XIX LEGISLATURA
TESTO AGGIORNATO AL 14 MARZO 2023
COMUNICAZIONI
Missioni valevoli
nella seduta del 13 marzo 2023.
Albano, Ascani, Bellucci, Benvenuto, Deborah Bergamini, Bignami, Bitonci, Calovini, Cappellacci, Carloni, Cattaneo, Cecchetti, Cirielli, Colosimo, Alessandro Colucci, Enrico Costa, Sergio Costa, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferrante, Ferro, Fitto, Foti, Frassinetti, Freni, Gava, Gebhard, Gemmato, Giglio Vigna, Giorgetti, Gruppioni, Guerini, Gusmeroli, Leo, Lollobrigida, Lomuti, Lupi, Magi, Mangialavori, Mazzi, Meloni, Minardo, Molinari, Molteni, Nordio, Nazario Pagano, Pichetto Fratin, Porta, Prisco, Quartapelle Procopio, Rampelli, Richetti, Rixi, Roccella, Rotelli, Scerra, Schullian, Serracchiani, Francesco Silvestri, Rachele Silvestri, Siracusano, Sportiello, Trancassini, Tremonti, Zaratti, Zucconi.
Annunzio di proposte di legge.
In data 10 marzo 2023 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
BORRELLI: «Modifica all'articolo 2 della legge 15 dicembre 1999, n. 482, in materia di riconoscimento e tutela della lingua napoletana» (978);
PICCOLOTTI: «Modifiche alla legge 2 agosto 1999, n. 264, concernenti l'abolizione del numero chiuso o programmato per l'immatricolazione presso le università, nonché disposizioni per l'assunzione di personale docente universitario» (979);
ORRICO ed altri: «Istituzione del Consiglio nazionale degli studenti medi» (980);
MATTIA ed altri: «Modifica all'articolo 56-bis del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, concernente la riapertura dei termini per la richiesta di acquisizione di immobili dello Stato da parte degli enti territoriali» (981);
VINCI: «Dichiarazione di monumento nazionale del Teatro municipale “Romolo Valli” di Reggio Emilia e di altri teatri storici italiani» (982);
DE MONTE e PASTORELLA: «Disciplina dell'attività di rappresentanza degli interessi particolari e istituzione del registro pubblico dei rappresentanti di interessi» (983).
Saranno stampate e distribuite.
Ritiro di proposte di legge.
In data 10 marzo 2023 il deputato Fratoianni ha comunicato di ritirare la seguente proposta di legge:
FRATOIANNI: «Modifiche alla legge 2 agosto 1999, n. 264, concernenti l'abolizione del numero chiuso o programmato per l'immatricolazione presso le università, nonché disposizioni per l'assunzione di personale docente universitario» (146).
La proposta di legge sarà pertanto cancellata dall'ordine del giorno.
Assegnazione di progetti di legge a Commissioni in sede referente.
A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
I Commissione (Affari costituzionali)
ASCARI: «Modifiche all'articolo 2-quinquies del decreto-legge 2 ottobre 2008, n. 151, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 2008, n. 186, in materia di benefìci per i superstiti delle vittime della criminalità organizzata» (458) Parere delle Commissioni II e V.
II Commissione (Giustizia)
ASCARI: «Modifica all'articolo 414 del codice penale, in materia di circostanza aggravante dell'istigazione o dell'apologia riferite al delitto di associazione di tipo mafioso o a reati commessi da partecipanti ad associazioni di tale natura» (405) Parere delle Commissioni I, VII e IX;
ASCARI: «Modifica all'articolo 58 del codice civile, in materia di dichiarazione di morte presunta dell'assente» (451) Parere della I Commissione;
ASCARI ed altri: «Modifica all'articolo 512-bis del codice penale, in materia di trasferimento fraudolento di valori» (452) Parere delle Commissioni I e VI;
ASCARI: «Modifiche all'articolo 25 della legge 13 settembre 1982, n. 646, in materia di verifica della posizione fiscale, economica e patrimoniale dei detenuti sottoposti al regime speciale di detenzione di cui all'articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354» (453) Parere delle Commissioni I, V e VI;
ASCARI: «Introduzione dell'articolo 13-bis della legge 11 gennaio 2018, n. 4, in materia di cambio del cognome per le vittime del reato di costrizione o induzione al matrimonio» (455) Parere delle Commissioni I e V.
Atti di controllo e di indirizzo.
Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.
MOZIONI LUPI ED ALTRI N. 1-00053, CALDERONE ED ALTRI N. 1-00090, D'ORSO ED ALTRI N. 1-00091 E BISA ED ALTRI N. 1-00092 CONCERNENTI INIZIATIVE DI COMPETENZA IN MATERIA DI PROCESSO PENALE IN RELAZIONE AL RISPETTO DEI PRINCIPI COSTITUZIONALI
Mozioni
La Camera,
premesso che:
il quadro normativo che regola l'ordinamento processuale penale italiano è ispirato ed adeguato ai principi fondamentali incardinati nella Costituzione italiana;
in particolare, l'articolo 111 della Carta costituzionale stabilisce che «la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge.», riservando al legislatore l'importante compito di regolare lo svolgimento del processo;
come indicato altresì nel secondo comma dell'articolo 111 della Costituzione: «ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata». Da ciò deriva peraltro la tutela dei diritti che il sistema giudiziario italiano assicura a ciascuna parte;
alla luce del suddetto articolo, trova posto il principio relativo alla ragionevole durata del processo. La riduzione dei tempi del giudizio costituisce altresì una delle misure concernenti la riforma del sistema giudiziario nel quadro del Piano nazionale di ripresa e resilienza; si sottolinea inoltre che il Consiglio europeo, anche precedentemente all'approvazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ha indicato come «la repressione della corruzione resta tuttavia inefficace in Italia, soprattutto perché la durata dei procedimenti penali continua a essere eccessiva in mancanza della tanto necessaria riforma del processo penale, ivi incluso il sistema di appello per evitare abusi dei contenziosi.» (Raccomandazione del 9 luglio 2019 sul programma nazionale di riforma 2019 dell'Italia e che formula un parere del Consiglio europeo sul programma di stabilità 2019 dell'Italia). L'attenzione che il legislatore deve prestare a tale principio è rafforzata dalle condanne che la Corte di Strasburgo ha inflitto nei confronti dell'Italia a seguito della riconosciuta violazione del suddetto principio;
alla luce dei principi costituzionali, tra i diritti spettanti al soggetto imputato o indagato, brilla il principio di non colpevolezza, altresì conosciuto come presunzione di innocenza incorniciato dall'articolo 27, secondo comma, della Costituzione italiana che statuisce che «l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva». Il medesimo principio trova esplicita espressione nell'articolo 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea a norma del quale «ogni imputato è considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente provata» ed altresì nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo all'articolo 6;
l'Unione europea è intervenuta sulla materia della presunzione di innocenza con la direttiva 343/2016 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali che, all'articolo 3, stabilisce che la presunzione di innocenza è riconosciuta agli indagati e agli imputati fino a quando non è stata legalmente provata la colpevolezza. L'Italia, con riguardo al recepimento della direttiva 343/2016, dopo un primo momento nel quale ha valutato l'ordinamento giuridico nazionale come conforme alle misure minime comuni stabilite dalla direttiva unionale, ha successivamente e alla luce della Relazione sullo stato di attuazione della direttiva (doc. COM (2021) 144 final), deciso di predisporre la previsione della legge n. 53 del 2021 a seguito della quale il Governo ha presentato lo schema di decreto legislativo A.G 285. Difatti, seppur l'Italia non abbia ricevuto esplicito riferimento nella suddetta relazione, avendo riscontrato alcune criticità anche con riguardo all'articolo 4 della direttiva e volendo evitare di incorrere in infrazioni, ha proceduto a novellare alcuni aspetti del quadro giuridico relativo alla presunzione di innocenza. Il Governo ha pertanto emanato il decreto legislativo n. 188 del 2021 recante «Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva (UE) 2016/343 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali»; in particolare, l'articolo 4 della direttiva 343/2016 stabilisce che «gli Stati membri adottano le misure necessarie per garantire che, fino a quando la colpevolezza di un indagato o imputato non sia stata legalmente provata, le dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche e le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza non presentino la persona come colpevole. Ciò lascia impregiudicati gli atti della pubblica accusa volti a dimostrare la colpevolezza dell'indagato o imputato e le decisioni preliminari di natura procedurale adottate da autorità giudiziarie o da altre autorità competenti e fondate sul sospetto o su indizi di reità»;
la presunzione di innocenza, come altresì indicato nelle comunicazioni del Ministro della giustizia, Carlo Nordio, sulle linee programmatiche del suo dicastero il 6 dicembre 2022 presso la Commissione giustizia del Senato della Repubblica e come altresì ribadito presso la Commissione giustizia della Camera dei deputati il giorno 7 dicembre 2022, è stata vulnerata in molti modi. Diventa pertanto doveroso che la politica intervenga per risolvere le problematicità connesse a tale situazione;
è opportuno che il legislatore identifichi le cause che, in qualsivoglia maniera, compromettono i principi costituzionali in materia di giustizia e che si attivi in tempi quanto più rapidi, attraverso interventi normativi mirati, per ristabilire un sistema di giustizia ispirato e adeguato alla Costituzione, oltre che alle convenzioni internazionali che regolano la materia;
tra le cause che ledono i principi costituzionali va menzionato l'uso eccessivo e strumentale delle intercettazioni. L'utilizzo improprio delle intercettazioni costituisce difatti una criticità del sistema giudiziario penale al quale il legislatore ha prestato attenzione negli ultimi anni e sul quale è opportuno intervenire;
particolare attenzione va posta sull'informazione di garanzia che viene spesso utilizzata per costruire processi di natura mediatica anche attraverso la diffusione di dati che dovrebbero essere riservati, generando situazioni lesive del principio di presunzione di innocenza; è fondamentale pertanto che il legislatore intervenga per tutelare maggiormente la riservatezza delle comunicazioni e la segretezza dell'avviso di garanzia in quanto strumenti di tutela del soggetto;
alla luce del principio di presunzione di innocenza e del principio di ragionevole durata del processo risulta altresì importante che il legislatore si concentri sul tema della prescrizione. Come richiamato nell'ordine del giorno n. 9/705/149 del 28 dicembre 2022: «l'allungamento dei tempi processuali non solo collide con gli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza che, al contrario, ne impongono una significativa riduzione, ma si pone altresì in aperto contrasto con i principi costituzionali di presunzione di innocenza, funzione rieducativa della pena e ragionevole durata del processo». Come noto al legislatore, sul tema della prescrizione è intervenuta la «riforma Cartabia», ma come indicato nel suddetto ordine del giorno: «la riforma Cartabia, tuttavia, non ha modificato il principio di sospensione della prescrizione sostanziale dopo la sentenza di primo grado fissato dalla riforma Bonafede, configurando piuttosto un'ipotesi di improcedibilità in appello; infatti, pur dovendosi apprezzare la scelta di ovviare alle macroscopiche criticità derivanti dalla cosiddetta “Spazzacorrotti”, non può non rilevarsi la necessità di ripristinare definitivamente la disciplina sulla prescrizione in un quadro di coerenza sistematica.»;
ulteriore criticità del sistema concerne la giustizia amministrativa la quale soffre di una paralisi che inficia il principio di buon andamento della pubblica amministrazione e che richiede al legislatore di intervenire sulla revisione di alcuni reati; in particolare, si auspica un intervento legislativo sul reato di abuso di ufficio disciplinato dall'articolo 323 del Codice penale per il quale si riscontra un numero di condanne minimo rispetto al numero delle indagini avviate. In tal modo si vogliono altresì tutelare gli amministratori locali che sempre più spesso si trovano a dover dedicare parte del loro tempo e delle proprie risorse a procedimenti non connessi a reali responsabilità per illeciti personali, ma conseguenti al mero adempimento delle proprie funzioni. È pertanto doveroso intervenire per difendere gli amministratori locali con provvedimenti normativi dedicati, volti a impedire che il loro lavoro sia inficiato da procedimenti per reati di lieve entità e non connessi a responsabilità reali;
si ritiene altresì fondamentale intervenire sulla norma che disciplina il reato di traffico di influenze illecite che, come anche richiamato dal Ministro Nordio nel suo intervento al Senato della Repubblica del 6 dicembre 2022, difetta di tipicità e tassatività, consentendo pertanto l'avvio di indagini che rischiano di essere discrezionali;
alla luce di quanto esposto e con il fine di adeguare il sistema giudiziario ai principi costituzionali ed internazionali, è essenziale che il legislatore intervenga affinché la giustizia italiana sia regolata in modo tale da far nuovamente risplendere i principi fondamentali che sono alla base del nostro ordinamento,
impegna il Governo:
1) ad istituire presso il Ministero della giustizia una commissione di esperti che puntualmente, per quanto di competenza, monitori l'applicazione dei principi costituzionali in materia di processo penale con il fine di identificare le criticità del sistema giudiziario penale rispetto ai principi costituzionali e di promuovere eventuali iniziative legislative al riguardo;
2) a rendere effettivo, anche attraverso iniziative culturali e di informazione, il principio di non colpevolezza previsto dall'articolo 27 della Costituzione;
3) a tutelare i diritti del soggetto indagato o imputato attraverso iniziative normative mirate;
4) ad adottare iniziative normative per disciplinare ulteriormente la materia delle intercettazioni onde evitarne l'abuso;
5) ad adottare iniziative normative volte a impedire la paralisi del sistema della pubblica amministrazione;
6) ad adottare iniziative normative volte a riformare il reato di abuso di ufficio;
7) ad adottare iniziative normative volte a riformare il reato di traffico di influenze illecite alla luce dei principi di tassatività e tipicità;
8) ad adottare iniziative normative in ordine al tema della prescrizione con il fine di ristabilire la prescrizione sostanziale in tutti i gradi di giudizio.
(1-00053) «Lupi, Bicchielli, Cesa, Pisano, Semenzato, Tirelli, Romano, Alessandro Colucci, Cavo».
La Camera,
premesso che:
il sistema delle fonti sovraordinate del diritto processuale penale costituisce oggi un sistema complesso all'interno del quale, a fianco della Costituzione, si trovano la normativa dell'Unione europea e i trattati internazionali, in particolare la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;
la complessità di tali fonti primarie impone che tutti i protagonisti del sistema «giustizia penale», dal legislatore nazionale ai giudici, fino alle parti processuali, acquisiscano una piena consapevolezza della necessità di dare concreta attuazione ai principi del processo penale europeo;
il diritto all'equo processo è affermato quale diritto fondamentale dell'uomo e, dunque, riconosciuto in tutti gli ordinamenti degli Stati di diritto dall'articolo 10 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 a Parigi;
la fonte di matrice comunitaria cui in primis occorre fare riferimento è la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che, come noto, ha valore normativo nei confronti dei Paesi membri del Consiglio d'Europa, con disposizioni che assurgono al rango di regole precettive di prerogative specifiche e a tutela di ogni persona;
nell'ambito della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, la posizione e le garanzie che devono assistere l'autorità giurisdizionale chiamata a decidere di una singola controversia trovano regolamentazione nell'articolo 6 che si annovera fra quelli più importanti e discussi della Convenzione e affronta il tema dell'equo processo, della ragionevole durata (articolo 6, paragrafo 1), della presunzione di innocenza (articolo 6, paragrafo 2) e delle garanzie processuali dell'imputato in relazione al principio del contraddittorio (articolo 6, paragrafo 3);
nell'ottica di tali garanzie, ruolo di primaria importanza ha il cosiddetto right to be heard, ossia il diritto ad essere ascoltati, riconoscimento all'imputato di potersi confrontare in giudizio con l'accusatore, previsto all'articolo 6, paragrafo 3, lettera d), della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nell'ambito del più ampio principio del contraddittorio disciplinato anche dalle costituzioni e legislazioni nazionali;
l'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nell'affermare che ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, precisa che la sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l'accesso alla sala d'udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale, quando lo esigono gli interessi dei minori, la protezione della vita privata delle parti in causa o rischio di pregiudizio agli interessi della giustizia. Per il paragrafo 2: «Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata». Il paragrafo 3, lettera d), stabilisce che ogni accusato ha diritto di: «esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico»;
secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, nel rispetto dell'articolo 6, paragrafo 3, lettera d), vi è la necessità di un contraddittorio effettivo, per cui la condanna non può essere basata solo su dichiarazioni rese in una fase antecedente al dibattimento;
nonostante il radicamento dei principi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali negli ordinamenti nazionali, permangono alcune problematicità di adeguamento del sistema processuale penale italiano al diritto della Convenzione. Se si considera l'articolo 111 della Costituzione sul diritto al contraddittorio, si può notare che i commi 4 e 5 non coincidono pedissequamente con quanto stabilito dall'articolo 6, paragrafo 3, lettera d), della Convenzione. Ciò implica un deficit di garanzie dell'ordinamento interno rispetto ai diritti previsti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, con particolare riguardo alle dichiarazioni assunte in assenza di contraddittorio. Tale lacuna sussiste, nonostante la novella costituzionale dell'articolo 111 di cui alla legge di revisione costituzionale n. 2 del 1999;
l'articolo 111 della Costituzione recita: «La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata. Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato (...) abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico (...). Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore. La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita»;
strettamente interconnesse con le norme di rango sovranazionale vi è, dunque, il plesso delle disposizioni precipuamente dedicate dalla Costituzione alla materia penale. Si tratta di una messe di principi garantistici, sviluppati per definire presupposti, contenuto e limiti della potestà punitiva;
alcuni di questi principi sono espressi, come il principio di legalità, nei fondamentali corollari della riserva di legge e dell'irretroattività, previsti dall'articolo 25, secondo comma, della Costituzione; il principio della personalità della responsabilità penale, di non colpevolezza e della finalità rieducativa della pena – scolpiti nell'articolo 27 della Costituzione – e il menzionato principio del giusto processo di cui all'articolo 111 della Costituzione;
altri sono principi implicitamente ricavati da costrutti argomentativi di variegata complessità, quali il principio di tassatività/determinatezza, quello di retroattività della legge penale più favorevole, i principi di materialità e offensività al pari di quello di sussidiarietà della norma penale o di extrema ratio. Non si possono sottacere i principi fondamentali contenuti negli articoli 2 e 3 della Carta fondamentale;
la centralità dell'imputato e la preminente esigenza di garantire i suoi diritti fondamentali nel contesto di un processo per ciò stesso definito equo è via via emersa in una visione antropocentrica della procedura penale, che è già stata icasticamente definita «umanesimo processuale»;
nondimeno nel nostro Paese si ravvisano dei forti scollamenti delle prassi giudiziarie rispetto al citato impianto primario di riferimento sotto diversi profili: i più rilevanti sono certamente quello della ragionevole durata del processo e quello della presunzione di non colpevolezza;
sotto il primo profilo, il Consiglio europeo, nelle sue annuali raccomandazioni, ha costantemente sollecitato l'Italia a «ridurre la durata dei processi civili in tutti i gradi di giudizio», nonché ad «aumentare l'efficacia della prevenzione e repressione della corruzione riducendo la durata dei processi penali e attuando il nuovo quadro anticorruzione» (raccomandazioni del 2017-2019);
la Commissione europea, nella relazione per Paese relativa all'Italia 2020 (Country report 2020) del 26 febbraio 2020, ha rilevato come l'Italia abbia compiuto progressi solo limitati nel dare attuazione alle sopra citate raccomandazioni. In particolare, nel settore penale, si è rilevato il perdurare della scarsa efficienza del processo, soprattutto di appello;
da ultimo, nelle raccomandazioni specifiche all'Italia del 20 luglio 2020 il Consiglio europeo ha nuovamente invitato l'Italia ad adottare provvedimenti volti a «migliorare l'efficienza del sistema giudiziario»;
non a caso, dunque, il Piano nazionale di ripresa e resilienza individua nella lentezza nella realizzazione di alcune riforme strutturali un limite al potenziale di crescita dell'Italia. La riforma del sistema giudiziario, incentrata sull'obiettivo della riduzione del tempo del giudizio, è inserita dal Piano nazionale di ripresa e resilienza tra le cosiddette riforme orizzontali, o di contesto, che consistono in innovazioni strutturali dell'ordinamento, tali da interessare, in modo trasversale, tutti i settori di intervento del Piano. Per realizzare questa finalità, il Piano prevede – oltre a riforme ordinamentali, da realizzare ricorrendo allo strumento della delega legislativa – anche il potenziamento delle risorse umane e delle dotazioni strumentali e tecnologiche dell'intero sistema giudiziario, al quale sono destinati specifici investimenti;
la legge n. 134 del 2021, recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari» (cosiddetta riforma Cartabia), ha risposto a tale istanza, ma solo parzialmente, anche in ragione della variegata composizione delle forze di maggioranza, ma il tema della ragionevole durata del processo rimane questione tutt'oggi aperta. Ridurre l'arretrato e accelerare i processi rappresenta ancora oggi una priorità, ma non a totale scapito e detrimento delle garanzie della difesa;
la prescrizione sostanziale è un fondamentale elemento acceleratorio e il suo venir meno, più che una cura, suona come il certificato della malattia cronica della giustizia italiana. Porre il processo al di fuori del flusso del tempo danneggia tutti: la vittima e la collettività tutta, che hanno un comune interesse al celere accertamento della responsabilità e alla punizione del reato. L'innocente, già danneggiato dal solo fatto di essere sottoposto al procedimento, e per il quale ogni giorno in più alla gogna è un supplizio intollerabile; lo stesso colpevole, che ha diritto di vedere definita in breve la sua vicenda, scontando la sanzione per poi reinserirsi in società;
sempre in un'ottica di maggiore efficienza del procedimento penale e di effettività delle garanzie dell'imputato, si impone di evidenziare il regime di impugnazione delle sentenze di proscioglimento da parte dei pubblici ministeri. La questione è stata affrontata dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46, (cosiddetta legge Pecorella), che escludeva la possibilità per il pubblico ministero di appellare le sentenze di proscioglimento, salvo l'emergere di nuove prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 26 del 2007, ha dichiarato l'incostituzionalità della norma sopra riferita in quanto negazione del principio di parità delle parti, impedendo al pubblico ministero il potere di impugnare una sentenza di primo grado in appello. La medesima pronuncia della Corte costituzionale ha rilevato come «le fisiologiche differenze che connotano le posizioni delle due parti necessarie del processo penale, correlate alle diverse condizioni di operatività e ai differenti interessi dei quali, anche alla luce dei precetti costituzionali, le parti stesse sono portatrici – essendo l'una un organo pubblico che agisce nell'esercizio di un potere e a tutela di interessi collettivi; l'altra un soggetto privato che difende i propri diritti fondamentali (in primis, quello di libertà personale), sui quali inciderebbe un'eventuale sentenza di condanna – impediscono di ritenere che il principio di parità debba (e possa) indefettibilmente tradursi, nella cornice di ogni singolo segmento dell'iter processuale, in un'assoluta simmetria di poteri e facoltà»;
sul punto giova ricordare l'articolo 2 del protocollo numero 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, di cui alla legge 4 agosto 1955, n. 848, o l'articolo 14, paragrafo 5, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, di cui alla legge 25 ottobre 1977, n. 881. Tali norme prevedono che la persona condannata per un reato abbia diritto a che l'accertamento di colpevolezza sia esaminato da un tribunale superiore o di seconda istanza. Diritto riconosciuto solo all'imputato e non all'accusa;
occorre, dunque, ridisegnare il sistema delle impugnazioni alla luce delle coordinate costituzionali e convenzionali, alla luce delle indicazioni della giurisprudenza costituzionale, che ha rimarcato – in modo sempre più accentuato – la «diversa quotazione costituzionale del potere di impugnazione delle due parti necessarie del processo penale: privo di autonoma copertura nell'articolo 112 della Costituzione – e, dunque, più "malleabile", in funzione della realizzazione di interessi contrapposti – quello della parte pubblica; intimamente collegato, invece, all'articolo 24 della Costituzione. – e, dunque, meno disponibile a interventi limitativi – quello dell'imputato» (sentenza n. 34 del 2020);
in relazione, poi, alla presunzione di non colpevolezza, l'8 dicembre 2022 la Commissione europea ha adottato una raccomandazione (C-2022-8987) sui diritti procedurali degli indagati e imputati sottoposti a custodia cautelare e sulle condizioni materiali di detenzione con la quale ha invitato, a chiare lettere, gli Stati membri ad «adottare misure effettive, adeguate e proporzionate, per rafforzare i diritti di tutti gli indagati e degli imputati in un procedimento penale che si trovano privati della libertà». La Commissione europea ha precisato che gli Stati devono «garantire alle persone oggetto di privazione della libertà di essere trattate con dignità e che i loro diritti fondamentali siano rispettati», ma soprattutto, la custodia cautelare deve essere considerata «misura da ultima istanza»;
il tema della misure cautelari personali è inesorabilmente e strettamente connesso con i fondamenti della legislazione costituzionale di garanzia: dal principio di inviolabilità della libertà personale (articolo 13, primo comma, della Costituzione), alla riserva di legge che esige la tipizzazione dei casi e dei modi nonché dei tempi di limitazione di tale libertà, alla riserva di giurisdizione che esige sempre un atto motivato del giudice (articolo 13, secondo e quinto comma, della Costituzione), fino – come detto – alla presunzione di non colpevolezza (articolo 27, secondo comma, della Costituzione), in forza della quale l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Nel nostro Paese il mancato rispetto dell'impianto costituzionale di riferimento è drammaticamente testimoniato dai dati riferiti nell'ultima relazione annuale del Ministro della giustizia al Parlamento ex legge 16 aprile 2015, n. 47: 24 milioni e mezzo di euro è quanto ha pagato nel 2022 lo Stato per risarcire quanti hanno ingiustamente subito la custodia cautelare in carcere. Si tratta di persone private della libertà senza che abbiano commesso alcun reato e prima di una sentenza anche non definitiva. Vittime di un potere oltre limite, quello di limitare la libertà personale di un cittadino, extra e ante contraddittorio;
si impone, dunque, una riflessione molto rigorosa sulla «genesi» dell'intervento cautelare, nonché sull'effettività del controllo giurisdizionale in ordine alle richieste del pubblico ministero, rendendo più stringenti i presupposti per l'applicazione delle misure cautelari personali, in particolare incidendo sulle condizioni meno aderenti al principio di legalità, quale il rischio di reiterazioni di reati della medesima specie di quello per cui si procede (articolo 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale);
in relazione ai principi di legalità, della residualità del diritto penale, nonché del diritto alla privacy, una grave tensione con i principi fondanti del procedimento penale è posta dall'utilizzo delle intercettazioni e, nello specifico dall'utilizzo dei captatori informatici (così detto trojan horse);
in relazione all'utilizzo dei captatori informatici si rileva, da un lato, che l'assimilazione, per quanto concerne il loro impiego, tra i reati contro la pubblica amministrazione e i reati di mafia e terrorismo, fattispecie punite con pene completamente diverse, in quanto fenotipi criminosi completamente diversi, crea un'irragionevole assimilazione, introducendo un elemento di irrazionalità che pregiudica la coerenza interna del sistema. Il principio costituzionale di eguaglianza impone di trattare situazioni eguali in modo eguale e situazioni diseguali in modo diseguale. Rispetto a tale previsione si ravvisa, altresì, un eccesso di legislazione penale;
se, da un lato, l'utilizzo del trojan, introdotto nell'ordinamento penale italiano con la legge 23 giugno 2017, n. 103 – cosiddetta riforma Orlando – rappresenta lo strumento più penetrante ed efficace nel contrasto alla commissione di reati ritenuti di particolare gravità di tipo associativo e di terrorismo, dall'altro è lo strumento che più viola la sfera di intimità dell'intercettato, con l'evidente rischio di una diversa destinazione d'uso atto a violare la privacy degli individui, nonostante la Corte di cassazione abbia confermato che vada esclusa la riconducibilità del trojan agli strumenti di pressione sulla libertà fisica e morale il cui uso è vietato dall'articolo 188 del codice di procedura penale;
sembra opportuno e doveroso che il legislatore intervenga per correggere simili distonie, escludendo i reati minori dalla possibilità di utilizzo dei captatori informatici nelle indagini preliminari;
sempre in relazione alla privacy e alla presunzione di non colpevolezza, si deve rilevare come la diffusione degli atti nel corso di procedimenti, come evidenziato da Ministro della giustizia Nordio durante l'audizione al Senato della Repubblica in Commissione giustizia «è uno strumento micidiale di violazione» dei diritti, «di delegittimazione personale e spesso politica»;
è dunque necessaria una risposta normativa che tuteli effettivamente e concretamente il cittadino da tale fenomeno;
il primo comma dell'articolo 191 del codice di procedura penale sancisce chiaramente l'inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione di legge. Nondimeno, reiterati arresti della Corte di cassazione hanno, con quella che appare ai firmatari del presente atto come un'interpretazione «creativa», introdotto nell'ordinamento una sorta di distinzione, non prevista dal legislatore, tra inutilizzabilità «patologica» e altri modelli di inutilizzabilità, distinzione divenuta ormai «diritto vivente». Invero, l'imputato che sceglie – legittimamente – il giudizio abbreviato, presta acquiescenza – secondo la giurisprudenza sopra richiamata – all'utilizzabilità di un atto acquisito in violazione di legge, la cui irrituale acquisizione è sanata dalla «scelta negoziale della parte di tipo abdicativo, che fa assurgere a dignità di prova gli atti di indagine compiuti senza il rispetto delle forme di rito» (ex multis, Cassazione penale, sezione IV, 10 novembre 2021, n. 40550, Cassazione penale, sezione III, 14 dicembre 2011, n. 46325). In ossequio al grigliato di principi di riferimento governanti il procedimento penale, si rende necessario intervenire per ribadire l'inutilizzabilità degli atti illegittimamente acquisiti, indipendentemente dalle opzioni processuali dell'imputato;
in materia del necessario rispetto dell'articolo 25 della Costituzione, l'articolo 192 del codice di procedura penale, relativo al regime di valutazione della prova, ribadisce innanzitutto il principio del libero convincimento del giudice, in un'ottica di rigorosa tutela della legalità sul piano probatorio. La norma delimita il libero apprezzamento del giudice in due precisi ambiti: in generale, si esclude che possano essere utilizzati elementi di natura meramente indiziaria, a meno che tali elementi siano gravi, precisi e concordanti (articolo 192, comma 2, del codice di procedura penale). In relazione alle dichiarazioni dei coimputati nel medesimo reato o degli imputati in un procedimento connesso ex articolo 12 del medesimo codice di procedura penale, la norma stabilisce che esse devono sempre essere valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità (articolo 192, comma 3). Il medesimo principio vale, altresì, in riferimento alle dichiarazioni rese dall'imputato in un reato collegato a quello per cui si procede ex articolo 371, comma 2, del medesimo codice di procedura penale, nonché in relazione alle dichiarazioni all'imputato che abbia assunto l'ufficio di testimone ex articolo 197-bis (articolo 192, comma 4). Tale regime rafforzato relativo alle dichiarazioni rese da altri soggetti deve essere esteso alle intercettazioni indirette, ossia quelle intercettazioni concernenti le conversazioni telefoniche o tra presenti di soggetti diversi dall'indagato, dall'imputato e dalla persona comunque assente dalla stessa conversazione;
nel corso dell'esposizione delle linee guida del suo dicastero, il Ministro della giustizia ha evidenziato che dai dati relativi all'abuso d'ufficio emerge solo il 3 per cento di condanne, mentre le statistiche indicano 5.400 procedimenti nel 2021, conclusi con 9 condanne davanti al giudice per le indagini preliminari e 18 in sede di dibattimento;
lo stesso Ministro della giustizia ha evidenziato che «(...) L'unica conseguenza è il rischio di essere indagati (...)», rilevando la necessità di «(...) abbandonare l'idea di tutelare il buon andamento della pubblica amministrazione con minaccia della pena» e ricordando gli appelli dei sindaci di diverse parti politiche in direzione di una riforma di questi reati che comportano soltanto un vulnus all'efficiente funzionamento del procedimento penale;
le modifiche si rendono necessarie per operare un cambio di rotta da più parti auspicato e superare una delle tante criticità della giustizia italiana, che, piuttosto che ridare slancio alla pubblica amministrazione e, attraverso essa, perseguire obiettivi di ripresa economica del nostro Paese, creano danni e alimentano disfunzioni;
il rispetto del principio di legalità, in uno con i principi di sussidiarietà e di extrema ratio che debbono governare l'impiego del diritto penale, presentano gravi aspetti di frizione con l'articolo 346-bis del codice penale, rubricato «Traffico di influenze illecite», introdotto con la legge 6 novembre 2012, n. 190, con lo scopo di contrastare i fenomeni corruttivi che orbitano intorno alla pubblica amministrazione, punendo l'insieme delle condotte prodromiche all'atto corruttivo vero e proprio. Successivamente, nel 2019, con la legge cosiddetta «spazzacorrotti» (legge 9 gennaio 2019, n. 3), si è voluta ampliare la tutela della fattispecie esaminata, facendovi confluire la fattispecie del millantato credito, contestualmente abrogata. Il reato de quo è volto a individuare e sanzionare tutte le condotte preparatorie; esso si struttura come illecito plurisoggettivo o a concorso necessario; l'attività sanzionata è quella della mediazione del soggetto attivo che intende approfittare di relazioni esistenti o fittizie con un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio;
l'eccessiva anticipazione della tutela penale, ovvero per il concentrarsi della norma sulla «mera mediazione» più che sull'«effettivo risultato lobbistico» e, e ancor più, per l'uso nella descrizione della condotta penalmente rilevante di formule vaghe quanto ambigue, impongono un intervento riformatore sulla fattispecie costituzionalmente orientato;
in relazione alla presunzione di non colpevolezza si deve evidenziare come il testo unico di cui al decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (cosiddetta legge Severino), abbia introdotto nell'ordinamento alcune importanti disposizioni anticorruzione, intervenendo sulla materia dell'incandidabilità e del divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze di condanna. Tali disposizioni presentano evidenti aspetti di disomogeneità;
la maggior parte delle sue disposizioni prevede l'incandidabilità e il divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo come conseguenza di una condanna definitiva, mentre le disposizioni di cui agli articoli 8 e 11 prevedono la sospensione di amministratori regionali e locali a seguito di sentenze non definitive. Chi sbaglia deve pagare, ma non è tollerabile il pubblico ludibrio quando nel 97 per cento dei casi l'azione penale si risolve in un nulla di fatto: la stragrande maggioranza di queste sospensioni decade alla loro scadenza e l'unica conseguenza che ne deriva è un grave danno per la vita della comunità, che rimane senza guida, e per le figure dei pubblici amministratori coinvolti, la cui vita politica e personale viene inevitabilmente segnata;
pare, quindi, fondamentale un sollecito intervento del legislatore idoneo a realizzare un nuovo bilanciamento che rispetti parimenti le esigenze di legalità e il principio di garanzia costituzionale di cui all'articolo 27 della Costituzione;
alla luce delle sopra esposte considerazioni, si impongono iniziative legislative atte ad adeguare la normativa italiana ai principi nazionali e sovranazionali in materia di equo processo, così garantendo, al contempo, l'effettività dello stato di diritto,
impegna il Governo:
1) ad intraprendere le opportune iniziative legislative atte a ristabilire il regime della prescrizione sostanziale;
2) ad intraprendere le necessarie iniziative normative in materia di regime di impugnabilità delle sentenze di proscioglimento da parte del magistrato del pubblico ministero, in asse con i principi costituzionali ed europei;
3) ad adottare le opportune iniziative normative in materia di misure cautelari personali atte a garantire il principio di presunzione di non colpevolezza di cui all'articolo 27 della Costituzione, incidendo, a monte, sui presupposti per la loro applicazione e, nello specifico, su quelli non aderenti al necessario rispetto del principio di legalità, quali quello previsto dall'articolo 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale e, quindi, rafforzando sia il controllo giurisdizionale sulle medesime sia l'obbligo motivazionale;
4) ad adottare le opportune iniziative normative, in ossequio ai principi di legalità, della residualità del diritto penale e di proporzionalità, in materia di intercettazioni e, nello specifico, di utilizzo dei captatori informatici, volte ad escludere i reati contro la pubblica amministrazione da quelli che consentono il ricorso a tale mezzo di ricerca della prova;
5) ad intraprendere le opportune iniziative normative volte a limitare concretamente la pubblicazione degli atti d'indagine, fino all'udienza preliminare, prevedendo adeguate sanzioni, anche di natura amministrativa;
6) ad adottare le iniziative di competenza necessarie atte ad inibire la pubblicazione, anche parziale, del contenuto di intercettazioni, nell'equo contemperamento del principio della presunzione di non colpevolezza con il diritto di cronaca;
7) ad adottare iniziative normative volte a prevedere, in materia di inutilizzabilità degli atti di indagine acquisiti in violazione di legge, l'assolutezza del relativo divieto ex articolo 191 del codice di procedura penale, anche nel caso di ricorso da parte dell'imputato a riti alternativi;
8) a intraprendere le opportune iniziative legislative volte ad estendere l'applicazione del regime probatorio rafforzato di cui all'articolo 192, comma 3, del codice di procedura penale alle intercettazioni concernenti conversazioni telefoniche o tra presenti svolte tra soggetti diversi dall'indagato, dall'imputato e dalla persona comunque assente dalla stessa conversazione;
9) a intraprendere le iniziative legislative volte ad abrogare il delitto di abuso di ufficio di cui all'articolo 323 del codice penale;
10) ad adottare le iniziative normative necessarie a garantire il principio di legalità, nel rispetto dei vincoli discendenti dalla sottoscrizione della Convenzione di Merida, tipizzando maggiormente le relative condotte e posticipando la tutela penale in relazione all'effettivo risultato lobbistico;
11) ad adottare le opportune iniziative normative volte a modificare il decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, prevedendo che le cause di sospensione degli amministratori regionali e locali siano collegate ad una sentenza definitiva in ossequio agli articoli 3, 27, secondo comma, e 97, secondo comma, della Costituzione.
(1-00090) «Calderone, Pittalis, Patriarca, Cattaneo».
La Camera,
premesso che:
la difesa dei diritti fondamentali dell'individuo non può non passare anche attraverso l'attenzione che il legislatore pone nei confronti delle vittime dei reati. Posto che la dottrina costituzionalistica ha individuato il fondamento della tutela dei «soggetti deboli» nel collegamento con il principio di uguaglianza (articolo 3 della Costituzione), è proprio nell'ambito del diritto e del processo penale che la tutela delle vittime va garantita maggiormente, in quanto spetta al giudice – dotato a livello normativo di tutti gli strumenti necessari – intercettare le esigenze di queste ultime nel processo;
non di rado, molti Stati sono condannati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo in quanto considerati responsabili per non aver predisposto o attuato nel caso concreto una specifica tutela penale dei diritti fondamentali. Come espresso dalla stessa Corte, ciò si impone anche al fine di «preservare la fiducia del pubblico nel principio della legalità e per evitare qualsiasi parvenza di complicità o di tolleranza relativamente a degli atti illegali» (Cedu, Avşar c. Turchia; Opuz c. Turchia).
la giurisprudenza diffusa a livello europeo, invero, impone agli Stati membri di adoperarsi affinché il procedimento penale si svolga con modalità tali da garantire anche il coinvolgimento e la soddisfazione dei diritti delle vittime. Si tratta dei cosiddetti obblighi procedurali, derivanti dagli articoli 2 e 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali negli ordinamenti nazionali, che prescrivono agli Stati di adoperarsi, in caso di violazione delle suddette disposizioni, per garantire lo svolgimento di indagini effettive e idonee ad accertare i fatti di reato, anche in prospettiva di tutela e di ristoro della vittima del reato;
è di tutta evidenza che il ruolo della vittima abbia finito per perdere sempre più rilevanza, e ciò è dimostrato anche dall'assenza, nel codice di procedura penale, della nozione di «vittima», laddove vengono usate le definizioni di «offeso dal reato», «persona offesa», «persona offesa dal reato». Pertanto vi è la necessità di far recuperare alla vittima una posizione di centralità nel processo di accertamento della violazione e della punizione che subisce il colpevole;
è fondamentale, dunque, che il processo penale, in quanto tale, si traduca in concreto in uno strumento ontologicamente funzionale alla soddisfazione delle istanze del soggetto danneggiato dal reato;
le fonti europee hanno gradualmente dimostrato un'attenzione sempre maggiore, sul piano del diritto penale, rispetto alla salvaguardia delle garanzie non solo dell'accusato, ma anche della vittima. Il considerando n. 9 della direttiva 2012/29/UE afferma che «un reato è non solo un torto alla società, ma anche una violazione dei diritti individuali delle vittime»;
nella stessa Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali negli ordinamenti nazionali, che si presta a una continua interpretazione evolutiva «in the light of present-day conditions», sono rinvenibili evidenti segnali della crescente valorizzazione delle prerogative delle vittime del reato;
come già accennato, assumono rilevanza i numerosi arresti della Corte europea dei diritti dell'uomo in relazione alle cosiddette positive obligation nell'ambito di alcune garanzie tutelate dalla Convenzione, quali gli articoli 2, 3, 4 e 8. Ci si riferisce non solo agli obblighi da parte degli Stati di rendere penalmente rilevanti quelle condotte lesive dei più importanti tra i beni fondamentali, ma anche, e soprattutto, ai doveri di carattere procedurale, che prescrivono ai Paesi contraenti indagini effettive e complete;
degna di nota, in tale contesto, è la decisione nel caso Petrella c. Italia, ove i giudici della Corte europea dei diritti dell'uomo hanno condannato l'Italia per la violazione dell'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, in quanto la vittima non aveva potuto costituirsi parte civile nel procedimento penale, a causa del sopraggiungere del termine della prescrizione del reato nel corso delle indagini preliminari;
come noto, gli effetti distorsivi dell'istituto della prescrizione – come era delineato prima della riforma operata nel Governo Conte I con la legge n. 3 del 2019, cosiddetta «spazzacorrotti», che ha sospeso il corso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado – pregiudicavano fortemente le istanze di giustizia delle vittime del reato, che sono spesso rimaste inascoltate quando, per il verificarsi della causa estintiva, le stesse non hanno potuto ottenere un accertamento definitivo della verità, con ciò comportando di fatto una denegata giustizia e minando la fiducia dei cittadini nella capacità dello Stato di assolvere al compito fondamentale di assicurare il rispetto della legalità e la tutela dei diritti. In sostanza, il meccanismo della prescrizione è stato troppo a lungo utilizzato come occulto e mirato fattore di deflazione del carico degli uffici giudiziari, in assenza della volontà politica di potenziare gli organici della magistratura. Un effetto distorsivo dell'istituto della prescrizione in questi anni ha portato anche all'intasamento del carico delle corti d'appello e al parziale svilimento dei riti speciali. La sospensione della prescrizione – avvenuta grazie alla cosiddetta legge «spazzacorrotti» – avrebbe determinato un minore interesse a proporre appello, costituendo piuttosto un incentivo a definire il processo attraverso i riti speciali, se non fosse intervenuta l'introduzione del nuovo istituto dell'improcedibilità per superamento dei termini di fase, che torna – invece – ad incoraggiare la proposizione delle impugnazioni nella speranza di veder finire nel nulla i processi;
l'attuazione del principio del giusto processo, come contemplato dall'articolo 111 della Costituzione, non è idoneo a giustificare un'eventuale reviviscenza del meccanismo della prescrizione sostanziale, così come esistente prima dell'entrata in vigore della già richiamata legge n. 3 del 2019;
l'istituto della prescrizione, infatti, non è posto a fondamento del principio della ragionevole durata del processo: il dato temporale sarebbe già di per sé sufficiente a dimostrare la veridicità di quanto testé affermato. La prescrizione, infatti, è stata introdotta molto prima della riforma dell'articolo 111 della Costituzione (1999) che ha fatto strada al principio del cosiddetto «giusto processo e della durata ragionevole». È evidente, dunque, che la stessa non è stata originariamente contemplata a garanzia del principio costituzionale, piuttosto i presidi per assicurare la ragionevole durata sono altri, come i meccanismi compensativi in caso di durata irragionevole dei processi, già previsti nell'ordinamento dalla cosiddetta legge Pinto. Soprattutto, il vero antidoto è costituito dall'incremento delle risorse umane, per questo è imprescindibile prevedere il completamento ed anzi il rafforzamento degli organici del comparto della giustizia. Non a caso, la riforma Bonafede della prescrizione è entrata in vigore dopo aver reso effettivo – grazie ai Governi Conte I e II – un piano straordinario di assunzioni nel settore della giustizia. Ma la lentezza dei procedimenti non può essere utilizzata per celare l'obiettivo di sottrarsi alla giustizia: la durata ragionevole dei processi può e deve essere garantita diversamente, con una giustizia che funzioni;
la riforma Cartabia ha introdotto rilevanti novità nell'ambito del procedimento penale, tra queste, anche l'istituto della cosiddetta «improcedibilità» per superamento dei termini massimi di fase di impugnazione. La soluzione proposta dalla riforma, che mira a distinguere la prescrizione del reato dai tempi del processo, rappresenta tuttavia una scelta riformatrice radicale, che cela non poche insidie, sia in termini di garanzie dell'accertamento, che di risposte di giustizia alla persona offesa. Infatti, essa determina di fatto gli stessi effetti della prescrizione sostanziale, ovvero l'estinzione del processo, con in più delle aggravanti;
come rilevato dagli operatori del settore, infatti, l'improcedibilità funge da tagliola dopo 2 anni e 1 giorno per l'appello e 1 anno e 1 giorno per la Corte di cassazione, anche in quei casi in cui la prescrizione del reato (sostanziale) non sarebbe maturata;
inoltre, essa, una volta sopraggiunta, comporta l'estinzione immediata del processo, senza alcun rimedio. Mentre la prescrizione sostanziale – in teoria – determinava l'effetto di selezionare i processi di appello da trattare con priorità, in quanto prossimi alla scadenza dei termini, l'improcedibilità comporta, invece, la fissazione di un termine massimo di durata uguale per tutti i processi, in quanto slegata dal reato;
è innegabile, dunque, che l'improcedibilità determini un'eccessiva rigidità del sistema. Secondo la costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, seguita dalla giurisprudenza italiana formatasi a proposito della legge Pinto, la ragionevole durata del processo non può essere definita in via generale e astratta in relazione ad un processo ideale, ma deve essere determinata ex post in relazione alle concrete peculiarità di ogni singola vicenda processuale, sulla base della complessità del caso e del comportamento delle parti (pubbliche e private). Termini troppo brevi rischierebbero di non essere adeguati rispetto a vicende processuali particolarmente complesse e il «giusto processo» non può essere valutato solo in termini di durata, ma anche della correttezza della decisione che ne è frutto;
la Commissione europea nel Report sullo stato di diritto 2022 ha manifestato espressamente talune perplessità proprio rispetto alla fissazione di termini massimi per la conclusione dei procedimenti dinanzi alla corte d'appello e alla Corte di cassazione, pena l'improcedibilità;
in particolare, per problemi di efficienza soprattutto a livello delle corti d'appello, «le nuove misure rischiano di incidere negativamente sui processi penali e in particolare su quelli in corso, che potrebbero essere automaticamente resi improcedibili. Sebbene siano previste eccezioni e siano in vigore norme temporanee, l'efficacia del sistema giudiziario penale richiede un attento monitoraggio a livello nazionale per garantire un giusto equilibrio tra l'introduzione delle nuove disposizioni e i diritti di difesa, i diritti delle vittime e l'interesse pubblico all'efficienza del procedimento penale»;
appare fondamentale ed urgente, dunque, superare il meccanismo dell'improcedibilità introdotto dalla menzionata riforma, mantenendo, al contempo, la sospensione della prescrizione sostanziale dopo la sentenza di primo grado;
l'articolo 2 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 – di attuazione della legge n. 134 del 2021 recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari», cosiddetta riforma Cartabia – ha apportato rilevanti modifiche alla disciplina del regime della procedibilità di alcune fattispecie di reato di più frequente applicazione pratica, con ciò determinando conseguenze negative in termini di risposta alle istanze delle vittime. Infatti, è stata ampliato l'ambito di operatività della procedibilità a querela, al fine di conseguire effetti deflattivi sul contenzioso giudiziario ed effetti positivi sulla durata complessiva dei procedimenti. Tuttavia, la prassi applicativa che ne è emersa, immediatamente dopo la sua recente entrata in vigore, ha da subito dimostrato i suoi effetti distorsivi, per cui l'obiettivo di razionalizzare il lavoro delle procure e di smaltire gli arretrati non può più giustificare l'abdicazione da parte dello Stato al suo potere/dovere di attivarsi per perseguire gli autori dei reati, lasciando così alla persona offesa la relativa decisione di procedere;
appare opportuno, dunque, ripristinare la procedibilità d'ufficio per taluni delitti di particolare allarme sociale, ovvero per quelli rispetto ai quali risulta arduo raccogliere l'eventuale querela. Nella specie, per il reato di lesioni personali (articolo 582 del codice penale), sequestro di persona (articolo 605 del codice penale), violenza privata (articolo 610 del codice penale), violazione di domicilio (articolo 614 del codice penale), furto aggravato dalle circostanze previste dall'articolo 625 del codice penale e danneggiamento, quando il fatto sia commesso ai danni dei beni demaniali e dei beni patrimoniali indisponibili di Stato, regioni, province, comuni, città metropolitane o altre amministrazioni locali;
il già citato decreto legislativo n. 150 del 2022 – riforma Cartabia – nell'ambito di un più generale intervento riformatore sul titolo II del libro IX del codice di procedura penale in materia di impugnazioni, ha novellato, altresì, l'articolo 599-bis del codice di procedura penale, relativo al concordato anche con rinuncia ai motivi di appello. Segnatamente, la richiamata riforma ha inteso ampliare l'ambito applicativo del cosiddetto «concordato in appello», attraverso l'eliminazione di tutte le preclusioni all'accesso a tale istituto, previste dal comma 2 dell'articolo 599-bis del codice di procedura penale. Si tratta, in particolare, dei reati di associazione per delinquere finalizzata all'immigrazione clandestina o alla tratta di persone ovvero i reati con finalità di terrorismo, ovvero a commettere un delitto di sfruttamento sessuale dei minori, o finalizzata ad un delitto di contraffazione; tratta di persone o riduzione in schiavitù; associazione per delinquere di tipo mafioso o commessi per agevolare tali associazioni; scambio elettorale politico-mafioso; sequestro di persona a scopo di estorsione; associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, al contrabbando di tabacchi e al traffico di rifiuti; i reati di sfruttamento sessuale dei minori; reati di violenza sessuale semplice, aggravata e di gruppo;
il suo campo d'applicazione, dunque, era limitato, in quanto era escluso in relazione al sopra richiamato catalogo di gravi reati;
sebbene l'istituto del concordato sui motivi di appello non possa essere propriamente considerato a carattere premiale, esso determina impliciti effetti deflattivi. Invero, ben potrebbe verificarsi che, anche a seguito di condanna in primo grado, il pubblico ministero, per abbattere il cospicuo carico di lavoro, sia più incentivato ad accordarsi con il difensore dell'imputato sull'accoglimento di taluni motivi di gravame, in ragione della prospettiva che l'imputato rinunci agli altri motivi, anche in caso di reati particolarmente insidiosi, facendo ottenere a quest'ultimo considerevoli riduzioni di pena ed evitandogli talvolta di scontare la condanna in carcere;
un simile intervento, lungi dal voler determinare maggiore efficienza del processo penale, può invece tradursi di fatto in un «ennesimo assist all'impunità», con gravi ripercussioni sui diritti fondamentali delle vittime;
appare imprescindibile, dunque, ripristinare il catalogo di preclusioni relativo all'istituto del concordato con rinuncia ai motivi in appello, in origine contenuto nel comma 2 dell'articolo 599-bis del codice di procedura penale, per escludere che esigenze deflattive possano comportare un elevato rischio di impunità nei casi richiamati;
tra i tipi di tutela derivanti dall'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, vi è anche quella riguardante casi di violazioni «interindividuali», cioè poste in essere da soggetti privati a danni di altri individui, considerati dall'ordinamento, nazionale e sovranazionale, particolarmente vulnerabili, come donne e bambini, o, più in generale vittime di violenza domestica. Nei riguardi di tali soggetti, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha stigmatizzato il comportamento delle autorità statali per i casi di violazioni dei diritti tutelati dall'articolo 3. In particolare, la Corte europea dei diritti dell'uomo talvolta ha evidenziato l'inadeguatezza delle misure di prevenzione adottate dalle autorità allo scopo di evitare il protrarsi delle lesioni a carico delle vittime, talaltra hanno rimarcato la presenza di superficialità da parte dello Stato a fronte della denuncia di fatti particolarmente gravi;
nel nostro ordinamento, il cosiddetto codice rosso ha già tracciato la strada verso il potenziamento degli strumenti a tutela delle donne vittime di violenza. Grazie alle modifiche normative introdotte, oggi è prevista una corsia preferenziale per le indagini, la possibilità per la vittima di proporre querela fino ad un anno (in luogo dei 3 mesi previsti per gli altri casi), nonché l'inasprimento delle pene già previste per chi abusa. Infine, la legge ha introdotto altresì nel codice penale 4 nuovi reati: violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, costrizione o induzione al matrimonio, deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (cosiddetto revenge porn);
tuttavia, c'è ancora molto da fare per contrastare questo allarmante fenomeno, che i dati dimostrano – purtroppo – sempre in maggiore crescita. Nel report diffuso dal dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno in occasione della Giornata internazionale delle donne vittime di violenza, il dato inerente all'applicazione del codice rosso vede un significativo incremento sia dei delitti commessi, che delle segnalazioni a carico dei presunti autori noti. Si registra «un trend di crescita per le violenze sessuali, confermando la necessità di riservare a tale fenomenologia criminale la massima attenzione». Dal 2020, anno nel quale si è registrato il dato minore (4.497), l'incremento è stato significativo e si è attestato, nel 2022, a 5.991 eventi;
ai fini dell'accertamento della verità processuale e del soddisfacimento della richiesta di ristoro della vittima e della parte civile, il legislatore ha l'obbligo di dotare l'autorità giudiziaria di tutti gli strumenti preordinati a tal fine. Il problema si pone tanto più per le fattispecie penali di difficile accertamento, tra le quali possono annoverarsi i reati di corruzione. Privare o limitare lo Stato dell'uso dello strumento delle intercettazioni può comportare una perdita di efficienza nella lotta alla delinquenza e la riduzione della possibilità di sottrazione di ingenti quantità di beni dalla disponibilità della criminalità;
se la finalità ultima dell'attuale Governo è quella di contrastare gli «abusi», in particolare la divulgazione a mezzo stampa dei contenuti delle intercettazioni, orbene, è stato già dimostrato come negli ultimi anni nessun abuso a pregiudizio del diritto alla riservatezza sia stato rilevato;
durante il Governo Conte II, infatti, è stato adottato il decreto-legge n. 161 del 2019, entrato in vigore a settembre 2020, che ha chiuso una stagione di interventi confusionari e superflui, rappresentando una sintesi equilibrata tra l'esigenza di perseguire reati gravi e il diritto alla privacy rispetto a fatti penalmente non rilevanti. Come emerso in sede di audizione al Senato della Repubblica del Garante per la protezione dei dati personali, il 24 gennaio 2023, i dati raccolti confermano che dal 2020 non si è registrato alcun caso di violazione della privacy determinato da potenziali abusi delle intercettazioni, con ciò privando di fondamento qualsivoglia esigenza di ulteriore intervento normativo. Dunque, è sufficiente rispettare i confini già esistenti in materia di condizioni di applicazione, non vi è più alcuna necessità di intervenire sulla disciplina delle intercettazioni, depotenziandola;
degni di nota sono, inoltre, alcuni dati forniti dal procuratore di Palermo, Maurizio de Lucia, nel corso dell'audizione in videoconferenza in Commissione giustizia al Senato della Repubblica, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle intercettazioni. Nel 2022 nel distretto di corte d'appello di Palermo sono state 2.902 le utenze telefoniche intercettate (numero che non corrisponde ai soggetti «ascoltati», visto che ciascuno potrebbe aver avuto più utenze a disposizione). Di queste, 1.950 intercettazioni erano relative a indagini di mafia, 9 di terrorismo e 935 si inquadravano nell'ambito di inchieste su altri reati (ad esempio di corruzione). Il trojan invece è stato usato in 218 casi: 185 in inchieste antimafia, 3 su sospetti casi di terrorismo, 30 in indagini «comuni». Il procuratore ha più volte sottolineato, quindi, l'importanza delle captazioni, strumenti definiti come «irrinunciabili», così come dimostrato dai dati forniti;
la fattispecie di abuso d'ufficio è stata novellata durante il Governo Conte II attraverso un intervento di specificazione della fattispecie che ne ha eliminato gli aspetti di maggiore incertezza interpretativa. Di conseguenza, ciò rende di fatto superflua un'ulteriore modifica normativa, che avrebbe esclusivamente l'effetto di determinare nuove incertezze applicative, che necessiterebbero dell'attività ermeneutica della giurisprudenza di legittimità;
in particolare, l'articolo 23 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, ha inciso sulla disposizione del codice penale sostituendo le parole «di norme di legge o di regolamento,» con le seguenti: «di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità». Ne consegue che il delitto di abuso d'ufficio è ora integrato dalla condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio e salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, intenzionalmente procuri a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arrechi ad altri un danno ingiusto attraverso la violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero attraverso la violazione del dovere di astensione o la violazione di norme che dovranno essere: specifiche; espressamente ed esclusivamente previste da fonti primarie del diritto, con esclusione, quindi, di fonti secondarie; a condizione che da tali regole di condotta non residuino margini di discrezionalità. Ne deriva che un eventuale nuovo intervento normativo volto ad allargare ulteriormente le maglie di tale reato potrebbe porsi in contrasto con il principio costituzionale del buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione che ne è sotteso, in quanto potrebbe determinare importanti sacche di impunità;
la legge n. 3 del 2019 (cosiddetta «spazzacorrotti») proposta dall'allora Ministro Bonafede ed approvata nel corso del Governo Conte I ha fatto ottenere all'Italia il plauso da parte del Greco (il gruppo di Stati contro la corruzione in seno al Consiglio d'Europa), a margine della sua attività di valutazione di conformità delle legislazioni vigenti degli Stati aderenti agli standard anti-corruzione. E ciò in quanto la suddetta legge ha introdotto, oltre a nuovi poteri per le autorità inquirenti, ad un incremento delle sanzioni per le persone sia giuridiche sia fisiche, alla sospensione dei termini di prescrizione dopo la condanna di primo grado, anche ulteriori adeguamenti dei reati di corruzione privata e – soprattutto – del traffico di influenze illecite;
in particolare, il Greco ha mostrato apprezzamento rispetto all'avvenuto allineamento del reato di traffico di influenze illecite ai requisiti di cui alla Convenzione penale sulla corruzione (articolo 12), colmando, così, una lacuna più volte segnalata dal medesimo organo europeo. In un'ottica di messa a terra del Piano nazionale di ripresa e resilienza, nonché di continuazione nel reperimento delle risorse da esso derivate, non sfugge, dunque, l'importanza anche del mantenimento dello strumento de quo al fine di scongiurare ipotetiche attività illecite da parte della criminalità, attirata dall'ingente quantità di afflusso di danaro. Infatti, un allentamento dei presidi contro i fenomeni corruttivi e contro i suoi cosiddetti reati spia, tra i quali possono ben annoverarsi sia l'abuso di ufficio sia il traffico di influenze illecite, non può che esporre al pericolo di infiltrazioni da parte delle organizzazioni criminali che potrebbero, di guisa, mettere in discussione anche l'erogazione dei fondi da parte dalla stessa Unione europea;
allentare le maglie della fattispecie di traffico di influenze sarebbe un grave errore, da non commettere proprio in un momento storico come quello attuale;
sempre nell'ottica di presidio dei diritti fondamentali, è imprescindibile che lo Stato mantenga sempre alta e vigile l'attenzione rispetto all'efficace contrasto dei fenomeni mafiosi in tutte le sue estrinsecazioni. A tal fine, occorre salvaguardare uno degli strumenti indefettibili per la lotta alla mafia: il regime speciale di detenzione previsto dall'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario, corollario insostituibile della legislazione antimafia italiana, in quanto mira a contrastare i rapporti tra associati detenuti e organizzazione criminale;
in sede di esposizione delle linee programmatiche del dicastero e in ulteriori occasioni da parte del Ministro della giustizia, è stata più volte annunciata la volontà di intervenire sulla separazione delle carriere dei magistrati. Oggi sono in esame in Commissione affari costituzionali diversi progetti di legge costituzionale in tale direzione. Tuttavia, non può non tenersi conto come già un simile intervento sia naufragato in occasione del referendum, laddove il quesito proposto non ha raggiunto il quorum di cui all'articolo 75 della Costituzione;
una riforma in tale materia è tutto fuorché necessaria, tanto più ora che la riforma Cartabia ha ridotto ad uno i passaggi di funzioni tra magistrati requirenti e giudicanti, rendendo ancor più eccezionale l'eventuale mutamento di funzioni nell'arco della vita professionale di un magistrato;
si consideri, inoltre, che più si separa sul piano formativo e professionale il pubblico ministero dal giudice, più si rischia di incorrere in una realtà – lontana dal sistema processuale italiano – in cui il pubblico ministero diventa un «avvocato di polizia», un mero accusatore e non già un funzionario dello Stato chiamato ad accertare la verità dei fatti, come contempla anche il codice di procedura penale (articolo 358 del codice di procedura penale);
la comunanza di formazione e di percorso iniziale, al contrario, contribuisce a scongiurare, se non proprio evitare, questo rischio ed è dunque una garanzia per il cittadino che dovesse essere indagato,
impegna il Governo:
1) ad adottare ogni iniziativa – anche normativa – utile a garantire l'efficacia delle disposizioni a presidio delle vittime dei reati, apprestando una tutela in concreto delle stesse, proprio in considerazione della propria condizione di minorità che nasce dall'aver subito un pregiudizio;
2) ad adottare iniziative normative volte a superare l'istituto dell'improcedibilità in secondo grado previsto dall'articolo 344-bis del codice di procedura penale, mantenendo ferma la disciplina della prescrizione dei reati come introdotta dalla legge n. 3 del 2019, cosiddetta «spazzacorrotti», in quanto l'estinzione del processo per decorrenza dei termini può tradursi in una grave denegata giustizia per le vittime;
3) ad astenersi da qualsivoglia intervento – anche normativo – volto a riformare la disciplina delle intercettazioni in modo da restringerne l'utilizzo o da depotenziarne l'efficacia come strumento di ricerca della prova determinante per l'attività investigativa ed indispensabile per contrastare le forme più insidiose di criminalità organizzata e dei fatti di corruzione, i cui effetti finali ricadono sull'utente, ovvero il cittadino;
4) ad adottare iniziative normative per modificare l'istituto del concordato anche con rinuncia ai motivi di appello ex articolo 599-bis del codice di procedura penale, ripristinando l'esclusione dell'applicazione di detto istituto agli imputati per reati di particolare gravità;
5) ad adoperarsi per favorire l'iter delle iniziative legislative già esistenti in Parlamento in materia di procedibilità d'ufficio, per ripristinare il precedente regime rispetto a quei reati di peculiare disvalore sociale, per evitare di far gravare sulle vittime l'onere di proporre querela per azionare la pretesa punitiva dello Stato;
6) a non intervenire sul delitto di abuso di ufficio e sul delitto di traffico di influenze, fattispecie eventualmente da potenziare in combinazione con l'introduzione di una normativa sulla regolamentazione delle lobby, sul conflitto di interessi, in quanto strettamente connessi;
7) ad assumere con la massima determinazione iniziative volte al contrasto alla violenza contro le donne, al fine di ridurre sensibilmente il numero dei femminicidi, nel contesto di quanto segnalato in premessa, riprendendo il percorso segnato dal codice rosso e proseguito dalla Commissione di inchiesta sul femminicidio, la quale ha predisposto nella relazione conclusiva molteplici misure volte ad intervenire sul piano preventivo, di protezione, nonché punitivo e rieducativo (e di azzeramento dei tassi di recidiva) nei confronti rispettivamente delle vittime e degli autori del reato, sostenendo, per quanto di competenza, le iniziative legislative parlamentari sul tema;
8) a rispettare integralmente, per quanto di competenza, il titolo IV della Costituzione laddove vengono contemplati il principio di separazione dei poteri e dell'autonomia della magistratura (articolo 104 della Costituzione), nonché ad astenersi dal dare seguito a qualsivoglia proposta normativa di separazione delle carriere dei magistrati e di eliminazione dell'obbligatorietà dell'azione penale sancita dall'articolo 112 della Costituzione;
9) a mantenere e rafforzare gli strumenti di contrasto previsti dalla legislazione antimafia e, in particolare, a salvaguardare il regime speciale di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario;
10) a tornare ad investire nel comparto giustizia per rilanciare il rapporto tra giustizia e cittadino e quale unico vero antidoto alla lunghezza dei processi penali, colmando le scoperture negli uffici giudiziari attraverso una massiccia e mirata attività assunzionale, in continuità con le leggi di bilancio degli anni 2018-2020.
(1-00091) «D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Scutellà, Aiello, Cappelletti, Iaria, Pavanelli, Pellegrini».
La Camera,
premesso che:
nel discorso in occasione del giuramento avanti alle Camere del 3 febbraio 2022 il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ribadendo la centralità del Parlamento, ha testualmente affermato che «un profondo processo riformatore deve interessare anche il versante della giustizia»;
la consapevolezza dell'urgenza e dell'indifferibilità delle riforme, in uno con il monito del Presidente della Repubblica, trasversalmente accolto dalle forze politiche, suggerisce l'esistenza di un clima politico favorevole ad un'ampia convergenza sulle riforme necessarie;
il Parlamento, in tema di giustizia, potrebbe recuperare la centralità più volte rivendicata nel dibattito politico;
l'amministrazione della giustizia in Italia è avvertita dai cittadini ancora come uno dei freni per la crescita dell'Italia, evocando piuttosto l'idea di una macchina burocratica lenta e fuori controllo per plurimi motivi che rappresentano altrettanti e annosi mali del sistema giustizia italiano, ancora non affrontati con la chirurgica radicalità necessaria;
in tema di giustizia penale gli interventi devono ispirarsi a due principi cardine: garantismo e certezza della pena. Si tratta di concetti che si conciliano perfettamente nel perimetro dei valori del giusto processo cristallizzati nell'articolo 111 della Costituzione. La sentenza è giusta soltanto se è pronunciata da un giudice effettivamente terzo e imparziale, in tempi ragionevoli e all'esito di un processo in cui siano state rispettate in pieno le garanzie difensive. La sentenza è giusta se, una volta definitiva, in caso di condanna venga effettivamente e tempestivamente eseguita;
solo un sistema efficace assicura i diritti delle vittime dei reati. Solo un sistema efficace costituisce un serio strumento di lotta alle mafie. Al contrario, un ordinamento incapace di assicurare giustizia genera insicurezza, disincentiva investimenti, alimenta sfiducia, consente l'insinuarsi di sacche di illegalità e il proliferare delle organizzazioni criminali. Gli scandali legati alle spartizioni di potere tra le correnti della magistratura hanno determinato, poi, il punto più basso del sistema giustizia nel nostro Paese;
la revisione complessiva ed ineludibile del sistema sanzionatorio è dettata, oltre che dalla constatata ineffettività preventiva, dal necessario rispetto dei principi così ben espressi dal dettato costituzionale. Occorre sempre rammentarlo, lo Stato assume su di sé la tutela del bene comune come suo fine ultimo, comprensivo anche dei diritti del condannato, e agisce ponendo norme razionali per lo sviluppo e la tutela dell'uomo e la promozione della sua dignità. La legge penale, dove la persona è centrale, non solo fonda l'ordine sociale ma la sua condivisione e accettazione da parte dei consociati, garantendo la libertà di ognuno, in quanto l'intima convinzione della giustizia di una norma garantisce il rispetto più di qualsiasi pena per la sua trasgressione. Esistono valori fondamentali, preliminare la libertà personale che tutti li racchiude, che non possono essere negati, né tantomeno raggirati attraverso sterili procedure dettate da particolari esigenze/emergenze criminali. Nella materia penale è in gioco l'essere umano, meglio il rispetto della dignità dell'uomo e della sua libertà, vale a dire di quanto più intimo ed inviolabile possa esserci. La grande e improcrastinabile riforma del sistema penale/sanzionatorio vuole il rispetto dei valori costituzionali e, quindi, la loro attuazione attraverso la legge, che significa precisione tecnico-legislativa e dominabilità del sistema;
in relazione al tema dell'inviolabilità del domicilio, all'interno della Costituzione viene utilizzato il termine domicilio per racchiudere tre concetti: la residenza – luogo dove il soggetto è ubicato per lo Stato –, il domicilio – luogo dove il soggetto svolge i suoi affari e la sua vita privata – e, infine, la dimora – dimensione ubicativa fisiologicamente provvisoria. Questi tre concetti sono considerati «luoghi in cui l'individuo può esprimere la propria personalità» e sono racchiusi, in Costituzione, nel termine «domicilio», in egual misura dignitosi di tutela ex articolo 14 della Costituzione. Quindi si può ritrovare – almeno a livello costituzionale – una tutela sotto forma di un'inviolabilità del domicilio non intesa come diritto ad un domicilio oppure tutela degli interessi legittimi del proprietario, ma tutela della persona nel domicilio oppure domicilio come estensione fisica e luogo di sviluppo della persona, quasi come fosse un'appendice della persona, e per questo inviolabile. Abbiamo conosciuto quella che è la sottile linea che separa interesse privato ed interesse pubblico all'interno dei testi costituzionali; ad esempio, nella Costituzione italiana l'interesse ad un domicilio inviolabile, quindi accessibile solo a soggetti scelti dal proprietario ex articolo 14 della Costituzione, e l'importanza della tutela dell'interesse pubblico che si concretizza nell'interesse dello Stato di tutelare la comunità di cittadini con strumenti di limitazione dell'inviolabilità di domicilio, come, ad esempio, le perquisizioni da parte della pubblica autorità. Adesso la responsabilità sulla tutela di questa importante libertà ricade su di noi, sulle scelte del nostro presente; ed è per questo che ci deve essere una maggiore forza nelle normative che devono tutelare il diritto all'inviolabilità del domicilio;
in relazione alla tutela delle vittime del reato, occorre che coloro che denunciano non debbano essere lasciati soli ad affrontare le conseguenze delle loro coraggiose iniziative. Attraverso l'introduzione di adeguati strumenti di supporto si può assicurare la necessaria tutela delle vittime dei reati e il conseguente rilancio della legalità. Solo così le vittime di estorsioni, usure e, in generale, di tutti quei reati (lesioni, violenze private ed altri) perpetrati al fine di costringere il destinatario a sottostare a richieste illecite nell'ambito di sistemi criminali consolidati e radicati (ad esempio, pagamento del pizzo, forme di usura, concussioni sistemiche ed altro), si sentiranno protette e sostenute dal sistema giustizia e dallo Stato;
la globalizzazione dei mercati, la rapidità sempre crescente degli scambi, la diffusione capillare e immediata delle informazioni, il continuo sviluppo delle potenzialità della rete internet (ad esempio, il dark web) sono fenomeni che consentono alle organizzazioni mafiose di selezionare settori sempre nuovi di investimento e di occultare facilmente i propri traffici illeciti. Occorre, quindi, potenziare gli strumenti tecnici a disposizione delle forze dell'ordine e investire in mezzi informatici all'avanguardia che facilitino l'individuazione e la neutralizzazione tempestiva di inedite forme di imprenditoria mafiosa;
è necessario agire efficacemente sui circuiti di reinvestimento dei capitali provenienti dalle attività delle organizzazioni mafiose per tutelare la libera concorrenza e contrastare con fermezza le infiltrazioni criminali nel tessuto economico-legale;
occorre assicurare l'effettivo contemperamento tra esigenze di prevenzione e di continuità aziendale, impedendo che, in caso di restituzione dopo anni di sequestro, si sia consumato un danno irreparabile per l'azienda, per i lavoratori e per la comunità;
in relazione alla radicalizzazione dei fenomeni della micro-criminalità e delle baby gang si impone l'introduzione di nuovi e adeguati strumenti di repressione. Quanto al primo aspetto, occorre prevedere una maggiore presenza delle forze dell'ordine sul territorio, soprattutto in quei contesti che tipicamente agevolano la commissione di tale tipologia di reati (ad esempio, manifestazioni sportive, mezzi pubblici ed altri); infatti, la micro-criminalità, seppure riguardi illeciti di contenuto disvalore, per la sua sistematicità desta notevole allarme sociale e risulta intollerabile per la comunità. È, inoltre, opportuno promuovere campagne di informazione, elaborate di concerto con le forze dell'ordine, volte a fornire ai cittadini indicazioni concrete da utilizzare nelle situazioni che favoriscono episodi di micro-criminalità;
in materia di giustizia minorile, ogni misura di repressione deve inserirsi necessariamente in un quadro di iniziative che privilegi le esigenze di prevenzione. In questo senso, la complessità del fenomeno rende indispensabile l'adozione di strumenti volti a favorire una costante interazione tra le istituzioni, finalizzata al supporto delle famiglie dei minori stessi;
in relazione alla riforma dell'ordinamento penitenziario e agli interventi sulle carceri, occorre operare una riforma dell'ordinamento penitenziario che garantisca piena dignità alla polizia penitenziaria, prevedendo principalmente assunzioni e la costruzione di nuovi istituti penitenziari, moderni e vivibili. Inoltre, sarebbe auspicabile l'adozione di interventi fra l'amministrazione penitenziaria, il terzo settore e il mondo delle aziende profit, con l'obiettivo di incentivare la funzione rieducativa della pena carceraria, avvicinando il mercato del lavoro al mondo degli istituti di pena;
in relazione alla normativa in materia di sostanze stupefacenti, si deve registrare l'aumento dell'uso e dell'abuso di droghe che si è diffuso, soprattutto, tra le generazioni più giovani, anche in concomitanza con lo scoppio della pandemia da COVID-19 che ha causato nei ragazzi disagi psicologici che non sempre sono stati riconosciuti;
negli ultimi anni sul mercato sono state immesse molte sostanze illecite e chimiche a poco prezzo che ne rendono particolarmente facile la reperibilità e il consumo: rimane fondamentale e prioritario combattere il fenomeno dello spaccio di sostanza stupefacente anche di piccola quantità, perché sia chiaro che il consumo di droghe di qualsiasi tipo causa danni irreparabili alla salute,
impegna il Governo:
1) ad adottare ogni iniziativa normativa idonea a:
a) velocizzare, anche mediante lo stanziamento di ulteriori nuove risorse, la celebrazione dei processi, ovviamente senza ridurre l'accertamento a una valutazione sommaria e approssimativa, in quanto l'imputato non può essere ostaggio del processo per anni, né, per evitare tale rischio, può essere costretto a ricorrere a forme deflattive che non risolvono i problemi organizzativi della giustizia ma sacrificano solo il diritto di difesa e il contraddittorio;
b) rendere effettiva la ragionevole durata dei processi;
c) assicurare l'effettiva e tempestiva esecuzione delle sentenze, nel rispetto del principio di certezza del diritto;
d) razionalizzare il sistema sanzionatorio, realizzando una riforma integrale che adegui tipologia e misura delle pene alle esigenze della collettività;
e) assicurare l'esecuzione tempestiva e certa della pena definitiva, nel rispetto dei diritti del condannato;
f) garantire il diritto di difesa nel processo, senza compressioni o limitazioni;
g) assicurare l'effettiva terzietà e imparzialità del giudice;
h) rafforzare la tutela delle vittime del reato, introducendo ulteriori strumenti per la piena salvaguardia dei loro diritti;
i) razionalizzare il sistema penale, recuperando l'effettività del rapporto tra sanzione penale e bene giuridico protetto e, dunque, tra la pena e la sua funzione costituzionale;
l) prevedere strumenti volti ad assicurare l'effettivo rispetto dei termini di durata delle indagini preliminari e trasformare alcuni rilevanti termini ordinatori in perentori (ad esempio, il termine per il deposito della sentenza da parte del giudice);
m) attuare effettivamente il principio di presunzione di innocenza e il diritto alla buona fama, prevedendo strumenti in grado di garantire tale diritto, per riconoscere effettivamente, anche a livello mediatico, il principio della presunzione di innocenza dell'indagato o imputato coinvolto in un procedimento penale;
n) in materia di intercettazioni, ad assicurare l'utilizzo come strumento di ricerca della prova, individuando, a seguito della conclusione della indagine conoscitiva che si sta svolgendo al Senato, eventuali disfunzioni o lacune normative;
o) prevenire da un lato e sanzionare dall'altro i fenomeni baby gang in espansione;
p) trovare strumenti adeguati per meglio combattere il fenomeno dello spaccio di sostanza stupefacente anche di piccola quantità;
q) combattere le truffe agli anziani;
r) prevedere strumenti moderni di contrasto alla criminalità organizzata a tutela della concorrenza, del libero mercato e dell'economia legale;
s) modernizzare gli strumenti di contrasto alla criminalità mafiosa, in modo da individuare tempestivamente i nuovi settori economici preda delle organizzazioni mafiose;
t) tutelare l'inviolabilità del domicilio da occupazioni arbitrarie e garantire la reintegrazione tempestiva ed effettiva del proprietario o del detentore, per combattere il fenomeno dell'occupazione abusiva di case;
u) riformare la legge cosiddetta Severino per evitare sanzioni automatiche nei riguardi di amministratori locali che finiscono per paralizzare l'attività amministrativa;
v) programmare iniziative volte al lavoro dei detenuti in carcere, coinvolgendo il settore privato, non sostenendo alcun provvedimento «svuota carceri»;
z) operare una riforma dell'ordinamento penitenziario che garantisca piena dignità al detenuto e sicurezza nelle carceri, prevedendo assunzioni tra le fila della polizia penitenziaria e la costruzione di nuovi istituti penitenziari, moderni e vivibili.
(1-00092) «Bisa, Bellomo, Matone, Morrone, Sudano, Molinari, Andreuzza, Angelucci, Bagnai, Barabotti, Benvenuto, Davide Bergamini, Billi, Bof, Bordonali, Bossi, Bruzzone, Candiani, Caparvi, Carloni, Carrà, Cattoi, Cavandoli, Cecchetti, Centemero, Coin, Comaroli, Crippa, Dara, Di Mattina, Formentini, Frassini, Furgiuele, Giaccone, Giagoni, Giglio Vigna, Gusmeroli, Iezzi, Latini, Lazzarini, Loizzo, Maccanti, Marchetti, Miele, Minardo, Montemagni, Nisini, Ottaviani, Panizzut, Pierro, Pizzimenti, Pretto, Ravetto, Sasso, Stefani, Toccalini, Ziello, Zinzi, Zoffili».