Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Vai all'elenco delle sedute >>

XIX Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Mercoledì 29 novembre 2023

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUL DEGRADO MATERIALE, MORALE E CULTURALE NELLA CONDIZIONE DEI MINORI, CON FOCUS SULLA DIFFUSIONE DI ALCOOL, NUOVE DROGHE, AGGRESSIVITÀ E VIOLENZA

Audizione, in videoconferenza, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul degrado materiale, morale e culturale nella condizione dei minori, con focus sulla diffusione di alcool, nuove droghe, aggressività e violenza, di: Alfredo Verde, Presidente della Società Italiana di Criminologia e Professore Ordinario di Criminologia nell'Università di Genova; Piero Surfaro, pedagogista delegato dell'Associazione Nazionale Pedagogisti Italiani (ANPE).
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 3 
Verde Alfredo  ... 3 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 3 
Verde Alfredo  ... 3 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 6 
Surfaro Piero  ... 7 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 9

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MICHELA VITTORIA BRAMBILLA

  La seduta comincia alle 14.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Buongiorno a tutti. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione degli impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
  (Così rimane stabilito).

Audizione, in videoconferenza, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul degrado materiale, morale e culturale nella condizione dei minori, con focus sulla diffusione di alcool, nuove droghe, aggressività e violenza, di: Alfredo Verde, Presidente della Società Italiana di Criminologia e Professore Ordinario di Criminologia nell'Università di Genova; Piero Surfaro, pedagogista delegato dell'Associazione Nazionale Pedagogisti Italiani (ANPE).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul degrado materiale, morale e culturale nella condizione dei minori, con focus sulla diffusione di alcool, nuove droghe, aggressività e violenza, l'audizione in videoconferenza di Alfredo Verde, Presidente della Società Italiana di Criminologia e Professore Ordinario di Criminologia nell'Università di Genova, e di Piero Surfaro, pedagogista delegato dell'Associazione Nazionale Pedagogisti Italiani (ANPE). A nome di tutti i commissari, do il benvenuto ai nostri ospiti che ringrazio per la disponibilità a intervenire all'odierna seduta. Do la parola al professor Verde, collegato in videoconferenza.

  ALFREDO VERDE. Grazie, Presidente, per il gradito invito. Credo che sia per noi un'occasione molto importante l'essere auditi perché la Società Italiana di Criminologia, che io presiedo dal 2022, è una società molto antica, nel senso che si è costituita nel 1957, e siamo molto contenti di essere stati convocati.
  Molto spesso i criminologi televisivi non rappresentano quello che siamo, rappresentano anzi qualche tipo di attività che è prevalentemente divulgativa e che non è affatto basata su dati veramente scientifici. Mentre invece oggi volevo portare le nostre considerazioni sul problema della condizione deteriorata dell'infanzia e dell'adolescenza, alla luce di una serie di dati che abbiamo.
  Se posso chiedere, Presidente, quanto tempo ho e in quanto tempo devo concludere, perché ci sarebbe da parlare moltissimo, ma devo per forza in qualche modo contenermi.

  PRESIDENTE. Certo. Professore, mediamente facciamo svolgere interventi che sono intorno ai 15 minuti, poi ci sono le domande dei commissari; in ogni caso gli atti di quello che lei oggi ci rappresenta vengono inviati a tutti i commissari, anche a quelli non presenti per la sovrapposizione con altri impegni. Quindi direi 15 minuti più o meno, poi veda lei, anche meno. Quanto lei ritiene ecco, però questo è il range.

  ALFREDO VERDE. Perché ho preparato alcune slide, ma preferisco, invece che Pag. 4mostrarle, essere più conciso e quindi in qualche maniera farne una specie di riassunto.
  Rispetto al problema di cui ci occupiamo oggi, la prima cosa che va notata è la presenza di un grande allarme sociale su tutti questi aspetti: i reati dei minori e delle baby gang, il consumo di alcol e di stupefacenti e le altre dipendenze che sono non meno gravi, perché hanno a che fare con le dipendenze patologiche da altri fenomeni, per esempio le cyber-dipendenze, le dipendenze da internet, ma anche le dipendenze da altre persone, cioè le forme immature di relazione, che abbiamo visto purtroppo caratterizzare molti degli eventi che ci preoccupano e che in questi giorni proprio hanno letteralmente monopolizzato l'attenzione pubblica. Quindi le dipendenze affettive, in particolare da parte del genere maschile.
  Sicuramente vi sono tutta una serie di problemi da questo punto di vista che hanno a che fare con una sorta di immaturità del genere maschile che, volevo ricordare alla Commissione, è responsabile di circa nove/decimi dei comportamenti antisociali e dei reati che in Italia si verificano. La delinquenza femminile riveste soltanto una percentuale limitata, quindi il genere femminile è soprattutto vittima. Queste non sono cose che vi dico pretendendo di dire delle novità, ma fanno parte di tutto l'inquadramento dell'aspetto culturale.
  Un altro fenomeno che volevo ricordare è l'isolamento sociale, l'Hikikomori.
  Se partiamo dalla situazione del crimine, c'è una serie di problemi molto grossi. Intanto c'è una serie di reati commessi da infraquattordicenni, tant'è che si parla di diminuire l'età della imputabilità, quindi di scendere al di sotto dei 14 anni.
  Un altro fenomeno è che, nonostante ci fosse stato un calo delle denunce dagli anni 2010 in avanti, dopo la pandemia c'è stata una ripresa delle denunce di minorenni di rilevante entità, anche se non si arriva alle 40 mila denunce.
  Sto parlando di denunce e quindi dell'atto iniziale del giudizio penale, a cui molto spesso non fa seguito l'inizio dell'azione penale, ma dà un'idea della fotografia dell'antisocialità in generale, anche se ovviamente non è un'idea definitiva perché questa arriva alla fine del processo. Anche se il processo minorile – abbiamo scritto tanto su questo – è particolare, perché molto spesso ha all'interno degli aspetti di trattamento, comunque questo è quello che sta succedendo dopo il Covid, in particolare nel 2022 e nel 2023 in particolare.
  Il sistema della giustizia minorile non è incapace di gestire queste situazioni, perché abbiamo ormai dal 1988 la messa alla prova per i minori, che poi è stata introdotta anche per gli adulti, che funziona devo dire molto bene.
  I miei dati, che provengono dal Ministero della giustizia, ci dicono, per esempio, che le messe alla prova riguardano circa un decimo delle denunce, ma in realtà sono molte di più, un quinto, perché più o meno l'esercizio dell'azione penale è sulla metà delle denunce, quindi siamo su 20 mila. Nel 2012 avevamo, su circa 20 mila denunce, 3400 messe alla prova, mentre nel 2022, con i dati aumentati abbastanza notevolmente, abbiamo 4500 messe alla prova. Ciò vuol dire che comunque una quota rilevante viene trattata dal sistema penale e possiamo dire che funziona, perché le revoche, cioè quando la messa alla prova viene revocata perché la situazione del minore si è consolidata, il processo di trattamento è andato a buon fine e quindi le prescrizioni sono state rispettate e si estingue l'azione penale, sono circa solo il 6 per cento. Mentre intorno all'8 per cento – questo è un dato stabile negli ultimi dieci anni – sono le proroghe, cioè quando il tribunale non è ancora convinto e quindi prosegue la messa alla prova. Quindi abbiamo un dato di crescita, ma un dato di funzionamento del sistema penale minorile.
  Per quello che riguarda l'alcol i dati sono drammatici. Nell'anno 2020 il 50 per cento dei ragazzi e il 45 delle ragazze tra gli 11 e i 25 anni ha consumato almeno una bevanda alcolica nel corso dell'anno, ma i baby drinker, cioè quelli che bevono più di cinque unità alcoliche in un lasso di tempo breve, in una serata, sono quasi un milione, il che ci dice che l'alcol è passato da sostanzaPag. 5 di uso alimentare, caratteristica dei Paesi Latini per cui l'alcol fa parte della dieta, a una sostanza di sballo, la qual cosa è di nuovo preoccupante.
  Altrettanto preoccupante è il fatto che ci sia stato un aumento delle ragazze anche tra i baby drinker, il 40 per cento delle ragazze nel 2020 hanno fatto uso di cinque unità alcoliche almeno una volta nel corso dell'anno.
  Per quel che riguarda invece gli stupefacenti – e qui vado a stringere- siamo di nuovo a dati molto preoccupanti. Nell'ultimo anno il 24 per cento ha provato la cannabis, l'1 per cento ha provato sostanze oppiacee, l'1,8 per cento la cocaina, il 2 per cento gli stimolanti, l'1,6 per cento gli allucinogeni. Sembrano questi dati bassi, ma l'aumento è del 100 per cento. Per esempio, la cocaina passa da 1,4 a 1,8, e gli stimolanti – anfetamine e ecstasy – da 0,7 a 2,1, triplicano. L'uso di cannabinoidi sintetici raddoppia e anche l'uso di psicofarmaci senza prescrizione medica quasi raddoppia. Quindi viene da chiedersi che fare? E allora vediamo.
  Il dibattito televisivo, quello che ci ha in qualche maniera coinvolto tutti, ha parlato di interventi di tipo educativo e di presa in carico, ma forse un po' meno, psicologica dei ragazzi. In realtà, secondo me e secondo i dati scientifici che abbiamo, gli interventi che funzionano meglio in queste situazioni sono interventi un po' più generalizzati e che coinvolgono le famiglie, non tanto i ragazzi quanto i genitori, e quindi poi si arriva ai ragazzi.
  Qui devo parlare per forza di un esperimento, che non è più un esperimento, che è stato fatto negli Stati Uniti a partire ormai dagli anni Ottanta, sono passati circa quarant'anni. Ci sono modalità di prevenzione della devianza, del disagio psichico dei bambini, lavorando con le mamme dagli ultimi mesi della gravidanza fino al terzo anno. Perché tutti questi comportamenti di tipo dissociale, di disagio o di degradazione, hanno le loro radici nelle età sensibili della prima infanzia. Quindi mandando un'infermiera, o un'educatrice nell'applicazione europea, per un'ora alla settimana in casa della mamma, si vede che l'operatrice insegna a comportarsi in un modo adeguato dal punto di vista della gestione del bambino.
  I dati che questa ricerca ha portato, che ormai è diventata uno strumento che viene utilizzato, mostra che i fenomeni di disagio psichico e di antisocialità – i comportamenti di disagio psichico, depressione e ansia si chiamano internalizzanti, i comportamenti che hanno a che fare con l'aggressività si chiamano esternalizzanti – vengono diminuiti in maniera decisa. C'è una relazione tra questi interventi che costano molto poco – un'ora alla settimana non costa tanto per un operatore – e i risultati molto positivi nell'adolescenza e nella prima età adulta. Quindi l'effetto dura nel tempo perché interviene sulle età sensibili.
  Ci sono anche altri dati che ci dicono che l'intervento con i genitori funziona, in particolare quando i genitori vengono gestiti e trattati dal punto di vista dell'attaccamento, cioè viene loro insegnato a rispondere in maniera adeguata alle richieste affettive dei bambini. La teoria dell'attaccamento del grande psicoanalista e psicologo dello sviluppo inglese Sir John Bowlby, quando si insegna ai genitori a leggere le emozioni dei figli e a rispondere in modo adeguato, si insegna attraverso un coinvolgimento dei genitori sulle loro stesse emozioni a gestire il bambino empatizzando e cercando di capire quello che lui pensa. Perché quando siamo sicuri di sapere chi è l'altro abbiamo dei problemi, e quando pensiamo che l'altro è oscuro o è opaco a noi e possiamo pensare che l'altro è separato da noi, pensiamo che il nostro bene sia il bene dell'altro, cosa che poi, quando siamo delusi da questo, ci porta agli esiti aggressivi come quelli che portano ai femminicidi, tanto per semplificare.
  Quindi sono modelli che hanno a che fare con la famiglia. Questi ultimi modelli sull'attaccamento sono quelli che cominciano a essere convalidati anche dalle ricerche empiriche e dalle ricerche che studiano tutte le ricerche. Si chiamano meta-analisi, cioè andando a vedere tante ricerche, cerchiamo di vedere la tendenza di un'ipotesi scientifica, e se tante ricerche dicono la stessa cosa, vuol dire che c'è un Pag. 6fenomeno vero sottostante e questo riguarda questo tipo di ricerche di cui parlavo.
  Occorre fare quindi interventi sulla famiglia, ma poi anche interventi sulle scuole. Qui sarò estremamente veloce.
  Occorre l'utilizzazione tanto per cominciare degli psicologi – i criminologi hanno tante professionalità, io sono psicologo – ma in generale è utile pensare che in Italia ci sono tantissimi psicologi e che possiamo usarli, poi posso dire un po' come.
  L'utilizzazione degli psicologi per il disagio nelle scuole, non solo per attività di sportello, cioè sentire i ragazzi singolarmente quando ci sono dei problemi, serve per la creazione, attraverso interventi psicologici con gli insegnanti, di una migliore atmosfera nella scuola, di un'atmosfera positiva. Molte ricerche dicono anche questo.
  E poi ancora occorre la presa in carico degli insegnanti per la gestione dei gruppi-classe problematici, cioè supervisione o gruppi Balint sugli insegnanti fatti da psicologi, e ancora supervisioni specifiche agli insegnanti per la gestione di casi estremamente problematici. Soprattutto l'intervento dello psicologo scolastico deve riguardare in maniera solo residuale il singolo, perché sul singolo alunno si può fare solo una diagnosi che poi viene inviata ai servizi pubblici. E qui vengo all'ultima cosa che volevo dire.
  La necessità è quella di intervenire anche sui minori ovviamente, ma quando c'è un problema conviene lavorare sui genitori e sulla scuola. Quando il problema si è in qualche maniera manifestato, cioè c'è una patologia, un problema sociale, un problema esternalizzante o un comportamento antisociale, la presa in carico deve essere integrata. Quindi la scuola l'abbiamo vista nel modo che ho detto, ma occorre poi anche attuare interventi sui minori, non soltanto tramite psicologi, ma anche tramite operatori ed educatori professionali che sono la ricchezza del nostro Paese e che sono pagati in maniera veramente potrei dire scandalosa, perché hanno uno stipendio molto basso, siamo veramente a livelli bassissimi. Quindi l'utilizzazione dei servizi educativi, delle comunità educative assistenziali, per esempio dei centri diurni, educatori professionali che lavorano ovviamente in convenzione con i servizi sociali degli enti locali, quindi l'utilizzazione del privato sociale sicuramente.
  Io sono a Genova, abbiamo un'esperienza che è cominciata, in virtù del lavoro dei miei maestri – mi piace ricordare il professor Roberto Gatti – dal 1978, da quando ci sono questi interventi.
  Quindi una persona adulta che è disponibile per il minore non è ancora uno psicologo, poi può essere uno psicologo, se ci sono problematiche specifiche che necessitano un intervento e qui abbiamo i servizi pubblici. Ma i servizi pubblici sono sottodimensionati, non si rimpiazzano gli operatori che vanno in pensione e quindi forse sarebbe utile pensare a qualche cosa di più articolato.
  Porto il mio esempio, e poi finisco. Io lavoro in carcere, faccio la supervisione come psicologo all'équipe del Servizio nuovi giunti, che è fatto da psicologi della Casa circondariale di Genova Marassi, ma anche alla sezione di custodia attenuata per i tossicodipendenti, con educatori.
  Allora credo che sia molto importante pensare che il privato sociale possa essere usato anche per questi servizi. In altre parole, se non bastano i servizi pubblici, ci sono molti psicologi che possono lavorare nel privato sociale, a cui possono essere delegate delle funzioni, sempre però nel rispetto della loro professionalità, e quindi prevedendo anche un tipo di compenso che, pur non arrivando allo stipendio mensile di un operatore del servizio pubblico o di uno psicologo del servizio pubblico, comunque sia un riconoscimento di un lavoro molto importante.
  Qui mi fermo perché mi sembra di avere davvero messo tantissima carne al fuoco in un quarto d'ora, forse ci ho messo qualche minuto in più, ma credo che sia molto importante però considerare tutti questi aspetti. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie infinite, professore Verde, per il suo intervento. Do ora la parola al dottor Surfaro, anche lui in videoconferenza. Prego, dottor Surfaro.

Pag. 7

  PIERO SURFARO. Buongiorno a tutti. Grazie mille per l'invito. Porto i saluti della Presidente nazionale dell'ANPE, dottoressa Mariangela Grassi, che mi ha delegato per questa audizione. Devo dire che sono onorato e contento di potermi interfacciare con un livello istituzionale che si occupa di quello di cui mi occupo quotidianamente. Sono un pedagogista che dal lontano 1996 si occupa proprio di dipendenze patologiche. Opero a Reggio Calabria presso il Centro reggino di solidarietà che fa parte della rete FICT (Federazione italiana delle comunità terapeutiche), che so essere già stata audita in passato dalla Commissione.
  Ho ascoltato con estremo interesse quello che il professor Verde ha detto e mi permetto in maniera molto umile, da operatore di strada, da operatore in jeans e scarpe da tennis come mi piace definirmi, di provare a dare un volto ai numeri. Ringrazio il professore di avere elencato i numeri che mi hanno occupato grande spazio nel preparare questa audizione, e li confermo, nel senso che i dati che ho a disposizione riportano praticamente le stesse cose.
  Provo a dare un volto ai numeri, perché nel programma che ho letto la Commissione ha come obiettivo di promuovere nei giovanissimi l'empatia e il rispetto degli altri alimentando le relazioni positive.
  Inizio con il dire che dare un volto ai numeri significa, secondo noi, provare a creare un contesto di relazioni positive che permetta alle persone (minori, giovani adulti, adulti) di sviluppare questa empatia e puoi raggiungere questo obiettivo solo se lo sperimenti.
  Attualmente opero in comunità terapeutica per tossicodipendenti e quindi opero con gli adulti. Sino a poche ore fa incontravo i vari Ettore, Francesco, Sebastian, piuttosto che Michele, e, se vado a vedere nelle loro anamnesi personali, riportano un inizio di dipendenza patologica per alcolismo, una dipendenza da cocaina, una dipendenza da gioco di azzardo molto remota nel tempo, in età adolescenziale, alcuni addirittura in età di scuola primaria. C'è chi ha intercettato addirittura la cocaina e l'eroina in terza o quarta elementare, in situazioni di particolare degrado.
  Sto facendo l'audizione da un'altra struttura nella quale ci occupiamo di gioco d'azzardo patologico. Quando si parla di interventi di questo tipo, sottolineo un passaggio, riusciamo a portare avanti questo tipo di attività perché attingiamo a progetti. Oggi il gioco d'azzardo patologico non rientra all'interno di quelli che sono i LEA, quindi non rientra all'interno di un sistema particolarmente strutturato, ma faccio tanti interventi nelle scuole – tra parentesi, terminata l'audizione, mi collegherò a un corso di formazione che stiamo portando avanti per genitori, professori e operatori sociali che fanno parte di un grande progetto di prevenzione nelle scuole superiori – per cercare di lavorare al pari con i ragazzi, con i quali abbiamo già fatto un modulo, e mettere in pari anche gli adulti che si occupano di loro.
  Il professore parlava di interventi sulle famiglie, cosa fondamentale. Vi do un dato: all'interno di uno degli istituti presso i quali collaboro recentemente c'è stato (nell'ambito della giornata di contrasto alla violenza sulle donne) un grosso convegno, aperto ovviamente alla cittadinanza e agli insegnanti. Il dato è che la partecipazione dei docenti è pari a cento, la partecipazione delle famiglie a zero. Mia moglie lavora in questo ambito, ho chiesto i dati e riportava questi dati.
  Quindi l'intervento sulle famiglie è assolutamente fondamentale, così come fondamentale è un altro passaggio importante: l'intervento di prevenzione precoce.
  Il professore parlava ovviamente dello psicologo scolastico, di questi interventi. Mi permetto da pedagogista di allargare un po' lo sguardo: serve nelle scuole un intervento multidisciplinare, un intervento attraverso il quale il pedagogista, lo psicologo, l'educatore collabori con gli insegnanti. Anche perché, se andiamo a vedere, è forte la richiesta delle scuole; ci sono molti insegnanti, molti docenti, molti dirigenti scolastici che mi contattano.
  È paradigmatica un'esperienza che ho avuto tanti anni fa nell'istituto del mio paese, io vengo da Melito di Porto Salvo, in Pag. 8provincia di Reggio Calabria. Un dirigente che conosceva la mia professione e il mio ambito d'azione un giorno mi telefona e mi dice «Senti, voglio organizzare una giornata pedagogica». Al che ho detto: «Bene, dirigente, che cosa intende?». «Non lo so, so che questa azione può essere utile, ti affido l'idea». «Ma dove vuole arrivare, qual è l'obiettivo?». La risposta è stata incredibile. Mi ha detto: «Io vorrei che tutti gli agenti presenti nella mia scuola, docenti, alunni, personale ATA, tutte le persone, compresi i genitori, possano iniziare a creare relazioni positive». E mi ha affidato questa idea.
  Da lì è nata una tradizione di giornate pedagogiche nelle quali periodicamente la scuola diventa un grande laboratorio, un po' una sorta di apprendimento cooperativo particolare. Che ha dato grandi risultati, perché ha permesso ai dati della scuola, in termini di dispersione scolastica, in termini anche dal punto del profitto dei ragazzi, in termini di abbassamento della criticità nella gestione del gruppo, un notevole miglioramento. E soprattutto, a distanza di tempo, si è abbassata la richiesta di un mio intervento.
  Perché non dobbiamo dimenticare mai, come diceva il professore, che alla fine nella scuola sono i docenti che devono essere formati e devono trasferire uno stile e una formazione ai ragazzi, non solo l'informazione didattica, ma proprio un percorso formativo importante. Noi professionisti possiamo e dobbiamo essere quel motorino di avviamento che permette poi al meccanismo di camminare da solo.
  Queste azioni messe a sistema – vi faccio presente che io sono un minimo puntino all'interno di tutto quello che è il vostro raggio di interesse ovviamente – alcune volte possono fare da faro in alcuni casi, se riusciamo a mettere a sistema un'azione sinergica delle varie professionalità che ci sono.
  Tra parentesi, condivido per esperienza gli stipendi non esaltanti di chi lavora all'interno del terzo settore e fa questo lavoro «h24», perché alla fine non ci fermiamo mai. Ma la grande gratificazione è quella di potersi anche interfacciare con le istituzioni e dire (non lamentarsi, lungi da me farlo) «grazie che vi state interessando a questo, però adesso, dopo avere analizzato il problema, agiamo».
  Mi permetto di dire una cosa rispetto a una proposta recente su cui si sta ragionando rispetto agli ultimi episodi di violenza sulle donne.
  Perché non si studia un sistema che permetta l'educazione all'affettività che parta dalla scuola d'infanzia? Se è vero che il professore, ed è vero, parla addirittura di un'azione di prevenzione che parte già da quando c'è la gestazione, allora per potere avere dei giovani adulti e degli adulti capaci di rapportarsi alle proprie relazioni, bisogna cominciare dalla scuola dell'infanzia, in maniera indiretta ovviamente, per poi passare alla scuola primaria, dove le relazioni e l'affettività iniziano ad essere praticate, per poi passare alla scuola secondaria di primo e di secondo grado.
  Dobbiamo avere il coraggio di gettare un seme oggi, sapendo che raccoglieremo i frutti fra venti anni. Ma allora lì creiamo il cambiamento, perché altrimenti facciamo degli interventi che per quanto utili, per quanto importanti, come quelli che ho fatto io nella scuola fino alla settimana scorsa, restano e diventano degli interventi spot che magari cadono solamente su questo o quel ragazzo, ma sui numeri di cui parliamo dobbiamo alzare le mani e dire «purtroppo è così» e staremo sempre ad analizzare il problema.
  Uno dei miei maestri dice sempre che fin quando analizziamo il problema noi diventiamo parte del problema. Visto il problema e analizzate le origini, dobbiamo avere il coraggio di agire, in jeans e scarpe da tennis diciamo, cioè in modo che ci sia prossimità, al di là dei documenti che leggiamo e su cui ci prepariamo. Dobbiamo sapere che domani mattina, quando torno in struttura, alle otto non incontrerò la percentuale X di uomini e donne che hanno avuto il problema della dipendenza, ma incontrerò Michele, Sebastian e Antonio che hanno bisogno di risposte per provare a salvare la propria vita e a rendere migliore la vita dei familiari che lo stanno aspettando. Mi fermo. Spero di essere stato Pag. 9nei tempi e di essere stato sufficientemente chiaro.

  PRESIDENTE. Assolutamente sì. La ringrazio, dottor Surfaro. Chiedo se i colleghi presenti o collegati in video conferenza intendono intervenire per porre domande o formulare osservazioni; diversamente, come sempre, invieremo gli atti e comunque i testi che vorrete fornire a tutti i commissari. Qualche collega deve formulare domande? Non mi pare.
  Vi anticipo, signori relatori, che con questa indagine conoscitiva siamo già a buon punto e quindi realizzeremo, una volta approvata la relazione finale, un evento per presentarla e quindi alzare ancora di più l'attenzione su questi temi e vi chiedo sin d'ora la disponibilità a essere presenti in modo da portare questo vostro contributo anche in quella sede. Quindi grazie infinite a tutti. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15,15.