XIX LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 174 di lunedì 9 ottobre 2023
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO RAMPELLI
La seduta comincia alle 9,30.
PRESIDENTE. La seduta è aperta.
Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.
GILDA SPORTIELLO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 6 ottobre 2023.
PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.
(È approvato).
Missioni.
PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 81, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).
Sull'ordine dei lavori.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Lia Quartapelle Procopio. Ne ha facoltà.
LIA QUARTAPELLE PROCOPIO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Sono ore di angoscia per tutti noi che osserviamo quanto sta accadendo in Israele e a Gaza. A nome del Partito Democratico ci teniamo ad esprimere la massima solidarietà allo Stato di Israele, vittima di un attacco terrorista, e a tutte le vittime della violenza di questi giorni, ai loro familiari e a chi vive ore cariche di preoccupazione per gli ostaggi, non solo di nazionalità israeliana, ma anche di altri Paesi del mondo.
Ci teniamo a condannare fermamente il terrorismo di Hamas, il terrorismo di matrice fondamentalista islamista, che ha colpito con violenza Israele in un giorno di festa nazionale, senza farsi alcuno scrupolo né dei civili, uccisi a sangue freddo, rapiti nelle proprie case, né di eventuali vittime palestinesi che possono essere oggetto di una ritorsione.
Gli atti terroristici di queste ore avvengono dopo mesi di crescente tensione tra israeliani e palestinesi, dovuta all'aumento delle violenze e all'affermarsi di punti di vista oltranzisti, sia nel campo palestinese, che nel campo israeliano, alimentati da movimenti nazionalisti di matrice religiosa e anche dalla destra israeliana che, in questi mesi, ha diviso profondamente il Paese, come ha scritto anche ieri, autorevolmente, il quotidiano Haaretz.
In tutto questo quadro ci teniamo a chiedere un'informativa urgente del Ministro Tajani. Vogliamo sapere che cosa sta facendo il Governo per evitare un'escalation regionale che preoccupa molto e per favorire qualsiasi tentativo di mediazione e di stemperare la tensione (Applausi del deputato Casu).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Paolo Pulciani. Ne ha facoltà.
PAOLO PULCIANI (FDI). Grazie, Presidente. Intervengo semplicemente per associarmi al biasimo e alla condanna degli atti terroristici che hanno coinvolto Israele in queste ore. In questo Parlamento, il mio gruppo si associa a quanto ha già detto Giorgia Meloni. Noi, come Italia, saremo al fianco dello Stato di Israele, attaccato in questo momento, e delle tante vittime.
Ritengo che, al di là delle situazioni geopolitiche, nessuna cosa possa giustificare quello che sta accadendo: attacchi ai civili, a giovani che partecipavano ad una festa. Persone civili sono state tolte dalle case e dalle famiglie, arrestate e uccise barbaramente. Il Parlamento farà tutto quello che necessita ed è nelle sue forze per combattere questa aggressione e rimanere al fianco dello Stato di Israele.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sullo stesso argomento il deputato Quartini. Ne ha facoltà.
ANDREA QUARTINI (M5S). Grazie, Presidente. Anche noi ci associamo al dolore delle vittime. Ci associamo al dolore dell'aggredito. Condanniamo fermamente l'aggressione di Hamas, del fondamentalismo islamico nei confronti di Israele. Siamo decisamente preoccupati che tutto si risolva in anni di guerra e in un'escalation preoccupante in quella polveriera che è il Medio Oriente. Quindi, c'è l'auspicio che l'Italia faccia la sua parte, per la tradizione, che ha, di riuscire ad intavolare tavoli diplomatici e negoziali.Quindi, da questo punto di vista, mi associo anche all'idea di poter ascoltare il Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Tajani, per capire l'orientamento che il nostro Paese intenda adottare nei confronti di quest'area di crisi che rischia davvero di precipitare in conseguenze drammatiche. Un pensiero particolare, da padre, me lo faccia rivolgere anche ai giovani che stavano organizzando quella festa e quella cerimonia e che improvvisamente si sono trovati di fronte a militari che li hanno massacrati e rapiti: 260 giovani, sia israeliani, sia palestinesi, si sono trovati in mezzo a un fuoco terribile. Ciò sicuramente ci addolora e ci fa veramente male.
PRESIDENTE. Il Governo ci ha ascoltato, attraverso la presenza della Sottosegretaria Siracusano, ma sarà comunque mia cura far pervenire la richiesta di informativa che oggi è stata sollevata qui, in Aula.
Discussione della proposta di legge: Schifone e Foti: Istituzione della Settimana nazionale delle discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche (A.C. 854-A).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 854-A: Istituzione della Settimana nazionale delle discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali – A.C. 854-A)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
I presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista ne hanno chiesto l'ampliamento.
La VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Gerolamo Cangiano.
GEROLAMO CANGIANO, Relatore. Grazie, Presidente. La presente proposta di legge è volta a istituire la Settimana nazionale delle discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche. Il testo ha ricevuto un'ampia convergenza tra Governo e forze politiche di maggioranza e ne approfitto subito per ringraziare la collega Schifone per il lavoro fatto in queste settimane. Apriamo un'autostrada verso il futuro non solo delle donne, ma anche dello sviluppo del nostro Paese. Dobbiamo invertire con convinzione quella tendenza che allontana le donne dalle discipline STEM, spazzando via pregiudizi arcaici. È un posizionamento, questo, di stampo sessista che per molto tempo ha tenuto le ragazze lontane da queste discipline, creando una discrepanza lavorativa tra uomo e donna.
La quota di lauree STEM tra le donne laureate è la metà di quella che si riscontra tra gli uomini. Secondo il rapporto Istat sui livelli di istruzione, nel 2021, il 24 per cento dei giovani adulti ha una laurea nelle aree delle discipline scientifiche e tecnologiche, le cosiddette lauree STEM; la percentuale degli uomini è doppia rispetto a quella delle donne. A questo si aggiunge anche la differenza territoriale tra Nord e Sud. Nel 2021, il tasso di occupazione tra i 25 e i 64 anni dei laureati nelle discipline STEM era pari all'85 per cento; praticamente secondi nella scala delle discipline universitarie.
L'Istat rileva che lo svantaggio delle donne rispetto agli uomini nei ritorni occupazionali è più ampio nelle discipline socio-economiche e raggiunge il massimo nelle lauree STEM. Tale risultato non dipende dalla bassa quota di donne laureate. La maggior occupabilità, pertanto, conferma come le diseguaglianze di genere debbano essere combattute sia nelle scelte degli indirizzi di studio sia nel mercato del lavoro. Infatti, il tasso di occupazione femminile nell'area delle scienze e della matematica è inferiore a quello maschile di otto punti; nell'area informatica e ingegneristica si arriva a circa 9 punti.
Voglio ricordare che la risoluzione del Parlamento europeo del 10 giugno 2021 sulla promozione della parità tra donne e uomini in materia di istruzione e occupazione nel campo della scienza, della tecnologia, dell'ingegneria e della matematica ribadisce l'importanza di eliminare tutti gli ostacoli invalidanti per le donne, in particolare, quelli socio-culturali, psicologici e pedagogici.
Nel 2025 si prevede il rilascio di certificazioni delle competenze e l'adozione delle linee STEM nelle scuole di ogni ordine e grado. Alla linea di intervento è dedicato complessivamente circa un miliardo di euro in sovvenzioni. Si ricorda, anche, che nel Piano nazionale di ripresa e resilienza sono delineate alcune azioni, come l'allargamento dei parametri di ricerca, che dovrebbero prevedere azioni mirate a determinare l'aumento delle ricercatrici, oppure il potenziamento dei servizi di asilo nido e per la prima infanzia.
Passo, ora, brevemente, ad esaminare il testo. L'articolo 1 prevede l'istituzione della Settimana nazionale delle discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche. Nello specifico, il comma 1 dispone che la Repubblica riconosce i giorni dal 4 all'11 febbraio di ciascun anno quale Settimana nazionale delle discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche, al fine di sensibilizzare e di stimolare l'interesse, la scelta e l'apprendimento di tali discipline.
L'articolo 2 reca le sue finalità: il comma 1 prevede che la Settimana nazionale delle discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche promuova l'orientamento, l'apprendimento, la formazione e l'acquisizione di competenze nell'ambito di tali discipline. Il comma 3, dell'articolo 2, prevede che, al fine della concreta attuazione delle iniziative illustrate, in aggiunta alle risorse già disponibili, comprese le risorse relative alla missione 4, componente 1, il Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità sia incrementato di 2 milioni di euro per l'anno 2024. Al relativo onere si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per interventi strutturali di politica economica. Di fatto, al comma 4, è specificato che il Ministero dell'Economia e delle finanze è autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio.
PRESIDENTE. Prendo atto che la Sottosegretaria Siracusano si riserva di intervenire in altra circostanza.
È iscritto a parlare il deputato Fabio Roscani. Ne ha facoltà.
FABIO ROSCANI (FDI). Presidente, Sottosegretario, onorevoli colleghi, la proposta di legge in esame, come modificata dalla Commissione di merito in sede referente, reca, come abbiamo detto, l'istituzione della Settimana nazionale delle discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche. È una legge che si compone di due articoli, che arriva raccontando e analizzando un quadro che vede il nostro Paese comunque subire un ritardo sulla promozione e sulla valorizzazione delle competenze, cosiddette STEM, che riguarda in maniera particolare le giovani generazioni.
Sono molti i dati che sono stati analizzati, gli studi degli osservatori: in Italia emerge, come anche in altri Paesi europei, che le competenze STEM, però, sono ancora poco diffuse, non sufficienti a soddisfare la richiesta del mercato del lavoro. Tra i vari problemi che sono stati riscontrati, ricordo, sicuramente, le numerose barriere culturali e socio-economiche che continuano ad allontanare i giovani dalle materie scientifiche e ad alimentare un persistente divario di genere o gender gap nelle facoltà e nelle professioni in questo ambito.
Quindi, il quadro che emerge impone un'iniziativa legislativa e io voglio dire che sono molto orgoglioso del lavoro di Fratelli d'Italia, in particolare, su impulso determinante, fondamentale e costante dell'onorevole Marta Schifone, nell'ascolto di tutti i soggetti in campo, dagli studenti fino alle università, agli ordini professionali, alle istituzioni pubbliche, alle istituzioni dell'alta formazione artistica musicale e coreutica, che hanno dato il loro contributo.
È una battaglia che raccoglie anche le istanze del movimento giovanile, di Gioventù Nazionale, di Azione Universitaria e di tutte le associazioni giovanili universitarie che si occupano, appunto, di costruire e di dare una visione di futuro a questa Nazione.
Quindi, di fronte a uno scenario che racconta un quadro obiettivamente complesso, questo è sicuramente un passo fondamentale verso il futuro della Nazione, che punta all'istituzione della Settimana nazionale delle discipline STEM e che, nello specifico, dispone che la Repubblica riconosca, nei giorni dal 4 all'11 febbraio di ciascun anno, la celebrazione di questa settimana.
Credo che sia anche significativa la scelta della settimana dal 4 all'11 febbraio di ogni anno, tenuto conto che l'11 febbraio si celebra la Giornata internazionale delle donne e ragazze nella scienza. Il recente concorso finalizzato al reclutamento di personale docente per le materie scientifiche e tecnologiche nella scuola secondaria di primo e secondo grado, previsto dal decreto del capo del Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione, è stato già pubblicato nella Gazzetta Ufficiale nel 2021. Il Ministero dell'Università e della ricerca con l'approvazione di questa legge sarà nelle condizioni di poter promuovere cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile nella scuola di ogni ordine e grado, nelle università e nelle istituzioni. Questo consentirà di rendere possibile e fruibile alle giovani generazioni e agli studenti la conoscenza e l'orientamento verso queste materie e la capacità di individuare, attraverso questi percorsi di formazione, anche uno stabile e importante futuro professionale. Sono tantissimi - migliaia direi - i posti di lavoro che molto spesso rimangono non occupati perché non si trovano, appunto, ragazzi che hanno questo tipo di formazione e di competenze.
L'articolo 2, inoltre, regola le finalità della Settimana nazionale delle discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche. Si prevede, appunto, che sia volta all'orientamento, all'apprendimento, alla formazione e all'acquisizione di queste competenze nell'ambito di tali discipline, necessarie a favorire l'innovazione e la prosperità della Nazione. Importante, però, è ribadire sempre il quadro in cui si va a incasellare questo provvedimento, perché se da una parte abbiamo raccontato questo ritardo italiano, che ci vede praticamente penultimi in Europa, con il 26,8 per cento dei giovani tra i 30 e i 34 anni che conseguono una laurea a fronte del 41,6 per cento dei coetanei europei, il raggiungimento della laurea ci dice, ancora sempre secondo i dati, che è ancora - per fortuna - un valore assolutamente protettivo sul mercato del lavoro, cioè avere una laurea aiuta a trovare un'occupazione, ad avere un posto di lavoro. Ciò è ancora più vero e fondamentale se si vanno ad analizzare i dati che riguardano le materie STEM, perché vediamo - e converrebbe farlo nella maniera più puntuale possibile - che i laureati in materie STEM in Italia hanno un tasso di occupazione dell'85,7 per cento (dati del 2021), cioè 4 punti in più del valore medio rispetto alle altre discipline. Questi dati sono ancora più importanti da analizzare se si va a guardare il divario che c'è rispetto alle studentesse, alle donne che si affacciano a queste materie. Infatti, questo divario rimane ancora molto elevato perché, a fronte del 39,2 per cento dei laureati STEM sul totale dei laureati, le laureate sono meno della metà. Appare del tutto evidente che un'iniziativa volta a colmare questo ritardo e questo divario ci pone nelle condizioni di poter costruire un futuro per le giovani generazioni, continuare ad abbattere il dato della disoccupazione giovanile, che è un dato che ci vede allarmati, preoccupati e coinvolti in prima linea a mettere in campo tutti gli strumenti necessari affinché questo diminuisca, e nello stesso tempo una piena occupazione nelle discipline STEM, da parte delle giovani generazioni, significherebbe abbattere drasticamente anche la disoccupazione femminile. Dinanzi a tutto ciò, quello in esame è un provvedimento che aiuta le giovani generazioni, che mette la Nazione nelle condizioni di poter programmare un futuro di occupazione, di poter dare la possibilità alle giovani generazioni di costruire qui in Italia il proprio futuro, di trovare un'occupazione che renda anche merito ai sacrifici fatti per studiare per tanti anni, di trovare, poi, la possibilità di costruire una famiglia, di trovare una casa e di immaginare il proprio futuro all'interno della nostra Nazione.
Non è, quindi, soltanto un provvedimento che nasce dai dati che abbiamo ampiamente illustrato e raccontato e che imponevano un'iniziativa significativa da parte di questo Parlamento, ma racconta anche una visione più generale e fondamentale volta a costruire, mattone dopo mattone, un futuro migliore per le giovani generazioni e per la Nazione in generale. Devo dire grazie a tutti i colleghi che hanno dato il loro contributo per migliorare il testo, per cercare di aumentare quegli strumenti, per rendere questa iniziativa di legge quanto più completa ed efficace nelle finalità che si vogliono proporre. Un lavoro di concerto tra maggioranza, opposizione e Governo, un lavoro che, come nelle migliori pagine della buona politica, vede il contributo di tutti, cercando di raggiungere un risultato apprezzabile sulla base dei dati e della cornice in cui si è voluta inserire questa iniziativa (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Giulia Pastorella. Ne ha facoltà.
GIULIA PASTORELLA (A-IV-RE). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, com'è noto, nonostante il fatto che le competenze nell'ambito delle materie legate alla scienza, alla tecnologia, all'ingegneria e alla matematica siano tra le più ricercate nel mercato del lavoro, i dati relativi ai laureati in ambito STEM nel nostro Paese sono quanto meno preoccupanti. Secondo l'Istat, i laureati STEM in Italia sono, infatti, solo il 24 per cento del totale dei laureati tra i 24 e i 35 anni, nonostante il tasso di occupazione, per queste discipline, sia pari all'85,3 per cento, quindi, molto alto. Questi dati assumono ancor più significato se li confrontiamo con quelli registrati in Francia e in Germania, che sono ben più alti dei nostri, ma non solo Francia e Germania visto che siamo anche al di sotto della media europea. Sono numeri allarmanti, soprattutto considerando le rapide trasformazioni guidate dalle innovazioni scientifiche e tecnologiche che stiamo vivendo. Non ci sono vie di uscita: siamo decisamente indietro e siamo anche indietro nel colmare il divario di genere tra i giovani uomini e le giovani donne che scelgono di studiare queste materie, se pensiamo che solo il 17,6 per cento delle donne laureate ha un titolo in questo campo contro il 33,7 per cento degli uomini. Ad aggravare la situazione si aggiunge il fatto che tra i gruppi disciplinari che presentano le quote più elevate di italiani occupati all'estero, ovvero i famosi cervelli in fuga per capirci, ben 3 dei primi 4 posti sono occupati da discipline STEM: informatica e tecnologie ICT, ingegneria industriale e dell'informazione e l'ambito scientifico, esattamente i settori dove c'è maggiore richiesta di professionisti in Italia e dove, anche per questo motivo, è elevatissimo il mismatch tra domanda e offerta di lavoro.
La carenza di professionisti specializzati nel settore STEM è particolarmente grave se pensiamo che molte delle sfide che abbiamo davanti, a livello nazionale, europeo e globale, si giocano proprio sul campo della tecnologia e della scienza. Come possiamo pensare di prendere parte alla soluzione di problemi come la transizione energetica o la transizione digitale senza capitale umano specializzato? E come possiamo avere un'industria competitiva e stare a giusto titolo tra i Paesi innovatori senza giovani professionisti in ambito STEM?
A me spiace dirlo, ma sinceramente, cari colleghi, non credo che la risposta a queste domande si trovi nella proposta di legge di cui stiamo discutendo oggi. Sicuramente le settimane di questo o di quello, la giornata di questo o di quello sono utili per portare l'attenzione su una certa questione, ma accendere un faro su un tema ha senso solo se, in parallelo, si agisce, poi, concretamente per risolvere il problema. La cosa paradossale è che la lista che troviamo all'articolo 2 di questa proposta di legge contiene diversi spunti che, seppur in maniera generale, vanno nella giusta direzione. Quindi, la domanda che sorge spontanea è: perché limitarsi all'istituzione di una settimana dedicata alle materie STEM quando c'è evidentemente, anche nella maggioranza, la consapevolezza che ci vogliono ben altro tipo di interventi e addirittura se ne fa un elenco? Personalmente ritengo che un intervento serio per favorire lo studio e la specializzazione in materie STEM dovrebbe partire da proposte concrete. Per esempio, lo stanziamento di maggiori risorse per scuola e università, per garantire un'istruzione di alta qualità in queste discipline e, soprattutto, borse di studio e assegni di ricerca un filo più dignitosi.
In Italia, infatti, ricordiamolo, investiamo solo l'1,5 per cento del PIL nella ricerca, contro il 2,3 della Francia e il 3,13 della Germania, e ciò si riflette purtroppo anche negli stipendi dei nostri ricercatori. Secondo uno studio dell'Università di Berkeley in California, a inizio carriera un ricercatore italiano percepisce in media circa 28.000 euro, mentre nel Regno Unito si arriva a stipendi di quasi 50.000 euro e in Germania addirittura 52.000 euro. Il confronto, colleghi, è impietoso.
Sono poi necessarie iniziative che incentivino le università italiane a offrire programmi innovativi nelle materie scientifiche e ulteriori proposte che incoraggino la collaborazione tra istituti di ricerca, università e aziende, con lo scopo di favorire la ricerca e lo sviluppo e creare opportunità di lavoro. Il PNRR ora e Industria 4.0 in precedenza hanno sicuramente avviato molte di queste sinergie, e forse sarebbe bene stanziare risorse lì, in modo da renderle permanenti, piuttosto che in azioni simboliche, come questa Settimana.
Ma forse la cosa veramente fondamentale per il nostro Paese è un cambio di mentalità. Dobbiamo, noi per primi, colleghi, coltivare l'ambizione di essere un Paese competitivo nell'Unione europea e nel mondo favorendo gli investimenti in ricerca e sviluppo, incoraggiando l'imprenditorialità e promuovendo anche la cultura dell'innovazione, per esempio non tagliando le gambe al fondo di venture capital di CDP in favore di un non ben definito piano di made in Italy.
In conclusione, l'istituzione della Settimana nazionale delle discipline STEM è certamente un passo verso la promozione di queste materie cruciali in Italia, tuttavia, ripeto, dobbiamo andare ben oltre le celebrazioni annuali e adottare misure concrete per migliorare l'istruzione, la formazione e le opportunità di carriera. In Italia soprattutto i giovani e le giovani italiane meritano un Governo che abbia l'ambizione di guidare il Paese verso un futuro in cui la scienza, la tecnologia, l'ingegneria e le scienze matematiche siano parte integrante di un piano di crescita economica e in cui l'innovazione tecnologica sia posta al centro.
La tecnologia e l'innovazione sono, e saranno, sempre più i motori di avanzamento delle economie, e noi abbiamo la responsabilità di garantire che l'Italia riprenda il passo degli altri Paesi europei. Se l'innovazione è il futuro, noi abbiamo il dovere di garantire un futuro di successo per le nuove generazioni, e dobbiamo cominciare ora, perché siamo già in ritardo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Casu. Ne ha facoltà.
ANDREA CASU (PD-IDP). Presidente, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, l'affrontare oggi questo tema offre un'occasione importante al nostro Parlamento perché siamo nel cuore di una delle principali questioni che interessano noi come Paese e, vedremo anche nel mio intervento, interessano l'azione di Governi differenti, che, seppur da punti di vista diversi, si stanno ponendo la stessa grande, gravissima questione. Partiamo dalla fotografia della situazione del nostro Paese, che è una situazione grave.
Non ripeterò le cifre che sono state già pronunciate in quest'Aula, ma sicuramente cercherò di mettere in evidenza gli aspetti politici. Troppe poche persone studiano e si specializzano nelle materie scientifiche, di fronte a richieste occupazionali in crescita. È un controsenso, ma è quello che avviene. Nello spazio dove ci sarebbero più opportunità professionali meno persone completano gli studi. Secondo punto, lo squilibrio di genere, che riguarda tutta Europa, non riguarda solo noi, ma in Italia è particolarmente forte, con i numeri impietosi che abbiamo ascoltato. Terzo punto che voglio portare dentro questa discussione, lo squilibrio geografico: il divario tra i punteggi medi Invalsi di matematica tra diverse aree del Paese cresce negli anni di scuola. Noi vediamo che nelle materie STEM, science, technology, engineering and mathematics, quindi scienze, tecnologia, ingegneria e matematica, e su queste competenze c'è un divario anche territoriale. Quarto punto, è stato ricordato nell'intervento di chi mi ha preceduto come poi, paradossalmente, proprio questi settori, dove fatichiamo di più a vedere un numero congruo di persone che completano gli studi, sono quelli dove abbiamo più cervelli in fuga, cioè più persone che completano gli studi nel nostro Paese e poi trovano opportunità occupazionali altrove. Chiaramente, di fronte a queste quattro emergenze, è necessaria un'azione politica. In parte, il Piano nazionale di ripresa e resilienza affronta, in maniera molto importante, questo tema. Lo fa per una ragione obiettiva e oggettiva, cioè per il fatto che solo attraverso questi saperi e queste competenze noi possiamo realizzare davvero gli obiettivi: la transizione ecologica, la transizione digitale, la grande transizione verso l'equità camminano sulle gambe e sulle competenze di nuove generazioni, che dovranno essere in grado di realizzare questi obiettivi. E poi lo fa perché è consapevole che per il Paese significa investire in un settore in cui ci può essere un grande ritorno. E, lo dice il rapporto presentato qui, insieme alla proposta di legge, in maniera molto chiara, noi abbiamo per la didattica digitale integrata e formazione sulla transizione digitale del personale scolastico 800 milioni di euro, sulle nuove competenze e nuovi linguaggi 1,1 miliardi di euro, sulla Scuola 4.0, scuole innovative, nuove scuole didattiche e laboratori 2,1 miliardi di euro. Sono cifre importanti, che possono essere un'occasione e un'opportunità per il nostro Paese.
Noi, come Partito Democratico, siamo così consapevoli che questo tema è così centrale che siamo impegnati da anni. Nella scorsa consiliatura regionale nella regione Lazio è stata approvata una legge, la prima legge su questo tema, che affronta in pieno il tema della disparità di genere. Era una legge importante, presentata dall'allora consigliera regionale, oggi nostra collega parlamentare, Michela Di Biase, che prevedeva 800.000 euro in 2 anni di interventi nella sola regione Lazio proprio per affrontare di petto questo tema in maniera sistematica.
Vado a vedere i temi di cui si occupava, dall'infanzia al lavoro, coinvolgendo scuole, università, famiglie, enti locali, corpi intermedi, imprese, PMI, e utilizzando tutti gli strumenti utili alla formazione delle donne nelle STEM: corsi per studentesse e docenti, tirocini e iniziative per l'acquisizione di competenze digitali, promozione di borse di studio, apprendistati e dottorati, progetti di gender innovation hub, giornate informative e campagne di sensibilizzazione. Questa legge è stata possibile nella regione Lazio, guidata da Nicola Zingaretti, allora presidente della regione, oggi nostro collega, qui, in Parlamento, perché la regione Lazio aveva colto quanto fosse fondamentale mettere le istituzioni a svolgere un ruolo attivo da questo punto di vista. Noi questa legge l'abbiamo ripresentata anche in Parlamento nella scorsa legislatura. Purtroppo, tra i tanti frutti poco positivi del termine anticipato del Governo nella scorsa legislatura c'è stata l'impossibilità di portare questa discussione in Aula appunto nella scorsa legislatura, ma l'abbiamo di nuovo ripresentata in questa legislatura, con la firma di oltre 40 parlamentari del Partito Democratico, la stiamo portando avanti.
Crediamo e riteniamo opportuno che dentro questa discussione ci sia un focus vero su quanto è pesante la questione di genere, e lo deve essere per una ragione: perché noi non ci dobbiamo dimenticare che, se noi investiamo, promuoviamo e facciamo in modo che si accorci la distanza fra la nostra fame e bisogno di competenze nell'ambito STEM e questa possibilità, ma lo facciamo senza intervenire in maniera sistematica sulle ragioni che tengono lontane oggi le bambine, le ragazze e le donne da queste materie, noi rischiamo di acuire questo squilibrio, non di intervenire. Quindi, è chiaro che questo non deve essere un punto, deve essere il primo punto di azione, proprio per andare a recuperare. Da questo punto di vista, sono sicuro che ci sia una piena disponibilità da parte dell'iniziativa portata avanti dalla collega Marta Schifone e da parte del relatore, perché ho sentito nelle loro parole comunque un accento in questa direzione, però vi voglio segnalare un aspetto, anche per condividerlo e socializzarlo. Prima di questa mattina ho riascoltato la conferenza stampa di presentazione di questa proposta di legge, che era avvenuta nella sala stampa a febbraio, alcuni mesi fa, da parte di colleghi di Fratelli d'Italia. L'ho riascoltata perché è un tema a cui tengo molto, avevo presentato una proposta di legge nella precedente legislatura, in questa legislatura ho sottoscritto la proposta ripresentata dalla collega Di Biase, c'è stata questa iniziativa nella regione Lazio, che abbiamo sostenuto. È un tema per noi centrale. Nell'ascoltarla mi sono soffermato sull'intervento del Ministro Sangiuliano, che è intervenuto per secondo, in apertura dei lavori della conferenza, proprio per dare tutto il sostegno. Sono rimasto stupito due volte dal suo intervento. La prima perché, per me è stata una sorpresa assoluta, ero d'accordo sia con la premessa che con la conclusione dell'intervento del Ministro Sangiuliano, e questo dimostra che le STEM possono anche accorciare le distanze fra noi, perché ero sia d'accordo sul momento in cui lui collocava questo impegno nella direzione della promozione delle STEM come un adempimento dell'articolo 9 della Costituzione sul ruolo della Repubblica di promuovere lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica, senza dimenticare questa seconda parte e considerandola centrale.
E nelle conclusioni, alla fine, anche lui, inquadrando la questione nell'ambito delle grandi rivoluzioni industriali, la considerava una priorità assoluta per la sua azione, in qualche modo collegandosi idealmente anche all'eredità lasciata dal Governo Draghi e all'impegno che, nel PNRR, è stato sottoscritto su questo tema.
Però, da una parte, mi ha veramente inquietato il suo intervento: stava intervenendo in questa sede istituzionale per presentare questa proposta di legge e per dire che andava colmato questo ritardo e ha cominciato a citare alcune figure che riteneva particolarmente importanti in ambito scientifico e tecnico: ha citato il premio Giulio Natta per la chimica e il ruolo che è stato svolto dal fisico Enrico Fermi sul nucleare, il professore Alleva, il premio Nobel Giorgio Parisi che lo era andato a trovare. Ha fatto un lungo elenco di nomi di personalità: erano tutti nomi di uomini. Eppure, basterebbe prendere i giornali di questa settimana per renderci conto di come al vertice, seppure ci sia un gap alla base, i nomi da citare non manchino e non devono mancare, perché sono tantissime le donne che, quando hanno l'occasione di giocarsela nell'ambito delle discipline STEM, diventano protagoniste e riescono a raggiungere i vertici assoluti. E' sufficiente vedere quello che sta succedendo con riferimento ai premi Nobel. “Donne premiate con il Nobel. Uno stimolo per ragazze ancora frenate nella ricerca”, leggo da Avvenire di questa settimana che, giustamente nel ricordare i nuovi premi Nobel, Karikò e L'Huillier, che hanno ottenuto il premio Nobel per la medicina e per la fisica, mette in evidenza con quante difficoltà nella loro carriera si siano dovute confrontare entrambe e quanto l'occasione di questi due premi Nobel rappresenti un'opportunità. E poi basta vedere la copertina del Venerdì di la Repubblica di questa settimana: “Più scienza per tutti. Apre domani al CERN di Ginevra, a grandi e piccoli, il Science Gateway disegnato da Renzo Piano, con Fabiola Gianotti, che ci ha fatto da guida tra bosoni di Higgs e fisica quantistica”. Lei dirige il CERN di Ginevra ed è grazie a lei che abbiamo scoperto il bosone di Higgs, insieme ad altri ricercatori, ed è un vanto per l'Italia e per l'Europa.
E non solo: penso a poco più di un anno fa quando, il 16 febbraio 2022, l'allora Presidente del Consiglio Draghi, proprio intervenendo pochi giorni dopo la giornata che già è dedicata a questo tema, salutava Fabiola Gianotti e Lucia Votano, prima donna a dirigere i laboratori del Gran Sasso, mettendo in evidenza come a queste eccellenze, a queste possibilità di grandi donne che si stanno affermando non corrisponda un'opportunità più generalizzata che permetta alle donne di raggiungere quell'obiettivo.
Solo una donna su cinque sceglie materie STEM, quando bisognerebbe arrivare almeno al 35 per cento; non dico alla parità, ma bisognerebbe avvicinarci alla parità.
Ecco, questi esempi. Vedere, invece, come anche dentro un'azione, tutta volta a promuovere le discipline STEM, ad ampliare le giornate dedicate ad una settimana e investire, ci sia l'incapacità, anche in un discorso di un Ministro, di citare una donna e citare solamente uomini, come se fosse un campo solo maschile, ci fa capire quanto sia enorme il ritardo da colmare. Quindi, di fronte a un ritardo così grande e pesante, che ci chiama tutti come responsabili, dobbiamo immaginare di mettere in campo tutte le azioni possibili.
E quindi relativamente a questa proposta, tre questioni: la prima, una questione di inquadramento. Noi abbiamo presentato 12 emendamenti; noi poniamo fortemente l'accento, come abbiamo fatto nella proposta di legge, a prima firma Di Biase, che abbiamo ripresentato in questa legislatura e che parte da un'esperienza reale che si è affermata nella regione Lazio per rivendicare anche un lavoro che non nasce con questa discussione, ma che affonda anche negli atti che abbiamo messo in campo nella scorsa legislatura e negli anni passati, sul tema della parità tra i sessi nell'apprendimento, nella formazione e nel lavoro delle discipline matematiche e tecnico-scientifiche. Non è un punto in più: è il cuore di questa questione e noi dobbiamo essere in grado di affrontarlo seriamente.
La seconda riguarda l'inquadramento più complessivo di questa vicenda. Passare da un giorno ad una settimana è sicuramente un miglioramento, perché passiamo da un giorno a sette giorni, però il problema non si risolve con un cambiamento di calendario: serve un cambiamento di paradigma e di mentalità. Ed è chiaro che questa è una responsabilità che sta in capo alla maggioranza che propone questa legge. Un conto è dire: noi risolviamo il problema mettendo in campo una settimana; un conto è dire che questa iniziativa è il primo passo di una serie di azioni che vanno nella direzione di fare sì che 365 giorni l'anno siano l'occasione per accorciare questa distanza fra le donne, in particolare, ma anche per tutti, le giovani e i giovani italiani, un'opportunità per avvicinarsi a questa materia, considerandola un'occasione di sviluppo, anche in termini di lavoro.
L'ultima è una questione relativa alle risorse: è chiaro che bisogna immaginare e avere la forza di chiedere di più, come Parlamento. Stiamo parlando di un paio di milioni di euro: solo la regione Lazio aveva stanziato 800.000 euro. Di fronte a un problema così grande vi è la necessità di mettere in campo tutte le regioni anche per combattere e contrastare - e io non ho visto una riflessione che si è sviluppata sufficientemente, che spero si possa fare anche attraverso l'attività emendativa e il lavoro che porteremo avanti - il gap tra le varie regioni, che è un gap esistente, per colmare il quale occorre mettere in campo ancora più risorse, dove la situazione è ancora più arretrata. Quindi pochi milioni di euro possono servire sicuramente per svolgere un'attività di promozione, ma non credo sia ciò di cui abbiamo effettivamente bisogno.
Quindi è chiaro che c'è, da parte nostra, un riconoscimento dell'importanza del tema, dell'importanza di questa iniziativa; anche da punti di vista diversi il fatto che siamo qui in Parlamento a confrontarci è una cosa utile per il Paese, per il presente del Paese e per il futuro del Paese. Però, è anche chiaro che dobbiamo immaginare che serve molto di più: noi abbiamo provato nelle nostre proposte a metterlo in campo, la maggioranza l'ha fatto con la propria proposta e dobbiamo capire se insieme possiamo essere in grado di andare oltre.
Concludo il mio intervento citando ancora una volta e ringraziandola Fabiola Gianotti. Ha rilasciato questa intervista, in cui spiega l'importanza della fisica come una cosa meravigliosa, della scienza per tutti, forse nella settimana sbagliata - perché non è la settimana delle discipline STEM - ma ogni giorno è il giorno giusto per avvicinare le persone a questo ambito. A un certo punto, proprio con emozione dice: “Conosciamo solo il 5 per cento dell'universo, c'è ancora molto da fare, speriamo che i ragazzi che oggi visitano il Science Gateway un giorno portino avanti questo splendido compito”.
Ecco, ci sono questi ragazzi, ci sono queste ragazze: c'è una sfida immensa, una prospettiva di cambiamento enorme. Penso solamente a un dato: stiamo per arrivare alla prospettiva del computer quantistico che potrebbe fare in un'ora quello che adesso i computer più sviluppati fanno in migliaia di anni. Ecco, di fronte a questo salto, che qualcuno dovrà essere capace di leggere, di tradurre, di spiegare, di trasformare in opportunità, in opportunità di costruire maggiore uguaglianza, l'Italia non può essere in fondo. L'Italia deve essere locomotiva, ma per esserlo, dobbiamo fare uno sforzo maggiore. Dobbiamo recuperare il tempo perduto e dobbiamo avere il coraggio di mettere le nostre donne alla guida, perché mettere le donne alla guida in questo settore, anche con i risultati che poi hanno, nonostante tutte le difficoltà, permettendole di entrare in una certa dimensione occupazionale, rende più forte l'intero Paese.
Ma per farlo è chiaro che dobbiamo essere sicuramente in grado di riconoscere ciò che di positivo c'è nell'ampliamento di una consapevolezza su questo tema, ma anche riconoscere che dobbiamo fare e mettere in campo molto di più.
Quindi il nostro e il mio invito è a considerare quello che è stato messo in campo dalle varie forze politiche su questo tema, cercare di considerare questa occasione come una prima occasione per dare un segnale importante nelle istituzioni, ma costruire un percorso in grado di colmare questo ritardo e andare oltre.
Se ci sarà la volontà da parte di tutti, penso che noi faremo la nostra parte per fare sì che l'Italia sia protagonista della scoperta dell'altro 95 per cento dell'universo che ci manca ancora da scoprire.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Cherchi. Ne ha facoltà.
SUSANNA CHERCHI (M5S). Onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, le materie STEM (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) sono discipline che rappresentano fondamentali settori e che si intersecano tra di loro promuovendo una comprensione approfondita del mondo che ci circonda, stimolando l'innovazione tecnologica. Gli insegnamenti STEM sono un gruppo di discipline che, per loro stessa natura, risultano ostiche agli studenti, che spesso tendono ad abbandonare gli studi per intraprendere materie umanistiche, dove lo studio porta sicuramente risultati, a differenza di materie come fisica, matematica e chimica, che presuppongono un maggiore impegno. Tuttavia sono materie molto importanti per lo sviluppo scientifico del Paese. È importante dunque spingere gli studenti a creare delle connessioni tra le nozioni apprese, tra lo studio rigoroso tecnico-scientifico e la realtà concreta, mediante le quali i ragazzi si preparano a gestire in maniera proficua e virtuosa la diffusione delle tecnologie informative e digitali.
Voglio fermarmi un attimo e parlare della mia esperienza. All'università ho studiato una materia STEM: il primo anno eravamo 50 iscritti, l'ultimo anno ci siamo laureati in 8. Quindi c'è proprio una difficoltà, non a prendere l'impegno - perché l'impegno c'è -, ma a mantenerlo: nel corso degli anni tanti studenti sono svaniti perché materie come matematica, analisi 1, analisi 2, chimica 1, chimica 2, ottica e mineralogia - sono laureata in geologia -, oltre all'impegno, richiesto sempre in tutte le facoltà universitarie -, postulano un qualcosa in più che non tutti i ragazzi riescono a capire. Parlo come se fossi la ragazza di allora, di 40 anni fa e l'ho voluto dire perché ci sono rimasta male il giorno della laurea: credevo di vedere più persone ed invece eravamo pochissimi a laurearci. Ho voluto dirlo perché veramente queste materie sono ostiche ed i ragazzi pensano di non riuscire, partono già dal presupposto che possa trattarsi di materie difficili da approcciare, quindi ho voluto raccontare la mia esperienza personale da ragazza, di 40 anni fa.
Il provvedimento che arriva oggi all'esame dell'Aula riguarda l'istituzione della settimana nazionale delle discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche (le giornate STEM), dal 4 all'11 febbraio di ciascun anno, al fine di orientare e sensibilizzare i ragazzi verso la scelta e l'apprendimento di tali discipline. In occasione di tale settimana, eventi e incontri dovranno essere promossi dal Ministero dell'Università e della ricerca nelle scuole di ogni ordine e grado, nonché nei principali musei nazionali della scienza e della tecnica. Tra le finalità considerate vi è quella di valorizzare gli strumenti di collaborazione - questo è importante - tra il settore pubblico e quello privato attraverso la costituzione e lo sviluppo di startup innovative e la promozione di collaborazioni con le iniziative di formazione collegate a imprese del settore tecnologico nell'ambito delle discipline STEM, nonché l'attivazione di percorsi formativi per favorire il reinserimento nel mercato del lavoro dei soggetti che ne sono usciti, promuovendo in particolare la partecipazione femminile. Tali obiettivi risultano fondamentali anche alla luce dei dati forniti dall'Osservatorio STEM di Deloitte. Le ragazze che frequentano un corso di laurea nelle cosiddette materie STEM sono il 14 per cento: il nostro Paese si colloca al di sotto della media europea - questi dati li ha enunciati anche la collega e sono uguali grosso modo a quelli che ho io -, che a sua volta è molto bassa, arrivando a malapena al 26 per cento. Una Nazione spicca, la Germania, con più di un laureato su 3 in materie STEM - il 36,8 per cento sceglie di laurearsi in una materia STEM - e fra le donne la percentuale sale al 19 per cento. Sempre secondo il report della società di consulenza, le ragioni della carenza di laureati in una facoltà STEM vanno ricercate nelle opinioni diffuse che i corsi di laurea in materie scientifiche e tecniche siano più difficili e richiedano più tempo e risorse economiche. Persiste inoltre l'idea che non siano adatte a tutti e soprattutto alle ragazze perché il 50 per cento delle studentesse intervistate parla di stereotipi di genere, che le disincentivano a intraprendere un percorso di studi in ambito STEM, mentre il dato scende al 24 per cento se gli intervistati sono maschi. Secondo gli analisti, la popolazione femminile tende a completare gli studi in misura maggiore rispetto a quella maschile - le donne si laureano perché studiano -, ma non nelle materie STEM, nell'ambito delle quali si registra un'inversione di tendenza. Tra i lavori più interessanti collegati alle lauree STEM, ci sono sicurezza informatica, settore automobilistico - sono tutti lavori proprio stimolanti - biotecnologie, settore aerospaziale, settore energetico, intelligenza artificiale. Le donne tendono ancora a non scegliere queste discipline perché hanno il doppio delle probabilità di lasciare il lavoro rispetto agli uomini e qua il discorso è un po' più lungo ed evito di parlare del ruolo della donna nella famiglia. Inoltre, solo il 23 per cento delle donne laureate in materie STEM finisce per ricoprire ruoli tecnologici nel mondo del lavoro, mentre gli uomini sono il 44 per cento, come diceva giustamente il collega che ha parlato prima di me. Ancora una volta, è un dato che evidenzia uno dei più grandi problemi per la crescita economica e sociale del nostro Paese, il gender gap. Per questo motivo, durante l'esame in Commissione, abbiamo presentato emendamenti volti a perseguire due principali obiettivi. Il primo riguarda l'eliminazione degli stereotipi, che ancora oggi permangono attorno alla scelta di queste discipline, promuovendole, nell'ambito delle celebrazioni della giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella scienza, prevista l'11 febbraio. Queste iniziative sono finalizzate a celebrare le donne del passato e del presente - perché ci sono -, impegnate nelle discipline STEM - abbiamo vinto anche dei premi Nobel -, in modo tale da ispirare le giovani ragazze a mettere da parte i pregiudizi e ad intraprendere tali percorsi formativi fondamentali per lo sviluppo del nostro Paese.
L'emendamento proposto dalla collega Orrico incentivava la realizzazione di monumenti dedicati alle donne che si sono distinte nelle discipline STEM, istituendo presso il Ministero della Cultura un fondo con una dotazione di 500.000 euro annui a decorrere dal 2024, proprio per modificare l'immagine del ruolo della donna nella nostra società e per stimolare le giovani ragazze a sperimentare nuovi percorsi di carriera. Il secondo riguarda la riduzione del divario territoriale, che si aggiunge al problema degli stereotipi di genere, sfavorendo maggiormente ovviamente le ragazze del Mezzogiorno rispetto alle studentesse del Centro-Nord. Infatti, secondo l'elaborazione di Openpolis su dati Invalsi, se nelle seconde classi superiori del Nord le ragazze che raggiungono livelli più bassi di competenza sono grosso modo una su 10, nell'Italia meridionale sono oltre una su 4. Per questo motivo, con un emendamento a prima firma del collega Caso, avevamo consigliato di promuovere campagne di sensibilizzazione rivolte alle donne e ai giovani del Mezzogiorno, al fine di stimolare la scelta di queste discipline e di contribuire, al tempo stesso, a ridurre sia le differenze di genere, sia le differenze territoriali, perché un problema si somma all'altro, questa è la cosa grave. Tutte queste iniziative ovviamente richiedono più risorse ed investimenti strutturali e infatti l'astensione in Commissione - naturalmente in Commissione - da parte del MoVimento è giustificata proprio da questa lacuna. Come evidenziato in sede di esame, la settimana da dedicare alle discipline STEM è prevista solo per l'anno 2024 e quindi è sperimentale, ma noi, come MoVimento, crediamo invece che servano interventi a carattere strutturale per valorizzare tali discipline e per offrire soluzioni efficaci alle problematiche appena citate. Inoltre, sempre rimanendo nell'ambito del problema delle risorse, faccio presente che vanno quantificate le spese relative alle attività indicate dall'articolo 2 per verificare la possibilità di farvi fronte con le risorse indicate, senza compromettere interventi già programmati.
Mi riferisco alle risorse del PNRR, che - come tutti sappiamo - sono temporanee, esisteranno fino al 2026. Poi, dopo, cosa facciamo? O troviamo altre risorse oppure diciamo agli studenti e alle studentesse che queste attività non si faranno più. E perché? Perché il Governo non ha stanziato fondi sufficienti.
Avviandomi a conclusione, come MoVimento 5 Stelle, auspichiamo un intervento più ampio e deciso del Governo in merito alle criticità evidenziate, sia sul lato oneri e risorse, sia sul lato contenutistico, approvando emendamenti che verranno presentati in sede di esame. Tali modifiche, infatti, hanno come unico obiettivo il miglioramento del provvedimento, sulla scia di una leale collaborazione istituzionale che queste fondamentali tematiche per lo sviluppo del nostro Paese, richiedono.
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche - A.C. 854-A)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, deputato Girolamo Cangiano, che rinuncia.
Ha facoltà di replicare la Sottosegretaria Siracusano, che rinuncia.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione delle mozioni Scerra ed altri n. 1-00082 e Marattin ed altri n. 1-00190 concernenti iniziative in materia di revisione della governance economica dell'Unione europea e delle relative politiche di bilancio (ore 10,31).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Scerra ed altri n. 1-00082 (Nuova formulazione) e Marattin ed altri n. 1-00190 concernenti iniziative in materia di revisione della governance economica dell'Unione europea e delle relative politiche di bilancio (Vedi l'allegato A).
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori (Vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
È iscritto a parlare il deputato Quartini, che illustrerà la mozione Scerra ed altri n. 1-00082 (Nuova formulazione), di cui è cofirmatario.
ANDREA QUARTINI (M5S). Grazie, Presidente. In realtà, non farò una descrizione della mozione nel suo insieme, ma mi soffermerò, essenzialmente, su un punto specifico della nostra mozione. È un punto che mi preme particolarmente, perché riguarda la salute, riguarda la sanità e, quindi, da questo punto di vista, lo ritengo assolutamente importante, qualificante, per certi versi, anche dirompente, forse un po' provocatorio, però, allo stesso tempo, decisamente puntuale rispetto a una serie di dinamiche. Mi soffermerò, rispetto alla nostra mozione, alla lettera k), in cui si chiede di modificare le regole vigenti in materia di disciplina di bilancio, prevedendo lo scorporo dal calcolo del deficit di determinate categorie di investimenti pubblici nazionali che sono ostacolati dall'attuale quadro di bilancio, tra i quali gli investimenti destinati all'istruzione, quelli in ambito di spesa sanitaria, gli investimenti green e gli investimenti destinati alle energie rinnovabili e ai beni pubblici.
Presidente, ricordiamolo e ricordiamocelo sempre, i beni comuni, res communes omnium, come li chiamavano i romani, sono fonte inesauribile di PIL, per questo, lo sviluppo dovrebbe essere sostenibile per non consumare il pianeta e i beni comuni indisponibili, come istruzione, salute, investimenti green e energie rinnovabili, che, invece, dovrebbero essere da sostenere. Quindi, sviluppo assolutamente sostenibile in difesa del pianeta e beni comuni, invece, da sostenere con tutte le nostre forze. In tal senso, la spesa sanitaria è emblematica e ci può aiutare a comprendere al meglio questo concetto che abbiamo provato ad esprimere nella mozione.
Si parla sempre di spesa sanitaria e tutti spesso, anche gli addetti ai lavori, la intendono come un costo sostenuto al fine di generare salute. La spesa sanitaria complessiva - Fondo sanitario nazionale più la spesa privata, quella out of pocket -, in Italia, è attorno ai 200 miliardi di euro, pari al 10 per cento del PIL nel 2020. Quali sono le ricadute di questa spesa? Proviamo a fare un paio di esempi. Se un cittadino si rompe una gamba, è ingessato gratis o, meglio, con i soldi della fiscalità generale, guarisce e torna a lavorare; se non ci fosse la spesa per la sanità, rimarrebbe invalido e sarebbe un peso per la società. Altro aspetto: oltre il 60 per cento dei 200 miliardi di questo PIL, perlomeno gli stipendi e i trasferimenti, è utilizzato direttamente da chi lo riceve, con una propensione al risparmio delle famiglie italiane dell'8,9 per cento (dati Istat), significa che, mediamente, oltre il 91 per cento del reddito viene speso. Questi soldi rientrano in circolo più volte, fanno aumentare il PIL molto di più rispetto ai 200 miliardi iniziali.
Gli occupati nel settore della sanità sono oltre 2 milioni, il 10 per cento del totale dei lavoratori. Proviamo a fotografarli sinteticamente: che caratteristiche hanno? In maggioranza, si tratta di dipendenti o convenzionati e, quindi, garantiti nel posto di lavoro: possono programmare con serenità il proprio futuro ed hanno un ruolo stabile e attivo nella società. Essendo dipendenti o convenzionati, pagano integralmente e senza eccezione tasse e contributi, quindi gran parte della spesa rientra, in qualche modo, nelle casse dello Stato, almeno un terzo. I dipendenti della sanità sono in gran parte garantiti economicamente, pur essendoci alcune sacche di precariato, e perciò sono meno sensibili agli umori politici del momento e agiscono come una sorta di freno inerziale alle derive demagogiche e sociali. Chi si occupa di salute, per natura della sua attività, deve imparare a lavorare con gli altri, fidandosi dei colleghi e, spesso, collaborando strettamente con altre figure professionali. Questa esperienza dei vantaggi e della forza della collettività e della debolezza dell'individualismo fa crescere la cultura sociale delle persone e agisce come un collante di coesione sociale. Infine, chi lavora in sanità è più sano degli altri, e non perché trova le scappatoie per curarsi le malattie, ma perché è garantito economicamente. In definitiva, l'intero sistema sanitario rappresenta un valore aggiunto, una risorsa fondamentale per il Paese, va valorizzato in ogni sua forma.
Cosa succede, invece, quando gli investitori pubblici nel campo della sanità cercano risparmi immediati? Succede che si rivolgono a grossi fornitori, ottenendo, sì, un piccolo recupero economico, ma a fronte di una riduzione delle garanzie per i lavoratori, ancora i determinanti di salute, e di incertezze sulla qualità del servizio reso. Inoltre, appartenendo spesso i grossisti a grandi holding internazionali, i profitti prendono il volo fuori dall'Italia, generando, sia perdita fiscale, sia riduzione del denaro reinvestito sul territorio, con grande danno per l'economia della società nel suo insieme. Un esempio? Pensiamo al bar di un ospedale gestito da un gruppo di ragazzi che abitano in città: si servono dai negozianti del luogo e spendono i loro guadagni sul territorio - entrambe le azioni fanno girare l'economia locale -, inoltre, questi piccoli imprenditori possono programmare con serenità il loro futuro. Ora, immaginatevi che la ASL, per guadagnare due spiccioli in più dall'affitto del bar, appalti il servizio ad una grande multinazionale: i dipendenti vengono assunti con contratti non garantiti, i prodotti vengono acquistati surgelati in grande quantità, le tasse sono pagate all'estero, i profitti non vengono reinvestiti sul territorio, ma vanno agli azionisti, oltretutto ricchi, che tesaurizzano i risparmi con tassi di propensione al risparmio superiori al 100 per cento. Ci rimettono tutti: ci rimette lo Stato, ci rimettono i lavoratori, ci rimette l'economia locale e anche gli utenti del bar, con prodotti di scarsa qualità.
Ecco, quindi, l'importanza di considerare la spesa per la sanità come un investimento pubblico e sociale, perché lo è. Trascurare o misconoscere questo aspetto significa, spesso, impoverire, quando non addirittura distruggere l'economia del territorio. Il ruolo strategico che la salute rappresenta per le regioni è nei fatti. Nella maggior parte delle regioni, l'80 per cento dell'intero bilancio è legato all'azienda sanità.
Non solo. Il settore salute va ad agire, oltre che sugli aspetti sanitari e sociali delle regioni, anche su quelli della dimensione economica. Rispetto alla sanità è possibile calcolare dati macroeconomici moltiplicativi: ogni 1.000 euro di spesa sanitaria si attivano 1.340 euro di PIL. E questo, Presidente, senza soffermarci anche sugli aspetti dell'attivazione di attività ad alto contenuto tecnologico o all'indotto sulla fornitura di servizi, sulla sanità privata, sul commercio, sui trasporti, sul settore farmaceutico e quant'altro. Questi dati ci dicono quanto sia complesso, importante e strategico il settore della sanità. La spesa sanitaria non è un costo, è un investimento. Lo ripeto: ogni 1.000 euro spesi in sanità, si generano 1.340 euro di PIL. Scorporare la spesa sanitaria dal Patto di stabilità è una proposta avanzata da diversi politici ed economisti. La motivazione è che la spesa sanitaria non è un costo, ma un investimento. La spesa sanitaria è un investimento perché contribuisce a migliorare la salute dei cittadini, la quale, a sua volta, ha un impatto positivo sull'economia: i cittadini sani sono più produttivi, pagano più tasse e hanno meno bisogno di assistenza sociale. Inoltre, la spesa sanitaria può contribuire a ridurre le disuguaglianze sociali. Un sistema sanitario universale e accessibile a tutti i cittadini è un elemento fondamentale per la giustizia sociale. Al contrario, la spesa sanitaria è considerata un costo, quando viene considerata come un'erogazione di prestazioni. In questo caso, la spesa sanitaria viene vista come una spesa corrente, che deve essere contenuta per rispettare il pareggio di bilancio. Quindi, ci sono diversi vantaggi per togliere la spesa sanitaria dal Patto di stabilità: in primo luogo, questo permetterebbe di aumentare la spesa sanitaria, garantendo a tutti i cittadini un accesso alle cure; in secondo luogo, questo ridurrebbe la pressione sui bilanci delle regioni, che potrebbero concentrarsi sulla qualità delle cure e sulla riduzione delle liste d'attesa.
Quindi, concludendo, Presidente, la spesa sanitaria è un investimento che contribuisce a migliorare la salute dei cittadini e l'economia. La spesa sanitaria può contribuire a ridurre le disuguaglianze sociali. Togliere la spesa sanitaria dal Patto di stabilità permetterebbe di aumentare la spesa sanitaria e migliorare l'accesso alle cure.
Nella mozione credo che ci siano molti elementi che suggeriscono che, effettivamente, un cambio di paradigma rispetto all'idea dell'austerity, dei tagli lineari, del dover rispettare un Patto di stabilità che non consente manovre espansive, sia abbastanza chiaro nel suo insieme. Diventa molto più chiaro quando noi parliamo di salute e di welfare: in quel caso ci dimentichiamo l'aspetto keynesiano, espansivo, produttivo e di investimento, che può avere questo tipo di operazione, perché c'è un aspetto moltiplicativo in termini di ricchezza del Paese. Allora, ci interessa la ricchezza del Paese o ci interessa, in maniera tecnica, fare pari con il bilancio, come fossimo semplici geometri che obbediscono soltanto a un sistema di schermatura e di blindatura del bilancio? In realtà, il vantaggio sarebbe immenso. Voi pensate solo che, rispetto alla crescita esponenziale, importante della terza età e delle malattie croniche che ne sono conseguenti, il fatto stesso di poter investire su atteggiamenti e su cambi di paradigma che consentano di rallentare i processi dall'autosufficienza alla non autosufficienza, ci farebbe risparmiare cifre immense, sia in termini di trattamento farmacologico,
sia in termini di assistenza. Questo è un passaggio fondamentale, però, per fare questo, bisogna fare investimenti. Non possiamo rimanere fermi e blindati su un pareggio di bilancio che ci sta strozzando e massacrando, rispetto poi a un altro elemento decisivo: la garanzia del diritto alla salute, che, comunque, la nostra Costituzione stabilisce essere diritto fondamentale, non comprimibile e non opzionabile. Quindi, da questo punto di vista, mi auguro che questa Assemblea, al momento del voto, tenga presente questi aspetti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Paolo Pulciani. Ne ha facoltà.
PAOLO PULCIANI (FDI). Grazie, Presidente. Facciamo alcune considerazioni di carattere generale. Il mutato contesto nel quale si sono venute a trovare le economie europee a seguito della pandemia, non solo ha reso ancora più evidenti le criticità dell'attuale quadro di governance economica europea, relative all'effettiva capacità delle regole di garantire finanze pubbliche sostenibili e di prevenire squilibri economici e macroeconomici, alla loro eccessiva complessità e all'insufficiente titolarità nazionale, ma ne ha anche fatte emergere altre, legate in modo particolare all'accumulazione del debito pubblico emesso per far fronte alle conseguenze della nota crisi. La risposta delle politiche economiche, nazionali ed europee, alla crisi pandemica ha previsto, da un lato, l'attivazione, nel marzo 2020 e, inizialmente, fino al 2022, della clausola di salvaguardia generale, che, di fatto, ha congelato le regole del Patto di stabilità e crescita, e che poi è stata prorogata fino alla fine di quest'anno, e, dall'altro lato, l'introduzione di strumenti straordinari e temporanei come il Next Generation EU.
Una riflessione maggiore merita, in particolare, il Patto di stabilità e crescita: il fulcro della governance economica europea, che ha l'obiettivo, poi, di fatto, di far rispettare i limiti concernenti il deficit pubblico al 3 per cento del PIL, ormai insostenibile, e il debito pubblico al 60 per cento del PIL, fissato dal Trattato di Maastricht. Come ben sappiamo, già le prime applicazioni dei criteri del Patto di stabilità e crescita hanno fatto emergere una serie di problemi e alcuni elementi di debolezza, quali la natura arbitraria del limite del 3 per cento per il deficit di bilancio. Infatti, la simmetria del Patto di stabilità e crescita era vincolante in periodi di congiuntura negativa, ma non vincolante in presenza di un ciclo favorevole, per cui i Governi ne avrebbero potuto approfittare per costruirsi maggiori margini di sicurezza. Queste e altre difficoltà, legate alla scarsa o assente crescita delle economie europee dei primi anni Duemila, hanno portato, sotto la spinta dei Governi di Francia e Germania, entrambi interessati da forti aumenti del loro deficit di bilancio, alla sospensione, di fatto, del Patto di stabilità e crescita e all'introduzione di modifiche sostanziali nel Consiglio europeo tenutosi a Bruxelles il 22 e 23 marzo 2005.
Nel 2005 il Patto di stabilità e crescita e crescita viene quindi rivisto, introducendo gli obiettivi di medio termine per Paese, cioè il livello di bilancio strutturale desiderato in funzione di crescita potenziale e di debito. L'intento dichiarato era quello di prestare maggiore attenzione alla logica economica delle regole, per rafforzarne la credibilità e il rispetto delle stesse. In realtà, questi interventi correttivi ne hanno minato seriamente la possibilità di applicazione. Le regole fiscali europee attualmente in vigore sono, quindi, il risultato di misure che si sono aggiunte e sovrapposte nel corso degli anni, con il risultato che il sistema è diventato molto complesso, soprattutto per la presenza di variabili non osservabili e la percezione di eccessiva ingerenza della Commissione nelle scelte nazionali. Il Patto di stabilità e crescita ha probabilmente contribuito a mantenere sotto controllo le finanze pubbliche dei Paesi europei dopo la crisi finanziaria, ma l'aggiustamento fiscale è avvenuto in gran parte a discapito degli investimenti pubblici, i quali si sono fortemente ridotti in tutta Europa, ponendo a rischio la crescita futura. Infine, la politica fiscale è rimasta complessivamente prociclica, tipicamente ha aumentato la spesa pubblica in periodi di crescita economica, invece di fare il contrario, all'opposto di quanto, in realtà, forse si desiderava accadesse.
Oggi, siamo qui per ribadire, ancora una volta, che la proposta di riforma del Patto di stabilità non ci convince pienamente. Infatti, se da un lato è positivo il tentativo di superare la rigidità delle attuali norme, le quali evidentemente non sono più adatte rispetto al delicato contesto economico che stiamo attraversando, dall'altro, purtroppo, il pendolo sembra oscillare sempre in direzione del rigore e non della crescita. Aver fissato l'impostazione di un tetto pluriennale alla spesa pubblica, senza altresì prevedere una golden rule per gli investimenti pubblici, rischia di mettere a repentaglio la ripresa economica e la crescita dei Paesi con un alto debito, come l'Italia. Per rilanciare la nostra competitività abbiamo bisogno di una politica industriale e commerciale adeguata e solida, accompagnata da regole economiche che dovrebbero essere predisposte per andare incontro alle esigenze degli Stati membri, evitando di imporre freni e vincoli che ne impediscono il pieno sviluppo.
Fratelli d'Italia è convinta che sia necessario rivedere le nuove regole relative all'aggiustamento fiscale annuale, particolarmente gravose per diversi Stati membri. L'auspicio è che durante i negoziati il testo finale venga migliorato, per raggiungere un maggiore equilibrio tra due valori, quello della stabilità e quello della crescita, entrambi egualmente necessari.
Secondo le proiezioni elaborate dai tecnici della Commissione europea, se la proposta di riforma del Patto di stabilità e crescita dovesse passare così com'è per l'Italia si prospetterebbe una manovra correttiva da 14 o 15 miliardi l'anno, pari allo 0,85 per cento del PIL nazionale. Come ha ricordato anche il nostro Presidente, la riforma del Patto di stabilità è un tentativo di fare passi avanti che abbiamo colto con interesse, ma va fatto qualche passo in più. Se ci siamo dati delle priorità, che sono il clima, la transizione verde e digitale e il sostegno all'Ucraina, allora, bisogna sostenere anche le Nazioni che investono su queste priorità, perché altrimenti si rischia di risultare incoerenti. Serve scorporare alcune spese strategiche dal calcolo del rapporto deficit-PIL, in particolare quelle relative alle priorità che l'Unione europea si è data.
La riforma del Patto di stabilità e crescita proposto dalla Commissione europea dovrebbe privilegiare di più la crescita, senza la quale diventa difficile garantire la stabilità. È necessario assicurare parità di condizioni nel mercato interno e prevedere piena flessibilità dei fondi europei già esistenti. C'è, poi, una sfida sulla riforma della governance e, anzitutto, degli investimenti. Se l'Europa fa scelte strategiche come la transizione verde, la transizione digitale e la difesa, non si possono poi punire le Nazioni che investono in questi settori, non si possono punire le Nazioni che investono sulla transizione verde, sulla transizione digitale, con regole che non riconoscono il valore aggiunto di quegli investimenti. La logica vuole che le spese di investimento in quei comparti vengano tolte dal calcolo del rapporto deficit-PIL.
È indubbio che sul tema della revisione delle regole di governance economica, però, si registrano posizioni diverse tra gli Stati membri, pur essendo condivisa l'esigenza di dover procedere a una maggiore trasparenza e semplificazione delle regole. L'interesse dell'Italia, il nostro interesse è affrontare il negoziato sulla governance europea come si discute nel complesso del rispetto del nostro interesse nazionale: prima ancora di una questione di merito, c'è una questione di metodo, su come si faccia a difendere l'interesse nazionale. Sappiamo tutti che abbiamo i cosiddetti Paesi frugali, da una parte, che ritengono che le regole del Patto siano già sufficientemente flessibili per adeguarsi alle differenti situazioni economiche dei diversi Stati membri, dall'altra, invece, ci sono Paesi come l'Italia o la Francia, che ritengono che le regole debbano essere necessariamente riformate, perché sono inadeguate per sostenere il nuovo scenario macroeconomico e, quindi, inidonee a sostenere la crescita e non hanno creato gli incentivi giusti per dare priorità a una spesa pubblica che guardi al futuro e rafforzi la sovranità europea, come la spesa per gli investimenti pubblici, quella che comunemente definiamo debito buono, perché senza crescita non si può certo garantire la stabilità. È necessaria una politica industriale europea che preservi, da un lato, il mercato unico, ma anche la competitività, evitando di creare disparità e favorendo alcuni Paesi a scapito di altri. Su questo tema abbiamo accolto con favore la piattaforma per le tecnologie strategiche per l'Europa, STEP, proposta dalla Commissione europea, rappresentando un primo passo rispetto alle richieste dell'Italia e di un fondo sovrano europeo. Se, infatti, è indispensabile ridurre i livelli di indebitamento - è noto a tutti, se ne parla sempre, e di questo siamo comunque tutti consapevoli - ciò deve avvenire però senza aumenti di tasse e senza soffocare la crescita attraverso aggiustamenti di bilancio che sono oggettivamente impraticabili. Occorrono riforme strutturali che abbiano la cifra della ragionevolezza e che non impediscano gli investimenti necessari. Il debito per finanziare tali investimenti dovrà essere favorito dalle regole di bilancio, dato che questo tipo di spesa pubblica contribuisce, nel lungo periodo, alla sostenibilità del debito stesso. Una riforma della governance economica, poi, dovrebbe tenere in considerazione un approccio più olistico e unitario e prevedere una riforma delle regole di bilancio europee in chiave evolutiva rispetto al quadro normativo precedente.
Sulla revisione del Patto di stabilità e crescita è cruciale arrivare a nuove regole basate su principi che siano credibili, realistici e coerenti con la situazione internazionale attuale. Il tempo dell'austerità è finito e si deve porre maggiore attenzione al tema della crescita rispetto a quello della stabilità. Il riequilibrio dei bilanci pubblici degli Stati maggiormente indebitati non dovrà e non potrà sacrificare la dimensione dello sviluppo economico che è la nostra stella polare. La crescita economica stabile e duratura è infatti l'unica vera garanzia di sostenibilità del debito pubblico (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Andrea Casu. Ne ha facoltà.
ANDREA CASU (PD-IDP). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, la governance economica europea è frutto di una lunga evoluzione e ha tre obiettivi principali: assicurare il rispetto dei vincoli di finanza pubblica, il coordinamento delle politiche economiche e la stabilità e la sostenibilità delle politiche di bilancio degli Stati membri dell'Unione europea. Il fulcro della disciplina è costituito dal Patto di stabilità e crescita del 1997, come contestualizzato dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che ha fissato i parametri di riferimento del 3 per cento e del 60 per cento, rispettivamente, per il disavanzo pubblico e per il debito pubblico sul PIL, originariamente stabiliti dal Trattato di Maastricht. Sono intervenute anche le modifiche per effetto dei cosiddetti six pack del 2011 e two pack del 2013 che, insieme, all'accordo intergovernativo del 2012, il Fiscal compact, ne hanno reso più stringente il funzionamento.
Il sistema, articolato in quelli che vengono chiamati braccio preventivo e braccio correttivo, prevede una clausola generale di salvaguardia che consente agli Stati membri dell'UE di deviare temporaneamente dagli obblighi posti dal Patto di stabilità e crescita, che comunque non viene sospeso, per adottare misure di emergenza e fronteggiare circostanze avverse. Tale clausola è stata attivata per la prima volta in conseguenza della pandemia da COVID-19 ed estesa fino a tutto il 2023 in ragione del conflitto russo-ucraino e dall'aumento dei prezzi dell'energia. Ne è prevista la disattivazione a partire dal 2024.
La governance economica europea, come evolutasi nel tempo, ha mostrato una serie di limiti sia nella concreta applicazione sia nel perseguire gli obiettivi prefissati. Questi limiti sono diversi, andiamo a elencarli: la prociclicità, perché davanti a rallentamenti ciclici si è spesso richiesto ai Governi di attuare politiche restrittive e, nei casi peggiori, l'Unione ha dovuto sospendere l'applicazione delle regole fiscali, ricorrendo alle clausole di disattivazione; poi, le regole uguali per tutti, poco adattabili al contesto e alle caratteristiche dei singoli Paesi; l'orizzonte di breve termine, che ha finito con il trasformare i vincoli in obiettivi a sé stanti rispetto alle finalità della sostenibilità delle finanze pubbliche degli Stati membri; inoltre, la complessità e la scarsa trasparenza della governance, facilmente soggetta a manipolazione, poiché un ruolo chiave è giocato dalle variabili non osservabili, il PIL potenziale, l'output gap, i saldi strutturali, e che apre la strada a legittime contestazioni; inoltre, gli indicatori utilizzati in larga parte fuori dal controllo diretto dei Governi, sia quelli sul deficit che quelli sul debito, con la conseguenza che in caso di mancato rispetto dei vincoli è difficile discriminare fra responsabilità diretta dei Governi e fattori esogeni.
Questo, a sua volta, non legittima l'applicazione delle sanzioni previste, rendendo più discutibile l'avvio di procedure per deficit o debito eccessivo e poco credibile la governance medesima, sulla quale - di tali limiti - la Commissione ha avviato una discussione sulla revisione della governance economica europea nel febbraio 2020, discussione che è stata sospesa poco dopo a causa della pandemia da COVID-19 e poi rilanciata nell'ottobre 2021, anche al fine di tenere conto del mutato contesto macroeconomico risultante dalla crisi pandemica, in particolare il significativo aumento dei livelli di indebitamento degli Stati membri, che ne è seguito, e gli innovativi strumenti che la UE ha varato per fronteggiare la crisi pandemica, cioè Next Generation EU, finanziato con l'emissione di debito comune, e il dispositivo per la ripresa e la resilienza, nel cui ambito si collocano i PNRR nazionali, e le nuove priorità politiche (la transizione verde e digitale, in particolare).
A conclusione di questo dibattito, nel novembre 2022 la Commissione ha pubblicato gli orientamenti di riforma, su cui si sono espresse le Camere italiane nel marzo 2023 a seguito di un ciclo di audizioni. Il 26 aprile 2023 la Commissione europea ha, quindi, presentato tre proposte legislative per riformare il quadro delle regole della governance economica dell'Unione europea, cioè le proposte di regolamento n. 240 e n. 241 e la proposta di direttiva n. 242. Le proposte, rispetto ai precedenti orientamenti, tengono conto di alcune specifiche richieste avanzate dalla Germania e dai Paesi cosiddetti frugali, contrari a un approccio più bilaterale specifico per Paese, ritenuto rischioso per la trasparenza e la parità di trattamento. Anche durante il Consiglio Ecofin dello scorso 16 giugno sono emerse alcune posizioni diverse rispetto all'impianto generale della proposta, incentrate su regole più vincolanti, automatiche e uguali per tutti e su una maggiore concentrazione sul breve termine, con una riduzione della discrezionalità attribuita alla Commissione europea.
Le tre proposte legislative, due regolamenti e una direttiva, che modificano sia il bilancio preventivo che quello correttivo, mirano a introdurre un quadro di norme più semplice e trasparente, con una maggiore differenziazione nella loro applicazione tra i diversi Paesi, la riduzione dell'orientamento prociclico, il miglioramento della titolarità nazionale, con l'obiettivo dichiarato di rafforzare la sostenibilità del debito e, al contempo, promuovere una crescita sostenibile e inclusiva attraverso riforme e investimenti. Restano fermi i parametri di riferimento del 3 per cento per il rapporto fra disavanzo pubblico e PIL e del 60 per cento per il rapporto tra debito pubblico e PIL, per il cui eventuale aggiornamento, che richiede una modifica dei Trattati, sono necessarie tempistiche più lunghe.
Le principali novità che presentano le proposte della Commissione sono: il passaggio da un orizzonte temporale di un anno a uno pluriennale, tramite l'introduzione dei piani di bilancio strutturali a medio termine, che vanno da 4 o, addirittura, 7 anni, elaborati dagli Stati membri, che definiscono le proprie politiche fiscali, le riforme e gli investimenti, anche in relazione ai cambiamenti climatici, indicando, in particolare, il percorso di bilancio nazionale definito come traiettoria della spesa primaria netta; una maggiore titolarità nazionale ex ante nella progettazione del proprio percorso di risanamento di bilancio; il superamento di una governance uguale per tutti attraverso l'individuazione di sfide di debito differenziate per Paese, su cui si fondano le traiettorie tecniche di aggiustamento proposte dalla Commissione europea, con una maggiore discrezionalità rispetto al presente, anche sulla base delle sue analisi di sostenibilità del debito; una sorveglianza basata su una maggiore attenzione verso la sostenibilità del debito nel medio e lungo termine e il suo progressivo processo di convergenza, evitando percorsi di riduzione troppo rapidi e troppo a lungo; la soppressione degli obiettivi di medio termine e la previsione di un singolo indicatore operativo, la spesa primaria netta, che è sostanzialmente sotto il diretto controllo dei Governi. In questo modo migliora l'imputabilità per il mancato rispetto degli obblighi e la legittimità dell'impianto sanzionatorio; un regime di applicazione del braccio correttivo più rigoroso in caso di violazione del criterio del debito, con l'apertura automatica della procedura per disavanzi eccessivi per i Paesi con un debito superiore al 60 per cento del PIL, salvo che il livello del debito, seppure superiore a tale soglia, non si discosti dal percorso definito nel piano strutturale di bilancio dello Stato interessato nel quadro del nuovo braccio preventivo. Si supera, quindi, la cosiddetta regola dell'1 su 20 di riduzione su base annuale del debito, ritenuta eccessivo alla luce degli attuali livelli di debito. Le proposte della Commissione europea rappresentano, quindi, un importante passo in avanti nella costruzione del sistema di governance economica dell'Unione europea che tenga insieme le esigenze della stabilità finanziaria e il ruolo della politica fiscale.
Tuttavia, permangono alcune criticità, alcune delle quali derivanti dalle modifiche apportate rispetto all'impostazione data precedentemente dagli orientamenti della Commissione. In primo luogo, non è proposta alcuna golden rule per escludere determinati investimenti, in particolare quelli per sostenere le transizioni verde e digitale o per aumentare le capacità di difesa dell'aggregato di spesa primaria netta, anche al fine di fornire un vero stimolo alla crescita economica dei singoli Paesi europei e dell'Europa nel suo insieme.
In secondo luogo, sono introdotti vincoli e automatismi che riducono flessibilità e differenziazione per Paese delle nuove regole, in particolare l'obbligo automatico e generalizzato, in caso di un disavanzo pubblico superiore al 3 per cento, di riduzione in media dello 0,5 per cento del PIL all'anno, salvo circostanze eccezionali, e quello del raggiungimento, al termine della traiettoria, di un livello di debito inferiore a quello di partenza. Ciò , quindi, può comportare il rischio di politiche di bilancio eccessivamente restrittive e indifferenziate, che non considerano le eventuali circostanze di difficoltà in cui potrebbero trovarsi le singole economie nazionali nell'impatto sociale di tali misure.
In terzo luogo, la dinamica della spesa primaria netta nel periodo di applicazione del piano dev'essere inferiore a quella prevista del PIL, che equivale a richiedere un miglioramento del disavanzo primario anche quando non è necessario per ridurre il rapporto tra debito e PIL. Non è chiaro come interagiranno il nuovo vincolo sul tasso di crescita di tale aggregato e il vincolo del 3 per cento e, dato che questo dipende dal PIL, il problema della prociclicità rischia di non essere risolto, dando prevalenza all'obiettivo della stabilità rispetto a quello della crescita. Sebbene la spesa pubblica netta sia un indicatore direttamente osservabile e sostanzialmente sotto il controllo diretto dei Governi, il suo calcolo richiederà, comunque, l'esclusione degli stabilizzatori automatici, la cui stima non è sempre immediata. Il riferimento a proiezioni decennali del debito oltre l'orizzonte del piano, quindi fino a 17 anni dalla data iniziale da parte della Commissione, ha un elevatissimo grado di incertezza e di discrezionalità, in quanto fortemente dipendente dalle ipotesi. Inoltre, non sono chiari i margini che avranno i singoli Paesi per modificare la traiettoria posta dalla Commissione e, quindi, l'effettiva titolarità nazionale della politica economica, che si avrebbe, invece, se la traiettoria fosse di competenza dei Governi nazionali e solo in una seconda fase oggetto di un dialogo tecnico con la Commissione. C'è una maggiore rigidità nella fase di applicazione, per controbilanciare la flessibilità ex ante: i piani dovranno essere rispettati lungo tutto l'orizzonte quadriennale e non potranno essere modificati, se non a fronte di shock particolarmente rilevanti. Le sanzioni, nell'ambito della procedura per disavanzi eccessivi, sono automatiche e hanno carattere reputazionale, essendo irrogate sulla base di una suddivisione dei Paesi in categorie in funzione del rapporto debito pubblico-PIL, mentre sarebbe preferibile un meccanismo incentivante che subordini il ricevimento dei fondi UE al conseguimento degli obiettivi fissati nel piano strutturale di bilancio dello Stato membro.
Nel complesso, non si tiene sufficientemente conto dell'interdipendenza tra le politiche economiche nazionali e manca una visione degli obiettivi di stabilità economica e finanziaria per l'Unione nel suo complesso, i quali non sono automaticamente garantiti dalla somma aggregata degli obiettivi riferiti ai singoli Paesi, su cui si basano sia la disciplina di bilancio sia quella relativa agli squilibri macroeconomici. Rimangono aperte, inoltre, questioni che, seppur non rientranti nel perimetro della revisione, incidono sul funzionamento della governance: la mancanza di un meccanismo permanente di stabilizzazione automatica che ricalchi l'esperienza di SURE; la necessità di provvedere a una forma di capacità fiscale centrale comune per rispondere più efficacemente sia a shock che colpiscono singoli Paesi sia a eventi avversi comuni a tutti, quali, ad esempio, la pandemia o la crisi energetica, nonché, previa modifica dei Trattati, per un compito strutturale di sostegno al fabbisogno di investimenti e al conseguimento di beni pubblici europei e priorità comuni, così lasciando agli Stati membri margini di intervento su quelli che non sono considerati investimenti, come il sostegno alle famiglie a basso reddito e alle piccole imprese; la correlata capacità di indebitamento permanente per la stabile emissione di debito sovrano, anche al fine di trasformare il Next Generation EU in uno strumento di politica economica dell'Unione europea, considerate le nuove priorità perseguite dall'Unione europea come la transizione verde, la transizione digitale, l'inclusione e la resilienza economica e sociale, nonché, per quanto riguarda strettamente il nostro Paese, la mancata ratifica dell'Accordo di modifica del Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità (MES) e gli effetti sulla credibilità e sull'affidamento del Paese, anche nella mediazione per la revisione della governance economica europea.
Valutato, quindi, che le proposte della Commissione europea rappresentano, nel complesso, un miglioramento del quadro delle regole della governance economica europea, dobbiamo mettere in evidenza che il pieno interesse del nostro Paese è portare a termine rapidamente la revisione della governance economica europea, per scongiurare gli effetti della disattivazione della clausola di salvaguardia generale.
Al contempo, risulterebbe rischiosa l'accettazione da parte del Governo in sede di negoziazione della previsione di vincoli automatici, i quali andranno a definire in modo permanente il nuovo quadro della governance economica europea, ancor più se tale scelta fosse volta a perseguire per una singola annualità l'agibilità sul deficit ai fini della manovra di bilancio per il prossimo anno. In tal modo si comprometterebbe ulteriormente la credibilità finanziaria dell'Italia, già minata dall'improvvisazione e dalle scelte fallimentari del primo anno di Governo, esponendo a rischio di attacchi speculativi e al possibile abbassamento del rating sui titoli di debito pubblico.
Per questa ragione è indispensabile in questo momento chiedere al Governo di impegnarsi ad attivarsi concretamente e seriamente per portare avanti un negoziato soddisfacente, proponendo ulteriori miglioramenti alla proposta della Commissione.
In particolare, servono la rimozione di criteri quantitativi prestabiliti e uguali per tutti gli Stati membri, così come di regole automatiche che rischiano di reintrodurre elementi di prociclicità e indifferenziazione, con particolare riferimento al vincolo di riduzione annuale di una percentuale fissa del PIL, in caso di un disavanzo pubblico superiore al 3 per cento, salvo circostanze eccezionali, e quello del raggiungimento, al termine della traiettoria, di un livello del debito inferiore a quello di partenza, e, infine, di vincolo sul tasso di crescita della spesa primaria rispetto al PIL; la previsione di una maggiore flessibilità per i piani nazionali e la possibilità di revisione degli stessi, in particolare in caso di modifica dei parametri alla base dell'analisi di sostenibilità del debito, tra cui l'inflazione, così da rendere le regole capaci di adattarsi a contesti economici finanziari mutevoli e non risultare eccessivamente restrittive; la definizione di stabilizzatori automatici che tengano conto delle specificità nazionali, anche al fine di garantire una componente anticiclica automatica sufficientemente adeguata; il rafforzamento di una visione degli obiettivi di stabilità economica e finanziaria per l'Unione intesa nel suo complesso, anche attraverso la previsione di meccanismi di coordinamento delle politiche fiscali, in modo da evitare che i processi di aggiustamento determinino effetti depressivi sull'economia degli Stati membri e più in generale dell'Unione, alla luce della stretta interdipendenza tra le politiche nazionali; un maggiore coordinamento tra la fase di elaborazione ex ante dei piani nazionali e le successive fasi di sorveglianza ex post in caso di sforamento dei parametri; la possibilità di non considerare nel computo della spesa netta alcune spese per riforme e investimenti, in particolare quelli per la transizione verde e digitale, per il contrasto del dissesto idrogeologico e del cambiamento climatico; la possibilità di scorporare il debito accumulato a causa di emergenze e eventi eccezionali, prevedendo in tal caso un percorso specifico; la costituzione di una capacità fiscale dell'Eurozona che permetta di intervenire in circostanze eccezionali e con condizionalità ragionevoli e, parallelamente, il rafforzamento degli strumenti comuni su temi di interesse dell'Unione europea; la previsione di meccanismi di stabilizzazione automatica sul modello SURE; il superamento del rigido impianto precedente per perseguire con maggiore efficacia l'obiettivo della crescita sostenibile, nonché della coesione sociale, in un'ottica di equilibrio con l'obiettivo della stabilità; una maggiore valutazione dell'impatto e della dimensione sociale dei piani nazionali, delle misure per la riduzione del debito e l'aggiustamento di bilancio al fine di scongiurare un risanamento delle finanze pubbliche che penalizzi in particolare la spesa sociale, e promuovere l'avvio della riflessione per la revisione, in una prospettiva di medio periodo, dei parametri di riferimento del 3 per cento per il disavanzo pubblico e del 60 per cento per il debito pubblico, ormai privi di rappresentatività.
Scusate per la velocità, ma erano tante le cose da dire e spero di averlo fatto nel tempo concesso (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).
PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
Il Governo si riserva di intervenire.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
Discussione della proposta di inchiesta parlamentare: Pittalis: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause del disastro della nave “Moby Prince” (Doc. XXII, n. 9-A); e delle abbinate proposte di inchiesta parlamentare: Riccardo Ricciardi ed altri; Simiani (Doc. XXII, nn. 28-29).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di inchiesta parlamentare Doc. XXII, n. 9-A: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause del disastro della nave “Moby Prince” e delle abbinate proposte di inchiesta parlamentare Doc. XXII, nn. 28-29.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).
(Discussione sulle linee generali – Doc. XXII, n. 9-A e abbinate)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
I presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista ne hanno chiesto l'ampliamento.
La IX Commissione (Trasporti) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Elena Maccanti.
ELENA MACCANTI , Relatrice. Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, riferisco oggi favorevolmente all'Assemblea con il mandato conferito dalla IX Commissione (Trasporti) sulla proposta di istituzione di una nuova Commissione parlamentare d'inchiesta sulle cause del disastro della nave “Moby Prince”.
Tengo a sottolineare in premessa che, come già avvenne nella XVIII legislatura, su questa proposta si è trovata in Commissione un'ampia convergenza tra forze di maggioranza e opposizione, unite nella volontà di fare finalmente luce sulle cause e sulla responsabilità della più grave tragedia navale del nostro Paese. Una ferita aperta per i familiari delle 140 vittime, che in questi 32 lunghi anni non hanno mai smesso di cercare la verità, e per l'intero Paese.
Alla proposta di iniziativa del collega Pietro Pittalis sono state, infatti, successivamente abbinate quelle dei colleghi Riccardo Ricciardi e Marco Simiani.
Il testo è stato poi migliorato in Commissione con l'accoglimento di emendamenti di diverse forze politiche e con il pieno accordo anche dell'altro ramo del Parlamento, dove il collega Manfredi Potenti, che ringrazio, ha ritirato la sua proposta di inchiesta sullo stesso tema per consentire alla Camera di procedere celermente i lavori. La nota vicenda che ricostruiamo brevemente riguarda la collisione, avvenuta la sera del 10 aprile 1991, a poche miglia dall'uscita dal porto di Livorno, tra la nave traghetto “Moby Prince”, in servizio nella tratta Livorno-Olbia, e la petroliera Agip Abruzzo, ancorata nella rada del porto.
Il vasto incendio che si sviluppò in seguito alla collisione e alla fuoriuscita di migliaia di tonnellate di greggio causò la morte di 140 persone, equipaggio e passeggeri a bordo del traghetto, con un solo superstite. Il processo di primo grado presso il tribunale di Livorno, iniziato nel novembre del 1995, si è concluso 3 anni più tardi con una sentenza di assoluzione per 4 imputati; sentenza riformata parzialmente in appello per un solo imputato, nei confronti del quale, però, non è stato possibile procedere per intervenuta prescrizione.
Successive indagini giudiziarie, riaperte su istanza dei figli del comandante della nave, si conclusero nel 2010 con l'archiviazione del procedimento penale, stabilendo che l'incidente fu determinato, in parte, dall'errore umano nella conduzione del traghetto e, in parte, da fattori concomitanti, come la presenza di una fitta nebbia e lo speronamento proprio della cisterna, carica di liquido infiammabile. Una verità processuale da subito contestata con forza dai familiari delle vittime e sulla quale gli atti delle due Commissioni parlamentari d'inchiesta istituite a partire dalla XVII legislatura hanno evidenziato lacune e incongruenze nella ricostruzione processuale e interferenze nell'attività di indagine.
La prima Commissione d'inchiesta fu istituita dal Senato della Repubblica nel 2015. La relazione finale, approvata 2 anni dopo, rilevò in particolare l'assenza quella notte di banchi di nebbia e il prodursi di un'alterazione della rotta della “Moby Prince” per cause ancora non chiarite, e rimarcò la mancata tempestività dei soccorsi e il loro coordinamento, ma non riuscì ad accertare altri punti controversi.
Nella scorsa legislatura, il 12 maggio 2021, una nuova Commissione parlamentare d'inchiesta è stata istituita presso la Camera dei deputati. La fine anticipata della legislatura ne ha purtroppo interrotto il lavoro, ma anche nella relazione approvata nel settembre 2022 sono state evidenziate gravi lacune e contraddizioni. La Commissione ha confermato, in particolare, che le condizioni di visibilità la sera del 10 aprile 1991 erano normali, così come la condotta tenuta dal comando del traghetto è risultata in linea con i principi di prudenza e diligenza.
Nessun dubbio sul fatto che l'esplosione a bordo del traghetto sia avvenuta in seguito alla collisione, e non possa quindi essere ritenuta la causa della turbativa alla navigazione, che invece viene ricondotta a un fattore esterno, ovverosia un terzo natante, che non è stato possibile identificare con certezza.
Dalle conclusioni di questa seconda Commissione d'inchiesta, nello scenario di quella sera è dunque ritenuta plausibile la presenza di una terza unità navale in movimento che ha interferito con la rotta del traghetto e ha obbligato il “Moby Prince” a una manovra evasiva.
Presidente, con l'istituzione di questa nuova Commissione noi vogliamo portare a termine il lavoro interrotto e rispondere ai tanti interrogativi rimasti ancora aperti. È nostro dovere farlo, e farlo in questa legislatura.
La Commissione che stiamo istituendo, che acquisisce integralmente gli atti della precedente, anche quelli coperti da segreto, ha compiti ben precisi, definiti dall'articolo 1 della proposta che stiamo esaminando. In particolare, essa deve accertare eventuali e ulteriori responsabilità relative al disastro, con riferimento a strutture, apparati, organizzazioni pubbliche o private e persone a essi appartenenti o appartenute; ricercare e valutare ulteriori e nuovi elementi, che possano integrare i fatti sino ad ora conosciuti; accertare, con la massima precisione, le circostanze in cui è avvenuta la collisione, le comunicazioni radio intercorse tra soggetti pubblici o privati nei giorni immediatamente precedenti e successivi, i tracciati radar e le rilevazioni satellitari di qualsiasi provenienza, riguardanti il tratto di mare interessato; verificare fatti, atti e condotte che possano aver costituito o costituiscano ostacolo, ritardo o difficoltà per l'accertamento delle responsabilità relative al disastro; esaminare le procedure, le modalità e i mezzi con cui sono stati organizzati e attuati i soccorsi in mare e ogni altro fatto utile a individuare eventuali responsabilità in ogni fase, anche successiva allo svolgimento degli eventi; accertare eventuali correlazioni tra l'incidente ed eventuali traffici illegali di armi, combustibili, scorie o rifiuti tossici avvenuti nella notte del 10 aprile 1991 nella rada di Livorno, a partire dalla documentazione acquisita nel corso dei lavori della Commissione parlamentare della XVIII legislatura; infine, approfondire i termini dell'accordo armatoriale sottoscritto a Genova il 18 giugno 1991, con particolare riferimento alle perizie in forza delle quali furono determinati gli importi erogati alle compagnie armatrici e ai familiari delle vittime e analizzare i bilanci delle società Snam, Eni e Navarma negli anni immediatamente precedenti e successivi il 1991. Proseguendo nell'articolato, Presidente, l'articolo 2 disciplina la composizione della Commissione: 20 deputati nominati dal Presidente della Camera in proporzione al numero dei componenti dei gruppi parlamentari.
L'articolo 3 ne definisce poteri e limiti.
Si richiama qui che la Commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria, secondo il dettato dell'articolo 82 della Costituzione. Non può tuttavia adottare provvedimenti attinenti alla libertà e alla segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione nonché alla libertà personale, fatto salvo l'accompagnamento coattivo di cui all'articolo 133 del codice di procedura penale.
L'articolo 4 disciplina l'acquisizione di atti e documenti
Il successivo articolo 5 definisce l'obbligo del segreto cui sono tenuti, anche dopo la cessazione dell'incarico, i componenti, i funzionari e il personale, di qualsiasi ordine e grado, della Commissione, ogni altra persona che vi collabora o compie o concorre a compiere atti di inchiesta, oppure ne viene a conoscenza per ragioni d'ufficio o di servizio.
L'articolo 6 infine ne definisce l'organizzazione interna, regolata da un apposito regolamento e precisa che la Commissione può avvalersi di agenti e ufficiali di polizia giudiziaria e di tutte le collaborazioni che ritenga necessarie, nonché di personale, locali e strumenti operativi messi a disposizione dal Presidente della Camera.
Le spese per il funzionamento della Commissione, stabilite nel limite massimo di 50.000 euro annui, sono a carico del bilancio interno della Camera.
Concludo, Presidente, raccomandando all'Assemblea il voto favorevole e auspicando un'approvazione unanime che dia ulteriore forza e autorevolezza a questa Commissione d'inchiesta, affinché si accerti finalmente la verità storica, si restituisca dignità alle vittime e ai loro familiari e si impedisca che simili tragedie possano di nuovo verificarsi (Applausi dei deputati dei gruppi Lega-Salvini Premier e Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, che si riserva di farlo successivamente.
È iscritta a parlare l'onorevole Frijia. Ne ha facoltà.
MARIA GRAZIA FRIJIA (FDI). Le proposte di inchiesta parlamentare, a prima firma dei colleghi, rispettivamente, Pittalis, Riccardo Ricciardi e Simiani, hanno ad oggetto, come ha ben detto prima di me la collega, l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause del disastro della nave “Moby Prince”.
Chi le parla, Presidente, viene da una città di mare, non lontanissima da Livorno. Una tragedia in porto quindi mi colpisce in modo particolare. Ricordo, anzitutto a me stessa, come già detto dalla relatrice Maccanti, che il disastro della nave “Moby Prince” avvenne la sera del 10 aprile 1991, a seguito di collisione con la petroliera “Agip Abruzzo” verificatosi nella rada del porto di Livorno. Morirono 140 persone.
Presidente, nell'immaginario collettivo le parole “Moby Prince” rappresentano una tragedia: 140 vite umane perse a causa di una collisione tra due navi causata dalla nebbia e determinata da distrazione e incompetenza. Così, l'11 aprile 1991, a poche ore dalla tragedia, giornali, televisioni, autorità militari e istituzionali hanno definito e consegnato alla storia quanto accaduto nella rada del porto di Livorno. Tuttavia, più di qualcosa è andato storto nell'accertamento dei fatti: errori di valutazione sono stati commessi in quella vicenda. Sta di fatto che numerosi soggetti portano sulla coscienza quei morti, sia i responsabili della collisione sia quanti intervennero sul luogo con colpevole ritardo per portare soccorso. Non è affatto un caso, come pure è stato ricordato, che Commissioni di inchiesta parlamentare sui fatti avvenuti quella notte al largo di Livorno siano state istituite nella XVII legislatura al Senato della Repubblica e nella XVIII legislatura alla Camera dei deputati. Purtroppo, né la magistratura né le pregresse inchieste parlamentari hanno tolto tutti i veli opachi da questa vicenda terribile. Bene fa la Camera dei deputati ad istituire una nuova Commissione d'inchiesta. Nel tempo, infatti, sono emersi veri e propri lati oscuri che i supplementi di indagine svolti dalle Commissioni parlamentari di inchiesta hanno già parzialmente svelato, facendo tesoro dell'incessante lavoro svolto dalle associazioni dei parenti delle vittime del rogo. Grazie al loro coraggio e a loro incessante lavoro di ricerca sono emersi molti elementi nuovi e rilevanti sull'intera vicenda.
Signor Presidente, le inchieste parlamentari hanno questa nobile finalità: cercare i tratti caratteristici e le cause di fatti, episodi, eventi e fenomeni che singole inchieste giudiziarie o amministrative non sono riuscite a spiegare e a chiarire. L'indagine specialistica degli organi istituzionali incaricati fallisce o non completa la propria opera. Interviene allora l'indagine del potere rappresentativo che si avvale di una dose aggiuntiva di libertà di ricerca e di accertamento, frutto della dialettica parlamentare e della volontà di pervenire a verità condivise. Le inchieste parlamentari non si pongono in contrasto con quelle giudiziarie o amministrative ma al loro fianco, come ha stabilito la Corte costituzionale più volte, con leale collaborazione. Il loro scopo è lo stimolo e la conservazione nella memoria informativa su fatti di pubblico interesse, affinché il legislatore, cioè lo stesso Parlamento nell'esercizio di una diversa funzione, ne tenga conto. Tra i compiti della nuova Commissione - l'ha detto prima l'onorevole Maccanti - vi sarà quello di accertare, con la massima precisione, le circostanze in cui è avvenuta la collisione tra il traghetto “Moby Prince” e la petroliera “Agip Abruzzo” e quali comunicazioni radio intercorsero tra i soggetti pubblici o privati nei giorni del 10 e 11 aprile 1991. La nuova Commissione dovrà rivedere i tracciati radar e le rilevazioni satellitari, di qualsiasi provenienza, riguardanti il tratto di mare prospiciente il porto di Livorno durante quei giorni. Prima la collega Maccanti sottolineava il fatto che le Commissioni precedenti di Camera e Senato hanno lasciato un punto di partenza: la collisione tra il traghetto “Moby Prince” e la petroliera “Agip Abruzzo” è avvenuta all'interno di un'area di divieto di ancoraggio e pesca presente al tempo in rada, a seguito di una turbativa esterna della navigazione e provocata da un terzo natante che non è stato ancora possibile identificare con assoluta certezza?
Essa dovrà verificare, inoltre, fatti e atti, condotte commissive o omissive che abbiano costituito o costituiscono ancora oggi ostacolo, ritardo o difficoltà per l'accertamento giurisdizionale delle responsabilità relative al disastro della “Moby Prince”. Dovrà pure essere oggetto di indagine e di valutazione attenta l'accordo armatoriale, sottoscritto a Genova il 18 giugno 1991, tra NavArMa, l'Unione mediterranea di sicurtà e The Standard Steamship Owners Protection and Indemnity Association Limited, da una parte, e l'ENI, la Società nazionale metanodotti (SNAM), l'Agip, la Padana assicurazioni Spa e l'assicurazione tedesca, dall'altra, con particolare riferimento alle perizie in forza delle quali furono determinati gli importi erogati alle compagnie armatrici e ai familiari delle vittime.
L'esperto di contrattualistica assicurativa nel settore dei trasporti, che ha fatto la consulenza per la Commissione della scorsa legislatura, ha, a questo riguardo, avanzato una prospettiva tanto illuminante quanto forse inquietante, quella per cui una sorta di conciliazione transattiva tra le navi che si sono scontrate abbia di fatto messo tutto a tacere, su cui è giusto si continui ancora ad indagare.
In ogni caso, il Parlamento italiano non può accettare che le vittime di questo disastro restino con l'amara sensazione che un patto sia stato fatto alle loro spalle e sul loro dolore, in barba alla verità e alla giustizia. Concludendo, signor Presidente, sono certa che il dialogo che la Commissione d'inchiesta saprà intavolare proprio con i familiari delle vittime e con tutti i soggetti che posseggono elementi conoscitivi sarà proficuo per diradare le nuvole che ancora stendono ombre su questa storia triste. Preannunzio quindi, sin d'ora, il convinto appoggio di Fratelli d'Italia all'istituzione della Commissione d'inchiesta (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia e Lega-Salvini Premier).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Marco Simiani. Ne ha facoltà.
MARCO SIMIANI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Cari colleghi, care colleghe, illustre Presidente e Governo, l'incendio del traghetto “Moby Prince” avvenuto davanti al porto di Livorno il 10 aprile del 1991, costato la vita a 140 persone, rappresenta la più grave catastrofe della marineria civile della nostra storia repubblicana. Nonostante ciò, a oltre 30 anni di distanza da quella tragica notte, non si conoscono ancora nel dettaglio le cause, né le responsabilità di quella strage. Nonostante il lavoro svolto dalla magistratura e le risultanze di due Commissioni parlamentari d'inchiesta, istituite rispettivamente al Senato della Repubblica nella XVII legislatura (luglio 2015 - dicembre 2017) e alla Camera dei deputati nella XVIII legislatura (maggio 2021 - settembre 2022), la mancanza di verità su una pagina tanto dolorosa nella nostra storia nazionale rappresenta una ferita che può e deve essere sanata dalle istituzioni repubblicane, proseguendo nell'accertamento dei fatti e illuminando le tante zone d'ombra che continuano a gravare sulle circostanze di quel disastro.
Il percorso giudiziario ha visto nel 1998 l'assoluzione di tutti gli imputati in primo grado e poi la dichiarazione della prescrizione in appello, quindi la riapertura dell'inchiesta nel 2006 e la sua successiva archiviazione nel 2010. La relazione finale della Commissione parlamentare di inchiesta della Camera dei deputati ha sottolineato di non concordare con le risultanze cui è pervenuta l'autorità giudiziaria, in esito ai vari procedimenti che hanno riguardato la tragedia. La relazione infatti ha appurato che l'incidente tra il “Moby Prince” e Agip Abruzzo fu dovuto a un cambio di rotta improvviso del “Moby Prince”, provocato dall'altrettanto improvvisa comparsa di un terzo natante davanti al traghetto, che portò ad una manovra di emergenza necessaria ad evitare la collisione con quest'ultimo, manovra che però portò alla collisione con la petroliera Agip Abruzzo, ancorata in zona di divieto, resasi invisibile in quei momenti di blackout, oltre che avvolta da una nube di vapore acqueo per una probabilissima avaria agli impianti.
Nonostante la fine anticipata della XVIII legislatura ne abbia ridotto di 4 mesi la capacità di indagine, la Commissione d'inchiesta ha portato quindi a termine un avanzamento deciso nel quadro di una ricostruzione della tragedia. Detto questo, la verità giudiziaria rimane però attualmente quella che conosciamo: l'assenza di qualsiasi certezza sulle cause e sulle responsabilità della catastrofe del 10 aprile 1991. Passi avanti sono stati fatti, anche se non risolutivi. Se nel dicembre 2018 la procura della Repubblica di Livorno ha acquisito, infatti, gli atti della Commissione parlamentare d'inchiesta del Senato, senza tuttavia riaprire le indagini, è del novembre 2020 la sentenza del tribunale civile di Firenze, con la quale si nega ai familiari delle vittime il diritto al risarcimento, con la motivazione secondo cui ogni ipotesi di addebito deve ritenersi prescritta per il decorso del termine di due anni dalla data della sentenza della Corte d'Appello penale di Firenze, divenuta irrevocabile dal 9 febbraio 1998.
La mancanza di verità, riconosciuta dalle istituzioni repubblicane, e le relative conseguenze civili e penali rendono quindi oggi indispensabile una nuova iniziativa parlamentare affinché il Paese possa conoscere nel dettaglio le ragioni e le responsabilità di quanto accadde al traghetto “Moby Prince” e affinché le relative indagini giudiziarie siano riaperte per giungere a una valutazione coerente con i numerosi fatti nuovi emersi nel corso di questi anni.
Come parlamentari della Repubblica, siamo tutti chiamati a contribuire all'accertamento di una verità che non può essere sacrificata al mero trascorrere degli anni. Ce lo chiedono le 140 vittime di quella catastrofe, i loro familiari e la stessa coscienza pubblica di una democrazia, la cui credibilità poggia anche sulla capacità di far luce sulle pagine più dolorose della nostra storia.
Per queste ragioni, è stata proposta l'istituzione di una Commissione d'inchiesta parlamentare presso la Camera dei Deputati che, muovendo dall'attività e dalle conclusioni delle Commissioni istituite dal Senato nel corso della XVII legislatura e dalla Camera dei deputati nel corso della XVIII legislatura, ne esaurisca il lavoro acquisendo nuovi e indispensabili elementi al completamento del quadro già delineato e fornisca all'Italia, e dunque anche all'autorità giudiziaria un quadro ancora più preciso e tale da rendere indispensabile la riapertura delle indagini e l'accertamento di cause, circostanze e responsabilità di quella catastrofe.
Voglio ringraziare per la collaborazione attiva e proficua tutte le forze politiche: insieme siamo riusciti ad approvare in tempi brevi il testo in Commissione. Voglio ringraziare tutti i colleghi, lei, relatrice, e gli uffici della Camera, che si sono adoperati in un'unica direzione, inserendo nel testo anche alcune richieste dei familiari delle persone decedute, che - questo lo voglio sottolineare - rimangono ad oggi le uniche vittime in vita di una vicenda drammatica che non conosce colpevoli.
Grazie alla sensibilità del Presidente della Camera e dei gruppi politici il provvedimento è arrivato oggi alla sua approvazione conclusiva. Questa unità di intenti, che ha segnato il lavoro fino ad oggi, dovrà essere il faro dei commissari nei prossimi mesi. Non sarà infatti permesso a nessuno, indipendentemente dall'appartenenza politica, qualsiasi tentativo di strumentalizzare l'attività della Commissione, il cui unico obiettivo sarà la ricerca della verità dei fatti. Faccio questo inciso perché rimanga chiaro a tutti che - come è accaduto in altre Commissioni di inchiesta - questa dovrà essere scevra da ogni personalismo, da ogni tentazione di visibilità individuale e da ogni caratterizzazione politica. Noi faremo questo perché ce lo chiede l'opinione pubblica, ce lo chiedono i familiari delle persone decedute, ce lo chiede il ricordo delle 140 vittime. Ce lo impone anche il nostro ruolo istituzionale perché è assolutamente fondamentale arrivare, prima di tutto, a una verità storica, Presidente, affinché rimanga oggi almeno questo davanti agli occhi di tutti e, soprattutto, dei familiari, perché su questa strage - perché fu una strage, qualcuno l'aveva messo anche in dubbio - oggi deve essere assolutamente appurata la verità. Il Partito Democratico sarà al fianco delle istituzioni e, soprattutto, della Commissione d'inchiesta per arrivare proprio a queste verità. Grazie Presidente e grazie colleghi (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, MoVimento 5 Stelle e della deputata Maccanti).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Chiara Tenerini. Ne ha facoltà.
CHIARA TENERINI (FI-PPE). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, la tragedia della nave “Moby Prince” è tristemente nota, un terribile incidente, avvenuto nella notte tra il 10 e l'11 aprile 1991 davanti al porto di Livorno, che coinvolse il traghetto “Moby Prince”, di proprietà della Nav.Ar.Ma. e la petroliera “Agip Abruzzo”. In seguito alla collisione tra le due imbarcazioni, si sviluppò un vasto incendio, alimentato dal petrolio fuoriuscito dalla petroliera, che causò la morte di tutte le 140 persone a bordo del “Moby Prince”- equipaggio e passeggeri - eccetto che del giovane mozzo napoletano Alessio Bertrand.
Dopo i fatti venne avviata un'indagine giudiziaria ma la stessa non fu in grado di individuare reali responsabilità e colpevoli dal momento che si concluse, nel 1998, con l'assoluzione in primo grado e, poi, la prescrizione in appello di tutti gli imputati. Nel 2006, l'inchiesta venne riaperta e, successivamente, archiviata nel 2010, ancora senza una causa precisa, ancora senza colpevoli. Le inchieste giudiziarie succitate sono state oggetto di pesanti critiche.
Di fatto, ad oggi, non è ancora chiaro perché l'“Agip Abruzzo” e la “Moby Prince” siano venute a contatto perché, se ognuna avesse seguito la propria trattoria, le due navi non avrebbero avuto una collisione. Quindi, qualcosa è accaduto. Non solo. Le indagini effettuate non hanno mai appurato perché i soccorsi siano arrivati in tempo per la petroliera, dove, infatti, non sono state registrate vittime, ma non siano arrivati per tempo - o, forse, non sono arrivati affatto - per il traghetto.
Per lungo tempo, troppo tempo, la causa del disastro è stata attribuita alla nebbia ma non solo alla nebbia perché, nelle ore che hanno immediatamente seguito l'incidente, si era anche diffusa la voce che l'equipaggio e il comandante avessero tenuto una condotta non eccepibile, una condotta, per così dire, distratta dal fatto che quella sera veniva trasmessa in televisione una partita di calcio. Questo fatto, poi, fu assolutamente smentito anche dal superstite Bertrand, che non ha mai, mai riferito di questa circostanza che, per anni, ha infangato la memoria del comandante Chessa e di tutto il suo equipaggio. Per questo, i suoi familiari hanno lottato come leoni, e stanno lottando ancora, per riabilitare la figura del proprio padre. Credo che anche questo sia un aspetto fondamentale di questa vicenda.
Sappiamo con certezza, però, grazie agli accertamenti delle Commissioni parlamentari degli anni scorsi, che la sera del 10 aprile del 1991 nella rada del porto di Livorno la nebbia non c'era e da questa pesante verità si è partiti nelle indagini parlamentari. Tra il 1998 e il 1999, fu per la prima volta avviata un'indagine conoscitiva dalla IX Commissione della Camera dei deputati sulla sicurezza del trasporto marittimo e sulla vicenda del traghetto “Moby Prince”, che fornì indicazioni fondamentali in ordine alla sicurezza in mare.
La prima Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause del disastro del traghetto “Moby Prince” fu, invece, istituita con deliberazione del 22 luglio 2015. Era composta da 20 senatori e il suo scopo era proprio quello di svolgere indagini sul noto incidente. La Commissione scelse di iniziare la propria attività con una audizione dedicata alla testimonianza dei rappresentanti delle due associazioni dei familiari, l'associazione “10 aprile” e l'associazione “140 familiari delle vittime del Moby Prince” che ci tengo a rammentare. Queste associazioni consegnarono alla Commissione un documento di approfondimento con il quale evidenziarono le proprie legittime istanze di verità. La stessa approfondì ogni possibile risvolto relativo alla collisione, analizzando compiutamente il ruolo e le eventuali responsabilità di ogni soggetto coinvolto, a qualsivoglia titolo, sia nel disastro sia nella gestione dell'emergenza conseguente ad esso, raccogliendo interi volumi di documentazione e svolgendo moltissime audizioni, nonché sopralluoghi al porto di Livorno. La Commissione arrivò alla conclusione di non concordare con le risultanze cui era pervenuta l'autorità giudiziaria in esito ai vari procedimenti che riguardarono la tragedia. In particolare, dissentì sulla riconducibilità della tragedia alla presenza della nebbia e alla condotta colposa, in termini di imprudenza e negligenza, avuta dal comando del traghetto “Moby Prince”.
La seconda Commissione di inchiesta si costituì nel maggio 2021 alla Camera. Invece di indicare un obiettivo generico inerente l'esigenza di giustizia e verità, si è esplicitamente impostata l'azione su alcuni specifici pilastri, partendo dal presupposto che bisognasse fare chiarezza su quanto accaduto quella maledetta notte riguardo a eventuali responsabilità in ordine a fatti riconducibili ad apparati, strutture e organizzazioni, comunque denominati, o anche a singoli individui e riguardo a quello che era stato commesso o anche omesso di fare, non solo per la collisione ma anche per costituire, allora o perfino ora, ostacolo, ritardo o difficoltà per l'accertamento giurisdizionale delle responsabilità. Tutto questo mediante l'acquisizione delle comunicazioni radio intercorse tra soggetti pubblici e privati nelle giornate del 10 e 11 aprile 1991, così come pure di tracciati radar e di rilevazioni satellitari di qualsiasi provenienza relativi a quel tratto di mare in quei giorni, e l'analisi dei soccorsi, anzi, di quello che non è stato fatto a tal riguardo. L'intenzione della Commissione fin dall'inizio è stata quella di impostare un raggio di azione ampio al fine di approfondire, da un lato, eventuali correlazioni tra l'incidente ed eventuali traffici illeciti di armi, combustibili, scorie e rifiuti tossici e, dall'altro, l'accordo armatoriale fra Nav.Ar.Ma. e Snam, più i rispettivi pool assicurativi, con particolare riferimento alle perizie relative agli indennizzi.
La conclusione finale della succitata Commissione, che ha terminato i lavori anzitempo a causa della fine anticipata della legislatura, ha mostrato parecchi aspetti interessanti che meritano, ancora oggi, ulteriori approfondimenti. La Commissione ha ritenuto che le condizioni di visibilità di quella sera fossero normali e che, allo stesso modo, la condotta tenuta dal comando del traghetto fosse in linea con i principi di prudenza e diligenza. Analogamente, è stato accertato che l'esplosione a bordo del traghetto sia stato un evento avvenuto in seguito alla collisione con la petroliera. L'analisi ingegneristica commissionata dalla Commissione ha concordemente verificato come una turbativa esterna sia stata la causa della collisione e che questa sia intervenuta in un momento spazio temporale molto preciso, nel quale il traghetto stava regolarmente navigando nelle acque antistanti il porto di Livorno. La Commissione ha ritenuto, dunque, che, nello scenario di quella sera, la presenza di una terza unità navale in movimento abbia interferito con la rotta del traghetto e abbia obbligato il “Moby Prince” ad una manovra evasiva. Pur avendo individuato alcuni interessanti spunti di indagine, essa non è stata in grado di indicare con certezza quale fosse l'identità di questo terzo natante, in quanto il termine anticipato della legislatura ha interrotto gli accertamenti che erano stati disposti.
La Commissione ha evidenziato, inoltre, che l'analisi dell'accordo assicurativo sulla collisione siglato tra i vari soggetti nell'immediatezza dei fatti potesse essere definito un unicum e che abbia avuto una marcata influenza sullo sviluppo delle indagini, prima, e della fase processuale dopo, per la rappresentazione dei fatti prospettata e, in seguito, accolta dall'autorità giudiziaria. Allo stesso tempo, la stessa ha rilevato incertezze in merito alla provenienza della petroliera ma certezze sulla non riconducibilità della tragedia né alla presenza della nebbia, come abbiamo detto, né, in termini di imprudenza e negligenza, al comando della “Moby Prince”. Naturalmente, nella relazione finale, la Commissione parlamentare ha fatto chiarezza su molti aspetti, in particolare facendo luce su aspetti che non erano emersi a seguito delle indagini della magistratura. Ciò anche grazie alla forza e alla tenacia dei parenti delle vittime che, in questi anni, hanno impedito che sulla vicenda calasse il velo del silenzio e dell'impunità.
Questa nuova Commissione di inchiesta dovrà fare passi in avanti rispetto a ciò che è stato già acclarato, partendo dalle conclusioni, che sono importanti, e cercando nuovi riscontri, per contribuire a mettere un altro importante tassello verso una verità, quella verità che i familiari delle vittime e tutto il Paese aspettano da più di 30 lunghi anni. Colleghe e colleghi, oggi noi siamo qui per cominciare a colmare un vuoto, un vuoto di verità e, quindi, anche un vuoto di giustizia. Dobbiamo portare avanti un lavoro già iniziato, al fine proprio di colmare quel vuoto e fare chiarezza sulla tragedia del “Moby Prince”, uno degli episodi più inquietanti e misteriosi della storia del nostro Paese. Abbiamo un preciso dovere di verità, non per vendetta fine a se stessa ma per costruire un futuro migliore. I nostri giovani devono crescere sapendo che certe tragedie sono accadute ma lo Stato ha fatto di tutto per scrivere una verità, anche scomoda, anche dolorosa, ma pur sempre una verità.
Il testo della proposta di inchiesta parlamentare in discussione si articola nel modo seguente. L'articolo 1 istituisce la nuova Commissione di inchiesta, stabilendone competenze e durata. Tra le competenze, si specifica che suoi compiti saranno: accertare eventuali e ulteriori responsabilità relative al disastro della nave “Moby Prince”, con riferimento a strutture, apparati ed organizzazioni; ricercare e valutare ulteriori e nuovi elementi che possano integrare i fatti sino ad ora conosciuti ed evidenziati dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause del disastro istituita nella XVIII legislatura; accertare, con la massima precisione, le circostanze in cui è avvenuta la collisione tra il traghetto “Moby Prince” e la petroliera “Agip Abruzzo”, le comunicazioni radio intercorse tra soggetti pubblici o privati nei giorni del 10 e 11 aprile nel 1991, i tracciati radar e le rilevazioni satellitari di qualsiasi provenienza riguardanti il tratto di mare prospiciente il porto di Livorno durante i suddetti giorni; verificare fatti, atti e condotte commissive od omissive che abbiano costituito o costituiscano ostacolo, ritardo o difficoltà per l'accertamento giurisdizionale delle responsabilità; esaminare le procedure, le modalità e i mezzi con cui sono stati organizzati e attuati i soccorsi in mare; verificare i motivi del mancato coordinamento nella gestione del soccorso delle vittime; accertare eventuali correlazioni tra l'incidente ed eventuali traffici illegali di armi, combustibile o scorie e rifiuti tossici avvenuti nella notte del 10 aprile 1991 nella rada di Livorno; valutare i termini dell'accordo armatoriale sottoscritto a Genova il 18 giugno 1991 tra la Navigazione arcipelago maddalenino (Nav.Ar.Ma.) Spa, l'Unione mediterranea di sicurtà e The Standard Steamship Owners Protection and Indemnity Association Limited, da una parte, e l'ENI Spa, la Società nazionale metanodotti (Snam), l'AGIP, la Padana assicurazioni Spa e l'Assuranceforeningen Skuld, dall'altra, con particolare riferimento alle perizie in forza delle quali furono determinati gli importi erogati alle compagnie armatrici e ai familiari delle vittime. La Commissione sarà composta da 20 deputati e potrà procedere ad indagini con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria, potrà acquisire copie di atti e di documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organismi inquirenti, nonché copie di atti e di documenti relativi a indagini e inchieste parlamentari, anche se coperti dal segreto. La Commissione garantirà il mantenimento del regime di segretezza fino a quando gli atti e i documenti trasmessi in copia siano coperti da tale segreto.
Nei succitati obiettivi, mi sembra palese la volontà di andare veramente a fondo nella questione, senza tralasciare nulla, per dare finalmente risposta a una serie innumerevole di interrogativi che da anni non trovano risposta.
Un pensiero, da parte mia, ai familiari delle vittime, che hanno lottato e che ancora combattono con tenacia, senza arretrare di un millimetro, e perseveranza perché su questa tragedia non cali il silenzio. Io voglio mandare un personale e sincero saluto e pensiero a Loris Rispoli, familiare di una vittima, il quale sta combattendo a sua volta da anni una battaglia personale. Voglio pensare e mandare un silenzioso abbraccio ad Angelo Chessa, figlio del comandante Ugo Chessa, che purtroppo ci ha lasciato negli ultimi anni, dopo una battaglia sfrenata per arrivare alla verità sulla condotta del padre e per riabilitarlo, e a Luchino Chessa, fratello di Angelo, che con lui ha combattuto in tutti questi anni. Noi abbiamo un dovere, perché abbiamo un patto da rispettare con tutti quelli che in questi anni, in diversi modi, si sono impegnati con dolore, con rabbia e con speranza, affinché la verità fosse resa chiara e, di conseguenza, la giustizia potesse avere una risposta, perché peggio di perdere un familiare in circostanze così terribili, peggio di questo, è il non avere il diritto alla verità e alla giustizia. Soprattutto, dobbiamo sempre tenere alta la memoria delle 140 vittime della tragedia del “Moby Prince”.
Prima di concludere, voglio fare i miei ringraziamenti a tutti i colleghi commissari della Commissione trasporti, che hanno lavorato in maniera trasversale per arrivare oggi in Aula, alla relatrice, al Governo, che ha accompagnato questo percorso, ai colleghi che hanno presentato la PDL, in particolare al mio collega Pittalis, che è stato il primo, dopo l'esperienza della scorsa legislatura come vicepresidente, a depositare l'atto subito dopo l'insediamento. Voglio ringraziare anche l'amico senatore Manfredi Potenti, perché con un atto di grande generosità ha ritirato la sua richiesta al Senato per facilitare la nostra PDL qui alla Camera, affinché questa Commissione trovasse velocemente la sua costituzione e potesse procedere portando avanti il lavoro che è stato terminato nella scorsa legislatura.
L'operato di questa Commissione metterà al centro l'azione parlamentare nella ricerca della veridicità dei fatti, un modo per ribadire l'importanza dell'operato delle istituzioni, anche laddove l'autorità giudiziaria non è stata in grado di fornire risposte esaustive. Però, le istituzioni ci sono, funzionano e possono arrivare alla verità, perché tutti noi, anche tutti noi, siamo 141 (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia-Berlusconi, Fratelli d'Italia, Lega-Salvini Premier e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Giorgio Fede. Ne ha facoltà.
GIORGIO FEDE (M5S). Grazie, Presidente. Io ringrazio tutti. In questi interventi in discussione generale non possiamo che esprimere un apprezzamento per il lavoro unitario che ha portato a costituire questa Commissione d'inchiesta. Per questo ringrazio i miei colleghi della Commissione trasporti, dal presidente Sasso alla relatrice Maccanti.
Entriamo nel merito ma proprio per ribadire, qui, in quest'Aula, oggi, quali sono le problematiche di cui stiamo parlando e la spinta che dovrebbe portare noi, il Governo, le istituzioni e il Parlamento, a promuovere azioni migliorative di tutte quelle cose che spesso non hanno funzionato come avrebbero dovuto e come atteso da ogni cittadino. Io ricordo - è nella memoria di molti di noi - la notte del 10 aprile 1991, quando avvenne l'incidente fra il traghetto “Moby Prince” e l'“Agip Abruzzo”. Lo ricordo anche in maniera particolare e condivido un momento personale, perché una delle vittime era il marito di una mia vicina di casa. Quindi, queste vicende le abbiamo vissute anche sul piano personale, nella dinamica delle persone che hanno avuto questa grande differenza.
Ora, a 32 anni di distanza da quel grave evento in cui sono morte, lo ricordiamo, 140 persone - è stato il più grande disastro della marina mercantile dal dopoguerra - ancora siamo qui, con i familiari, al fianco dei familiari, a chiedere verità e giustizia, perché questa verità e questa giustizia non sono state compiute in questo percorso. In 32 anni, sono passate ben 4 generazioni, ci sono genitori che hanno perso i loro figli, ci sono mogli e figli che hanno perso il proprio caro, ci sono anche, adesso, i figli dei figli, che non hanno ancora una certezza su cosa veramente sia accaduto. Questa è una cosa davvero terribile sul piano della democrazia. Purtroppo, è una delle tante - diciamolo chiaramente - storie opache della nostra Repubblica. Penso a tanti disastri, come quello di Ustica; oggi è il sessantesimo anniversario della tragedia del Vajont. Sono situazioni in cui veramente il cittadino si sente oppresso dal non avere una verità e una giustizia per morti che davvero non hanno giustificazione e per quelle vittime, che sono le ultime ad essere state tenute in considerazione.
Quindi, nei vari passaggi - questo lo dico proprio in ricordo e in onore di quelle persone che ancora oggi chiedono a noi, qui, in quest'Aula, di ottenere quella giustizia che non hanno mai avuto - in Commissione è emerso chiaramente che tutte quegli elementi che, inizialmente, hanno offuscato le procedure processuali, in primis la nebbia, non c'erano. Quindi, la nebbia è stata più nelle istituzioni ma non c'era nel porto di Livorno, quella notte. Lo hanno ricordato bene anche le colleghe e i colleghi che sono intervenuti prima di me, dando ampia spiegazione di come sia stato complesso e articolato. Però, noi non possiamo non ricordare l'Associazione 10 aprile - Familiari Vittime “Moby Prince”, l'iniziativa #iosono141 e Angelo Chessa, come già detto, e il suo impegno, con il fratello Luchino, per rendere onore al padre, al comandante Chessa, che è stato messo al centro di polemiche sicuramente immeritate, lui tra le tante vittime. Lo stesso vale per Loris Rispoli, che ha combattuto come un leone per portare avanti questo discorso. A Loris, oggi, vanno i nostri accorati saluto e vicinanza per le sue condizioni fisiche, anche quelle probabilmente logorate dall'aver combattuto una lotta come un leone. Io sono stato con lui e con gli altri familiari a Livorno, in alcune commemorazioni, e lo ricordo come una persona che metteva veramente entusiasmo. Oggi, il suo lavoro è proseguito dal mio amico Nicola Rosetti, che perse il papà in quella circostanza; ricordo anche lui e i suoi familiari.
Noi per queste persone dobbiamo andare avanti in questa Commissione. Oggi, ne constatiamo, purtroppo, la lungaggine eccessiva però non possiamo che essere felici di portare avanti e continuare il lavoro in questa terza Commissione, che prosegue quello della prima Commissione al Senato, nella XVII legislatura, e della seconda Commissione d'inchiesta monocamerale alla Camera, nella XVIII legislatura. Queste Commissioni, purtroppo, non hanno apportato verità e dico purtroppo perché queste verità non sono emerse negli atti giudiziari e nei vari processi.
Ci fu il processo di primo grado, a Livorno, che partì poco dopo; poi un secondo processo a Firenze e, successivamente, un terzo processo, ma c'è stata veramente tanta nebbia; quindi, nel fascicolo di 4.000 pagine, che i familiari hanno costituito con un supporto legale, si sono dette tante indicazioni che poi si sono rivelate, ahimè, tristemente vere: la mancanza di dati sui tracciati radar e sulle immagini satellitari, addirittura una grossolana scomparsa di una terza nave che era lì sul campo del porto di Livorno e che ha condizionato le manovre del “Moby Prince”, i sospetti su traffici illeciti riguardanti materiali tossici e armi di una nave somala, che era quella appunto presente, peraltro oggetto di tante indagini precedenti che ne hanno testimoniato l'attività, come le indagini di Ilaria Alpi e di Hrovatin, ricordiamo, nella vicenda della Somalia. E ancora: le assicurazioni, la tutela degli armatori, i tracciati dell'ENI della nave Agip Abruzzo che, addirittura, grossolanamente, non indicano le provenienze originarie e quelle effettive.
Quindi, veramente, c'è stata nebbia nelle attività giudiziarie e, purtroppo, e tristemente, a mio giudizio, fa riflettere la frase del Presidente Cossiga, in visita il 12 aprile 1991 al porto di Livorno, quando disse che la verità non sarà mai soddisfacente per nessuno e la giustizia non sarà mai appagante. Ora, questa è sicuramente la cronaca di quanto è avvenuto in questi 32 anni; mi auguro che la verità e la giustizia siano soddisfacenti ed appaganti per la dignità che dobbiamo riconoscere, qui, in quest'Aula, oggi, ai familiari delle vittime, che non sono 141, ma si sono moltiplicati negli anni, e hanno diritto, come tutti gli italiani, in questa e in altre vicende, ad avere una certezza: sapere che lo Stato lavora per loro, perché nel momento concitato, dopo questo drammatico incidente, sappiamo bene che le assicurazioni hanno agito in maniera pressante verso i familiari che dovevano decidere come sostenere le proprie famiglie, per la mancanza dei loro cari, quelli che garantivano il benessere, quelli che facevano una vita in mare, come tutti i marittimi, sicuramente fatta di sacrifici e di rischi, però, i rischi dovrebbero essere altri in mare; il tempo, altre variabili, non certamente quelle condizioni che hanno indotto a questa tragedia e che devono essere chiarite con fermezza.
Questo sarà il nostro compito, come hanno ricordato i colleghi; sarà l'impegno di tutti, perché spesso questo Parlamento si divide su tanti temi, ma con piacere su questo - e mi auguro, spero, anche su tanti altri - potremo avere una capacità costruttiva reciproca, perché si tratta veramente della ricerca della verità che è un elemento fondamentale; non siamo, in questo caso, per fortuna, mossi da quei movimenti di parte o di partito che spesso ci dividono, su posizioni peraltro legittime nella differente modalità di opinione, però, noi, qui, dobbiamo stare sul pezzo e portare avanti questo lavoro.
Concludo, dicendo che continueremo insieme e sono grato a tutti quelli che hanno contribuito a questo percorso. Il nostro compito sarà di colmare quel gap di tempo e di dare chiarezza. Sono sicuro che tutti ci metteremo d'impegno, come faremo anche noi. Come forza politica, lo dico anche qui con orgoglio, concludendo, come MoVimento 5 Stelle, abbiamo sempre condiviso questo impegno e siamo stati i proponenti di una prima proposta di inchiesta parlamentare il 26 marzo 2014, che ha portato alla costituzione della prima Commissione d'inchiesta, insieme con Sinistra Ecologia e Libertà, ma questo percorso poi si è ampliato. Comunque sia, non è una gara alla primazia, per l'amor di Dio, non è questo l'obiettivo, che andrebbe fuori dal discorso che ho fatto prima; era per dire che il nostro contributo ci sarà, c'è quello di tutte le forze politiche, quindi, andiamo avanti con questo lavoro e arriviamo a una soluzione per dare verità e giustizia alle 140 vittime del “Moby Prince” e ai loro familiari. E' un nostro dovere (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle, Fratelli d'Italia, Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, Lega-Salvini Premier e Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Andrea Barabotti. Ne ha facoltà.
ANDREA BARABOTTI (LEGA). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, onorevoli colleghe, non ricostruirò in questa fase del mio intervento i fatti occorsi il 10 aprile 1991, perché meglio e prima di me lo hanno fatto la relatrice, onorevole Maccanti, la collega Chiara Tenerini e gli altri colleghi che sono già intervenuti in questa discussione generale. Non voglio, però, rinunciare a ringraziare i colleghi della Commissione trasporti e la relatrice per il lavoro che stanno portando avanti e a ringraziare l'onorevole, anzi, oggi, senatore Manfredi Potenti, per il gesto di generosità che ha fatto a vantaggio dei lavori dell'istituenda Commissione sul disastro del “Moby Prince” e, soprattutto, a ringraziare il lavoro così proficuo che negli anni hanno fatto le prime due Commissioni che sono state istituite in seno al Parlamento.
Oggi, all'alba dell'istituzione della terza Commissione sul disastro “Moby Prince”, i sentimenti che mi attraversano sono racchiusi nel titolo di un libro di una grande toscana, di una grande scrittrice Oriana Fallaci, e sono la rabbia e l'orgoglio. Uno striscione che negli anni ha accompagnato tutte le manifestazioni sul disastro del “Moby Prince” recita: 140 morti e nessun colpevole.
Ed ecco il motivo della rabbia: dopo 32 anni da quel tragico incidente, da quel tragico evento, ancora oggi non c'è verità e, soprattutto, ancora oggi, non è stata fatta giustizia. La Toscana è una terra stupenda, è una terra solidale, è una terra ricca di bellezze, con una gloriosa storia alle spalle e un brillante futuro davanti a sé; purtroppo, sulla sua pelle ci sono molte ferite ancora aperte, che hanno portato il Parlamento, in diverse occasioni, a interrogarsi con Commissioni ad hoc. Oggi, parliamo del disastro del “Moby Prince”, ma come possiamo dimenticare il caso David Rossi, legato alla vicenda del Monte dei Paschi di Siena? Come non richiamare i terribili fatti, inqualificabili, che hanno riguardato lo cooperativa de “Il Forteto”?
Ecco che da toscano si fa spazio in me il sentimento dell'orgoglio, un sentimento forte che, a partire dalla rabbia di una ferita ancora aperta e dolorosa, ci incoraggia, ci stimola, ci impone di andare avanti nella ricerca della verità. Nessuno di noi può conoscere a quali conclusioni arriverà questa Commissione, ma tutti noi sappiamo che stiamo facendo la cosa giusta, perché la drammatica e oscura vicenda del “Moby Prince” rimane una tra le più brutte e dolorose ferite sulla pelle della nostra Repubblica, una ferita ancora aperta che non è stata curata dalla giustizia e il cui dolore non accenna a placarsi, poiché su questa ferita non è stato spalmato nemmeno il balsamo della verità.
Prima di entrare nel merito del provvedimento credo doveroso evidenziare almeno due aspetti della vicenda. Il primo riguarda senza dubbio il senso civico e la grande umanità che ha spinto migliaia di nostri concittadini, a partire proprio dai familiari delle vittime, a impegnarsi affinché il tempo non rappresentasse uno strumento per annichilire, ridimensionare o, addirittura, per accettare verdetti e sentenze di una strage senza colpevoli. Consentitemi di manifestare la mia vicinanza umana a tutti i familiari delle vittime, la mia e quella del gruppo Lega-Salvini Premier, vittime di una tragedia immane, come ricordavamo, e in particolare di manifestare la mia vicinanza, la nostra vicinanza a Loris Rispoli, il capo storico dell'associazione che riunisce i familiari delle vittime. Loris ha perso sua figlia nel disastro “Moby Prince” e, stremato dalla lotta per la verità, ha perso prematuramente anche la salute. Tante e tante volte abbiamo visto Loris intervenire, testimoniare e manifestare, indossando una maglia con su scritto: #iosono141.
Loris è la centoquarantunesima vittima di quella strage, tutti i familiari sono 141. Oggi, in questa solenne Aula, anch'io e tutto il gruppo della Lega siamo 141 e, insieme a voi, a tutti voi, colleghi e colleghe, all'atto di votare l'istituzione di questa Commissione, saremo tutti 141, insieme a quegli italiani, a quelle italiane che lottano per un Paese dove la verità non sia mai e poi mai merce di scambio.
Il Parlamento ha già sviluppato uno straordinario lavoro di indagine che ha consentito di far luce su alcune incredibili falsità, che hanno caratterizzato l'iter giudiziario, con la logica conseguenza di aver prodotto sentenze sbagliate.
Noi tutti dobbiamo interrogarci se sia accettabile che sussista e continui a sussistere una discrepanza così elevata tra l'azione della magistratura e quella della politica. La prima ha concluso i suoi lavori con atti assolutori; la seconda, la politica, sta portando alla luce sconcertanti verità. Se è vero che tutti i reati rappresentano un'offesa a tutta la nostra collettività, ecco che una sentenza giudiziaria, basata su fatti che sono smentiti oggettivamente, rischia di perpetrare questa offesa. Questa premessa mi appare doverosa, perché, dopo oltre 30 anni da quel drammatico evento, ancora una volta il Parlamento italiano ha il dovere di continuare la ricerca della verità, nella consapevolezza che i lavori, già realizzati nelle legislature passate, hanno prodotto un capovolgimento di alcune verità precostituite, ribaltando, di fatto, la realtà o la pseudo-realtà processuale.
Oggi siamo qui per fare ulteriori passi in avanti in questa direzione, consapevoli che non c'era nebbia in quella notte, che non vi è stata negligenza o condotta discutibile da parte del comandante della nave, consapevoli che vi era una petroliera ancorata in un'area in cui vi era un divieto di ancoraggio, consapevoli che la morte delle 140 persone presenti sulla “Moby Prince” non è avvenuta nell'arco di 30 minuti, consapevoli che i soccorsi sono stati indirizzati prioritariamente verso la petroliera Agip Abruzzo senza che nessuno si interessasse tempestivamente del traghetto, consapevoli che nella rada del porto di Livorno, in quella sera del 10 aprile 1991, erano presenti navi militarizzate, cariche di armi ed esplosivi, di ritorno dalla guerra del Golfo. Proprio dagli atti e dai documenti prodotti dalla seconda Commissione di inchiesta, emerge una dinamica dell'incidente secondo cui la collisione sarebbe stata l'esito sfortunato di una manovra evasiva volontaria della “Moby Prince”, fatta nel tentativo di evitare un terzo natante, non identificato, che operava in un tratto di mare proprio a poca distanza dalla petroliera Agip Abruzzo e da alcune delle navi militarizzate.
Ecco, allora, che diviene importante quanto previsto dall'articolo 1 del testo della proposta di istituzione che, alla lettera g), prevede di accertare eventuali correlazioni tra l'incidente ed eventuali traffici illegali di armi, di combustibili o di scorie di rifiuti; ecco che diviene di vitale importanza approfondire i termini dell'accordo armatoriale sottoscritto a Genova il 18 giugno 1991 fra i soggetti che, a vario titolo, furono coinvolti in questa strage.
Non meno importante è anche quanto dovremo accertare in merito alle procedure, alle modalità e ai mezzi con cui sono stati organizzati e attuati i soccorsi in mare, le circostanze nelle quali essi sono stati condotti e ogni fatto utile a individuare le responsabilità. Da questo punto di vista, mi ha molto colpito un articolo pubblicato a gennaio su Il Fatto Quotidiano dal titolo: “Moby Prince e il mistero dell'elicottero che girava sulla nave a fuoco”. Credo che anche questo aspetto sia significativo, visto che nella mattina dell'11 aprile almeno 3 - e dico 3! - elicotteri avrebbero sorvolato e volteggiato sopra quanto rimaneva di quel traghetto. “Fino ad oggi”, si legge scorrendo l'articolo, “sono rimasti ignoti i nomi di questi velivoli e degli equipaggi. Nessuno li ha mai cercati, né loro si sono mai proposti per prestare testimonianza”. Quello che sappiamo con certezza, dagli atti giudiziari, è che in uno di quegli elicotteri c'era un fotografo che scattò almeno 6 fotografie del traghetto. Il fotografo ha dichiarato che avrebbe scattato almeno 36 foto, per un tempo totale di circa due ore. Il fatto eclatante, che ci impone ulteriore impegno, è che da quegli scatti si vede chiaramente un corpo a poppa della nave, quello di Antonio Rodi, e queste immagini ci danno la certezza disarmante che alcune vite in quelle ore forse potevano essere salvate, se quello che doveva essere fatto fosse stato fatto.
Dopo aver ringraziato i familiari delle vittime e i cittadini che, in questi anni, non hanno mai smesso di lottare per la verità, concludo con un ringraziamento e una riflessione. Un ringraziamento ulteriore per i giornalisti e le testate che fanno inchieste in modo serio, perché senza l'impegno di tanti professionisti dell'informazione forse non sarebbe ancora così viva la speranza di raggiungere una verità. Nel prosieguo di questi lavori abbiamo ancora bisogno di loro. Infine, la riflessione: davvero i risultati delle nostre indagini, la verità comprovata dai fatti, dovranno avere una valenza solo politica? Il tribunale di Firenze, in un recente pronunciamento, derubrica il lavoro svolto da una Commissione di inchiesta del Senato nel corso della XVII legislatura come un mero atto politico, che non supera quanto accertato a livello penale. Per questo motivo occorrerebbe accompagnare i lavori della Commissione parlamentare anche con una riflessione, affinché, qualora siano accertati fatti nuovi che determinano oggettivamente un radicale stravolgimento delle conclusioni giudiziarie, vi siano percorsi definiti per rendere concretamente giustizia. Se il caso “Moby Prince” è per noi un percorso di ricerca della verità per garantire giustizia, allora, raggiunta la prima, non possiamo, noi e le istituzioni repubblicane tutte, arrenderci e non garantire alle vittime di questa storia anche la seconda, la giustizia (Applausi dei deputati dei gruppi Lega-Salvini Premier, Fratelli d'Italia, Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, MoVimento 5 Stelle e Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche - Doc. XXII, n. 9-A e abbinate)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice che rinuncia. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo che rinuncia.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.
Discussione della mozione Braga ed altri n. 1-00191 concernente iniziative a salvaguardia del sistema sanitario nazionale.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Braga ed altri n. 1-00191 concernente iniziative a salvaguardia del sistema sanitario nazionale (Vedi l'allegato A).
La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 6 ottobre 2023 (Vedi l'allegato A della seduta del 6 ottobre 2023).
Avverto che è stata presentata la mozione Quartini ed altri n. 1-00193 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente (Vedi l'allegato A). Il relativo testo è in distribuzione.
(Discussione sulle linee generali)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
È iscritto a parlare il deputato Nicola Stumpo, che illustrerà la mozione Braga ed altri n. 1-00191, di cui è cofirmatario.
NICOLA STUMPO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, la discussione di questa mozione cade in un momento più che mai opportuno. Infatti, siamo in prossimità di dare al nostro Paese, con la legge di bilancio, l'indirizzo, non soltanto teorico, ma anche reale e pratico, di quella che è sicuramente la realtà più complessa che avremo davanti nei prossimi anni, perché noi veniamo da una stagione che ha segnato inevitabilmente il tempo e la storia. Infatti, esiste una storia pre-COVID, è esistita drammaticamente una fase del COVID ed esisterà una fase post-COVID.
Noi, oggi, siamo in una via di mezzo. Anche se questo Governo ha cancellato i dati del COVID, basta sentire o parlare con i vicini di casa, se non siamo noi stessi i vicini di quelli che ancora oggi hanno il COVID, per capire che non è la condizione e la situazione di qualche tempo fa soltanto, perché in quella fase dura del COVID si è avuto il coraggio di fare alcune cose e in questi giorni hanno ricevuto il premio Nobel gli inventori del vaccino contro il COVID, che ha salvato milioni di persone e forse l'intera umanità. Noi siamo in questa fase.
Abbiamo vissuto l'esperienza più drammatica di questa fase moderna dell'umanità e dobbiamo dimostrare di avere capito come si affrontano queste situazioni. I numeri sono impietosi, parlano chiaro, e la mia impressione è che il nostro Paese non abbia recepito in alcun modo la lezione. Spero di essere smentito, speriamo di essere smentiti. Vi chiediamo di smentirci, di cambiare registro, di mettere una marcia in più per capire che, sulla sanità, non si tratta più di fare cassa, di fare, come si è fatto negli anni passati, ossia di spostare il sistema sanitario da quello pubblico verso quello privato, perché diventasse un fatto meramente economico e finanziario, ma riprendere lo spirito dell'articolo 32 della Costituzione, riprendere lo spirito della legge istitutiva del Servizio sanitario nazionale, riprendere lo spirito con cui questo Paese ha affrontato grandi problemi, ogni qualvolta è stato chiamato a risponderne.
Noi, invece, ci troviamo di fronte a una situazione diversa. Questi mesi, dopo avere propagandato che tutto era possibile, che, una volta arrivati al Governo, si era in grado di cambiare le sorti di qualsiasi cosa, le state cambiando, ma decisamente in peggio. Avete buttato via fin qui un pezzo del PNRR, e parlo, nella fattispecie che ci riguarda, della Missione 6, dei soldi buttati via per costruire una sanità territoriale migliore. Si poteva essere in disaccordo con il progetto trovato, ma bisognava potenziarlo, non definanziarlo. Bisognava fare più case della salute, come si chiamavano prima, o ospedali territoriali, più sanità territoriale, non meno.
Se ne volevate fare meno, perché puntavate su qualche altro modello, per esempio, quello moderno della digitalizzazione e della telemedicina, dovevate finanziarle, non definanziarle. Avete tagliato i fondi per la telemedicina, non li avete utilizzati. Avete cambiato il modello con cui bisognerebbe curare tutti i cittadini nei prossimi anni, che è quello di avere i dati digitalizzati e sapere il rischio territorio per territorio. Avete deciso che soltanto i nativi, d'ora in poi, avranno un fascicolo sanitario adeguato.
Quelli di prima, ovvero tutti quanti noi, chi ce l'ha ce l'ha e gli altri non verranno digitalizzati. Sono forme di arretramento anche rispetto a questioni normali su come bisognava affrontare questo tema. Niente, avete deciso di continuare una politica scellerata per cui la sanità è uno dei problemi, uno dei temi, non il tema da cui ripartire, il diritto alla salute dei cittadini in modo eguale, senza distinzione di censo, di area geografica. Dare, insomma, a tutti i cittadini italiani e a tutti i cittadini presenti sul nostro territorio una dignità di esseri umani per essere curati nel momento del bisogno, senza che questo comporti differenze a seconda della propria appartenenza sociale, del censo, del territorio dove ci si trova e anche del fatto di essere già in difficoltà. Mi riferisco a quei cittadini senza residenza, anche tanti italiani che si trovano in difficoltà, non soltanto stranieri, che, in qualche modo, vi fa venire la pelle d'oca l'idea di doverli curare, e invece va fatto, e vanno inseriti dentro questo nostro sistema anche quei cittadini italiani che, in questo momento, si trovano senza residenza.
State rischiando di avere ereditato una grande opportunità, a partire dal PNRR, ma soprattutto da una grande difficoltà che abbiamo vissuto tutti insieme, e la state trasformando in un ulteriore rischio. Aumenterete con questo modello, che altro non è che il definanziamento della sanità nazionale, perché lo possiamo raccontare in televisione, ma il finanziamento del Servizio sanitario nazionale si fa in percentuale del PIL, non è soltanto un numero assoluto.
E anche in una fase in cui il PIL non cresce, anzi, mi sembra stabile, se lo trovi al 7 per cento e lo porti al 6 e rotti, lo stai definanziando, non soltanto in percentuale, ma anche in termini assoluti. Dovremmo imparare tutti a capire che, se la media europea è molto più alta, dobbiamo capire perché abbiamo il bisogno di investire di più. Vi chiediamo in questa mozione di portarlo almeno al 7,5 per cento, ovvero portarlo al finanziamento che era stato fatto dagli ultimi Governi prima di questo, portarlo a un livello tale che non è neanche sopra la media europea. Così come vi chiediamo di impegnarvi a chiudere alcune stagioni che hanno segnato anche gli errori del passato, che sono stati quelli di non consentire alle regioni di fare nuove assunzioni, perché c'è un problema.
Abbiamo un numero di infermieri inferiore rispetto al numero di abitanti che c'è negli altri Paesi con i quali ci dobbiamo confrontare, la Francia, la Germania. La stessa cosa dicasi per i medici. E, allora, bisogna aumentare la possibilità di fare entrare queste figure in modo stabile nel Servizio sanitario nazionale, che significa anche pagarle meglio, e chiudere la stagione dei gettonisti oppure delle cooperative che sono dentro il Servizio sanitario, che costano al Servizio sanitario nazionale, apparentemente, di meno, ma, sostanzialmente, molto di più. Abbiamo alcune priorità, che inseriamo in questa nostra mozione.
Queste priorità hanno però bisogno di gambe su cui camminare. Queste gambe potevano essere i finanziamenti del PNRR, che voi state buttando via. Saranno sicuramente la non realizzazione di un progetto che spaccherà il Paese, quale quello dell'autonomia differenziata, perché non venite a raccontarmi che non parte se non ci sono i LEP. Nel momento in cui alcuni vanno da una parte e alcuni vanno dall'altra in un modo deciso dallo Stato, la sanità sarà diseguale, perché non si dice che prima si fanno i LEP e poi parte dappertutto, ma mano a mano, così come gira.
È vero che anche oggi ci sono regioni che sono sotto i LEA, ma bisogna intervenire per aumentare quei LEA, non inventarsi nuovi modelli per lasciare chi è indietro sempre più indietro. Questi sono i temi sui quali dovremmo confrontarci in questa nostra discussione, ma ci dovremmo confrontare con il Paese, perché saranno i problemi che si avranno di fronte, che vanno affrontati, e anche ripensati.
Il COVID ci ha lasciato non soltanto degli insegnamenti dal punto di vista della malattia, ma anche problemi, che un'intera generazione sta manifestando, di insicurezza, che vanno affrontati. Penso al diritto alla salute mentale, anche all'aiuto più basso da questo punto di vista, che è quello psicologico, che serve a dare l'idea di un Paese che si occupa dei propri cittadini e non che si occupa soltanto del fatto che la sanità è il primo fattore di bilancio di ogni singola regione, e che quindi è un tema con cui fare i conti e anche con cui far fare i conti agli altri e in modo privatistico.
Guardate che queste cose non vengono dette soltanto per marcare delle differenze, ma perché sono il tema più grande con cui si stanno cimentando in giro per il mondo anche le personalità del nostro Paese. Ad esempio, riprendo quello che ha detto il Presidente Mattarella: operare affinché quel presidio insostituibile di unità del Paese, rappresentato dal Servizio sanitario nazionale, si rafforzi, ponendo sempre più al centro la persona, i suoi bisogni concreti nel territorio in cui vive. Ma come conciliamo questo con quel modello di sanità che voi ci state propinando? Oppure, di fronte al dramma dei tempi per ricevere una qualsiasi cura o attenzione dal Servizio sanitario: quando, hai bisogno di farti una TAC, quali sono i tempi d'attesa? E cosa facciamo per modificare e ridurre la tempistica per le liste d'attesa? Perché non è una priorità? Serve forse per aumentare la domanda, come dicono i numeri degli ultimi anni, verso le strutture accreditate, che quindi possono operare? Noi stiamo spostando anche molta della sanità pubblica verso questo mercato. Insomma, non voglio farla molto lunga: noi abbiamo, in questa mozione - prima di avviarmi verso le conclusioni -, provato a inserire una serie di punti che servirebbero a costruire un modello comune, che poi le regioni dovrebbero provare ad attuare, anche con differenze. Però, non si può non partire da alcuni princìpi-chiave: il primo, che spetta a noi e al Governo, adottare ogni iniziativa volta a definire adeguate misure per ridurre le disparità territoriali in materia di sanità. E qui che io vedo le differenze tra chi propone non solo, come è normale, che ogni regione gestisca la sanità, perché l'abbiamo deciso, ma che lo faccia in un sistema che, a quel punto, non è più nazionale, attraverso una legge che voi vorreste imporre per dividere il Paese. Che i fondi del PNRR previsti nella Missione 6 siano utilizzati tutti – tutti – e per gli scopi cui erano stati assegnati, ovvero la costruzione, da un lato, della territorialità del sistema sanitario - le case di comunità, di cui si perde un gran numero, secondo il vostro modello - e gli ospedali di comunità, anche perché questo possa consentire agli ospedali di svolgere, e, soprattutto, ai pronto soccorso, la loro funzione essenziale. Togliere ai pronto soccorso alcune prestazioni che, invece, possono essere effettuate in queste strutture. Adottare un approccio preventivo e multidimensionale, che non lasci indietro alcuno, con una forte integrazione tra ospedale e territorio; potenziare i servizi per la salute mentale - come dicevo in precedenza - al fine di assicurare il benessere e la salute psicofisica delle persone, promuovendo consapevolezza e promozione della salute e l'adozione di comportamenti positivi. In questo senso va la previsione della figura dello psicologo delle cure primarie, quale primo livello di servizi di cure psicologiche di qualità. Operare attivamente al fine di evitare o ridurre i rischi e i danni alla salute correlati all'uso e all'abuso di sostanze stupefacenti, promuovendo interventi di prevenzione con piani di azione integrati tra i dipartimenti e le varie realtà presenti sul territorio. Dare piena attuazione alla legge delega 23 marzo 2023, n. 33, in materia di non autosufficienza adottando quanto prima i decreti legislativi. Adottare iniziative per sviluppare e potenziare la rete dei consultori familiari. Qui vi è una serie di punti che riguardano, diciamo, anche la sanità di genere: istituire la figura dell'ostetrica di comunità, quale soggetto fondamentale anche al fine di accompagnare e sostenere i genitori nella fase post parto, valorizzando tutte le professionalità sanitarie e sociali già esistenti piuttosto che istituire una non meglio definita nuova figura di assistente materna. Io capisco che ogni tanto bisogna anche cambiare i nomi e che lo avete fatto con i nomi dei Ministeri, per provare a cambiare un po' le acque, però quando ci sono figure già esistenti, si potenziano e non si cambiano le figure stesse. Uno può cambiare il nome, ma perché inventarsi cose che non sono, in questo momento, presenti nel sistema sanitario, quando già invece sono presenti figure che operano e potremmo strutturarle in modo migliore e farle funzionare meglio?
Inoltre, attribuire ad Agenas un ruolo quale ente del Servizio sanitario nazionale di supporto tecnico-scientifico del Ministero: questo anche per semplificare un po' le modalità. Ancora - e sono gli ultimi punti -, promuovere un approccio del Servizio sanitario nazionale mirante a riconoscere che la salute dell'uomo e degli animali domestici e selvatici, delle piante e dell'ambiente, in generale, sono strettamente collegati e interdipendenti, riconoscendo che vi è la necessità comune di acqua pulita, energia e aria, alimenti sicuri e nutrienti, nonché la necessità di contrastare il cambiamento climatico. Infatti, vedete, quando si parla di salute, si parla di tutto ciò che gira intorno alla nostra fine. Infine, gli ultimi due punti: il primo - l'ho già detto più volte -, che riguarda i LEA e quant'altro, e il secondo è dare seguito alla promessa, rilasciata in sede di approvazione del decreto Tariffe, prevedendo, fin dal primo provvedimento utile, lo stanziamento di ulteriori 400 milioni volti a coprire i maggiori costi derivanti dal decreto stesso.
Insomma, concludendo signor Presidente, questa mozione vuole dare un suo contributo affinché non sia sprecato ciò che è successo e questo Governo, quando arriverà il momento di finanziare il sistema sanitario, se lo ricordi e non lo demandi agli anni futuri, perché potrebbe essere tardi.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Andrea Quartini, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00193. Ne ha facoltà.
ANDREA QUARTINI (M5S). Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, signor Sottosegretario, la nostra mozione va in una direzione onnicomprensiva, cioè coerente con l'idea, ormai acquisita un po' a tutti i livelli, che la salute dovrebbe essere parte integrante di tutte le politiche, non soltanto relativamente alla sanità. Non a caso noi abbiamo un articolo 32 della Costituzione, che tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività; non solo, noi abbiamo la legge sanitaria più bella del mondo: la legge di istituzione del Servizio sanitario nazionale, la n. 833 del 1978, che si basa su principi di universalità, uguaglianza ed equità.
Vede, signor Presidente, il connubio fra l'articolo 32 della Costituzione e la legge n. 833 del 1978, cioè i principi dell'universalità, dell'uguaglianza e dell'equità attribuiscono un compito-dovere allo Stato, che è quello di finanziare il Servizio sanitario nazionale, di sostenerlo economicamente e di garantire e tutelare la salute dell'intera collettività, in quanto diritto non comprimibile. Non si può assolutamente comprimere questo diritto, secondo il nostro dettato costituzionale.
Sappiamo benissimo che la deprivazione economica e lo stato di salute sono legati in maniera inestricabile e che l'aspettativa di vita aumenta in modo evidente con l'aumentare della ricchezza media. Quindi, noi riteniamo che anche le misure di contrasto alla povertà siano essenziali per assicurare lo stato di salute della popolazione. Non a caso, i determinanti della salute restano gli stessi declinati nella Conferenza di Alma Ata del 1978, nella famosa piramide dei determinanti di salute. Ciò che fa salute sono, prima di tutto, la sicurezza economica e sociale e l'istruzione di ogni individuo; seguono a queste le determinanti politiche sanitarie generali, come quella dell'igiene pubblica, della potabilizzazione delle acque, eccetera.
Quindi, dal nostro punto di vista, diventa essenziale la lotta alla povertà. Non a caso, Presidente - lo dico in un'ottica anche di maggior consapevolezza di ciascuno di noi - la parola “salute” e la parola “salario” hanno la stessa etimologia, derivano da “salvare, conservare”. La parola salario ovviamente viene da “salarium”, una quota di sale raro per pagare i soldati, ma anche la parola salute viene da “sale” e da “conservare”. Allora, ecco che il reddito di cittadinanza ed il salario minimo, dal nostro punto di vista, rappresentano prima di tutto delle misure di dignità, ma in seconda battuta sono misure sanitarie, perché possono consentire uno stato di miglior salute.
In questa direzione, vanno i principi espressi dalla Dichiarazione dei diritti umani dell'ONU, dalla Carta Costituzionale, dalla Carta sociale europea, dalla Dichiarazione di Alma Ata, dalla Carta di Ottawa dell'OMS e dalla legge n. 833 del 1978. Ci dicono che occorre mettere al centro dell'agenda politica del Paese il benessere e la qualità di vita dei cittadini, attraverso azioni che non transigano dai seguenti tre aspetti.
Noi dovremmo considerare la platea dei cittadini a cui si rivolge il Servizio sanitario nazionale fatta da soggetti che possono esigere diritti e doveri e non solo da pazienti da curare, peraltro troppo spesso mercificati come clienti a cui erogare servizi.
Secondo punto: dovremmo promuovere e proteggere la salute, intesa come completo benessere, piuttosto che la sanità e la malattia: parliamo di salute e non di malattia.
Terzo punto: dobbiamo considerare la spesa in salute non un costo, ma un vero e proprio investimento per l'intero sistema Paese. Tuttavia perché vi fosse un obiettivo di privatizzazione del Servizio sanitario nazionale o di contenimento delle spese sanitarie, il risultato negli anni è stato che il Servizio sanitario nazionale è in credito con il bilancio dello Stato di ben 37 miliardi, sottratti per essere destinati altrove. Un'inversione di tendenza rispetto agli anni della pandemia, quando la spesa sanitaria era tornata a crescere progressivamente e noi rivendichiamo il fatto di avere portato la spesa sanitaria alla media europea del 7,2 per cento del PIL in quegli anni. Tuttavia, già nella manovra economica per il 2023, la spesa sanitaria è tornata nuovamente a contrarsi, come è peraltro rappresentato anche dalla stessa Corte dei conti: so che alla maggioranza dà un po' fastidio questa Corte dei conti, però è un'autorità indipendente e neutrale, che ci ha detto che è insostenibile un percorso di questo tipo. Proprio in occasione della predetta manovra, la Corte dei conti ebbe a stigmatizzare il fatto che il rapporto fra spesa sanitaria e PIL si portava su livelli inferiori a quelli precedenti il COVID e la crisi sanitaria. Nel 2024, la spesa sanitaria arriverà al 6,3 per cento del PIL, per ridursi ancora di un decimo nel 2025 ed arrivare addirittura al 6,1 nel 2026. Queste cifre vengono confermate sia da un'altra autorità indipendente, che è il Gimbe, ma soprattutto - e questo preoccupa tantissimo - dalla stessa Nota di aggiornamento al DEF, di cui riparleremo a breve in questi giorni in quest'Aula.
Pensate che il decrescere dell'incidenza sul PIL della spesa sanitaria è un elemento preoccupante perché si traduce in meno salute e pone il nostro Paese al di sotto della media dei Paesi OCSE e al di sotto dell'accettabilità, con evidenti ripercussioni sulla qualità e l'efficacia dell'assistenza sanitaria e naturalmente sull'aspettativa di vita. È tutto documentato, non ce le stiamo inventando queste cose.
Pensi, Presidente, che il Fondo sanitario nazionale dei Paesi OCSE ad oggi è in media pari al 7,1 per cento del PIL. Addirittura, la spesa media pro capite, solo in termini di sanità pubblica, è pari a 3.200 euro per ogni cittadino italiano, contro una media OCSE di 4.100 euro, quindi è pari a 1.000 euro in meno all'anno, alla metà della spesa della Germania e a quasi la metà di quella dell'Olanda - se volete vi leggo tutti gli Stati che sono più avanti di noi e sono numerosissimi -, ma, nonostante questo, noi abbiamo un Servizio sanitario nazionale che ancora regge, grazie agli operatori sanitari, non grazie alla politica. Allora, se questi dati confermano che la difesa del Servizio sanitario nazionale pubblico non è una priorità per questa maggioranza, anzi sembra l'opposto, sarebbe bene che la maggioranza, Presidente, ce lo dicesse una volta per tutte.
Dove vuole portare il Servizio sanitario nazionale? A quale baratro e a quale collasso? Fino a dove si vuole arrivare con la privatizzazione? Occorre non far scendere il rapporto Fondo sanitario nazionale/PIL al di sotto della media dei Paesi del G7, o comunque mai al di sotto della media europea. Presidente, pensi che la Germania e la Francia hanno una spesa sanitaria decisamente superiore al 10 per cento del PIL, mentre l'Italia va verso il 6,1 per cento. Ma se ci riescono loro perché noi non ci dobbiamo riuscire noi a ridare vigore, energia e forza al Servizio sanitario nazionale, che ancora oggi, nonostante questo, secondo alcune stime accreditate, è ai primi tre posti del mondo? Ma se si continua così, dove si va a finire? Occorre restituire centralità e unitarietà al Sistema sanitario nazionale e superare l'attuale frammentazione in cui versano i servizi sanitari regionali e occorre ripensare totalmente all'autonomia differenziata, nel senso e nella direzione di escluderla categoricamente per la sanità e salvaguardare l'universalità. In definitiva, occorre riformare il Titolo V della Carta costituzionale, questa è la posizione che noi abbiamo e pensiamo che debba essere portata a compimento. Occorre superare la sperequazione esistente sul territorio nazionale, prevedendo che, nello stabilire i pesi da attribuire ai diversi elementi, si tenga conto anche degli indicatori ambientali socio-economici e culturali, nonché dell'indice di deprivazione economica a livello regionale e locale.
Altro elemento - ne abbiamo discusso prima e mi soffermerò pochissimo - è che noi vorremmo prevedere, nella mozione che stiamo portando avanti oggi, lo scorporo, dal calcolo del deficit e dell'indebitamento, della spesa sanitaria rispetto al Patto di stabilità, a maggior ragione tenendo conto di come il COVID abbia drammaticamente dimostrato che la salute è un investimento assolutamente produttivo, la cui carenza rischia di sacrificare ogni altro investimento e la sostenibilità stessa del sistema Paese e del sistema Europa. Dobbiamo portare in Europa questa idea di togliere dal Patto di stabilità la spesa sanitaria, altro che le armi.
Ovviamente, il finanziamento a cosa serve? Serve, in primis, a eliminare il tetto, che ormai c'è in tutte le ASL, all'assunzione di personale. Non è più assolutamente procrastinabile questa cosa, non è più accettabile appesantire il personale presente, caratterizzato da aumento dell'età media dei dipendenti, incremento dei carichi di lavoro e insostenibili, turni straordinari, nonché una sempre più diffusa abitudine a ricorrere a varie forme di lavoro flessibile e precarizzato, anche in settori molto delicati dal punto di vista assistenziale, dal pronto soccorso alla rianimazione.
Permane un grave ritardo nelle erogazioni delle prestazioni, anche quelle ordinarie. È necessario intervenire con sollecitudine rispetto alle liste d'attesa, è fuori discussione questo aspetto: è intollerabile che per un'ecografia ci voglia un anno. È assolutamente importante, quindi, anche cominciare a rivedere in maniera importante il rapporto che c'è, nel contesto delle attività istituzionali, con la libera professione intramoenia, che deve ritornare a essere conseguenza della libera scelta dei cittadini e non una scelta per saltare la fila. Proprio per questo, noi, anche nella mozione, proponiamo un'agenda unica, che vada nella direzione che si aspetta lo stesso tempo, sia in libera professione che in istituzionale, perché altrimenti sarebbe una sperequazione e un modo classista di gestire la nostra sanità pubblica. Lo stesso discorso vale in termini di rivedere il rapporto che noi abbiamo rispetto ai fondi integrativi e alle polizze assicurative, che non dovrebbero mai sostituirsi al primo pilastro del nostro sistema pubblico di salute, che è il Servizio sanitario nazionale. Devono essere davvero integrativi, e non assolutamente sostitutivi. L'idea di cedere prestazioni incluse nei LEA ai soggetti privati attraverso accreditamenti ormai resi strutturali rende il sistema debole di fronte a eventuali richieste accessorie o mancate prestazioni da parte del privato, inaccettabili alla luce dei principi costituzionali. Di nuovo, Presidente, non possiamo confermare che la difesa del Servizio sanitario pubblico non è una priorità di questa maggioranza, anzi, ce lo dicano dove vogliono andare. Vogliono ritornare al modello Bismark, alle vecchie assicurazioni private? Ce lo dicano, perché, se è questo il modello, noi non ci stiamo, oggettivamente.
In sanità, il rapporto pubblico-privato mostra aspetti decisamente sfavorevoli per il pubblico. Riteniamo che il sistema delle convenzioni e delle esternalizzazioni, che erode fino al 40 per cento del Fondo sanitario nazionale in favore del privato, debba essere rivisto in modo sostanziale. Il Servizio sanitario nazionale deve erogare prestazioni, e non acquistarle. Ciò è fondamentale anche per limitare lo stesso consumismo sanitario e le richieste inappropriate. Le stime rilevano che al privato convenzionato vanno circa 50 miliardi del Fondo sanitario nazionale; a questi si aggiunge la spesa out of pocket - quella privata pura -, che sono 40 miliardi che gli italiani spendono di tasca propria per curarsi privatamente. Dunque, in Italia, la sanità privata vale, complessivamente, 90 miliardi, più di quella pubblica. Allora, il gioco sembra chiaro: si definanzia per privatizzare, per fare gli interessi, evidentemente, di alcuni stakeholder che sono privilegiati rispetto ad altri. E tutto questo va anche nella direzione del fatto che la sanità privata convenzionata, tra le altre cose, si riserva, di solito, le prestazioni più remunerative, mentre la sanità pubblica deve garantire pronto soccorso, dialisi, oncologia, trapiantologia, rianimazioni, medicina trasfusionale, che, di fatto, sono prestazioni meno remunerative e richiedono più professionalità, più capacità. E vari studi di health technology assessment hanno documentato che producendo in modo virtuoso in proprio, in house, le prestazioni, queste costerebbero meno e avrebbero un vantaggio in più, perché avremmo in garanzia maggior personale assunto, maggior personale stabile. Il disegno c'è anche, purtroppo, rispetto a quello che era il decreto Balduzzi, lo voglio ricordare, il decreto n. 70 del 2015. È arrivato, poi, con il PNRR, il DM n. 77 del 2022: dal nostro punto di vista, il DM n. 77 avrebbe dovuto essere il DM n. 69, cioè si doveva intervenire davvero sul potenziare la medicina territoriale. Doveva essere la medicina territoriale, dovevano essere le case della salute, come si chiamavano allora, o le case della comunità, come si chiamano oggi, o gli ospedali di comunità capaci di sottrarre posti letto, e non viceversa. Si è pensato che, riducendo posti letto, il territorio sarebbe stato costretto a organizzarsi. Ma con la sottrazione di fondi come era possibile che il territorio si potesse organizzare? Quindi è stato fatto un DM n. 70 del 2015 - il decreto Balduzzi - sugli standard ospedalieri in maniera monca. Non lo sto discutendo in termini di standard scientifici, anche se sarebbe da migliorare rispetto al discorso dei piccoli ospedali, alle golden hours, alle aree disagiate e alle aree interne, non lo sto contestando da questo punto di vista, il fatto è che è arrivato troppo presto rispetto alla capacità del sistema di organizzarsi sul territorio. E questo cosa ha comportato? Ha comportato che noi siamo sotto la media europea rispetto ai posti letto ospedalieri. La media europea è di 5,5 posti letto ogni 1.000 abitanti, mentre noi ne abbiamo, con le lungodegenze, convenzionate peraltro, 3,7, e questo comporta una difficoltà immensa.
Quindi, è chiaro che dobbiamo pensare in maniera forte alla riorganizzazione dell'assistenza territoriale. Il PNRR ci ha messo di fronte a questa possibilità, spero che il Governo riesca a riorganizzare le idee, perché sta tagliando 400 case della comunità e un centinaio di ospedali di comunità con il definanziamento del PNRR, quindi spero che ci si arrivi. Ma c'è un dato di fatto: occorre personale, altrimenti le case della comunità rimangono cattedrali nel deserto, occorre assumere personale, occorrono medici di famiglia, che stanno diventando sempre più anziani e stanno andando in pensione. Si calcola che, dal 2015 al 2025, saranno 40.000 i medici di medicina generale, con 25.000 pensionamenti, che rischiano di non essere sostituiti e, in prospettiva, c'è, addirittura, il rischio che 25 milioni di italiani possano rimanere senza assistenza primaria. È chiaro che, nell'organizzazione territoriale, occorre anche una riforma della medicina generale, in maniera tale da conciliare il ruolo dei medici di medicina generale rispetto alle case della comunità.
La riorganizzazione delle cure primarie e il processo di deospedalizzazione richiedono, peraltro, anche un concreto rafforzamento e un robusto investimento in prevenzione, da garantirsi con risorse economiche adeguate e con professionisti dedicati, mentre, in tale ottica, si assiste quotidianamente all'accorpamento di distretti e presidi sul territorio che finiscono per essere ben lontani dai cittadini. Dobbiamo assolutamente pensare a una riorganizzazione territoriale da sostenere anche nel contesto dell'implementazione dei setting territoriali, come quelli per la salute mentale, i disturbi da uso di sostanze, la neuropsichiatria infantile, l'assistenza psicologica di base. Dobbiamo procedere a dare valore a questo. La stessa OCSE ha stimato che i costi, diretti e indiretti,, al mancato investimento in salute mentale ammontano per l'Italia al 3,3 per cento del PIL. Ecco che si torna di nuovo al ragionamento che abbiamo fatto all'inizio di questa mattinata: teniamo fuori dal Patto di stabilità le spese sanitarie, perché le spese sanitarie non sono costi, sono investimenti. L'OCSE ha calcolato che questo 3,3 per cento del PIL è circa 55 miliardi.
Non investire sul benessere psicologico comporta maggiori spese, sia dirette (farmaci, cure, ricoveri) che indirette.
Occorre, quindi, rispettare quello che l'OCSE dice, ossia destinare alla salute mentale, per i Paesi ad alto reddito come l'Italia, almeno il 10 per cento del bilancio sanitario locale. Occorre assolutamente dare completa e capillare attuazione alla legge n. 405 del 1975 sui consultori familiari - è una cosa fondamentale, sono presìdi indispensabili per l'integrazione sociosanitaria e per la prevenzione - garantendo che siano dotati di risorse economiche adeguate e di professionisti in grado di sostenerli.
Sicuramente c'è da ragionare in termini più seri, dal nostro punto di vista, in termini di spesa farmaceutica e anche di rivalutazione del ruolo e delle capacità di Aifa, rispetto a più efficaci strumenti di monitoraggio per la governance e il controllo dell'appropriatezza sull'uso dei farmaci. Naturalmente, noi ci teniamo tantissimo all'idea che si debba procedere in maniera rapida a conoscere in modo trasparente il prezzo e il rimborso dei farmaci, ancora oggi secretati. Così, noi dovremmo conoscere i costi della ricerca e dello sviluppo sostenuti dalle aziende, spesso con il contributo pubblico. Quindi, a maggior ragione, dobbiamo andare in quella direzione. Riteniamo anche questo un fatto importante. Dobbiamo dotarci anche di un'azienda farmaceutica pubblica, magari partendo dalla rivalorizzazione dello Stabilimento chimico farmaceutico militare (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Anche questo è un elemento assolutamente importante.
PRESIDENTE. Deve concludere.
ANDREA QUARTINI (M5S). Ultime due note, Presidente, e mi avvio alla conclusione. Dobbiamo rescindere il legame tra politica e nomine dei dirigenti all'interno delle ASL (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
Concludendo, Presidente, occorre un intervento coordinato sulle colonne portanti del nostro Servizio sanitario nazionale, incidendo su: finanziamento, appropriatezza dei LEA, risorse umane, accreditamento delle strutture sanitarie, sanità integrativa, tracciabilità della spesa sanitaria, nomine della dirigenza sanitaria, liste d'attesa e attività intramoenia, ricerca sanitaria, spesa farmaceutica, digitalizzazione del Servizio sanitario nazionale e riordino del sistema dell'emergenza sanitaria e ospedaliera. Sono tutti impegni della nostra mozione che vanno in questa direzione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).
PRESIDENTE. Salutiamo gli studenti e gli insegnanti dell'Istituto tecnico commerciale statale “Filippo Pacini”, di Pistoia, che sono qui in tribuna ad assistere ai nostri lavori (Applausi).
Preciso che, poiché siamo in sede di discussione generale e non di votazione, sono presenti in Aula tutti i colleghi deputati interessati a svolgere il proprio intervento, appunto, in discussione generale. È iscritto a parlare il deputato Enzo Amich. Ne ha facoltà.
ENZO AMICH (FDI). Grazie, Presidente. Onorevoli deputati, onorevole Sottosegretario, vorrei iniziare questo mio intervento ribadendo con forza, come hanno fatto tra l'altro molti miei colleghi, un argomento che giudico incontrovertibile, ma che, evidentemente, non è stato ben recepito, visti gli interventi che mi hanno anticipato.
La sanità e la difesa del diritto alla salute sono obiettivi prioritari di questo Esecutivo. Non è, tra l'altro, una scelta meramente politica, ma un dovere costituzionale che arriva, come abbiamo sentito adesso, dall'articolo 32 della nostra Carta costituzionale. Con un tempismo straordinario e con un dispiego di strumenti mediatici che sembrano un coro che canta all'unisono, l'opposizione, dopo aver evocato a tinte fosche lo spettro dello spread del Governo tecnico, ora ha deciso di annunciare agli italiani che il Governo di Giorgia Meloni intende tagliare massicciamente la sanità. E lo annuncia persino in un documento propedeutico alla legge di stabilità, cioè tre mesi prima di un eventuale taglio in legge di stabilità: una tesi piuttosto curiosa.
In realtà, sin dal suo insediamento, numerosi sono i provvedimenti e cospicua l'azione concreta del Ministero della Sanità per garantire il diritto alla salute come diritto fondamentale dell'individuo, come interesse della collettività e diritto inviolabile dell'uomo, garantendo cure gratuite ai cittadini indigenti, nel rispetto e in attuazione degli articoli 32 e 2 della Carta costituzionale. Dispiace che in questi giorni l'opposizione sta diffondendo informazioni false sulla determinazione del Governo in materia di sanità pubblica.
A dar fuoco alle polveri, come si dice, è stata la pubblicazione della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza del 2023 per il triennio 2024-2026. Ebbene, secondo l'opposizione, questa manovra porterebbe il Servizio sanitario nazionale sull'orlo del baratro, prendendo in giro le persone, comprese quelle che hanno votato questa maggioranza. Non si tratta di una libera interpretazione del pensiero, ma sono le testuali dichiarazioni rilasciate alle agenzie e rimbalzate sui giornali dalle opposizioni che abbiamo sentito anche qui, in quest'Aula, oggi.
Cari colleghi, non sono qui a sostenere che non si abbia il diritto di fare opposizione, ci mancherebbe altro, ci mancherebbe di non poter portare avanti le proprie tesi, ma di fronte a un'epoca in cui la dialettica politica si nutre proprio di distorsione del pensiero altrui, di interpretazioni fuorvianti, di affermazioni decontestualizzate, affermazioni altrimenti chiarissime, ben lontane dal senso che spesso gli si vuole attribuire, di distorsioni che abbiamo visto attuare nei confronti di colleghi, Sottosegretari, Ministri, fino al Presidente del Consiglio; bisogna fare evidentemente un lavoro di verità, di realtà.
Fare opposizione, lo sappiamo perfettamente, perché abbiamo scelto di fare opposizione anche quando voi, non avendo vinto le elezioni, decidevate che governare era la vostra naturale vocazione, pur a dispetto dei numeri, significa non venire meno a un fondamento morale che consiste, e lo dico con le stesse vostre parole: nel non prendere in giro chi vi vota o chi vi ascolta, propalando menzogna. C'è una ricerca forsennata di sensazionalismo, utilizzando anche i media non benevoli verso il Governo, per suscitare a tutti i costi scandalo, anche a dispetto della verità, per creare un clima negativo, una sorta di clima generale di damnatio nei confronti dei Ministri e nei confronti del Governo, del Governo e della maggioranza che, nel Paese, si consolidano giorno dopo giorno, probabilmente anche per queste dinamiche.
Almeno in Parlamento, cerchiamo di deporre le armi della propaganda e di attenerci rispettosamente alla verità dei fatti. Per rimanere nella verità, è falso che la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza del 2023 delinei una contrazione della spesa sanitaria; anzi, la spesa sanitaria, nel 2023, subisce un incremento rispetto al 2022 di oltre 3,6 miliardi, fino a raggiungere i 134,7 miliardi di euro. Si tratta, a ben vedere, di un incremento di spesa pari a 6,9 miliardi rispetto a quella sostenuta nel 2021 e di oltre 12 miliardi rispetto a quella del 2020, biennio che, come ben tutti sappiamo, fu caratterizzato dall'emergenza COVID, fattore che portò a un rilevante aumento della spesa sanitaria.
Già prima dell'emergenza sanitaria, nel 2018, i dati su scala nazionale evidenziavano che solo il 2,9 per cento della popolazione anziana aveva ricevuto interventi, con una media di 18 ore di trattamento all'anno, invece delle 240 ore circa che i riferimenti internazionali considerano necessarie.
Veniamo, ora, al rapporto tra spesa sanitaria e prodotto interno lordo, un rapporto su cui si è fatta molta confusione volutamente e su cui si è giocato molto. Nel 2023, questo rapporto è pari al 6,5 per cento con una diminuzione minima dello 0,1 rispetto all'anno precedente, rapporto che, ci tengo a precisarlo, nel biennio COVID ha superato il 7 per cento per ragioni a tutti comprensibili. L'emergenza, se da un lato ha comportato un aumento della spesa sanitaria, dall'altro, ha determinato un crollo del prodotto interno lordo, del PIL. Si prevede che tale rapporto nel 2024 scenda al 6,2 per cento, la stessa percentuale prevista, tra l'altro, nella Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza del 2022, presentata dal Governo Draghi.
Ciò che, tuttavia, mi preme evidenziare è che stiamo parlando di proiezioni tendenziali, dati che comunque non possono tener conto della programmazione della spesa sanitaria che verrà rivista e riformulata nella prossima legge di bilancio; questo si dovrebbe sapere, quindi, i casi sono due: o mentiamo volutamente o si mente perché semplicemente non si conoscono le dinamiche.
Se vogliamo analizzare nel complesso questi dati, possiamo serenamente affermare che, se da una parte abbiamo delle proiezioni tendenziali previste al ribasso, in merito alla spesa sanitaria, dall'altra parte, abbiamo l'evidenza che rispetto a quanto previsto in precedenza si stia manifestando un'indubbia inversione di tendenza e se vogliamo restare nell'ambito dei dati tendenziali, allora, ci preme ricordare che l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, che espleta l'attività di supporto tecnico operativo alle politiche di Governo in materia di servizi sanitari, in un suo recente studio ha indicato che per il triennio 2022-2024 è previsto un incremento annuo costante di 2 miliardi di euro, per effetto della legge di bilancio 2023 e una copertura maggiore dei costi energetici.
Non dimentichiamoci, onorevoli colleghi, che dal 2013 al 2019 tutti i Governi che si sono succeduti, Governi rispetto ai quali noi siamo sempre stati all'opposizione e di cui la sinistra è stata per lo più parte importante della maggioranza, hanno definanziato il fondo sanitario. L'unico inevitabile incremento lo ha imposto, come vi ricordavo prima, la crisi pandemica del 2020.
Questo ci legittima ad affermare che tutti i Governi che hanno preceduto l'attuale, dal 2013 al 2019, hanno di fatto tagliato 37 miliardi alla sanità pubblica. C'è di più. Sempre nello stesso periodo, dal 2013 al 2019, non è stato fatto nulla per sbloccare le assunzioni, diversamente dall'attuale Esecutivo che ha incrementato i fondi predisponendo misure concrete a favore del personale medico e della medicina in generale. Stiamo dimostrando che noi alle polemiche e alle dispute sui numeri, insomma alle parole, preferiamo i fatti. Dopo 7 mesi di trattative abbiamo firmato il contratto nazionale per 135.000 dirigenti tra medici e sanitari e su questa falsariga il Governo intende procedere, rinnovando, nei prossimi mesi, altri contratti del comparto sanitario. Purtroppo, nonostante i diversi provvedimenti adottati, il Servizio sanitario nazionale sta attraversando una fase particolarmente critica, per superare la quale occorre passare a iniziative concrete e, ove necessario, introdurre specifici e ulteriori finanziamenti. In questo anno è stato fatto molto, ma siamo perfettamente consapevoli che c'è tantissimo altro da fare. Il Governo Meloni sta attuando precisi interventi per incrementare i fondi destinati al sistema sanitario nazionale, per abbattere le liste d'attesa e per porre rimedio alla carenza di personale, tutte criticità storiche del nostro sistema sanitario. Sfortunatamente le misure di contenimento della spesa di personale adottate negli ultimi anni, soprattutto i vincoli sulle assunzioni, hanno comportato una rilevante riduzione del personale sanitario. La pandemia, ovviamente, ha aggravato questo quadro, già di per sé problematico. A voler analizzare i dati disponibili nel dettaglio, si coglie, con una certa evidenza, una tendenza di fondo: si rileva una preoccupante carenza di partecipanti ai concorsi pubblici per medici e infermieri, soprattutto negli ambiti dell'emergenza-urgenza, anestesia, terapia intensiva e ginecologia, verosimilmente perché si sta radicando la percezione che il servizio pubblico sia, per così dire, meno attrattivo. Dunque, bisogna riuscire a potenziare gli organici e le strutture e a migliorare le condizioni di lavoro. Il primo provvedimento sul bilancio varato da questo Governo, il decreto-legge n. 34, contiene già misure importanti per incrementare le remunerazioni del personale dell'emergenza-urgenza e per contrastare l'indiscriminato uso dei cosiddetti medici a gettone. Inoltre, a fine aprile 2023 è stata siglata l'intesa in Conferenza Stato-regioni sul decreto Tariffe dei nuovi livelli essenziali di assistenza, in attuazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017, che, nel dettaglio, riforma il nomenclatore dell'assistenza specialistica-ambulatoriale e dell'assistenza protesica. Il primo nomenclatore, invariato dal 1996, entrerà in vigore dal 1° gennaio 2024; il secondo, cioè l'assistenza protesica, invariato dal 1999, entrerà in vigore dal 1° aprile 2024. Come? Attraverso l'introduzione di prestazioni tecnologicamente più avanzate e l'eliminazione di quelle obsolete.
Veniamo, ora, agli investimenti nel settore sanitario e sociosanitario: Missione 6 Salute del PNRR, componente 2. Il Ministero della Salute e i soggetti attuatori, cioè le regioni, attraverso i contratti istituzionali di sviluppo, hanno dato avvio all'iter di ripartizione dei fondi in questione con il decreto Ripartizione programmatica delle risorse. Questo vuol dire, praticamente, 15,63 miliardi di euro, di cui il 41,1 per cento è destinato alle regioni del Mezzogiorno. In base all'articolo 3 di questo decreto, fanno parte integrante del contratto istituzionale di sviluppo i piani operativi regionali, che includono gli action plan per ciascuna linea di investimento. I 21 contratti istituzionali di sviluppo previsti sono stati sottoscritti dal Ministero della Salute e dalle regioni e province autonome. Poi, nel corso di questa legislatura è stata data attuazione alla riforma riguardante la riorganizzazione della rete degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico.
Nell'ambito della Missione relativa all'investimento per il rafforzamento dell'assistenza sanitaria intermedia e delle sue strutture - ospedali di comunità - è stato raggiunto l'obiettivo di assegnazione di almeno 400 codici identificativi di gara-provvedimento di convenzione per la realizzazione degli ospedali di comunità. Inoltre, è stato raggiunto, nel giugno 2023, l'obiettivo relativo all'investimento per lo sviluppo delle competenze tecniche, professionali, digitali e manageriali del personale del sistema sanitario e al subinvestimento per borse aggiuntive di formazione specifica in medicina generale, che prevedeva l'assegnazione di 1.800 borse di studio per la formazione specifica in medicina generale.
Un ulteriore argomento, per cui il PNRR richiede attenzione, è la televisita, cioè l'atto sanitario in cui il medico interagisce a distanza con il paziente. Per il potenziamento e la diffusione del servizio del teleconsulto sono previste risorse pari a 50 milioni di euro. La telemedicina consente di intervenire tempestivamente sui sintomi prima che le condizioni di salute richiedano un intervento emergenziale e questo dovrebbe favorire la riduzione degli accessi impropri al pronto soccorso.
Un altro annoso problema che investe l'organizzazione e i processi di gestione della sanità pubblica concerne, ahimè, come tutti ben sappiamo, le liste d'attesa nei ricoveri programmati. A tale proposito è bene rilevare che il servizio sanitario soffre ancora oggi le conseguenze della pandemia e, in particolar modo, la difficoltà nel recuperare le liste di attesa. Per questo motivo appare ormai indifferibile l'attivazione di strumenti che consentano di potenziare i processi burocratici che scandiscono il percorso del paziente dal momento della presa in carico della domanda all'inserimento nella lista di attesa, all'accesso al ricovero, fino alla sua dimissione. Questo può avvenire solo migliorando la governance aziendale e regionale. Nel frattempo, il Ministero della Salute, per il tramite del Comando carabinieri per la tutela della salute, prosegue i monitoraggi periodici previsti dal vigente Piano nazionale di governo delle liste di attesa. In particolar modo, nei mesi di luglio e agosto è stata avviata una campagna di controlli tra Nord e Sud allo scopo di controllare la gestione delle liste di attesa per l'erogazione di prestazioni sanitarie riconducibili a visite specialistiche ed esami diagnostici afferenti al servizio sanitario pubblico. Questa rassegna di interventi che ho appena elencato, dispiegati in un anno di attività di Governo, delinea una chiara volontà di riforma e potenziamento del sistema sanitario pubblico attraverso una campagna di investimenti che parta da un impiego razionale delle risorse disponibili. Tutto ciò non sarebbe possibile senza una profonda conoscenza delle criticità del sistema sanitario, alcune croniche o storiche che dir si voglia, altre imputabili al malgoverno delle sinistre che ci hanno preceduto. Concludo questo mio intervento respingendo con forza, a nome del mio gruppo, le accuse che ci vengono rivolte per mero interesse politico, con la serenità che caratterizza chi opera lealmente e con piena consapevolezza dei propri doveri verso i cittadini. Ribadisco con determinazione che la sanità e la difesa del diritto alla salute sono obiettivi prioritari di questo Esecutivo (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).
PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali. Prendo atto che il rappresentante del Governo rinuncia ad intervenire.
Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.
Ordine del giorno della prossima seduta.
PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.
Martedì 10 ottobre 2023 - Ore 11:
1. Svolgimento di una interpellanza e interrogazioni .
(ore 13)
2. Comunicazioni del Governo sulla situazione e le prospettive in Medio Oriente a seguito degli attacchi di Hamas contro Israele (per l'intervento del rappresentante del Governo e la relativa discussione).
(ore 15)
3. Seguito della discussione sulle comunicazioni del Governo sulla situazione e le prospettive in Medio Oriente a seguito degli attacchi di Hamas contro Israele (per la replica del rappresentante del Governo, l'espressione del parere sulle eventuali risoluzioni presentate, le dicharazioni di voto e le votazioni).
4. Seguito della discussione della proposta di legge:
SASSO ed altri: Modifiche agli articoli 61, 336 e 341-bis del codice penale e altre disposizioni per la tutela della sicurezza del personale scolastico. (C. 835-A)
Relatore: SASSO.
5. Seguito della discussione della proposta di legge:
SCHIFONE e FOTI: Istituzione della Settimana nazionale delle discipline scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche. (C. 854-A)
Relatore: CANGIANO.
6. Seguito della discussione delle mozioni Scerra ed altri n. 1-00082 e Marattin ed altri n. 1-00190 concernenti iniziative in materia di revisione della governance economica dell'Unione europea e delle relative politiche di bilancio .
7. Seguito della discussione della proposta di inchiesta parlamentare:
PITTALIS: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle cause del disastro della nave "Moby Prince". (Doc. XXII, n. 9-A)
e delle abbinate proposte di inchiesta parlamentare: RICCARDO RICCIARDI ed altri; SIMIANI. (Doc. XXII, nn. 28-29)
Relatrice: MACCANTI.
8. Seguito della discussione delle mozioni Braga ed altri n. 1-00191 e Quartini ed altri n. 1-00193 concernenti iniziative a salvaguardia del sistema sanitario nazionale .
La seduta termina alle 13,20.