambiare davvero la vita delle persone e quanto questa democrazia, che è stata conquistata con la morte di persone che si sono sacrificate contro il nazifascismo, ci abbia portato, poi, davvero qui in quest'Aula a provare a rimettere al centro della politica - quindi anche della nostra democrazia - la vita delle persone.

Oggi è svilente, è davvero svilente pensare che stiamo facendo - state facendo - una riforma costituzionale senza tenere minimamente conto dello spirito di quella Costituzione, uno spirito che nelle riforme costituzionali chiedeva quattro passaggi, una riflessione, un coinvolgimento di tutto il Parlamento, o comunque un coinvolgimento più ampio possibile. Voi siete riusciti con questa riforma - cosiddetta tale perché poi riforma non è, ma ci arriverò dopo - non solo a non coinvolgere le opposizioni, ma a non coinvolgere nemmeno la vostra maggioranza. Siamo di fronte, per la prima volta nella storia, a una riforma costituzionale che non ha neanche un emendamento. Non è stata toccata.

In Senato, addirittura dopo una compressione - incredibile, perché non ci sono scadenze, non c'è una vera motivazione d'urgenza - il provvedimento è arrivato in Aula senza il relatore. Io credo che questo vi dovrebbe interrogare, perché non penso che questo Parlamento possa andare avanti per strappi. Voi lo state facendo e ci avete un po' abituato a questo, anche se noi ovviamente non ci vogliamo abituare. Ci avete abituato alle fiducie - siamo ormai alla centesima fiducia - e ci avete abituato anche al calpestare i Regolamenti parlamentari, anche quello che è accaduto questa notte e che sta accadendo ora è un altro sopruso - possiamo dirlo - rispetto al ruolo delle opposizioni. Avete chiamato una seduta fiume senza la necessità che questa seduta fiume ci dovesse essere. Qual è l'urgenza? Allora, sarebbe bene dirlo: dovevate andare nelle Marche a fare campagna elettorale. Ma non è svilente? Non vi sentite piccoli in quest'Aula, dove è stata fatta la Costituzione, ad aver chiamato una seduta fiume e a lasciarci qua a parlare da soli di una riforma costituzionale della giustizia, che è un perno della nostra democrazia, perché? Qua da soli così? Perché c'è un'urgenza? No, perché dovevate andare a fare campagna elettorale. Io penso che questo tema di metodo sia francamente centrale e che racconti molto di voi, che racconti molto dell'idea di Paese che avete, dell'idea di democrazia che avete.

Andando avanti e passando al merito, il merito, se possibile, è ancora peggio del metodo. Siamo di fronte, qui in Italia, a grandissimi problemi della giustizia. Tantissime imprese, cittadini, persone, li vivono sulla propria pelle. A fronte di processi lunghissimi, la disponibilità delle udienze del giudice di pace - è stato già ricordato da tantissimi colleghi - è solo nel 2030, i processi telematici che sono in tilt, le imprese che quando scelgono dove investire in Europa non scelgono l'Italia perché non hanno una certezza dei tempi della giustizia. Questo dovrebbe interessare tutte e tutti noi. Oppure, ancora, il grandissimo tema delle carceri. Anche questo è stato più e più volte citato. Siamo al 130 per cento di sovraffollamento, i suicidi l'anno scorso hanno raggiunto purtroppo una cifra record, ma anche quest'anno siamo già alla tragica cifra di 46 suicidi tra popolazione carceraria e chi nelle carceri ci lavora.

Tutto questo avrebbe dovuto interrogarvi nello scrivere una riforma della giustizia, nel provare a mettere al centro i bisogni dell'Italia, delle cittadine e dei cittadini, anche delle imprese. E invece qual è stata la vostra risposta? E qual è stata non solo la risposta che state dando oggi con la riforma, ma qual è stata la vostra risposta fino ad oggi rispetto al tema della giustizia? Avete tagliato. Tagli, con l'ultima legge di bilancio, del 15 per cento delle risorse al dipartimento (500 milioni di euro). I precari della giustizia, i precari del PNRR, a cui non avete dato una risposta. Noi più volte abbiamo provato a sollecitarvi. Avete introdotto 48 nuovi reati, 14 solo con il decreto Sicurezza, che noi abbiamo ribattezzato “decreto repressione”, perché, in effetti, di quello purtroppo si tratta. Questo certamente non risolve né i problemi di giustizia né i problemi di coesione sociale, né, tantomeno, i problemi di sovraffollamento delle carceri.

Avete deciso di fare una riforma assolutamente vendicativa, ostile alla magistratura. Il vostro obiettivo, che non è neanche tanto nascosto, diciamolo - perché magari non lo avete detto in quest'Aula, ma lo dite fuori, lo avete detto nelle interviste, lo avete detto più volte nelle dichiarazioni, lo avete detto con tantissimi attacchi alla magistratura -, è quello di assoggettare questo potere dello Stato al vostro potere politico. Voi non volete il dissenso, non lo volete da nessuna parte, non può arrivare da nessuna parte, e questo penso che sia un male per il nostro Paese e per la nostra democrazia.

Avete deciso di separare la funzione giudicante da quella requirente con una legge costituzionale e non ce ne sarebbe stato bisogno, se questo fosse stato il vostro unico obiettivo, anche perché, come abbiamo ripetuto più volte in quest'Aula, c'è già la riforma Cartabia, che peraltro molti e molte di voi avete votato e comunque l'hanno votata molti dei partiti di maggioranza. Sappiamo bene che i numeri parlano chiaro e ci raccontano che questo passaggio, il cambio di ruoli, riguarda meno dell'1 per cento e soprattutto avviene sempre all'inizio di carriera.

In questi giorni, ieri in particolare, mi sono molto interrogata, anche rispetto alla discussione che stiamo facendo in quest'Aula, su quello che è successo nella mia città, Milano. Sappiamo tutti dei processi che sono in corso, quindi delle accuse molto forti che i PM hanno fatto. Ci sono circa 70 indagati, noi ne conosciamo 23. Noi, a differenza vostra, non accusiamo la magistratura, ma rispettiamo il ruolo e le funzioni della magistratura e, quindi, anche tutto il percorso che i processi seguono. Ieri abbiamo potuto leggere - immagino le abbiate lette anche voi - le motivazioni di due riesami. Credo che quello ci racconti bene che già oggi non c'è qualcuno assoggettato a qualcun altro, anche se hanno l'ufficio di fianco o bevono il caffè insieme, perché evidentemente chi oggi svolge un ruolo nella magistratura ha deciso di svolgerlo in un modo assolutamente integro e questo riguarda la stragrandissima parte dei PM e dei magistrati e questa è una prova provata. Vi invito a leggere quello che sta accadendo a Milano e che è accaduto, perché, davvero, io penso che ce lo racconti bene.

Invece, oggi siamo qui a discutere sostanzialmente del nulla: quindi, separazione delle carriere, due CSM con i relativi costi e, totalmente, una grande inutilità e il sorteggio, che manda totalmente in soffitta il merito. Ma la cosa più incredibile è che io credo che per eterogenesi dei fini voi rischiate in fondo di ottenere il risultato opposto a quello che in teoria state dichiarando, anche se forse, come diceva qualche mio collega, avete, di fondo, un'altra idea. A parte che il garantismo che tanto professate in questa riforma io non capisco bene come e dove si sostanzi, ma credo che voi stiate sostanzialmente creando un super PM, un accusatore di professione, sganciato dal resto della magistratura, con a disposizione l'intero apparato di Polizia giudiziaria. Quindi, cosa faremo? Ci ritroveremo poi qui a dover discutere di come limitare i poteri di questo PM? E, allora, forse, ci proporrete delle soluzioni che sono già state adottate in altri Paesi, cioè di assoggettare i PM al potere dell'Esecutivo? Ci viene da pensare che forse sia questo il vostro vero intento, anche perché lo abbiamo detto all'inizio, e questo ovviamente ci vedrà assolutamente contrari, come ci aveva visti assolutamente contrari questo provvedimento, perché siamo convinti che l'idea costituzionale della separazione dei poteri sia assolutamente da preservare. O forse avete davanti dei fulgidi esempi: Trump, Netanyahu, Orbán, che non credono minimamente nella giustizia. La nostra segretaria, prima, ha fatto l'esempio della Corte penale internazionale, ma se guardiamo quello che Orbán sta facendo con le altre Corti, anche nel suo Paese, forse mi viene da pensare che l'esempio che state cercando di seguire sia proprio questo.

Noi faremo opposizione qui, continueremo a farla anche con l'Aula vuota, ma la faremo anche nel Paese. Ci aspetterà un referendum e credo che in questo referendum racconteremo bene alle italiane e agli italiani quello che a voi interessa: non risolvere i loro problemi, non essergli accanto anche nei momenti più difficili, come nella lungaggine dei processi, ma una vostra bandierina in un cambio di bandierine con gli altri partiti di maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Elisabetta Piccolotti. Ne ha facoltà.

ELISABETTA PICCOLOTTI (AVS). Grazie, Presidente. La riforma di cui discutiamo oggi non è un fatto isolato e non va letta da sola, è parte di un progetto complessivo che ha il chiaro intento politico di ridisegnare gli equilibri democratici del nostro Paese. Si tratta di un vero e proprio stravolgimento a rate, piano piano, del nostro ordinamento, che mina dall'interno l'equilibrio dei poteri. La riforma della giustizia con la separazione delle carriere va infatti letta insieme ad altre proposte, come il premierato e l'autonomia differenziata. Tutte mosse che mirano a concentrare il potere nelle mani dell'Esecutivo, riducendo il ruolo del Parlamento e indebolendo l'indipendenza della magistratura.

Ci troviamo di fronte a una pericolosa torsione di natura e di ispirazione illiberale: un Governo che piega le istituzioni di garanzia alla propria volontà mette in discussione il principio stesso della separazione dei poteri, cardine di ogni Costituzione moderna e di cui la Costituzione italiana è - e noi speriamo che sia anche in futuro - un grande esempio. Questo percorso, che altera l'equilibrio democratico, si accompagna ad altri provvedimenti liberticidi, di cui abbiamo discusso in questi 3 anni di legislatura, come il cosiddetto decreto Sicurezza, già ritenuto in contrasto con i principi costituzionali dalla Cassazione.

E tutto ciò, questo forse è ancora peggio, avviene in un contesto drammatico, segnato dalla guerra, dalla corsa agli armamenti, mentre la ricerca della pace viene rimossa dal dibattito pubblico. È un momento in cui viene negato ad alcuni persino il diritto di manifestare, come testimonia il caso dei fogli di via emessi in Sardegna contro attivisti che hanno pacificamente protestato contro la presenza di militari israeliani in un resort, arrivati per decomprimere, dopo avere probabilmente partecipato al massacro di Gaza. Stiamo parlando di una riforma che interviene sull'equilibrio dei poteri, sia nel merito, sia nel metodo.

Non possiamo ignorare, infatti, il metodo con cui questa riforma è stata portata avanti: un iter blindato, che ha escluso qualsiasi apertura alle opposizioni. Sono stati respinti tutti gli emendamenti, contingentati i tempi e applicate procedure come il “canguro” per ridurre il confronto. Anche questa vicenda della seduta fiume, inutilmente convocata per lasciarci qui a discutere da soli, mentre si discute di un tema così importante, la dice lunga sulla volontà di confronto di questa maggioranza.

Una modalità mai vista per un cambiamento costituzionale che conferma, se ce ne fosse bisogno, la volontà di svuotare il Parlamento delle sue funzioni, umiliandone il ruolo e relegandolo a un mero “approvificio” di misure decise nelle segrete stanze del Governo. È chiaro il motivo: non si vuole una discussione perché non siamo davanti a una misura volta a migliorare la giustizia, ad accelerare i processi, come avevate tra l'altro promesso in campagna elettorale, oppure a rafforzare gli organici di cui c'è drammatico bisogno.

Non ci sono risorse per i precari della giustizia, non ci sono risorse per gli agenti penitenziari delle carceri, non ci sono soluzioni per i giudici onorari sottopagati, non ci sono soluzioni per le imprese che devono aspettare anni la fine dei processi. Al centro di queste vostre azioni e riforme non c'è il buon funzionamento del sistema giudiziario, ma invece un obiettivo politico: colpire la magistratura, dividere il CSM, indebolirne il prestigio con strumenti come il sorteggio e trasformare il pubblico ministero in un superpoliziotto, sbilanciando i rapporti di forza con i giudici.

È in sostanza la vecchia ossessione, che conosciamo bene fin dai tempi di Silvio Berlusconi, contro le cosiddette “toghe rosse”, che citate sempre e che vi dimenticate di citare quando invece le toghe, come è accaduto recentemente, indagano o arrestano anche esponenti dell'altra parte politica, quella che non è la vostra. C'è un disegno di vendetta mascherato da riforma garantista, perché nulla ha a che vedere questa riforma con un vero garantismo. L'intervento si concentra su quattro temi legati alla riforma costituzionale in materia di giustizia: la separazione delle carriere, il sorteggio dei membri del CSM, lo sdoppiamento degli organi di autogoverno e l'istituzione di un'Alta Corte di giustizia.

La separazione delle carriere è il punto più dibattuto, quello che, in qualche modo, dà il titolo al provvedimento, ma dal punto di vista costituzionale è anche il meno fondato. Lo hanno detto tanti colleghi: la Corte costituzionale ha già chiarito che la Costituzione non impone né vieta carriere unificate o separate, e inoltre la legge ordinaria ha già, di fatto, reso quasi impossibile il passaggio tra funzioni requirenti e giudicanti. Non si capisce, quindi, per quale ragione stiate facendo questa riforma in questo modo.

Infatti, dietro l'insistenza politica su questo tema sembra piuttosto celarsi la volontà di assoggettare il pubblico ministero al potere esecutivo, ma ciò - lo vogliamo ricordare in quest'Aula - sarebbe incompatibile con gli articoli 101 e 104 della Costituzione, come il professore Azzariti ha ben documentato in audizione in Commissione giustizia al Senato proprio lo scorso febbraio. E se la proposta di istituire un'Alta Corte di giustizia prevede un meccanismo anomalo di appello a se stessa, tutto questo rischia di rafforzare autoreferenzialità e spirito corporativo.

Le vere criticità riguardano oltretutto il sorteggio dei membri dei due CSM. Questa misura, pensata per combattere il correntismo, rischia, al contrario, di minare sia la rappresentatività sia l'efficienza dell'organo. La sorte, infatti, non riflette la pluralità di culture giuridiche esistenti nella magistratura e non garantisce nemmeno che vengano scelti i magistrati con le competenze adeguate a svolgere il ruolo che andranno a ricoprire. Si rischia così di sostituire il correntismo con forme di casualità o, peggio, di favoritismi personali, con una gigantesca perdita di autorevolezza della magistratura.

La divisione del CSM in due organi distinti, inoltre, non rafforza la giustizia, ma la rende più fragile. Spezzare l'autogoverno della magistratura significa dimezzarne l'autorevolezza e facilitare l'influenza della politica sulle carriere dei giudici e dei pubblici ministeri. In questo modo si indebolisce il pluralismo interno e si rischia di consegnare la magistratura, anziché mantenerla autonoma, al controllo diretto del potere esecutivo. Il rischio è enorme: una giustizia meno autonoma, meno imparziale e soprattutto meno uguale per tutti i cittadini e tutte le cittadine.

Quelli più ricchi, i cittadini più benestanti, che saranno in grado di pagarsi difese costose - in parte è già oggi così - saranno ancora più protetti; i più deboli, privi di mezzi, invece - e questo accade già oggi, ma peggiorerà -, si troveranno davanti soltanto il muro del carcere sovraffollato. Ancora una volta il pugno duro con chi non ha strumenti e il guanto di velluto per i potenti, e tutto questo sarà potenziato dalle norme sulla procedibilità, con le quali progettate di dettare l'agenda politica ai giudici, scegliendo quali reati debbano essere perseguiti e quali, invece, possono passare sotto gamba.

Eppure la nostra società avrebbe bisogno di tutt'altro: viviamo in un Paese impoverito socialmente ed anche economicamente, dove la cultura del diritto è stata logorata da decenni di propaganda securitaria e in cui i processi vengono spesso già celebrati sui social network. Servirebbe una riflessione seria e condivisa sulla giustizia, non un attacco ideologico finalizzato a piegarla al controllo politico. Per questo, noi diciamo con forza che questa riforma va respinta oggi, in Parlamento, e domani, quando i cittadini saranno chiamati ad esprimersi nel referendum.

Saranno loro, ne siamo convinti, a difendere la Costituzione che voi avete giurato di rispettare, ma che in realtà non avete mai accettato fino in fondo (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra e di deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Stumpo. Ne ha facoltà.

NICOLA STUMPO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Intervengo oggi, così come stanno facendo tanti colleghi dell'opposizione, in un'Aula che avete reso vuota per una volontà - diciamo - di parte. Avete ritenuto questa riforma costituzionale importante. È la vostra riforma; l'avete anche detto più volte, è il segnale di anni e anni di lotte politiche e, nel momento in cui la approvate, scappate via, un po' per vergogna e un po' per il vostro modo di essere: essere soltanto gestori di una parte. Io lo dico con molta fermezza: mentre il mondo brucia - sono due notti che chi ha coscienza non dorme e pensa ai drammi del popolo palestinese -, voi avete avuto l'idea, ieri, di costringere il Parlamento italiano a restare a discutere della vostra riforma, ma siete scappati dal discuterla voi. E ieri, anziché trovare qualche cosa da fare verso il mondo che va a rotoli (quello che succede a Gaza), avete passato la giornata impegnandovi a trovare 60 milioni di euro al CIPESS da portare nelle Marche per andare a fare la campagna elettorale, per quello che siete, perché governare - almeno così era nei detti popolari - significava tenere in ordine; si governava la casa, lo facevano le nostre nonne in una società matriarcale. Voi non governate per tenere in ordine, voi governate per avere un interesse di parte. Questa è la vostra cultura. Un interesse di parte e divisivo. Sempre così, sempre.

Lo state facendo sistematicamente in queste ore, in questi giorni. Non c'è mai una cosa che voi fate pensando agli interessi del Paese, agli interessi di questa fase del mondo. Guardate anche quello che avete fatto nella vicenda più complicata di questa fase: il Presidente degli Stati Uniti, in modo unilaterale, decide di mettere i dazi e, con essi, rompe anche quello che era un rapporto nell'Occidente. Ebbene, voi, anziché cercare di tutelare il Paese, alla fine di quella vicenda dite: “beh, finalmente, almeno si è fatta chiarezza, le nostre imprese sanno di essere in difficoltà, ma sanno che possono affrontare con dei dazi questa vicenda”.

Questo è quello che voi fate sistematicamente. E quando in un Paese come quello, che va abbastanza a rotoli, succedono cose drammatiche, come l'omicidio di un trentunenne da parte di uno squilibrato mentale, usate lo stesso linguaggio che avete usato per decenni e accusate gli altri, come se fosse un problema dell'altra parte, dicendo che le parole di novelli cattivi maestri - che non esistono - rischiano di mettere a repentaglio la vita della politica e dei politici italiani di destra. E, anziché tenere unito il Paese, voi invece continuate a dividerlo, perché questa è la vostra idea: dividere tutto. C'è la parte di qua, la parte di là. E lo fate non perché avete delle riforme che vogliono dare un segnale di rinnovamento, lo fate perché avete una cultura ideologica, a volte anche una cultura che è stata tenuta ai margini e oggi pensa di prendersi una rivincita. E non è per tutti in questo Governo, c'è chi ha governato molti anni in questi ultimi venti, trent'anni della nostra storia, eppure lo fate, con una rivalsa ideologica che non ha precedenti. Ma perché? Perché avete deciso di spaccare il Paese su ogni cosa? Perché?

Oggi stiamo provando a discutere di una riforma della Costituzione e, per anni, ognuno di noi ha sempre detto che pezzi di una riforma della Costituzione o una riforma complessiva - non è questo il caso - si fanno insieme. Non è stato possibile ragionare di nulla. Ci sono anche cose secondarie. Avete preso alcuni aspetti di una delle battute meno riuscite della storia di uno dei partiti dell'opposizione, “uno vale uno”, con il sorteggio, come se tutto fosse la stessa cosa. Noi avevamo detto nella discussione, se proprio dovete andare verso il sorteggio, proviamo a tenere anche un tema che sta nel mondo di oggi, che è quello della parità di genere. Avete irriso anche quel minimo di discussioni che si sono provate a fare dentro una pessima riforma, per stare su alcuni punti. Non avete voluto discutere di nulla, perché la vostra riforma non è la riforma della giustizia, è quello che voi pensate debba essere quel sistema, il sistema giudiziario. È quello che deve essere la vostra rivalsa verso un mondo che, forse, voi avete considerato il vostro nemico e che, in realtà, è soltanto un pezzo di questo Stato, di questo nostro Stato, concepito così com'è, con le differenze che deve avere e anche con la sua autonomia, che voi volete invece eliminare, perché volete che tutto sia piegato ai vostri voleri.

Ecco, vedete, non c'è molto da aggiungere. Nel merito, io sottoscrivo le parole dette da uno dei colleghi che ha parlato prima di me, l'onorevole Lacarra, che è entrato nel merito. Condivido tutte le sue posizioni espresse. Voglio soltanto aggiungere e chiudere su questo tema. Voi vivete tutto ciò che state facendo come uno scontro di cultura e di civiltà. Un Paese, in un momento difficile come il nostro, in cui stanno cambiando totalmente gli equilibri del mondo, avrebbe avuto il dovere - per la nostra storia e la nostra cultura - di assumere una posizione diversa, di mettersi tra quelli che cercavano di tenere uniti; pensare a un Paese che potesse dare un contributo. E invece, no, voi state portando il Paese esattamente nella parte sbagliata del mondo, nella parte sbagliata che pensa a dividere e che non pensa a questa parte, che noi dobbiamo provare a salvaguardare, come la parte che serve a dare un indirizzo di civiltà al nostro mondo. Voi andate in giro pensando di dover difendere la civiltà e, invece, state portando avanti un'idea di inciviltà enorme.

Anche per questo, non solo voteremo contro questa riforma, ma nel referendum, io credo, mi auguro, spero, che i cittadini la rimandino a casa, che non diventerà mai parte della Costituzione, che non merita di essere macchiata da questa riforma. Spero che essa vi porti anche dove voi meritate di stare: all'opposizione e non al Governo di questo nostro grande Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Fassino. Ne ha facoltà.

PIERO FASSINO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Io penso, per le ragioni che molti colleghi hanno illustrato, che si sta commettendo un grave errore, un errore che ridurrà le garanzie e le tutele dei cittadini. E vorrei, in particolare, soffermarmi su due argomenti, non riprendendo molti altri. Voi rischiate di conseguire, con questa separazione, l'effetto opposto a quello che dichiarate di perseguire.

Perché, se l'obiettivo della separazione delle carriere è calmierare una tendenza della magistratura inquirente, che sempre più spesso è ispirata più dalla presunzione di colpevolezza che non dalla presunzione di innocenza (e il caso di Milano, di cui le cronache in questi giorni sono piene, ne è una dimostrazione) credo che, in realtà, la separazione aggraverà e accentuerà questo rischio. Vedete, chi come me siede in quest'Aula, come anche altri che hanno avuto la ventura di svolgere funzioni di amministratore locale, sa come la tendenza della magistratura inquirente a coltivare più la presunzione di colpevolezza che non la presunzione di innocenza sia largamente diffusa. E ne abbiamo mille esempi. E ne sono stati vittime amministratori locali di diverso colore politico, a dimostrazione del fatto che è una tendenza radicata. Però, tutto questo non si risolve con la separazione delle carriere. Secondo me, con la separazione delle carriere e con una magistratura inquirente resa ancora più autoreferenziale questo rischio si aggraverà. Quindi - diciamo - per eterogenesi dei fini, alla fine, anziché determinare con la separazione una maggiore tutela dei cittadini, li metteremo maggiormente a rischio. Io penso che questo sia un primo problema.

Il secondo problema è quello che riguarda la composizione del CSM. Ora, avendo anche avuto la ventura di ricoprire quel seggio dove adesso siede il Ministro Nordio, ho visto da vicino i problemi che ha comportato e comporta un'organizzazione della magistratura per correnti organizzate. Non penso, però, che passare da questo al sorteggio risolverà il problema. Anzi, secondo me lo aggraverà, perché è del tutto evidente che, intorno a coloro che saranno nominati per sorteggio, si costruiranno tra i membri del CSM convergenze e filiere più opache. Più opache. Semmai, il problema è che - però, mi rendo conto che è un problema molto complesso - bisognerebbe interrogarsi su una titolarità in particolare che oggi è riferita in modo esclusivo al CSM, che è la nomina dei vertici giudiziari. Noi abbiamo tradotto il principio dell'assoluta indipendenza della magistratura - principio costituzionale sacro - e ne abbiamo tratto la conseguenza che, per esempio, una delle applicazioni di questo principio è l'esclusiva competenza del CSM nella nomina dei capi degli uffici giudiziari.

In altri Paesi, europei e non solo, dove è sancito il principio dell'indipendenza della magistratura, non si è stabilita questa conseguenza. Però, questo tema voi non l'avete affrontato. Mi rendo conto che è complesso e che è difficile. Però, vorrei farvi notare che questo tema c'è. Credo che chi si occupa più da vicino di queste cose abbia, anche per dovere quasi d'ufficio, letto il famoso libro-intervista di Sallusti a Palamara. E a un certo punto, in un capitolo, Palamara spiega che le nomine avvengono sulla base di un accordo tra le correnti. E denomina anche questa formula. Dice: il “pacchettone”. Io, non avendo come lei nessun potere di intervento, da Ministro però l'ho visto, quando in quel periodo si facevano le nomine.

Quindi, semmai, il problema è come si agisce sulle nomine per evitare il “pacchettone”, perché il “pacchettone” ci sarà anche col sorteggio. Perché, se consideriamo che c'è una competenza esclusiva, non sarà tra le correnti, ma sarà tra i singoli. E intorno ai singoli si organizzeranno delle filiere, dei rapporti, delle convenienze e anche - come dire - un certo mercato delle nomine. Quindi, questo è un problema serio che però io penso che con il sorteggio non solo non sarà risolto, ma si aggraverà. Perché è un metodo più opaco e fondato sulla casualità del sorteggio, sulla personalità dei sorteggiati che avranno - come dire - assolutamente discrezionalità nel determinare le proprie opinioni - ma questo è ovvio -, ma anche i rapporti e le convergenze e gli interessi, che vanno messi insieme.

Quindi, anche per questo penso che, con questa riforma, anche in questo caso, rischiamo di produrre una stortura che si aggraverà. Semmai il problema è come si interviene sui collegi giudiziari; questo è il problema naturalmente, però è un altro problema che non viene affrontato qui. Quindi, penso che, alla fine - e termino - si tratti di una non riforma; in realtà, a mio avviso, non lo è poiché la separazione delle carriere, di fatto, c'è già ed è stato ampiamente dimostrato che, quando soltanto l'1 per cento passa da un ramo all'altro, vuol dire che abbiamo sostanzialmente già sancito una separazione. Però, io penso che il problema è che fino a che noi manteniamo un ordinamento unico, ci sono certe regole, certi criteri e anche certi vincoli; nel momento in cui quell'ordinamento unico lo separiamo nettamente e lo distinguiamo, penso che si esponga il sistema a rischi maggiori e, soprattutto, si espongono i cittadini a essere meno tutelati e meno garantiti nel momento in cui dovranno essere giudicati; e, guardate, la cosa che a me colpisce molto è che, in tutte le inchieste che vengono fatte reiteratamente, la fiducia dei cittadini nella magistratura, in questo momento, non supera mai una percentuale del 60 per cento; spesso è inferiore. Però, guardate, che questo è un problema serio perché, se nell'animo di milioni di persone c'è il dubbio che chi dovrebbe garantire l'amministrazione della giustizia, secondo criteri di imparzialità, non lo fa - perché il fatto che più del 40 per cento, o, addirittura, di più, non manifesti fiducia nella magistratura vuol dire che non si è sicuri dell'imparzialità della magistratura - questo è un gigantesco problema che attiene alla democrazia, al rapporto di identificazione tra i cittadini, lo Stato e le istituzioni. Io temo che questa riforma non migliorerà quelle percentuali, ma le aggraverà. Grazie dell'attenzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Grazie a lei, deputato Fassino. Ha chiesto di parlare il deputato Tabacci. Ne ha facoltà.

BRUNO TABACCI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Signor Ministro, non mi era mai capitato di parlare in quest'Aula avendo come interlocutore pressoché esclusivo il processo verbale: lo considero comunque un grande privilegio.

Ci sono elementi, in questi passaggi, che fanno riflettere; non è la prima volta che accade, ma stavolta è davvero pervasivo: la blindatura delle riforme costituzionali, il patto tra i leader della maggioranza, che hanno tripartito le riforme stesse in premierato, autonomia differenziata, separazione delle carriere in magistratura. Sono comunque procedure sbagliate, sia quando hanno portato al referendum che le ha poi tolte di mezzo, sia quando hanno visto la luce con esiti contraddittori, come quelle del Titolo V, che hanno finito per sovraccaricare di lavoro la Corte costituzionale per ridurne gli effetti negativi. E, poi, le regole del gioco, visto che qualcuno le ha citate, non possono essere fissate neppure dal patto della maggioranza parlamentare con il suo elettorato.

Questa controriforma colpisce al cuore la tripartizione dei poteri fissata dalla cultura democratica e dall'ispirazione della Carta costituzionale. Si possono anche dividere con accuratezza le funzioni di indagini inquirenti da quelle giudicanti, ma la storia dei magistrati militanti - talvolta mutanti, come nel caso suo, signor Ministro - prelude a qualche intento punitivo e alla sottomissione della magistratura nel suo complesso al Governo del Paese.

E qui mi viene da riflettere su un passaggio: il 26 gennaio 1994 Berlusconi si rivolge all'Italia dicendo che è il Paese che ama. Con quel discorso, in realtà, cavalca “Mani pulite” che, fin dall'inizio, con le sue TV e i suoi giornali, quelli di Berlusconi, fiancheggiava i pubblici ministeri inquirenti di Milano e dopo le elezioni li ha corteggiati proponendo loro di entrare nel suo Governo. Mitico il giovane Brosio che, per Rete4, presidiava il marciapiede davanti al palazzo di giustizia. Berlusconi dice: la vecchia classe politica italiana è stata travolta dai fatti e superata dai tempi.

L'affondamento dei vecchi governanti, schiacciati dal peso del sistema di finanziamento illegale dei partiti, lascia il Paese incerto e impreparato nel difficile passaggio ad una nuova Repubblica. Queste erano le parole di Berlusconi e io potrei sintetizzare che questa maggioranza parlamentare di oggi è figlia di quella magistratura inquirente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Berlusconi la usò senza scrupoli istituzionali, etici e morali, e la contestò solo dopo avere ricevuto l'avviso a Napoli, come indagato da Presidente del Consiglio a fine 1995. Trent'anni dopo persiste quell'intento punitivo e vendicativo.

Lo dico avendo pagato un certo prezzo personale in quegli anni, ma non avendo mai puntato il dito contro la magistratura ed essendomi difeso con dignità ed onore non dai processi, ma nei processi. L'intento punitivo appare confermato nello spostare a vantaggio del potere politico i complessivi equilibri di governo della magistratura, nel cancellare la valenza costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale, nell'annullare il principio che i magistrati vanno distinti in relazione alle funzioni svolte, nel rimettere in discussione la separazione dei poteri previsti dalla Costituzione.

L'intento che si ripropone, come voleva in realtà Berlusconi, a cui avete titolato la riforma stessa, è quello di sottomettere al Governo il concreto esercizio dell'iniziativa penale, riducendo l'ufficio del pubblico ministero a terminale processuale delle Forze di Polizia, a loro volta sottoposte all'impulso di Ministri chiave della compagine di Governo. È molto dubbio che sia prudente una netta differenziazione dei processi formativi e delle conoscenze professionali di due distinte categorie di magistrati, con il rischio di produrre un giudice privo di una conoscenza adeguata della realtà dell'indagine e un pubblico ministero radicato nella cultura e nella prassi consolidata nelle azioni di Polizia.

Nel dramma o anche nella commedia, quante più parti si interpretano, quanti più diversi ruoli si giocano, tanto più si può apprendere, imparare e affinare. Si pensi al dovere che oggi fa capo al pubblico ministero di non disattendere la raccolta di prove a discarico dell'imputato; si concentrerebbe esclusivamente sulle prove a carico dell'accusato. D'altro canto, in questi anni, la riforma Castelli 2005-2006 prima e la riforma Cartabia poi hanno progressivamente ridotto, se non azzerato, la possibilità di passare dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa.

Non ci sarebbe stata, dunque, necessità di una simile controriforma. A meno che l'obiettivo vero non sia quello di rimettere in discussione le modalità di attuazione del principio della separazione dei poteri così come delineate nella Costituzione. Questo è il punto che ci impone di chiedere ai nostri concittadini se è prudente andare avanti in questa direzione.

Non si tratta di una semplice separazione delle carriere, ma di un complessivo riassetto della funzione giudiziaria e di una profonda ridefinizione dei rapporti tra i poteri stessi, ma questo incide sul principio fondamentale dello Stato democratico, a cui restiamo affezionati sempre di più, proprio constatando con apprensione la tendenza crescente a valutare positivamente l'efficacia delle autocrazie, spesso anticamera della dittatura.

Siamo proprio agli antipodi. E questo, a differenza del clima costituente alla base della ricostruzione del Paese dopo la guerra, può portare delle lacerazioni di cui non c'è sicuramente bisogno. Per questo mi sento molto lontano da questa vostra impostazione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Stefanazzi. Ne ha facoltà.

CLAUDIO MICHELE STEFANAZZI (PD-IDP). Grazie, Presidente. È stato detto, è stato ripetuto che questa riforma è senza dubbio una delle più ideologiche del Governo Meloni. Con questa riforma il Governo Meloni compie un passo che comprometterà in maniera definitiva l'equilibrio fra poteri e l'indipendenza della magistratura nel nostro Paese. L'aggravante è che questo percorso si sia svolto in un clima che definirei surreale, con un testo blindato, privo di disponibilità al confronto, privo di ascolto verso le opposizioni e, mi viene da dire, anche nei confronti della società civile.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SERGIO COSTA (ore 12,03)

CLAUDIO MICHELE STEFANAZZI (PD-IDP). Eppure parliamo di una riforma costituzionale, non di un decreto qualunque, ma di una modifica strutturale di un assetto voluto dai nostri padri costituenti. Il Governo, andiamo per ordine, giustifica la necessità di questo intervento usando due argomenti. Uno è che l'idea di separare i giudici e pubblici ministeri garantirebbe maggiore efficienza ed imparzialità, e il secondo è l'invocazione del cosiddetto giusto processo di cui all'articolo 111 della Costituzione. È evidente che si tratta di argomenti deboli, strumentali e soprattutto infondati, signor Ministro.

La verità è che la giustizia italiana non soffre della presunta commistione tra giudici e pubblici ministeri. Ve lo abbiamo detto in tutti i modi in questi due giorni, i dati parlano chiaro: meno dell'1 per cento dei magistrati passa da una funzione all'altra nel corso della carriera e dopo la riforma Cartabia la possibilità del passaggio, come sapete molto meglio di me, è stata ulteriormente limitata, al punto che già oggi, per come è fatto il sistema, la separazione funzionale è sostanzialmente acquisita.

Non c'è quindi un'emergenza sotto questo punto di vista e non c'è alcuna invasione di campo che giustifichi una riforma costituzionale così radicale. La verità, purtroppo, è che la destra italiana coltiva da decenni un'ossessione: colpire la magistratura, accusandola di essere politicizzata, solo perché non accetta con muta rassegnazione il fatto che l'investitura popolare attraverso il voto, nella vostra contorta visione della politica, dovrebbe emanciparvi da qualunque sindacato di legalità.

Non servono analisi sofisticate per capire il senso punitivo di questo provvedimento. Eppure, mentre vi accanite con questo totem ideologico, ignorate i problemi veri della giustizia. Le prime udienze al 2030 per il giudice di pace, il processo telematico in balia degli eventi, carceri sovraffollate e fatiscenti, una carenza cronica di magistrati e personale amministrativo, tagli orizzontali di mezzo miliardo di euro introdotti con l'ultima legge di bilancio. Questi sono i drammi quotidiani che vive la giustizia italiana e che la rendono lenta, spesso inefficiente e ingiusta.

Però su questo il Governo ovviamente tace, non c'è nessun intervento strutturale, nessun investimento serio. La vostra risposta è invece separare le carriere, sdoppiare il CSM in due organi distinti, introdurre il sorteggio come criterio di selezione. Mi soffermerei brevemente sul sorteggio. La Corte costituzionale già nel 1971 dichiarò illegittimo un meccanismo simile per selezionare e disciplinare il CSM, eppure voi lo riproponete con una leggerezza, lasciatemi dire, disarmante, per colpire al cuore l'autogoverno della magistratura.

Però, a questo punto, chiamiamo le cose con il loro nome, signor Ministro. Il sorteggio è un modo per minare l'autorevolezza del Consiglio superiore della magistratura e per piegarlo a logiche di controllo politico. Non vi siete accorti che - questo lo chiedo a lei davvero, signor Ministro, che state correndo con leggerezza, sorridendo, verso il rischio di dare vita a una magistratura requirente trasformata in accusatore professionale e sempre più distante dal ruolo di organo di giustizia - con questa riforma voi ridisegnate la figura del pubblico ministero, che non è più un organo di giustizia chiamato anche a valutare diversi elementi favorevoli dell'indagato, ma parte processuale di mestiere, interessata solo ad accusare e a condannare.

Ed è, signor Ministro, un arretramento culturale gigantesco nel nostro Paese quello che state compiendo, gigantesco. In realtà, il timore di tutti è che voi stiate, in questo modo, nascondendo la vera carta, quella che tirerete fuori quando quello che avete creato, il mostro che state creando, vi sfuggirà di mano, cioè sottoporre il PM al controllo del potere esecutivo, questo è l'obiettivo.

Allora, abbiate la decenza di dirlo, abbiate il coraggio di dire qual è l'obiettivo finale di questa riforma. E ditelo adesso! Abbiate il coraggio di dirlo adesso! Liberate il Paese da un dubbio terribile che aleggia su questa riforma e che riecheggia in molti di voi, evidentemente, dei ricordi suggestivi ma che per il resto del Paese sono incubi.

La vostra non è una riforma della giustizia, è una propaganda, è rivalsa, è vendetta ed è, come detto, l'anticamera di un passo che conduce diritto verso l'utilizzo, a fini politici, della magistratura.

Avete ignorato ogni forma di mediazione, non avete accolto nemmeno un emendamento dell'opposizione, avete ridotto il dibattito a una formalità, piegando alla vostra volontà, umiliando il Parlamento.

Voi non cercate soluzioni, voi avete soltanto in mente bandiere da sventolare. Non cercate di rafforzare le istituzioni, ma di piegarle ai vostri interessi.

Non potete smantellare l'unità della giurisdizione che è uno dei pilastri della Costituzione, non potete svilire l'autonomia del CSM sostituita da un sorteggio che ne mina la legittimazione, non potete trasformare il pubblico ministero in un accusatore di professione privo di quella funzione di garanzia che oggi tutela i cittadini.

La giustizia non può essere un terreno di propaganda, non è un campo di battaglia ideologica, è un diritto fondamentale dei cittadini, di tutti i cittadini.

Signor Ministro, signora Sottosegretaria, molti in questo Paese - alcuni in quest'Aula, compreso il sottoscritto - sono testimoni viventi del fatto che le indagini preliminari, nel rapporto fra accusa e difesa, soprattutto sotto il profilo mediatico, spesso siano tremende per la vita delle persone.

Molti in questo Paese - alcuni in quest'Aula, compreso il sottoscritto - sono convinti che i tempi della giustizia non siano compatibili con il diritto di un accusato di vedere accertata la giustizia e di uscire indenne da accuse spesso tremende. Allora discutiamo di questo, discutiamo a mente libera di questo, tutti insieme.

Però molti in questo Paese - alcuni in quest'Aula, compreso il sottoscritto - sono anche testimoni del fatto che il sistema funziona, che per ogni giudice c'è un pubblico ministero e che il rapporto fra requirenti e giudicanti funziona, signor Ministro, e lei lo sa meglio di chiunque altro.

La Costituzione non può essere un fardello da cui liberarci, è la casa comune di tutti - anche la sua, signor Ministro -, è il fatto fondativo della Repubblica, non potete stravolgerla, non la potete stuprare per una battaglia di parte. Questa riforma non migliorerà il diritto dei cittadini, non accorcerà i tempi dei processi, non renderà più efficiente la giustizia; al contrario, la renderà più fragile, più politicizzata, meno indipendente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Gnassi. Ne ha facoltà.

ANDREA GNASSI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Qui siamo di fronte a un ennesimo tentativo di dare un colpo all'assetto istituzionale del Paese nei suoi principi che lo hanno fondato, cioè quelli democratici, quelli della separazione dei poteri.

Vede, Presidente, sono stati detti, anche dai colleghi, e sono stati portati a questa discussione, sorda e vuota, elementi puntuali che avrebbero favorito un passo in avanti nella riforma della giustizia, per accelerare, per qualificare il processo riformatore in generale di cui questo Paese ha bisogno.

I padri costituenti fecero una scelta enorme per il nostro Paese, enorme per il senso costituito poi della democrazia che ci è stata regalata grazie anche al sacrificio della lotta di liberazione. Fecero la scelta, cioè, della divisione dei poteri e la fecero in un contesto di Italia distrutta, massacrata, dopo gli abomini della dittatura nazifascista, dove la magistratura per decenni era stata sottoposta al controllo politico, tra l'altro di una dittatura.

I padri costituenti, alla luce di quello che aveva vissuto il Paese ovvero decenni di magistratura assoggettata alla dittatura - non solo al potere politico, ma al potere politico che si era fatto dittatura - potevano ben scegliere una strada diversa da quella della separazione dei poteri. Potevano avere dei dubbi perché avevano vissuto tra l'altro, non i dubbi, ma le piaghe della dittatura sulla pelle. In qualche modo, in una fase in cui il Paese si riavviava alla democrazia, rispetto alla stessa magistratura - che era inquinata, infiltrata ed era parte di una dittatura - potevano pensare, proprio per quello che aveva vissuto il Paese (ossia decenni di dittatura e di assoggettamento della magistratura alla politica o anche di dittatura che faceva pienamente parte, con la magistratura, di una dittatura allargata), e scegliere anche una fase nella quale poteva essere legittimo “il controllo democratico della magistratura” che ancora doveva uscire da quei decenni di dittatura, ancora portava al suo interno, anche negli organi, negli assetti e persino nelle persone, i segni di come la dittatura incideva sulla magistratura, poiché era un tutt'uno con quella.

Ecco, i padri costituenti scelsero - nonostante avessero vissuto sulla pelle le infamie di quella dittatura che era dentro e con la magistratura - l'autonomia dei poteri. Una scelta straordinaria, lungimirante e coraggiosa, non dico incosciente ma, alla luce di quelli che ancora erano l'assetto e i residui della magistratura italiana che usciva dalla dittatura e con cui evidentemente non aveva fatto pienamente i conti, fecero una scelta straordinaria.

Oggi ci troviamo a discutere di una riforma che è intrisa di derive ideologiche e anche pericolose che ci sono state negli ultimi decenni. Con il disegno di legge costituzionale sulla separazione delle carriere giudicante e requirente il Governo e la maggioranza compiono un passo che sfregerà per sempre quell'equilibrio dei poteri e quell'indipendenza della magistratura nel nostro Paese che i padri costituenti scelsero.

Non si può cambiare la Costituzione? Non si deve riformare l'assetto e l'architettura istituzionale del Paese? Non si deve riformare la magistratura? Certo che sì, ma qui si va a colpire il punto che regge uno Stato democratico, cioè l'equilibrio dei poteri, l'indipendenza dei poteri, anche favorendo nella riforma della giustizia l'uscita - la dico così - da una certa subalternità, la subalternità che la politica ha avuto in questi anni verso la giustizia, proprio perché la politica era degenerata, per rifarsi una coscienza.

Non si può rompere l'equilibrio dei poteri, non si può colpire l'indipendenza dei poteri e lo dico anche perché una politica che si fa non autoritaria, ma autorevole e forte, incide ed entra nella riforma della giustizia, ma senza ledere il principio dell'equilibrio e dell'indipendenza.

Non è un caso che questo dibattito infatti avvenga così, in questa che è un'Aula vuota, un'Aula che non ascolta. Perché il Governo non ha ascoltato nessuno: non ha ascoltato la società civile, non ha ascoltato i professionisti, non ha ascoltato i giuristi, non ha ascoltato il Paese. Il Governo giustifica la riforma con alcuni argomenti: da un lato, l'idea che separare giudici e pubblici ministeri garantirebbe maggiore efficienza ed imparzialità; dall'altro, l'evocazione del cosiddetto giusto processo. Ma davvero credete in queste fragili e deboli argomentazioni quando i problemi della giustizia non solo non sono stati affrontati, ma si tolgono risorse e si toglie la possibilità alla giustizia di procedere mettendo nelle condizioni il cittadino che deve essere giudicato di essere giudicato velocemente? Non avete fatto un passo, non ne avete fatto uno.

Come il collega, chi vi parla, a proposito di “eccessi”, di derive, di problematiche che l'attuale assetto della giustizia può produrre, è stato tra quelli che forse una di queste derive le ha patite. Io ho fatto il sindaco e i sindaci si sono espressi per l'abuso d'ufficio.

Vi abbiamo detto, quando facevate quella “riforma”, tra virgolette, che, andando a vedere nel merito, l'abolizione dell'abuso d'ufficio, se non organica, se non inquadrata in una riforma equilibrata, forte e chirurgica, avrebbe poi potuto causare altri problemi. Guardate che qui non si tratta di un ex sindaco che parla ed evoca il caso di Milano, ma passare dall'abolizione dell'abuso d'ufficio a ipotesi di reato corruttive è segno, sì, di un problema che rimane, ma è segno anche che quella riforma sull'abuso d'ufficio non ha risolto il problema. Allora, questo è un punto su cui ragionare o no? Non sto dicendo che, in virtù dell'abolizione dell'abuso d'ufficio, non si devono vedere alcuni eccessi e alcune derive - poi il dibattimento di Milano produrrà atti e carte, quella è una vicenda che ha un percorso -, non sto dicendo che bisogna per questo giustificare alcune derive nell'interpretazione di altre ipotesi di reato come quelle, appunto, della corruzione. Non sto dicendo questo, ma sto dicendo che, mentre andate a fare la riforma dell'abuso d'ufficio, dovete capire che, se togliete un pezzo, poi ne viene meno un altro se non c'è una riforma organica, perché è quello che sta succedendo.

Chi vi parla ha vissuto una fase dura della propria vita, con i propri familiari, mentre era lì a rispondere da sindaco e la locandina dei giornali tutti i giorni parlava tra l'altro di una vicenda relativa ad una società partecipata in cui il comune aveva una quota di minoranza, una di quelle cose che a spiegarle ex post verrebbe un po' di rabbia, che però è superata dal dolore e dalle ferite. In questo Parlamento, siedono anche persone che, ad esempio, nell'applicazione diretta di alcune dinamiche e di alcune procedure, sanno di che cosa si parla, quando questi processi producono anche delle derive, quando magari si va fuori controllo, ma è l'autorevolezza della politica - e non l'autorità della politica - che interviene con una riforma organica, cosa che voi non fate, perché - come per l'abolizione dell'abuso d'ufficio - aprirete scenari molto più complessi, le cui conseguenze le vedremo forse anche sulla pelle delle persone, come sta anche in qualche modo succedendo. Avete fatto, insomma, una riforma che lavora sulla pancia, sull'onda dell'opinione pubblica, sull'onda di alcune problematiche che ci sono. Avete scelto un metodo che è grave perché mina la fiducia nelle istituzioni quando il Parlamento diventa uno strumento di ratifica, quando non c'è ascolto…

PRESIDENTE. Ha 20 secondi.

ANDREA GNASSI (PD-IDP). …quando la democrazia stessa è impoverita. Guardate, il dibattito parlamentare quando si riforma un Paese - e lo si riforma nelle corde più sensibili come quella della divisione dei poteri, in questo caso della giustizia - non è solo forma, ma è sostanza, perché sostanza è la carne viva dei cittadini su cui le riforme ricadono (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Gnassi.

Ha chiesto di parlare l'onorevole Dori. Ne ha facoltà.

DEVIS DORI (AVS). Grazie, Presidente. Se noi dovessimo chiedere ai nostri cittadini quali sono, secondo loro, i principali nodi della giustizia italiana, sicuramente ci risponderebbero citando i tempi della giustizia, questi incredibili rinvii di udienza che li riguardano, che vanno a incidere sui loro diritti con rinvii di mesi e mesi, a volte anche addirittura di anni, e ovviamente anche il tema dei costi, soprattutto in un'epoca in cui davvero c'è un'inflazione che va chiaramente a incidere anche sul potere d'acquisto delle famiglie e soprattutto, quindi, il tema legato ai costi del gratuito patrocinio, con una maggiore ampiezza della fascia di reddito che dà diritto al gratuito patrocinio, mentre invece conosciamo anche le grandi ritrosie da parte del Ministero dell'Economia e delle finanze. Ricordo un paio d'anni fa una lotta che ho fatto proprio per l'aggiornamento di quei parametri e anche la grande resistenza da parte del Ministero dell'Economia e delle finanze rispetto a questi aggiornamenti che invece devono essere per legge periodici. Quindi, tempi e costi per i cittadini. Noi invece, come opposizione, è da anni che ci battiamo, ad esempio, sul tema delle assunzioni e della stabilizzazione del personale amministrativo, personale che è assolutamente fondamentale per far funzionare quella macchina che, se non ha le ruote, può essere anche la miglior auto possibile ma questa non si muove. Quindi, le assunzioni e una vera digitalizzazione della giustizia, che renderebbe davvero tutto più semplice, ma alla prova dei fatti c'è un processo telematico che spesso, ad esempio, si blocca e rende difficile e ostacola il deposito degli atti da parte degli avvocati. Poi, c'è tutto il tema, che non stiamo neanche qui ad aprire, delle carceri. Questi sono i problemi per i cittadini e per l'opposizione. Invece, qual è il principale problema della giustizia secondo questa maggioranza e secondo il Governo? I magistrati.

È paradossale: i magistrati, che esercitano in nome del popolo italiano e in forza della legge e della Costituzione la giustizia, sono, per questo Governo, un problema, un problema da affrontare. Qui come viene affrontato? Pensando, appunto, che la risoluzione dei problemi sia la separazione delle carriere, quando invece è soltanto un gioco di natura politica a spese della Costituzione. Io, anzitutto, premetto che è fondamentale che una riforma costituzionale necessariamente preveda una condivisione con le opposizioni. Non si può pensare di modificare la Costituzione a colpi di maggioranza, anche qualora fosse davvero la battaglia delle battaglie di quello schieramento politico. Bisogna provare una condivisione. Invece, abbiamo visto un totale disinteresse, anche nei confronti degli emendamenti. Lo dico nuovamente: come Alleanza Verdi e Sinistra, non avevamo una preclusione ideologica assoluta rispetto al tema della separazione, non quella delle carriere, a nostro parere, ma a rendere definitiva e rigorosa la separazione delle funzioni, che già oggi è limitata, di fatto, nei numeri, che poi citerò. Si poteva a quel punto, sì, renderla davvero definitiva senza toccare la Costituzione, semplicemente incidendo sulla legge.

Quindi, da questo punto di vista, invece, è evidente che il Governo ha un obiettivo, quello di andare a ledere l'indipendenza della magistratura, in particolare da parte dell'Esecutivo, e anche dividere quel principio importante dell'unitarietà della magistratura. Quindi, un PM su cui, nonostante le rassicurazioni della maggioranza, c'è come intendimento quello di renderlo sempre più sottoposto all'azione del Governo, quindi perdendo quella natura giurisdizionale che invece gli è propria per Costituzione.

Questa riforma, quindi, è il tentativo di ridefinire i rapporti fra i poteri dello Stato in termini distanti dall'assetto del potere giudiziario che era stato immaginato dai nostri padri costituenti e, soprattutto, da un principio, che non ci siamo inventati noi, non l'abbiamo inventato in Italia, che è quello della separazione dei poteri. La separazione delle carriere è evidente che è meramente un'etichetta che viene apposta a una merce che, però, è molto differente da quello che si cerca di dimostrare, perché è stato tutto accompagnato da molte dichiarazioni - le abbiamo sentite anche ieri in Aula da parte di membri di maggioranza - su come, in realtà, si cerca davvero di colpire l'obiettivo, con una sorta di rancore storico-politico nei confronti della magistratura. Soprattutto, la cosa incredibile che viene spesso citata anche dalla maggioranza come emblema, quasi come simbolo dell'intera magistratura, è il caso Palamara, quando, invece, noi qui in Aula, in Parlamento, dovremmo avere il dovere di riportare e ricordare i nomi di quei giudici, di quei magistrati che hanno dato la vita per lo Stato. Quelli devono essere i nostri punti di riferimento. Invece, da quel punto di vista, pur di delegittimare la magistratura si fa riferimento a un caso che, oggettivamente, non ha reso onore alla magistratura stessa, ma, allo stesso tempo, non per questo si va a incidere sui principi costituzionali.

Quindi, nonostante le rassicurazioni del Ministro Nordio - che purtroppo non è ora qui in Aula e che abbiamo visto cambiare spesso idea su vari temi -, la separazione delle carriere, così come la costituzione dell'Alta Corte e la costituzione dei due CSM, apre oggettivamente la porta al tema della responsabilità del pubblico ministero rispetto al potere esecutivo.

Come ho detto già anche ieri in quest'Aula, la nostra preoccupazione è concreta rispetto al fatto che questo sia soltanto il primo step rispetto a un disegno più ampio, quello di arrivare in prospettiva all'abrogazione di un principio cardine contenuto nell'articolo 112 della Costituzione, quale quello dell'obbligatorietà dell'azione penale. Quindi, è evidente che con questa riforma ci sia solo l'obiettivo di punire - quindi con un intento punitivo, non si sa per quale motivo - la magistratura. E non siamo riusciti nemmeno a entrare nel merito, durante i lavori parlamentari, in tutte le varie letture, proprio perché non c'era disponibilità da parte della maggioranza di parlarne.

Sfatiamo, oltretutto, anche un mito attorno al quale questa riforma ruota, devo dirlo con rammarico, anche a volte alimentato da una parte dell'avvocatura, cioè che la separazione delle magistrature potrebbe - così dicono - contribuire all'effettiva parità di accusa e difesa nel processo. Ma non c'entra assolutamente nulla il tema della parità tra accusa e difesa con questa separazione, con questa riforma. Perché, se si vuole - e noi la vogliamo, e penso e spero tutti - l'effettiva parità tra accusa e difesa, serve ben altro.

Questa parità accusa-difesa dipende, infatti, da dinamiche interne al processo e al procedimento: dalla disciplina della competenza, dal sistema delle incompatibilità, dall'effettività del contraddittorio, dalla qualità della motivazione, dall'effettività dei controlli in sede di impugnazione. Insomma, tutti aspetti che, ovviamente, non potevano essere toccati da questa riforma. Però, allora, non mettiamo qui delle giustificazioni e delle motivazioni che non riguardano per nulla questa riforma.

Come dicevo, la questione dei passaggi da una funzione inquirente e requirente a giudicante già oggi, nei fatti, è veramente limitata. I casi sono rari, anche all'esito della riforma Cartabia. Su quello noi avremmo tranquillamente, come Alleanza Verdi e Sinistra, ragionato anche sull'eliminazione della possibilità definitiva dei passaggi, perché, se andiamo a vedere i numeri, ad esempio nel 2019 sono stati soltanto 5 i magistrati giudicanti trasferiti al ruolo di inquirenti, mentre 19 PM sono diventati giudici. Nel 2020 sono stati 10 i magistrati giudicanti che si sono trasferiti al ruolo di inquirenti, mentre 15 sono diventati giudici. Insomma, stiamo parlando in media di una trentina di magistrati, più o meno una metà da una parte e dall'altra, che passano da una funzione all'altra.

Quindi, davvero stravolgiamo e andiamo a incidere su 7 articoli della Costituzione in questo modo? Per questi tutti questi motivi, come Alleanza Verdi e Sinistra, voteremo convintamente contro questa riforma costituzionale.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Quartapelle Procopio. Ne ha facoltà.

LIA QUARTAPELLE PROCOPIO (PD-IDP). Grazie mille, Presidente. Oggi, nonostante il vuoto dell'Aula e la distrazione dei colleghi di maggioranza, è una discussione solenne, perché non discutiamo di una legge ordinaria, ma di una riforma costituzionale, che ha al centro gli equilibri dei poteri della nostra Repubblica. Quando si parla di magistratura, si parla anche del cuore stesso della democrazia parlamentare italiana. Il centrodestra ha sempre fatto della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri un cavallo di battaglia e l'ha presentata come un atto di modernizzazione.

Sappiamo bene, però, che non è semplicemente una questione di procedure burocratiche, di ridefinizione di organigrammi o di rapporti all'interno di un corpo dello Stato. Qui si interviene sull'architettura dei poteri dello Stato, su un pilastro che garantisce l'equilibrio tra legalità e politica. Non possiamo dimenticare che, guardando al panorama internazionale, sono stati tanti i Governi che negli ultimi anni hanno intrapreso la strada dell'autoritarismo, cominciando proprio dalla giustizia.

Io non voglio in nessun modo dire che la maggioranza voglia replicare questi modelli, ma vorrei che la maggioranza si rendesse conto che, quando si tocca la materia della giustizia, si sta maneggiando un materiale delicatissimo. E se lo si fa senza nessun tipo di condivisione - lo hanno detto tanti colleghi, lo ripeto anch'io -, forzando la discussione parlamentare con una seduta fiume in un caso come quello che discutiamo alla Camera, dove non ci sono emendamenti, non sono stati accettati emendamenti, quindi forzando anche solo la discussione parlamentare per fare in fretta perché ci sono altri impegni, è proprio il segno di un rischio che si corre.

Quando si fa una cosa di questo tipo proprio su una materia come la giustizia, il segnale che si dà è un brutto segnale. Vorrei semplicemente ricordare altri Paesi in cui si è proceduto con forza, con arroganza, a modificare la giustizia: in Polonia il Paese è diviso dopo che il Governo precedente ha modificato con la forza la composizione del Consiglio nazionale della magistratura, rendendolo dipendente dal Parlamento, e ha istituito camere disciplinari per punire i giudici scomodi.

Non c'è bisogno, dopo l'intervento della capogruppo Chiara Braga sulle dolorosissime vicende di Gaza, di ricordare come Israele sia un Paese che è proprio attraversato da una grandissima inquietudine collegata a tante questioni legate alla sicurezza di quello Stato, ma anche alle vicende di una riforma giudiziaria non condivisa con l'opposizione e con una grandissima parte del Paese. Non c'è neanche bisogno di spiegare cosa è successo in Turchia, dove i rapporti conflittuali tra Governo e magistratura sono sempre stati all'ordine del giorno.

Per concludere, vorrei ricordare come in Ungheria le riforme del Governo Orban hanno centralizzato il controllo sulla nomina dei giudici, accentrando nel potere esecutivo leve decisive per la carriera dei magistrati. Sono quattro casi diversi, ma che hanno un filo rosso in comune drammatico, soprattutto in un'epoca come quella in cui viviamo. Ho dimenticato di citare il caso del braccio di ferro tra la Presidenza americana e i giudici, che è uno di quei segnali che tanti osservatori negli Stati Uniti considerano essere un segnale di una rapida discesa di quel grande Paese, faro della democrazia, verso l'autoritarismo.

Sono tutti casi diversi che hanno un filo comune, cioè la riduzione degli spazi di autonomia della giurisdizione per rafforzare il controllo politico. Lo ribadisco, non voglio fare paralleli impropri, ma voglio semplicemente sottolineare quanto questa materia sia incandescente e quanto il modo sia prepotente, senza ascolto, lo citava la collega Boschi in altre occasioni. Non si è neanche pensato di inserire un emendamento che riguardava la parità di genere.

Il Governo ha proceduto in forma solipsistica, senza attenzione per nessun tipo di suggerimento su questa riforma. Questo non è il modo in cui si fa una riforma costituzionale, anche perché la nostra Costituzione ha voluto un pubblico ministero indipendente e vicino al giudice non per un privilegio corporativo, ma per garantire l'azione penale. Spezzare quel legame significa rischiare di esporre i pubblici ministeri a due derive opposte: da un lato, la vulnerabilità a pressioni esterne; dall'altro, e lo spiegava molto bene l'onorevole Schlein nel suo intervento di questa mattina, l'eccesso di autonomia crea il pericolo di un quarto potere senza contrappesi.

Mi rivolgo alla Sottosegretaria Siracusano: io non vorrei che questa riforma, che viene da lontano e che è stata discussa tante volte in quest'Aula, tante volte tra i cittadini, crei un problema maggiore di quello che voi pensate di risolvere. Non è un parere solo mio, è un parere di tanti giuristi e osservatori, molto autorevoli, che vedono nella separazione rigida delle carriere il rischio di isolare la procura, fino a renderla un attore istituzionale con poteri fortissimi, ma con controlli insufficienti. Prima il collega Gnassi ha ricordato vari casi di abusi del potere della procura.

È questo quello che voi volete ottenere? Un rischio reale di mancato controllo? Non state forse spingendo troppo l'acceleratore per portare uno scalpo alla discussione pubblica, per uno scambio tra le forze di maggioranza, per il simbolo che questa riforma costituisce, che però produrrà un risultato molto peggiore delle vostre intenzioni?

Io ve lo chiedo: qual è la necessità di una riforma così radicale, così radicale nella forma, ma così poco sostanziale? I cittadini - e lo hanno detto tantissimi colleghi - quello che ci chiedono sono processi più rapidi, pene certe, accesso agevole alla giustizia. Questa riforma non risponde a nessun tipo di queste priorità. E vorrei richiamare un precedente: le riforme sulla giustizia si possono fare insieme; lo abbiamo fatto, certo non con tutto il Parlamento, ma lo abbiamo fatto nella scorsa legislatura, varando la riforma Cartabia. Non è stato un testo condiviso da tutti, non tutti l'hanno votato, ma quella riforma nacque da un metodo inclusivo e da un confronto serio e aperto, ed è quella condivisione che ne ha dato la reale legittimità.

Questa, invece, è una riforma calata dall'alto, imposta con i numeri e anche con un po' di arroganza da parte della maggioranza, senza nessun tipo di confronto con l'opposizione, né con la magistratura, né con la società civile. Voi potrete approvare la riforma, ma resterà monca della legittimazione più alta, quella che in democrazia nasce dalla condivisione. Abbiamo discusso molto in altre sedi del linguaggio d'odio, della polarizzazione, della contrapposizione: quando si tocca la Costituzione, si dovrebbe avere la capacità di provare a lavorare insieme, almeno provare, magari poi non ci si riesce; quando poi non ci si riesce - a noi è capitato - mal ce ne ha incolto, perché poi c'è il referendum e dopo c'è una valanga di questioni che emergono. Ma stiamo toccando la Costituzione e la Costituzione non è un terreno di conquista, non è una bandiera di parte, sono le regole comuni che tengono insieme il sistema. E noi sappiamo quanto i sistemi sono fragili, soprattutto in un momento come questo, come sono esposti a tensioni sempre maggiori e sempre crescenti. Chi mette mano alla nostra casa comune senza il parere di tutti quelli che ci abitano non la ristruttura, la devasta e gli effetti resteranno, anche qui, anche dopo.

Per questo io davvero rivolgo alla Sottosegretaria, che so condividere i toni, e a tutti voi un invito alla prudenza, alla misura e alla responsabilità: non serve fare della giustizia una prova di forza politica. Il muro contro muro su questa materia, che è una materia costituzionale, non serve, fa male a tutti, a partire da chi la promuove.

PRESIDENTE. Trenta secondi.

LIA QUARTAPELLE PROCOPIO (PD-IDP). Cercate il dialogo, cercate il consenso; solo così una riforma può davvero rafforzare la democrazia. E questo, in un tempo in cui le democrazie sono in difficoltà, dovrebbe essere lo sforzo che tutti facciamo: di ascoltarci e, sulle cose fondamentali che ci tengono insieme, di procedere insieme.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole D'Alessio. Ne ha facoltà.

ANTONIO D'ALESSIO (AZ-PER-RE). Grazie, Presidente. Noi voteremo favorevolmente il provvedimento, ma, lo ribadiamo anche in questa sede, il nostro è un “sì” che abbiamo definito “stentato”, un po' amaro, soprattutto per la metodologia, per il percorso che ha portato poi in Aula il provvedimento stesso. Siamo favorevoli nel merito, perché secondo noi, finché c'è l'obbligatorietà dell'azione penale - e su questo principio avremmo fatto le barricate, se si fosse messo in discussione, e le faremo se dovesse essere messo in discussione, ma il Ministro Nordio, tutto il Governo e la maggioranza hanno dato ampie rassicurazioni, ma su questo ovviamente, ripeto, non transigeremmo -, non c'è una sottoposizione della pubblica accusa al Ministero; c'è poco da fare, è quello il punto sul quale forse si parla fin troppo poco. Qualcuno dice: è una fase preparatoria. Io mi auguro proprio di no. Naturalmente, lo ripeto, faremmo le barricate in questo senso, perché non vogliamo assolutamente che vengano minate l'indipendenza e l'autonomia della magistratura e dei pubblici ministeri, ma semplicemente riequilibrato l'equilibrio processuale tra le parti, che devono avere un giudicante e devono confrontarsi sulle singole tesi. Non dimentichiamo che la classe forense, nella sua quasi totalità, l'ha chiesto a gran voce. Noi abbiamo recepito, abbiamo ascoltato, abbiamo raccolto questa voce della necessità di un riequilibrio che all'interno del processo penale andava realizzato.

Intanto, il dibattito su questi temi dovrebbe essere molto, molto più sereno, ci si dovrebbe confrontare nel rispetto della diversità delle idee, nel rispetto della diversità delle idee politiche, ma anche della diversità delle idee tecniche, su come andare ad incidere sul processo penale e sui vari aspetti processuali, su una eventuale riforma della magistratura. Invece c'è un clima avvelenato, su un tema che dovrebbe essere - ripeto - sereno, che postulerebbe, invece, la necessità di un confronto molto equilibrato e anche molto rispettoso delle idee degli altri. Certo, l'atteggiamento di alcuni membri del Governo non aiuta, non ha aiutato, mi riferisco in particolare al Ministro Salvini; sono stati, a tratti, addirittura imbarazzanti. Così come, per la verità, anche dalle opposizioni a volte ascoltiamo parole piene di astio, che a noi non piacciono e che creano un clima poco sereno, un clima di scontro, un clima di scontro istituzionale di cui non abbiamo proprio bisogno.

È possibile che si possa proseguire così? Cioè, chi chiede delle garanzie processuali in un un'ottica di riequilibrio viene, sostanzialmente, tacciato di voler annientare l'autonomia della magistratura o, addirittura, di essere spalleggiatori della mafia. È follia solo immaginare questo tipo di approccio metodologico a un dibattito di questo tipo. Così come chi, per la verità, teme per la mancanza, in prospettiva, di autonomia e di indipendenza della magistratura, viene considerato amico dei PM o giustizialista. Non è questo il clima nel quale si può affrontare un dibattito sull'efficienza della giustizia, sull'efficienza e sull'equilibrio del processo penale.

Tra l'altro, all'interno delle opposizioni ho ascoltato parole che vanno anche in distonia tra loro: c'è chi dice “stiamo dando troppo potere ai PM”; chi dice “no, stiamo svuotando completamente i PM”. Quindi, vuol dire che c'era necessità di momenti di riflessione. Ho riletto anche le parole di Falcone - per la verità io non le conoscevo - che, invece, era favorevole alla separazione delle carriere, naturalmente con determinate garanzie, con determinati passi.

Sotto questo profilo, l'atteggiamento del Governo di chiusura totale non ci è piaciuto. Signor Sottosegretario, non si può non riconoscere a un Parlamento la giusta considerazione, la centralità del dibattito. Qui, invece, è stato frustrante: come già in prima lettura, si è parlato di testo blindato e questo è stato uno schiaffo al Parlamento. Abbiamo letto parole del Ministro, che diceva di non poterlo toccare altrimenti alteriamo gli equilibri. E il Parlamento? E il dibattito in Parlamento? E la centralità del Parlamento? E la possibilità di contribuire a una riforma non soltanto da parte delle opposizioni, che fanno l'opposizione, ma anche da parte di chi questa riforma la voleva, ma la voleva, probabilmente, con qualche riflessione in più? È mortificante. Mortificante come il Parlamento si riduca a certificatore formale delle riforme: non è una polemica che facciamo con riferimento a questo provvedimento, ma è un modus operandi che, ovviamente, ci vede assolutamente contrariati e che sta svilendo il ruolo del Parlamento.

Nel merito - ripeto -, noi siamo a favore della separazione delle carriere, perché finché regge - ed è un presidio assolutamente inattaccabile - l'obbligatorietà dell'azione penale non vediamo pericoli. Ripeto ancora una volta: il Ministro Nordio ci ha rassicurato, ma su questo siamo pronti anche noi, assieme alle opposizioni, a fare le barricate, laddove solo si dovesse mettere in discussione l'obbligatorietà dell'azione penale. È semplicemente una carriera altra, che si verifica come si verifica quella dell'Avvocatura dello Stato nel processo civile, che è una categoria assolutamente prestigiosa, importante, preparata, rappresentativa, che rappresenta lo Stato nel processo civile contro l'avvocato del libero foro e, poi, c'è un giudice che decide. Naturalmente, però - lo ripeto per l'ennesima volta -, non bisogna assolutamente toccare l'obbligatorietà dell'azione penale.

Ci sono poi delle cose, per la verità, che non ci piacciono nella riforma, che non ci persuadono. A me, personalmente, il meccanismo del sorteggio non mi rassicura affatto: c'era necessità di un confronto maggiore. Probabilmente non è il modo più giusto rispetto a un problema, però, che non possiamo fingere che non ci sia stato, perché poi, come nel discorso Palamara, facciamo finta che tutto ha funzionato molto bene e che c'è un attacco agli equilibri, ma non è così. C'è stato un problema, che però andava affrontato in una maniera diversa; a noi non è piaciuto il metodo attraverso il quale il Governo è arrivato a una blindatura - tra virgolette - di un testo che andava invece discusso e condiviso in un'altra maniera. Ripeto, non risolve il problema della giustizia, però, tutto sommato, c'è la necessità di recuperare un dibattito, la centralità del Parlamento, ma su questo provvedimento, finché - ripeto - regge l'obbligatorietà dell'azione penale, non vediamo rischi. Ovviamente, c'è la mortificazione del ruolo del Parlamento per l'ennesima volta. Ci auguriamo che anche in seguito non si verifichi più questa forma di mortificazione. Quindi noi voteremo “sì”. Il nostro è un “sì” stentato, è un “sì” pieno di insicurezze sotto il profilo dell'obbligatorietà dell'azione penale, ma saremo anche noi a presidio di essa (Applausi dei deputati del gruppo Azione-Popolari Europeisti Riformatori-Renew Europe).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Casu. Ne ha facoltà.

ANDREA CASU (PD-IDP). Grazie, Presidente. Durante questa lunga notte, durante questa giornata, durante queste ore, tante sono le argomentazioni che abbiamo ascoltato in quest'Aula, tante sono le motivazioni e le idee, anche diverse, differenti, su cui ci siamo confrontati. Però c'è un aspetto che spero ci possa vedere uniti in quest'Aula, in questo momento, a quest'ora, dopo tutte queste ore di lavoro: io penso che dobbiamo tutti ringraziare fortemente le funzionarie e i funzionari della Camera, tutto il personale dipendente, le donne e gli uomini che, con il loro lavoro - un lavoro che non ha avuto sosta durante questa notte -, ci hanno consentito di svolgere quella che è la nostra funzione parlamentare.

Ora, io non voglio entrare nelle polemiche; voglio dire però il senso, dal mio punto di vista, dal nostro punto di vista, dell'importanza di questo passaggio, che è il motivo per cui oltre cinquanta parlamentari del gruppo del Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista sono già intervenuti per ribadire il nostro forte, secco e determinato “no” a questa proposta, a questa modifica della Costituzione. Noi pensiamo che sia veramente pericolosa la direzione verso cui si sta avventurando questo Governo e, badate bene, non è il tema della separazione delle carriere. Noi sul tema della separazione delle carriere ci siamo anche confrontati nella scorsa legislatura: la riforma Cartabia è intervenuta; le “porte girevoli” non esistono già più nel momento in cui è possibile un unico passaggio, nei primi dieci anni, tra funzione requirente e funzione giudicante (nei primi dieci anni e, poi, nessun'altra possibilità di passaggio). I numeri minimi che ci sono stati dimostrano come la separazione delle carriere ci sia già nei fatti nel nostro sistema, così come la separazione delle funzioni, che sono funzioni distinte e distanti e che è giusto che mantengano funzioni diverse. Qui noi abbiamo un attacco a quella che è la separazione dei poteri, che viene portato avanti con un metodo che è molto pericoloso.

Non può non essere osservato con attenzione il fatto che noi ci ritroviamo per la prima volta una riforma costituzionale che arriva all'esito finale, agli ultimi passaggi parlamentari, senza un reale dibattito, con esclusione delle poche battute che abbiamo ascoltato in quest'Aula negli ultimi interventi della maggioranza; che non è stata modificata in alcun modo, addirittura - questo l'aspetto che abbiamo appreso e che non può e non deve assolutamente diventare precedente - con una pretesa della maggioranza di avere anche il diritto di poterla votare ad ora certa; cioè di poter sapere che l'attenzione che viene destinata a un passaggio così importante, a una modifica che va a toccare la nostra Costituzione, della maggioranza, che decide di procedere in questa direzione, debba essere concentrata in un orario definito. E, anzi, per questo abbiamo assistito a una forzatura, perché, veramente, chiamare e invocare la fiducia nella giornata di ieri, quando avremmo potuto tranquillamente portare avanti il nostro dibattito, senza, tra l'altro, chiedere lo sforzo che abbiamo chiesto alle persone che hanno dovuto lavorare durante questa notte, ci avrebbe consentito comunque di terminarla nei tempi che erano stati indicati, perché il nostro obiettivo era ed è sempre stato quello di rappresentare le posizioni, non quello di fare ostruzionismo, quello di alzare la nostra voce. Quindi, da questo punto di vista, noi siamo molto preoccupati.

Per quanto riguarda poi il modo in cui siamo arrivati alla discussione di oggi, io penso che ci sia un segnale che, personalmente, considero importante. Noi, ieri mattina, insieme all'onorevole Sarracino, eravamo in piazza Capranica al fianco di 12.000 lavoratrici e lavoratori precari del PNRR della giustizia, che avevano aderito allo sciopero promosso dalla Funzione Pubblica CGIL a Roma e in tutta Italia, per chiedere la stabilizzazione e il riconoscimento delle professionalità anche del personale già di ruolo del Ministero della Giustizia. Ecco, noi stavamo per entrare in questo momento decisivo della discussione e fuori da quest'Aula bussavano alle porte del Parlamento 1.200 ragazze e ragazzi già immediatamente impegnati per far funzionare meglio la giustizia, che hanno fatto un'esperienza, che sono pronti a dare un contributo, che danno già quotidianamente un contributo indispensabile. E sarebbe stato bello portare le loro istanze, portare le loro inquietudini, le loro preoccupazioni, il loro futuro e il contributo che vogliono dare in quest'Aula. Affrontare il tema delle tante questioni di cui ci dobbiamo occupare per far funzionare meglio la nostra giustizia, per far durare di meno i processi e per dotare i nostri tribunali e non solo di quelle figure professionali, perché tanti passaggi camminano sulle gambe delle donne e degli uomini che li devono portare avanti. Noi da questo punto di vista possiamo e dobbiamo fare di più. E, invece, questa occasione è stata persa.

Noi abbiamo cercato in tutti i passaggi di richiamare l'attenzione del Governo su quelle che sono le vere priorità che dovevano essere affrontate e abbiamo trovato un muro, un muro invalicabile, perché l'obiettivo era un altro: era di portare a compimento un patto che tiene insieme le forze di maggioranza e che prevedeva il raggiungimento di questa bandierina. Ma è una bandierina che viene conficcata nel corpo vivo del Paese e che non produce risultati positivi, se non quello di consentire ad alcuni parlamentari di poter rivendicare una vittoria. Ma quella che avremmo dovuto, invece, rivendicare è una vittoria collettiva su un tema su cui non ci dovrebbero essere divisioni, ma ci dovrebbe essere anzi la necessità di costruire punti di incontro e di confronto.

Per questo cercherò di inserire in questa discussione come, a mio avviso, questo dibattito, questa scelta, queste modifiche alla Costituzione, siano profondamente intrecciati a un altro dibattito, a un altro confronto, che stiamo vedendo portare avanti dal Governo e su cui richiamo l'attenzione della Sottosegretaria presente. Avrei voluto poter richiamare l'attenzione del Ministro, ma sono sicuro che, per suo tramite, sarà possibile portare anche all'attenzione del Ministro Nordio questa preoccupazione. Noi abbiamo sentito e assistito a voci autorevoli del Governo da più parti invocare la necessità di poter controllare quelle che sono le applicazioni di messaggistica che offrono la crittografia end-to-end. Ora, oggi, noi tutti facciamo passare le nostre comunicazioni attraverso dei sistemi sapendo che, attraverso delle chiavi crittografiche, queste comunicazioni sono protette. Non succede solo in Italia, succede nel mondo. È una tecnologia chiaramente avanzata e che, chiaramente, garantisce la segretezza delle nostre conversazioni e delle nostre comunicazioni. È chiaro che c'è un tema di come intervenire, ma ci sono strumenti adeguati laddove è necessario, nelle more di quelle che sono le prerogative dell'autorità giudiziaria di conoscere, poi, il contenuto di queste conversazioni.

Ma l'idea che qualcuno sta cercando di portare avanti al Governo è quella di poter seguire una strada, che è la strada che altri Paesi hanno cercato di portare avanti. Recentemente, la Convenzione europea dei diritti dell'uomo ha esplicitamente sanzionato la Russia per la sua normativa anti-crittografia.

Quindi, l'idea di prevedere la necessità, per operare nel nostro Paese, di donare e di rendere disponibile una chiave di tutte le comunicazioni crittografiche, che possa essere poi immediatamente azionabile per conoscere il contenuto di quelle conversazioni, produce un effetto pericolosissimo perché una volta creata una chiave se ne possono creare cento. Una volta rotto il vincolo della crittografia end-to-end o, come è successo in altri Paesi, i principali operatori decidono di lasciare il Paese, di sospendere la crittografia end-to-end, esponendo tutte le comunicazioni dell'intero Paese non solo alla possibilità di legittimi interventi dell'autorità giudiziaria, ma anche alla possibilità di essere ancora più esposti agli attacchi informatici, agli attacchi hacker e a qualunque tentativo di intrusione nelle conversazioni di tutti noi; oppure - ancora peggio - ci ritroveremmo nella condizione in cui, di fatto, non avremo più accessibili questi servizi e ci ritroveremo nel nostro Paese a non poterne godere. E tranquillamente fare in modo, avendo reso vietata questa tecnologia, che chi vorrà aggirare questo sistema troverà strumenti illegali per continuare comunque a comunicare attraverso una crittografia end-to-end. Avremo semplicemente negato la possibilità a tutti quanti i cittadini.

E da questo punto di vista, in occasione del confronto parlamentare sulla cybersicurezza, avevamo posto il tema di vietare esplicitamente, con la legge n. 90 del 2024, l'inserimento nei sistemi delle backdoor. Lo avevamo fatto per tante ragioni: per tutelare la segretezza delle comunicazioni legittime dei cittadini e delle cittadine, ma anche per tutelare quelle imprese che anche nel nostro Paese stanno, con coraggio, cercando di affermare e di ottenere una parità regolatoria con le aziende extra UE e produrre prodotti di eccellenza. Ecco, da questo punto di vista siamo molto, molto preoccupati. Ecco, non vorremmo che il disegno complessivo di questo Governo, questa separazione dei poteri che viene infranta, questa volontà di mettere la magistratura sotto il controllo politico, parallelamente a una scelta politica molto pericolosa, cioè, quella di far (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Sarracino. Ne ha facoltà.

MARCO SARRACINO (PD-IDP). La ringrazio, signor Presidente. Continuo l'intervento di Casu, se il collega è d'accordo, a questo punto. Però, Presidente, cosa abbiamo imparato - questo stava per dire l'onorevole Casu - in questi giorni? Abbiamo imparato, evidentemente, che la colpa per questo Governo è sempre di qualcun altro. Come lo abbiamo visto? Lo abbiamo visto in queste settimane, in questi giorni, dove, a fronte di tutto quello che si stava verificando in Parlamento e nel Paese, il Governo non sapeva muoversi diversamente dal trasformare in una rissa quotidiana le grandi questioni che, purtroppo, stanno avvenendo nel mondo e si stanno verificando anche in Parlamento.

Qui si sta discutendo di una modifica costituzionale. E allora a cosa abbiamo assistito e a cosa stiamo assistendo? Stiamo assistendo a una delegittimazione continua delle opposizioni, con questa scena che ci si presenta davanti oggi in Aula: ringraziamo, ovviamente, la Sottosegretaria per essere qui, ma ci stiamo rivolgendo ad un'Aula che, nei fatti, è vuota. E stiamo assistendo ad un'assunzione, nei fatti, attraverso una modifica costituzionale, con una ricerca, che viene anche da lontano, da precedenti legislature, dei pieni poteri di fronte alle questioni che non si modificano purtroppo nel Paese.

Perché la crisi economica è sotto gli occhi di tutti quanti e allora si ricercano i pieni poteri. Si accusa e ce la si prende sempre con chi è più povero e con chi fugge da guerre e povertà per venire nel nostro Paese. Ma i fatti - anche i fatti che vediamo qui stamattina - sono molto più forti della propaganda della destra.

E allora, Presidente, questo dibattito che affrontiamo qui oggi, che stiamo affrontando da ieri, non riguarda soltanto, noi crediamo, una riforma tecnica, ma, a nostro avviso, la difesa stessa della legalità e della giustizia nel nostro Paese. Perché, quando si attacca la magistratura, non si attacca soltanto un corpo di professionisti, si attacca la legalità stessa, la fiducia dei cittadini, il rispetto della Costituzione. E questo testo di riforma, così come è stato impostato, ha un impatto diretto sull'autonomia proprio della magistratura, come è stato raccontato dai miei colleghi.

La magistratura non è un organo politico, è il pilastro su cui si fonda la garanzia dei diritti, la tutela della libertà, la correttezza delle istituzioni. Qualsiasi intervento volto a indebolirla significa, per quel che ci riguarda, minare le garanzie fondamentali dello Stato democratico e le modifiche proposte rischiano di trasformare il giudice e il PM in strumenti subordinati a logiche politiche e amministrative; questo non è solo un pericolo teorico, è una minaccia concreta alla legalità, perché una magistratura indebolita sotto pressione politica non può garantire equità, non può garantire imparzialità, non può garantire il rispetto delle leggi. Basti considerare come le regole sulla selezione del CSM, sui sorteggi e sui test psicoattitudinali invece di rafforzare la magistratura possano insinuare sfiducia nei cittadini e anche, io credo, tra i magistrati. Una magistratura debole significa anticorpi indeboliti contro la corruzione, significa indebolire la magistratura contro la criminalità organizzata, contro i reati più gravi che minacciano il Paese ogni giorno, cosa di cui il Governo purtroppo, evidentemente, non si vuole occupare.

Noi non possiamo ignorare che una giustizia forte è il fondamento dello Stato di diritto. Ogni attacco alla magistratura, anche se camuffato da una riforma tecnica, come la si spaccia in questi giorni, è un attacco anche alla legalità e oggi con questa riforma assistiamo al tentativo di subordinare la magistratura al potere politico, ridurre l'indipendenza dei magistrati e limitare i controlli democratici. Inoltre, l'assenza di dialogo e confronto con gli operatori della giustizia dimostra la gravità di questa impostazione. La politica non può ignorare l'esperienza di chi ogni giorno lavora per garantire la legalità, perché l'indipendenza della magistratura, Presidente, è una garanzia per tutti i cittadini, non un privilegio per pochi e, a proposito di personale che garantisce che i processi funzionino o che i tempi vengano rispettati o accorciati, ieri io e il collega Casu siamo andati a incontrare propri i precari della giustizia che in tutta Italia hanno manifestato: sono stati assunti con il PNRR; vorrebbero vedere una continuità nel proprio lavoro e, invece, dal Governo anche su questo non riceviamo alcuna risposta.

E, allora, Presidente, questa riforma, se approvata così com'è, rischia di creare un precedente molto pericoloso: una magistratura subordinata al potere politico significa cittadini privi di protezione, significa che la legge non è più uguale per tutti. Noi dobbiamo fermare questo percorso, stiamo provando a farlo anche oggi, qui in Parlamento, e difendere la magistratura, perché significa difendere la legalità e difendere la Costituzione. Perciò, vede, lo dico anche al Ministro - che sono contento sia arrivato -, il nostro intervento non è soltanto critico, è un intervento difensivo - è un intervento difensivo - in difesa della legalità, in difesa dei cittadini nel nostro Paese, in difesa dello Stato democratico. Non possiamo e non vogliamo accettare riforme che indeboliscano l'autonomia della magistratura, perché noi riteniamo appunto che la giustizia non sia terreno di propaganda, come si sta facendo, purtroppo, in questi tre anni di Governo Meloni, ma il pilastro su cui poggia la nostra democrazia.

E, allora, Presidente - e vado a concludere -, assistiamo, da tre anni, a un tentativo di ribaltamento dei poteri dello Stato e lo vediamo con le tre riforme che voi avete messo in campo o state provando a mettere in campo, che sono, in qualche modo, l'atto fondativo di questo Governo, ma anche, come è stato spiegato da altri, l'unico collante che vi tiene insieme; anche se su questo però iniziano a esserci dubbi, almeno da parte mia perché la riforma della giustizia, che oggi, in queste ore, proverete ad approvare - ma, sono abbastanza certo e siamo abbastanza certi e ci batteremo per questo, che gli italiani la bocceranno con il referendum; vedremo, ci confronteremo, però riteniamo che sarà così - non vedrà la luce.

Il premierato, così mi pare di capire, con i tempi tecnici ma anche con le incertezze che iniziano a esserci all'interno della maggioranza rischia di non arrivare alla fine della legislatura o, quantomeno, è molto complicato e l'autonomia differenziata di Calderoli nei fatti non esiste più: ne parleremo poi in Aula quando il Ministro verrà a confrontarsi sulla nuova legge che ha presentato, con le correzioni fatte appunto dalla Corte che, nei fatti, ne ha smontato l'impianto.

Quindi, di cosa stiamo parlando, Presidente? Stiamo parlando del fatto che oggi sta venendo a mancare l'atto fondativo delle riforme che questo Governo ha messo in campo. Allora di cosa stiamo parlando? Stiamo parlando del fatto che questo Governo, che litiga praticamente su tutto e che sta vedendo venir meno l'atto fondativo di cui parlavo prima, si tiene insieme soltanto su cosa? Si tiene insieme soltanto su una questione legata al potere che, attenzione, io non demonizzo, perché tutti noi facciamo politica utilizzando il potere per cambiare lo stato delle cose del Paese in cui viviamo.

Ma il problema è che qui noi stiamo assistendo a una concezione molto diversa del potere da parte di questa maggioranza, un potere usato esclusivamente come una clava nei confronti delle opposizioni quando le cose non vanno; è questo ciò che stiamo vedendo in questi giorni. Lo abbiamo visto con le parole della Presidente del Consiglio, l'abbiamo visto con le parole vergognose del Ministro Ciriani nei confronti delle opposizioni e lo vediamo quotidianamente. Questa è la concezione del potere da parte di questa destra, che è una destra che nei fatti è allergica al dissenso.

Allora, anziché parlare di un'emergenza vera che si sta verificando a Gaza, quando la Presidente del Consiglio, ancora una volta, anziché essere qui a parlarne è andata nelle Marche per fare la campagna elettorale, noi oggi siamo qui a discutere di una riforma che verrà bocciata dai cittadini, che non vedrà mai la luce e che non è assolutamente un'emergenza per questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Provenzano. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE PROVENZANO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi e colleghe che non ci siete, abbiamo discusso non di una riforma della giustizia ma di sette articoli di revisione costituzionale che manomettono tuttavia i fondamenti dello Stato di diritto. Il primo tra essi - signor Ministro, lei lo sa meglio di noi - è la divisione dei poteri. La verità è che qui non state separando le carriere dei magistrati, state separando il nostro ordinamento dei princìpi di Montesquieu. Questa riforma costituzionale, infatti, non è solo voluta dal Governo, frutto di un patto di potere, come ricordava adesso l'onorevole Sarracino: questa riforma è stata scritta dal Governo, imposta alle Camere in modo che nemmeno la maggioranza - non dico la minoranza - ha potuto toccare una sola virgola, con un testo blindato da ratificare in tutta fretta. Dunque, lo svilimento del Parlamento nella sua funzione più alta e più delicata, la revisione costituzionale. Così il potere esecutivo si sostituisce oggi al potere legislativo, per colpire domani l'autonomia e l'indipendenza del potere giudiziario. La strada che avete seguito fin qui, in questi passaggi parlamentari senza una vera discussione - come oggi, in cui parliamo di fronte a un'Aula deserta -, indica chiaramente la vostra meta: quello che volete sono i pieni poteri.

I più ingenui, o meno spudorati tra di voi, in questi giorni hanno voluto presentare questa riforma come un aggiustamento dei rapporti fra le parti processuali, quasi una correzione tutta interna alla dinamica del processo penale, ma la separazione delle carriere, com'è noto, già esiste. Solo un numero irrisorio di magistrati cambia funzione. Per intervenire ancora non serviva la riforma costituzionale. La verità è che voi volete la divisione della magistratura come potere, spezzare l'unitarietà dell'ordine giudiziario, un po' per indebolirlo, sbilanciando l'equilibrio fra i poteri dello Stato, un po' perché la distinzione che cercate non è funzionale, è istituzionale, culturale. Quell'equilibrio tra i poteri nel corso della Seconda Repubblica - va detto e lo hanno detto molti colleghi, anche da questi banchi - ha subìto molti colpi, una tensione costante, un pendolo impazzito fatto di leggi ad personam o contra personam da una parte e di un indebito protagonismo di alcuni procuratori e una certa autoreferenzialità dell'ordine dall'altro. Questi ultimi aspetti, patologici, sono stati tuttavia oggetto di una campagna indiscriminata, volta a delegittimare tutto il potere giudiziario, una campagna che è continuata con voi, con la messa in mora costante: “le toghe rosse, le toghe rosse”, mentre è in corso un tentativo di intimidire e di domare ampi settori della magistratura.

Giorgia Meloni aveva dichiarato di voler porre fine alla guerra berlusconiana tra magistratura e politica. Anche qui, a ben vedere, si sta mostrando una seguace pedissequa di Trump, uno che prometteva la pace e sta trascinando ancora più il mondo nel caos. Così state facendo voi con la vostra amministrazione della giustizia: avete tagliato i fondi, aumentato reati e pene, privato di risorse umane e strumenti tecnologici per accelerare i processi, mentre le carceri esplodono e i detenuti si uccidono. E oggi, è un dato di fatto, ci sono tre indagati alla guida del Ministero della Giustizia. È il caos e verranno altri anni di caos, perché il protagonismo di alcuni PM non viene infatti depotenziato da questa riforma, viene semmai aggravato. Avremo 3.000 pubblici ministeri - sì rida, Ministro, rida: questo sa fare lei - ancora più svincolati da ogni bilanciamento, ancora più autoreferenziali, con un organo di autogoverno tutto loro, dunque ancora più corporativo. E poi il sorteggio, tanto uno varrà l'altro per voi. Altro che compimento del giusto processo, è il contrario.

Al posto dei PM avremo dei giustizieri e al posto della cultura della giurisdizione, propria della parte pubblica, una cultura inquisitoria, securitaria, che è propria della vostra idea di politica, perché il contesto in cui si inserisce questa riforma conta, Ministro, e la vostra politica del diritto è il contrario del garantismo di cui si è riempito la bocca per anni, garantismo che avete stracciato con i decreti Sicurezza e con il vostro populismo penale.

È l'eterogenesi dei fini hanno detto qui i colleghi e lo ha detto persino quell'estremista di Delmastro. È vero, ma io penso sia un rischio calcolato, voluto, perché a quel punto la scelta di sottoporli al potere esecutivo non sarà più una tentazione, sarà una necessità per riportarli sotto una qualche forma di controllo democratico. E qui si compirà il disegno: la fine dell'autonomia della magistratura requirente con il progressivo abbandono dell'obbligatorietà dell'azione penale, posta dai nostri costituenti a garanzia dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

I colleghi hanno parlato di aspetti tecnici, ma non c'è nulla di tecnico in questa riforma. È il piano inclinato di un'involuzione politica: oggi separate PM e giudici e domani - perché no? - separerete anche i giudici di primo e secondo grado, i magistrati del GIP da quelli del riesame. Volevate garantire l'imparzialità? L'imparzialità non si realizza smantellando la garanzia costituzionale del CSM, ma investendo veramente sulla cultura della giurisdizione, rendendo veramente indipendente la magistratura, l'indipendenza di cui parlava Piero Calamandrei, che non è un privilegio corporativo, ma è garanzia soprattutto per chi non ha potere.

Avete presentato questa riforma come lo strumento per controllare una categoria di funzionari privilegiati, ma invece state minacciando le libertà dei cittadini, perché i diritti dei singoli, le vittime dei reati, le parti più deboli dei rapporti sociali li può garantire solo chi è davvero indipendente da non doversi guadagnare il favore dei più forti.

Cosa accadrà quando la lotta alla corruzione non sarà più una priorità o quando le mafie torneranno a respirare perché le procure saranno piegate agli indirizzi politici del momento? Accadrà che nessuno sarà più uguale di fronte alla legge. Si cristallizzerà un diritto penale diseguale, classista, che già oggi praticate per reprimere nell'arbitrio e garantire l'impunità ai potenti. Avrete le procure a servizio della vostra discrezionalità, della torsione securitaria, e nessuno potrà dirsi al sicuro perché i prodromi di questo sconquasso istituzionale li abbiamo già visti. L'attacco sconsiderato dei vertici del Governo alla procura di Palermo - elogiata fino alla strumentalizzazione quando arrestava Messina Denaro e poi messa all'indice perché colpevole di aver indagato sul potere politico nazionale e regionale - non è stata solo un'intimidazione istituzionale, è qualcosa di assai più grave. Accusare i giudici di fare politica è la principale leva di condizionamento politico, e questo lo abbiamo capito, ma farlo con una procura così esposta sul fronte antimafia è da irresponsabili. Se domani un presunto mafioso cominciasse a dire, perché è già successo in passato: questi magistrati vogliono processarmi solo perché sono politicizzati, con quale forza lo Stato può rispondere se quelle stesse parole arrivano anche dai vertici delle istituzioni? Questa forma di delegittimazione della magistratura condotta con spirito vendicativo, come vedete, non è un problema per i magistrati palermitani - che non hanno bisogno di difensori - ma lo è per i cittadini, per lo Stato di diritto, per la Costituzione.

Oggi si compie l'ennesimo passo - forse quello dalle conseguenze più devastanti - della deriva trumpiana della destra meloniana. Non è la fine dello scontro trentennale tra politica e magistratura che avrebbe caratterizzato la stagione berlusconiana, come crede qualche ingenuo liberale a cui hanno dimenticato di dire che quella guerra è finita da tempo. È l'inizio di un'altra pagina di storia, che si diffonde come una piaga: la torsione illiberale della democrazia.

Colpire l'indipendenza della magistratura è il primo bersaglio di chi vuole concentrare il potere e indebolire le garanzie democratiche ed è una storia che vediamo in giro per il mondo - e anche per l'Europa - ovunque vi siano i vostri punti di riferimento: dall'Ungheria di Orban alla Polonia del PiS, dalla Turchia di Erdogan all'India di Modi, dagli Stati Uniti di Trump all'Israele di Benjamin Netanyahu, il macellaio di Gaza a cui voi volete garantire l'impunità.

Perché non ce l'avete solo con i magistrati in Italia, persino con le Corti internazionali adesso, macchiando l'onore del nostro Paese con lo scandalo del caso Almasri, che ha fatto il giro, questo sì, del globo terracqueo.

È di Gaza che avremmo dovuto discutere oggi e, invece, il Governo non ha nemmeno risposto al Presidente della Camera. Che immagine è quella di un Parlamento vuoto, che mortifica la nostra democrazia parlamentare, invece di unirsi di fronte alla più atroce tragedia del secolo? Ha ragione la presidente del gruppo a richiamare il Governo su questo.

Voi forse non volete fare come l'Ungheria, ma sicuramente volete collocare l'Italia in quest'onda nera che attraversa il mondo a cui i cittadini di ogni colore politico, attenzione, guardano con preoccupazione e sgomento.

Non ci riuscirete e noi ci opporremo, in Parlamento e nelle piazze, perché ci sarà un referendum e voi lo sapete: chi ha provato a scardinare la Costituzione, fin qui, è stato sempre punito. Lo sarete anche voi.

Noi voteremo contro, ancora una volta, e lo faremo in piena coscienza. Votiamo non solo contro una pessima (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista) …

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Della Vedova. Ne ha facoltà.

BENEDETTO DELLA VEDOVA (MISTO-+EUROPA). Grazie, Presidente. Vede, io condivido molti degli argomenti che sono stati portati dai colleghi dell'opposizione in questa discussione. Condivido l'idea sul metodo che voi avete scelto per questa riforma, il metodo secondo cui il Governo dispone e la maggioranza accetta, grosso modo silente, quello che il Governo propone. Credo che sia un metodo sbagliato per una riforma costituzionale e credo che in questo vostro agire ci sia sempre più evidente il germe, il seme, la pianta della democrazia scarnificata che è la cifra del trumpismo, dell'orbanismo, di tutti coloro che vogliono una democrazia tribale in cui un singolo voto di maggioranza apre la strada a qualsiasi tipo di volontà, a un governo legibus solutus.

Condivido le critiche dei colleghi dell'opposizione a una maggioranza per semplicità e semplificazione manettara, che ha passato questi tre anni a introdurre nuovi reati - spesso grida manzoniane, pensiamo ai primi sui rave party - a introdurre aumenti di pena, a disinteressarsi nei fatti di quello che accade nelle carceri italiane, a violare le norme nazionali e internazionali (ma questo lo vedremo, questo è un giudizio, diciamo che è un pre-giudizio), nel momento in cui bisognava assicurare Almasri al suo destino, cioè al giudizio della Corte penale internazionale. E voi avete fatto vedremo se carte false o meno, avete fatto di tutto per evitare il giudizio del diritto internazionale e della Corte penale internazionale al trafficante di esseri umani, al torturatore Almasri.

Condivido questo giudizio, condivido il fatto che il garantismo non appartiene a questa maggioranza nei fatti e non nei proclami.

Ma io non penso che questa sia una riforma “berlusconiana” anche perché Berlusconi non l'ha fatta la riforma, neanche quando aveva le maggioranze.

Questa è una riforma che viene prima, è una riforma garantista, che per quel che riguarda i liberali e i radicali ha le proprie radici nella discussione esplosa nel Paese dopo lo scandalo del caso Tortora. È una discussione radicale e pannelliana che è diventata cogente con il codice Vassalli.

Da allora si è discusso, poi, sui dettagli tecnici: CSM, due CSM, un CSM con due sezioni, come si era profilato nella bozza Boato, nella Commissione bicamerale presieduta da D'Alema, che comunque finiva anche lì sulla separazione delle carriere; certo con un metodo democratico, non con il metodo della democrazia scarnificata che piace a voi.

Per cui, io ribadirò il mio “sì” a questa riforma della separazione delle carriere, sapendo che nei dettagli si può discutere all'infinito come per tutte le riforme naturalmente - e ne sa qualcosa chi in Italia ha provato a fare le riforme costituzionali -, perché è necessaria, perché la separazione delle carriere può disegnare un miglior funzionamento della giustizia e il giudice terzo. Perché, come abbiamo visto da ultimo nel caso milanese - e cito solo questo -, è nelle fasi iniziali del processo che la commistione o la non indipendenza, la non alterità tra le procure e i giudici crea danni e poi magari arriva, come nel caso di Milano, il tribunale del riesame che, un mese e mezzo dopo, smentisce completamente la procura e anche il GIP; ma ormai il danno è fatto.

Non torno su questo e voglio chiudere con un punto politico.

Io credo che la costruzione dell'alleanza per l'alternativa a questa maggioranza - che, anche nel metodo, in questo provvedimento, dimostra l'idea di una democrazia scarnificata, che è la via che porta alla democrazia illiberale di orbaniana attualità e di trumpiano indirizzo, verso l'autocrazia autoritaria e imperialista all'estero -, quest'alleanza per l'alternativa non può realizzarsi in un perimetro che si stringe anziché allargarsi.

E il mio voto vuole essere una piccola, insignificante testimonianza anche per chi ha raccolto le firme - penso alle Camere penali -, per chi ha fatto il referendum per chiedere la separazione delle carriere, che credo debba avere un riscontro nel merito di una riforma che è una riforma liberale.

Ho sentito alcuni interventi anche di colleghi dell'opposizione che riecheggiano quelli che ci sono sempre stati prima di Meloni, prima di Berlusconi, sul fatto dell'inviolabilità ad ogni costo delle norme anche di rango costituzionale, che regolano il funzionamento di una magistratura indipendente e che tale deve essere per chi crede nei fondamenti di Montesquieu della separazione dei poteri.

Ma questa è una richiesta che viene da lontano, che ha radici profonde, che ha radici culturali e - ripeto - che ha radici liberali, e credo che noi non dobbiamo dare l'impressione e l'idea che invece il perimetro dell'alleanza da costruire per l'alternativa si restringa.

Quindi, io credo, cerco e voglio, in questo modo, dare anche una testimonianza e parlare a quanti hanno lo stesso giudizio che noi abbiamo, anche ai garantisti, ai cultori del diritto, ai cultori di una giustizia giusta, di una giustizia garantista e di un processo equo, come chiede la Costituzione, che pure hanno tutta la disistima che noi pure abbiamo fondatamente, signor Vice Ministro Sisto, non per le parole, ma per l'agire di questa maggioranza e di questo Governo che va nella direzione opposta.

È la maggioranza sbagliata - lo dissi nella prima lettura - che casualmente, per un'inerzia della storia, si trova a fare una cosa giusta; resterà la maggioranza sbagliata, la combatteremo come maggioranza sbagliata, anche assieme ai garantisti e liberali che, come me, ritengono che, nonostante tutto, oggi si debba dire “sì” a una riforma che non è di Meloni e che non è nemmeno di Berlusconi, e che non è stata una riforma liberale, socialista e verde per quel che riguarda Boato e, cioè, la richiesta di completare la riforma Vassalli sul processo accusatorio con la riforma della separazione delle carriere.

Anche questo deve essere un punto di sfida e di costruzione di un'alternativa a questa maggioranza che incidentalmente e casualmente fa una cosa giusta, mentre continua a fare le cose sbagliate.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Boschi. Ne ha facoltà.

MARIA ELENA BOSCHI (IV-C-RE). Grazie Presidente. Noi siamo a favore della separazione delle carriere, e quindi non gridiamo allo scandalo, come fa una parte della sinistra, però pensiamo che, per come l'avete scritta voi, abbia dei limiti enormi, per cui non ci possiamo nemmeno unire al coro della destra, che esulta per aver fatto una riforma storica. Anche perché questa legge, per come l'avete fatta voi, non è una riforma della magistratura: arriverà a deformare il rapporto tra magistratura e politica, con il paradosso che i PM saranno ancora più politicizzati di oggi.

Proprio per questo, arriviamo al paradosso che una forza politica come la nostra, Italia Viva, che è a favore della separazione delle carriere, non solo perché l'abbiamo sostenuta nelle altre legislature, abbiamo ripresentato la proposta di legge in questa, era nel programma elettorale - lei lo sa, Ministro, per la sua precedente vita, abbiamo anche condiviso l'impegno sul referendum - oggi è costretta ad astenersi su questa riforma che questo Governo ha presentato. E siamo costretti ad astenerci perché questa è una riforma di una parte della magistratura contro un'altra parte della magistratura.

Questa è una riforma che non è stata scritta in quest'Aula, e lo dimostra il fatto che in nessun passaggio parlamentare è stato possibile fare anche soltanto una modifica: non è passato un emendamento, non è passato nemmeno un ordine del giorno su una riforma costituzionale presentata dal Governo, il che è legittimo, ma non era mai successo che il Parlamento non potesse intervenire. E va bene che i colleghi della maggioranza rinuncino a svolgere il proprio ruolo - rinunciano addirittura a fare gli emendamenti alla legge di bilancio, figuriamoci sulla riforma costituzionale -, ma che voi non abbiate voluto ascoltare le opposizioni, nemmeno quella parte delle opposizioni che, come noi, ha cercato di collaborare in modo costruttivo per migliorare la riforma, senza essere ideologicamente contraria, è un fatto grave, che svilisce il ruolo di questo Parlamento.

E il fatto che ieri sera abbiate deciso di deliberare la seduta fiume aggrava ulteriormente questa situazione, perché, dopo un mese e mezzo in cui voi avete tenuto chiusa quest'Aula per fare le vacanze, il fatto che ieri sera abbiate deliberato la seduta fiume per liberarvi la coscienza e dire che avete consentito il dibattito, e tutto questo costringendoci a farlo ad Aula vuota - perché il vero obiettivo era che i colleghi di maggioranza, oggi, anziché stare in quest'Aula a fare il proprio lavoro, potessero andare a fare la claque alla Meloni ad Ancona (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva-il Centro-Renew Europe) -, rende questo dibattito, per colpa della maggioranza, davvero mortificante.

E tutto questo per correre al referendum, perché voi guardate i sondaggi e siete convinti di vincere il referendum. Ve lo dico per esperienza personale: quella che oggi sembra una vittoria certa si trasformerà tra qualche mese in una sconfitta cocente. Allora voi avete confezionato questa riforma a Palazzo Chigi, fuori da quest'Aula, l'avete fatta altrove; e non è una riforma scritta dalla politica, non è una riforma che hanno scritto i colleghi della maggioranza. È una riforma che, ad andare bene, hanno scritto tre magistrati, forse lei, Ministro, sicuramente la sua capo di gabinetto, Giusi Bartolozzi, e sicuramente il Sottosegretario Mantovano a Palazzo Chigi.

Questa non è una riforma di tre partiti politici, questa è una riforma di tre toghe: sono tre magistrati che hanno scritto una riforma contro gli altri magistrati. Avete politicizzato lo scontro e avete, di fatto, esautorato il potere legislativo, perché l'Esecutivo presenta una riforma scritta da magistrati che il potere legislativo non può toccare; peraltro gli stessi magistrati che sono stati i tre protagonisti - lei, Bartolozzi e Mantovano - della vicenda Almasri, e abbiamo visto come è andata a finire. Allora, Ministro, credo che voi abbiate fatto un danno grave alle istituzioni non consentendo al Parlamento di svolgere il proprio ruolo, chiudendovi anche ad ogni confronto, anche al di fuori del Parlamento.

Perché voi avete incontrato i magistrati con incontri - sia lei che la Presidente Meloni - finti, perché sapevate già che non avreste fatto nessuna modifica, sapevate già che nessun contributo sarebbe stato accolto, e quindi era esclusivamente una questione di facciata. Voi siete partiti da un principio giusto, che noi condividiamo, quello della separazione delle carriere, salvo poi avere creato questa commistione di carriere tutta interna alla magistratura e tutto in un principio non più di separazione dei poteri, ma di commistione e confusione dei poteri.

Finirà in questo caso come già è finita nel caso Almasri: siete partiti, nel caso Almasri, convinti di aver fatto un capolavoro. Avete preso il torturatore libico, lo avete riportato in Libia con il volo di Stato, gli avete consentito di continuare a fare i suoi sporchi comodi là, e lo abbiamo visto anche di recente, convinti che tutto fosse andato bene, nella vostra arroganza, che nessuno se ne fosse accorto, che aveste fatto una grandissima operazione, salvo la doccia fredda qualche mese dopo. E qui accadrà la stessa cosa: voi oggi siete convinti del capolavoro.

Avete messo la fiume, domani arriverete al voto finale, correte al referendum, forti dei numeri. Nella vostra arroganza siete convinti di aver fatto un capolavoro. Se entrerà in vigore, ve ne pentirete nella prossima legislatura, non solo per lo sfregio alle istituzioni, ma perché vi ritroverete dei PM e una magistratura ancora più politicizzata di oggi. Allora, ieri sera, mentre eravamo in Aula, mi è tornato in mente un versetto della Bibbia, che spesso torna anche nel dibattito politico. È un versetto di Isaia che dice: “Sentinella, quanto resta della notte? Sentinella, quanto resta della notte?”.

Allora, mi chiedevo, Ministro, in una fase, come quella che stiamo vivendo, di lacerazioni, di odio nel dibattito pubblico, di tensioni militari e sociali, ha senso approvare così una riforma costituzionale? Cioè, approvarla senza nessun contributo del Parlamento, senza nessun confronto con le opposizioni, senza nessuna apertura alle modifiche? Di notte, come se ci fosse qualcosa da nascondere. Quanto resta della notte delle istituzioni con un Parlamento costretto a fare da votificio, con una maggioranza che pensa che gli slogan siano più importanti del merito e della realtà.

Allora, per chi pensa che prima o poi debba arrivare l'alba e si impegna perché l'alba arrivi, noi continuiamo a pensare che il merito conti molto più degli slogan e dei titoli. E continueremo a impegnarci, perché arriverà un tempo in cui la realtà sarà più forte degli slogan, in cui finalmente tornerà a prevalere il buonsenso e non più una maggioranza che preferisce i tweet alla Gazzetta Ufficiale e che ci fa approvare una riforma costituzionale come fosse un decreto-legge (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva-il Centro-Renew Europe e della deputata Braga).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Fornaro. Ne ha facoltà.

FEDERICO FORNARO (PD-IDP). Signor Ministro. Presidente, colleghi, rappresentanti del Governo, io inizio con un ringraziamento sincero nei confronti degli uffici, anche per la pazienza che hanno avuto nei nostri confronti rispetto all'articolazione degli interventi. Con un pizzico anche di orgoglio, vorrei sottolineare che noi abbiamo rispettato quest'Aula, abbiamo rispettato la Costituzione, abbiamo rispettato l'articolo 138 con 55 interventi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

Lo abbiamo fatto perché crediamo profondamente che la Costituzione sia la Carta fondativa, sia lo strumento della convivenza civile, sia lo strumento della democratica convivenza civile e sia lo strumento dell'equilibrio tra i poteri dello Stato.

Abbiamo rispettato e scelto, quindi, di intervenire. Credo che chi ha assistito a tutte queste ore lo possa testimoniare, lo abbiamo fatto con interventi di merito, senza provocazioni, senza alterigia, ma con lo spirito riformatore, cioè di chi in questa sede, quando si parla di Costituzione e di cambiare la Costituzione, si pone con una postura corretta, rispettosa, anche in posizione di ascolto delle tesi degli altri.

Lo abbiamo fatto nonostante - lo vorrei ribadire, signor Presidente - quello che è avvenuto ieri sera, che, a nostro giudizio, scrive una pagina buia della vita parlamentare. Le modalità con cui è stata chiesta e poi votata la cosiddetta seduta fiume rappresentano - vorrei sottolinearlo perché rimanga agli atti - un pericoloso precedente. Non c'era alcun motivo per chiedere la fiume nella prima giornata in cui il provvedimento veniva trattato dall'Aula, come ha in più di un'occasione, anche nel corso della Conferenza dei presidenti di gruppo, sottolineato la nostra presidente Chiara Braga.

La maggioranza lo ha voluto fare in una logica utilitaristica, che si può anche comprendere. Mi rivolgo, per il suo tramite, e lo ringrazio per essere stato presente tutta questa notte, al collega Deidda. Vede, collega Deidda, non è che non sappiamo le ragioni per le quali avete chiesto la seduta fiume. Non ci sfugge la necessità della maggioranza di poter garantire la maggioranza assoluta prevista dall'articolo 138, avendo voi avuto un precedente negativo ad inizio legislatura, come si ricorderà, sullo scostamento dall'OMT della legge di bilancio. Però, c'è modo e modo di fare le cose, cioè averlo fatto senza che ci fossero le condizioni rappresenta un vulnus, ma rappresenta un vulnus perché, da domani, questo principio può essere applicato da qualsiasi maggioranza. Oggi ci siete voi, domani potrebbe cambiare, la ruota gira e, a volte, gira anche più velocemente di quello che uno immagina. Utilizzare la seduta fiume che è - tra virgolette - l'extrema ratio delle dinamiche di scontro parlamentare, averla usata in questo modo apre a una concezione di dittatura della maggioranza, che, quindi, fa e disfa come vuole perché ha i numeri, con buona pace dei Regolamenti, con buona pace anche dello spirito dell'articolo 138, in questo caso.

Ha ragione la collega Boschi. Avete trattato questa riforma costituzionale come un decreto-legge, né più e né meno, approvato in Consiglio dei ministri, in questo caso approvato dopo un accordo tra i tre leader dei partiti che compongono la maggioranza, un accordo immodificabile, che ha rappresentato uno sfregio nei confronti del Parlamento, ridotto ormai, come nei decreti-legge, sostanzialmente a una sorta di buca delle lettere in cui il Governo posta i desiderata, che poi vengono portati a termine sia alla Camera sia al Senato. Un'alterazione nei fatti, un cambiamento della Costituzione materiale di questo Paese. Ormai è evidente che è saltato l'equilibrio tra i poteri, che la logica con cui voi impostate e il Governo imposta il rapporto con il Parlamento non è la logica che avrebbero voluto e che hanno scritto i nostri costituenti, ed è, invece, una logica che vede il potere esecutivo sovrastante rispetto al Parlamento, con buona pace della centralità del Parlamento di cui si era fatta vanto la Presidente Meloni nel suo primo intervento in quest'Aula, con buona pace dell'architettura della nostra Costituzione.

Questa è una delle ragioni fondamentali di preoccupazione profonda. La Costituzione italiana, le Costituzioni liberali si fondano sull'equilibrio dei poteri, si fondano sullo Stato di diritto, si fondano sull'indipendenza della magistratura. Quello che, invece, voi andrete ad approvare domani ha il sapore della vendetta, postuma per alcuni, ha il sapore dello sgarbo. E, francamente - lo dico, per il suo tramite, al collega Della Vedova, che rispetto anche per le sue posizioni e riconosco la coerenza - cosa ci sia di liberale nello sdoppiamento del CSM mi sfugge, perché, se stiamo al merito, l'oggetto di questo provvedimento, di questa riforma, non è la separazione delle carriere, perché questa è già realtà, da ultimo con la legge Cartabia.

Venderete, proverete a vendere, e noi cercheremo di smascherare questo tentativo propagandistico, proverete a far passare questa come la riforma della giustizia, mentre, in realtà, per il servizio giustizia, atteso e fondamentale per il sistema delle imprese e per i cittadini, non c'è nulla. Questa non è la riforma della giustizia e non è neanche la riforma della separazione delle carriere, è lo sdoppiamento del CSM, è la creazione dell'Alta Corte, per sottrarre anche - come ha ricordato il collega Cafiero De Raho - ai CSM il potere disciplinare; è un tentativo di umiliare, sostanzialmente, la magistratura. Potrete raccontare cosa volete, ma, di fondo, due CSM sono meno autorevoli di un CSM.

Insomma, noi non ci stiamo, lo diciamo oggi e lo ribadiremo in tutte le sedi parlamentari e nelle piazze, perché vi attendiamo lì dove ci troverete e dove troverete i cittadini, al referendum (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Braga. Ne ha facoltà.

CHIARA BRAGA (PD-IDP). Grazie, Presidente. Signor Ministro, rappresentanti del Governo, colleghi presenti, quella che vi apprestate ad approvare è una riforma della Costituzione che ne stravolge il carattere e ne mina l'architettura. È una Costituzione, la nostra, frutto di quella ricerca voluta di condivisione tra forze politiche diverse che, ottant'anni fa, hanno costruito la nostra democrazia. Siamo stati chiamati a discutere e a votare questa riforma con un percorso a tappe forzate, mentre la stessa Costituzione prevede tempi e pause che favoriscano il confronto, la riflessione, la maturazione dei cambiamenti. I doppi passaggi, i mesi stabiliti tra un voto e l'altro e l'opzione di un coinvolgimento popolare con il referendum non furono un capriccio dei costituenti, ma un modo per rendere le modifiche ponderate e pienamente valutate nella loro complessità.

Voi, invece, avete deciso di andare avanti senza ritegno con questa riforma inutile e dannosa, con forzature che mai si erano registrate su una riforma costituzionale. Avete chiesto e consentito di fare una seduta fiume della Camera in assenza di qualsiasi presupposto di necessità. Questa è una riforma costituzionale, non un decreto-legge che scade, uno dei tanti che siete abituati ormai ad ingoiare senza fiatare, senza esercitare il vostro ruolo, il vostro diritto di parlamentari della Repubblica. Avete chiesto e consentito di fare una seduta fiume il primo giorno di approdo in Aula di questa riforma, senza che ci fosse alcun atteggiamento ostruzionistico delle opposizioni. Avete generato un precedente gravissimo, stravolto prassi consolidate, avete riscritto di fatto il Regolamento, introducendo surrettiziamente il voto a data certa su una riforma costituzionale con un solo obiettivo: assecondare la prepotenza di una maggioranza e di un Governo che umilia il Parlamento, paralizzando la dialettica e il confronto parlamentare per due giorni, solo per consentire al vostro capo, la Presidente del Consiglio, di fare il proprio comizio elettorale nelle Marche, oggi pomeriggio. E non avete avuto neanche la forza di difendere questa pessima riforma nel confronto parlamentare. Avete piegato, cioè, le istituzioni ai vostri comodi, alle vostre esigenze di agenda e di propaganda. Guardate, non vi servirà a nulla, ma questa notte deve essere chiaro che si è prodotto uno strappo istituzionale che lascerà il segno e che rappresenta un'altra macchia nera su questa legislatura e, purtroppo, anche su questa istituzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

Tuttavia, già prima di questa ennesima forzatura, il metodo con cui avete agito è stato gravissimo: una riforma costituzionale trattata come un decreto normale, ordinario, senza un dibattito vero, un confronto e un ascolto reale delle forze politiche, ma nemmeno delle forze sociali, della società, dei giuristi, dei soggetti che sono direttamente coinvolti e che hanno sollevato criticità, osservazioni, campanelli di allarme sui rischi insiti in questo testo.

Il provvedimento che oggi votiamo è esattamente lo stesso che è uscito dal Consiglio dei Ministri, Ministro, senza nessuna disponibilità all'apertura, senza modifiche in nessuna delle letture parlamentari, nemmeno su questioni reali che voi stessi, fuori dalle Aule delle Commissioni, avete riconosciuto come reali. È una dimostrazione di debolezza, non di forza, di chiusura, di disprezzo della democrazia parlamentare, proprio invece su un tema che riguarda le garanzie fondamentali della Costituzione.

Torniamo al merito. Noi ve lo abbiamo detto in mille modi nei passaggi che abbiamo avuto, quelli della discussione in Commissione e oggi in queste giornate di dichiarazioni solitarie, al vento: questa riforma è una riforma inutile e dannosa. Inutile, perché ogni anno i casi di passaggi tra carriere, come sappiamo, riguardano un numero esiguo, che si conta davvero sulle dita di una mano.

Ma è dannosa, enormemente dannosa, in primo luogo perché scardina l'equilibrio dei poteri dello Stato, con l'obiettivo di sferrare un colpo durissimo al potere giudiziario e con un obiettivo non esplicito, ma ancora più chiaro, conseguente: sottoporre il potere giudiziario al potere esecutivo, al controllo cioè della politica, del Governo, così come avviene nei regimi, nelle “democrature”, quelle che vi piacciono tanto. Nella vostra ossessione del bisogno di costruirvi un nemico al giorno e un capro espiatorio per i vostri fallimenti, siete arrivati fin qui.

Per questo io oggi considero un dovere per il mio gruppo intervenire per rivendicare, invece, il ruolo fondamentale della magistratura nella vita democratica del Paese. È un ruolo che va rispettato e difeso, perché dalla tutela dei diritti passano la dignità e le libertà della persona, l'uguaglianza, la stessa essenza della nostra democrazia. Ci rendiamo conto che il contesto in cui discutiamo è complesso e delicato, attraversato da molte sfide. Le nostre società cambiano a una velocità enorme, dall'intelligenza artificiale alla necessità di riconoscere nuovi avanzamenti nei diritti civili, dalle sfide ambientali a quelle economiche.

La politica spesso arriva in ritardo e non di rado sono stati i tribunali a colmare quei vuoti, tutelando i diritti civili e personali; pensiamo al tema della scelta sul fine vita che ci interrogherà. Per questo noi non possiamo permettere che la magistratura venga trascinata in questo modo, da mesi, con questa violenza, nel dibattito politico o ridotta a un attore subordinato. Quella che voi chiamate impropriamente riforma non affronta in nessun modo i veri problemi della giustizia che vediamo, quali tempi lunghi, carenza di organici, necessità di investire sulla digitalizzazione, ma mina l'indipendenza dei pubblici ministeri, aprendo la strada al vero obiettivo, cioè, al loro assoggettamento al potere esecutivo.

E questo è inaccettabile, anche per le conseguenze implicite, perché significherebbe ammettere la possibilità di compromettere un principio fondamentale, quello dell'obbligatorietà dell'azione penale, che è uno dei cardini della nostra Costituzione. Allora, all'interno di questo quadro si collocano scelte che hanno un disegno preciso. Con la separazione non delle carriere, che di fatto c'è già, ma delle magistrature si mira a limitare ancora una volta gli spazi di autonomia di poteri indipendenti, dell'equilibrio del sistema della giurisdizione e dei poteri di controllo.

Non vi accontentate di umiliare e indebolire il Parlamento, volete farlo anche rispetto alla magistratura, e dare un colpo decisivo a quella Costituzione in cui una parte delle forze di maggioranza fatica ancora a riconoscersi, perché è frutto della lotta antifascista. La maggioranza con le tre riforme costituzionali in corso va in questa direzione, minando i fondamenti della Repubblica: l'autonomia differenziata, che spacca il Paese, aggrava le disuguaglianze territoriali; il premierato, che vuole scardinare l'equilibrio tra i poteri costituzionali e ridurre il Parlamento a un organo a traino. Non è questa la democrazia che immaginiamo, quella che vogliamo difendere.

La democrazia non è acclamare un capo ogni 5 anni, ma consentire ai cittadini di incidere quotidianamente sulle scelte dei loro rappresentanti e poter contare su un sistema di pesi e contrappesi che li tuteli, che tuteli soprattutto quelli più esposti, più fragili, con meno forze e strumenti per affermare i loro diritti. Invece, ad esempio, su questa riforma - e ci torno - con il sistema del CSM, il sistema del sorteggio, si introduce per la prima volta un criterio illogico, quello del sorteggio, che è un attacco al principio della valorizzazione delle competenze e della rappresentanza, pensato per svilire e insinuare sfiducia, anziché rafforzare la magistratura.

E mentre si colpisce l'autorevolezza e l'autonomia, non si interviene sulle vere priorità, lo hanno detto i colleghi e non ci ritorno. E poi c'è uno squilibrio evidente nell'approccio complessivo di questa maggioranza su questi temi: da un lato, il panpenalismo propagandistico, la marea di nuovi reati approvati, le pene sempre più dure per i più deboli, lo abbiamo visto dal decreto Rave, la vostra prima opera all'azione di Governo, fino al decreto Sicurezza; dall'altro, un atteggiamento indulgente, che taglia le possibilità di intervento per la magistratura nei confronti soprattutto di chi è più tutelato, come i reati dei colletti bianchi, e che rende più debole, più fragile, meno incisivo il lavoro della magistratura.

Ma una giustizia che è forte con i deboli e debole con i forti non è giustizia. Noi non possiamo dimenticarci le condizioni delle carceri: la situazione è drammatica, i suicidi, il personale insufficiente. Lo stesso vale per la violenza di genere: non basta la repressione, serve la prevenzione. Noi vogliamo una giustizia che sia più al servizio dei cittadini, più accessibile e più giusta, e per questo la nostra opposizione non finisce qui, in Parlamento. Chiederemo agli italiani di esercitarla con quella responsabilità a cui voi avete abdicato, dicendo un chiaro “no” al referendum; un “no” a una riforma che attacca la Costituzione e indebolisce la difesa fondamentale dei diritti dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Non essendovi ulteriori iscritti a parlare, si è così conclusa la fase delle dichiarazioni di voto finale.

Come già anticipato in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo, la votazione finale avrà luogo alle ore 12 di giovedì 18 settembre. A tale proposito, rammento che, essendo stata deliberata la «seduta fiume», il termine di preavviso di cinque e dieci minuti previsto dal Regolamento risulta già decorso. Come convenuto in sede di Conferenza dei presidenti di gruppo, sospendo pertanto la seduta, che riprenderà comunque alle ore 15, esclusivamente per lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata. La seduta è sospesa.

La seduta, sospesa alle 13,55, è ripresa alle 15.

Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

PRESIDENTE. Passiamo ora allo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata, alle quali risponderanno il Ministro per i Rapporti con il Parlamento, il Ministro per gli Affari regionali e le autonomie, il Ministro per la Pubblica amministrazione e la Ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità.

Invito gli oratori ad un rigoroso rispetto dei tempi non solo considerata la diretta televisiva, ma anche per il nuovo sistema dei microfoni.

(Elementi e iniziative di competenza con riferimento ad un'operazione di permuta di un'area privata degradata nel comune di Fano e al relativo coinvolgimento dell'Agenzia delle entrate per aspetti tributari - n. 3-02177)

PRESIDENTE. L'onorevole Borrelli ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02177 (Vedi l'allegato A).

FRANCESCO EMILIO BORRELLI (AVS). Grazie, Presidente. Siamo qui per denunciare l'ennesima attività “prenditoriale” nel territorio marchigiano. Ricordiamo la battaglia, che è stata portata avanti con Gianluca Carrabs, Sabrina Santelli e tanti cittadini delle Marche, per evitare la discarica a Riceci, dove nell'area che dà sopra il territorio di Urbino, patrimonio dell'Unesco, si era pensato bene di realizzare una discarica.

Qui si fa anche peggio: in una zona considerata da riqualificare, in mezzo ai cittadini, si vuole realizzare un'attività imprenditoriale insalubre. Il Ministro è a conoscenza di quest'attività, con una grave commistione tra amministratori pubblici e imprenditori? Soprattutto, cosa decide di fare rispetto alla nostra interrogazione (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra)?

PRESIDENTE. Il Ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, ha facoltà di rispondere.

LUCA CIRIANI, Ministro per i Rapporti con il Parlamento. Grazie, Presidente. Onorevoli deputati, gli interroganti sollevano dubbi sulla conformità urbanistica dell'intervento richiamato nell'atto di sindacato ispettivo ed esprimono perplessità sulla chiarezza dell'operazione, tenuto conto che, a loro parere, la permuta di un'area compromessa con un'area integra, che dovrebbe essere oggetto della realizzazione di un polo logistico, potrebbe determinare un rilevante vantaggio fiscale attraverso un aumento dei profitti derivanti da una rendita fondiaria speculativa. Viene inoltre rappresentata una preoccupazione sul piano della salubrità ambientale.

Ferme restando le competenze istituzionali delle altre amministrazioni coinvolte, per quanto di competenza del Ministero dell'Economia e delle finanze, comunico che l'Agenzia delle entrate, interpellata sulla specifica questione, conferma che sono state avviate e sono ancora in corso le attività istruttorie relative all'operazione descritta dagli interroganti. Inoltre, la medesima Agenzia rassicura che, come è prassi in questi casi, saranno valutati attentamente tutti gli aspetti connessi alla vicenda e particolare attenzione sarà riservata all'analisi delle implicazioni di natura tributaria connesse al valore economico degli immobili interessati.

Il Governo si impegna sin d'ora a fornire, su richiesta degli interessati se lo riterranno, gli elementi informativi relativi agli esiti dell'istruttoria una volta che la stessa sarà conclusa.

PRESIDENTE. L'onorevole Borrelli ha facoltà di replicare.

FRANCESCO EMILIO BORRELLI (AVS). Grazie, Presidente. A questo punto, Ministro, noi chiediamo tutti i documenti. Per noi non è soltanto un'operazione speculativa; è un'operazione contro i cittadini, contro i cittadini di Fano, contro i cittadini di Chiaruccia, contro il buonsenso. Ribadiamo una cosa, e lo denunciamo in quest'Aula: i protagonisti di questa vicenda sono amministratori pubblici che, direttamente o indirettamente, sono coinvolti nella società che sta realizzando l'operazione. Mi spiego meglio: sono dipendenti, consulenti. Ministro, è qualcosa di non corretto.

Aggiungiamo anche una cosa: qua cambiano gli attori, ma la trama è sempre la stessa, come è successo su Riceci; sempre commistioni tra imprenditori ed esponenti istituzionali e politici. Noi ve lo diciamo ad alta voce: le Marche non sono l'Eldorado di speculatori e “monnezzari”; le Marche vanno salvaguardate, vanno protette. Raffaello non immaginava di farsi un percorso sulla sua Urbino davanti a una grande discarica, come era stato immaginato per Riceci, e per fortuna il nostro gruppo parlamentare si è opposto e devo ringraziare anche la Commissione ecomafie.

Noi riteniamo che questa operazione sia assolutamente incompatibile. Bene fa l'Agenzia delle entrate a controllare fino in fondo, a verificare fino in fondo. Poi, anche un'altra cosa: perché, se fosse un'operazione così gradita ai cittadini e così utile al territorio, tutti i cittadini di quel territorio la contrastano? Per un solo motivo: perché è una vergogna speculativa (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

(Dati sui finanziamenti statali previsti nelle contabilità speciali contro il dissesto idrogeologico nella regione Toscana e stato di attuazione delle opere individuate come prioritarie nel Piano degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico della medesima regione - n. 3-02178)

PRESIDENTE. La deputata Nisini ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02178 (Vedi l'allegato A).

TIZIANA NISINI (LEGA). Grazie, Presidente. Grazie, Ministro. Di fatto, il Presidente ha già detto la richiesta della Lega. È il tema della Toscana, che è stata coinvolta in tanti eventi calamitosi e in tante alluvioni dal 2023 a questa parte, che rispondono più a eventi ormai ordinari e non straordinari. Noi abbiamo la necessità di sapere, Ministro, i dati sui finanziamenti statali previsti nella contabilità speciale proprio intestati al presidente della regione Toscana, in qualità di commissario straordinario di Governo proprio contro questo dissesto idrogeologico, e l'elenco delle relative opere individuate come prioritarie nel Piano di interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico, proprio perché i toscani vengano messi a conoscenza di dati che ancora non sono loro dati di sapere.

PRESIDENTE. Il Ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, ha facoltà di rispondere.

LUCA CIRIANI, Ministro per i Rapporti con il Parlamento. Grazie, Presidente. Il Ministero dell'Ambiente e della sicurezza energetica definisce le proprie attività in materia di prevenzione e mitigazione del rischio idrogeologico mediante atti di programmazione e finanziamento degli interventi strutturali proposti dalle regioni e dalle province, secondo i criteri e le procedure stabilite dal DPCM del 27 settembre 2021. I suddetti criteri tengono conto, tra l'altro, della pianificazione svolta dalle competenti Autorità di bacino distrettuali in relazione al rischio di frana e al rischio di alluvioni.

Tutto ciò premesso, si rappresenta che, a partire dall'anno 2010, il MASE ha programmato nel territorio della regione Toscana 329 interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico, per un valore complessivo di circa 517 milioni di euro, di cui 355 milioni di euro di risorse statali.

I dati di seguito indicati, trasmessi dal presidente della regione Toscana in qualità di commissario del Governo e contenuti nell'apposita relazione al Parlamento, sono aggiornati al 31 dicembre 2024. Per gli accordi di programma del 2010 e del 2015 gli interventi programmati sono 222, con risorse complessive pari a circa 300 milioni, di cui 155 milioni statali e circa 145 milioni di cofinanziamento. Di questi, tre risultano non avviati, 11 in corso di progettazione, per 18 progetti si è in fase di aggiudicazione e di esecuzione, per 37 i lavori risultano ultimati, mentre 111 sono stati chiusi contabilmente e per 42 progetti i dati non sono disponibili.

Il Piano operativo per il dissesto idrogeologico 2019 e il Piano stralcio 2019 prevedono 30 interventi, con risorse complessive pari a circa 300 milioni, di cui circa 155 statali e 145 di cofinanziamento. Di questi, un progetto risulta non avviato, per quattro progetti si è in fase di esecuzione, per 11 i lavori risultano ultimati e 14 sono stati chiusi contabilmente. Per i Piani degli interventi degli anni 2021, 2022 e 2023 sono stati previsti 52 interventi, per una somma complessiva di 76 milioni, di cui 73 statali e tre di cofinanziamento. Di questi, uno risulta non avviato, 19 in fase di progettazione, 26 in fase di aggiudicazione e sei ultimati.

Infine, per il Piano 2024 - ho concluso, Presidente - sono stati previsti 25 interventi, per circa 89 milioni, quasi interamente statali. Per quanto riguarda i cronoprogrammi dei singoli interventi, si rappresenta che i commissari di Governo sono tenuti a presentare gli stessi a partire dalla programmazione 2021, ai sensi della vigente normativa.

PRESIDENTE. La deputata Nisini ha facoltà di replicare.

TIZIANA NISINI (LEGA). Grazie, Presidente. Grazie, Ministro, per la puntuale risposta che serve a fare un po' di chiarezza su quanto sta succedendo in Toscana, perché il governatore Giani, con la sua giunta, rimbalza al Governo l'inefficienza, l'inefficacia e la mancanza di finanziamenti. Nella sua risposta è stato chiaro. Chiarezza, perché il Governo ha fatto e fa la sua parte, considerando che si è parlato di 73 milioni più 89 milioni. Quindi, 162 milioni, interamente statali, messi a disposizione proprio per intervenire sul rischio idrogeologico. Mentre per il Piano 2021, 2022 e 2023 - come da lei descritto - su 52 interventi ne sono stati ultimati solamente sei. Questo significa che il Governo fa la sua parte e il governatore Giani dorme. E questo è un tema molto sentito in Toscana perché, come dicevo prima presentandole l'interrogazione, ormai questi eventi in Toscana sono puntuali, sono ordinari e non più straordinari. Esiste un piano, una mappatura ben precisa, fatta dall'Autorità di bacino, che mette già in evidenza tutte le zone a rischio idrogeologico alto, dando di fatto delle priorità alla regione. I finanziamenti ci sono, i soldi ci sono e la regione non sta facendo la sua parte. I toscani meritano chiarezza, ma meritano soprattutto interventi concreti proprio per salvaguardare la sicurezza delle famiglie e dei lavoratori, ma anche delle attività economiche. E quindi, ringraziamo il Governo e auspichiamo - non credo, visto che manca un mese alle elezioni e anche meno - che il governatore possa fare qualcosa di più.

(Chiarimenti in merito a recenti dichiarazioni del Ministro per gli Affari regionali e le autonomie relative a iniziative politiche assunte dalla Lega Nord nel 1996 con riguardo ad un possibile percorso secessionista - n. 3-02179)

PRESIDENTE. L'onorevole Faraone ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02179 (Vedi l'allegato A).

DAVIDE FARAONE (IV-C-RE). Grazie, Presidente. Io mi riferisco naturalmente a dichiarazioni fatte dal Ministro il 30 agosto scorso. Quindi, non nel 1996. Intervenendo alla festa della Lega sul Monviso ha dichiarato: “Il ricordo più bello dei miei quarant'anni nella Lega è il 1996 quando dichiarammo l'indipendenza della Padania. Il rimpianto è non essere andati fino in fondo”. E poi, rivendicando la consegna al Presidente Carlo Azeglio Ciampi della dichiarazione d'indipendenza della cosiddetta Padania, ha ricordato la creazione di uno Stato parallelo con Parlamento, giornali, tv, poste, passaporto e patente.

Io chiedo, signor Ministro, se reputi compatibile queste sue dichiarazioni con il ruolo svolto da Ministro e naturalmente anche con l'aver giurato sulla Costituzione.

PRESIDENTE. Il Ministro per gli Affari regionali e le autonomie, Roberto Calderoli, ha facoltà di rispondere.

ROBERTO CALDEROLI, Ministro per gli Affari regionali e le autonomie. Grazie, Presidente. L'interrogazione ha ad oggetto mie dichiarazioni dello scorso 30 agosto riferite a vicende del 1996, cioè, a quasi trent'anni fa. Si tratta di fatti che hanno anche formato oggetto di procedimenti penali a mio carico, dai quali sono uscito sempre assolto. Se oggi l'interrogazione mi contesta nostalgici ricordi di un'altra era politica, per me ciò vuol dire che si intende rifare il processo alle mie intenzioni di allora - peraltro già fatte - e non a quelle di oggi.

L'interrogante ha peraltro estrapolato solo alcuni passaggi del mio discorso, omettendone altri, fra cui la mia sottolineatura di quanto quella fase politica sia stata determinante per giungere alla riforma del Titolo V e, quindi, all'inserimento in Costituzione anche dell'autonomia differenziata. Ricordo all'interrogante che, come Ministro, ho giurato quattro volte di essere fedele alla Repubblica e di osservarne lealmente la Costituzione: nel 2004, nel 2005, nel 2008 e nel 2022. L'ho fatto ogni volta in maniera convinta. Ricordo anche che della medesima Costituzione fa parte, fra i principi fondamentali - quindi quelli dei padri costituenti - l'articolo 5 che non si limita ad affermare che l'Italia è una e indivisibile, ma prosegue prevedendo che la Repubblica debba attuare, nei servizi che dipendono dallo Stato, il più ampio decentramento amministrativo, adeguando i principi e i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento. Dico, quindi, sì, all'unità del Paese ma, insieme, sì, anche all'autonomia e al decentramento.

Il sottoscritto, accusato di essere un secessionista o, meglio, un ex secessionista, a ben vedere nei fatti ha sempre avuto a cuore gli interessi di tutto il Paese, affrontando i problemi delle aree interne e delle zone svantaggiate, indipendentemente che fossero al Nord o al Sud; penso alla recente legge sulla montagna, al disegno di legge sulle isole minori in corso di elaborazione e, soprattutto, al disegno di legge delega al Senato relativo ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire uniformemente in tutto il Paese, primo e unico progetto organico dal 2001. Chi contrasta oggi l'autonomia mantiene e contribuisce ad acuire una spaccatura del Paese che non è politica, né geografica, ma economica e sociale. Chi contrasta oggi…

PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro. L'onorevole Faraone ha facoltà di replicare.

DAVIDE FARAONE (IV-C-RE). Io ho fatto riferimento, Presidente, a una dichiarazione rilasciata dal Ministro il 30 agosto scorso, quando, fra i più grandi rimpianti della sua carriera politica, lei, Ministro, ha detto di mettere anche quello di non essere andato fino in fondo per la realizzazione dello Stato padano, questo lei diceva, così come Salvini cantava allora: “senti che puzza, scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani”. Per cui tutto questo non è un ricordo che noi abbiamo vago (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e MoVimento 5 Stelle); ce l'abbiamo chiarissimo sulla nostra pelle. E la cosa peggiore, signor Ministro, è che lei sta svolgendo ora una funzione e, tra l'altro, per fortuna, ha preso una sonora “sportellata” grazie alla Corte costituzionale che ha respinto il suo progetto di autonomia differenziata, perché lì dentro, seppur non c'era la formazione dello Stato padano, folcloristico Stato padano, ci stava tanto di secessionista; così come mi sembra inopportuno che il 30 agosto, qualche giorno fa, lei abbia fatto queste dichiarazioni, in prossimità delle pre-intese che sta organizzando per alcune regioni, che saranno a un passo dalla separazione di fatto, tra le regioni del Paese. Io, in realtà, Presidente, questa interrogazione l'avrei dovuta fare alla Premier Meloni, la patriota, che avrebbe dovuto dire qualcosa al suo Ministro, visto che in teoria l'unità della Nazione dovrebbe essere l'ispirazione di questo Governo e, invece, permette che il Ministro dica questo, nell'assoluta libertà, affidandogli anche l'incarico più delicato dal punto di vista istituzionale per la costruzione - sì - dell'autonomia, ma altra cosa è far andare a maggiore velocità una parte del Paese rispetto all'altra (Applausi di deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e MoVimento 5 Stelle).

(Iniziative normative volte a favorire la prestazione dell'attività lavorativa in modalità agile da parte dei lavoratori fragili della Pubblica amministrazione - n. 3-02180)

PRESIDENTE. L'onorevole Alfonso Colucci ha facoltà di illustrare l'interrogazione Auriemma ed altri n. 3-02180, di cui è cofirmatario.

ALFONSO COLUCCI (M5S). Signor Ministro, facciamo riferimento al lavoro agile, lo smart working per i lavoratori fragili. Lei ha emanato una direttiva che affida ai singoli enti e ai singoli dirigenti una discrezionalità nel riconoscere lo smart working ai lavoratori fragili talmente ampia che di fatto questo sacrosanto diritto viene svuotato di ogni contenuto. Vede, Ministro, un diritto enunciato solo formalmente, ma non attuato, è un diritto negato, è una grave discriminazione. Le chiediamo, Ministro, quali iniziative intenda attuare per garantire ai lavoratori fragili nella pubblica amministrazione di usufruire dello smart working eliminando qualsiasi discriminazione e migliorando anche l'efficienza nella pubblica amministrazione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle e di deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Il Ministro per la Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, ha facoltà di rispondere.

PAOLO ZANGRILLO, Ministro per la Pubblica amministrazione. Presidente, onorevoli deputati, il tema sollevato dagli interroganti mi permette di illustrare la ratio che è sottesa alle iniziative adottate con riferimento all'utilizzo del lavoro agile da parte dei lavoratori fragili e, più in generale, sul percorso di modernizzazione che la pubblica amministrazione ha avviato.

La direttiva citata dall'interrogante, del dicembre 2023, interviene in un contesto connotato dall'ormai superata contingenza pandemica e dalla consapevolezza da parte delle amministrazioni di come il lavoro agile possa essere uno strumento di flessibilità orientato alla produttività e alle esigenze del personale.

L'attenzione per i dipendenti più esposti a situazioni di rischio per la salute non è mai venuta meno. Nella direttiva si precisa, infatti, di garantire ai lavoratori che documentano gravi, urgenti e non altrimenti conciliabili situazioni di salute personali e familiari la possibilità di svolgere la prestazione lavorativa in modalità agile anche derogando al criterio della prevalenza dello svolgimento della prestazione lavorativa in presenza.

Quindi, siamo di fronte a un beneficio ben più ampio, perché rivolto non più a soggetti determinati, individuati da una specifica norma, ma a una più ampia platea di potenziali fruitori della deroga che si trovino in determinate situazioni di grave disagio personale o familiare, naturalmente opportunamente documentate. Mira, quindi, a trasformare il lavoro agile in uno strumento organizzativo che esplica i suoi effetti in un contesto ordinario e non più emergenziale, pur sempre nel rispetto del consolidato e intangibile principio di autonomia organizzativa di ogni amministrazione.

Il lavoro agile è inserito in maniera strutturata all'interno delle dinamiche lavorative delle pubbliche amministrazioni, tenendo conto peraltro di quanto stabilito nelle ultime tornate contrattuali che hanno disciplinato l'istituto, delineandone un assetto definitivo. La scelta di utilizzare lo strumento della direttiva non è casuale, anzi, lo spirito che deve contraddistinguere l'azione amministrativa non può e non deve essere quello della coercibilità, ma, anzi, deve essere quello di sensibilizzare la dirigenza pubblica verso una gestione del personale volta all'assunzione di responsabilità.

Il dirigente non è una figura che deve limitarsi alla corretta applicazione delle norme, ma, soprattutto nel contesto odierno, deve saper gestire le persone. Questo vuol dire che il dirigente è chiamato, prima di tutto, a prendersi cura delle persone, a capirne le esigenze e favorire il dialogo e il confronto. Si tratta di un modo tutto nuovo di concepire la figura del dirigente, che, nel caso di specie, è chiamata a individuare tutte quelle misure organizzative che si rendono necessarie nell'utilizzo di strumenti di flessibilità volti a garantire da un lato la tutela dei lavoratori e dall'altro l'efficienza della prestazione lavorativa.

Con le iniziative messe in campo, dalla formazione passando alla misurazione e valutazione della performance, fino ad arrivare a percorsi capaci di premiare il merito, abbiamo avviato un cambiamento culturale nelle pubbliche amministrazioni che vede finalmente le persone al centro.

PRESIDENTE. La deputata Auriemma ha facoltà di replicare.

CARMELA AURIEMMA (M5S). La direttiva non serve, anzi, non solo non viene applicata, ma quando viene applicata fa danni, perché crea lavoratori di serie A e lavoratori di serie B. Lo smart working non può essere un optional per i lavoratori fragili, ma deve essere un diritto riconosciuto, tutelato (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle e di deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Invece, cosa abbiamo fatto? Cosa ha fatto lei?

Ha dato un potere discrezionale in mano ai dirigenti, che nella stragrande maggioranza non lo applicano e, in casi particolari, invece lo fanno determinando delle discriminazioni. Non è possibile che lo Stato, che è il maggior datore di lavoro in Italia, crei delle discriminazioni, crei dei lavoratori di serie B e di serie A e, soprattutto, non tuteli la salute dei propri lavoratori. Ministro, questo Governo non ha trovato la forza per fare una norma di legge che prevede lo smart working per i lavoratori fragili, non ha trovato le risorse, e poi spende, soprattutto grazie ai suoi provvedimenti, oltre 15 milioni in più per gli staff dei Ministeri.

Abbiamo aumentato consulenti, staffisti, collaboratori (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle e di deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista), eppure la pubblica amministrazione è abbandonata, a partire dal suo staff: io ho contato - complimenti! - circa 33 collaboratori, 33 consulenti. Ebbene, 33 persone non riescono a fare una norma che garantisca lo smart working, il lavoro agile a tutti i lavoratori, senza discriminazioni. Però a questo c'è una soluzione, noi del MoVimento 5 Stelle abbiamo presentato delle proposte di legge, abbiamo presentato emendamenti. Facciamo così: li può approvare e, per una volta, dimostra a tutti noi di lavorare per i cittadini comuni, e non per gli amici della Meloni (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

(Elementi e iniziative in merito al fenomeno dell'aumento delle cause civili in materia di lavoro e previdenza nell'ambito del pubblico impiego - n. 3-02181)

PRESIDENTE. L'onorevole Sarracino ha facoltà di illustrare l'interrogazione Casu ed altri n. 3-02181, di cui è cofirmatario.

MARCO SARRACINO (PD-IDP). La ringrazio, signor Presidente. Ministro, da quando lei si occupa di pubblica amministrazione i contenziosi fra il suo Ministero e i lavoratori sono aumentati del 290 per cento. Il 290 per cento, ha capito bene. Questi contenziosi, che ovviamente hanno un costo che chiaramente non paga lei, sono anche indice però di una condizione precaria, sottopagata, di diritti non rispettati in cui versano troppi lavoratori.

E voi cosa fate? Non fate scorrere le graduatorie, lasciando a casa una generazione vincitrice di concorso per merito, non volete un piano di assunzioni straordinario nella pubblica amministrazione, non stabilizzate i precari assunti con il PNRR, che proprio ieri abbiamo incontrato qui fuori, che hanno manifestato in tutta Italia, e non fate crescere i salari.

Allora, Ministro, lei cosa sta facendo per quella che dovrebbe essere l'ossatura e l'orgoglio del nostro Paese? Smetta di fare la vittima, qui ad attaccarla non è il Partito Democratico, ma 77.000 italiani che le hanno fatto causa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. Il Ministro per la Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, ha facoltà di rispondere.

PAOLO ZANGRILLO, Ministro per la Pubblica amministrazione. Grazie, Presidente. Onorevoli deputati, il tema sollevato dagli interroganti è da considerarsi in un quadro più ampio delle iniziative messe in campo per modernizzare e rafforzare la PA. Infatti, giova rappresentare agli interroganti, come da loro stesso riportato, che il dato del contenzioso è da riferirsi al contrasto con principi e norme vigenti, e che dunque non può essere preso come riferimento nel rapporto tra pubblica amministrazione e i dipendenti. Non vi è, infatti, alcuna correlazione tra il dato del contenzioso e l'efficienza dei servizi resi agli utenti, men che meno con la percezione dei dipendenti pubblici.

Al contrario, le iniziative già messe in campo, che evidentemente sfuggono agli interroganti, sono volte a valorizzare le professionalità della pubblica amministrazione. In tal senso stiamo puntando su innovative forme di reclutamento, formazione continua, introduzione di sistemi di valutazione e misurazione della performance, a cui agganciare percorsi di carriera e crescita del personale. In termini di credibilità istituzionale voglio aggiungere che una recente indagine condotta con Istat mostra come, in una scala da 1 a 10, i cittadini che hanno interagito con la pubblica amministrazione nella richiesta di specifici servizi - anagrafici, edilizia, attività produttive - valutino la loro esperienza con un punteggio tra 7 e 8.

Sul versante interno, invece, l'indagine ha preso in esame alcuni temi legati alle riforme della pubblica amministrazione. A titolo esemplificativo, con riferimento all'accesso, la durata dei concorsi ha avuto una riduzione del 20 per cento rispetto al dato registrato nel 2022; sulla mobilità, grazie alle norme introdotte per incentivare tale istituto, i dati mostrano un aumento delle procedure che segnano un più 41 per cento a livello compartimentale e più 30 per cento a livello intercompartimentale; sulla formazione, nel 2024, il 76 per cento del personale della pubblica amministrazione ha seguito attività di formazione.

Per quanto attiene allo scorrimento delle graduatorie, nonostante non vi sia alcuna correlazione con il tema affrontato, ricordo agli onorevoli interroganti che il decreto-legge n. 25 del marzo 2025, convertito nella legge 9 maggio 2025, n. 69, ha stabilito che il concorso è lo strumento ordinario e prioritario per il reclutamento del personale e, contestualmente, ha sospeso per il 2024 e 2025 il limite, già fissato, del 20 per cento del numero dei candidati idonei.

Aggiungo che in taluni settori, come istruzione e sanità, il Governo sta ponendo in essere misure finalizzate a ridurre il contenzioso, e per la scuola, tra i principi e criteri direttivi del nuovo testo unico dell'istruzione, come previsto dall'articolo 15 e dall'Atto Camera n. 2393, già approvato dal Senato, è stabilita proprio la deflazione del contenzioso. Aggiungo, infine, con riguardo proprio al tema dei precari e degli LSU, che la Commissione europea ha recentemente chiuso il caso EU Pilot, stabilendo la conformità alla direttiva 1999 sui contratti a tempo determinato della disciplina prevista per i lavoratori socialmente utili impiegati in varie regioni italiane. Non ho alcun motivo per sentirmi vittima.

PRESIDENTE. L'onorevole Casu ha facoltà di replicare.

ANDREA CASU (PD-IDP). Ministro, purtroppo ancora una volta evidentemente non ha compreso il senso della nostra domanda, non si è reso conto di quella che è la reale condizione. Noi le abbiamo chiesto di quantificare il costo diretto e indiretto delle conseguenze delle scelte sbagliate che sta portando avanti questo Governo nella pubblica amministrazione non per attaccarla, ma per aiutarla ad aprire gli occhi. E questo non solo per diminuire il numero di contenziosi, l'unico vero record del suo Ministero, ma per offrire servizi migliori a tutti i cittadini.

Perché, quando le chiediamo il piano straordinario di assunzioni, di fare subito non solo i concorsi, ma anche tutte le proroghe, gli scorrimenti degli idonei immediatamente necessari a rinnovare e rafforzare subito la PA, di non sbattere la porta in faccia ai precari, non lo facciamo solo per dare un'opportunità a una generazione che ha studiato, che ha fatto sacrifici, che merita di entrare in campo, che non deve più aspettare in panchina, ma per far funzionare meglio scuola, sanità, giustizia, trasporti, sicurezza, enti locali.

Ascolti un consiglio, perché noi per contrastare l'azione scellerata di questo Governo siamo in quest'Aula, senza dormire, da 36 ore, ma evidentemente su questo tema è lei che non si è ancora svegliato da quando è diventato Ministro. Cominci almeno a leggere le migliaia di lettere che riceve ogni giorno - come facciamo noi - e capirà che non è solo il PD a chiedere di cambiare rotta ma è l'intero Paese che è stanco di subire ingiustizie (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

(Iniziative a sostegno della cosiddetta rete anti-violenza, al fine di garantirne l'efficacia e la diffusione sul territorio nazionale - n. 3-02182)

PRESIDENTE. L'onorevole Polidori ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02182 (Vedi l'allegato A).

CATIA POLIDORI (FI-PPE). Presidente, signora Ministro, nella passata legislatura Governo, regioni, province autonome ed enti locali hanno siglato un'intesa volta a modificare i requisiti minimi richiesti ai centri antiviolenza e case rifugio per l'accreditamento e l'accesso alle risorse di quel Fondo per il contrasto delle violenze sulle donne, ripartito dal Dipartimento per le pari opportunità per il tramite delle regioni.

Già nel periodo transitorio diverse regioni ed associazioni della rete antiviolenza hanno evidenziato le forti criticità derivanti dalla restrittività dei criteri che, addirittura, avrebbero potuto compromettere la sopravvivenza di un numero rilevante di centri antiviolenza e case rifugio, con il rischio elevatissimo di esporre le vittime a nuovi e gravi pericoli.

Signora Ministro, le chiedo quali iniziative ha intrapreso o intende intraprendere per garantire la capillarità e l'efficacia della rete antiviolenza.

PRESIDENTE. La Ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità, Eugenia Roccella, ha facoltà di rispondere.

EUGENIA ROCCELLA, Ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità. Grazie Presidente e grazie, davvero, all'onorevole interrogante per questa richiesta, perché il tema posto dal quesito sta molto a cuore a me, personalmente, e a tutto il Governo.

Infatti, il Governo, fin dai primi momenti dopo il suo insediamento, ha quasi raddoppiato i fondi per i centri antiviolenza e per le case rifugio e, ad oggi, anche con il contributo trasversale del Parlamento, le risorse a disposizione del fondo antiviolenza superano gli 80 milioni l'anno e ai centri e alle case rifugio, nell'ultimo riparto annuale, sono stati destinati ben 65 milioni di euro. È evidente, dunque, quanto l'efficacia e la capillarità della rete di accoglienza e protezione nei confronti delle vittime di violenza sia per noi una priorità.

Come ricorda il quesito, alla fine della scorsa legislatura, il 14 settembre 2022, era stata siglata un'intesa fra il Governo di allora e la Conferenza unificata che prevedeva nuovi e più stringenti requisiti per i centri antiviolenza e le case rifugio rispetto a quelli attualmente vigenti e 18 mesi di fase transitoria prima della loro entrata in vigore per adeguarsi.

Durante la fase transitoria le ricognizioni sui territori hanno, però, portato diverse regioni e associazioni a segnalare le conseguenze che i nuovi requisiti avrebbero comportato, ovvero, secondo i dati forniti dalle regioni, la perdita del 15 per cento della possibilità di accesso ai centri e del 41 per cento dei posti nelle case rifugio ad oggi facenti parte della rete antiviolenza, che avrebbero dovuto interrompere la propria attività, lasciando sguarnite intere aree.

Per garantire quindi la continuità della rete territoriale, il mio Ministero, in accordo con la Conferenza unificata, a gennaio del 2024 ha prorogato di 18 mesi l'entrata in vigore dei nuovi requisiti e nel frattempo ha costituito un tavolo tecnico con la partecipazione dei componenti dell'Osservatorio antiviolenza, insediato presso il Dipartimento delle pari opportunità e di un'ampia rappresentanza dei soggetti gestori che compongono la rete antiviolenza indicati dalle regioni.

Recependo le diverse istanze per facilitare la ricerca di una soluzione, il mio Ministero ha sottoposto al tavolo un'ipotesi di revisione dell'intesa che avrebbe mantenuto, per il futuro, i nuovi requisiti salvando però i centri e le case rifugio già operanti e scongiurandone la chiusura. La proposta non ha trovato quel consenso ampio che noi su questo tema riteniamo necessario.

Come ulteriore tentativo, abbiamo richiesto a tutti di far pervenire altre ipotesi, ma in assenza ancora di un accordo fra i soggetti coinvolti, giunta la scadenza della proroga, abbiamo quindi deciso, sempre in accordo con la Conferenza unificata, di procrastinare per un altro anno …

PRESIDENTE. L'onorevole Polidori ha facoltà di replicare.

CATIA POLIDORI (FI-PPE). Signora Ministra, grazie per la risposta puntuale ed esaustiva e anche partecipata.

Io mi permetto di incoraggiarla a proseguire questa attività di ascolto e di interlocuzione con i centri antiviolenza anche perché rappresentano un porto sicuro per tutte quelle donne che hanno fatto una scelta non di certo facile, una scelta non di certo senza dolore, di denunciare e di chiedere aiuto. La scelta è di dignità, è la scelta della salvezza per loro e per i propri figli.

È fondamentale che le istituzioni siano prossime a coloro che stanno sul territorio, che stanno vicino alle vittime di violenza. Quindi, ottimo il tavolo tecnico con i soggetti della rete antiviolenza. Nonostante il nostro impianto normativo, che direi è un ottimo impianto normativo, di cui l'Italia si è dotata negli ultimi anni, i numeri, purtroppo, ci dicono che dobbiamo andare avanti con il nostro lavoro perché i femminicidi sono ancora tantissimi e le vittime di violenza sono ancora tante. Ed è per questo che condividiamo la decisione di continuare a mediare e di concedere altro tempo, in modo che ci sia continuità nel servizio di questi soggetti e soprattutto capillarità territoriale in tutta Italia, perché questi centri rappresentano, spesso, il primo campanello di quel portone che, peraltro, si è sempre aperto, dove queste donne suonano per essere aiutate nell'immediato, ma anche dopo un lungo percorso, per essere accolte e protette in maniera gratuita e in tutta riservatezza.

Quindi, è per questo che, pur nel rispetto dei requisiti minimi, perché i requisiti minimi sono ovviamente a garanzia sia degli utenti sia della tracciabilità dei denari pubblici erogati, dobbiamo continuare ad aiutare in questa mediazione.

Noi di Forza Italia, da liberali quali siamo, vogliamo solo appoggiarla e fare in modo che lei non faccia nessun passo indietro in questa battaglia di libertà, una battaglia fondamentale. Ogni vita salvata è il successo non solo….

(Iniziative di competenza volte a tutelare la dignità e le pari opportunità tra le persone, con particolare riguardo alla libertà di espressione e di manifestazione del pensiero - n. 3-02183)

PRESIDENTE. La deputata Morgante ha facoltà di illustrare l'interrogazione Bignami ed altri n. 3-02183 (Vedi l'allegato A), di cui è cofirmataria.

MADDALENA MORGANTE (FDI). Grazie, Presidente. Ministro, l'assassinio di Charlie Kirk, trentunenne giovane padre di famiglia, cristiano conservatore, ha riaperto drammaticamente il tema della libertà di espressione, principio fondamentale democratico. L'Italia ha sempre difeso i principi democratici, ma oggi più che mai tale libertà è in pericolo. Ministro, sappiamo che lei più volte si è soffermata a lungo sulla differenza tra dissenso e censura, tra contestazione e bavaglio, ma sappiamo anche come le pari opportunità si fondino sul principio di uguaglianza, che indica che ognuno ha il diritto di esprimere pacificamente e liberamente il proprio pensiero ma anche il proprio dissenso.

La censura, Ministro, è una forma di violenza e noi siamo contro qualsiasi forma di violenza nei confronti di chiunque perché crediamo fortemente nella dignità della persona.

Le chiediamo, pertanto, signor Ministro, quali siano gli interventi del Ministero sul punto, ma anche quali possano essere gli strumenti più adeguati per la tutela delle pari opportunità (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia)

PRESIDENTE. La Ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità, Eugenia Roccella, ha facoltà di rispondere.

EUGENIA ROCCELLA, Ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità. Grazie, Presidente. In tutto il mondo, l'assassinio di Charlie Kirk ha prodotto un'immensa reazione politica ed emotiva. Non è accaduto così in Italia dove molti si sono scagliati contro la vittima con la più classica delle motivazioni da vittimizzazione secondaria: se l'è cercata.

Ma chi è vittima, e lo è della più irrimediabile delle violenze, l'omicidio, non è mai qualcuno che se l'è cercata. Se non sappiamo riconoscere questo fondamentale crinale, la differenza radicale e drammatica fra chi esercita e chi subisce la violenza, perdiamo il senso profondo della fratellanza e della solidarietà fra esseri umani. Perdiamo, come diceva Sciascia, la nostra qualità di uomini e umani.

Charlie Kirk, qualunque fossero le sue idee, era una persona che girava le università per discutere, per parlare, per confrontarsi, senza rete e senza censure. Per questo il suo agghiacciante assassinio ha sconvolto il mondo. Per questo il fatto che tanti professionisti dell'insulto abbiano accolto la morte di un ragazzo di 31 anni, colpevole appunto di esprimere le proprie idee e sottoporle al confronto, con un giustificazionismo intollerabile, dà l'idea della distanza siderale che separa ormai la narrazione mainstream, ormai solo elitaria, dal solido senso comune. Un senso comune che l'affermarsi in Italia e in Occidente di una classe politica affezionata alla verità dei fatti e alla libertà di opinione sta liberando da censure e autocensure.

Rivendicare uno spazio di parola non è solo il presupposto per la democrazia, è anche un elemento essenziale della promozione delle pari opportunità.

Significa, pari opportunità, uguaglianza di possibilità a fronte della differenza di sesso, di opinione e di pensiero, di espressione. Vale per le donne come per tutti gli altri. E vale per ogni essere umano al quale venga impedito di esprimersi. Tutti ci poniamo l'obiettivo di diffondere una cultura del rispetto che porti a riconoscere l'altro nella sua unicità ma questo non è possibile se non attraverso un dibattito aperto e libero, in cui ci possa essere una incruenta e stimolante battaglia culturale, a parità di strumenti, di condizioni e di occasioni. Abbiamo visto aule universitarie, che dovrebbero essere luogo elettivo del confronto, vietate a Joseph Ratzinger e oggi a giornalisti e intellettuali ebrei. Abbiamo visto ieri un'irruzione nell'università di Pisa che ha impedito una lezione e colpito un professore. Chi tra noi ha vissuto gli anni Settanta conosce bene tutto questo e sa qual è il rischio di sottovalutare e di parlare di compagni che sbagliano. Oggi non è possibile ignorare i segnali, confondere la contestazione con l'imposizione del silenzio, cioè con la censura, l'esclusione, l'intolleranza. Siamo tutti mobilitati perché tutto ciò non accada, anzi non torni ad accadere. Questo non vuol dire abbassare i toni, ma accettare la libertà di parola e porre le condizioni perché si possa esercitare.

PRESIDENTE. La deputata Montaruli, cofirmataria dell'interrogazione, ha facoltà di replicare.

AUGUSTA MONTARULI (FDI). Grazie, signor Ministro. Ringrazio lei e tutto il Governo per la presa di posizione netta anche a fronte dell'assassinio di Charlie Kirk e, in particolare, a difesa del pluralismo. Lei l'ha ricordato molto bene e noi, come Fratelli d'Italia, abbiamo scelto di non accodarci ai mistificatori e a coloro che vogliono aggiungere odio su odio. Per questo abbiamo chiesto al Presidente della Camera un minuto, un momento di raccoglimento proprio per ricordare quella tragica morte, perché di questo, innanzitutto, si parla. Ma si parla anche di un uomo, di un padre, di un marito, di un conservatore che ha pagato per le proprie idee e nessuno, in America come in Italia, può pagare per le proprie idee. Purtroppo, come lei ha già anche osservato, anche all'interno delle università, che dovrebbero essere il tempio del pluralismo, si sono verificati degli episodi di intolleranza. Charlie girava le università e proprio - guarda caso - nelle università noi abbiamo i peggiori atti di mistificazione della sua figura, ma anche i peggiori atti di violenza non soltanto verbale. Lei ha ricordato l'episodio di Pisa, ma io voglio ricordare anche l'episodio di Torino, che si è propagandato in queste ore, che è diffuso in queste ore, dove addirittura il rettore ha allontanato un professore a causa delle proprie idee. Questo non può avvenire e chiede un impegno importante di ognuno di noi, da cui deriva la necessità di questo question time. Allora, voglio ricordare innanzitutto le parole della moglie di Charlie, che ha detto che le grida di lei, vedova, sarebbero riecheggiate in tutto il mondo come un grido di battaglia. Quella del pluralismo è la nostra battaglia (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

(Iniziative per la riforma dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), con particolare riguardo alle famiglie con figli a carico - n. 3-02184)

PRESIDENTE. Il deputato Alessandro Colucci ha facoltà di illustrare l'interrogazione Lupi ed altri n. 3-02184 (Vedi l'allegato A), di cui è cofirmatario.

ALESSANDRO COLUCCI (NM(N-C-U-I)M-CP). Grazie, Presidente. Signora Ministra, le ultime previsioni dell'Istat prevedono che la popolazione italiana nei prossimi 25 anni diminuirà di 4 milioni di persone, scendendo sotto i 55 milioni di residenti, e che una famiglia su quattro sarà formata da una sola persona. Il gruppo di Noi Moderati ha apprezzato il sostegno alle famiglie avviato dal Governo con le nuove misure introdotte per il 2023 e il 2024 ed anche l'apertura ad una riflessione sull'indicatore della situazione economica equivalente, noto come ISEE. Noi crediamo, signora Ministra, che sia necessaria una vera e propria riforma dell'ISEE per renderlo più equo, soprattutto per le famiglie con figli a carico. Considerato che come Governo e maggioranza di centrodestra abbiamo messo al centro la famiglia come mai in precedenza, con importanti interventi ma anche come potente messaggio culturale, e che la commissione sulla riforma dell'ISEE, che lei presiede, sta terminando il suo lavoro, per non trascurare poi la…

PRESIDENTE. La Ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità, Eugenia Roccella, ha facoltà di rispondere.

EUGENIA ROCCELLA, Ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità. Grazie, Presidente. Premessa della mia risposta a questo quesito è il fatto che il nostro Governo ha sempre considerato le politiche familiari qualcosa di diverso dalle politiche assistenziali. Queste ultime sono politiche di assistenza e sostegno nelle situazioni di fragilità e contro la povertà. Le politiche familiari sono, invece, politiche attive, che ovviamente danno priorità ai nuclei più in difficoltà, ma presentano un approccio universalistico e sono rivolte alla natalità, alla crescita dei figli e alla loro educazione. Su entrambi i fronti il Governo ha prestato la massima attenzione alle famiglie con figli, tanto nelle misure assistenziali, come l'assegno di inclusione, quanto nel potenziamento delle politiche familiari, attraverso, per esempio, l'aumento dell'assegno unico, dei congedi parentali e dei rimborsi per l'asilo nido.

Per quanto riguarda le politiche familiari, anche grazie al lavoro del tavolo tecnico-politico sull'ISEE da me coordinato e composto dalle diverse amministrazioni e dai colleghi di Governo interessati, che sta lavorando dal marzo 2024, abbiamo puntato con decisione a superare la vecchia logica dello Stato che con una mano dà, introducendo misure di sostegno per le famiglie, e con l'altra toglie, facendo incidere gli aiuti sugli indicatori di reddito che regolano l'accesso ad altre prestazioni.

Fin dall'inizio, ad esempio, abbiamo assicurato che la percezione dell'assegno unico non avrebbe inciso sulla soglia ISEE per le nuove prestazioni che il nostro Governo avrebbe introdotto e così è stato. L'assegno unico non fa reddito ai fini ISEE per la quantificazione dello stesso assegno unico, per l'assegno di inclusione, per la richiesta del bonus nido e del contributo per i nuovi nati e lo stesso principio sarà rispettato nell'erogazione per le nascite nelle aree montane, previsto dalla legge sulla montagna approvata la scorsa settimana. Allo stesso modo, specularmente, il cosiddetto bonus mamme, sempre introdotto dal nostro Governo, non incide ai fini del calcolo dell'assegno unico. Altra tappa importante, già compiuta nel percorso di revisione dell'ISEE, è quella dell'esclusione dei titoli di Stato, dei buoni fruttiferi postali e dei libretti di risparmio postale dal calcolo dell'indicatore per un massimo di 50.000 euro a famiglia.

Il Governo, quindi, da un lato si è dato un metodo, evitando, a differenza del passato, che ogni prestazione cannibalizzi le altre e, dall'altro lato, sta costruendo un'azione più ad ampio raggio che prosegue a ritmo intenso in sede di tavolo tecnico-politico, le cui proposte conclusive all'esito dei lavori - a breve - contribuiranno a promuovere una società accogliente nella quale un figlio, oltre che una gioia privata, sia considerato una ricchezza per tutti.

PRESIDENTE. L'onorevole Alessandro Colucci ha facoltà di replicare.

ALESSANDRO COLUCCI (NM(N-C-U-I)M-CP). Grazie, Presidente. Signora Ministra, siamo soddisfatti perché condividiamo il metodo che lei ha descritto e anche le azioni concrete che il Governo e questa maggioranza hanno posto in essere a sostegno della famiglia. Vorrei aggiungere alcuni passaggi importanti su cui anche Noi Moderati ha dato il suo contributo. Nella legge di bilancio del 2023, 2024 e 2025 abbiamo innalzato, come anche lei ha ricordato, la retribuzione di un numero sempre crescente di mensilità dei congedi parentali, come nel bilancio del 2024 e 2025, dove abbiamo previsto la decontribuzione per le madri, che è veramente un aiuto concreto per aumentare la busta paga delle giovani famiglie; per non dimenticare poi, nel 2025, l'aver definito il nuovo modello per le detrazioni fiscali legato al numero di figli, che consideriamo, tra l'altro, il primo passo verso il quoziente familiare.

Vogliamo lavorare con lei, di cui conosciamo la sensibilità e per cui la ringraziamo, anche per la legge di bilancio 2026-2028, andando nella direzione della semplificazione per le misure dedicate alle famiglie, concentrando ulteriormente le risorse come negli ultimi anni per evitare interventi che creino effetti controproducenti per le famiglie. Altro punto importante è continuare verso il quoziente familiare, che so essere un tema a lei caro, e l'innalzamento della retribuzione dei congedi e, infine, sostenere il reddito dei giovani (sostegno, quindi, per diventare genitori). Da questo non possiamo trascurare l'accesso alla casa, che è uno degli aspetti che dobbiamo affrontare con serenità.

Signora Ministra, Noi Moderati è una forza politica liberale, popolare e riformista e crediamo che la famiglia sia il pilastro fondante della nostra società. Sosteniamola e avremo un'Italia migliore (Applausi dei deputati del gruppo Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare).

(Iniziative di competenza per il contrasto alla violenza di genere sulle piattaforme social, anche attraverso l'adozione di strumenti di controllo e di identificazione al fine di evitare gli abusi legati all'anonimato in rete - n. 3-02185)

PRESIDENTE. La deputata Bonetti ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-02185 (Vedi l'allegato A).

ELENA BONETTI (AZ-PER-RE). Grazie, Presidente. Gli avvenimenti recenti che hanno messo in evidenza l'esistenza di piattaforme social con un chiaro profilo sessista hanno acceso il faro nel dibattito pubblico su un fenomeno odioso e troppo spesso dimenticato e taciuto che deve essere chiamato con il nome che ha: violenza contro le donne, anche sulle piattaforme web. D'altra parte, la strategia nazionale di contrasto alla violenza lo aveva individuato come uno dei nodi critici su cui lavorare nelle varie fasi che questa intercetta: la prevenzione e la protezione delle vittime, ma anche l'individuazione e la punizione dei colpevoli. Ecco, in questa direzione riteniamo che l'individuazione e il tracciamento di una identificazione di responsabilità chiara possano aiutare a raggiungere questo scopo. Azione ha presentato una propria proposta, ma vogliamo capire il Governo come intende lavorare (Applausi dei deputati del gruppo Azione-Popolari Europeisti Riformatori-Renew Europe).

PRESIDENTE. La Ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità, Eugenia Roccella, ha facoltà di rispondere.

EUGENIA ROCCELLA, Ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità. Grazie, Presidente. Credo che raramente un Governo si sia dimostrato consapevole quanto il nostro della specificità del fenomeno della violenza contro le donne, della lesione della libertà, della dignità e di ogni forma di prevaricazione. Lo abbiamo fatto con il disegno di legge sul reato di femminicidio, con il Libro bianco per la formazione degli operatori, che si occupa anche di violenza online, e da ultimo con il nuovo piano contro la pedopornografia che affronta tra gli altri il tema della differenza di esposizione tra bambini e bambine, anche in questo caso, come per il femminicidio, non certo per stabilire una differenza etica o una classifica di gravità, ma per evidenziare la specificità del fenomeno legata alla differenza sessuale. Tenendo quindi ben salda questa consapevolezza, tuttavia, non si può non tenere conto del quadro più complessivo nel quale i fenomeni si iscrivono, un quadro che nel caso della galassia digitale presenta una quantità magmatica di fattispecie, di situazioni, di insidie in un contesto in cui il confine fra sfera privata e dimensione pubblica risulta sempre più labile e permeabile. Il Governo si è posto fin da subito l'obiettivo di favorire una fruizione consapevole del digitale e lo ha fatto innanzitutto partendo dai minori, che sono da un lato i più esposti, per la familiarità con il progresso tecnologico, dall'altro i più vulnerabili. Il tema è stato al centro degli interventi in materia di cyberbullismo e di alfabetizzazione digitale e soprattutto è stato affrontato attraverso il cosiddetto decreto Caivano, che ha potenziato l'utilizzo del parental control e della norma sulla verifica dell'età per l'accesso ai siti pornografici introdotta dal Parlamento in sede di conversione del decreto e della quale abbiamo seguito il complesso iter in Europa.

Ho citato quest'ultimo aspetto perché l'Italia si è dotata di strumenti legislativi all'avanguardia, siamo fra i primi in Europa, ma a livello europeo la regolamentazione del digitale è considerata materia molto sensibile e gravida di implicazioni.

Nonostante questo, il Governo non è stato a guardare, non abbiamo dovuto attendere l'esplosione mediatica dei recenti casi per varare una legge ed è in dirittura d'arrivo in Parlamento una legge sulle nuove tecnologie che introduce una tutela penale contro l'illecita diffusione di contenuti generati o manipolati con sistemi di intelligenza artificiale. Ricordo anche il potenziamento del regime sanzionatorio per il revenge porn, la diffamazione aggravata e l'accesso abusivo ai sistemi informatici. Segnalo che la nuova direttiva europea contro la violenza sulle donne, che l'Italia si è impegnata a recepire a breve, prevede interventi specifici rispetto alla condivisione non consensuale di materiale intimo o manipolato. Per il recepimento di questa direttiva è in fase di costituzione un tavolo di lavoro che rappresenterà una delle sedi più idonee a definire ulteriori strumenti di intervento.

PRESIDENTE. La deputata Bonetti ha facoltà di replicare.

ELENA BONETTI (AZ-PER-RE). Grazie, Presidente. Ministra, ci lasci dire che credo sia un segno di alta maturità di queste istituzioni il fatto che i Governi, come il vostro Governo, su questo tema specifico, sappia continuare l'incisività dell'azione dei Governi precedenti, delle legislature precedenti, che hanno individuato, come lei giustamente ha richiamato, la violenza contro le donne come un fenomeno talmente grave che necessita di un'azione incisiva, continuativa, che sicuramente non può essere ascritta ad una parte o all'altra dell'arco parlamentare.

Proprio in questa direzione noi condividiamo le iniziative trasversali che si intendono portare avanti, che riconoscono che il web non può essere il luogo dell'impunità della violenza agita contro le donne. Azione è stato il primo partito a presentare una proposta di legge che proprio intercetta la questione dell'accesso online, in particolare per i minori, che lei ha citato nella sua relazione, e che introduce nell'alveo del regolamento europeo un meccanismo molto chiaro di identificazione, di certificazione - in quel caso anche anagrafica - da parte dei prestatori di servizi fiduciari accreditati in base proprio al regolamento europeo. Quindi, una sorta di codice di accesso che, da un lato, mantiene la riservatezza e la privacy di chi entra nel web, ma che, nello stesso tempo, identifica una responsabilità dell'eventuale agito nel web. Ecco, questo è uno strumento importante, che noi mettiamo a disposizione del dibattito parlamentare e del Governo, proprio per andare a proteggere maggiormente le donne e a evidenziare eventualmente profili di responsabilità su cui intervenire prontamente (Applausi dei deputati del gruppo Azione-Popolari Europeisti Riformatori-Renew Europe).

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata.

Sospendiamo a questo punto la seduta, che riprenderà nella giornata di domani, giovedì 18 settembre, alle ore 12, per la votazione finale del disegno di legge costituzionale in materia di ordinamento giurisdizionale. Rammento che, a norma dell'articolo 138, primo comma, della Costituzione, per l'approvazione in seconda deliberazione occorre la maggioranza assoluta dei componenti della Camera.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta sono complessivamente 89, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna.

La seduta è sospesa e riprenderà alle ore 12 di domani, 18 settembre.

La seduta, sospesa alle 16 del 17 settembre 2025, è ripresa alle 12 del 18 settembre 2025.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla ulteriore ripresa antimeridiana della seduta odierna sono complessivamente 86, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta in corso (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Si riprende la discussione.

(Votazione finale ed approvazione - A.C. 1917-B​)

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.

Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul disegno di legge costituzionale n. 1917-B (Il deputato Casu: “Presidente! Sull'ordine dei lavori!”). Se sono interventi sull'ordine dei lavori dopo il voto… Sull'ordine dei lavori dopo il voto…

Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul disegno di legge costituzionale n. 1917-B: "Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare" (Approvato, in prima deliberazione, dalla Camera e approvato, senza modificazioni, in prima deliberazione, dal Senato) (Proteste di deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra).

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione )

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera approva (Vedi votazione n. 1) (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia, Lega-Salvini Premier, Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE e Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare).

Ricordo che, a norma dell'articolo 138, primo comma, della Costituzione, per l'approvazione di progetti di legge costituzionali in seconda deliberazione occorre la maggioranza assoluta dei componenti della Camera (Prolungati applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia, Lega-Salvini Premier, Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE e Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare, che si levano in piedi; applausi di membri del Governo, alcuni dei quali si levano in piedi - Vive proteste dei deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra)… Adesso la deputata Braga sull'ordine dei lavori (Dai banchi dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra si grida: “Basta! “Vergogna!”)…Colleghi, ascoltiamo la deputata Braga sull'ordine dei lavori, per favore.

CHIARA BRAGA (PD-IDP). Presidente, i banchi del Governo (Reiterate proteste dei deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra - Il deputato Casu: “I membri del Governo non possono applaudire!”).

PRESIDENTE. Colleghi… Onorevole Sisto…

CHIARA BRAGA (PD-IDP). Presidente, non si applaude dai banchi del Governo!

PRESIDENTE. Colleghi, vi prego. Colleghi, per favore (Vive proteste dei deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra)…Vice Ministro Sisto… Accomodatevi. Prego i signori Ministri di accomodarsi. Signori Ministri, accomodatevi. Ministra della Famiglia, prego. Colleghi, per favore. Colleghi, per favore. Colleghi, per cortesia. Ha chiesto di intervenire e ascoltiamo sull'ordine dei lavori la deputata Chiara Braga. Vi prego, silenzio, per cortesia. Grazie, prego, onorevole Braga.

Sull'ordine dei lavori.

CHIARA BRAGA (PD-IDP). Grazie, Presidente. Il Governo dovrebbe alzarsi in quest'Aula a venire a rispondere a quello che le opposizioni hanno chiesto da giorni, di fronte alla tragedia immane, alla catastrofe, all'enormità di quello che sta accadendo a Gaza, anziché fare questa scena patetica (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra - Il deputato Donno: “Vergogna! Influencer!”), di cui anche il Ministro degli Esteri si è reso protagonista: alzarsi in piedi e applaudire (Il Ministro Tajani si leva in piedi e, rivolgendosi alla Presidenza: “È falso, non ho applaudito!”; rivolge quindi commenti indicando i banchi dell'opposizione - Proteste dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia, Lega-Salvini Premier, Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE e Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare). Non ho finito, Presidente… Presidente (I deputati Fornaro e Amendola, scendendo nell'emiciclo, si rivolgono protestando verso i banchi del Governo - Deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra scendono al centro dell'emiciclo e si dirigono verso i banchi del Governo)… no, no, no, non adesso… non è adesso il momento…

PRESIDENTE. Colleghi… No, no, calma, calma… Calma, fermi! Fermi, per favore (Proteste dei deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra). Cortesemente (Proteste del Ministro Tajani)… Signor Ministro, si accomodi, la prego. No, no, vi prego. Signori Questori, per favore, intervenite. Chiedo ai Questori di intervenire. Signori… Signor Ministro, la prego. Signor Ministro, si accomodi. Chiedo a tutti i colleghi di tornare sugli scranni. Signor Ministro, signor Ministro, si accomodi per cortesia. Recuperiamo tutti la calma (Vive proteste dei deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra - Il deputato Grimaldi: “Deve sedersi Tajani!”)… Per favore, per favore (Il deputato Donno nell'emiciclo: “Sei vergognoso, vattene a casa!Il deputato Caiata nell'emiciclo: “Vai a sederti, Donno!”). Per favore, onorevole Donno, la prego (Vive proteste dei deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra, che stazionano al centro dell'emiciclo)… Questori, Questori. Per favore, per favore. Ministro, Ministro, si accomodi. Allora, vi prego, recuperiamo tutti quanti la calma e diamo la parola, per continuare il suo intervento, alla deputata Braga (Vive proteste del deputato Donno, che si dirige verso i banchi del Governo)… Onorevole Donno, onorevole Donno (Scambio di apostrofi tra i deputati Battistoni e Donno nell'emiciclo - Scambio di apostrofi tra i deputati Barelli e Donno nell'emiciclo - Intervengono gli assistenti parlamentari - Deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE si dirigono al centro dell'emiciclo - Scambio di apostrofi tra deputati dei gruppi Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE e MoVimento 5 Stelle)… La seduta è sospesa. La seduta è sospesa.

La seduta, sospesa alle 12,07, è ripresa alle 12,09.

PRESIDENTE. La parola alla deputata Braga, prego.

CHIARA BRAGA (PD-IDP). Grazie, signor Presidente. Di fronte all'enormità di quello che sta avvenendo, è impensabile che questo Parlamento non possa ricevere una risposta dovuta a una richiesta che abbiamo formulato - come lei sa - da diversi giorni alla Presidenza, di rivolgere al Governo un invito, una richiesta di venire a fornire comunicazioni, con la Presidente del Consiglio Meloni, sulla situazione che si sta verificando e si sta aggravando, di ora in ora, a Gaza e in Cisgiordania, perché tutti noi leggiamo quel bollettino di vittime inaccettabile (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra). Sono stati attaccati due ospedali, 80 vittime solo questa mattina, e chissà quali altre saranno le parole inaccettabili del Ministro Smotrich che ha descritto la Striscia come una miniera di oro immobiliare.

Io non posso credere che il Governo italiano e questo Parlamento non sentano il dovere di discuterne qui e di farlo in un momento delicatissimo e particolare in cui, seppure con ritardo, finalmente l'Europa si muove e propone l'iniziativa di decidere delle sanzioni. Noi dobbiamo assistere, da un lato, alla vicenda surreale e inaccettabile del rappresentante italiano nella Commissione che non partecipa alla riunione della Commissione (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra).

Ieri, il commissario Fitto non ha partecipato a quella discussione che c'è stata in Europa. Perché? Abbiamo il dovere di sapere, Ministro, qual è la posizione del Governo italiano, perché se è vero, come pare, che sia proprio il Governo italiano a non consentire, con la sua posizione ambigua, l'assunzione e la deliberazione di sanzioni al Governo israeliano, noi abbiamo il dovere di discuterne qui. Voi dovreste sentire il dovere di garantire a questo Parlamento di confrontarsi, di parlarne, di avere qui la Presidente del Consiglio, di votare e assumervi la responsabilità di votare un atto di indirizzo per rappresentare quella che deve essere la posizione italiana.

Io credo che lo dobbiamo alla dignità di questo Parlamento, ma anche a quelle migliaia di persone e a quel popolo della pace che da settimane, fuori di qui, ci chiede di non stare zitti, di non essere complici e di non essere inerti di fronte a quello che sta succedendo (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra - La deputata Scarpa: “Complici, complici!”).

Presidente, noi le rivolgiamo di nuovo questa richiesta: ci dica cosa intende fare il Governo. Ci dica cosa ha fatto la Presidenza per chiedere al Governo di venire qui e alla Presidente del Consiglio di confrontarsi con questo Parlamento e di votare e indicare qual è la strada che dobbiamo - non vogliamo, ma dobbiamo - perseguire in queste ore (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, sull'ordine dei lavori, l'onorevole Fratoianni. Ne ha facoltà.

NICOLA FRATOIANNI (AVS). Grazie, signor Presidente. Mi associo alla richiesta della collega Chiara Braga. Abbiamo ripreso i nostri lavori con un'informativa del Ministro degli Esteri che ci ha parlato di quello che succede in tutto il mondo: a Gaza (ma non era ancora cominciata l'offensiva di terra), in Ucraina e sul fronte della guerra commerciale. Un'informativa che ha chiesto ai parlamentari della Repubblica in 7 minuti - in 7 minuti! - di esprimersi su quello che sta accadendo nel mondo in fiamme che abbiamo di fronte.

Contemporaneamente, da settimane e da mesi, tutte le opposizioni chiedono al Governo e alla Presidente del Consiglio di venire in Aula a riferire sulla posizione del Governo italiano.

Allora, noi torniamo a chiederlo qui ora: che cosa volete fare, signor Ministro? Qual è la posizione del nostro Governo? Come voterete in Europa nei prossimi giorni e nelle prossime ore? Che posizione assumerete (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Verdi e Sinistra e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)?

Le ricostruzioni giornalistiche di questa mattina sono francamente inquietanti e anche un po' indecenti. Fanno vergognare un poco tutti noi. Le avrà lette, vero? Sono le ricostruzioni che ci dicono di una posizione del Governo che si prepara, forse, a dire “sì” alle sanzioni che richiedono l'unanimità, contando con certezza sul fatto che qualche altro Paese, magari l'infame Ungheria di Orbán, si caricherà la responsabilità di porre il veto (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Verdi e Sinistra e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

Invece, è un Governo molto attivo per garantire che non ci sia, anche con la propria diretta responsabilità, la maggioranza qualificata perché si impongano le sanzioni sul terreno commerciale che fanno ben più paura delle sanzioni individuali ai Ministri messianici del Governo israeliano (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Verdi e Sinistra e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Anche perché, signor Presidente, signori Ministri e signori e signore del Governo, il punto non è colpire Smotrich o Ben Gvir. Il punto non è colpire i cosiddetti coloni violenti. Ciò che fanno Smotrich e Ben Gvir e ciò che fanno quotidianamente i coloni violenti lo fanno perché sono coperti e sostenuti dal Governo di Israele e dall'esercito israeliano che si comporta ogni giorno di più come uno Stato canaglia e un Governo terrorista a tutti gli effetti (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Verdi e Sinistra, Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e MoVimento 5 Stelle).

Allora, noi pretendiamo che, dopo le parole vuote e l'ipocrisia che, sì, si trasforma in complicità… Ho ascoltato le sue parole ieri nel comizio, signor Ministro. Ha detto: noi non siamo complici con quello che accade e col genocidio. Bene, ha pronunciato la parola “genocidio”. C'è un piccolo passo avanti, ma non basta. Lo siete finché non vi schiererete dalla parte giusta della storia (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Verdi e Sinistra e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

Allora, per questo è ancora più insopportabile la scenetta che avete offerto. Lei si è arrabbiato e ha detto: “non ho applaudito”. È vero, lo confermo: lei non ha applaudito. Ma non ha fatto nulla per richiamare il Vice Ministro e i Sottosegretari che applaudivano e tifavano dai banchi del Governo. È una vergogna (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Verdi e Sinistra, Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e MoVimento 5 Stelle)! È una vergogna! Festeggiate fuori dall'Aula, stappate champagne, ma rispettate il Parlamento, visto che non rispettate l'onore di questo Paese, laddove potreste farlo in Europa e nel consesso internazionale (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Verdi e Sinistra, Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e MoVimento 5 Stelle)! Rispettate almeno il Parlamento, finché state seduti lì, perché siete Ministri anche nostri, anche se siete della maggioranza contro cui ci battiamo (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Verdi e Sinistra, Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e MoVimento 5 Stelle, che si levano in piedi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, sull'ordine dei lavori, l'onorevole Riccardo Ricciardi. Ne ha facoltà.

RICCARDO RICCIARDI (M5S). Noi abbiamo chiesto che il Governo venisse in Aula con delle comunicazioni, perché vogliamo sentire la Meloni (Il deputato Maschio: “Presidente Meloni”), nero su bianco, votare su degli impegni precisi. Ma oggi si manifesta in maniera evidente e plastica tutta l'ipocrisia di questa maggioranza e di questo Governo, perché, invece di venire in Aula a fare delle comunicazioni su questo, portate la mozione sull'istituzione della Giornata nazionale su San Francesco. Ma quanta ipocrisia c'è in questo (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)? Ma quanto schifo c'è in questo, di strumentalizzare anche San Francesco, non discutere di un genocidio e, contemporaneamente, invece, nascondersi dietro la figura forse più importante di tutta la cristianità italiana, essendo il nostro Santo patrono?

Allora, ieri, lei, Ministro, ha chiamato in causa il Movimento 5 Stelle. Ha chiamato in causa il nostro presidente Conte, chiedendo di abbassare i toni e rivendicando il fatto che voi non siete complici di nessun crimine.

Avete riconosciuto all'ONU lo Stato della Palestina? No, siete complici (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Avete seguito il pronunciamento della Corte internazionale che proclama Netanyahu genocida? No! Siete complici (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)! Avete mai chiamato “criminale” Netanyahu? No! Siete complici (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)! Avete mai sanzionato Israele? No! Siete complici (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle - Deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle ripetono in coro: “Complici!”)! Avete firmato e prorogato due mesi fa il memorandum di cooperazione militare con Israele? Sì! Quindi siete complici (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle e di deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra - Deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle ripetono in coro: “Complici!”)! È stata triplicata l'importazione di armi con Israele e continuate a esportare armi con Israele? Sì! Siete complici (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle - Deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle ripetono in coro: “Complici!”)!

Ieri, quando si è parlato per la prima volta, in un sussulto di dignità in Europa, di sanzionare Israele, Fitto si è alzato da quella sede. E perché si è alzato? Perché siete complici (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle - Deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle ripetono in coro: “Complici!”)! Avete dato protezione internazionale alla Flotilla? No! Siete complici (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle - Deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle ripetono in coro: “Complici!”)! Allora, venite in Aula… Lei ride, Ministro, meno male che ha la faccia di ridere, meno male che ha il coraggio di ridere mentre parliamo di 70.000 morti (Proteste di deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Colleghi, colleghi, per favore!

RICCARDO RICCIARDI (M5S). Allora, venite in Aula e scrivetevi degli impegni così, quando prenderete questi impegni e li voterete, allora noi saremo qui a dirvi: da oggi in poi non siete più complici. Ma fatelo (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, sull'ordine dei lavori, l'onorevole Faraone. Ne ha facoltà.

DAVIDE FARAONE (IV-C-RE). Presidente, mi perdoni. Al di là della scena abbastanza ridicola dai banchi del Governo di Sottosegretari e Vice Ministri che saltellavano… Credo che anche lei dovrebbe richiamare a un comportamento consono i componenti del Governo.

PRESIDENTE. L'ho fatto. L'ho fatto.

DAVIDE FARAONE (IV-C-RE). Però, al di là di questo, io credo che le opposizioni, al di là di quello che pensiamo di tutto ciò che sta accadendo in Medio Oriente, che sta diventando anche, però, abbastanza oggettivo, Presidente… perché fino a ieri la Premier ha dichiarato che Netanyahu è andato oltre. Ora, rispetto a questo atteggiamento, che oggettivamente dovremmo avere come forze politiche nei confronti di un Governo, il Governo Netanyahu, che ha superato tutti i limiti - perché anche chi, come noi, dopo il 7 ottobre aveva sempre avanzato le considerazioni di chi capiva e comprendeva la reazione del Governo israeliano -, oggi c'è il Governo italiano che, di fronte a una presa di posizione della Commissione europea, dovrà pronunciarsi sulle sanzioni. Non soltanto le sanzioni nei confronti di Israele, ma anche rispetto alle sanzioni su Ministri come Smotrich, che ha dichiarato fino a ieri - non ricordo se l'ha fatto Fratoianni o la collega Braga, hanno ricordato quello che ha dichiarato il Ministro delle finanze israeliano - circa il business che lui, insieme agli Stati Uniti, potrà avanzare dopo aver raso al suolo Gaza.

Ora, siccome il Governo si dovrà pronunciare sulle decisioni della Commissione europea, io credo che sia quantomeno opportuno, anzi, dovrebbe essere il Ministro Tajani stesso a dire che verrà in Parlamento per ascoltare le forze parlamentari, prima di una pronuncia di quel tipo. Quindi, la richiesta di ascoltare il Governo e di poter pronunciare noi le nostre posizioni non è una prevaricazione delle opposizioni, ma è una richiesta naturale che dovrebbe venire direttamente dal Governo. Tajani dovrebbe dire “verrò in Aula prima di quella decisione”, anziché rimandare a ricostruzioni giornalistiche che anche io, come Fratoianni, spero siano soltanto ricostruzioni inventate. Perché se un Governo, come quello italiano, aspetta che Netanyahu finisca il suo lavoro - perché l'altra variante è quella “speriamo che faccia presto, e quindi il nostro voto sarà un voto inutile” - oppure, addirittura, spera che altri Paesi si sporchino le mani per non prendere una posizione, credo che sarebbe abbastanza grave.

Quindi, siccome è una ricostruzione giornalistica e non abbiamo ascoltato alcun Ministro dire queste cose, neanche la Premier, venissero in Aula istantaneamente per dirci che intenzioni hanno, come vogliono votare, e poi ascoltassero anche le forze presenti in Parlamento, in modo, magari, da poter sentire qualche contributo per poter condizionare la posizione del Governo. Per cui, anche noi chiediamo che il Governo venga immediatamente in Aula per farci ascoltare finalmente la sua voce (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva-il Centro-Renew Europe).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, sempre sull'ordine dei lavori, l'onorevole Magi. Ne ha facoltà. Accendete il microfono all'onorevole Magi. Prego.

RICCARDO MAGI (MISTO-+EUROPA). Grazie, Presidente. Io vorrei che al Presidente Fontana arrivasse con tutta la forza possibile la richiesta che le opposizioni hanno fatto, perché non è accettabile che, se questo Governo ha maturato delle mutazioni sulla linea di politica estera, queste siano ricondotte unicamente all'interno dei comizi elettorali. Non è accettabile, Ministro Tajani, e non è accettabile che la Presidente Meloni ignori la richiesta delle opposizioni.

Da quando lei, Ministro Tajani, è venuto in quest'Aula, sono accadute delle cose. È accaduta una vera, reale, tragica escalation, che a nostro avviso non può essere definita, come ha fatto la Presidente Meloni ieri, una reazione sproporzionata. Non siamo nell'ambito della reazione sproporzionata, siamo nell'ambito della reazione criminale. Noi vogliamo comprendere se la postura, la posizione e il voto che questo Governo avrà in seno alle istituzioni europee saranno di sostegno o meno alla proposta di sanzioni che è stata avanzata dalla portavoce per la politica estera dell'Unione europea, Kallas. Non lo abbiamo compreso, perché, se le esternazioni restano confinate in un comizio elettorale, nei social e nei telegiornali che voi sapientemente controllate, e non in un dibattito parlamentare, questa chiarezza è impossibile che ci sia.

Io auspico che il Presidente della Camera faccia valere tutta l'autorevolezza di un Presidente della Camera che ha ricevuto da tutte le opposizioni una richiesta molto chiara. E io penso che non si debba andare più in là della prossima settimana - questa è la mia opinione - per ascoltare in quest'Aula quello che la Presidente Meloni ha da dire. Non è accettabile, di fronte al massacro continuo che avviene in queste ore, giorno dopo giorno, che il nostro Governo non ritenga di informare il Parlamento e, quindi, il Paese formalmente.

PRESIDENTE. Tenendo conto che dobbiamo ora passare ad una nuova seduta, invito (Commenti di deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)… Non ho capito… Ha chiesto di intervenire…? Invito i colleghi che hanno usato una tessera provvisoria ad avvicinarsi ai banchi (Commenti di deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)… Non riesco a capire… Su che cosa? È già intervenuta, deputata Braga (Il deputato Casu: “Vogliamo una risposta! Quando viene la Meloni?” – La deputata Braga: “Risponda, Presidente!”)… Il Governo è libero di intervenire, se non ritiene di intervenire, io non lo posso, ovviamente, sollecitare a intervenire, quindi (Proteste di deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)

Invito i colleghi che hanno usato una tessera provvisoria ad avvicinarsi ai banchi degli assistenti per abilitare nuovamente la tessera provvisoria per la nuova seduta (Proteste di deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Gli ulteriori interventi sull'ordine dei lavori e gli interventi di fine seduta sono rinviati alla seduta che avrà luogo alle 12,40.

Do lettura dell'ordine del giorno della seduta di giovedì 18 settembre 2025, ore 12,40 (Deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista si avvicinano al banco della Presidenza - I deputati Serracchiani, Braga e Casu: “La data, Presidente, vogliamo la data! Vogliamo la data delle comunicazioni della Presidente Meloni”!)… Ho capito, ma il Governo è libero di intervenire, se ritiene di non intervenire, io non posso fare niente (La deputata Serracchiani: “Ci deve dire quando viene, ci deve rispondere! Ci deve rispondere, Presidente!”)… Chiedo alla Presidenza! Non posso fare altro, mica posso obbligare il Governo a venire. È informata… la Presidenza ci darà una risposta, ma io che ne so quando vuole venire il Governo!

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Giovedì 18 settembre 2025 - Ore 12,40:

1. Seguito della discussione della proposta di legge:

LUPI ed altri: Istituzione della festa nazionale di San Francesco d'Assisi.

(C. 2097-A​)

e dell'abbinata proposta di legge: MALAGOLA ed altri. (C. 2231​)

Relatrice: GARDINI.

2. Discussione dei disegni di legge:

S. 1566 - Rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2024 (Approvato dal Senato). (C. 2536​)

S. 1567 - Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato per l'anno finanziario 2025 (Approvato dal Senato). (C. 2537​)

Relatrice: FRASSINI.

3. Seguito della discussione delle mozioni Conte ed altri n. 1-00445 e Boschi ed altri n. 1-00487 concernenti iniziative per il finanziamento del settore del cinema e dell'audiovisivo .

La seduta termina alle 12,30.

SEGNALAZIONI RELATIVE ALLE VOTAZIONI EFFETTUATE NEL CORSO DELLA SEDUTA

Nel corso della seduta è pervenuta la seguente segnalazione in ordine a votazioni qualificate effettuate mediante procedimento elettronico (vedi Elenchi seguenti):

nella votazione n. 1 il deputato Furfaro ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto contrario.

VOTAZIONI QUALIFICATE EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 1 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 1)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Nominale DDL COST 1917-B - VOTO FINALE 358 352 6 201 243 109 12 Appr.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M = Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui é mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi é premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.