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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XIX Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 9 di Martedì 30 gennaio 2024

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 2 

Audizione, in videoconferenza, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul degrado materiale, morale e culturale nella condizione dei minori, con focus sulla diffusione di alcool , nuove droghe, aggressività e violenza, di: Massimo Scaccabarozzi, Direttore di On Radar Think Tank della Fondazione Internazionale Menarini; Don Claudio Burgio, Presidente dell'Associazione Kayrós :
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 2 
Scaccabarozzi Massimo , Direttore di On Radar – Think Tank della Fondazione Internazionale Menarini ... 2 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 5 
Burgio Claudio , Presidente dell'Associazione Kayròs ... 6 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 9 
Ambrogio Paola  ... 9 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 9 
Leonardi Elena  ... 9 
Madia Maria Anna (PD-IDP)  ... 10 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 10 
Mennuni Lavinia  ... 11 
Marchetto Aliprandi Marina (FDI)  ... 11 
Burgio Claudio , Presidente dell'Associazione Kayròs ... 11 
Scaccabarozzi Massimo , Direttore di On Radar-Think Tank della Fondazione Internazionale Menarini ... 12 
Brambilla Michela Vittoria , Presidente ... 12 

ALLEGATO: Memoria della Fondazione Menarini ... 13

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MICHELA VITTORIA BRAMBILLA

  La seduta comincia alle 13.55.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Buongiorno a tutti. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione degli impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
  (Così rimane stabilito).

Audizione, in videoconferenza, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul degrado materiale, morale e culturale nella condizione dei minori, con focus sulla diffusione di alcool, nuove droghe, aggressività e violenza, di: Massimo Scaccabarozzi, Direttore di On Radar Think Tank della Fondazione Internazionale Menarini; Don Claudio Burgio, Presidente dell'Associazione Kayrós.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul degrado materiale e morale e culturale nella condizione dei minori con focus sulla diffusione di alcol, nuove droghe, aggressività e violenza, del dottor Massimo Scaccabarozzi Direttore di On RadarThink Tank della Fondazione Internazionale Menarini e di don Claudio Burgio, Presidente dell'Associazione Kayròs. A nome di tutti i commissari do il benvenuto ai nostri ospiti che ringrazio per la disponibilità ad intervenire nella seduta odierna e comunico che il dottor Scaccabarozzi è accompagnato dalla dottoressa Beatrice Pepe che è coordinatrice degli eventi di On Radar.
  Mi regolerei in questo modo. Abbiamo 45 minuti, darei la parola prima al dottor Scaccabarozzi che così ci fa una prima premessa e poi darei la parola a don Burgio che ha tutto un mondo di esperienze che certamente sono materiale prezioso per il nostro lavoro. Prego.

  MASSIMO SCACCABAROZZI, Direttore di On Radar – Think Tank della Fondazione Internazionale Menarini. Grazie Presidente. Gentili onorevoli, senatrici e senatori, innanzitutto volevo esprimere un sentito ringraziamento per l'opportunità che ci state dando oggi per un semplice motivo, perché questa audizione consente di mettere a disposizione i risultati di un lavoro che stiamo facendo con il nostro think-tank. On Radar è un think-tank, come dicevamo, all'interno della Fondazione Menarini. È un think-tank senza fini di lucro, siamo un'organizzazione indipendente che ha un obiettivo: mettere in moto quelle iniziative di cambiamento che nascono dall'analisi delle problematiche che oggi riguardano la nostra società e ci stiamo focalizzando su tematiche che riguardano questioni irrisolte per il nostro Paese attraverso il confronto di esperti.
  Non abbiamo la presunzione di essere noi gli esperti, gestiamo un processo proprio con il radar di fare una questa detenzione, trovare degli esperti – come in questo caso Don Burgio – che si possano mettere intorno a un tavolo e partire da alcune problematiche senza avere l'obiettivo della denuncia. La denuncia sappiamo che c'è quando c'è una problematica, ma dalla denuncia partire per trovare possibili soluzioni che poi abbiamo quella piccola ambizione di mettere a disposizione delle istituzioni, come stiamo facendo in questo Pag. 3caso. Poi se le istituzioni le riterranno utili bene, se non le riterranno utili va bene lo stesso, ma crediamo di dare un contributo con delle idee che vengono fuori dagli esperti.
  Siamo un'organizzazione giovane, nata circa un anno fa. Il primo tema che abbiamo affrontato è stato quello degli abusi di infanzia – di cui vi parlerò alla fine di questa premessa – ma abbiamo affrontato anche altri temi. Per esempio, abbiamo affrontato il tema della natalità, che è un problema che affligge questo Paese e cerchiamo sempre di essere innovativi nel metodo. L'abbiamo chiamato politically incorrect perché abbiamo portato oltre agli esperti, per esempio per la natalità, un gruppo di ragazzi. Un gruppo di ragazzi sparsi su tutto il territorio, con diverse condizioni sociali e scolastiche, perché abbiamo pensato che chi deve fare i figli nei prossimi anni è già nato ed era giusto chiedere a loro che cosa ne pensassero.
  Recentemente abbiamo affrontato un altro tema che è quello della sicurezza nazionale. Anche qui in modo provocatorio lo abbiamo chiamato «Non solo militare, ma anche industriale» cercando di mettere intorno a un tavolo quei settori che possono essere determinanti per garantire la sicurezza del nostro Paese.
  Il nostro obiettivo, come dicevo, è quello di elaborare delle soluzioni, delle proposte che possano in qualche modo poi essere ritenute speriamo utili a chi di volta in volta può starci a sentire. Ovviamente oggi ci focalizziamo su un argomento che è quello che ha espresso prima lei, Presidente, perché all'interno del primo argomento che abbiamo affrontato e l'abbiamo chiamato «Infanzia bruciata aiutiamoli a sorridere» abbiamo messo intorno a un tavolo esperti, come, per esempio, don Claudio Burgio che dirige una comunità di ragazzi, ma avevamo anche la Polizia di Stato, avevamo giudici, avevamo medici, perché volevamo che loro portassero la loro esperienza su quattro temi. Il primo tema era gli abusi d'infanzia, il secondo tema era la violenza digitale, il terzo tema era agli effetti dell'isolamento sociale sui ragazzi, soprattutto nel periodo post pandemia, e l'ultimo, quello di cui parliamo oggi, era periferie e povertà.
  Per ognuna di queste declinazioni i professionisti hanno discusso il contesto molto approfonditamente e hanno fatto delle proposte che oggi, per quanto riguarda l'argomento di cui stiamo dibattendo, cercherò di riassumere. Poi lascerò la parola a don Burgio perché lui tra l'altro era il coordinatore di questo gruppo.
  In questo gruppo, che si chiamava il workshop sulle periferie e povertà, gli esperti che avevamo erano don Burgio che coordinava, ma avevamo anche Mario De Curtis, professore di pediatria presso il dipartimento di Neuropsichiatria infantile dell'Università della Sapienza, avevamo un giudice del Tribunale per i minorenni di Roma, la dottoressa Formisano, avevamo la professoressa di un liceo di una zona periferica di Milano, la professoressa Silvia Prati, che ci ha portato l'esperienza della sua scuola in un quartiere abbastanza particolare di Milano. Avevamo anche un altro insegnante di religione, Enrico Saccà, presso un istituto del nord di Milano, fondatore e presidente di un'associazione che si chiama «I sassi di Betania», e avevamo anche il direttore di un dipartimento di emergenza sulla violenza sui bambini perché è un pediatra generale dell'Ospedale Bambin Gesù di Roma.
  Si è iniziato analizzando il contesto sociale e mi ha fatto piacere perché, nel venire qua nel corridoio, ho sentito nelle sue parole, Presidente, alcune cose che sono venute fuori proprio dall'analisi del tema. Per esempio, si è valutato che nel 2021 ci sono circa 1 milione e 400 mila minori in povertà assoluta, che rappresentano il 14 per cento, con una crescita di tre punti percentuali rispetto a qualche anno prima. Un reddito familiare troppo basso non permette di garantire ai minori un pieno sviluppo psichico, fisico e anche intellettuale. Quindi questo deficit produce conseguenze su vari aspetti che hanno affrontato loro. Oggi ho solo la presunzione di raccontarvi quello che hanno fatto loro perché io gestivo solo il processo. Facciamo un esempio sulla salute, i bambini che vivono in famiglie povere vanno incontro più frequentemente,Pag. 4 pochi lo sanno, a infezioni dell'apparato respiratorio e gastrointestinale, carenze nutrizionali, disturbi psicologici e comportamentali e qualche volta anche psichiatrici.
  Anche in termini di legalità è stato analizzato un rapporto esplorativo sulla criminalità giovanile in Italia del 2022 – tra l'altro una ricerca condotta dall'Università Cattolica – dove si assiste a un aumento molto forte del fenomeno delle baby gang, soprattutto nel Centro-nord, mentre al Sud sono più concentrati i gruppi connessi alle organizzazioni criminali che si avvalgono di questi ragazzi per coinvolgerli nelle loro attività. Vengono coinvolti in queste attività soprattutto i figli che sono nati in Italia da famiglie immigrate, qualche volta può succedere, e rivela uno stato di abbandono e solitudine, quello che si diceva prima mentre arrivavamo qua.
  Un altro aspetto che è stato analizzato molto bene è l'educazione perché aumenta fortemente nel nostro Paese il tasso di abbandono scolastico. Addirittura ci sono regioni, come la Sicilia, dove si arriva ad un picco di abbandono scolastico del 21 per cento che è una cosa, soprattutto in questi anni, molto importante.
  Quindi la periferia non è stata intesa come un luogo fisico, ma come una dimensione psicologica in cui si ritrovano milioni di ragazzi. Da questa analisi è venuto fuori che ci sono alcuni elementi su cui bisognerebbe intervenire. Il primo sarebbe la scuola, perché questo gruppo riteneva che intervenire sul sistema scolastico fosse una grande opportunità, ma in modo di proporre delle soluzioni con una maggiore inclusività. Maggiore inclusività che poteva riguardare anche il fornire informazioni, apprendimento di corretti stili di vita, l'educazione sanitaria, per esempio, comprendente l'educazione alimentare, sessuale, educazione di prevenzione e contrasto delle dipendenze, ma anche implementare dei piani di studio che favoriscano l'educazione al bello e con la consapevolezza di sé nella propria espressività. Una cosa che è emersa come un qualche cosa che oggi nei ragazzi sembra un pochino mancare.
  Quindi la scuola, secondo quello che diceva il gruppo, dovrebbe diventare una comunità educante e potrebbe essere utile, per esempio, la figura di un pedagogista.
  Non è emerso da questo gruppo di lavoro, ma nel gruppo successivo che abbiamo fatto sulla natalità i ragazzi ci dicevano che, per esempio, oggi a scuola ci sono gli sportelli psicologici e loro usavano una parola un po' particolare, però a questi sportelli i ragazzi non ci vanno perché andare a questi sportelli ti bolla con una bolla negativa – loro usavano una parola un po' colorita che non vi sto a ripetere – però come un ragazzo che ha dei problemi, sfortunato e quindi non ci va nessuno. Quindi dovrebbe essere uno sportello che ha una visione diversa e il pedagogista dovrebbe occuparsi anche di favorire il Peer Tutoring, cioè quell'attività di insegnamento tra pari in cui gli studenti forniscono aiuto e sostegno nell'apprendimento ai propri compagni e soprattutto, un altro aspetto, la collaborazione con il mondo del civismo territoriale.
  Questo è quello che dicevano gli esperti e, in ultimo, sempre nella scuola, un esempio pratico di possibili fonti di disagio è rappresentato dall'inserimento scolastico dei bambini stranieri che ovviamente necessitano di un più incisivo supporto nell'apprendimento soprattutto della lingua italiana. Quindi potrebbe essere utile già un intervento in termini di asili nido perché aiuta questi ragazzi a inserirsi meglio e magari una figura che potrebbe dare una mano all'interno della scuola è quella del mediatore culturale che potrebbe aiutare questi ragazzi. Quindi per tutti è emerso il fatto che la scuola dovrebbe diventare sempre di più un luogo sano in cui in cui i ragazzi possano percepire quella missione che non è solo didattica, ma anche educativa e insegnare la socializzazione per vivere l'esperienza della comunità.
  È chiaro che il secondo posto doveva essere la famiglia che deve rappresentare il primo posto sicuro. Si ritiene fondamentale creare una rete di assistenza alle famiglie, non solo in termini economici, perché quello che è venuto fuori è che il termine economico è importante, ma soprattutto con un'offertaPag. 5 di servizi. Quindi rafforzare quelle reti territoriali che hanno la scuola come punto di riferimento, ma che possono in qualche modo avere un ruolo di progettazione come offerta di servizi.
  Il terzo percorso, però qui abbiamo un esperto che è don Burgio, è quello dei percorsi rieducativi alternativi al carcere minorile. Se ne parlava proprio poco fa, uno degli elementi utili che si riteneva in questo gruppo di lavoro era il superamento del dispositivo carcerario per i minorenni, favorendo percorsi alternativi al carcere che in qualche modo facilitano la fuoriuscita del minorenne dal circuito penale, per aiutarlo in questo inserimento.
  In sintesi quindi vi leggo le proposte che sono venute fuori da questo gruppo di lavoro.
  La prima: potenziamento capillare dei servizi per le famiglie, per coprire anche zone geografiche carenti quindi con un potenziamento – mi rendo conto che a volte è difficile da un punto di vista economico – anche del personale scolastico.
  Rimodulare le 33 ore all'anno di educazione civica per aprire a temi un po' più inclusivi – quali per esempio la prevenzione – con l'intervento di esperti, magari utilizzando le tecnologie disponibili. Dico sempre che, se oggi dovessimo avere un esperto che fa il giro di tutte le scuole, ci metteremmo anni. Però le nuove tecnologie consentono in due ore di raggiungere tutte le scuole d'Italia, perché con la tecnologia possiamo mettere a disposizione dei ragazzi questi esperti. Potenziare i servizi dell'asilo nido era un'altra delle proposte, con orari flessibili di accesso e mensa. E qui era venuto fuori un esempio che potrebbe essere utile per una futura indagine, quello del Trentino Alto Adige, perché pare abbiano un esempio di gestione degli asili nido un po' differente. Mettere la scuola al centro di una rete di dialogo con le strutture territoriali, di collaborazione e collegamento con le aree intercomunali, quindi un luogo sicuro e accogliente all'interno del comune e poi, ovviamente, la gestione dei minori in carcere perché il sistema penale – dicevano questi esperti – dovrebbe essere affiancato da azioni concrete di prevenzione, senza limitare l'attenzione al recupero e alla cura dei minori in carcere per i quali, probabilmente, occorre rivedere la gestione da parte del Tribunale per i minorenni.
  Ultimo, e non ultimo, il problema che veniva proposto come sintesi del lavoro riguardava cittadinanza e adozione, perché sappiamo che bisognerebbe assicurare a tutti gli stessi diritti e soprattutto agire sul benessere psichico dei figli di genitori stranieri che sono nati in Italia e, in termini di adozione, dare quel sostegno alle famiglie che adottano bambini provenienti da altri Paesi che spesso portano con sé dei problemi abbastanza importanti.
  Vado alla conclusione, poi lascio rapidamente la parola a don Claudio Burgio, che credo sia la parte più importante di questa audizione. Speriamo con le nostre attività di poter portare un piccolo contributo ai lavori della Commissione.
  Rimaniamo a disposizione anche su varie tematiche che potrebbero interessarvi. Se avete delle tematiche da sviluppare ce le indicate, possiamo raccogliere gli esperti e poi produrre una serie di documenti e di atti che vi mettiamo a disposizione. Poi starà a voi dire interessano o non interessano, ma potrebbe essere un lavoro. Devo dire che quello con cui vorrei concludere è una frase che a noi è molto cara e che ci ha guidato. È anche il titolo di un libro che ha scritto proprio don Claudio qualche anno fa – e anche lui è qui con noi oggi – ed è l'ultima frase di questo mio breve discorso: non esistono ragazzi cattivi. Grazie.

  PRESIDENTE. Ottimo. Grazie, dottor Scaccabarozzi. Non ho precisato prima che vi sono colleghi che sono videocollegati, vede stiamo trasmettendo. Ma, oltre a questo, i Commissari comunque avranno tutti gli atti di oggi.
  Vorrei quindi dare la parola a don Claudio Burgio che è anche cappellano del Beccaria, il carcere minorile di Milano, e quindi è direttamente sul campo di queste vite, di queste storie, perché ogni storia è una vita e ne ha conosciute tante. Prego, don Claudio.

Pag. 6

  CLAUDIO BURGIO, Presidente dell'Associazione Kayròs. Ringrazio per l'invito. In effetti non è che sono un esperto dal punto di vista teorico o accademico, ho la grazia di poter vivere con questi ragazzi all'interno di questa comunità Kayros di Vimodrone, vicino a Milano.
  Ho soprattutto questa esperienza sul campo del carcere minorile Beccaria – uno dei 17 carceri, istituti penitenziari minorili del nostro Paese – e quindi incontro quotidianamente ragazzi che certamente hanno un conflitto con la legge, ma hanno soprattutto un conflitto con sé stessi, con la loro storia, con le loro difficoltà.
  Chi sono i ragazzi che approdano in un carcere minorile? Innanzitutto il numero, sono poco più di 400 in tutta Italia, questo già dice come nel nostro Paese il dispositivo del carcere minorile sia un dispositivo residuale, quindi l'extrema ratio, come in parte anche tutte le convenzioni e le leggi internazionali prescrivono. Perché è vero che innanzitutto sono autori di reato, ma sono innanzitutto minori e quindi come tali devono essere tutelati, curati, educati. Quindi sono ragazzi che arrivano dalle periferie ovviamente, da quartieri e da famiglie svantaggiate, dove povertà economica ed educativa sono ampiamente attestate, ma sono anche – in una quota minore – ragazzi in realtà di buone famiglie. Anche ragazzi italiani, alcuni arrivano addirittura da ambienti parrocchiali, quindi vuol dire che il disagio dell'adolescenza nel nostro Paese è un disagio piuttosto trasversale, non si connota semplicisticamente a partire da categorie sociali.
  È chiaro che i più esposti sono indubbiamente i ragazzi di seconda generazione, in modo particolare, e – nel nostro Paese indubbiamente il fenomeno è attualissimo – tanti ragazzi minori stranieri non accompagnati che approdano nel nostro Paese. Soprattutto pensate, nella città di Milano sono circa 2000 i ragazzi, pari al 12 per cento di quelli sbarcati in Italia. Questo pone in un comune come quello di Milano, ma pensiamo soprattutto ai comuni locali territoriali più piccoli, davvero un problema importante sia dal punto di vista economico, sia dal punto di vista della gestione di questi ragazzi. Nella sola città di Milano in questi giorni sono quasi mille i ragazzi in giro, cioè minorenni che non possono essere accolti dalle comunità perché non ci sono posti, non si sa dove accoglierli. Di conseguenza è chiaro che questi sono i ragazzi più esposti a delinquere. Magari entrano nel carcere minorile Beccaria per piccoli reati, quasi di sopravvivenza, e le loro detenzioni ovviamente sono molto più lunghe perché non si trovano comunità. Quindi ci sono lunghi periodi di carcerazione che vanno a incidere pesantemente sul loro stato mentale, anche sulla loro salute mentale.
  Altra questione, direi collegata al mondo del carcere e al disagio adolescenziale, è indubbiamente tutto il fenomeno del consumo di sostanze. Su questo dobbiamo soffermarci un attimo perché la quasi totalità dei ragazzi che approdano nel sistema penale minorile sono consumatori e, direi, policonsumatori. Non esiste più dunque un consumo di cannabinoidi che in qualche modo è sempre stato anche un rito di passaggio per certi aspetti. Oggi l'uso di sostanze sempre nuove, di sostanze sintetiche sconosciute, di psicofarmaci presi senza prescrizione e trovati a pochi centesimi, certamente influisce profondamente sullo stato della salute mentale di questi ragazzi perché quando arrivano in carcere effettivamente assistiamo a situazioni che possono avere derive patologiche.
  Parliamo di disturbi in esordio, ma certamente il consumo di sostanza aggrava questo stato di patologia in esordio. Per quanto riguarda la droga oggi in Italia, Milano – vengo da questo contesto – forse è anche la capitale europea dello spaccio di cocaina, quindi la droga si acquista e si trova ovunque in pochi minuti. Non c'è da nascondere o da stupirsi che entri anche nelle carceri italiane e quindi che ogni forma di controllo delle forze di Polizia e di tutte le politiche della tolleranza zero sono effettivamente ormai in perdita, sono inesorabilmente perdenti.
  Questo va detto perché, purtroppo, non basta più una lotta alla droga, questa lotta alla droga si svolge da tantissimi anni e non ha prodotto grandi risultati. Dobbiamo pur Pag. 7attestare, senza andare a toccare argomenti di legalizzazione piuttosto che protezionistici o meno, però il problema è che certamente la politica della tolleranza zero e del controllo non ha prodotto risultati efficaci nel contrasto al consumo degli adolescenti.
  Non meno gravi sono i consumi anche di sostanze legali, l'alcol in modo particolare, per quanto ovviamente ci sia il divieto dell'assunzione anche dell'alcol. Ormai ci sono negozianti assolutamente compiacenti e quindi il controllo almeno della carta d'identità non avviene neanche, di conseguenza molti ragazzini anche a due euro riescono ad acquistare facilmente prodotti alcolici e anche superalcolici. Questo indubbiamente, unito al consumo di sostanze, genera una questione che sostanzialmente si riflette sulle derive patologiche e che fanno perdere le inibizioni, ma fanno perdere anche il controllo di sé e quindi i reati in realtà si stanno aggravando non tanto nel numero, nella quantità, quanto nella gravità. Ci sono condotte sempre più violente, aggressive e direi che nella maggior parte dei casi queste condotte sono favorite proprio dal consumo o dal policonsumo. Sappiamo che alcol e cocaina per esempio si attraggono e generano situazioni di compulsività e anche di impulsività violenta molto grave. Molti reati purtroppo avvengono in contesti episodici di questo genere.
  L'altro aspetto certamente è che i ragazzi che arrivano in un carcere minorile sono ragazzi che incontrano, forse per la prima volta nella loro storia umana, il senso del limite, incontrano la regola. Questo significa prevalentemente, anche se arrivano da famiglie bene, diciamo così, che sono contesti ambientali che non hanno mai trasmesso il senso del limite, che non hanno saputo mai trasmettere la capacità di affrontare le frustrazioni, di affrontare il no, delle regole e quindi sono ragazzi autarchici che si gestiscono da sé stessi e in qualche modo fanno leggi per loro stessi.
  Questo ovviamente favorisce un clima di grande violenza, di grande esasperazione nei confronti soprattutto dello Stato e delle Istituzioni. Mai come in questo periodo famiglia, scuola, Stato sono del tutto irrilevanti, non sono neanche più contestati – come magari poteva avvenire in altri decenni – oggi sono istituzioni irrilevanti. Allora davanti a questo quadro un po' grave che ho delineato dal mio avamposto, non è che i giovani siano tutti così. Abbiamo assistito a questo giovane Sinner, tennista che magari riflette anche un'altra Italia, altri giovani e questa è una cosa molto bella. Quindi non dobbiamo adesso ingigantire i fenomeni e avere un pensiero unico sul mondo giovanile, però è chiaro che i fatti di cronaca ci spaventano, ci inquietano e sono reali.
  L'altra questione fondamentalmente è quali risposte dare a questo degrado educativo. Per quel che concerne la mia esperienza, potrei dire subito questo, che la risposta securitaria non può essere l'unica. Indubbiamente è giusto che uno Stato, un Governo intervenga e in qualche modo affronti le questioni anche da un punto di vista giuridico e penale, però è chiaro che, se l'unico antidoto a queste condotte rimane quello della risposta securitaria, quello della forza muscolare, della legge dei codici, è chiaro che questi ragazzi non riescono a percepire il senso dello Stato come un'istituzione che aiuta a superare il degrado e che li ascolta anche.
  Penso che lo Stato dovrebbe davvero anche ascoltare da dove arrivano questi ragazzi, soprattutto parlo di quelli di seconda generazione perché io che frequento un po' di quartieri in Lombardia e a Milano mi rendo conto dal vivo di contesti che assomigliano ad una geografia della paura. Case senza riscaldamento, situazioni di abusivismo impressionante, c'è davvero una situazione di degrado assoluto. Penso, per esempio, al quartiere di San Siro a Milano che è più conosciuto per lo stadio, ma assolutamente non per quello che, dall'altra parte della strada, avviene in un quadrilatero famoso e alla ribalta delle cronache soprattutto per i suoi rapper. Quindi il mondo del rap, della trap sono diventati anche un po' la narrazione violenta di un degrado ambientale impressionante.
  Allora è chiaro che non possiamo attribuire questo soltanto a questi giovani rapperPag. 8 e farli diventare capri espiatori di una situazione da addebitare a loro. Certo, i loro testi magari non aiutano, però non c'è dubbio che questi testi siano anche una denuncia sociale. Perché ci si dovrebbe chiedere come è possibile che un bambino viva in un contesto così, che veda le cose che vede e poi le canti. Quindi, più che stupirsi e attribuire a questi giovani rapper chissà quale responsabilità, forse dovremmo davvero chiederci come è possibile dare risposte che non siano solo quelle muscolari dello stato di polizia fondamentalmente. Anche perché – questo è il racconto a volte drammatico dei ragazzi – è chiaro che il rapporto con le Forze dell'ordine è secondo me in uno stato veramente di difficoltà estrema. Anche il contenimento fisico – chiamiamolo così – a volte diventa nella mente di un ragazzo, nella sua esperienza traumatica di un arresto, una memoria indelebile.
  Quindi quando la legge è troppo muscolare il rischio è che poi un ragazzo la viva come una violenza che combatte sì la violenza, ma è pur sempre violenza. Secondo me bisogna attivare un altro tipo di autorità, l'autorità che in qualche modo assomiglia più ad un esercizio di potere in realtà non è ascoltata dai ragazzi e non educa. L'autorità che viene da una testimonianza, che viene da una credibilità, da un esserci dello Stato nelle sue forme istituzionali è chiaro che è diversa, allora viene ancora ascoltata e diventa importante. Quindi non basta l'azione disciplinare.
  Che cosa allora è importante? È importante che si pensi ad un progetto educativo globale a mio giudizio, soprattutto che vada a intercettare e a promuovere progetti, interventi che non siano più episodici. Non basta, sull'onda emotiva di qualche fatto, creare un fondo, piuttosto che fare interventi molto emergenziali e che hanno poca continuità. Qui è proprio importante nelle tante Caivano d'Italia, per esempio, approntare degli interventi che siano a lungo raggio, a lunga gittata, cioè occorre una lungimiranza. Bisogna secondo me interpellare un po' tutti, gli attori sociali devono partecipare, dalla Prefettura, il terzo settore, i comuni, i presìdi educativi del territorio, perché è importante una progettualità che non sia solo a breve termine e che non alimenti soprattutto la sensazione di abbandono e di stigma sociale. Perché questi ragazzi, una volta che approdano in carcere diventano effettivamente criminali, perché in un'epoca come quella della transizione adolescenziale, un'epoca in cui il processo identitario è molto importante il rischio che, permanendo troppo in carcere, venga poi additato come il criminale, come il tossico, come il drogato è molto alto e questi ragazzi poi finiscono anche per crederci.
  Quindi concludo dicendo che è importante sviluppare progetti di accoglienza che vanno oltre il carcere, per esempio le comunità di accoglienza. Ma le comunità di accoglienza va anche detto che vivono il momento più basso della loro storia. Molte comunità in Lombardia e anche nel Nord Italia chiudono, non ci sono più educatori, le normative di accreditamento sono sempre più stringenti, ma non rispondono poi alla realtà delle situazioni e quindi molti ragazzi, ripeto, devono permanere in carcere in attesa di trovare una comunità. Le comunità non riescono a far fronte e quindi è chiaro che il tema diventa ancora una volta quello delle figure di pedagogisti.
  Oggi in Italia molti si laureano in Scienze dell'educazione, ma poi di fatto devono andare a fare altro perché gli stipendi sono effettivamente troppo bassi. Penso a un educatore della mia comunità che guadagna 1.100-1.200 euro facendo notti, weekend – le notti in comunità sono pesanti, sono veramente difficili – quindi è chiaro non è solo per lo stipendio, però non c'è dubbio che anche questo incentivo aiuterebbe perché un educatore potrebbe anche avere il problema della casa, il problema della vita privata. Un educatore che guadagna quella cifra non è che può fare molto. A Milano una stanza costa circa 600-700 euro, quindi è chiaro che per i giovani educatori questa situazione è davvero impensabile e va in qualche modo a diventare un fattore problematico anche per il reperimento di educatori.
  Quindi le comunità sono in grandissima difficoltà, soprattutto mancano le comunità Pag. 9terapeutiche a doppia diagnosi, comunità che affrontano il disagio a 360 gradi, non solo quello legato alla tossicomania, ma anche proprio le derive, i disturbi della salute mentale e devo dire che i ragazzi stanno molto male e non ci sono presìdi che possono davvero curare. La parola d'ordine non è quindi repressione, semplicemente in qualche modo contenimento dei fenomeni, ma la parola d'ordine è educazione. Con una tendenza, che un po' spaventa in Italia, che è quella della medicalizzazione, altro problema enorme perché si pensa che contenere le turbolenze di un adolescente in una fase critica sia elemento per ricorrere sempre a psicofarmaci, ad un contenimento farmacologico esponenziale, quando invece non si sono nemmeno tentate delle vie educative, pedagogiche, non si sono mai prodotti dei progetti di ascolto vero. Questi ragazzi lamentano davvero una precarietà importante e quindi è giusto che venga un po', a nome loro, detta in questo contesto. Altre cose potrebbero essere dette, ma ne abbiamo già dette parecchie.

  PRESIDENTE. Devo dire che lei ci lascia senza parole anche perché i problemi che lamenta e le soluzioni che giustamente propone sono di difficile realizzazione nel contesto attuale, per una serie di ragioni che tutti conosciamo. Quindi ben venga questa nostra indagine conoscitiva e ben venga la vostra presenza perché quanto meno ci aiuterà a parlare di questo tema. Forse alla fine le soluzioni possono arrivare anche perché c'è la conoscenza dei problemi, ma se questi problemi rimangono nascosti è ancora più difficile arrivare a soluzioni.
  Chiedo ai colleghi presenti, nonché a quelli collegati in videoconferenza, se intendano porre domande. Abbiamo dieci minuti ancora. Abbiamo due domande, le ascoltiamo tutte e due così poi date una risposta unica sennò non ci stiamo con i tempi. Quindi la senatrice Paola Ambrogio e poi la senatrice Elena Leonardi. Prego.

  PAOLA AMBROGIO. Grazie Presidente. Grazie a don Claudio e anche al dottor Scaccabarozzi per averci riportato una serie di dati importanti che sicuramente saranno utili poi nel nostro lavoro.
  Mi soffermo solo un attimo sull'ultima relazione. Ovviamente l'esperienza diretta di chi si trova a lavorare con le persone direttamente coinvolte è sempre interessante.
  Molto spesso ci troviamo di fronte ad episodi di cronaca che riportano una criminalità minorile spesso esercitata non tanto per sopravvivere, ma per concedersi dei lussi, delle agiatezze che vengono – addirittura io dico – sbandierate sui social come dei trofei. Allora rispetto all'analisi che lei ha fatto, che è l'analisi corretta, ma anche per individuare dei percorsi per il futuro da parte delle Istituzioni, del Governo, lei diceva che non si può sempre esercitare la forza muscolare perché non si producono gli effetti voluti. In questo sono d'accordo con lei. Quando però sono oggetto di cronaca, basta accendere un televisore per ascoltare episodi di questo tipo che non sono determinati realisticamente dalla necessità di mettere insieme, come si dice, il pranzo con la cena, ma per sbandierare qualcosa di diverso.
  Allora mi chiedevo, da parte nostra, nell'andare a individuare un percorso da seguire di lungo periodo, quindi non quello che nell'immediato, come lei diceva, con i fondi da stanziare nell'immediato per risolvere una situazione, posso anche essere d'accordo con lei, però di fronte ad una serie di fenomeni – e mi ricollego evidentemente anche a quello delle baby gang che si sta sviluppando soprattutto nei centri abitati maggiori – come si faccia a convivere senza l'esercizio della forza muscolare. Oggi assistiamo ad episodi di una violenza tale, magari non sempre giustificata dal contesto in cui si vive, che spiazzano. Quindi questa è una riflessione che vorrei fare con lei. Grazie.

  PRESIDENTE. C'è anche l'onorevole Madia che voleva rivolgere una domanda. Ascoltiamo tutte e tre le domande così lei può dare un'unica risposta.

  ELENA LEONARDI. Grazie Presidente. Ringrazio entrambi gli auditi per la testimonianzaPag. 10 e anche per quello che hanno prodotto e che ci darà un supporto per il prosieguo delle nostre indagini, per essere propositivi e intervenire su un tema che riguarda il presente, ma soprattutto il nostro futuro, perché i ragazzi di oggi saranno gli uomini di domani.
  Abbiamo visto sicuramente una deriva crescente in alcune situazioni. Entro subito nel merito perché condivido le considerazioni che ha fatto la collega e voglio essere un po' più specifica rispetto soprattutto alla sua esperienza con il carcere. Vorrei capire innanzitutto che tipo di reati ha commesso chi è in carcere e se sono prioritariamente fatti dal singolo oppure svolti, ad esempio, attraverso il branco. Il branco diventa un amplificatore in alcune situazioni e anche un ragazzo che normalmente sarebbe, diciamo così, tranquillo o comunque non violento, magari in certi contesti, in certe situazioni di gruppo non diventa criminale – perché poi lo stigma, sono d'accordo con lei, non deve essere a vita – ma fa delle azioni criminali.
  Vorrei poi capire se, nel contesto carcerario e nella vostra esperienza, effettivamente un recupero c'è. Se nelle situazioni che avete potuto toccare con mano (sicuramente non sempre purtroppo, un dato col quale immagino dobbiamo fare i conti) l'incontro magari con lei o con altre figure all'interno del carcere, in un luogo che magari ha sradicato quel contatto negativo del branco piuttosto che altre situazioni negative, riesce a indurre una riflessione più profonda al ragazzo e in questo senso avere una svolta positiva. Grazie.

  MARIA ANNA MADIA. Grazie Presidente. Grazie a voi che siete venuti fisicamente a dirci queste cose.
  Ho una domanda e una proposta, una proposta da fare a tutta la Commissione. Sono state audizioni molto interessanti, complesse, che toccano tanti temi in modo trasversale che ci lasciano anche tante suggestioni e tante sfere di riflessione.
  Però nelle parole di don Burgio ho colto alcuni punti molto concreti: lo stipendio degli educatori, i posti nelle comunità, la mancanza di comunità terapeutiche. Allora la proposta intanto è – credo che siamo rappresentati, non ci sono tutti i partiti d'opposizione, di maggioranza li vedo quasi tutti – sarebbe bello che questa Commissione si facesse carico di provare, su questi punti così specifici che non saranno sufficienti, ma sono necessari, a portare avanti delle proposte e a farsi carico di combattere per queste proposte.
  Sappiamo che la coperta è corta e che le esigenze e i bisogni del Paese sono tanti, ma se intanto tutti noi su questo proviamo a fare uno sforzo, forse facciamo un passo avanti importante rispetto alle cose concrete che ci ha detto don Burgio.
  La domanda invece è un po' simile a quella che ha fatto la prima collega che è intervenuta. Può sembrare una domanda un po' semplicistica, la mia percezione – e questo io però le chiedo perché lei ne sa più di me – è che ci sia in generale, non solo negli adolescenti che poi delinquono, ma in generale nel modo di stare insieme degli adolescenti, ovviamente non è per tutti così, ma mediamente una modalità più violenta dello stare insieme. Da cosa arriva la mia percezione? Anche, banalmente, quando attraverso in diverse città luoghi di ritrovo di adolescenti e provo a ricordarmi com'era quando ero adolescente io. Allora mi chiedo, è evidente che spesso c'è una correlazione tra condizioni materiali di vita e violenza, ma non è una correlazione così diretta, così immediata, non è un'equazione, come diceva la collega nella sua domanda.
  Ma allora la domanda che le faccio è: questa percezione che ho io intanto è vera o è sbagliata? E, se fosse vera, e se non è un'equazione, come credo davvero che non lo sia povertà-violenza, che cos'è che sta determinando una modalità più violenta dello stare insieme. Che poi è chiaro in una parte minoritaria sfocerà nel penale, ma non è sempre così e comunque non è un bene. Lei non ha parlato dei social, ha parlato del policonsumo, mi chiedo se c'è un effetto anche di come i social interagiscono in ragazze e ragazzi che ancora sono in un'età molto fragile, evolutiva. Ecco questa è la mia domanda.

  PRESIDENTE. Don Burgio, la senatrice Mennuni e l'onorevole Marchetto Aliprandi Pag. 11devono aggiungere una cosa. Colleghi vi chiedo brevità assoluta perché alle 15 in punto si vota alla Camera.

  LAVINIA MENNUNI. Grazie Presidente. Velocissimamente. Intanto ho seguito in videoconferenza e ho ascoltato con molto interesse tutto, mi scuso, sono arrivata purtroppo in ritardo. Interessantissime tutte le relazioni che sono state svolte. Peraltro nella scorsa audizione abbiamo ascoltato l'Istituto Superiore di Sanità che ci diceva come, nonostante il tasso di natalità sia più basso e quindi abbiamo meno giovani, c'è un più alto tasso invece di situazioni di psichiatria e quindi questo è un elemento sul quale ovviamente e giustamente il Presidente e tutti noi riteniamo che sia utile una riflessione.
  Le risorse sono scarse, sono membro della Commissione bilancio, sappiamo che c'è il patto di stabilità e crescita, quindi insomma ci rendiamo conto del panorama generale. Tuttavia alla luce delle problematiche che sono emerse, la tossicodipendenza, mi rifaccio anche alla intelligente domanda della onorevole Madia in merito ai social media. Io, per esempio, ho un ragazzo 19 anni e mi rendo conto di quanto siano bombardati da video assolutamente intollerabili sui quali credo che sarebbe utile un grande lavoro di concerto per riuscire a regolamentare, a limitare la violenza che questi ragazzi subiscono a livello morale ed emotivo.
  Quello che vorrei chiedervi è, visto che purtroppo le comunità faticano – e ritengo che sia invece utilissimo il lavoro di comunità e che quindi vadano implementate – c'è la possibilità di implementare invece il lavoro di sostegno morale e psicologico lì dove purtroppo invece il ragazzo fa accesso al carcere, per evitare quel fenomeno che giustamente lei ci annunciava di questa violenza che viene percepita come tale e poi li porterà ad essere ancora più violenti quando escono?

  MARINA MARCHETTO ALIPRANDI. Quando purtroppo i ragazzi vanno a finire in carcere trova che sport e introduzione al lavoro possano essere un valido aiuto anche per sfogare l'età cosiddetta evolutiva ed essere pronti anche ad affrontare maggiormente, vedendo una via d'uscita, ad essere loro tollerabili nei confronti della società? Grazie.

  CLAUDIO BURGIO, Presidente dell'Associazione Kayròs. Brevissima risposta.
  I reati sono di tipo predatorio, quindi le rapine sono il primo reato in adolescenza seguiti dal furto e dallo spaccio. Questi sono i primi tre reati fondamentalmente, quindi sono ragazzi non cattivi, ma captivi nel senso latino. Sono cioè schiavi, ostaggi di una cultura che potremmo definire una sorta di dittatura del profitto, dell'immagine che i social amplificano. È una sindrome da pensiero unico, per cui non c'è un dialogo nel social, chiaramente apprendono quello che vedono senza un pensiero critico. Allora che cosa vuol dire, che secondo me nelle scuole, in modo particolare fin dalle prime classi, bisognerebbe aiutare questi ragazzi a crescere dentro le dinamiche di gruppo perché l'insegnante fa l'insegnante, non può fare l'assistente sociale, la mamma o la psicologa. Occorrono figure di pedagogisti che sappiano aiutare il gruppo classe, perché la socialità si impara a scuola fondamentalmente. Anche in altri ambiti, lo sport indubbiamente, però è fondamentale star dentro, come adulti, nelle dinamiche di gruppo perché si imparano a rispettare le differenze e a cogliere il pensiero dell'altro.
  Perché c'è violenza, c'è violenza perché non c'è la parola. Sono analfabeti questi ragazzi dal punto di vista emotivo, sentimentale, del pensiero, c'è quindi una povertà educativa, ma direi anche culturale, sono tutte povertà intrecciate. Direi che questi ragazzi poco empatici, poco capaci di sentire i sentimenti dell'altro, hanno invece bisogno fin da giovani, fin da piccoli, di entrare in un clima relazionale fortemente empatico, ma vanno aiutati, vanno educati a questo. Occorrono figure di esperti capaci di far interagire questi ragazzi nel proporre loro anche i sentimenti dell'altro, ciò che rende la socialità una pluralità, una differenza di prospettive, di visioni che però si intrecciano. Quando invece prevale il pensiero unico da social prevale la violenza,Pag. 12 perché poi di fatto non c'è parola, non c'è dialogo, è un monologo.
  Questa è una delle ragioni, bisogna lavorare molto proprio sulle dinamiche e quindi anche sull'uso corretto delle tecnologie. Sono tematiche un po' nuove, è chiaro che noi siamo boomer quindi non riusciamo a stare al passo, però occorre anche una regolamentazione, su questo non c'è dubbio.
  Soprattutto occorre un approfondimento rispetto ai temi di un umanesimo che sia capace di interpellare la coscienza, perché questi ragazzi vivono senza cognizione di causa, vivono senza avere in mente davvero cosa ci sta dietro a un loro agito. Dopo, quello che si fa in comunità è esattamente questo, cioè entrare nel merito del reato, non con lo stigma del giudizio, ma per cercare di aiutare questi ragazzi a far nascere una coscienza, perché non c'è neanche tante volte. Questo è un po' in brevissimo quello che posso percepire anch'io.

  MASSIMO SCACCABAROZZI, Direttore di On Radar-Think Tank della Fondazione Internazionale Menarini. Posso solo aggiungere una cosa che testimonia il lavoro che fa don Burgio, ho potuto assistere anche a fatti.
  Quando i ragazzi della comunità questa coscienza l'acquisiscono, possono diventare dei testimonial non per altri ragazzi con disagio, ma per ragazzi che questo disagio non hanno. Perché so che lui fa questo tipo di eventi portando questi ragazzi a parlare ai ragazzi – mi spiace usare la paura normale, ma inseriti – e questi ragazzi spiegano il percorso che hanno fatto e dicono ai ragazzi: «attenzione a non fare gli errori che ho fatto io».
  Questo vuol dire che il recupero è possibile e mi ha colpito quello che diceva don Burgio quando parlava non dei cattivi, ma dei captivi e diceva che c'è una violenza perché non c'è la parola. Quando non c'è la parola viene proprio fuori il problema delle influenze negative. Proprio in seguito ai contatti che abbiamo avuto con questa Commissione, vi posso dire che il prossimo argomento che il nostro Think Tank affronterà è proprio quello delle dipendenze comportamentali nelle generazioni giovani, dai 7 agli 11 anni, con la «generazione Z», perché vogliamo capire quali sono queste dipendenze da figure umane o da modelli. Ce l'hanno detto i ragazzi, con le dipendenze esercitate dai social, perché i ragazzi con cui abbiamo parlato in questi gruppi di lavoro ci hanno proprio detto questo: «io prima di tutto devo realizzarmi verso dei modelli di riferimento». Ma non ragazzi che sono in comunità, ragazzi che non sono nelle comunità ci dicono: «io ho dei modelli di riferimento che sono quelli dei social, mi devo realizzare in quella direzione.».
  Tutto ciò ci deve far riflettere insieme alle parole che ha detto don Claudio.
  Si sta abbassando molto l'età, parliamo con le Forze dell'ordine anche dei Paesi limitrofi alle grandi città, e ci dicono che purtroppo la delinquenza sta cambiando. Non sono più i reati grandi che facevano le generazioni precedenti, questa è una parola che usa sempre lui, sono anche reati più piccoli, ma si sta abbassando l'età e anche la disponibilità di armi a ragazzini di 8-9 anni. Questo è un problema e non sempre, anzi quasi mai ci dicono, sono figli di cittadini che vengono dall'estero, ma sono figli di buone famiglie.
  Abbiamo avuto richieste dalle famiglie: «per favore intervieni su mio figlio perché io non so più come fare». Questo ci deve far riflettere. Questa situazione è stato amplificata dall'isolamento sociale che c'è stato a seguito del Covid. Vi metteremo a disposizione anche quegli atti. Se vi servono, ve li mandiamo.

  PRESIDENTE. Questo volevo dire. Ringrazio i nostri ospiti per la partecipazione alla seduta odierna. Dispongo che la documentazione depositata sia allegata al resoconto stenografico della seduta. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.55.

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ALLEGATO

Memoria della Fondazione Menarini.

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