XIX LEGISLATURA
TESTO AGGIORNATO AL 3 MAGGIO 2024
ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME: DOC. XVI, N. 3 E
DDL DI RATIFICA NN. 1745 E 1746
Relazione delle Commissioni riunite III (Affari esteri) e IV (Difesa) sulla relazione analitica sulle missioni internazionali in corso e sullo stato degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, riferita all'anno 2023, anche al fine della relativa proroga per l'anno 2024 (Doc. XVI, n. 3)
Tempo complessivo, comprese le dichiarazioni di voto: 4 ore e 30 minuti.
Relatori |
30 minuti
(complessivamente) |
|
Governo | 30 minuti | |
Tempi tecnici | 5 minuti | |
Interventi a titolo personale | 5 minuti | |
Gruppi |
1 ora e 40 minuti
(discussione) |
1 ora e 40 minuti
(dichiarazioni di voto) |
Fratelli d'Italia | 20 minuti | 10 minuti |
Partito Democratico – Italia democratica e progressista | 14 minuti | 10 minuti |
Lega – Salvini premier | 13 minuti | 10 minuti |
MoVimento 5 Stelle | 11 minuti | 10 minuti |
Forza Italia – Berlusconi presidente – PPE | 11 minuti | 10 minuti |
Azione – Popolari Europeisti Riformatori – Renew Europe | 7 minuti | 10 minuti |
Alleanza Verdi e Sinistra | 6 minuti | 10 minuti |
Noi Moderati (Noi Con L'Italia, Coraggio Italia, Udc e Italia al Centro) – MAIE | 6 minuti | 10 minuti |
Italia Viva – Il Centro – Renew Europe | 6 minuti | 10 minuti |
Misto: | 6 minuti | 10 minuti |
Minoranze Linguistiche | 3 minuti | 6 minuti |
+Europa | 3 minuti | 4 minuti |
Ddl di ratifica nn. 1745 e 1746
Tempo complessivo: 2 ore, per ciascun disegno di legge di ratifica.
Relatore | 5 minuti |
Governo | 5 minuti |
Richiami al Regolamento | 5 minuti |
Tempi tecnici | 5 minuti |
Interventi a titolo personale |
19 minuti
(con il limite massimo di 2 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato) |
Gruppi | 1 ora e 21 minuti |
Fratelli d'Italia | 13 minuti |
Partito Democratico – Italia democratica e progressista | 14 minuti |
Lega – Salvini premier | 9 minuti |
MoVimento 5 Stelle | 12 minuti |
Forza Italia – Berlusconi presidente – PPE | 7 minuti |
Azione – Popolari Europeisti Riformatori – Renew Europe | 6 minuti |
Alleanza Verdi e Sinistra | 6 minuti |
Noi Moderati (Noi Con L'Italia, Coraggio Italia, Udc e Italia al Centro) – MAIE | 4 minuti |
Italia Viva – Il Centro – Renew Europe | 5 minuti |
Misto: | 5 minuti |
Minoranze Linguistiche | 3 minuti |
+Europa | 2 minuti |
COMUNICAZIONI
Missioni valevoli
nella seduta del 29 aprile 2024.
Albano, Ascani, Bagnai, Barelli, Bellucci, Bignami, Bitonci, Braga, Brambilla, Calderone, Carloni, Cavandoli, Cesa, Cirielli, Colosimo, Alessandro Colucci, Della Vedova, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferrante, Ferro, Fitto, Frassinetti, Freni, Gava, Gebhard, Gemmato, Giachetti, Giglio Vigna, Giorgetti, Gribaudo, Guerini, Gusmeroli, Leo, Letta, Lollobrigida, Loperfido, Lupi, Magi, Mangialavori, Mazzi, Meloni, Minardo, Molinari, Molteni, Mulè, Nordio, Nazario Pagano, Pichetto Fratin, Prisco, Quartapelle Procopio, Rampelli, Rixi, Roccella, Romano, Rotelli, Scerra, Schullian, Francesco Silvestri, Siracusano, Sudano, Tabacci, Tajani, Trancassini, Tremonti, Vaccari, Varchi, Vinci, Zaratti, Zoffili.
(Alla ripresa pomeridiana della seduta).
Albano, Ascani, Bagnai, Barelli, Bellucci, Bignami, Bitonci, Braga, Brambilla, Calderone, Carloni, Cavandoli, Cesa, Cirielli, Colosimo, Alessandro Colucci, Della Vedova, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Ferrante, Ferro, Fitto, Frassinetti, Freni, Gava, Gebhard, Gemmato, Giachetti, Giglio Vigna, Giorgetti, Gribaudo, Guerini, Gusmeroli, Leo, Letta, Lollobrigida, Loperfido, Lupi, Magi, Mangialavori, Mazzi, Meloni, Minardo, Molinari, Molteni, Mulè, Nordio, Nazario Pagano, Pichetto Fratin, Prisco, Quartapelle Procopio, Rampelli, Rixi, Roccella, Romano, Rotelli, Scerra, Schullian, Francesco Silvestri, Siracusano, Sudano, Tabacci, Tajani, Trancassini, Tremonti, Vaccari, Varchi, Vinci, Zaratti, Zoffili.
Annunzio di proposte di legge.
In data 24 aprile 2024 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
AMORESE: «Disposizioni per la celebrazione del quinto centenario della morte di Niccolò Machiavelli» (1840);
SEMENZATO e BICCHIELLI: «Introduzione di un regime agevolato per la determinazione del reddito complessivo, ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, in favore delle donne lavoratrici vittime di violenza di genere» (1841).
Saranno stampate e distribuite.
Adesione di deputati a proposte di legge.
La proposta di legge ALFONSO COLUCCI ed altri: «Incremento della detrazione per gli oneri sostenuti nell'anno 2023 in dipendenza di mutui contratti per l'acquisto dell'unità immobiliare da adibire ad abitazione principale» (1590) è stata successivamente sottoscritta dalla deputata Torto.
Trasmissione dal Ministero della giustizia.
Il Ministero della giustizia, con lettera del 17 aprile 2024, ha trasmesso la nota relativa all'attuazione data all'ordine del giorno GIULIANO ed altri n. 9/1239-A/30, accolto dal Governo nella seduta dell'Assemblea del 31 luglio 2023, sulla possibilità di potenziare l'organico del Corpo di polizia penitenziaria, anche mediante scorrimento delle graduatorie vigenti.
La suddetta nota è a disposizione degli onorevoli deputati presso il Servizio per il Controllo parlamentare ed è trasmessa alla II Commissione (Giustizia) competente per materia.
Trasmissione dalla Regione Valle d'Aosta.
La Presidenza della Regione Valle d'Aosta ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 70, comma 4, della legge della Regione Valle d'Aosta 7 dicembre 1998, n. 54, la deliberazione della Giunta regionale di scioglimento del consiglio comunale di Antey-Saint-André.
Questa documentazione è depositata presso il Servizio per i Testi normativi a disposizione degli onorevoli deputati.
Atti di controllo e di indirizzo.
Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.
DISEGNO DI LEGGE: S. 615 – DISPOSIZIONI PER L'ATTUAZIONE DELL'AUTONOMIA DIFFERENZIATA DELLE REGIONI A STATUTO ORDINARIO AI SENSI DELL'ARTICOLO 116, TERZO COMMA, DELLA COSTITUZIONE (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 1665)
A.C. 1665 – Questioni pregiudiziali
QUESTIONI PREGIUDIZIALI
DI COSTITUZIONALITÀ
La Camera,
premesso che:
la «autonomia differenziata» recata dal provvedimento in titolo rappresenta una interpretazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione sostenuta dal Governo in carica e derivante, ad avviso dei firmatari, da una personalissima quanto rispettabile – alla luce del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione – opinione sul predetto articolo; tuttavia, stante la forma e la natura giuridica scelte per il mezzo di diffusione – un disegno di legge – esso avrebbe dovuto recare il crisma della proposta di legge di natura costituzionale, in quanto, in assenza della procedura di revisione costituzionale di cui all'articolo 138 della Costituzione, altera profondamente l'equilibrio tra i soggetti di cui all'articolo 114 della Costituzione, si pone in contrasto con i principi di capacità fiscale, perequazione e coesione di cui all'articolo 119 della Costituzione, espunge di fatto la categoria «legislazione concorrente» dall'articolo 117, terzo comma, annulla la differenza tra regioni a statuto ordinario differenziato e regioni a statuto speciale, assimilando di fatto le due fattispecie, lede il principio di uguaglianza formale e sostanziale di cui all'articolo 3 della Costituzione, e, ad onta delle pur lodevoli finalità e dei richiami ad alcuni dei principi fondamentali del nostro ordinamento di cui all'articolo 1, comma 1 del provvedimento, determina la frantumazione dell'unità giuridica ed economica della Repubblica;
anche le audizioni succedutesi nel corso dell'esame hanno messo in luce tale assunto e in più di un caso qualificato il provvedimento quale «erronea interpretazione del Governo» dell'articolo 116, terzo comma, «in modo largamente espansivo, ponendo le premesse per l'incostituzionalità dell'intero testo in discussione»;
i firmatari stigmatizzano la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (LEP) – nella loro individuazione, nel loro finanziamento, nella loro erogazione e nella fruizione da parte dei cittadini – la quale, nel provvedimento in titolo così come nelle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 793, lettera c), della legge di bilancio 2023, è subordinata agli stanziamenti di bilancio disponibili a legislazione vigente o a quelli resi disponibili dalle leggi di bilancio: con ciò subordinando la primaria connotazione sociale e il principio fondamentale di uguaglianza della nostra Carta costituzionale al criterio economico, sottoponendo l'articolo 3 della Costituzione all'articolo 81, in assenza di qualunque bilanciamento;
si sottolinea, in proposito, che i diritti e i principi costituzionali costituiscono un insieme vivente che interagisce e nessuno di essi può avere, in astratto, una posizione (costante, nel caso in parola) di supremazia gerarchica e, vieppiù, che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 275 del 2016, con riguardo al rapporto tra principio dell'equilibrio del bilancio e tutela dei diritti costituzionali, ha stabilito l'ordine di priorità ritenendo necessario, dapprima, individuare gli interventi di attuazione dei diritti e, di seguito, e di conseguenza, decidere la composizione del bilancio; conclude la Corte, infatti, che «Assumendo questa prospettiva, ferma restando l'auspicabile invarianza degli effetti finanziari, gli oneri derivanti dall'approvazione della nuova legge potrebbero essere finanziati qualora eccedenti le coperture attuali, attraverso la rimodulazione della spesa o, eventualmente, per il tramite di nuove entrate»;
il criterio adottato nel testo in discussione appare, dunque, completamente rovesciato rispetto all'assunto della Corte;
l'articolo 2, comma 2 – esso dispone, al primo periodo, che «l'atto o gli atti di iniziativa di ciascuna Regione possono concernere una o più materie o ambiti di materie e le relative funzioni.» – concretizza il vulnus principale del disegno di legge, in quanto contrasta con l'articolo 117, commi secondo e terzo, prevedendo il trasferimento integrale alle regioni di materie attribuite dal predetto articolo alla competenza concorrente tra Stato e Regioni e, altresì, con il medesimo articolo 116, terzo comma, che, in ordine al riconoscimento di «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomie», non può essere «interpretato», a pena della sua legittimità costituzionale, quale attribuzione di intere materie;
è stato posto in luce da un emerito costituzionalista che «l'adozione, da parte della legge costituzionale n. 3/2001, del terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione in base alla quale “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia possono essere attribuite ad altre regioni”, non può essere interpretata in forma espansiva, al di là della sfera dei meri poteri amministrativi, quasi che non vi siano limiti residuati a tutela della potestà legislativa statale: nell'articolo 117 della Costituzione troviamo tuttora vigenti le disposizioni costituzionali che prevedono che il legislatore statale dispone del potere di disciplinare le materie di competenza esclusiva (secondo comma) e di stabilire i principi fondamentali nelle materie di competenza concorrente (terzo comma, ultimo periodo) e analogamente prevedono gli Statuti speciali»;
in proposito, si segnala l'aperto e netto contrasto con le predette vigenti disposizioni costituzionali dei commi 3 e 5 dell'articolo 7 del provvedimento in titolo, i quali prevedono, rispettivamente, che «le disposizioni di legge statale» coinvolte dal trasferimento «cesserebbero di avere efficacia nel territorio regionale, con l'entrata in vigore delle leggi regionali attuative dell'intesa» e che «le disposizioni statali successive alla data di entrata in vigore delle intese osservano le competenze legislative contenute nelle intese»;
secondo i predetti commi, quindi, successivamente al trasferimento alle regioni, le leggi statali non avrebbero più il potere di normare le tre materie di competenza esclusiva statale menzionate dall'articolo 116, terzo comma, né avrebbero più il potere delle leggi-quadro nelle materie concorrenti: questo implica, però, per forza di cose, una modifica integrale dell'articolo 117, un mutamento radicale del nostro «regionalismo», (nonché del nostro ordinamento), che il provvedimento non contempla, e per il quale occorre una revisione della carta costituzionale ai sensi della procedura aggravata di cui all'art. 138;
preme, altresì, ai firmatari sottolineare che in ordine all'attribuzione di autonomia per ambiti quali la salute, l'ambiente e l'istruzione, il meccanismo applicativo contenuto nel testo in esame prefigura, come esito finale, la potenziale violazione del principio di solidarietà di cui all'art. 2 della Costituzione, e del principio di eguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione. Ne risultano lesi il principio di coesione sociale di cui all'articolo 119, della Costituzione, seppur formalmente richiamato nel testo, e, come detto, gli articoli 9, 32 e 33, che tutelano ambiente, salute e istruzione. Sotto il profilo della sostenibilità, anche finanziaria, del progetto sotteso al disegno di legge, esso potrebbe avere gravi ricadute riducendo le opportunità di crescita del Paese, se lo Stato centrale dovesse perdere parte rilevantissima della propria capacità di intervento, impositiva, redistributiva e di spesa, a vantaggio di una miriade di regioni «sovrane», ciascuna con leggi, funzioni e risorse differenti, pregiudicando, in ultima analisi, la funzione perequativa statale finalizzata alla rimozione degli squilibri economici e sociali imposta dal citato articolo 119 della Costituzione. Queste modalità di attuazione del regionalismo differenziato pongono anche gli atti che, a cascata, deriveranno dalla riforma in esame, in rapporto antinomico col dettato costituzionale, sia per quanto concerne il concorso di tutti alla spesa in base alla propria capacità contributiva (articolo 53 della Costituzione) sia per il confinamento della attuazione dei LEP a mera promessa, in mancanza delle indispensabili risorse, eludendo l'articolo 120 della Costituzione;
si rileva contrasto con gli articoli 70 e 72 della Costituzione con riguardo al potere delle Camere: si rammenta che i processi di differenziazione e, nel loro complesso, tutte le procedure disposte dal provvedimento in titolo, marginalizzano il Parlamento, spogliato delle sue prerogative, dell'esercizio delle sue funzioni e limitato nella sua potestà legislativa non solo nelle fasi deliberative delle intese, anche nelle fasi informative e conoscitive, cosa ancor più grave alla luce del fatto che, dopo il trasferimento di funzioni, le leggi votate dalle Camere in quel dato ambito di materie avranno applicazione differente a seconda dello status differenziato o meno di ciascuna delle Regioni;
merita, altresì, considerazione che all'interno delle stesse regioni differenziate vi saranno ricadute diverse a seconda del diverso livello di differenziazione ottenuto, non è dato quindi sapere quale effetto tutto ciò possa avere sul principio di uguaglianza e sulla unità giuridica ed economica della Repubblica;
l'autonomia differenziata così concepita appare in latente contrasto ai sensi dell'articolo 114 della Costituzione, sotto due profili: i processi di differenziazione sembrano condurre verso un «centralismo regionale» dal quale risulta quasi assente il coinvolgimento delle autonomie locali – assenti nei predetti processi e nella determinazione dei LEP – anche con riguardo all'impatto del trasferimento di materie o di funzioni sulle funzioni fondamentali degli enti locali;
in proposito, si segnala che la Corte costituzionale, con sentenza n. 274/2003, ha osservato che la novella costituzionale introdotta con la riforma del Titolo V, pur introducendo la pari dignità «orizzontale» tra le componenti territoriali della Repubblica, non comporta una totale equiparazione dello Stato alle altre componenti, in quanto lo stesso continua ad essere investito di peculiari funzioni non altrimenti esercitabili; come rilevato anche dalla Corte dei conti, «prendendo in considerazione il tema delle conseguenze del trasferimento delle ulteriori competenze sulle funzioni dello Stato, nella prospettiva dell'unità ed indivisibilità della Repubblica e alla luce dei criteri individuati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 274 del 2003, appare dubbio che nelle funzioni devolute non residui in capo allo Stato un margine di intervento, sia pure nel rispetto del principio di leale collaborazione; infatti, non deve venir meno un momento di coordinamento e di sintesi degli interessi generali del Paese»;
è la Corte dei conti a richiamare la sentenza della Corte costituzionale n. 39 del 2014, con la quale precisa che la tutela dell'unità economica della Repubblica – che l'atto in titolo richiama all'articolo 1, comma 1 – giustifica un governo unitario della finanza pubblica e controlli esterni sugli enti territoriali onde evitare tensioni sugli equilibri di bilancio, da ciò ne deriva che alla richiesta di attribuzione di «autonomia differenziata» debba conseguire l'adozione di adeguati strumenti di verifica, monitoraggio e rendicontazione: ma il provvedimento in titolo, come segnalato anche dall'Ufficio parlamentare di bilancio, «contempla verifiche facoltative e asimmetriche in quanto riguardano il raggiungimento dei Lep nelle regioni ad autonomia differenziata e non nel resto del territorio nazionale dove la fornitura continua a essere statale» e, ancora, «appaiono inoltre limitate le verifiche previste sull'effettiva erogazione dei LEP» così come «adeguati presidi per garantire il coordinamento della finanza pubblica tra i diversi livelli di governo. Occorrerà innanzitutto assicurare una piena condivisione degli obiettivi programmatici, l'uniformità nelle metodologie per la revisione dei fabbisogni e meccanismi per assicurare il contributo delle regioni ad autonomia differenziata in caso di esigenze eccezionali di finanza pubblica»;
avviare un processo nel quale teoricamente – dal tenore letterale delle formulazioni normative in esame – non è espressamente escluso che tutte le regioni possano richiedere ed eventualmente ottenere simultaneamente l'intero novero di materie, non significa dare attuazione ad un articolo della Costituzione ma negare lo spirito stesso della Costituzione;
stando al testo, la Repubblica si potrebbe ritrovare un corpus normativo frammentato tra regioni ordinarie ad autonomia differenziata, regioni ordinarie ad autonomia non differenziata e regioni a statuto speciale per tutte o ciascuna di tali materie: ne risulterebbe un mosaico incomprensibile ed ingestibile che nulla ha a che vedere con l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, la quale andrebbe invece subordinata alla piena definizione della cornice legislativa statale che determini, oltre ai livelli essenziali delle prestazioni – per i quali deve essere preventivamente assicurato lo stanziamento di risorse necessario a garantirne l'attuazione in concreto – anche i principi fondamentali per tutte le materie di legislazione esclusiva statale e di legislazione concorrente cui, in ogni caso, nessuna istituzione territoriale può derogare;
preme, infine, ai firmatari rappresentare le criticabili modalità con le quali approda in Aula, in tutta fretta, il provvedimento in titolo, a favore del quale, in assenza di alcuna ragione di necessità o di urgenza, a fronte di un contenuto di grande rilevanza e di rilievo costituzionale per i suoi effetti potenzialmente dirompenti anche con riferimento alla nostra forma di Governo, in sede referente si sono sommate, ad avviso dei presentatori, gravi violazioni, forzature e irritualità rispetto alle procedure regolamentari, drastica compressione dei tempi e applicazione della «ghigliottina», un immotivato contingentamento del dibattito e una inammissibile compressione delle prerogative parlamentari che hanno colpito oltremodo i Gruppi di opposizione unitamente alla pervicace elusione di un serio e costruttivo confronto, evidentemente non ricercato né atteso dalla maggioranza che ha ulteriormente decretato la sterilità dell'attività parlamentare e dell'esercizio delle sue funzioni, acuiti dalla tacita blindatura del provvedimento, pur in prima lettura nel presente consesso, aggravando le già mortificanti condizioni nelle quali, oramai alternativamente, ciascuna Camera, esercita un mandato di esclusiva ratifica dell'esame dell'altra;
come noto, nel corso della seduta della Commissione di mercoledì 24 aprile, ha avuto luogo la votazione – ad avviso dei firmatari, si può ben dire che abbia avuto luogo l'approvazione – dell'emendamento 1.19 Auriemma (M5S), il cui risultato non è stato proclamato dal Presidente, ancorché numericamente accertato dal Segretario della Commissione medesima;
quanto occorso è figlio, ad avviso dei firmatari, di una inappropriata gestione del calendario dei lavori e della loro conseguente organizzazione nonché di un uso criticabile delle prerogative del Presidente della I Commissione con riguardo all'applicazione e all'interpretazione del Regolamento che si rileva arbitraria, in primis, con riguardo all'articolo 8, il quale dispone che egli «Assicura il buon andamento dei lavori, facendo osservare il Regolamento.»;
nell'ambito dei lavori della Commissione nelle sedute del 24 e del 26 aprile si sono consumate, ad avviso dei firmatari, molteplici violazioni del Regolamento:
a) ai sensi dell'articolo 57, il Presidente della Commissione avrebbe dovuto proclamare l'esito della votazione dell'emendamento 1.19 e non l'ha fatto, sebbene il deputato Segretario avesse verificato il risultato della votazione, ai sensi dell'articolo 21, comma 2;
b) ai sensi dell'articolo 57, ove, eventualmente, valutate delle irregolarità, il Presidente avrebbe dovuto disporre immediatamente una nuova votazione – nello stesso istante, con la medesima composizione soggettiva dell'Organo; viceversa, una nuova votazione ha avuto luogo 48 ore dopo, con una composizione dell'Organo deliberante totalmente diversa (di cui al punto d);
c) ai sensi dell'articolo 50, comma 3, il Presidente, iniziata la votazione, non avrebbe più potuto concedere la parola fino alla proclamazione del voto; viceversa, in luogo della proclamazione del voto, egli ha fatto intervenire un deputato;
d) dal fatto di cui al punto a) è scaturito un lungo e acceso dibattito, che ha portato i Gruppi di opposizione a chiedere la convocazione di una Conferenza dei Presidenti di Gruppo, accordata dal Presidente della Camera per le ore 21 della stessa giornata, con il fine di «riportare ordine e garantire il buon andamento dei lavori»: nonostante la predetta convocazione, il Presidente della Commissione ha comunque illegittimamente ed inopportunamente disposto – alle ore 17 circa – la ripetizione della votazione dell'emendamento 1.19;
ad avviso dei firmatari, il testo in titolo approda alla discussione di questo consesso in palese violazione delle norme del Regolamento che disciplinano e preservano le procedure di formazione degli atti e in ordine alle deliberazioni su di essi ed il loro contenuto, «a tutela delle quali è riconosciuto rimedio giurisdizionale innanzi alla Corte costituzionale ai sensi dell'articolo 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953, ove si determini una sostanziale negazione e un'evidente menomazione della funzione costituzionalmente attribuita ai parlamentari» (ordinanza n. 17/2019);
i firmatari segnalano, altresì, ancora dall'ordinanza n. 17/2019, che la Corte costituzionale precisa che le «forzature procedurali denunciate dai ricorrenti inducono questa Corte a richiamare l'attenzione sulla necessità che il ruolo riservato dalla Costituzione al Parlamento nel procedimento di formazione delle leggi sia non solo osservato nominalmente, ma rispettato nel suo significato sostanziale. L'articolo 70 affida la funzione legislativa alle due Camere e il successivo articolo 72 della Costituzione articola l'esame di ogni progetto di legge in una fase da svolgersi in commissione e in una che coinvolge l'intera assemblea ed esige che la votazione si svolga dapprima articolo per articolo e poi sul testo finale. Tali principi sono volti a consentire a tutte le forze politiche, sia di maggioranza sia di minoranza, e ai singoli parlamentari che le compongono, di collaborare cognita causa alla formazione del testo, specie nella fase in commissione, attraverso la discussione, la proposta di testi alternativi e di emendamenti. Gli snodi procedimentali tracciati dall'articolo 72 della Costituzione scandiscono alcuni momenti essenziali dell'iter legis che la Costituzione stessa esige che siano sempre rispettati a tutela del Parlamento inteso come luogo di confronto e di discussione tra le diverse forze politiche, oltre che di votazione dei singoli atti legislativi, e a garanzia dell'ordinamento nel suo insieme, che si regge sul presupposto che vi sia un'ampia possibilità di contribuire, per tutti i rappresentanti, alla formazione della volontà legislativa.»;
alla luce dei numerosi nodi critici, tuttora irrisolti, che intridono l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma della Costituzione, come disposta dal Governo per il tramite del disegno di legge in titolo il quale, ad avviso dei firmatari, accresce le sperequazioni socio-economiche tra i territori anziché ridurle e, in ordine al suo contenuto, appare viziato da gravi elementi di palese o latente incostituzionalità,
delibera
di non procedere all'esame del disegno di legge n. 1665.
N. 1. Auriemma, Alfonso Colucci, Alifano, Penza, D'Orso, Quartini, Francesco Silvestri.
La Camera,
premesso che:
pur con le modifiche apportate al testo governativo originario, quello approvato dal Senato della Repubblica, senza nessuna modifica in sede referente dalla I Commissione Affari costituzionali, mantiene pressoché inalterate tutte le gravi criticità più volte evidenziate dalla grandissima parte degli auditi;
le modalità, i ristretti tempi di discussione in Commissione, la bocciatura di tutti gli emendamenti della minoranza, il mandato al relatore di riferire in aula nonostante trattasi, in questo caso, di un disegno di legge e quindi di un provvedimento che non ha scadenze come i decreti legge: tutto ciò accade, ad avviso dei firmatari, per meri fini elettorali. Questo avvalora e sostanzia la tesi che siamo di fronte ad un «monocameralismo di fatto» in violazione dei più elementari principi costituzionali e ne certifica la crisi profonda che sta attraversando il nostro sistema democratico, con un Parlamento sempre più svuotato delle sue prerogative;
è «monocameralismo di fatto» che fa continuo ricorso a un uso strategico delle disposizioni che disciplinano i tempi di discussione parlamentare al fine di limitare la discussione medesima sui disegni di legge alla prima Camera in cui il procedimento legislativo ha preso avvio, e trasforma, in ultima analisi, la deliberazione della seconda Camera in un mero atto di ratifica della prima;
in particolare, nel testo posto all'esame dell'Aula permangono, ad avviso dei firmatari, profili di incostituzionalità tali da imporre l'approvazione della questione pregiudiziale proposta per evidente contrasto con il dettato costituzionale fra gli altri, degli articoli 1, 2, 3, 4, 9, 33, 34, 53, 70, 116, 117, 119 della Costituzione;
la riforma, avanzata con legge ordinaria e non con il più adeguato strumento della proposta di legge costituzionale in ragione degli strutturali interventi stabiliti, se approvata, comporterebbe un enorme impatto sull'assetto istituzionale e costituzionale dell'Italia, fino a prefigurare lo stravolgimento dell'attuale assetto Costituzionale, delineandone uno diverso e alternativo;
preliminarmente, si evidenzia l'incomprensibile scelta della maggioranza di comprimere il dibattito in Commissione e respingere tutte richieste di modifiche avanzate da tutte le opposizioni;
peraltro, in Commissione, in sede referente, la maggioranza supportata dal Presidente della Commissione ha utilizzato in modo che consideriamo improprio il Regolamento della Camera per strozzare la discussione e soprattutto ribaltare di fatto il risultato della votazione di un emendamento dell'opposizione approvato per assenza di diversi rappresentanti della maggioranza. Quella votazione, è stata annullata e ripetuta 48 ore dopo;
si evidenzia che l'articolo 21, comma 2, del Regolamento della Camera, prevede che «i segretari verificano i risultati delle votazioni e controllano la redazione del processo verbale». Il segretario ha contato i favorevoli e ha contato i contrari e poi li ha comunicati e quello sarebbe dovuto essere l'esito della votazione, così come prevede il Regolamento della Camera. Così come, ai sensi dell'articolo 57, primo comma, il collegio che rifà la votazione deve essere lo stesso. Non si possono cambiare deputate e deputati, perché il punto centrale è che si mette in discussione uno dei principi fondamentali della democrazia sancito dalla nostra Costituzione all'articolo 67. Il deputato è rappresentante della Nazione e libero da qualunque mandato imperativo;
se si deroga al suddetto articolo 67 della nostra Carta, si deroga a uno dei punti fondamentali della Costituzione medesima. Pertanto, ad avviso dei firmatari, quella forzatura perpetrata contro l'opposizione rende, di fatto, incostituzionale la procedura che ha portato all'approvazione da parte della Commissione di quel testo;
un'altra considerazione attiene alla pretesa introduzione di disposizioni che innovano in modo così pregnante l'attuale assetto istituzionale attraverso lo strumento della legge ordinaria, sempre modificabile successivamente ed in specie modificabile dalla legge approvativa dell'intesa tra Stato e Regione ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, che potrebbe quindi volta per volta disporre diversamente. La scelta più opportuna sarebbe stata senza alcun dubbio quella della proposta di legge costituzionale;
la conseguenza più immediata dell'attuazione nei termini previsti dell'autonomia differenziata, ad avviso dei presentatori, sarà la cristallizzazione delle differenze esistenti fra i territori, in aperto e evidente contrasto con quanto stabilito dall'articolo 5 della Costituzione laddove è stabilito che l'Italia è «una e indivisibile», e dall'articolo 3 della Costituzione che prescrive il principio di eguaglianza e che impone allo Stato il compito fondamentale di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.»;
l'oggettiva ripercussione dell'entrata in vigore della riforma contenuta nel testo in esame sarà consentire alle regioni più ricche di trattenere più poteri e risorse per garantire i loro cittadini, mentre i territori più fragili, segnatamente quelli del Mezzogiorno e delle aree periferiche o interne e insulari, avranno maggiori difficoltà per riassorbire le diseguaglianze e raggiungere i livelli di sviluppo e di benessere sociale della parte del Paese più ricca. Si accrescerebbero quindi in prospettiva diseguaglianze e divari territoriali potenzialmente irreversibili, si aprirebbe la strada alle diseguaglianze nei diritti fondamentali su base territoriale, unico discrimine sarebbe la residenza delle persone;
il risultato finale sarebbe una torsione dell'interpretazione della nostra Costituzione, pericolosa e inaccettabile, che potrebbe condurre ad una fase di instabilità e di pericolose tensioni tra le diverse aree del Paese che nella peggiore delle ipotesi porterebbe a mettere in discussione la stessa unità nazionale;
peraltro, il percorso attivato di definizione formale dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep) e il lavoro – lodevole – del nominato Comitato per l'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni, rischia di rimanere solo un'esercitazione virtuale, in mancanza delle risorse necessarie per la concreta attuazione dei livelli essenziali territorio per territorio;
entrando nello specifico, il principio di unità e indivisibilità della Repubblica risulta, nel disegno costituzionale, strettamente connesso con gli altri principi costituzionali e, in particolare, con quelli stabiliti dagli articoli precedenti, a partire dall'articolo 1 che consacra l'assetto democratico della Repubblica, basato sull'appartenenza della sovranità al popolo (Corte costituzionale, sentenza n. 256 del 1989), che si identifica tramite la partecipazione delle autonomie sociali, politiche e territoriali alla vita politica, economica e sociale del paese e la condivisione di quella che è stata definita la «sostanza costituzionale dell'unità», intesa come «unità nel nome di valori omnicondivisi»;
in questo senso, l'unità nazionale non può prescindere dai compiti che i successivi articoli 2, 3, 4 della Costituzione assegnano alla Repubblica: la garanzia dei diritti inviolabili e l'assolvimento dei doveri inderogabili di solidarietà, la rimozione degli ostacoli all'eguaglianza sostanziale di tutti i cittadini, il diritto al lavoro. In evidente contraddizione con questi principi, il disegno di legge in esame prevede un novero di materie delegabili che esorbita dai confini segnati dai principi costituzionali summenzionati: la sanità; la scuola; l'università e la ricerca; i beni culturali, l'ambiente e gli ecosistemi; l'organizzazione della giustizia di pace; le politiche attive del lavoro; i trasporti; porti e aeroporti; protezione civile; il governo del territorio; il trattamento dei rifiuti; la produzione, il trasporto e la distribuzione di energia; il sostegno alle attività produttive; la riorganizzazione degli enti locali;
è evidente come il passaggio alle regioni, per la maggior parte di esse, finirebbe per tradursi in un inevitabile aggravamento del divario sociale e territoriale, con una lesione diretta dei principi di eguaglianza, solidarietà, democrazia sostanziale. Sul punto la letteratura scientifica e la reportistica di autorità indipendenti e associazioni di categoria (Banca d'Italia, sindacati, Confindustria e altri) è copiosa e dettagliatissima eppure non è stata tenuta in alcuna considerazione da parte della maggioranza che esprime il Governo in carica, così come in alcuna considerazione è stata tenuta la giurisprudenza della Corte costituzionale sull'applicazione uniforme dei diritti fondamentali;
come da più parti osservato, l'articolo 116, terzo comma, non dà alcuna indicazione circa le ragioni che debbano supportare la richiesta di nuove competenze e/o il quantum di autonomia possibile e, anzi, la formula è tale da non escludere che ogni singola regione possa richiedere la maggiore autonomia per tutte le materie elencate (e neanche il testo di legge in esame prevede adeguati limiti – materiali, procedurali, temporali – né cautele) tant'è che, nonostante alcune astratte opinioni dottrinali prefiguranti l'inammissibilità di richieste per più materie, tutte le Regioni finora attivatesi hanno dimostrato la volontà di ottenere quanta più autonomia possibile, né appaiono efficaci le limitazioni previsti all'articolo 2 del provvedimento in esame poiché demandate esclusivamente alle valutazioni del Presidente del Consiglio;
il disegno di legge in esame condurrebbe pertanto a tre tipologie differenti di autonomia: quella delle Regioni che la domandano (e la ottengono) ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione: quella delle Regioni a statuto speciale e quella prevista della competenza concorrente di cui all'articolo 117, terzo comma, con l'effetto di una inarrestabile frammentazione della disciplina normativa, con le ovvie conseguenze in termini di inflazione normativa e di incertezza del diritto (si pensi a materie come il governo del territorio), maggiori costi per le imprese e i cittadini (si pensi alla disciplina di porti, aeroporti, autostrade), inefficacia delle politiche pubbliche, si pensi alle materie che coinvolgono necessariamente lo Stato nazionale, quando non addirittura gli organismi sovranazionali: dall'energia all'ambiente e, più in generale, a tutte quelle che essendo toccate dal Piano nazionale di ripresa e resilienza e dalle priorità con lo stesso variamente dichiarate – transizione verde, trasformazione digitale, crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, coesione sociale e territoriale, salute e resilienza economica, sociale e istituzionale, politiche per le nuove generazioni, l'infanzia e i giovani – esigono, al contrario, la capacità di formulare e implementare politiche nazionali forti e non compatibili con le richieste di ulteriore disgregazione;
altra evidente criticità riguarda la necessità di pre-determinare i LEP (livelli essenziali delle prestazioni), prima di attribuire alle regioni le risorse necessarie per sostenere le loro nuove competenze. Al di là delle evidenti difficoltà per molte delle regioni interessate di assicurare l'effettiva erogazione delle prestazioni, che la prima parte della Costituzione pretende non solo come essenziali o minime, ma uguali per tutti i cittadini, a prescindere dal luogo di nascita o di residenza, si evidenzia che mentre l'articolo 117 della Costituzione attribuisce la determinazione dei Lep, per tutti i diritti sociali e civili, «alla competenza legislativa dello Stato», nel testo oggi in esame si prevede una procedura accelerata che si conclude con l'approvazione di un decreto legislativo. Si ritiene che il disegno di legge in esame sia comunque violativo delle prerogative e del ruolo che la Costituzione attribuisce al Parlamento;
il ruolo attribuito al Parlamento dal testo in esame è infatti del tutto marginale, sia in merito alla definizione delle Intese con le singole Regioni, sia in relazione alla determinazione dei LEP così come disciplinata dalla Legge di Bilancio 2022 (legge n. 197 del 2022, articolo 1, commi dal 791-801), con una procedura amministrativa che si ritiene sia del tutto incompatibile con la riserva di legge che la Costituzione stabilisce in materia;
inoltre, per quanto concerne la procedura per la definizione dei LEP, non è prevista alcuna predeterminazione politica degli obiettivi di uguaglianza sostanziale cui i LEP sono funzionali e soprattutto non sono previste adeguate procedure vincolate di stanziamento delle risorse aggiuntive necessarie per garantirli;
i livelli essenziali delle prestazioni, definiti in questo modo non costituiranno l'insieme dei servizi e degli interventi pubblici necessari ad assicurare – in maniera omogenea e uniforme – i diritti sulla base dei bisogni e a prescindere dalla capacità fiscale di un territorio, ma come detto determineranno una cristallizzazione – se non un incremento – delle disuguaglianze in essere;
un sistema così congegnato – per di più a risorse date e senza spesa aggiuntiva – sarà un moltiplicatore dei divari territoriali e produrrà una riduzione del perimetro pubblico proprio nei territori e negli ambiti in cui è maggiormente decisiva la funzione redistributiva dello Stato. Manca, inoltre, la definizione delle leggi statali di principio e delle norme generali su tutte le materie che non sono riconducibili ai LEP e che non possono essere lasciate alla piena disponibilità delle Regioni;
un sistema di autonomia differenziata compatibile con l'attuale assetto costituzionale e istituzionale dovrebbe invece subordinare le «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» al vincolo del rispetto dei principi fondamentali e delle norme generali nazionali inderogabili ed esplicitare le materie – oltre a quelle già citate – insuscettibili di qualsiasi differenziazioni;
le disposizioni e i procedimenti definiti dagli attuali articoli 2 e 3 del provvedimento invece sostanziano una palese violazione del disposto costituzionale e pongono in pericolo la garanzia dei diritti, che devono essere definiti dall'organo rappresentativo della volontà popolare e presidiati dal giudice delle leggi, segnando anche un'ulteriore torsione della forma di governo non più centrata sul Parlamento ma sull'Esecutivo e il Presidente del Consiglio;
in particolare, la procedura individuata dall'articolo 2 per l'approvazione delle intese è serrata nei tempi e non coinvolge in modo adeguato né la Conferenza Unificata, cui si chiede solo il parere, né il Parlamento, sede della sovranità popolare, cui si demanda la sola facoltà di esprimere un atto di indirizzo non vincolante sugli schemi preliminari di intesa;
il Parlamento potrà solamente respingere o approvare, senza alcuna possibilità di intervenire su punti di merito specifici, l'accordo raggiunto tra Governo e singola Regione, approvando il disegno di legge che la recepisce, senza facoltà emendativa sui contenuti dell'intesa. Si lascia così che sia ridefinita l'attribuzione di competenze legislative, amministrative e regolamentari, riscrivendo nei fatti parte dell'articolo 117 della Costituzione, senza il coinvolgimento delle Camere e attribuendo per contro un abnorme potere al Presidente del Consiglio dei ministri;
quanto alla procedura definita dall'articolo 3 del provvedimento, essa non restituisce dignità al Parlamento ma gli sottrae le proprie nonché specifiche prerogative, stabilite chiaramente dal dettato dell'articolo 70 della Costituzione, che al Parlamento, e non al Governo, attribuisce prioritariamente la funzione legislativa. La previsione che a determinare i LEP sia un decreto legislativo di iniziativa governativa, lungi dallo sconfessare l'intento di sottrarre spazi e compiti al Parlamento, conferma invece il proposito del provvedimento di spostare l'asse del potere legislativo, fermamente ancorato al Parlamento – a Costituzione vigente – verso una illegittima attribuzione al Governo del potere legislativo;
quanto al tema delle risorse economiche con cui far fronte ai nuovi compiti, ovvero residui fiscali e trasferimenti in base alla spesa storica, valga il riferimento alla sentenza n. 275/2016 della Corte costituzionale, la quale sancisce, che deve essere «la garanzia dei diritti incomprimibili a incidere sul bilancio, e non l'equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione». Il che è quanto dire, innanzitutto, che lo Stato, con il suo bilancio, è chiamato a soddisfare i diritti inviolabili dei cittadini qualunque sia il territorio in cui essi vivono e lavorano;
peraltro, il riferimento alla spesa, come criterio di ripartizione delle risorse, denuncia e conferma le profonde differenze già esistenti – si va da una spesa pro capite di 19 mila euro in Lombardia ai 13.700 in Campania – rendendo evidente la palese illegittimità del criterio prospettato, che, lungi dal promuovere la coesione sociale e territoriale, finirebbe per aggravare le differenze. Con il che si ignora il fatto che i diritti sono, non il frutto di concessioni graziose di chi più ha nei confronti di coloro che versano in differenti condizioni economiche e sociali, ma il necessario corredo della cittadinanza e, ancora, che non sono le regioni ma i cittadini a pagare le tasse in ragione della loro capacità contributiva e non del luogo di residenza, sicché una norma così concepita finisce per violare per ciò solo gli articoli 2 e 53 della Costituzione, a tenore dei quali la solidarietà economica e tributaria opera a livello nazionale, non regionale;
quanto in ultimo, al novero delle materie oggetto di devoluzione, l'articolo 116 della Costituzione si riferisce ad alcune specifiche competenze o funzioni inerenti alle materie elencate, e non certo a una devoluzione alle Regioni della potestà legislativa esclusiva su intere materie, sottraendola completamente allo Stato. Si ritiene particolarmente grave che fra le materie oggetto di devoluzione non sia stata esclusa l'Istruzione;
chiare ed evidenti le conseguenze negative che deriverebbero all'ordinamento scolastico, finalizzato in primo luogo all'esercizio del diritto all'istruzione degli alunni e alla libertà dell'insegnamento, fondamenti intangibili su cui si costruisce la cittadinanza, la libertà e l'unità del nostro popolo e della nostra comunità;
quanto previsto dal provvedimento in esame potrebbe radicalmente mutare il quadro, in peggio, della scuola italiana e quindi del nostro Paese. Infatti, attraverso le intese regionali si prevede che si possa giungere perfino a far diventare «le norme generali sull'istruzione» – oggi legislazione esclusiva dello Stato – oggetto di legislazione concorrente. Altro non significa «regionalizzare» e quindi differenziare le norme che disciplinano le finalità della scuola e che – al contrario – dovrebbero essere applicabili in tutto il territorio nazionale in modo uniforme riguardanti ad esempio, gli ordinamenti scolastici, le funzioni e dell'organizzazione del sistema educativo, la disciplina dell'organizzazione e del rapporto di lavoro del personale della scuola. Non solo, ma, ancora, le leggi regionali potrebbero disciplinare l'istituzione di ruoli del personale della scuola, la sua consistenza organica, la stipulazione di contratti collettivi regionali, con gravi e devastanti conseguenze sulla tenuta delle finalità nazionali dell'ordinamento scolastico, sul contratto collettivo nazionale e trattamento economico di docenti, Ata e dirigenti scolastici, sulla mobilità territoriale, sulla valenza di concorsi per il reclutamento a sbarramento regionale. Inoltre, la stessa autonomia scolastica costituzionalmente riconosciuta rischia di essere pregiudicata e collocata in ambito subalterno rispetto alle nuove funzioni e poteri regionali e locali;
il tutto in aperto e evidente contrasto con gli articoli 33 e 34 della Costituzione che stabiliscono le caratteristiche basilari del sistema scolastico e con il carattere delle prescrizioni derivanti da tali articoli cui si attribuisce una «valenza necessariamente generale ed unitaria che identifica un ambito di competenza esclusivamente statale» rappresentando «la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario ed uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra coloro che fruiscono del servizio dell'istruzione (interesse primario di rilievo costituzionale)» (Corte costituzionale sentenza 24 giugno 2009, n. 200);
se è chiaro che la missione principale della scuola è la costruzione della cittadinanza, la condivisione di valori e il senso di appartenenza, che fondano la convivenza democratica – «La democrazia infatti non è solo una forma di governo ma il sentire condiviso dalla comunità» – è altresì pacifico che questo ruolo del sistema di istruzione statale sarebbe inevitabilmente pregiudicato da una scelta regionalistica e territorialistica;
già oggi le Regioni godono di ampie funzioni amministrative: sulla programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale, sulla programmazione della rete scolastica, sulla suddivisione del territorio regionale in ambiti funzionali al miglioramento dell'offerta formativa, sulla determinazione del calendario scolastico, sui contributi alle scuole non statali, sulle iniziative e le attività di promozione relative all'ambito delle funzioni attribuite. Oltre queste competenze non si può e non si deve andare. Il diritto all'apprendimento dell'alunno, le finalità dell'istruzione ancorate all'esercizio della cittadinanza italiana, sono diritti dell'individuo/persona/lavoratore-lavoratrice, che devono essere esercitati e garantiti in ogni luogo del nostro Paese in quanto diritti nazionali, non regionalizzabili, ed esigibili a prescindere dai confini territoriali dei governi locali;
da tutto quanto esposto deriva che, per molteplici profili, la norma asseritamente attuativa della Costituzione si configura incostituzionale sotto molteplici aspetti. Il meccanismo di autonomia differenziata delineato, in assenza di contrappesi e bilanciamenti certi, pone a rischio l'unità della Repubblica;
tutto ciò premesso,
delibera
di non procedere nell'esame del disegno di legge n. 1665.
N. 2. Zaratti, Zanella, Bonelli, Fratoianni, Borrelli, Dori, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti.
La Camera,
premesso che:
dalle numerose audizioni svoltesi dinanzi alla Commissione Affari costituzionali, è emerso un quadro di diffusa incostituzionalità del disegno di legge in esame;
la maggior parte dei costituzionalisti auditi ha posto preliminarmente un problema in relazione all'adeguatezza dello strumento legislativo ordinario al fine di dare attuazione all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Se infatti l'obiettivo era quello di fornire una cornice istituzionale alle future intese stipulate per la concessione di forme e condizioni particolari di autonomia, si sarebbe dovuto utilizzare, in base al sistema delle fonti, un atto di rango costituzionale, approvato ai sensi dell'articolo 138 della Costituzione, e in quanto tale non derogabile dalle future intese, a loro volta approvate con legge ordinaria; la legge di rango ordinario, ora all'esame del Parlamento, potrà invece sempre essere modificata o abrogata da qualunque altra legge ordinaria successiva, ivi compresa la legge di approvazione dell'intesa, vanificando così di fatto l'efficacia nel tempo di tutte le disposizioni contenute nell'Atto Camera n. 1665, in corso di approvazione;
un'altra norma segnalata per la sua problematicità è senz'altro quella introdotta dall'articolo 2, comma 2, primo periodo, del disegno di legge in esame che prevede che «L'atto o gli atti di iniziativa di ciascuna Regione possono concernere una o più materie o ambiti di materie e le relative funzioni». Questa disposizione è infatti in palese violazione dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, poiché prevede il trasferimento alle regioni di intere materie – attribuite dalla citata norma costituzionale alla competenza concorrente tra Stato e Regioni – in luogo dell'attribuzione di ambiti di materie ovvero di singole funzioni «concernenti» le stesse, secondo la ratio dello stesso articolo 116, terzo comma, che prevede l'attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia concernenti le materie (...);
nel caso in cui l'articolo 116, terzo comma, consentisse infatti l'integrale trasferimento di intere materie di competenza concorrente a quelle Regioni che chiedono forme e condizioni particolari di autonomia, verrebbe meno uno dei principali criteri distintivi tra Regioni a statuto speciale e Regioni a statuto ordinario, con la conseguente violazione del principio cardine che presiede l'ordinamento dell'autonomia regionale, previsto dal Titolo V e stabilito dallo stesso articolo 116, primo comma: la previsione di un impianto duale tra Regioni a statuto speciale e Regioni a statuto ordinario. L'attribuzione alle Regioni di intere materie comporterebbe dunque una modifica in forma tacita, graduale e surrettizia dell'intero sistema dell'autonomia regionale delineato dal Titolo V, né pare sostenibile un'interpretazione del terzo comma dell'articolo 116 in palese contrasto con quanto previsto dall'articolo 117, commi secondo e terzo o comunque atta a scardinare il sistema ivi delineato;
è evidente allora che le intese non possono che essere tutte rigorosamente concepite all'interno del sistema di competenze già previsto dalla Costituzione per le regioni a statuto ordinario: lo Stato ex articolo 116, terzo comma, può attribuire alle regioni singole funzioni, proprio in virtù delle intese e della legge ordinaria che le approva, ma non può rinunciare al proprio titolo di competenza concorrente o esclusiva se non in palese violazione di quanto stabilito dall'articolo 117, commi secondo e terzo;
altra questione estremamente problematica, rilevata dalla quasi totalità degli auditi, è costituita dal ruolo del tutto marginale e assolutamente non incisivo del Parlamento nella formazione delle intese, che nel disegno di legge in esame restano di fatto relegate ad una negoziazione esclusiva tra l'esecutivo nazionale e le Regioni. Il Parlamento infatti è chiamato ad intervenire con atti di indirizzo che, come è noto, nella configurazione attuale dei regolamenti sono atti obbligatori, ma non vincolanti. Pertanto il Parlamento dovrà essere chiamato ad esprimere il proprio parere, ma esso resterà senza effetto se il Governo dovesse decidere di discostarsene;
il Parlamento interverrà poi con legge nella fase di approvazione finale dell'intesa, che dovrà essere approvata a maggioranza assoluta dei componenti, ma secondo quanto previsto dal disegno di legge in esame potrà solo accogliere o respingere nel suo complesso i contenuti di un'intesa già firmata, senza alcun reale potere emendativo;
poiché l'articolo 116, terzo comma, della Costituzione fa esclusivo riferimento alla legge dello Stato per l'approvazione delle intese, e alla maggioranza richiesta, senza far riferimento a procedimenti speciali di approvazione, è da ritenersi pienamente applicabile il procedimento previsto dall'articolo 72 della Costituzione, che prevede che ogni disegno di legge presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo Regolamento, esaminato da una Commissione e poi dalla Camera stessa che l'approva articolo per articolo e con votazione finale;
la procedura prevista dal provvedimento in esame appare dunque in netta violazione con la procedura ordinaria di esame prevista dall'articolo 72 della Costituzione;
nonostante il procedimento per la determinazione dei LEP sia stato apparentemente rimesso, con una modifica operata al Senato, all'adozione di decreti legislativi, il permanere dei commi 9 e 10 dell'articolo 3 costituisce una grave violazione della nostra Costituzione. Mentre infatti l'articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione prevede che i Lep siano stabiliti con legge dello Stato, l'articolo 3, comma 9, stabilisce che «nelle more dell'entrata in vigore dei decreti legislativi (...), ai fini della determinazione dei LEP» continuino ad applicarsi le norme previste dalla legge di bilancio 2023, ovvero il ricorso ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri; l'articolo 3, comma 10, poi, prevede che alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi sia «fatta salva la determinazione dei LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard», svolta ai sensi delle suddette norme, ossia nuovamente con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
così come è del tutto irragionevole e incongrua la possibilità riconosciuta dall'articolo 3, comma 7, di poter procedere all'aggiornamento periodico dei Lep «nei limiti delle risorse disponibili» e nuovamente con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, che verrebbero peraltro così potenzialmente a modificare atti aventi natura legislativa;
pertanto, anche se formalmente la determinazione dei Lep – che vanno non solo definiti con legge dello Stato, ma anche garantiti su tutto il territorio nazionale – è rimessa all'adozione di decreti legislativi, di fatto i commi 7, 9 e 10 dell'articolo 3 potrebbero permettere in astratto che essi siano definiti, attuati e modificati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, aggirando così quanto previsto dall'articolo 117, secondo comma, lettera m);
del tutto discutibile è poi la previsione che i decreti legislativi siano adottati sulla base dei principi e criteri direttivi di cui all'articolo 1, commi 791-801-bis della legge di bilancio del 2023, trattandosi di commi che contengono norme meramente procedurali; né potrebbe essere altrimenti in virtù del divieto introdotto nel nostro ordinamento dalla legge 243 del 2012 di inserire norme di delega ordinamentali o organizzatorie in legge di bilancio;
infine, come ampiamente sottolineato anche in fase di audizioni, le regole procedurali introdotte nel disegno di legge in esame sono spesso contraddittorie e non indicano una linea univoca e chiara rispetto alla necessaria propedeuticità che dovrebbe sussistere tra l'attuazione dell'autonomia differenziata e la determinazione dei Lep con norma statale, non specificando il disegno di legge in esame che sino a quando non è approvata la norma sui Lep non si può avviare il percorso per la definizione dell'intesa: se da un lato infatti l'articolo 4 precisa che il trasferimento di funzioni concernenti materie riferibili ai Lep può essere attuato solo dopo la determinazione dei medesimi Lep, l'articolo 11 del medesimo provvedimento dispone che gli atti di iniziativa delle regioni già presentati al Governo e già oggetto di confronto congiunto possano proseguire il loro iter, così riconoscendo la possibilità di negoziare le intese anche prima che siano stati definiti, attuati e finanziati i Lep;
l'articolo 116, terzo comma, della Costituzione prevede che ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia possano essere attribuite ad altre regioni solo nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119 della Costituzione: tale articolo pone infatti una norma cardine del nostro ordinamento per l'attuazione di un regionalismo solidale, ricavabile dalla previsione della perequazione rivolta ai territori con minore capacità fiscale; sempre l'articolo 119, al quinto comma, stabilisce che lo Stato deve destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, al fine di rimuovere gli squilibri economici e sociali e favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona;
come sottolineato da numerosi professori durante le audizioni, il disegno di legge in esame, al contrario, passa dalla concezione di un regionalismo solidale e cooperativo a declinazioni meramente competitive dello stesso: con specifico riferimento al finanziamento delle funzioni che dovrebbero essere trasferite, infatti, il disegno di legge in esame prevede una clausola di invarianza finanziaria all'articolo 9, comma 1, dove viene espressamente stabilito che «dall'applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»; la stessa clausola di neutralità finanziaria tuttavia pare poi smentita da un inciso dello stesso articolo 4, comma 1, in cui si dice che eventuali «maggiori oneri a carico della finanza pubblica» potranno condizionare il trasferimento delle funzioni allo stanziamento delle risorse necessarie;
ad avviso dei firmatari, particolarmente problematica sotto il profilo costituzionale è poi la previsione dell'articolo 5 del provvedimento laddove prevede che quote di compartecipazione al gettito di tributi erariali vengano definite nelle intese, senza dettare però alcun criterio sull'ammontare di queste quote di compartecipazione ai tributi erariali che dovranno essere garantite dalle Regioni differenziate, e che serviranno a finanziare le funzioni ad esse affidate;
l'affidamento alla negoziazione tra Stato e Regioni di scelte tributarie potenzialmente decisive sul bilancio dello Stato, appare ai firmatari un'opzione non solo rischiosa e irragionevole, ma anche lesiva degli articoli 3 e 81 della Costituzione;
la previsione dell'articolo 5, comma 2, appare poi del tutto incoerente con quella del successivo articolo 9, comma 3 laddove prevede che «le intese, in ogni caso, non possono pregiudicare l'entità e la proporzionalità delle risorse da destinare a ciascuna delle altre regioni», una clausola di salvaguardia questa irrealizzabile senza una previa determinazione della quota di compartecipazione al gettito erariale che dovrà essere corrisposta dalle singole Regioni differenziate;
l'Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), nell'audizione durante l'esame del provvedimento al Senato, ha sottolineato che «il trasferimento alle Regioni di competenze quali, ad esempio, le grandi reti di trasporto, i porti e gli aeroporti potrebbe generare, nel caso di interessamento di due o più Regioni o di una minore efficienza nella gestione locale rispetto a quella nazionale, esternalità negative con effetti potenziali sull'intero Paese»;
lo stesso UPB ha poi sottolineato che «un'attenzione particolare meriterebbe il fatto che tra le materie potenzialmente oggetto di autonomia differenziata vi è la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia, una materia di particolare interesse strategico nazionale e cruciale a fronte delle sfide che si pongono in merito alla transizione energetica (...). Il trasferimento di funzioni e delle necessarie risorse dovrebbe pertanto essere preceduto da un'analisi da cui emerga un effettivo miglioramento complessivo della gestione pubblica. La stessa Regione che voglia ottenere maggiori competenze in alcune materie dovrebbe, a monte, motivare la richiesta indicando i benefici che ne deriverebbero rispetto alla situazione centralizzata. Il complesso di queste informazioni dovrebbe poi essere reso disponibile al Parlamento per istruire l'eventuale approvazione»;
come sottolineato da molti dei soggetti auditi, la possibilità che «le norme generali sull'istruzione», possano essere oggetto di autonomia differenziata appare problematica anche solo da ipotizzare, e rischia di dar luogo ad una grave e irreversibile frammentazione del sistema scolastico con una chiara lesione di quanto stabilito dagli articoli 33 e 34 della Costituzione: il venir meno del «carattere nazionale» dell'istruzione, e la conseguente regionalizzazione della Scuola, potrebbero infatti minare alla radice le basi del diritto allo studio, creando un vulnus profondo della stessa identità culturale del Paese e del suo sistema scolastico nazionale;
come chiarito dalla Corte costituzionale in numerose sentenze, tra cui la n. 200 del 2009, gli articoli 33 e 34 della Costituzione pongono le caratteristiche basilari del sistema scolastico, relative all'istituzione di scuole per tutti gli ordini e gradi; al diritto di enti e privati di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato; alla parità tra scuole statali e non statali sotto gli aspetti della loro piena libertà e dell'uguale trattamento degli alunni; alla necessità di un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuola o per la conclusione di essi e all'apertura della scuola a tutti; alla obbligatorietà e gratuità dell'istruzione inferiore; al diritto degli alunni capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, di raggiungere i gradi più alti degli studi; alla necessità di rendere effettivo quest'ultimo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso;
la Corte ha pertanto sancito che «dalla lettura del complesso delle riportate disposizioni costituzionali si ricava, dunque, una chiara definizione vincolante – ma ovviamente non tassativa – degli ambiti riconducibili al “concetto” di “norme generali sull'istruzione”»;
con tale ampia descrizione, la Corte intendeva chiarire come il legislatore costituzionale avesse assegnato «alle prescrizioni contenute nei citati articoli 33 e 34 valenza necessariamente generale ed unitaria che identifica un ambito di competenza esclusivamente statale», rappresentando «la struttura portante del sistema nazionale di istruzione», richiedendo che esse fossero applicate in modo necessariamente unitario ed uniforme su tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio dell'istruzione (interesse primario di rilievo costituzionale), nonché la libertà di istituire scuole e la parità tra le scuole statali e non statali in possesso dei requisiti richiesti dalla legge. In questo ambito si colloca anche la disciplina relativa alla «autonomia delle istituzioni scolastiche», facenti parte del sistema nazionale di istruzione, autonomia cui fa espresso riferimento il terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione;
analogamente al comparto istruzione, anche per il sistema universitario si potrà prevedere, a seconda delle diverse regioni, l'assunzione di rilevanti competenze in materia di finanziamenti, programmazione e personale. Il percorso che si vuole intraprendere porterà, inevitabilmente e in poco tempo, alla definitiva disgregazione del già agonizzante «sistema nazionale» universitario, già oggi fin troppo frammentato; infatti, pur nell'ambito dell'autonomia riconosciuta alla ricerca, il rischio sarà quello di accelerare il processo di rafforzamento delle prerogative regolamentari e di drenaggio di risorse dagli atenei meno forti a quelli più forti, che in quest'ultimo decennio ha amplificato le differenze tra gli atenei e indebolito il sistema universitario nel suo complesso;
la maggior parte dei soggetti auditi ha poi evidenziato come l'autonomia differenziata – così come concepita dal disegno di legge in esame – avrebbe ripercussioni molto negative sul funzionamento del Servizio sanitario nazionale, già fortemente compromesso come si è visto durante la gestione regionale della pandemia, finendo per ledere in maniera irreversibile l'articolo 32 della Costituzione che prevede che la Repubblica tutela la salute come diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti;
secondo alcuni dati Istat, già attualmente al Sud si vive un anno e sette mesi in meno che al Nord, e la mobilità sanitaria riguarda l'11,4 per cento dei ricoverati residenti nel Meridione a fronte del 5,6 per cento dei residenti nel Nord-Italia, mentre già da diversi anni il SSN, pubblico e universale, è oggetto di una «parcellizzazione selvaggia» che ha dimostrato tutti i suoi limiti, creando una «salute diseguale» che non potrà che essere ulteriormente esasperata a seguito dell'entrata in vigore del disegno di legge in esame;
da lungo tempo assistiamo infatti ad una mobilità sanitaria che, secondo la Corte dei conti, ha «dirottato» in un decennio 14 miliardi di euro dalle Regioni del Sud a quelle del Nord; secondo l'UPB «La mobilità passiva riguarda prestazioni che devono comunque essere coperte dalla Regione di residenza anche se vengono rese da parte dei SSR di altre Regioni. Un fenomeno, questo, che sarebbe fisiologico se riguardasse limitati casi di prestazioni molto specialistiche, fornite solo da un piccolo numero di strutture sul territorio nazionale, e che presenta in generale in Italia dimensioni abnormi, in quanto rispecchia anche gli squilibri infrastrutturali e le differenze qualitative nei servizi, che a loro volta possono discendere, oltre che dalle stesse carenze in termini di strutture sanitarie disponibili, da problemi di organizzazione e gestione e/o da carenze, ad esempio, di personale, anche legate alle misure di governo della spesa imposte con i piani di rientro.»;
specifiche preoccupazioni sono poi state espresse dagli enti locali che temono che i processi di differenziazione possano condurre a un nuovo «centralismo regionale» senza, peraltro, prevedere un adeguato coinvolgimento degli enti locali (sia nei processi di differenziazione, sia nel procedimento di determinazione dei LEP) riguardo all'impatto del trasferimento di funzioni sulle funzioni fondamentali delle province e dei Comuni;
ad avviso dei presentatori, il complessivo impianto del disegno di legge e le concezioni che lo ispirano si fondano su una interpretazione dell'articolo 116, terzo comma, indebitamente estensiva e contrastante, come visto, con la lettera e lo spirito di numerose specifiche disposizioni costituzionali, nonché di altre a carattere più generale quale l'unità e indivisibilità della Repubblica ex articolo 5 della Costituzione, il principio di uguaglianza sostanziale ex articolo 3, comma 2 della Costituzione e il dovere inderogabile di solidarietà economica e sociale ex articolo 2 della Costituzione;
alla luce delle complesse questioni sopra esaminate, e dei numerosi profili di incostituzionalità, contraddittorietà e incongruenza sopra rilevati, nonché dell'enorme impatto politico, sociale ed economico che il provvedimento in esame determinerà nel nostro ordinamento, ai firmatari appare del tutto inaccettabile e irragionevole – anche alla luce dei tempi di esame previsti per l'Aula e in assenza di ragioni di necessità ed urgenza – l'estrema compressione dei tempi in fase di discussione e votazione degli emendamenti in Commissione;
nonostante infatti il formale rispetto dei tempi minimi di esame in Commissione previsti dal Regolamento, tale compressione ha di fatto negato la possibilità di un esame adeguato in sede referente, configurando una chiara lesione dei diritti delle opposizioni, e un aggiramento di fatto di fondamentali garanzie costituzionali quali quelle previste dall'articolo 72 della Costituzione,
delibera
pertanto, di non procedere all'esame del disegno di legge n. 1665.
N. 3. Braga, Schlein, Bonafè, Sarracino, Cuperlo, Fornaro, Toni Ricciardi, De Luca, Ubaldo Pagano, Ascani, Mauri, Amendola, Bakkali, Barbagallo, Berruto, Boldrini, Carè, Casu, Ciani, Curti, D'Alfonso, De Maria, De Micheli, Di Biase, Di Sanzo, Evi, Fassino, Ferrari, Forattini, Fossi, Furfaro, Ghio, Gianassi, Girelli, Gnassi, Graziano, Gribaudo, Guerini, Guerra, Iacono, Lacarra, Lai, Laus, Letta, Madia, Malavasi, Mancini, Manzi, Marino, Merola, Morassut, Orfini, Orlando, Peluffo, Porta, Provenzano, Quartapelle Procopio, Roggiani, Andrea Rossi, Scarpa, Scotto, Serracchiani, Simiani, Speranza, Stefanazzi, Stumpo, Tabacci, Vaccari, Zan, Zingaretti.
QUESTIONE PREGIUDIZIALE DI MERITO
La Camera,
premesso che:
il testo trasmesso dal Senato, pur contenendo integrazioni e modificazioni rispetto al disegno di legge governativo originario, mantiene un impianto segnato da criticità rilevanti, emerse e confermate anche durante il ciclo di qualificate audizioni, al punto che si può affermare che, salvo alcuni casi, sono rimasti irrisolti quasi tutti i principali nodi politico-tecnici. Al contrario, cittadini ed imprese hanno bisogno di un quadro normativo certo per programmare le proprie scelte nella vita e nell'attività che svolgono, tenuto conto della delicatezza e del vasto ambito di tematiche che il testo va ad investire;
l'elemento che desta più inquietudine nel disegno di legge in esame è la sua indeterminatezza, tanto che ci si avvia – in modo azzardato – a dare attuazione ad un processo potenzialmente di amplissima portata senza certezza alcuna del quadro ordinamentale e procedurale che lo accompagnerà non soltanto nella cruciale fase negoziale ed istruttoria ma anche in quella strettamente applicativa. Incertezza – consistente nella mancanza di un quadro articolato e preciso di tutte le risposte legislative, finanziarie ed amministrative da utilizzare in base alle possibili variabili nelle ricadute concrete del meccanismo una volta avviato – che si ripercuoterebbe su scala pluriennale –;
logica e ragionevolezza avrebbero voluto che prima di avventurarsi in un progetto frettoloso di attuazione si fosse proceduto ad una preventiva verifica dell'applicazione del nuovo Titolo V dopo oltre venti anni dalla sua approvazione, stante anche la giurisprudenza costituzionale accumulatasi sul punto, il contenzioso e le problematiche concrete riscontrate;
l'attuazione dell'autonomia differenziata non può naturalmente prescindere dal rispetto della coesione sociale del Paese ed anzi la solidarietà e l'unità dei diritti fondamentali esigibili dovrebbero essere alla base di qualsiasi passaggio ulteriore, non potendo il nostro Paese permettersi il lusso di un'avventura alla cieca che investe la struttura stessa dell'ordinamento repubblicano e la sua capacità di risposta. La temporaneità e reversibilità dell'attribuzione alle regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia dovrebbe costituire l'architrave, in un dispositivo prudente, graduale nel tempo e precisamente circoscritto a funzioni puntuali gestibili con certezza, dovevano essere i presupposti attorno ai quali costruire la disciplina attuativa, specificando un sistema di regole efficace e flessibile anche per periodi di eventuale crisi o nel caso di riscontro di problematiche nella fase applicativa e invece, anche dopo le modifiche approvate dal Senato permangono ampi dubbi proprio sulle modalità applicative di questi criteri. La definizione dei princìpi generali andava pertanto ripensata e riarticolata, mantenendo fermi il ruolo di indirizzo, controllo, correzione e coordinamento da parte dello Stato e del Parlamento in ogni fase, in modo da garantire la indispensabile omogeneità delle politiche pubbliche nei settori socialmente ed economicamente strategici e il miglioramento della qualità dei servizi resi dalle amministrazioni pubbliche. Cosa che non può verificarsi senza un previo e condiviso raccordo operativo e puntualmente definito tra lo Stato – Parlamento compreso – e le regioni, anche avvalendosi della Conferenza Unificata;
una attuazione efficace dell'autonomia richiederebbe, tra i principi di unità preminenti ed invalicabili, quello di partecipazione – in ogni fase – degli organismi tecnici pubblici più qualificati e, in primis, dei cittadini. Già i negoziati dovrebbero tener conto di questi ultimi, unitamente ai corpi sociali, delle associazioni, delle forze sociali, delle imprese: questa partecipazione – entro precisi schemi normativi – dovrebbe essere assicurata in piena trasparenza per ogni passaggio successivo. La promozione di pratiche ambientalmente sostenibili e di solidarietà interterritoriale dovrebbe parimenti figurare tra gli elementi fondamentali ispiratori della norma in esame. A partire dalla fase iniziale, lo stesso processo di valutazione delle richieste di attribuzione di autonomia differenziata appare logico che venga subordinato alla preventiva approvazione di una legge dello Stato volta a definire la gradualità del processo, le regole di valutazione dell'impatto sulla redistribuzione tra cittadini in termini fiscali e di servizi, le modalità di intervento dello Stato in caso di necessità per interesse nazionale e le regole comuni volte a prevenire differenziazioni normative sul territorio disfunzionali per la solidarietà tra territori e la coesione socioeconomica nazionale. Una legge dello Stato ad hoc dovrebbe definire le regole della istruttoria preventiva su ciascuna funzione e materia, cui conformare le istanze delle regioni interessate a richiedere l'autonomia, le regole di trasparenza e rendicontazione, le procedure obbligatorie di verifica della spesa e delle prestazioni erogate da tutte le regioni, a tal fine avvalendosi costantemente della Corte dei conti, del Consiglio di Stato, della Banca d'Italia, della Ragioneria generale dello Stato e dell'Ufficio parlamentare di bilancio e di tutti gli altri organismi pubblici competenti nelle specifiche funzioni;
avviare un processo nel quale teoricamente – dal tenore letterale delle formulazioni normative in esame – non è espressamente escluso che tutte le regioni possano richiedere ed eventualmente ottenere simultaneamente non solo singole funzioni bensì l'intero novero di materie, non significa dare attuazione ad un articolo della Costituzione ma negare lo spirito stesso della Costituzione. Stando al testo la Repubblica si potrebbe ritrovare un corpus normativo frammentato tra regioni ordinarie ad autonomia differenziata, regioni ordinarie ad autonomia non differenziata e regioni a statuto speciale per tutte o ciascuna di tali materie. Ne risulterebbe un mosaico incomprensibile ed ingestibile che nulla ha a che vedere con l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma della Costituzione, la quale andrebbe invece subordinata alla piena definizione della cornice legislativa statale che determini, oltre ai livelli essenziali delle prestazioni – per i quali deve essere assicurato lo stanziamento di risorse necessario a garantirne l'attuazione in concreto – anche i principi fondamentali per tutte le materie di legislazione esclusiva statale e di legislazione concorrente cui, in ogni caso, nessuna istituzione territoriale può derogare. Le intese andrebbero finalizzate al pieno superamento dei divari territoriali delle prestazioni, con riferimento non a prestazioni teoriche ma a quelle effettivamente godute e garantite su tutto il territorio nazionale, quale condizione preliminare per l'attribuzione di ulteriori funzioni e limite inderogabile per le relative negoziazioni. Nell'ambito della gradualità del processo, in una prima fase, sarebbe stato saggio escludere dal possibile riconoscimento di ulteriori e particolari forme di autonomia in materie di legislazione esclusiva statale come le norme generali dell'istruzione e alcune delle stesse materie di legislazione concorrente per le quali un'ulteriore devoluzione comporterebbe un rischio di disarticolazione di diritti fondamentali delle persone e dello sviluppo economico unitario del Paese. Parallelamente, la procedura di richieste di funzioni o compiti non associate ai LEP dovrebbe essere avviata solo successivamente all'approvazione di una legge finalizzata a predeterminare i parametri di efficienza, equità, solidarietà e coesione socioeconomica, alla luce dei quali poter valutare limiti e modalità di delegabilità delle stesse, con particolare riferimento al confronto tra i costi e i benefici per la regione richiedente, per le altre regioni e per lo Stato, così da prevenire asimmetrie, inefficienze e difficoltà regolatorie per i cittadini e le imprese in termini di coordinamento normativo e amministrativo;
la legge dello Stato risulta lo strumento più adatto a definire le modalità di una specifica istruttoria per ciascuna funzione nell'ambito di ciascuna materia, secondo metodologie condivise, trasparenti e validate da organismi tecnici nazionali, al fine di valutare le conseguenze del decentramento rispetto allo status quo per la regione interessata e per il resto del Paese nella gestione a livello decentrato – anche in termini di efficienza ed efficacia – nella rapidità e nella qualità dei processi decisionali ai fini della coesione e della solidarietà sociale. Solo in tal modo si possono misurare preventivamente le richieste di accesso alla luce del loro impatto sulle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane. Al contrario, il testo non sfrutta il principio di gradualità nell'attribuzione delle funzioni e non è esplicito e dettagliato nel prevedere che vengano svolte verifiche puntuali prima di ogni passaggio successivo. I criteri di accesso delle singole regioni alle competenze differenziate per ciascuna materia o ambito di materia, andrebbero delineati per via legislativa e sulla base di valutazioni qualificate ed analisi adeguate concedendole purché la modifica dell'attuale riparto di competenze sia motivato dall'interesse nazionale e non solo dagli interessi di una frazione territoriale. Da questo, per organizzare l'intero processo in modo logico e coerente, discende la necessità di procedere per fasi sperimentali, di individuare un numero massimo di ambiti richiedibili all'interno di un novero di materie che si rivelino, sulla base di parametri oggettivi e dell'esperienza del Titolo V meno difficili da gestire a livello sub-statale, evitando in radice che si possa richiedere simultaneamente o persino effettivamente concedere l'intero novero delle stesse. Trascurato appare l'aspetto del necessario coordinamento nazionale delle materie temporaneamente delegabili, come anche il principio fondamentale di non discriminazione nel godimento dei diritti e dei servizi relativi, affermati apparentemente ma poi privati di un concreto presidio legislativo di tutela. Tutti questi aspetti non tengono neppure conto della necessaria cautela che imporrebbe la delicata e controversa materia del Titolo V, già oggetto di numerosa giurisprudenza costituzionale ma anche di proposte di revisione – tuttora pendenti – sia di iniziativa parlamentare che popolare, nella cui ultima categoria va annoverato il disegno di legge n. 764 recante proprio una modifica dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, concernente il riconoscimento alle regioni di forme e condizioni particolari di autonomia, e modifiche all'articolo 117, commi primo, secondo e terzo, della Costituzione, con l'introduzione di una clausola di supremazia della legge statale e lo spostamento di alcune materie di potestà legislativa concorrente alla potestà legislativa esclusiva dello Stato;
rispetto al testo governativo originario sarebbe stato saggio e prudente rafforzare il ruolo istruttorio e deliberativo parlamentare e quello consultivo e di verifica degli organismi tecnici statali nella fase iniziale di negoziato tra la regione e lo Stato, nella fase in cui lo schema di intesa preliminare arriva in Parlamento, nella fase finale in cui il disegno di legge contenente lo schema di intesa definitivo deve essere esaminato dalle Camere, all'occorrenza in una fase di nuova negoziazione dell'intesa, nella fase attuativa ed eventualmente in quella, cruciale, di tipo correttivo o persino revocatorio. Mancano tuttavia l'indicazione parlamentare degli indirizzi e dei criteri cui la negoziazione dovrà attenersi, la specificazione delle funzioni in cui si articola ogni materia, il vincolo di legge per cui il trasferimento a una o più regioni può riguardare solo specifiche funzioni e non un'intera materia, la limpida e netta previsione della revoca statale a tutela dell'interesse nazionale e dei diritti dei cittadini, un nitido meccanismo volto a prevenire aggravi di spesa o malfunzionamento nella distribuzione o nell'utilizzo delle risorse finanziarie;
nel testo non sono esplicitate linee guida di valutazione degli esiti attesi dalla differenziazione sia per la regione richiedente che per le altre regioni, al fine di evitare disparità tra territori in termini di risorse e strutture o maggiori oneri per i cittadini e le imprese e di garantire maggiore efficienza ed efficacia dei servizi su tutto il territorio nazionale. Nel testo, a fronte dell'introduzione di un articolo sul monitoraggio relativo alle intese, permane la mancanza di una esaustiva disciplina delle procedure di confronto periodico e simmetrico tra i servizi resi dalle regioni ad autonomia differenziata e quelli forniti invece dallo Stato e dalle regioni non differenziate. Non essendo costituzionalmente ragionevole che lo Stato si spogli della propria competenza in intere materie o settori, la norma di attuazione avrebbe dovuto definire i requisiti fondamentali per il mantenimento dei legami solidaristici tra cittadini residenti in regioni differenziate e non differenziate e tra i livelli di governo corrispondenti; l'individuazione degli strumenti di coordinamento tra Stato e regioni e regioni ed enti locali in riferimento alla differenziazione; i meccanismi di commisurazione del potere di spesa e delle fonti di finanziamento e i relativi meccanismi di responsabilizzazione delle amministrazioni interessate; i meccanismi e i requisiti atti a dimostrare, sulla base di affidabili dati ed indicatori economico sociali, i benefici per l'interesse nazionale derivanti dalla differenziazione ed in particolare di misurazione preventiva del miglioramento delle condizioni socio-economiche per le regioni non differenziate derivante dall'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione; un rapporto chiaro tra regionalismo differenziato e regionalismo a statuto speciale;
non soltanto la fase negoziale ma la stessa possibilità di richiesta di attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia manca del presupposto di una dimostrata o dimostrabile maggior efficienza della gestione regionale del pubblico servizio collegato alla funzione di cui si richiede il trasferimento, senza effetti negativi per le altre regioni e per il libero esercizio dei diritti sociali e civili ed economici dei cittadini e delle imprese su tutto il territorio nazionale. In luogo della riduzione delle esistenti disparità regionali, si avrebbe una maggiore deresponsabilizzazione dei decisori delle politiche pubbliche nell'uso delle risorse pubbliche;
anche dopo le modificazioni ed integrazioni apportate in fase istruttoria, resta dubbia la configurazione di un costrutto normativo che realmente rechi un processo razionale, controllato e reversibile, secondo un metodo temporale selettivo, sostenibile e graduale, a garanzia della sua gestibilità e della unitarietà del quadro giuridico in cui cittadini ed imprese si ritroverebbero a vivere ed operare alla fine del processo stesso. La mancanza di elementi conoscitivi e valutativi di assoluto rilievo fa apparire il testo come una sorta di scommessa o salto nel buio che l'Italia non dovrebbe affrontare con incoscienza. L'Ufficio Parlamentare di Bilancio, la Cabina di regia di cui all'articolo 1, comma 93 della legge 29 dicembre 2022, n. 197, la Commissione tecnica per i fabbisogni standard, le Amministrazioni centrali, il Consiglio di Stato, la Corte dei conti, la Banca d'Italia, la Ragioneria Generale dello Stato avrebbero dovuto avere, nel testo, ben altro ruolo nell'individuazione e verifica delle funzioni fondamentali svolte a livello centrale o locale nell'ambito delle materie rilevanti ai fini dell'autonomia differenziata, così come nei criteri di valutazione degli effetti su tutte le regioni delle diverse modalità di finanziamento delle singole funzioni attribuibili alle regioni e delle conseguenti misure di riequilibrio eventualmente da assumere, nel controllo della qualità dei servizi resi sull'intero territorio nazionale. Le carenze della disciplina generale, dai criteri di valutazione ex ante alle modalità di intervento ex post, pongono rischi concreti in caso di future problematiche;
ne deriva un timore per gli effetti distorsivi causati dalla proliferazione di normative differenziate, dalla frammentazione dei centri di responsabilità, intervento e controllo, dall'aumento dei costi, anche indiretti, di adempimento per cittadini ed imprese e dalle difficoltà di coordinamento ed integrazione a livello nazionale. Né si rinvengono criteri di analisi degli effetti sui costi fissi, sul trasferimento eventuale di risorse umane e strumentali verso e tra regioni ad autonomia differenziata, sulla residua efficienza dello Stato e delle amministrazioni delle regioni non differenziate, sull'ammontare delle risorse perequate e sui servizi dei comuni. Così come non convince l'introduzione di misure perequative e di promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale, che poi non vengono debitamente supportate dagli investimenti necessari per stimolare l'economia del Paese e per offrire a tutte le regioni le medesime opportunità di crescita;
ciò pregiudica la consapevolezza dell'esame e comprime alla radice i necessari approfondimenti su decisioni che – una volta prese – assumeranno carattere pluriennale. Se tutti si augurano che i benefici possano essere pluriennali andrebbe però evitato che siano i danni ad essere pluriennali e per ottenere questo sarebbe stato opportuno che la norma risultante dall'esame del Parlamento sull'attuazione dell'autonomia differenziata fosse esaustiva e facesse rinvio ad ulteriori meccanismi legislativi, prevedendo una fase sperimentale tale da far soppesare su base oggettiva i diversi aspetti applicativi, a cominciare da un trattamento non omogeneo di materie e funzioni tra loro assai diversificate, essenziale per evitare confusione tra cittadini ed operatori socioeconomici;
meccanismi temporali più realistici e passaggi procedimentali più accurati avrebbero migliorato la qualità delle decisioni e la consapevolezza delle conseguenze che queste possono comportare in tempi e territori differenti. Il disegno di legge avrebbe pertanto dovuto contenere disposizioni atte alla prevenzione dei fenomeni di disomogeneità della regolazione e frammentazione delle competenze amministrative e legislative. A tal fine, in aggiunta al già previsto potere sostitutivo del Governo ai sensi dell'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, sarebbe stato opportuno garantire la prerogativa della legge dello Stato di intervenire in materie conferite alle regioni in ogni momento quando lo richieda la tutela dell'interesse nazionale, ferma rimanendo la preminente tutela dei principi fondamentali della Costituzionale. Si tratta di una prudente formula di flessibilità laddove determinate situazioni in futuro dovessero richiedere un intervento sollecito, che non va lasciata all'incertezza applicativa di un testo che avvia un processo di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, senza curarsi di disciplinare con attenzione e saggezza un meccanismo che non andrebbe messo incautamente in moto senza sapere come governarlo in concreto in tutte le diverse evenienze possibili;
il divario tra Nord e Sud e quello all'interno dei diversi territori, di cui l'articolo 119 della Costituzione imporrebbe la rimozione, per effetto del regionalismo differenziato tende, se possibile, ad inasprirsi, in violazione del principio perequativo di cui all'articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e quindi dell'articolo 117 della Costituzione;
problematiche di assoluta rilevanza, oltre che dagli organismi tecnici auditi, sono state rilevate dai sindacati dei lavoratori e dalle associazioni delle categorie produttive sia in ordine a profili specifici che sull'impianto complessivo. I contesti di crisi nazionale ed internazionale più recenti hanno infatti dimostrato che un potere centrale incisivo in termini di coordinamento ed operatività serve tanto quanto una cornice normativa unitaria e che la frammentazione indebolisce l'Italia di fronte ai suoi competitori internazionali perché polverizza i centri decisionali e le responsabilità, situazione molto pericolosa nei casi di emergenza socioeconomica. Non a caso sul tema si è espresso in prima persona il Governatore della Banca d'Italia in una lettera inviata al presidente del Comitato LEP, con cui mette in guardia sui rischi per il bilancio pubblico o per prestazioni collegate ai LEP formulate in termini troppo generici, in buona parte riconducibili a mere petizioni di principio, il cui contenuto pratico rimane a suo avviso in larga parte indeterminato. Un monito che è giunto dopo le dimissioni date da quattro insigni componenti del Comitato nel luglio del 2023;
l'Ufficio parlamentare di bilancio ha segnalato, dal punto di vista procedurale, l'assenza di criteri di accesso al regionalismo differenziato – ad esempio relativi alla solidità delle finanze e alla capacità amministrativa delle regioni richiedenti – e l'assenza di informazioni sulle implicazioni finanziarie da esso derivanti al momento del passaggio parlamentare nonché i rischi di maggiori oneri per il bilancio dello Stato derivanti dall'asimmetria nell'aggiustamento delle aliquote di compartecipazione negli anni successivi al conferimento delle ulteriori forme di autonomia e l'assenza di momenti di coordinamento tra le decisioni riguardanti le risorse da trasferire alle diverse regioni richiedenti, prese unicamente sulla base di accordi bilaterali fra esecutivi nell'ambito delle Commissioni paritetiche Stato-regione;
in proposito, si segnala, altresì, che non sono previsti momenti di valutazione ex ante o ex post delle conseguenze delle attribuzioni, in quanto l'autonomia differenziata potrebbe portare a configurazioni molto diverse fra loro e, dunque, ad uno scenario fortemente frammentato, con funzioni differenti e LEP differenti e peso finanziario differente: il caos derivante dalla possibilità che in ciascuna delle 23 materie oggetto di devoluzione si possa determinare una attività legislativa e amministrativa differenziata in ciascuna delle 20 regioni che potrebbe avanzarne richiesta, inciderebbe anche in ordine all'attrattività, già piuttosto bassa, del Paese da parte degli investitori esteri;
una bocciatura all'autonomia differenziata è arrivata anche dalla Commissione europea che nei rilievi di cui al Country Report del 2023 ha sollevato numerosi dubbi in merito ai presunti rischi che l'autonomia differenziata potrebbe provocare in termini di aumento delle disparità e tenuta dei conti pubblici, nonché sulla capacità dei LEP di compensare gli squilibri territoriali per l'incapienza dei necessari stanziamenti;
è la Corte dei conti a ribadire che il conseguimento dell'autonomia differenziata debba essere inserito all'interno di un quadro di riferimento unitario e cooperativo e, se da una parte rimanda alla necessaria definizione dei LEP, dall'altra rinvia alla necessità di realizzare una completa perequazione infrastrutturale, necessaria non solo per colmare le carenze di molte regioni, in particolare del sud, ma anche all'interno delle regioni più sviluppate, dove talvolta convivono situazioni di marginalità;
in conclusione, quello che si deve rilevare con preoccupazione è che il sistema concepito, declinato in maniera dettagliata solo in alcuni suoi aspetti, appare privo di un quadro normativo di misure altrettanto puntuali da adottare in caso di malfunzionamento dello stesso. Si è di fronte ad una interpretazione dell'articolo 116 e non già alla sola, univoca e possibile forma di attuazione. E, più specificamente, ad un disegno di legge ordinario contenente una opzione attuativa tra le tante, che per vari motivi non sembra in linea con i principi fondamentali del nostro stesso ordinamento costituzionale. Il testo peraltro non assicura che siano al contempo determinati e debitamente finanziati, quindi concretamente attuabili tutti i LEP attinenti all'esercizio di diritti civili e sociali ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione. Particolare incertezza avvolge il futuro di materie quali tutela dell'ambiente e dei beni culturali; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione; tutela della salute; reti di trasporto, energetiche e della comunicazione; commercio e professioni; il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. In tutti questi campi, come anche in altri, non è chiaro quale possa essere il ruolo futuro del Parlamento e del Governo, quindi dello Stato, che dovrebbe invece poterne mantenere il controllo e la regia a garanzia di tutti i cittadini su tutto il territorio. In mancanza tutti gli elementi essenziali a prefigurare un ordinato e positivo sviluppo del modello di autonomia recato dal testo in esame ed in assenza di correttivi sufficienti applicati nella fase istruttoria, dal disegno di legge appare un quadro di incertezza ordinamentale che l'Italia non può assolutamente permettersi in questa fase,
delibera
di non procedere all'esame del disegno di legge n. 1665.
N. 1. Alifano, Alfonso Colucci, Auriemma, Penza, Torto, Fenu, Francesco Silvestri.