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Resoconti stenografici delle audizioni

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XIX Legislatura

Commissione parlamentare di controllo sull'attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Martedì 12 dicembre 2023

INDICE

Pubblicità dei lavori:
Bagnai Alberto , Presidente ... 3 

Audizione del Presidente e di rappresentanti del CNEL:
Bagnai Alberto , Presidente ... 3 
Brunetta Renato , Presidente del CNEL ... 3 
Bagnai Alberto , Presidente ... 9 
Furlan Annamaria  ... 10 
Bagnai Alberto , Presidente ... 10 
Camusso Susanna Lina Giulia  ... 10 
Bagnai Alberto , Presidente ... 11 
Occhiuto Mario  ... 11 
Bagnai Alberto , Presidente ... 12 
Brunetta Renato , Presidente del CNEL ... 13 
Bagnai Alberto , Presidente ... 14 
Schifone Marta (FDI)  ... 15 
Bagnai Alberto , Presidente ... 15 
Brunetta Renato , Presidente del CNEL ... 15 
Bagnai Alberto , Presidente ... 16 
Brunetta Renato , Presidente del CNEL ... 16 
Bagnai Alberto , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ALBERTO BAGNAI

  La seduta comincia alle 10.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. La seduta è aperta. Invito gli onorevoli colleghi e gli onorevoli senatori a firmare il registro delle presenze che si trova sul tavolo al centro dell'aula, dove è altresì in distribuzione la memoria che verrà testé illustrata dal presidente del CNEL, professor Renato Brunetta.
  Vi avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche tramite l'impianto audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Presidente e di rappresentanti del CNEL.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Presidente del CNEL, Renato Brunetta, che ringrazio per la sua disponibilità a partecipare ai lavori della nostra Commissione.
  In questa audizione ci avvaliamo del ruolo di consulenza delle Camere, che l'articolo 92, secondo comma, della Costituzione attribuisce al CNEL.
  In particolare, nella precedente legislatura il CNEL ha pubblicato un'ampia relazione sulla documentazione relativa all'indagine conoscitiva sulle politiche di investimento e spesa delle casse professionali, svolta dalla Commissione allora presieduta dal senatore Nannicini, che è stata pubblicata a gennaio 2023 come Quaderno CNEL n. 19, che resta un utilissimo e ancora attuale strumento per inquadrare le singole casse sotto il profilo delle rispettive governance, dei regimi contributivi, delle prestazioni, dell'adempimento contributivo e della struttura dei bilanci.
  Il professor Brunetta è accompagnato dal capo segreteria tecnica del Presidente, il dottor Massimiliano Monnanni, dal suo portavoce, il dottor Mauro Bazzucchi, e della dirigente dell'Ufficio IV, la dottoressa Larissa Venturi, che ha altresì fatto parte del gruppo di lavoro che ha prodotto il Quaderno di cui vi parlavo in premessa.
  Con il CNEL prosegue il breve ciclo di audizioni di soggetti istituzionali più qualificati a fornire alla Commissione le principali informazioni riguardanti la situazione del sistema previdenziale nel suo complesso, le prospettive di evoluzione e le principali criticità, anche al fine di meglio delineare e indirizzare l'attività di vigilanza e controllo che la Commissione stessa è chiamata a svolgere.
  Do, quindi, la parola al professor Brunetta per lo svolgimento della sua relazione.

  RENATO BRUNETTA, Presidente del CNEL. Grazie, presidente. Ringrazio tutti gli amici e i colleghi presenti.
  Devo dire che vi sono profondamente grato per questa audizione che dà modo al CNEL di proseguire nella sua attività di consulenza – come ha ricordato il presidente prevista dall'articolo 99 della Costituzione – e di permettere una riflessione; sarà questa la chiave del mio intervento e del contributo che ho portato da parte del CNEL. A che punto siamo con il welfare pensionistico nel nostro Paese? Il mio è un tentativo di riflessione di tipo strategico partendo da una considerazione.
  Ho fatto un po' di conti e anche una ricostruzione storica, che se lo ritenete ripeto per me e per questa Commissione.Pag. 4
  Almeno a partire dalla riforma Brodolini del 1969 noi abbiamo, guardando a ritroso, più di un cinquantennio di riforme sul welfare pensionistico nel nostro Paese. Guardandole tutte assieme posso dire che si tratta di un panorama di straordinario riformismo oramai alle nostre spalle. Basti pensare a come l'Italia era uscita dalla Seconda guerra mondiale, dalle storie di lavoro, di welfare pensionistico legato alle due guerre, al secondo dopoguerra.
  La riforma Brodolini del 1969 è una riforma straordinaria, di grande momento innovativo, che ci porta a una cosa che per noi sembra facile e acquisita, ma che acquisita non era, cioè ci porta al sistema retributivo. O meglio, il sistema che viene scelto è sempre quello a ripartizione – consentitemi ogni tanto qualche digressione professorale, non me ne voglia il professor Bagnai che ne sa più di me –, sistema che poi viene adottato in tutto il mondo occidentale industrializzato nel secondo dopoguerra perché è quello che più si adatta alla previdenza obbligatoria, più si adatta agli Stati, più si adatta al welfare pensionistico di massa per le ragioni che vedremo in seguito. Dentro il sistema a ripartizione si applica poi il metodo di calcolo retributivo. Metodo di calcolo retributivo che fa riferimento all'ultima retribuzione del lavoratore come base di calcolo dell'assegno pensionistico. Uno potrebbe dire che stranezza, non è nessuna stranezza ma è semplicemente un atto di giustizia. Un atto di giustizia che vuole mantenere lo standard retributivo del pensionato simile a quello di quando il pensionato era attivo ed era occupato.
  La quantità di contributi versati in quel periodo, con la platea di lavoratori che stavano maturando l'età di pensionamento, era una quantità molto accidentata per le ragioni che possiamo immaginare: ragioni storiche, belliche, la guerra, la ricostruzione e così via. Quindi, si utilizzava lo schema dell'ultima retribuzione, che poi era la retribuzione degli ultimi tre anni, ma questo le mie amiche e colleghe e i grandi sindacalisti che sono qui sanno meglio di me queste cose. Come dicevo si trattava della retribuzione degli ultimi tre anni, poi degli ultimi cinque, per taluni era dell'ultimo anno, addirittura per i vertici dell'Esercito l'ultima retribuzione era quella che avrebbero percepito con l'ultima promozione, ma queste sono le piccole grandi, stavo per dire miserie, insomma opportunità che il sistema politico costruiva di volta in volta. La cosa importante però era che la pensione doveva essere molto simile all'ultima retribuzione o alla media delle ultime retribuzioni. Questo è un fatto di straordinario riformismo, non tenendo però conto – e qui parla l'economista – delle porzioni delle ripartizioni, volendo sempre tornare ai fondamentali.
  Il sistema a ripartizione ci dice che gli attivi di oggi devono pagare le pensioni agli attivi di ieri. Ma perché questo sia in equilibrio, perché l'equilibrio è comunque un must necessario e obbligatorio, occorre che tutte le variabili di quello che sta a sinistra e a destra dell'equazione siano opportunamente definite e opportunamente in equilibrio, con una variabile centrale che adesso dirò.
  Non me ne vogliate, lo ricordo per me e lo ricordo anche con un po' di retorica per costruire questa mia visione. Quello che sta a sinistra dell'equazione è il numero degli occupati, vedremo come il numero degli occupati sia una variabile fondamentale. Non solo il numero degli occupati, ma anche la qualità delle loro occupazioni, le loro carriere, il salario medio che moltiplicato per il numero degli occupati produce la massa salariale. La massa salariale deve essere sottoposta ad un'aliquota, che il policy maker deve decidere e che ci dà l'equilibrio per avere un gettito sufficiente a pagare tutto quello che c'è sulla destra dell'equazione.
  Sulla destra dell'equazione c'è il numero dei pensionati, figli delle regole, delle decisioni, della cultura welfaristica che di volta in volta si stabilisce in base all'età, al pensionamento, all'usura, alla fatica, alle storie, ai settori, per arrivare poi alla pensione media. Anche qui, la pensione media è una definizione molto leggera perché dentro il concetto di pensione media c'è la selva selvaggia – anche questa è la bellezza, se vogliamo, della complessità sociale – dei trattamenti pensionistici.
  Le due parti, sinistra e destra, devono stare in equilibrio. Questo dice la riforma Brodolini e questo io lo considero un grande momento di riformismo. Questo grande momentoPag. 5 di riformismo ha dato l'imprinting a tutto il nostro sistema welfaristico in Italia. Ma direi di più, è stato l'elemento che ha plasmato il modello produttivo del nostro Paese, il modello produttivo, sociale ed economico. E non me ne vogliate, ma anche l'equilibrio politico alla fine, perché dentro tutto questo si sono definiti gli elementi di consenso, con tutte le miopie o le aree grigie e buie che la parte di sinistra comportava. Perché lì dentro c'era il sommerso, c'era il non pagamento dei contributi, nella parte sinistra, sì, c'era l'aliquota di equilibrio, che però non veniva rispettata o non veniva rispettata per tutti.
  Era tra l'altro un sistema che privilegiava il passato, non certamente il futuro. Privilegiava chi stava per andare in pensione e poco si preoccupava (si capisce anche il perché) delle nuove generazioni che sarebbero andate in pensione. Tutto ciò, nella speranza che la massa salariale sarebbe stata sempre più che sufficiente a coprire quello che sulla parte destra si andava formando. Quindi, non grande attenzione rispetto alle corti giovanili, non grande attenzione alla demografia. Quello che contava era poter sostenere il modello del Ministro del lavoro Brodolini che sappiamo tutti chi fosse se pensiamo allo Statuto dei lavoratori. Non c'era nessun rapporto con i contributi versati e con le storie contributive, bastava la massa salariale, l'aliquota.
  L'aver concesso per decenni pensioni non sostenute da un corrispondente gettito contributivo sta alla radice concettuale, e se vogliamo poi materiale e poi attuariale, del disavanzo pensionistico, ma anche di gran parte del debito pubblico. Ciò, non vuol dire che il debito pubblico è causato da questo o quello, vuol dire che questa scelta ha prodotto questo sistema. A questo poi si aggiunge l'altro pezzo di storia, quella delle pensioni di anzianità. Anche queste io le giudico sempre in un'ottica di riformismo pro labour, che poi nell'arco temporale di decenni si è rivelato forse un modo non sempre corretto per gestire i problemi specifici esistenti per talune categorie, per taluni settori, lavori usuranti, precoci e così via. Pensiamo che molti lavoratori hanno scelto le pensioni di anzianità, ma molti lavoratori sono stati costretti alle pensioni di anzianità nei processi di ristrutturazione e nei processi di espulsione dal mercato del lavoro.
  Questo è l'impianto base rispetto al quale io do un giudizio assolutamente positivo come vi ho detto, collocandolo dentro la congiuntura storica. Da qui però vi è anche la necessità di un riordino, perché il rischio era quello di un collasso dell'intero sistema. Già allora i conti demografici applicati alle pensioni, riferiti al 2030, ci parlavano di un 23 per cento di incidenza della spesa pensionistica sul PIL, un numero fuori scala rispetto all'Europa. Non c'era ancora la moneta unica ovviamente che ci obbligava alle comparazioni feroci e materiali. Consentitemi di dire – mi scuso perché ovviamente ne sapete più di me di queste cose, ma mi serve per arrivare al nocciolo della mia riflessione – che da qui arriviamo alla riforma del 1995, la riforma Dini, che cerca di superare gli squilibri prodotti dalla riforma Brodolini di fine anni Sessanta. In questo caso, si passa dal retributivo al contributivo, che non significa passare alla capitalizzazione – il sistema rimane sempre a ripartizione –, si cambia solo il metodo di calcolo. Tale metodo non si basa più sull'ultima o la media delle ultime retribuzioni, ma sul famoso 40 per 2. Per i non perversi che non sanno queste cose: 40 è il numero medio degli anni di vita contributiva, 2 è la percentuale di rendimento da applicare al numero di anni, più o meno, di contribuzione. Se volete vi racconto anche un aneddoto bellissimo che mi raccontò il professor Giugni che lavorò con Brodolini anche sulla riforma delle pensioni. L'algoritmo, chiamiamolo così, fu deciso ad occhio perché suonava bene, perché 1 e mezzo non suonava bene ed era poco, anche se di contro non si fecero grandi conti di compatibilità. Questo me lo disse la buonanima del mio amico professor Giugni riferendosi ai dibattiti tecnici che si tenevano in quello straordinario periodo.
  Si passa quindi dal metodo di calcolo retributivo a quello contributivo, che non è altro che una mimesi, una imitazione della capitalizzazione, ma che non è la capitalizzazione. Lo dico sempre per me, le mie auguste colleghe lo sanno meglio di me, si tratta semplicemente del contributo che viene versato Pag. 6figurativamente. Come spiego sempre ai miei studenti, con il sistema a ripartizione non ci sono i mucchietti personali, non c'è risparmio personale, ma c'è solo un'attribuzione figurativa rispetto ai contributi versati, che entrano poi nel calderone della ripartizione. Il contributo viene rivalutato secondo il PIL nominale, quando il PIL nominale ha segno più, quando invece il PIL nominale ha segno meno apriti cielo, succedono cose strane, ma di questo ne parleremo dopo.
  Il tutto viene rivalutato, viene accumulato e per calcolare il montante finale occorre evidentemente fare il calcolo del totale del numero degli anni di contribuzione moltiplicati per questo misterioso, bellissimo, straordinario coefficiente di trasformazione, gioia e delizia dei nostri dibattiti di qualche decennio fa se vi ricordate. Il coefficiente di trasformazione è quell'algoritmo che ti dice quando vai in pensione, ma soprattutto ti dice come nel frattempo si è modificata la speranza di vita, perché più aumenta la speranza di vita in relazione alla data in cui tu vai in pensione, più il montante deve essere ridotto perché l'assegno pensionistico si deve spalmare su più anni. Cosa facile a dirsi, leggermente difficile a farsi, soprattutto se questo ricalcolo attraverso il coefficiente di trasformazione si fa (come con un po' di miopia fu deciso allora) ogni dieci anni buttando, come si usa dire, la palla lontana. Però dopo dieci anni l'algoritmo ha il segno meno, caro professor Bagnai, e il segno meno riduce il montante, quindi riduce la pensione perché si ha più speranza di vita. Questa cosa comporta una reazione sociale non piccola, per cui normalmente non si applica il coefficiente di trasformazione o si applica in maniera attenuata e così via. A mio modo di vedere, poi non so come sia finita, si poteva applicare il coefficiente di trasformazione in maniera annuale o per periodi limitati perché l'incidenza del coefficiente di trasformazione su periodi brevi era più sopportabile. Infatti, c'è sempre il segno meno davanti, ma vi sono anche elementi frazionari piccoli, per cui alla fine la cosa era più sostenibile dal punto di vista sociale. Quando tu ti fai dieci anni di accumulo di coefficienti di trasformazione il risultato ti viene sensibile. Vado veloce perché sto consumando troppo tempo. Con la riforma Dini gli economisti hanno detto: «Abbiamo il pilota automatico», che vuol dire finalmente siamo in equilibrio. Il buon Brodolini pensava che con il suo sistema, con la sua equazione, la sua ripartizione, con il sistema contributivo, se tutti si fossero comportati correttamente rispettando le regole, vi sarebbe stato il pilota automatico, tutto sarebbe stato in equilibrio, un equilibrio dinamico perché se cambiava qualcosa grazie ai coefficienti di trasformazione, il tutto poi sarebbe stato riportato ad equilibrio. Così non è stato ovviamente, anche se la riforma Dini ha ristabilito una sorta di sinallagma tra sinistra e destra dell'equazione, che deve essere in equilibrio, in più si hanno gli strumenti perché questo avvenga. La riforma Dini (anche in questo caso dico cose risapute) ha però qualche piccolo difetto, nel senso che ha una latenza di applicazione o un periodo di applicazione leggermente lungo. La riforma è del 1995, il contributivo per i nuovi assunti viene applicato dal 1996, per chi ha più di 18 anni si continua, per gli altri pro rata e pro quota. Quindi, il primo lavoratore che andrà in pensione con la riforma Dini e con il sistema contributivo lo farà nel 2036, quarant'anni dopo. Ciò, significa che il pilota automatico non si ottiene, non c'è sostanzialmente, questo è il punto nodale.
  Si pensa ai giovani con la previdenza complementare, ancorché la base per fare la previdenza complementare con aliquota obbligatoria del 33 per cento per i lavoratori dipendenti appare francamente molto limitata. La Brodolini e la Dini hanno rappresentato due possibili riforme, le successive hanno cercato di rendere più breve la transizione e di eliminare gli errori fondamentali e fondanti – la Dini ha corretto la Brodolini –, anche perché il tema era sempre quello dell'incidenza.
  Considero che il problema per i lavoratori giovani non è il metodo di calcolo contributivo – si comincia a percepire quello che dicevo all'inizio –, ma la qualità del lavoro, la discontinuità, che con la Brodolini era legata alla guerra, nei decenni successivi è stata legata al cambiamento tecnologico, alle nuove tecnologie e così via. Quindi, il tema non è il metodo di calcolo contributivo, Pag. 7quanto la natura delle carriere, la natura del lavoro, la discontinuità e la densità delle storie lavorative. Ciò, anche perché tornando ai fondamentali la ripartizione prevede un patto generazionale e se questo patto generazionale si rompe alla fine ognuno cerca di trovare un suo equilibrio parziale e la somma degli equilibri parziali non fa l'equilibrio generale.
  C'è un patto generazionale garantito dallo Stato, ma quando lo Stato, il Governo manipola di fatto di volta in volta le regole del gioco il patto generazionale salta. Per decenni sono state concesse pensioni non sostenute da un corrispondente gettito contributivo, e ciò è alla radice non solo del disavanzo pensionistico, ma anche in gran parte del nostro debito pubblico.
  La riforma Dini ha avuto successivi aggiustamenti come, per esempio, quelli importantissimi previsti dal Governo Prodi, in funzione tra l'altro del nostro ingresso nella moneta unica europea. Importantissimi perché se non fossero state fatte le ulteriori modifiche non saremmo stati credibili rispetto alla moneta unica poiché avevamo una formazione di squilibri di debito assolutamente non sostenibili. Adesso possiamo guardare anche con un po' di tranquillità queste storie, questi mondi che però hanno fatto parte della storia sociale, politica ed economica di questo nostro Paese. Attraverso le battaglie che si sono sostenute possiamo guardare al passato anche con un po' di generosità, questa è la storia che ha visto ognuno fare la propria parte.
  Anche se si parla della fine del secolo scorso, tutto ciò è stato il frutto della nostra intelligenza collettiva che ci ha portato ad avere la percezione della necessità di una maggiore corrispondenza tra contribuzione versata e prestazione pensionistica.
  Nel testo della relazione che oggi vi ho presentato è presente un'analisi puntuale, non voglio eludere il tema di quello che il Governo sta facendo nell'ambito di questa legge di bilancio che ancora però non è stata approvata. Non voglio mancare di rispetto, di fair play nei confronti dei colleghi che in questo momento sono impegnati in materia, quindi nella relazione è presente un'analisi puntuale delle luci e delle ombre di quello che è contenuto nell'ennesimo bricolage pensionistico – come io l'ho affettuosamente chiamato –, nel «togli e metti» compiuto da questo Governo come dai Governi precedenti. Posso dire però che gli ultimi Governi hanno operato un bricolage tendenzialmente virtuoso, nel senso che si è cercato un maggiore equilibrio e così via. Anche il bricolage di questo Governo ha una connotazione di tendenziale virtuosità dentro la quale però vi sono tante contraddizioni, una tra tutte la deindicizzazione. Infatti, la deindicizzazione è una violenza al patto, perché la deindicizzazione riguarda le pensioni in essere che rappresentano, per così dire, la carne viva. In questo modo si tocca direttamente il patto sociale e si produce disaffezione e incertezza rispetto agli attivi che stanno per andare in pensione: il patto non c'è più, viene inficiato.
  Nella mia relazione trovate 10-15 pagine di analisi puntuale, quindi non sottraggo me stesso e il CNEL alla discussione. Tra l'altro, voi sapete che questa non è la relazione del professor Brunetta, ma è la relazione di tutto il CNEL passata dai testi base degli uffici a quelli delle commissioni, con certamente anche il contributo del professor Brunetta e con il vaglio finale del Consiglio di presidenza. La metodologia è assolutamente partecipata, quindi posso dire che io racconto una storia che però è un racconto di una continuità di impegno del CNEL, poi dirò due cose da questo punto di vista. Noi abbiamo alle spalle cinquant'anni di riforme straordinarie, due di queste riforme, la Brodolini e la Dini, avevano una visione, poi si sono susseguite delle correzioni necessitate che posso violentemente riassumervi. La prima riforma aveva la testa rivolta al passato, nel frattempo in questo Paese è successo di tutto: crisi petrolifere, ingresso nella moneta unica, informatizzazione, transizione digitale, transizione ecologico-ambientale. Soprattutto vi è stata la crisi demografica, si è avuto il cosiddetto «inverno demografico». Il problema è dato dal fatto che non vi sono più maschietti e femminucce in età fertile, queste coorti si sono striminzite e danno adito ad un'analisi disperata se si guarda alla demografia. I cinquant'anni di riformismo hanno prodotto la riforma Brodolini e Dini, gli scaloni, gli scalini e così via. Pag. 8Maroni, Sacconi, tutti i Ministri sono stati bravissimi, eccezionali, tutto il dibattito è stato meraviglioso: sono buono, ormai sto diventando buono, la vecchiaia mi fa diventare buono. Si è trattato di una grande stagione riformistica, però tutta rivolta al passato, non ci siamo accorti delle tempeste che si stavano accumulando e manifestando sulla nostra società, sul nostro Paese, sul nostro modello. Per farla breve, tutto il bricolage che vi ho descritto lo trovate dentro la relazione, il CNEL non si sottrae al giudizio.
  Bisogna smetterla di guardare al passato, smettiamola con il bricolage più o meno virtuoso, cominciamo ad affrontare il tema del welfare pensionistico come merita, cioè guardando al futuro.
  Il futuro vuol dire transizione demografica, transizione digitale, transizione ambientale, se poi a tutto questo si aggiungesse anche un po' di geopolitica il che non guasterebbe. Bisognerebbe guardare al futuro pensando soprattutto alle nuove generazioni, cominciando a chiamare le cose con il loro nome. In questo momento abbiamo 23/24 milioni di occupati (dipendenti, autonomi, pubblici, privati), se fossimo un Paese normale ne avremmo 4/5 milioni in più, simili ai 27/28 milioni di Inghilterra, Francia e dei Paesi del Nord. Noi quei 4/5 milioni non è che non li abbiamo, li abbiamo nel sommerso: sto dicendo delle banalità.
  Di quei 23 milioni di occupati – mie deliziose amiche e colleghe – quanti di questi hanno percorsi di contribuzione regolare? Una parte. Non oso dire la percentuale, ma solo una parte. Il che vuol dire che c'è un'enorme evasione contributiva, che conosciamo tutti, che in parte è evasione e in parte è ammortizzatore sociale. Sappiamo tutti cosa vuol dire? È un modo attraverso cui talune imprese marginali possono continuare a vivere e a produrre.
  Può reggere un sistema come questo che ha un'enorme evasione contributiva o che ha tempi di controllo e di esazione lunghissimi? Può reggere una cosa di questo genere? Certamente no. Perché, vedete, non voglio essere semplicista, ma una delle strategie che si potrebbe avviare da subito è quella di portare avanti una precisa azione di contrasto all'evasione contributiva, trovando tutte le forme, tutti i modi per aumentare il gettito della parte sinistra a condizioni date dell'equazione, delle ripartizioni. In questo modo, una parte del debito sarebbe assorbita e compensata, poi potremmo essere più generosi sulla parte destra perché il problema è dato dall'equilibrio.
  In merito al discorso demografico a me viene in mente un'idea, come credo a tutti coloro che fanno questo mestiere e che hanno l'ossessione di trovare una copertura per ogni norma che viene approvata. Per ogni norma di spesa pensionistica dovrebbe esserci il corrispettivo nell'altra parte dell'equazione in termini di politica attiva del lavoro, vale a dire a quanti occupati in più corrisponde questa spesa. Bisogna non tener conto di un tendenziale andamento dell'occupazione rispetto al PIL e così via, ma bisogna che ci domandiamo se possiamo permetterci una data norma dal punto di vista della spesa sul lato destro in presenza sul lato sinistro di una tendenza occupazionale in riduzione. In caso contrario, bisognerebbe aumentare l'aliquota e ci vorrebbe un cerbero istituzionale per mettere il sinallagma tra questi due elementi, altrimenti il gioco diventerebbe scorretto. Ogni quota (100-102-103, pensione anticipata e così via) ce la potremmo permettere in ragione di quello che avviene sul lato sinistro, cioè sul livello di occupazione.
  Tutto ciò, è legato ovviamente alla demografia, fermo restando che noi abbiamo il problema non tanto dei nati ma il problema delle coorti, delle persone che fanno nascere i nati, che sono coorti piccole, quindi se sono coorti piccole a parità di tasso di fertilità e così via il numero dei nati sarà sempre più basso, poiché le coorti dei genitori sono sempre più corte. Non conta tanto il numero dei morti, conta tanto la dimensione delle coorti, delle persone in età attiva e fertile.
  Io sono sempre stato a favore della buona immigrazione, dell'immigrazione regolare. L'immigrazione se è regolare costituisce anche una risposta allo squilibrio contributivo. Naturalmente, se si tratta come dicevo di immigrazione regolare perché l'immigrazione non regolare è un costo. L'immigrazione regolare deve essere comunque controllata poiché vi può essere, ad esempio, del lassismo nei processi di ricongiungimento familiare Pag. 9del giovane migrante che ha un posto di lavoro a basso reddito, che però nel frattempo (lo dico sorridendo) si vede arrivare sette mogli, quindici suoceri, venticinque figli e così via, o pensioni pagate all'estero non si sa su quale base contributiva. Proprio perché l'immigrazione regolare rappresenta una delle risposte deve essere anch'essa sostenibile e trasparente, non deve prendere a modello il lassismo del nostro mercato del lavoro; ciò che noi facciamo con il mercato del lavoro degli immigrati è una riproduzione in negativo delle devianze del nostro mercato del lavoro interno e noi le riproduciamo sul mercato del lavoro.
  Dovremmo sempre rispettare il criterio dell'efficienza per raggiungere l'equilibrio in senso attuariale, non ci sembri brutto tutto questo perché rappresenta la base della nostra credibilità sui mercati e del sistema pensionistico, assicurando che i contributi versati corrispondano alle spese previste. Sembra banale, ma questo dovrebbe essere il nostro must. Il secondo criterio da rispettare è dato dall'equità intergenerazionale che si raggiunge nel momento in cui una generazione di lavoratori non è penalizzata rispetto alle altre da una qualsiasi riforma.
  A questo punto metterei un caveat alle microriforme, al bricolage. Il bricolage che prima ho trattato con affetto, la sommatoria di tanti elementi di bricolage comporta poi alla fine uno squilibrio insostenibile.
  Sul tasso di occupazione gli economisti del lavoro, tra i quali mi annovero, non sanno ancora dare spiegazioni relativamente a ciò che sta succedendo. Sta aumentando il tasso di occupazione maschile, femminile, continua ad aumentare, sconvolgendo anche tutte le nostre credenze teoriche. L'occupazione aumenta con tassi di crescita del PIL e così via, con un ritardo di un anno, aumenta anche la disoccupazione per l'effetto attrattività. Sappiamo tutte queste cose, quando eravamo giovani e bravi le scrivevamo anche nei libri di testo, effetto scoraggiamento, effetto attrattività, tutto quello che volete, però l'occupazione sta aumentando, i tassi di occupazione stanno aumentando. Quindi, potrebbe essere anche il momento per una riflessione su questo, cioè su come puntare, quando si parla di welfare pensionistico, questo sinallagma. Io opero sul lato della spesa solo e solo se ho il corrispondente incremento non solo dell'occupazione (della N), ma – questa è la cosa più importante – delle carriere, dei salari e così via. In fondo, è importante non solo il numero degli occupati, ma la qualità degli occupati e la densità delle storie lavorative come delle remunerazioni.
  Occorre aumentare la base imponibile, quindi gli occupati, e la densità delle storie lavorative per applicare l'aliquota contributiva di equilibrio. Chi sta pensando a tutto questo? Chi sta pensando ad un percorso macro strategico che superi il bricolage e che guardi al futuro? Sarebbe bene pensarci.
  Nel mio piccolo, nel nostro piccolo, sto mettendo in piedi al CNEL un gruppo di lavoro – ne ho parlato nell'assemblea di ieri – costituito dai massimi tecnici del settore, proprio per alimentare una riflessione di questo tipo, per guardare al futuro, per inforcare gli occhiali del futuro e cercare di minimizzare i danni del bricolage. Ad ogni modo, una cosa implica l'altra, cioè si riesce ad avere chiaro il percorso che si ha davanti, più il bricolage diventa insostenibile. Su questo bisogna avviare una riflessione poiché abbiamo un altro campanellino d'allarme rappresentato dal peso della spesa pensionistica sul PIL che aumentando di nuovo, stiamo andando verso e oltre il 17 per cento. In presenza della moneta unica tutto ciò si traduce in poca credibilità rispetto ai mercati e, soprattutto, mette in risalto la fragilità del nostro sistema; tutte queste cose ve le ho raccontate nella memoria che vi oggi vi ho presentato. Mi scuso del tempo che vi ho rubato, del didascalismo da vecchio professore, ma mi impegno a collaborare con il presidente e con la Commissione per costruire anche un percorso tutti assieme.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Brunetta per il contributo che ci ha fornito e, soprattutto, per l'indispensabile prospettiva storica, elemento fondamentale dato il compito che siamo chiamati a svolgere in questa Commissione: infatti, noi tutti dobbiamo controllare organismi che devono avere un respiro anche tecnico di lungo periodo. Inoltre, il presidente ha attirato la nostra attenzione sul tema della sostenibilità finanziaria Pag. 10del primo pilastro, anch'esso oggetto di controllo da parte di questa Commissione.
  Sgominando mentalmente quello che ho detto in introduzione, non mi ricordo di aver citato l'incarico della dottoressa Venturi, dirigente dell'Ufficio IV per il rapporto sul mercato del lavoro, l'archivio dei contratti e l'istruttoria dei documenti economico-finanziari.
  Avrei tante cose da chiedere al professor Brunetta, ma non voglio prevaricare. Se ci sono dei colleghi che intendono fare domande o hanno richieste di approfondimento darei la precedenza a loro. Vedo che la senatrice Furlan, la senatrice Camusso e il senatore Occhiuto intendono intervenire. Prego, collega Furlan.

  ANNAMARIA FURLAN. Anch'io voglio ringraziare il presidente per la capacità, lo sforzo di sintesi e per una straordinaria chiarezza. Aver riassunto cinquant'anni di storia pensionistica nel nostro Paese in così poco tempo significa conoscere in modo profondo la materia e saper anche trasmettere questa conoscenza.
  Se c'è un rapporto che dovremmo rendere costante per la nostra Commissione relativamente ai temi che ci competono è proprio quello con il CNEL. Ciò, in relazione all'acquisizione di dati e di analisi su quello che è successo e che sta succedendo.
  Il presidente Brunetta ha fatto alcune osservazioni assolutamente veritiere su quello che è avvenuto. Potergli permettere di intervenire in maniera più approfondita ci permetterebbe anche di analizzare alcuni aspetti relativi soprattutto al periodo che stiamo vivendo. Le riforme cosiddette bricolage, fai da te, l'oggi per il domani, rappresentano quello che è avvenuto, ma che purtroppo sta avvenendo anche in questi giorni con la legge finanziaria per il 2024 che sta per essere approvata. Non voglio aprire una discussione al riguardo, però non c'è dubbio che abbiamo tutti bisogno di avere invece una visione con respiro un po' più lungo, in caso contrario le cose si complicherebbero ulteriormente. Sapere che un sistema sta cambiando – purtroppo, non è nemmeno la prima volta che succede – crea una situazione di disagio e di grande incertezza. Diventa quindi importante non tanto il lavoro in sé, ma sapere cosa capiterà quando si smetterà di lavorare, si tratta di un cambio di paradigma non di poco conto nella vita delle persone.
  A questo punto il tema che dobbiamo mettere in risalto è quello della compatibilità, sia economica sia sociale, su questo desidererei nel prossimo futuro riascoltare il presidente Brunetta. Oggi, infatti – non sempre fortunatamente, ma molto spesso –, l'essere donna e pensionata ti può portare sempre più vicino a ricadere nella soglia di povertà.
  Anche sul tema della giustizia previdenziale nei confronti dei giovani sarebbe interessante aprire una bella discussione e grazie all'esperienza e alla conoscenza del CNEL si potrebbero acquisire elementi di certezza. Se il sistema non cambia condanniamo gli attuali giovani ad essere poveri in futuro, dobbiamo cercare di raddrizzare il sistema affinché questo non avvenga.
  Quindi, più che formulare delle domande desidero chiedere di proseguire la collaborazione con il CNEL, quindi con il suo presidente o chi per lui, un po' più di confronto e di conoscenza ci può permettere di analizzare meglio le tematiche che ho toccato.
  Bisogna capire come fare per uscire dal sistema del «fai da te» che si ripete quasi ogni anno di finanziaria in finanziaria; Non si fanno più riforme e, di fatto, le finanziarie diventano atti riformatori spesso un po' raffazzonati. Si deve poter creare compatibilità economico-sociale per gli attuali pensionati e per i giovani.

  PRESIDENTE. Grazie, senatrice Furlan. Ha chiesto la parola la senatrice Camusso.

  SUSANNA LINA GIULIA CAMUSSO. Grazie, presidente. Presidente Brunetta, la vedo in grande forma, ha scelto un approccio nella discussione del sistema pensionistico devo dire inusuale, ma anche utile. Infatti, considerare il tema delle riforme pensionistiche non esclusivamente come una questione di misura economica di sostenibilità, ma come un tema collegato al welfare ci costringe a misurarci con un diverso punto di vista.
  Colgo la sua bontà nel sorvolare sulle questioni relative al bricolage, io invece vorrei Pag. 11tornarci non per discutere in questo consesso della legge di bilancio, cosa ovviamente non appropriata anche perché il bricolage non è riconducibile solo ad essa. Ne abbiamo alle spalle di errori che in seguito dovevano essere corretti ed anche scelte volte ad individuare specificità singole ne abbiamo fatte tante. Il sistema previdenziale è sempre meno universale, sempre meno portatore di criteri riguardanti il rapporto lavoratore-contribuzione, o lavoratrice-contribuzione, e la possibilità di pensione. Di contro, le mille specifiche possono determinare criteri differenti, è un sistema che produce di per sé delle ingiustizie, perché ogni volta che sceglie degli angoli perde di vista l'insieme. Ragionare su delle riforme per il futuro che lei, giustamente, ci ha proposto e recuperare il criterio dell'universalità, che sia la riforma Brodolini sia la riforma Dini rispettavano, è o non è uno dei criteri che bisognerebbe assumere nella discussione?
  In relazione alle variazioni dei sistemi caratteristiche di questa stagione che lei ha definito di bricolage, noi abbiamo non più una cassa previdenziale, ma molte casse previdenziali. Al riguardo, non sto riferendomi alla previdenza complementare, ma alla contribuzione obbligatoria. Dentro tutto questo abbiamo costruito un vero, secondo me, differenziale tra passato e futuro rappresentato dalla gestione separata. Personalmente, continuo a domandarmi se ha senso in una logica prospettica continuare a mantenerla perché sostanzialmente rappresenta la tomba della possibilità previdenziale per molti giovani essendo basata su un equilibrio che fa fatica a trovare la sua ratio. Da un lato infatti troviamo la contribuzione di chi da pensionato svolge qualche attività di consulenza, dall'altro ci sono tutti i giovani con le varie forme discontinue, precarie, e così via.
  Fatte queste due riflessioni sui criteri del ragionamento, voglio ringraziarla per aver rimesso in evidenza il tema dell'evasione contributiva, un tema serissimo e anche una delle modalità attraverso cui si mantiene il profilo di settori produttivi del nostro Paese sempre più deboli e sempre meno in grado di avere autosufficienza economica effettiva. Si tratta di un tema sul quale bisognerebbe interrogarsi, perché se vogliamo, se immaginiamo un sistema previdenziale in equilibrio non può fare supplenza dal punto di vista degli strumenti di sostegno alla politica industriale o degli strumenti di sostegno del mercato del lavoro. Da questo punto di vista l'evasione contributiva costituisce un tema come è un tema la relazione tra un sistema previdenziale a mio avviso universale e un sistema invece di ammortizzatori sociali e di ingresso nel mercato del lavoro sempre meno universale, che determina quindi elementi di debolezza contributiva rispetto al mercato.

  PRESIDENTE. Grazie, senatrice Camusso. Ha chiesto di intervenire il senatore Occhiuto, ne ha facoltà.

  MARIO OCCHIUTO. Grazie, presidente. Anche io volevo ringraziare il presidente Brunetta per questa prospettiva storica, per me oltretutto molto utile non essendo esperto in materia di lavoro, e anche per questa visione rivolta al futuro svestendosi degli occhiali del passato con l'esigenza di costituire un gruppo di lavoro.
  Concordo anch'io sul fatto che per la nostra Commissione sarebbe molto utile e proficuo avere un rapporto più costante col CNEL e con il professor Brunetta.
  Riguardo ai temi affrontati relativi agli squilibri, all'equità intergenerazionale, alle problematiche di fondo richiamate dal presidente Brunetta e facenti capo alla decrescita, al calo demografico, all'invecchiamento della popolazione, all'innovazione legata alla transizione ambientale e digitale, alla richiamata evasione contributiva, mi chiedo se non sarebbe opportuno aprire anche un dibattito analogo sul tema dell'aggravamento della situazione di sfruttamento economico delle risorse professionali in generale, del capitale intellettuale. Oggi c'è una pericolosa tendenza, un po' sovversiva, legata all'ordine dei valori economico-sociali. Mi riferisco ad una rendita finanziaria forse eccessiva rispetto allo svilimento del mercato economico delle professioni e delle nuove generazioni, del capitale intellettuale. Questa attività è divenuta sempre più speculativa e questo vale, a mio parere, per il personale medico, per i docenti che custodiscono e formano i nostri Pag. 12figli e a cui affidiamo sempre i nostri preziosi beni. Tutto ciò, ho visto che incide negativamente anche nell'equilibrio di bilancio dell'ENPAM, c'è infatti un significativo calo degli iscritti che poi si riflette nella proporzione relativa al numero dei laureati e degli iscritti alle scuole di specializzazione. Bisogna quindi avanzare opportunamente delle adeguate proposte su questo tema che tendano a recuperare l'idea di una valorizzazione delle risorse professionali e, in generale, del capitale intellettuale.
  Un altro tema è dato dalla preoccupante decrescita e dall'invecchiamento della popolazione, soprattutto per quanto riguarda le aree del Sud Italia, che da sempre hanno rappresentato un giacimento culturale e un hub economico e di conoscenza. Oggi assistiamo a un fenomeno gravissimo, anche connesso all'emigrazione intellettuale, quindi del capitale sociale, che ha riflessi anch'esso sulla sostenibilità pensionistica. Mi chiedo quindi se non sia utile legare questi temi ad un grande progetto di rilancio e di sviluppo dell'economia nazionale partendo dal Mezzogiorno. Altrimenti, rischiamo di elaborare delle proposte che non tengono in dovuto conto una parte consistente del nostro Paese caratterizzata da risorse umane e da capitale sociale.

  PRESIDENTE. Grazie, senatore Occhiuto. A questo punto mi inserisco anch'io rivolgendo qualche osservazione al presidente Brunetta, che ringrazio ancora una volta anche per il linguaggio espressivo con il quale ha attirato la nostra attenzione su alcuni punti. Ad esempio, lei ha detto che per uscire dalla stagione del bricolage occorrerebbe un cerbero istituzionale, così lo ha definito. Effettivamente questa Commissione, in qualche modo, potrebbe rappresentarlo anche se ha più di tre teste, ne ha parecchie, ma potrebbe aspirare a svolgere un ruolo analogo, non in virtù di un potere coercitivo, ma in virtù dell'autorevolezza dei membri che la compongono.
  Anche il riferimento alla selva selvaggia delle prestazioni e in generale poi dei diversi regimi, ci riporta a temi che sono quelli del primo pilastro privatizzato, dove effettivamente esiste un'ampia varietà di modelli di governance, di regimi contributivi e di prestazioni, sui quali talora ci si interroga circa l'eventuale opportunità di razionalizzare.
  Io vorrei fare delle osservazioni puntuali. Innanzitutto, ringrazio tutto il CNEL perché la memoria depositata imposta un lavoro che da tempo mi riproponevo di fare nella mia precedente vita di docente. Mi riferisco ad un confronto fra quali fossero gli scenari controfattuali, cioè che cosa ci si aspettava di ottenere con gli interventi di riforma. Adesso il tempo è passato, quindi possiamo vedere che cosa in realtà si è ottenuto. Questa secondo me è la prima base da cui partire per ragionare su che cosa è andato storto perché cinquant'anni di riformismo, oltre a smentire la narrazione dell'Italia come Paese che non fa riforme, ci devono far porre la domanda, sottesa a tutto l'intervento del professor Brunetta, su perché poi questi interventi non sono stati risolutivi.
  Certo, c'è stato l'inverno demografico, però secondo me c'è stata anche un'altra cosa, cioè l'entrata nella moneta unica, che è stata più volte sottolineata come fattore motivante anche di questi interventi riformatori. Si è scaricato sulla flessibilità del lavoro (così ci dicono alcuni libri di testo) il compito di ammortizzamento degli shock macroeconomici, compito una volta riservato alla flessibilità del cambio. Questa flessibilità del lavoro in alcuni casi forse è andata oltre, si è trasformata in precarietà, in buchi contributivi che pongono un tema di congruità e di adeguatezza delle prestazioni non solo riguardo alle tematiche affrontate oggi, che comunque rientrano nello spettro del nostro controllo, ma riguardo a tutto il primo pilastro privatizzato dove il problema peraltro non riguarda solo i giovani, ma spesso anche i professionisti anziani.
  Io ringrazio anche il professor Brunetta per aver avuto il coraggio di fare una cosa che forse è politicamente scorretta. Noi oggi viviamo in un mondo che ha eticizzato praticamente tutto. Intervenendo all'Enpaf (la cassa dei farmacisti) per farmi capire ho detto che esiste il colesterolo buono e il colesterolo cattivo, poi ci hanno detto che esisteva il debito buono e il debito cattivo, il professor Brunetta ha avuto il coraggio di parlare di immigrazione buona. Questo secondo me è un grosso tema ed è un altro Pag. 13grosso impegno; tra l'altro, il professore ha anche indicato – cosa per cui lo ringrazio – dei punti specifici di attività di controllo per evitare che la gestione delle forme di previdenza e di assistenza determini degli squilibri.
  Chiedo, quindi, una riflessione sulle due facce dell'adesione all'Unione monetaria, tra l'altro per questo compito sarà preziosissima proprio la collaborazione con il CNEL.
  Un'ultima cosa che mi interessa riguarda il volgere lo sguardo al futuro. Nel bene o nel male spesso siamo attratti anche da fatti di cronaca banali. Nell'ambito delle professioni non ordinistiche oggi si può fare carriera e guadagnare anche somme importanti, ma naturalmente si generano anche forti disparità. Per queste professioni non ordinistiche che futuro prefiguriamo? Possiamo prefigurare un futuro dove esse riconfluiscano nelle casse già esistenti?
  Forse un discorso analogo andrebbe fatto anche relativamente al tema sollevato dalla collega Camusso sulla gestione separata, cioè che futuro vogliamo riservare a questo tipo di lavoratori?

  RENATO BRUNETTA, Presidente del CNEL. Al di là della mia affettuosità terminologica lessicale, il bricolage produce incertezza e l'incertezza è un costo in economia, quindi il bricolage è negativo. Tanto per essere chiari, non voglio eccedere in buonismo. Chi non ha fatto bricolage welfaristico al governo scagli la prima pietra, detto questo però ci si renda conto che un eccesso di bricolage fa male a tutti. Fa male al presente, fa male al futuro ed è un costo, è un costo sociale ed è un elemento che porta alla distruzione della coesione sociale.
  Riguardo ai giovani bisogna aprire un capitolo che poi unifica tante tematiche poiché in gran parte la parola «giovani» la si associa alle nuove tecnologie, alle professioni non ordinistiche, alle carriere non continuative, non garantite: al riguardo, dovremmo avere un atteggiamento totalmente diverso.
  Le gestioni separate sono state l'ammortizzatore sociale dell'equilibrio: ci dobbiamo chiedere se tutto questo è giusto. Io comunque sono per un approccio universalistico e tutto quello che non rientra nelle regole dell'approccio universalistico secondo me va attentamente valutato, attentamente pesato e attentamente stigmatizzato. Perché il welfare previdenziale obbligatorio ha senso solo se è universalistico: questo fa capire come la penso sul pur necessario bricolage.
  A questo punto, se le nuove tecnologie segmentano, differenziano, personalizzano, individualizzano, pensate l'intelligenza artificiale cosa produrrà da questo punto di vista, soprattutto – lo dico a Occhiuto nei confronti delle «professioni alte», non voglio neanche usare questo termine, diciamo che mi riferisco alle professioni intellettuali, alle professioni specialistiche. Cosa comporterà l'intelligenza artificiale? I tempi di implementazione della recente regolazione effettuata dall'Unione Europea la renderanno obsoleta quando questa entrerà in vigore, altro che la scadenza del latte. Ormai le norme dovrebbero avere una clausola di manutenzione implicita o di mantenimento dell'efficienza implicita, soprattutto avuto riguardo alla transizione digitale. Voglio dire che le nuove tecnologie si costruiscono sulla base della regolazione che nel frattempo diventa obsoleta: tutte cose divertenti intellettualisticamente, però poi costose e insopportabili dal punto di vista sociale.
  Sull'evasione contributiva si può brutalmente si può intervenire. Brutalmente si può intervenire, io ipotizzavo questo discorso della regola, della copertura del cerbero: mi fa piacere che il presidente abbia colto questo punto. Ad ogni modo, come ricordato opportunamente dalla senatrice Furlan, è necessaria anche una copertura sociale. Infatti, in nome della tutela di alcuni segmenti, abbiamo commesso delle nefandezze infinite, questo non è più sostenibile, non è più accettabile. Per questa ragione io dico evasione contributiva tous azimuts, a 360 gradi, in maniera tale da fare un po' di conti sul lato sinistro dell'equazione, quindi sul gettito, per vedere le quantità effettive dello squilibrio.
  Sulla selva selvaggia delle prestazioni qualcosa è avvenuto: omologazioni, trasparenza. Quando sono state fatte operazioni Pag. 14di immissione nell'INPS le abbiamo fatte quasi chiudendo gli occhi, questi sono costi. Chi mi ha certificato il costo di certi salvataggi? Ce lo possiamo più permettere? È andata, ma ce lo possiamo più permettere, professor Bagnai? Perché tanto l'INPS è grande, dopodiché creiamo delle disparità con pensioni in essere fortemente squilibrate e differenziate che gridano vendetta. Su tutte queste cose bisogna operare senza acrimonia, ma con un po' di trasparenza, questo sì, un po' di trasparenza.
  Torno ai giovani, alle nuove professioni, alle professioni non ordinistiche, quasi fossero figli di un Dio minore. Ma non sono figli di un Dio minore, tendenzialmente sono forse figli di un Dio maggiore dal punto di vista tendenziale delle opportunità. Quindi, bisognerebbe guardare con altri occhiali, all'intelligenza artificiale, al cerbero, agli immigrati, non si tratta di debito buono o di debito cattivo, semplicemente se si vuole una sostenibilità dei processi di immigrazione questi devono essere sostenibili dal punto di vista economico. Vivaddio, quando un immigrato arriva e lavora è sostenibile socialmente e culturalmente, è sostenibile da tutti i punti di vista.
  Non ho mai visto reazioni contrarie ai siderurgici che vengono da tutto il mondo a lavorare nel bresciano, semplicemente perché vengono percepiti dalla popolazione come produttivi, utili, fanno lavori che magari gli indigeni non vogliono più fare, costruiscono il loro percorso di vita e fanno parte della comunità. Laddove invece l'immigrazione è irregolare, clandestina, caotica le cose vanno in modo diverso.
  Pensate che tutta l'immigrazione che abbiamo è tutta immigrazione da offerta, non c'è una persona che lavora da noi che provenga da immigrazione da domanda. La domanda è rappresentata dall'esplicita richiesta del settore produttivo regolare che paga i contributi, che costruisce percorsi: non ce n'è uno, abbiamo accumulato solo immigrazione da offerta.
  Adesso anche i click day, diciamolo, non sono virtuosi sistemi a livello internazionale di un'offerta potenziale selezionata dalle nostre ambasciate, con un filtro formativo mondiale e globale e così via, nessuno proviene da questo meccanismo virtuoso. Si tratta di tutti immigrati già presenti nel nostro Paese che vengano regolarizzati, diciamocele queste cose, così come parliamo dell'evasione fiscale degli immigrati. Lo dico per la prima volta in una struttura istituzionale, nel nostro Paese quasi nessuno paga il differenziale sulla no tax area e questo a partire dai lavori di cura, dalle colf. È giusto tutto questo? No. Allora, addendo per addendo, cerbero per cerbero, trasparenza per trasparenza, un'operazione verità non sarebbe male da questo punto di vista, perché avremmo probabilmente conti diversi, equilibri diversi, sostenibilità diversa e potremmo guardare ai nostri giovani con più attenzione, più generosità e con meno egoismo, per non scaricare su di loro tutta la nostra miopia, tutto il nostro egoismo, tutto il nostro non vedere, tutti i nostri (parlo per tutti) ricchi assegni pensionistici per chi è già in pensione. «Io ho versato i contributi» è la frase ricorrente di certe categorie, salvo poi il fallimento dei loro giornali. Così ho detto anche la paroletta a chi mi riferisco. Su questo noi ci siamo, caro presidente Bagnai, cari amici e cari colleghi, noi ci siamo, il CNEL c'è, il CNEL è la casa dei corpi intermedi. Qualcuno voleva questa casa desertificata, distrutta, invece io credo che proprio nei periodi di transizione noi abbiamo bisogno sempre di più dei corpi intermedi e della loro capacità. Devo dire che nei migliori periodi (e poi la smetto con il buonismo) di riformismo in questo Paese il sindacato è stato sempre dalla parte delle buone riforme, sempre, mai dalla parte degli egoismi. Questo bisogna ricordarselo tutti. Tutto il sindacato, datori di lavoro e lavoratori, quando io parlo di sindacato parlo di tutto il sindacato.
  Per questa ragione io dico che noi ci siamo, il CNEL, la casa dei corpi intermedi c'è, quando vorrete ragioneremo, lavoreremo e approfondiremo assieme, quindi ancora grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente. Io non vorrei abusare della tua disponibilità, se hai cinque minuti per rispondere a un'altra domanda. Ha chiesto di intervenire l'onorevole Marta Schifone, ne ha facoltà.

Pag. 15

  MARTA SCHIFONE. Intanto grazie, presidente, perché ci ha fatto un excursus davvero notevole e molto interessante. Molto interessante la parte sui Millennials, come si dice, cioè sul tema del contributivo puro, i ragazzi che dal 1996 in poi dovranno poi vedersela in qualche modo.
  Credo che si debba fare davvero un approfondimento. Noi in finanziaria, come lei sa, abbiamo inserito qualche strumento, però è stato molto interessante il suo commento, così come è stato molto interessante il suo commento sulla questione dell'immigrazione regolare.
  Siamo assolutamente d'accordo sul fatto che c'è bisogno di programmare, abbiamo presentato un doppio «decreto flussi» nel quale abbiamo inserito una programmazione triennale, a differenza di quanto era stato legittimamente fatto in precedenza. Tutto questo dopo dodici anni ha portato addirittura ad una quota di lavoro domestico, di possibilità di arrivo di lavoro domestico regolare dai Paesi extracomunitari, come lei sicuramente sa meglio di me. Ha fatto un accenno ai professionisti, è un tema che ci sta particolarmente a cuore. Professionisti che vengono definiti tertium genus, come una terza parte, un cardine fondamentale che non va mai scalfito a nostro avviso, perché tiene secondo me pesi e contrappesi.
  Noi ci occuperemo anche di vigilanza delle casse di previdenza, e qui arrivo alla domanda, spero che lei possa condividere con noi qualche sua impressione.
  Intanto, è correttissimo quello che diceva il presidente Bagnai perché ormai andiamo verso le nuove professioni, penso all'equo compenso, alla legge n. 4 del 2013 che ha dato grande importanza e cittadinanza legittima a tutte quelle professioni che non erano ordinistiche, ma che credo rappresentino il futuro. Un documento molto interessante presentato al World Economic Forum parlava di professioni che da qui ad un paio di anni saranno inscindibilmente legate all'intelligenza artificiale, quindi è molto importante vengano prontamente inserite in un determinato contesto. Io sono sempre per la regolamentazione perché credo si debba sempre dare un abito a qualcosa, anche ad un qualcosa di nuovo. Ciò detto, le faccio osservare come le casse previdenziali circondano il perimetro di ogni ordine, ci sono delle casse particolarmente virtuose, per esempio la mia – sono una farmacista – è una cassa molto virtuosa. Non è mia intenzione fare delle differenze, ma ci sono invece delle altre casse che presentano delle criticità, lo sappiamo bene, non è una novità.
  Relativamente ai giovani, c'è una flessione degli iscritti agli ordini professionali, come vede lei la sostenibilità di queste casse, intesa anche come sostenibilità finanziaria, fiscale. Infine, sull'autonomia gestionale volevo chiederle se si tratta di un approccio che lei approva o meno.

  PRESIDENTE. Grazie, collega Schifone. Non voglio abusare del tempo e della cortesia del professor Brunetta, quindi gli do immediatamente la parola.

  RENATO BRUNETTA, Presidente del CNEL. Rispondo ben volentieri all'onorevole Schifone, anche perché ne avevamo già parlato nella nostra riflessione. Puntiamo a scrivere un libro bianco in tempi veloci, ad opera di un certo numero di analisti indipendenti di prima grandezza, che sottoporremo al CNEL e poi, ovviamente, al professor Bagnai se ci vorrà audire; ciò, al fine di cominciare a riflettere sul futuro senza vincoli di alcun tipo. Dentro il libro bianco una componente fondamentale è rappresentata dal tema legato ai giovani, ai Millennials, e alla necessità di cominciare a cambiare paradigma. Ad esempio, già i termini ordinistici e non ordinistici mi fa venire un po' l'orticaria. Gli ordini avevano una loro motivazione, una giustificazione, una ragione sociale, economica, istituzionale, erano di fatto i rappresentanti dello Stato a volte anche nei confronti di determinate professioni che svolgevano una funzione di supplenza rispetto alle mancanze dello Stato e dell'offerta di servizi da parte dello Stato. È ancora così? Devono essere rivisti alla luce di quello che sta succedendo, penso all'intelligenza artificiale e all'ordine dei giornalisti, l'unico ordine a cui sono iscritto immeritatamente da quasi cinquant'anni.Pag. 16
  Adesso pare che la regolazione europea preveda che per ogni articolo scritto dall'intelligenza artificiale bisogna mettere un caveat del tipo: «Guardate che è stato scritto dall'intelligenza artificiale». Penso con raccapriccio ai comportamenti di non obbedienza rispetto al caveat perché già adesso mi dicono che molti articoli che leggiamo sui giornali sono stati scritti dall'intelligenza artificiale e noi non lo sappiamo. Per tali motivi chiedo una riflessione, senza demonizzare nessuno, senza accusare nessuno per carità, nella mia nuova vita buonista non lo faccio più, ma dico solo che occorre cambiare paradigma, cambiare occhiali per guardare al futuro.
  Sul tema dei giovani, le assicuro, collega Marta, questa è una delle chiavi dirimenti rispetto a tutto, perché è ora di finirla di scaricare sul 1996 – data di inizio della riforma Dini e del contributivo –, su questa generazione tutte le nostre contraddizioni e tutti i nostri squilibri. Ci sono dentro anch'io, c'è dentro anche il professor Bagnai. Tu quanti anni contributivi avevi nel 1995? Tu sei giovane.

  PRESIDENTE. Io, se interessa a questa Commissione, sono entrato in ruolo nel 1996 e ho qualche contributo della vecchia ENPALS perché sono stato un lavoratore dello spettacolo, non circense ma musicale. Non so come riattaccarlo a tutto il resto, questo è un altro tema forse impossibile, uno dei grandi misteri.

  RENATO BRUNETTA, Presidente del CNEL. Anche la «totalizzazione» è uno dei temi, quando ero bravo sapevo anche queste cose. Si tratta di una delle chiavi e non deve essere un'eccezione, ma una regola, bisogna avere lo spinotto universale, consentitemi il paragone, perché senza spinotto universale non si fa flessibilità e tutto questo vuol dire cambiare paradigma. Cambiare paradigma soprattutto sui giovani vuol dire equità sociale, vuol dire sostenibilità, poiché l'equità sociale non è contro la sostenibilità. Sostenibilità e equità sociale sono due facce della stessa medaglia, almeno nei periodi più virtuosi della nostra storia, quindi le garantisco estrema attenzione da questo punto di vista. Estrema attenzione sul tema delle gestioni separate, delle professioni non ordinistiche, dei giovani, dei Millenians che forse è il tema centrale del futuro. Ciò, naturalmente, senza dimenticarci del passato perché non possiamo farlo. Al riguardo, io non parlerei più di bricolage, ma di manutenzione, se le va bene il termine senatrice Camusso, la manutenzione è cosa virtuosa.
  Però dobbiamo occuparci dei Millennials e di quello che sta succedendo. Questa è una chiave fondamentale se vogliamo far bene tutti il nostro mestiere, voi il vostro di legislatori, noi il nostro di collaboratori delle istituzioni, del Governo, del Parlamento, in rappresentanza dei corpi intermedi. Grazie ancora.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente Brunetta. Grazie anche ai colleghi per aver animato una discussione molto interessante ed approfondita.
  La seduta è tolta.

  La seduta termina alle 12.10.