XIX LEGISLATURA
ORGANIZZAZIONE DEI TEMPI DI ESAME: PDL N. 433 E ABB.
Pdl n.
433
e abb. – Disposizioni in materia di assistenza sanitaria
per le persone senza dimora
Tempo complessivo: 14 ore, di cui:
• discussione sulle linee generali: 8 ore;
• seguito dell'esame: 6 ore.
Discussione generale | Seguito dell'esame | |
Relatore | 20 minuti | 20 minuti |
Governo | 20 minuti | 20 minuti |
Richiami al Regolamento | 10 minuti | 10 minuti |
Tempi tecnici | 30 minuti | |
Interventi a titolo personale | 1 ora e 20 minuti |
42 minuti
(con il limite massimo di 5 minuti per il complesso degli interventi di ciascun deputato) |
Gruppi | 5 ore e 50 minuti | 2 ore e 58 minuti |
Fratelli d'Italia | 45 minuti | 36 minuti |
Partito Democratico – Italia democratica e progressista | 39 minuti | 25 minuti |
Lega – Salvini premier | 38 minuti | 23 minuti |
MoVimento 5 Stelle | 36 minuti | 20 minuti |
Forza Italia – Berlusconi presidente – PPE | 36 minuti | 19 minuti |
Azione – Popolari Europeisti Riformatori – Renew Europe | 32 minuti | 12 minuti |
Alleanza Verdi e Sinistra | 31 minuti | 11 minuti |
Noi Moderati (Noi Con L'Italia, Coraggio Italia, Udc e Italia al Centro) – MAIE | 31 minuti | 11 minuti |
Italia Viva – Il Centro – Renew Europe | 31 minuti | 11 minuti |
Misto: | 31 minuti | 10 minuti |
Minoranze Linguistiche | 18 minuti | 6 minuti |
+Europa | 13 minuti | 4 minuti |
COMUNICAZIONI
Missioni valevoli
nella seduta del 29 maggio 2024.
Albano, Ascani, Bagnai, Barbagallo, Barelli, Barzotti, Battistoni, Bellucci, Benvenuto, Bignami, Bitonci, Braga, Brambilla, Calderone, Cappellacci, Carfagna, Carloni, Casasco, Cavandoli, Cecchetti, Cesa, Cirielli, Colosimo, Enrico Costa, Sergio Costa, Deidda, Della Vedova, Delmastro Delle Vedove, Donzelli, Faraone, Fassino, Ferrante, Ferro, Fitto, Foti, Frassinetti, Freni, Gava, Gebhard, Gemmato, Giachetti, Giglio Vigna, Giorgetti, Gribaudo, Grippo, Guerini, Gusmeroli, Leo, Letta, Lollobrigida, Lupi, Maccari, Magi, Mangialavori, Maschio, Mazzi, Meloni, Minardo, Molinari, Mollicone, Molteni, Morrone, Mulè, Nordio, Osnato, Nazario Pagano, Patriarca, Pellegrini, Pellicini, Pichetto Fratin, Pietrella, Polidori, Prisco, Rampelli, Richetti, Rixi, Rizzetto, Roccella, Romano, Rosato, Angelo Rossi, Rotelli, Scerra, Schullian, Semenzato, Serracchiani, Francesco Silvestri, Siracusano, Sportiello, Sudano, Tabacci, Tajani, Trancassini, Tremonti, Vaccari, Varchi, Vinci, Zaratti, Zoffili, Zucconi.
(Alla ripresa pomeridiana della seduta).
Albano, Ascani, Bagnai, Barelli, Barzotti, Battistoni, Bellucci, Benvenuto, Bignami, Bitonci, Braga, Brambilla, Calderone, Cappellacci, Carfagna, Carloni, Casasco, Cavandoli, Cecchetti, Cesa, Cirielli, Colosimo, Alessandro Colucci, Enrico Costa, Sergio Costa, Della Vedova, Delmastro Delle Vedove, Faraone, Fassino, Ferrante, Ferro, Fitto, Foti, Frassinetti, Freni, Gava, Gebhard, Gemmato, Giachetti, Giglio Vigna, Giorgetti, Gribaudo, Grippo, Guerini, Gusmeroli, Leo, Letta, Lollobrigida, Lucaselli, Lupi, Maccari, Magi, Mangialavori, Maschio, Mazzi, Meloni, Minardo, Molinari, Mollicone, Molteni, Morrone, Mulè, Nordio, Osnato, Nazario Pagano, Patriarca, Pellegrini, Pellicini, Pichetto Fratin, Pietrella, Polidori, Prisco, Rampelli, Richetti, Rixi, Rizzetto, Roccella, Romano, Rosato, Angelo Rossi, Rotelli, Scerra, Schullian, Semenzato, Serracchiani, Francesco Silvestri, Siracusano, Sportiello, Sudano, Tabacci, Tajani, Trancassini, Tremonti, Vaccari, Varchi, Vinci, Zaratti, Zoffili, Zucconi.
Annunzio di proposte di legge.
In data 28 maggio 2024 sono state presentate alla Presidenza le seguenti proposte di legge d'iniziativa dei deputati:
GRUPPIONI: «Disciplina dell'attività di relazioni istituzionali per la rappresentanza di interessi» (1894);
AMICH: «Istituzione della Giornata nazionale in memoria di 446 italiani internati e deportati dal Regno Unito per causa di guerra, periti nel naufragio del piroscafo britannico Arandora Star, silurato da un'unità della Marina tedesca nell'Oceano Atlantico il 2 luglio 1940» (1895).
Saranno stampate e distribuite.
Adesione di deputati a proposte di legge.
Le seguenti proposte di legge sono state successivamente sottoscritte dal deputato Giagoni:
GUSMEROLI ed altri: «Incentivi per l'acquisto di grandi elettrodomestici ad elevata efficienza energetica con contestuale riciclo degli apparecchi obsoleti» (855);
MESSINA ed altri: «Disposizioni in favore delle società sportive aventi sede nelle regioni Sicilia e Sardegna» (1007);
MESSINA ed altri: «Modifica all'articolo 1 del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106, in materia di incremento del credito d'imposta per favorire le erogazioni liberali a sostegno della cultura nelle regioni Sicilia e Sardegna» (1008);
CARAMANNA ed altri: «Delega al Governo in materia di riordino delle norme relative alla concessione di spazi e aree pubbliche di interesse culturale o paesaggistico alle imprese di pubblico esercizio per l'installazione di strutture amovibili funzionali all'attività esercitata» (1486).
Assegnazione di progetti di legge
a Commissioni in sede referente.
A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti progetti di legge sono assegnati, in sede referente, alle sottoindicate Commissioni permanenti:
V Commissione (Bilancio e Tesoro):
MEROLA: «Modifica del titolo VIII della parte seconda del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, in materia di disciplina degli enti locali in situazione di criticità finanziaria o di squilibrio eccessivo» (1622) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VIII, IX, X, XI e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
IX Commissione (Trasporti):
MADIA ed altri: «Disposizioni per la tutela dei bambini e degli adolescenti nell'utilizzo degli strumenti digitali» (1863) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, VI, VII, X, XI, XII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
XI Commissione (Lavoro):
ORLANDO ed altri: «Modifica dell'articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, abrogazione del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, e altre disposizioni concernenti la disciplina del licenziamento individuale e la tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo» (1714) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), V, X, XII, XIII e XIV;
MINARDO e SACCANI JOTTI: «Disposizioni perequative in materia di calcolo del trattamento pensionistico del personale delle Forze armate e di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco» (1819) Parere delle Commissioni I, IV e V.
XII Commissione (Affari sociali):
S. 737. – Senatori PIROVANO ed altri: «Istituzione della Giornata nazionale della meraviglia, al fine di sensibilizzare sulle sofferenze e far conoscere le fatiche dei bambini che vivono in guerra, per riflettere sul valore fondamentale del diritto alla meraviglia nella vita dei bambini e degli adulti» (approvata dalla 1ª Commissione permanente del Senato) (1886) Parere delle Commissioni I, III, V e VII.
XIII Commissione (Agricoltura):
SERGIO COSTA ed altri: «Disposizioni concernenti l'istituzione e l'attività dei rifugi per l'accoglienza degli animali sequestrati o confiscati provenienti da allevamenti» (1472) Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, VII, VIII, XII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Commissioni riunite VIII (Ambiente) e X (Attività produttive):
SERGIO COSTA: «Disposizioni concernenti l'eliminazione di sussidi ambientalmente dannosi e delega al Governo per il riordino del sistema degli incentivi destinati al settore energetico» (1598) Parere delle Commissioni I, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), IX, XI, XIII, XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Trasmissione dalla Corte dei conti.
Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 28 maggio 2024, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della Fondazione Human Technopole, per l'esercizio 2022, cui sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 240).
Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla XII Commissione (Affari sociali).
Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 28 maggio 2024, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria dell'Associazione nazionale fra lavoratori mutilati ed invalidi del lavoro (ANMIL), per l'esercizio 2021, cui sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 241).
Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla XII Commissione (Affari sociali).
Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 28 maggio 2024, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria della Lega italiana per la lotta contro i tumori (LILT), per l'esercizio 2022, cui sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 242).
Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla XII Commissione (Affari sociali).
Il Presidente della Sezione del controllo sugli enti della Corte dei conti, con lettera in data 29 maggio 2024, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relazione riferite al risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria del Centro internazionale di studi di architettura «Andrea Palladio» (CISA), per gli esercizi 2021 e 2022, cui sono allegati i documenti rimessi dall'ente ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della citata legge n. 259 del 1958 (Doc. XV, n. 243).
Questi documenti sono trasmessi alla V Commissione (Bilancio) e alla VII Commissione (Cultura).
Annunzio di risoluzioni
del Parlamento europeo.
Il Parlamento europeo, in data 27 maggio 2024, ha trasmesso le seguenti risoluzioni e decisione, approvate nella tornata dal 10 all'11 aprile 2024, che sono assegnate, ai sensi dell'articolo 125, comma 1, del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, nonché, per il parere, alla III Commissione (Affari esteri) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), se non già assegnate alle stesse in sede primaria:
Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce una procedura comune di protezione internazionale nell'Unione e abroga la direttiva 2013/32/UE (Doc. XII, n. 409) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente le situazioni di crisi e di forza maggiore nel settore della migrazione e dell'asilo (Doc. XII, n. 410) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla gestione dell'asilo e della migrazione e che modifica la direttiva 2003/109/CE del Consiglio e la proposta di regolamento (UE) XXX/XXX [Fondo Asilo e migrazione] (Doc. XII, n. 411) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce una procedura di rimpatrio alla frontiera e che modifica il regolamento (UE) 2021/1148 (Doc. XII, n. 412) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che introduce accertamenti nei confronti dei cittadini di Paesi terzi alle frontiere esterne e modifica i regolamenti (CE) n. 767/2008, (UE) 2017/2226, (UE) 2018/1240 e (UE) 2019/817 (Doc. XII, n. 413) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (UE) 2019/816 che istituisce un sistema centralizzato per individuare gli Stati membri in possesso di informazioni sulle condanne pronunciate a carico di cittadini di Paesi terzi e apolidi (ECRIS-TCN) e integrare il sistema europeo di informazione sui casellari giudiziali e del regolamento (UE) 2019/818 che istituisce un quadro per l'interoperabilità tra i sistemi di informazione dell'Unione europea nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria, asilo e migrazione, e che modifica i regolamenti (UE) 2018/1726, (UE) 2018/1862 e (UE) 2019/816, allo scopo di introdurre accertamenti nei confronti dei cittadini di Paesi terzi alle frontiere esterne (Doc. XII, n. 414) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l'«Eurodac» per il confronto delle impronte digitali per l'efficace applicazione del regolamento (UE) n. 604/2013 che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di paese terzo o da un apolide, per l'identificazione di cittadini di Paesi terzi o apolidi il cui soggiorno è irregolare e per le richieste di confronto con i dati Eurodac presentate dalle autorità di contrasto degli Stati membri e da Europol a fini di contrasto (rifusione) (Doc. XII, n. 415) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro dell'Unione per il reinsediamento e modifica il regolamento (UE) n. 516/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio (Doc. XII, n. 416) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme sull'attribuzione a cittadini di Paesi terzi o apolidi della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria e sul contenuto della protezione riconosciuta, che modifica la direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di Paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (Doc. XII, n. 417) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
Risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (rifusione) (Doc. XII, n. 418) – alla I Commissione (Affari costituzionali);
Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa condizioni armonizzate per la commercializzazione dei prodotti da costruzione, modifica il regolamento (UE) 2019/1020 e abroga il regolamento (UE) n. 305/2011 (Doc. XII, n. 419) – alla VIII Commissione (Ambiente);
Risoluzione legislativa sulla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2013/34/UE per quanto riguarda i termini per l'adozione di principi di rendicontazione di sostenibilità per taluni settori e per talune imprese di Paesi terzi (Doc. XII, n. 420) – alle Commissioni riunite II (Giustizia) e VI (Finanze);
Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla riduzione delle emissioni di metano nel settore dell'energia e che modifica il regolamento (UE) 2019/942 (Doc. XII, n. 421) – alla VIII Commissione (Ambiente);
Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) 2017/852 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 maggio 2017, sul mercurio per quanto riguarda l'amalgama dentale e altri prodotti con aggiunta di mercurio soggetti a divieti di fabbricazione, importazione ed esportazione (Doc. XII, n. 422) – alla XII Commissione (Affari sociali);
Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) 2019/1242 per rafforzare i livelli di prestazione in materia di emissioni di CO2 dei veicoli pesanti nuovi e integrare gli obblighi di comunicazione, e abroga il regolamento (UE) 2018/956 (Doc. XII, n. 423) – alle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e IX (Trasporti);
Risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2001/110/CE del Consiglio concernente il miele, la direttiva 2001/112/CE del Consiglio concernente i succhi di frutta e altri prodotti analoghi destinati all'alimentazione umana, la direttiva 2001/113/CE del Consiglio relativa alle confetture, gelatine e marmellate di frutta e alla crema di marroni destinate all'alimentazione umana e la direttiva 2001/114/CE del Consiglio relativa a taluni tipi di latte conservato parzialmente o totalmente disidratato destinato all'alimentazione umana (Doc. XII, n. 424) – alla XIII Commissione (Agricoltura);
Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 691/2011 per quanto riguarda l'introduzione di nuovi moduli dei conti economici ambientali (Doc. XII, n. 425) – alle Commissioni riunite V (Bilancio) e VIII (Ambiente);
Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un quadro di certificazione dell'Unione per gli assorbimenti di carbonio (Doc. XII, n. 426) – alla VIII Commissione (Ambiente);
Risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle norme riguardanti gli organismi per la parità nel settore della parità di trattamento e delle pari opportunità tra donne e uomini in materia di occupazione e impiego, e che sopprime l'articolo 20 della direttiva 2006/54/CE e l'articolo 11 della direttiva 2010/41/UE (Doc. XII, n. 427) – alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e XI (Lavoro);
Risoluzione legislativa sul progetto di direttiva del Consiglio sulle norme riguardanti gli organismi per la parità in materia di parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza o dall'origine etnica, tra le persone in materia di occupazione e impiego indipendentemente dalla religione o dalle convinzioni personali, dalla disabilità, dall'età o dall'orientamento sessuale e tra le donne e gli uomini in materia di sicurezza sociale e per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura, e che modifica le direttive 2000/43/CE e 2004/113/CE (Doc. XII, n. 428) – alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e XI (Lavoro);
Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) 2021/1232 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo a una deroga temporanea a talune disposizioni della direttiva 2002/58/CE ai fini della lotta contro gli abusi sessuali online sui minori (Doc. XII, n. 429) – alla II Commissione (Giustizia);
Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce misure di conservazione, gestione e controllo applicabili nella zona della convenzione sulla futura cooperazione multilaterale per la pesca nell'Atlantico nord-orientale, modifica il regolamento (UE) 2019/1241 del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 1224/2009 del Consiglio e abroga i regolamenti (CEE) n. 1899/85 e (UE) n. 1236/2010 del Consiglio (Doc. XII, n. 430) – alla XIII Commissione (Agricoltura);
Risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2009/18/CE che stabilisce i princìpi fondamentali in materia di inchieste sugli incidenti nel settore del trasporto marittimo (Doc. XII, n. 431) – alla IX Commissione (Trasporti);
Risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2009/16/CE, relativa al controllo da parte dello Stato di approdo (Doc. XII, n. 432) – alla IX Commissione (Trasporti);
Risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2005/35/CE relativa all'inquinamento provocato dalle navi e all'introduzione di sanzioni, anche penali, per i reati di inquinamento (Doc. XII, n. 433) – alla VIII Commissione (Ambiente);
Risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2009/21/CE relativa al rispetto degli obblighi dello Stato di bandiera (Doc. XII, n. 434) – alla IX Commissione (Trasporti);
Risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul monitoraggio e la resilienza del suolo (normativa sul monitoraggio del suolo) (Doc. XII, n. 435) – alla VIII Commissione (Ambiente);
Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla contabilizzazione delle emissioni di gas a effetto serra dei servizi di trasporto (Doc. XII, n. 436) – alla VIII Commissione (Ambiente);
Risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Consiglio che istituisce un sistema fiscale basato sulle norme della sede centrale per le microimprese e le piccole e medie imprese e modifica la direttiva 2011/16/UE (Doc. XII, n. 437) – alla VI Commissione (Finanze);
Risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Consiglio sui prezzi di trasferimento (Doc. XII, n. 438) – alla VI Commissione (Finanze);
Risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante un codice dell'Unione relativo ai medicinali per uso umano e che abroga le direttive 2001/83/CE e 2009/35/CE (Doc. XII, n. 439) – alla XII Commissione (Affari sociali);
Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce le procedure dell'Unione per l'autorizzazione e la sorveglianza dei medicinali per uso umano, definisce le norme che disciplinano l'Agenzia europea per i medicinali, modifica i regolamenti (CE) n. 1394/2007 e (UE) n. 536/2014 e abroga i regolamenti (CE) n. 726/2004, (CE) n. 141/2000 e (CE) n. 1901/2006 (Doc. XII, n. 440) – alla XII Commissione (Affari sociali);
Risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente il trattamento delle acque reflue urbane (rifusione) (Doc. XII, n. 441) – alla VIII Commissione (Ambiente);
Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sui mercati interni del gas rinnovabile e del gas naturale e dell'idrogeno (rifusione) (Doc. XII, n. 442) – alla X Commissione (Attività produttive);
Risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a norme comuni per i mercati interni del gas rinnovabile e del gas naturale e dell'idrogeno (rifusione) (Doc. XII, n. 443) – alla X Commissione (Attività produttive);
Risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica i regolamenti (UE) 2019/943 e (UE) 2019/942 e le direttive (UE) 2018/2001 e (UE) 2019/944 per migliorare l'assetto del mercato dell'energia elettrica dell'Unione (Doc. XII, n. 444) – alla X Commissione (Attività produttive);
Risoluzione legislativa sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive (UE) 2018/2001 e (UE) 2019/944 per quanto riguarda il miglioramento dell'assetto del mercato dell'energia elettrica dell'Unione (Doc. XII, n. 445) – alla X Commissione (Attività produttive);
Risoluzione legislativa sul progetto di decisione del Consiglio relativa alla conclusione, a nome dell'Unione europea, dell'accordo di partenariato tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e i membri dell'Organizzazione degli Stati dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico, dall'altra (Doc. XII, n. 446) – alla III Commissione (Affari esteri);
Risoluzione legislativa concernente il progetto di decisione del Consiglio relativa alla conclusione, a nome dell'Unione, dell'accordo di partenariato volontario tra l'Unione europea e la Repubblica della Costa d'Avorio sull'applicazione delle normative nel settore forestale, sulla governance e sul commercio del legname e dei suoi derivati importati nell'Unione europea (FLEGT) (Doc. XII, n. 447) – alla III Commissione (Affari esteri);
Risoluzione sulla proposta di decisione del Consiglio relativa alla conclusione, a nome dell'Unione, dell'accordo di partenariato volontario tra l'Unione europea e la Repubblica della Costa d'Avorio sull'applicazione delle normative nel settore forestale, sulla governance e sul commercio del legname e dei suoi derivati importati nell'Unione europea (FLEGT) (Doc. XII, n. 448) – alla III Commissione (Affari esteri);
Risoluzione legislativa concernente il progetto di decisione del Consiglio relativa alla conclusione, a nome dell'Unione, dell'accordo in forma di scambio di lettere tra l'Unione europea e la Repubblica araba d'Egitto ai sensi dell'articolo XXVIII dell'accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT) 1994 in merito alla modifica delle concessioni per tutti i contingenti tariffari inclusi nell'elenco CLXXV dell'Unione europea a seguito del recesso del Regno Unito dall'Unione europea (Doc. XII, n. 449) – alla III Commissione (Affari esteri);
Risoluzione legislativa concernente il progetto di decisione del Consiglio relativa alla firma, a nome dell'Unione, dell'accordo in forma di scambio di lettere tra l'Unione europea e la Repubblica argentina che modifica l'accordo in forma di scambio di lettere tra l'Unione europea e la Repubblica argentina ai sensi dell'articolo XXVIII dell'accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT) 1994 in merito alla modifica delle concessioni per tutti i contingenti tariffari inclusi nell'elenco CLXXV dell'Unione europea a seguito del recesso del Regno Unito dall'Unione europea (Doc. XII, n. 450) – alla III Commissione (Affari esteri);
Risoluzione legislativa sulla proposta di decisione del Consiglio relativa alla conclusione, a nome dell'Unione, della modifica dell'accordo tra l'Unione europea e il Regno di Norvegia riguardante la cooperazione amministrativa, la lotta contro la frode e il recupero dei crediti in materia di imposta sul valore aggiunto (Doc. XII, n. 451) – alla III Commissione (Affari esteri);
Risoluzione legislativa concernente il progetto di decisione del Consiglio relativa alla conclusione, a nome dell'Unione, dell'accordo tra l'Unione europea e l'Islanda su disposizioni complementari in relazione allo Strumento di sostegno finanziario per la gestione delle frontiere e la politica dei visti, nell'ambito del Fondo per la gestione integrata delle frontiere, per il periodo 2021-2027 (Doc. XII, n. 452) – alla III Commissione (Affari esteri);
Risoluzione legislativa concernente il progetto di decisione del Consiglio relativa alla conclusione, a nome dell'Unione, dell'accordo tra l'Unione europea e il Regno di Norvegia su disposizioni complementari in relazione allo Strumento di sostegno finanziario per la gestione delle frontiere e la politica dei visti, nell'ambito del Fondo per la gestione integrata delle frontiere per il periodo 2021-2027 (Doc. XII, n. 453) – alla III Commissione (Affari esteri);
Risoluzione legislativa concernente il progetto di decisione del Consiglio relativa alla conclusione, a nome dell'Unione, dell'accordo tra l'Unione europea e la Confederazione svizzera su disposizioni complementari in relazione allo Strumento di sostegno finanziario per la gestione delle frontiere e la politica dei visti, nell'ambito del Fondo per la gestione integrata delle frontiere, per il periodo 2021-2027 (Doc. XII, n. 454) – alla III Commissione (Affari esteri);
Risoluzione legislativa concernente il progetto di decisione del Consiglio relativa alla conclusione dell'accordo tra l'Unione europea e la Repubblica d'Armenia sulla cooperazione tra l'Agenzia dell'Unione europea per la cooperazione giudiziaria penale (Eurojust) e le autorità della Repubblica d'Armenia competenti per la cooperazione giudiziaria in materia penale (Doc. XII, n. 455) – alla III Commissione (Affari esteri);
Risoluzione legislativa concernente il progetto di decisione del Consiglio relativa alla conclusione, a nome dell'Unione, dell'accordo tra l'Unione europea e il Principato del Liechtenstein su disposizioni complementari in relazione allo Strumento di sostegno finanziario per la gestione delle frontiere e la politica dei visti, nell'ambito del Fondo per la gestione integrata delle frontiere, per il periodo 2021-2027 (Doc. XII, n. 456) – alla III Commissione (Affari esteri);
Decisione sul discarico per l'esecuzione del bilancio generale dell'Unione europea per l'esercizio 2022, sezione III – Commissione e agenzie esecutive (Doc. XII, n. 457) – alla V Commissione (Bilancio).
Trasmissione dalla Commissione europea.
La Commissione europea, in data 24 maggio 2024, ha trasmesso il documento C(2024) 3528 final, recante la risposta della Commissione europea al documento della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) (Doc. XVIII-bis, n. 27), approvato nell'ambito della verifica di sussidiarietà di cui all'articolo 6 del protocollo n. 2 allegato al Trattato di Lisbona, in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio su un quadro di monitoraggio per la resilienza delle foreste europee (COM(2023) 728 final).
Questo documento è trasmesso alla VIII Commissione (Ambiente), alla XIII Commissione (Agricoltura) e alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
Annunzio di progetti di atti
dell'Unione europea.
La Commissione europea, in data 28 maggio 2024, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla IX Commissione (Trasporti), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):
Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull'esercizio della delega conferita alla Commissione a norma della direttiva (UE) 2017/2397 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2017, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali nel settore della navigazione interna e che abroga le direttive 91/672/CEE e 96/50/CE del Consiglio (COM(2024) 203 final);
Proposta di decisione del Consiglio relativa alla posizione da adottare a nome dell'Unione europea in sede di Forum mondiale per l'armonizzazione dei regolamenti sui veicoli della Commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite riguardo alle proposte di modifica dei regolamenti ONU n. 13, 13-H, 22, 30, 41, 49, 51, 54, 63, 78, 79, 83, 85, 96, 100, 101, 108, 109, 117, 120, 129, 134, 138, 150 e 155, a una proposta di un nuovo regolamento ONU sulle prestazioni di aderenza sulla neve e sulla classificazione degli pneumatici da trazione per gli pneumatici ricostruiti, alle proposte di modifica dei regolamenti tecnici mondiali ONU n. 9, 13, 21, 22 e 24 e a una proposta di modifica della risoluzione comune ONU n. 1 (COM(2024) 219 final), corredata dal relativo allegato (COM(2024) 219 final – Annex).
La Corte dei conti europea, in data 29 maggio 2024, ha comunicato la pubblicazione della relazione speciale n. 08/2024 – Le ambizioni dell'Unione europea in materia di intelligenza artificiale – Per il futuro, una governance più forte e investimenti più consistenti e mirati sono essenziali, che è assegnata, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni riunite IX (Trasporti) e X (Attività produttive), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
Il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, in data 28 maggio 2024, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 6, commi 1 e 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, progetti di atti dell'Unione europea, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi.
Questi atti sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle Commissioni competenti per materia, con il parere, se non già assegnati alla stessa in sede primaria, della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).
Richiesta di parere parlamentare
su atti del Governo.
Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 28 maggio 2024, ha trasmesso, ai sensi degli articoli 1 e 11 della legge 21 febbraio 2024, n. 15, la richiesta di parere parlamentare sullo schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva di esecuzione (UE) 2022/2438, che modifica la direttiva 93/49/CEE e la direttiva di esecuzione 2014/98/UE, per quanto riguarda gli organismi nocivi regolamentati non da quarantena rilevanti per l'Unione sui materiali di moltiplicazione delle piante ornamentali, sui materiali di moltiplicazione delle piante da frutto e sulle piante da frutto destinate alla produzione di frutti (156).
Questa richiesta è assegnata, ai sensi del comma 4 dell'articolo 143 del Regolamento, alla XIII Commissione (Agricoltura) nonché, ai sensi del comma 2 dell'articolo 126 del Regolamento, alla XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), che dovranno esprimere i prescritti pareri entro l'8 luglio 2024. È altresì assegnata, ai sensi del comma 2 dell'articolo 96-ter del Regolamento, alla V Commissione (Bilancio), che dovrà esprimere i propri rilievi sulle conseguenze di carattere finanziario entro il 18 giugno 2024.
Atti di controllo e di indirizzo.
Gli atti di controllo e di indirizzo presentati sono pubblicati nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.
MOZIONI CONTE ED ALTRI N. 1-00279, BRAGA ED ALTRI N. 1-00286, COMAROLI, LUCASELLI, PELLA, ROMANO ED ALTRI N. 1-00288, MARATTIN ED ALTRI N. 1-00289, GRIMALDI ED ALTRI N. 1-00290 E RICHETTI ED ALTRI N. 1-00292 IN ORDINE ALLA POSIZIONE DEL GOVERNO ITALIANO SULLA RIFORMA DELLA GOVERNANCE ECONOMICA EUROPEA E DEL PATTO DI STABILITÀ E CRESCITA
Mozioni
La Camera,
premesso che:
1) il tema dell'aggiornamento e della revisione del quadro della governance economica europea rappresenta una questione centrale nel dibattito europeo ed un tema decisivo di politica economica per il nostro Paese in quanto dalla sua approvazione dipenderà la capacità di spesa e di investimento a livello nazionale ed europeo per i prossimi anni, pesantemente influenzata dalle crescenti tensioni e dai mutati scenari geo-politici internazionali;
2) come noto, il 21 dicembre 2023 il Consiglio Ecofin ha formalmente approvato il mandato negoziale con il Parlamento europeo sul nuovo quadro di governance economica e, nello specifico, sul regolamento sul braccio preventivo, nonché un accordo di massima in vista della consultazione del Parlamento sul regolamento sul braccio correttivo e sulla direttiva relativa ai requisiti per i quadri di bilancio nazionali. Successivamente, il 17 gennaio 2024, lo stesso Parlamento europeo ha adottato il proprio mandato negoziale in vista dell'avvio dei negoziati interistituzionali sulla proposta di regolamento riguardante il braccio preventivo del patto;
3) in ragione delle modifiche peggiorative, apportate nel corso dei negoziati alla proposta di riforma che hanno dato seguito a regole più severe sul deficit e a un controllo più restrittivo sulla spesa pubblica degli Stati membri, il Movimento 5 Stelle, in sede parlamentare europea, ha espresso voto contrario alla suddetta posizione negoziale, coerentemente con la posizione peraltro già assunta anche in sede nazionale con la mozione Scerra ed altri n. 1-00082 in materia di revisione della governance economica dell'Unione europea e delle relative politiche di bilancio; la posizione negoziale di gennaio 2024 con il Parlamento europeo è stata invece votata favorevolmente da tutte le altre forze politiche; Fratelli d'Italia, Lega, Forza Italia, Italia Viva e Partito democratico;
4) le elezioni europee si avvicinano e il percorso di riforma e di definizione delle nuove regole sulla governance si è appena concluso: con l'accordo politico provvisorio raggiunto tra i negoziatori del Consiglio e del Parlamento europeo il 10 febbraio 2024 è stato infatti confermato l'impianto complessivo della riforma della governance che rimane quello stabilito nell'accordo raggiunto dagli Stati membri nel Consiglio Ecofin del 21 dicembre 2023;
5) da ultimo, la ferma contrarietà del Movimento 5 Stelle a tale proposta di riforma, in coerenza con le posizioni già assunte nelle precedenti votazioni richiamate in premessa, è stata ribadita con il voto del 23 aprile 2024 in sede di ultima plenaria del Parlamento europeo prima delle elezioni europee, unica forza politica italiana ad essersi espressa contro nella votazione finale della proposta di regolamento sul braccio preventivo del Patto di stabilità e sulla procedura di consultazione sulle altre due proposte relative al regolamento sul braccio correttivo e alla direttiva sui quadri di bilancio nazionali;
6) in quella sede si è peraltro assistito alla totale spaccatura del fronte italiano della maggioranza di centrodestra, cosiddetto dei conservatori e riformisti europei, presieduto dalla Premier Meloni, che, in aperto contrasto con la posizione assunta nelle votazioni precedenti in sede di Consiglio e sconfessando di fatto l'operato del proprio Ministro dell'economia e delle finanze Giorgetti – il quale aveva difeso la sostenibilità dell'accordo per l'Italia – si è astenuto. Nonostante il Governo si fosse dichiarato «soddisfatto» e avesse appoggiato la riforma, definendola «un buon compromesso», Fratelli d'Italia, Forza Italia e Lega non l'hanno infatti sostenuta al momento della votazione;
7) sul dietrofront delle forze di maggioranza sul medesimo pacchetto di proposte di riforma – peraltro sconfessato, ancora una volta, dal voto espresso in sede di Consiglio dell'Unione europea il 29 aprile 2024 a favore del nuovo Patto di stabilità – ad avviso dei presentatori del presente atto di indirizzo pesa evidentemente la prossima campagna elettorale per le elezioni europee di giugno, che lascia trasparire una preoccupante mancanza di responsabilità da parte dell'Esecutivo;
8) dopo oltre un anno e mezzo di trattative, è arrivata infatti, con il voto favorevole del Governo italiano, l'approvazione definitiva, senza discussione, del Consiglio sul pacchetto di proposte legislative inerenti alla riforma del Patto di stabilità e crescita che si è espresso all'unanimità – con l'eccezione del Belgio che si è astenuto sul regolamento sul coordinamento efficace delle politiche economiche e alla sorveglianza di bilancio multilaterale – dando così il via libera a un compromesso giudicato da tutti gli osservatori peggiorativo rispetto alla proposta iniziale della Commissione europea; la riforma delle vecchie regole di governance economica era stata invocata per semplificare il quadro delle regole fiscali europee e rimuovere i difetti di «prociclicità» del vecchio impianto, che avevano finito per comprimere la spesa per investimenti durante i periodi di consolidamento fiscale mentre l'accordo confermato dal Consiglio rischia di fallire entrambi gli obiettivi, con il pericolo concreto per l'Italia di manovre correttive per gli anni a venire e tagli che colpiranno la spesa pubblica, in particolare quella destinata a sanità, istruzione, diritti, investimenti, imprese, infrastrutture e crescita;
9) secondo le stime di autorevoli istituti internazionali, gli obiettivi contenuti nella proposta di riforma si tradurranno in un aggiustamento che per l'Italia potrebbe essere pari a 12-13 miliardi di euro per sette anni. In particolare, secondo lo studio della Confederazione europea dei sindacati (Ces) che si basa sui calcoli del prestigioso think tank Bruegel, la riforma potrebbe costringere l'Italia a tagli annuali al bilancio tra lo 0,61 per cento e l'1,15 per cento del prodotto interno lordo (le percentuali più alte in Unione europea dopo Belgio e Slovacchia). Questo dipenderà dal tipo di piano di rientro del debito che il nostro Governo concorderà con la Commissione europea (una delle novità della riforma), ossia se un piano di 4 anni o uno di 7 anni. Nel primo caso, il taglio annuale, calcola la Ces, sarebbe di 25,4 miliardi di euro. Nel secondo caso, lo sforzo scenderebbe a 13,5 miliardi di euro;
10) complessivamente, i nuovi parametri di base contenuti nel patto – in cui sono rimaste immutate le soglie di riferimento del 3 per cento nel rapporto deficit/prodotto interno lordo e del 60 per cento nel rapporto debito/prodotto interno lordo – rischiano infatti di spingere non solo l'Italia, ma l'intera Unione europea in recessione, dal momento che comporteranno pesanti conseguenze sulla riduzione degli investimenti;
11) proprio con riferimento agli investimenti, quelli nelle aree prioritarie dell'Unione europea – e cioè la transizione climatica e digitale e la sicurezza energetica – a differenza degli investimenti per la difesa considerati fattore rilevante per l'esclusione dal calcolo degli obiettivi di bilancio – non vengono scorporati nella proposta di riforma della governance economica, ma dovranno essere elencati nei piani che gli Stati membri manderanno a Bruxelles;
12) la complicata situazione dei conti pubblici italiani è stata confermata anche dai dati contenuti nelle previsioni economiche d'inverno, pubblicate a febbraio 2024: la Commissione europea ha infatti rivisto, al ribasso, rispetto alle aspettative contenute nelle previsioni economiche di novembre, le stime di crescita per l'Italia, tagliandole di – 0,2 per cento e portandole allo 0,7 per cento per il 2024; tali previsioni contraddicono di fatto anche l'azione governativa che ha basato l'ultima manovra di bilancio su una crescita superiore all'1 per cento;
13) scontata è poi – come confermato dallo stesso Ministro dell'economia e delle finanze Giorgetti, in base all'indebitamento netto registrato dall'Italia nel 2023, la prossima apertura di una procedura per disavanzo eccessivo (Pde) nei confronti dell'Italia in relazione alla riforma della governance economica europea, in base alle raccomandazioni della Commissione europea,
1) alla luce degli effetti applicativi che le rinnovate regole di governance economica europea avranno in termini di tagli alla spesa pubblica per il nostro Paese, censura fortemente l'operato del Governo in relazione al consenso manifestato al Patto di stabilità, dichiarato in sede di Ecofin del 21 dicembre 2023 e confermato in sede di Consiglio il 29 aprile 2024 con il via libera definitivo alle rinnovate regole di governance, e impegna altresì l'Esecutivo ad astenersi dall'assumere posizioni negoziali che confermino l'impostazione attuale del Patto di stabilità così come riformato, in conformità anche con la linea politica espressa dagli eurodeputati italiani sulla riforma in sede di ultima seduta del Parlamento europeo;
2) conseguentemente, impegna il Governo a voler assumere, in ogni sede europea, una posizione di netta contrarietà al rinnovato Patto di stabilità, facendosi portavoce della necessità di rinegoziare l'accordo, al fine, da una parte, di evitare nuovi vincoli e tagli agli investimenti per l'Italia, e, dall'altra, di includervi, tra i fattori da considerarsi rilevanti, anche le spese in investimenti strategici – tra i quali gli investimenti destinati all'istruzione, quelli in ambito di spesa sanitaria, gli investimenti green, quelli destinati alle energie rinnovabili e ai beni pubblici europei che sono ostacolati dall'attuale quadro di bilancio – per prevenire politiche di austerità, preservare la qualità e il livello di spesa pubblica, evitare pesanti tagli allo Stato sociale e sostenere una crescita inclusiva e sostenibile di medio e lungo termine;
3) impegna il Governo a scongiurare il rischio dell'apertura di una procedura di infrazione per disavanzo eccessivo nei confronti dell'Italia, che la Commissione europea, a seguito dell'entrata in vigore delle nuove regole di bilancio, potrebbe raccomandare al Consiglio, alla luce dell'attuale rapporto di deficit dell'Italia in rapporto al prodotto interno lordo al di sopra del 3 per cento in tutti gli anni dell'orizzonte previsivo.
(1-00279) «Conte, Scerra, Francesco Silvestri, Baldino, Santillo, Auriemma, Cappelletti, Fenu, Alfonso Colucci, D'Orso, Riccardo Ricciardi, Pellegrini, Torto, Caso, Ilaria Fontana, Iaria, Pavanelli, Barzotti, Quartini, Caramiello, Scutellà».
La Camera,
premesso che:
1) il 29 aprile 2024 con l'approvazione definitiva da parte del Consiglio del pacchetto legislativo delle norme che innovano il Patto di stabilità e crescita (Psc), si è concluso il negoziato sulla riforma della governance economica europea iniziato il 26 aprile 2023 con la presentazione da parte della Commissione europea di un pacchetto composto da tre atti legislativi: 1) una proposta di nuovo regolamento per la parte preventiva del patto di stabilità e crescita; 2) una proposta di modifiche a regolamento per la parte correttiva; 3) una proposta di modifiche alla direttiva sui quadri di bilancio;
2) la riforma della Commissione europea si poneva l'obiettivo di eliminare i difetti delle vecchie regole, potenzialmente pro-cicliche, semplificare il sistema con l'abbandono di norme largamente basate su variabili non osservabili (prodotto potenziale e output gap) e rendere più sostenibile il consolidamento fiscale, evitando che si compromettesse la capacità degli Stati membri di effettuare investimenti;
3) l'innovazione più significativa consisteva nel passaggio da una programmazione anno per anno a una negoziazione pluriennale con un unico vincolo, funzionale al perseguimento delle finalità di correzione e miglioramento della sostenibilità fiscale: l'aggregato di spesa netta. La Commissione europea si impegnava a predisporre per ciascun Paese un'analisi di sostenibilità del debito su un orizzonte temporale piuttosto lungo (14 o 17 anni) da utilizzare per definire il piano di bilancio e gli eventuali aggiustamenti da effettuare; su questa base si produceva una traiettoria tecnica che costituiva il percorso ideale di risanamento per ciascuno Stato membro, senza vincoli particolari se non quello di portare ad una «riduzione soddisfacente» del debito il cui ritmo era sostanzialmente dato dalla condizione macroeconomica e dalla posizione fiscale del singolo Paese; a questo punto ogni Stato membro avrebbe dovuto presentare un piano quadriennale, in cui definire l'aggiustamento di bilancio, estendibile su un orizzonte di 7 anni, in base a specifiche condizioni, per renderlo più graduale;
4) la proposta della Commissione europea aveva il vantaggio di assicurare un importante margine di flessibilità nella predisposizione dei piani tali da consentire la definizione di percorsi di aggiustamento specifici per Paese, differenziati sulla base delle necessità nazionali, consentendo altresì di mantenere uno sguardo d'insieme su tutta l'area euro;
5) l'accordo raggiunto successivamente nel Consiglio europeo ha profondamente modificato questa impostazione, vanificandone in larga parte gli obiettivi e la portata innovativa attraverso l'introduzione di una serie di vincoli numerici alla definizione della traiettoria tecnica che, di fatto, riconducono le disposizioni alla logica del sistema precedente;
6) nel dettaglio è stato stabilito che il debito debba ridursi mediamente di almeno l'1 per cento l'anno (vincolo quantitativo che non era contemplato nella formulazione originaria della Commissione europea, che prevedeva la riduzione del rapporto debito su prodotto interno lordo solo alla fine, e non necessariamente nel corso del percorso di aggiustamento) e che nel medio periodo il deficit converga all'1,5 per cento in termini strutturali attraverso un miglioramento del saldo primario strutturale dello 0,4 o 0,25 per cento del prodotto interno lordo all'anno a seconda che l'aggiustamento sia di 4 o di 7 anni, ma a prescindere dalle diverse posizioni fiscali di ogni Paese;
7) nel trilogo il Parlamento europeo è riuscito ad apportare qualche limitata modifica al testo del Consiglio: sarà possibile escludere dall'aggregato della spesa quella relativa al cofinanziamento nazionale di progetti europei e il quadro di convergenza sociale sarà integrato nella governance economica, ossia i piani nazionali di risanamento dovranno tenere conto dell'impatto sociale delle misure suggerite;
8) il regolamento che definisce il nuovo braccio preventivo, pertanto, pur rappresentando un miglioramento rispetto alle regole attuali, è indubbiamente un passo indietro rispetto alla proposta originaria della Commissione europea e restituisce una governance dove continueranno a giocare un ruolo centrale le variabili non osservabili (prodotto interno lordo potenziale, deficit strutturale, disoccupazione naturale);
9) tornano, inoltre, i vincoli numerici espliciti e uniformi tra Paesi, e viene parzialmente meno la possibilità di differenziare i percorsi di rientro dei vari Paesi;
10) va ricordato, tuttavia, che l'operatività della clausola del braccio preventivo sulla riduzione del debito è esclusa per i Paesi soggetti al braccio correttivo fino all'anno per il quale è prevista la chiusura della procedura per disavanzo eccessivo (Edp);
11) si tratta di un aspetto rilevante per il nostro Paese, perché la Commissione europea aprirà una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia (e di altri Paesi) nell'anno in corso, come riconosciuto dallo stesso Ministro dell'Economia e delle finanze Giorgetti, e la disapplicazione della clausola di salvaguardia sul debito fino alla chiusura della procedura di disavanzo eccessivo comporterà un più agevole percorso di correzione nei primi esercizi del primo ciclo di programmazione;
12) in sostanza, l'Italia, secondo una logica di cortissimo respiro, ha ceduto ai diktat dei cosiddetti «Paesi frugali», barattando ampi margini per il prossimo triennio, il periodo in cui dovrebbe concludersi l'attuale legislatura, con l'irrigidimento delle regole in futuro e l'inserimento di criteri fissi e uniformi per tutti i Paesi. Ad avviso dei presentatori del presente atto di indirizzo questa scellerata logica di breve periodo, rivendicata dall'Esecutivo è l'esempio più evidente del dilettantismo e dell'ambiguità del Governo e della sua maggioranza;
13) per mesi la Presidente del Consiglio dei ministri e il Ministro dell'economia e delle finanze avevano lasciato intendere la possibilità di uno scambio tra la ratifica del trattato sul Meccanismo europeo di stabilità (Mes) e un accordo vantaggioso sulle nuove regole europee di finanza pubblica: l'esito di questo pasticcio è stato disastroso, con il trattato Mes e la credibilità del nostro Paese affossati in Parlamento, e un Governo italiano, che non si era speso in alcun modo a sostegno della proposta iniziale del Commissario Gentiloni, costretto ad accettare supinamente l'accordo raggiunto tra la Germania e la Francia solo in virtù della consapevolezza dell'apertura della procedura di infrazione;
14) con ogni probabilità, anche la misura nota come «decontribuzione Sud», che dalla sua introduzione nel 2020 ha agevolato più di 3 milioni di rapporti di lavoro nel Mezzogiorno, è stata oggetto di una negoziazione fallimentare, considerato che il Governo ha già annunciato di non voler richiedere proroghe alla Commissione europea, lasciando scadere la misura il 30 giugno 2024, penalizzando ancora una volta l'economia meridionale;
15) l'astensione nel voto finale del Parlamento europeo dei rappresentanti dei partiti di maggioranza costituisce una clamorosa smentita della «soddisfazione» espressa dalla Presidente del Consiglio dei ministri sull'accordo, certifica l'esito fallimentare del negoziato condotto dal Governo italiano in Europa e delegittima il Ministro dell'economia e delle finanze;
16) all'opposto, il voto di astensione da parte del Partito democratico mira a sottolineare il fatto che il testo del Patto di stabilità e crescita ha perso, nel corso della trattativa intergovernativa, gli elementi più innovativi e qualificanti della proposta della Commissione europea nell'ottica del superamento delle vecchie regole,
impegna il Governo:
1) ad adottare iniziative volte a promuovere l'avvio, nel corso della prossima legislatura europea, di una riflessione volta a migliorare il nuovo quadro di regole della governance economica europea, secondo una visione che coniughi gli obiettivi di stabilità economica e finanziaria dell'Unione europea, intesa nel suo complesso, con quelli di crescita e di benessere dei suoi cittadini, assicurando un ulteriore rafforzamento del processo di integrazione europea, anziché un arretramento i cui costi sono ben più significativi;
2) ad adottare iniziative di competenza volte a promuovere la costituzione di una capacità fiscale comune e nuovi strumenti di imposizione fiscale propri, in modo da consentire rapidi ed efficaci interventi anticiclici e da dotare di risorse adeguate le politiche europee, in particolare finalizzate a promuovere gli investimenti sostanziali a sostegno della crescita e della coesione territoriale, in settori strategici come la duplice transizione verde e digitale, portando avanti le ambiziose sfide che l'Unione europea si è posta senza che i costi degli interventi ricadano sulle famiglie, soprattutto sulle fasce economicamente più deboli, e sulle imprese, e senza ricorrere ad allentamenti al regime sugli aiuti di Stato che determinano effetti asimmetrici sulle economie dei Paesi membri;
3) a continuare a sostenere nelle sedi europee la necessità di rendere strutturali dei programmi comuni introdotti come risposta alla pandemia, in particolare sulle transizioni ecologica e digitale, sulle sfide sanitarie, sociali ed occupazionali, e sui beni pubblici europei, ritrovando l'ambizione che ha dato vita al Next Generation EU;
4) ad adottare iniziative di competenza volte a rafforzare lo strumento dell'European Peace Facility e a favorire gli impegni per una difesa comune che razionalizzi e renda più efficienti gli attuali investimenti nazionali, nonché a promuovere sempre più appalti congiunti, politiche industriali integrate e programmi di investimento comuni, che permettano anche di riorientare ed internalizzare le catene di approvvigionamento, come risposta strutturale a medio termine alle esigenze di sicurezza ed autonomia strategica, in particolare in relazione alle materie prime e alle fonti energetiche;
5) ad assicurare che in occasione della predisposizione del prossimo piano strutturale di bilancio, il Parlamento possa pienamente esercitare la sua funzione di indirizzo sugli obiettivi e sulle strategie di politica economica, che ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo non ha potuto esercitare in occasione dell'esame del Documento di economia e finanza 2024;
6) a coinvolgere gli enti territoriali nella definizione delle modalità di applicazione delle nuove regole anche al fine di assicurare che queste non si traducano in una riduzione della spesa per investimenti del comparto e di quella per il finanziamento delle funzioni fondamentali e dei livelli essenziali delle prestazioni.
(1-00286) «Braga, De Luca, Ubaldo Pagano, Guerra, Iacono, Lai, Madia, Mancini, Roggiani».
La Camera,
premesso che:
1) la riforma del quadro di governance economica dell'Unione europea entrata in vigore il 30 aprile 2024 con la pubblicazione dei testi legislativi sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea, rappresenta un compromesso tra le diverse posizioni espresse dagli Stati membri nel corso del negoziato e definisce un assetto che, pur confermando, in coerenza con la disciplina del Trattato, gli obiettivi della disciplina di bilancio e della sostenibilità del debito, intende promuovere una crescita sostenibile e inclusiva;
2) il nuovo quadro introduce semplificazioni e innovazioni agli indicatori di riferimento per il monitoraggio degli andamenti di finanza pubblica degli Stati membri, agli strumenti di programmazione economica e alle procedure relative all'aggiustamento delle posizioni di bilancio;
3) nel nuovo assetto gli Stati membri definiranno gli obiettivi di politica economica di medio periodo attraverso il «Piano strutturale di bilancio di medio termine» (Medium-term fìscal-structural plan) che, per l'anno in corso, dovrà essere presentato al più tardi entro il 20 settembre, salvo eventuale proroga in accordo con la Commissione;
4) il Piano avrà durata quinquennale (in considerazione della durata ordinaria della legislatura), e prevedrà un profilo di aggiustamento fiscale con un orizzonte che può andare da quattro a sette anni, che ciascuno Stato definisce e concorda con le autorità europee; in particolare, nel caso in cui lo Stato membro si impegni a realizzare una serie di riforme e di investimenti volti a migliorare la sostenibilità del debito e in linea con le priorità strategiche europee, il periodo di aggiustamento può essere prorogato fino a sette anni; il Governo ha chiarito che coinvolgerà attivamente il Parlamento in tale processo;
5) nel periodo di funzionamento del dispositivo per la ripresa e la resilienza, istituito dal regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio, in sede di elaborazione dei piani nazionali strutturali di bilancio di medio termine gli Stati membri dovranno tener debitamente conto degli impegni assunti nei piani nazionali per la ripresa e la resilienza; sul punto, il Governo ha già precisato che il nuovo Piano partirà dai risultati già conseguiti con il Pnrr, consolidandone gli investimenti e le riforme in maniera coerente con le sfide della transizione ecologica e digitale;
6) in base alle nuove regole, l'aggiustamento prospettato nel Piano sarà espresso da un unico indicatore: la spesa primaria netta finanziata con risorse nazionali, che esclude, in particolare, dalla spesa totale, quella per interessi, le misure discrezionali sul lato delle entrate, la spesa per i programmi dell'Unione europea interamente finanziata dai fondi dell'Unione, le spese di co-finanziamento nazionale sostenute per i progetti finanziati dalla Unione europea, le spese legate alla componente ciclica dei sussidi di disoccupazione, le misure una tantum e le altre misure temporanee. In tal modo, assumerà un importante rilievo l'elaborazione di alcune politiche finanziate con il bilancio e il rafforzamento delle procedure di monitoraggio dell'andamento della spesa, strumentali al rispetto del limite della spesa primaria netta concordato con le Autorità europee;
7) alcune simulazioni sullo sforzo di aggiustamento connesso alle nuove regole, come ad esempio quelle illustrate dall'Ufficio Parlamentare di bilancio nel corso dell'audizione tenutasi il 7 maggio 2024 nell'ambito dell'indagine conoscitiva dinanzi le Commissioni Bilancio di Camera e Senato in sede congiunta sulla riforma delle procedure di programmazione economica e finanziaria e di bilancio in relazione alla riforma della governance economica europea, evidenziano come l'andamento del deficit e del saldo primario risultanti dall'applicazione delle stesse siano pari, se non meno stringenti rispetto a quelli che risulterebbero dall'applicazione delle regole precedenti, che, in assenza della riforma, sarebbero tornate in vigore a partire dal 1° gennaio del 2024;
8) i dati relativi al 2023 hanno confermato la solidità e la competitività dell'economia italiana, che, a dispetto di un contesto geopolitico ed economico connotato da notevole instabilità, elevata inflazione, debolezza della domanda estera e, da ultimo, un ciclo restrittivo di politica monetaria, è riuscita a conseguire ancora una volta un risultato positivo in termini di crescita economica, portando il Pil a un livello superiore di 4,2 punti percentuali rispetto a quello pre-Covid;
9) nel primo trimestre dell'anno in corso, i dati rilasciati recentemente da Istat confermano il buon andamento dell'economia, cresciuta in linea con la media europea; anche per effetto di questo risultato, la Commissione europea ha rivisto al rialzo le stime di crescita per l'anno in corso e per il 2025 che, rispettivamente pari allo 0,9 e all'1,1 per cento, risultano leggermente inferiori alle stime riportate nel Def 2024;
10) quanto alla finanza pubblica, le stime di consuntivo relative al 2023 mostrano una riduzione del deficit che, rispetto all'8,6 per cento del 2022, si è attestato al 7,4 per cento, un risultato superiore alle attese dello scorso autunno per via dei maggiori costi legati al superbonus;
11) a seguito della disattivazione della clausola generale di salvaguardia del Patto di stabilità e crescita, che ha operato dal 2020 al 31 dicembre 2023, la Commissione valuterà se aprire una procedura per disavanzo eccessivo per quegli Stati membri il cui disavanzo pubblico nel 2023 è stato superiore al livello di riferimento del 3 per cento del Pil previsto dal Trattato;
12) la procedura, che tiene in considerazione i risultati di consuntivo relativi a deficit e debito in termini di rapporto sul PIL riportati nell'anno precedente a quello in cui si effettua la verifica, è disciplinata dal regolamento (UE) 1467/97, come modificato da ultimo dal regolamento (UE) 2024/1264 del Consiglio del 29 aprile 2024;
13) al momento non è ancora chiara la tempistica con la quale la Commissione procederà, poiché, nel corso di una recente conferenza stampa, il Commissario all'economia, Paolo Gentiloni, ha rinviato alle comunicazioni che saranno effettuate il 19 giugno 2024;
14) lo stesso Commissario ha tenuto a precisare che, in ogni caso, gli Stati membri, nell'ambito delle procedure previste, dovranno affrontare «un percorso di aggiustamento dei bilanci e delle politiche di bilancio molto graduale, molto sostenibile; molto più graduale e più sostenibile di quello che avremo avuto davanti a noi con le regole precedenti [...]»,
impegna il Governo:
1) a individuare, nel rispetto delle disposizioni eurounitarie e informando adeguatamente il Parlamento, un percorso di spesa primaria netta ai fini della redazione del Piano strutturale di bilancio di medio termine, compatibile con la necessaria sostenibilità del debito e il mantenimento di un adeguato profilo di crescita economica nel periodo di riferimento;
2) a presentare in tempi congrui al Parlamento, per consentirne l'esame e l'approvazione nei termini previsti dalla normativa europea, il Piano strutturale di bilancio a medio termine che, nelle more della definizione del nuovo quadro normativo nazionale di contabilità pubblica, costituirà il principale documento di programmazione economica e di bilancio.
(1-00288) «Comaroli, Lucaselli, Pella, Romano, Barabotti, Cannata, Cannizzaro, Cattoi, Giorgianni, D'Attis, Frassini, Mascaretti, Mangialavori, Ottaviani, Rampelli, Angelo Rossi, Trancassini, Tremaglia».
La Camera,
premesso che:
1) la riforma del Patto di stabilità e crescita è stata approvata in via definitiva il 29 aprile 2024 ed è entrata in vigore il giorno successivo: ne consegue la sostanziale inutilità di ogni iniziativa volta a promuovere la riapertura – in sede europea – di un dibattito appena conclusosi, a meno che ciò non ambisca unicamente a rimarcare la distanza del nostro Paese da un percorso appena condiviso a meri fini propagandistici, visto anche l'approssimarsi delle elezioni europee dell'8 e 9 giugno 2024;
2) è evidente, ad avviso dei firmatari del presente atto, il carattere inutile e pleonastico di un atto di indirizzo che si proponga di impegnare il Governo a individuare un percorso di spesa primaria netta e a predisporre e presentare al Parlamento nei termini previsti dalla normativa europea il Piano strutturale di bilancio, posto che tali impegni sono già stati assunti dal Governo in sede europea, nell'ambito della richiamata riforma del Patto di stabilità e crescita;
3) quanto appena osservato conferma, invece, che gli obiettivi sanciti dal nuovo Patto di stabilità e crescita impongono iniziative concrete: occorre al più presto impostare un ragionamento condiviso e il più possibile unitario tra tutte le forze politiche per adeguare la legislazione nazionale al nuovo quadro di governance europea e approfittarne per migliorare, adeguare e modernizzare altri istituti dell'impianto italiano di finanza pubblica, anche alla luce di quanto emerso nell'ambito dell'indagine conoscitiva appena conclusa dalla V Commissione della Camera dei deputati e dalla 5ª Commissione del Senato della Repubblica su questo tema,
impegna il Governo:
1) a promuovere, sulla base delle prime risultanze dell'indagine conoscitiva richiamata in premessa, un'azione condivisa col Parlamento e con tutte le forze politiche volta a:
a) garantire, in vista della prima applicazione della disciplina europea prevista dal nuovo Patto di stabilità e crescita e della presentazione entro il 20 settembre del primo Piano strutturale di bilancio, tempistiche adeguate per un esame e una discussione approfondita da parte delle Camere, anche attraverso l'elaborazione, per quanto di competenza, di procedure specifiche e, in ogni caso, evitando di comprimere gli spazi di esame e discussione parlamentare;
b) individuare un percorso condiviso di predisposizione e approvazione di un pacchetto di interventi normativi su più livelli finalizzato non solo a tradurre la nuova disciplina europea nella legislazione nazionale, ma anche ad affinare, semplificare e migliorare le procedure di programmazione economico-finanziaria per avere maggiore trasparenza, efficacia e accountability.
(1-00289) «Marattin, Faraone, Bonifazi, Boschi, De Monte, Del Barba, Gadda, Giachetti, Gruppioni».
La Camera,
premesso che:
1) la riforma del Patto di stabilità e crescita è stata approvata in via definitiva il 29 aprile 2024 ed è entrata in vigore il giorno successivo: ne consegue la sostanziale inutilità di ogni iniziativa volta a promuovere la riapertura – in sede europea – di un dibattito appena conclusosi, a meno che ciò non ambisca unicamente a rimarcare la distanza del nostro Paese da un percorso appena condiviso a meri fini propagandistici, visto anche l'approssimarsi delle elezioni europee dell'8 e 9 giugno 2024;
2) quanto appena osservato conferma, invece, che gli obiettivi sanciti dal nuovo Patto di stabilità e crescita impongono iniziative concrete: occorre al più presto impostare un ragionamento condiviso e il più possibile unitario tra tutte le forze politiche per adeguare la legislazione nazionale al nuovo quadro di governance europea e approfittarne per migliorare, adeguare e modernizzare altri istituti dell'impianto italiano di finanza pubblica, anche alla luce di quanto emerso nell'ambito dell'indagine conoscitiva appena conclusa dalla V Commissione della Camera dei deputati e dalla 5ª Commissione del Senato della Repubblica su questo tema,
impegna il Governo:
1) a promuovere, sulla base delle prime risultanze dell'indagine conoscitiva richiamata in premessa, un'azione condivisa col Parlamento e con tutte le forze politiche volta a individuare un percorso condiviso di predisposizione e approvazione di un pacchetto di interventi normativi su più livelli finalizzato non solo a tradurre la nuova disciplina europea nella legislazione nazionale, ma anche ad affinare, semplificare e migliorare le procedure di programmazione economico-finanziaria per avere maggiore trasparenza, efficacia e accountability.
(1-00289)(Testo modificato nel corso della seduta) «Marattin, Faraone, Bonifazi, Boschi, De Monte, Del Barba, Gadda, Giachetti, Gruppioni».
La Camera,
premesso che:
1) il quadro macroeconomico attuale, fortemente condizionato dall'onda lunga della pandemia e dalla guerra in Ucraina, ha portato conseguenze economiche dirette segnatamente per i Paesi dell'Unione europea alle prese con le azioni di policy finanziate da Next generation EU, che sono per questo chiamati ad un maggior coordinamento strategico;
2) per rispondere alla suddetta esigenza, nell'ambito della riforma del quadro di governance economica dell'Unione europea, all'inizio del 2024 sono stati avviati i negoziati interistituzionali (cosiddetto «trilogo») per il raggiungimento di un accordo tra il Parlamento e il Consiglio, in qualità di co-legislatori, in vista dell'approvazione della proposta di regolamento (COM (2023)240) che sostituisce e abroga il regolamento (CE) n. 1466/97 per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio, nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche (cosiddetto «braccio preventivo» del Patto di stabilità e crescita);
3) nell'ambito dei suddetti negoziati è stata esaminata anche una proposta del Consiglio di revisione della direttiva 2011/85 relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri, che comprende un elaborato sistema di coordinamento e sorveglianza delle politiche basato sui principi di monitoraggio, prevenzione e correzione delle tendenze economiche che potrebbero indebolire le economie dei singoli Stati membri o provocare ricadute su altre economie;
4) rispetto al passato, la nuova riforma mira a ridurre il rapporto debito/prodotto interno lordo e i disavanzi, il che dovrebbe avvenire in modo graduale, realistico, sostenuto e favorevole alla crescita, tutelando, al tempo stesso, le riforme e gli investimenti in settori strategici a livello europeo, quali quello digitale, della transizione verde e della difesa. Allo stesso tempo, il nuovo quadro legislativo dovrebbe offrire agli Stati membri la possibilità di crearsi uno spazio finanziario adeguato (riserve di bilancio) per attuare politiche anticicliche nei futuri momenti di crisi che dovrebbe aiutare ad affrontare gli squilibri macroeconomici oggi esistenti;
5) la riforma della governance europea per centrare i suddetti obiettivi si affida a due strumenti, la prevenzione, da un lato, e la cura dei deficit e dei debiti eccessivi degli Stati, dall'altro, entrambi da incardinare su un più efficace sistema di coordinamento e sorveglianza delle politiche economiche nazionali, istituito a livello europeo;
6) è auspicabile che, in esito al lungo percorso di riforma e adattamento alle mutate esigenze della governance, l'Unione europea riconosca un quadro di bilancio a sostegno della resilienza delle economie dell'Unione europea agli shock, pur rispettando la sostenibilità dei debiti;
7) la proposta di revisione della direttiva 2011/85 è, infatti, il segnale dei limiti e dell'inadeguatezza dimostrati da queste regole, non solo di fronte allo shock dell'emergenza pandemica e alle misure di spesa pubblica necessarie per fronteggiarla, ma anche nelle situazioni di stabilità economica, poiché la prevista convergenza sui requisiti di bilancio non è accompagnata dalla convergenza sulle politiche fiscali, degli investimenti pubblici e delle politiche industriali, se non in misura assai limitata e modesta, anche grazie al Next generation UE e al Green deal;
8) la temporanea sospensione del Patto di stabilità e dei relativi vincoli nel corso dei lunghi mesi della pandemia, al fine di consentire agli Stati membri di reagire alla crisi attraverso un consistente sostegno dei bilanci pubblici alle rispettive economie, non ha portato al paventato disastro della finanza pubblica europea, così come non sembra che la correlata crescita del debito a livello europeo – causato dalla necessità di implementare le misure d'emergenza – abbia causato situazioni irreversibili e drammatiche per i conti pubblici, da imputare, piuttosto, ad altre emergenze come l'inflazione, la recessione, la deglobalizzazione dell'economia;
9) le revisioni proposte dalla direttiva 2011/85 sembrano prendere atto dei suddetti limiti emersi in questi anni, nel voler ribadire il rafforzamento e il primato della titolarità nazionale, la promozione di un orientamento a medio termine, il miglioramento della qualità delle finanze pubbliche, attraverso la previsione di un alleggerimento del rientro del debito al 60 per cento con delle traiettorie nazionali sui quattro e sette anni e con l'individuazione di piani nazionali di rientro: insomma una forme di «atterraggio» senz'altro più morbido, ma comunque poco realizzabile anche per l'Italia per la quale l'obbiettivo di accantonare fino a 15 miliardi di euro l'anno per ottemperare ad una riduzione annua dello 0,85 per cento sembra tutt'altro che realistico;
10) anche il ricorso dell'indicatore della «spesa netta» per la riduzione del debito non cambia molto le cose e tiene comunque dentro le spese per il servizio sul debito, come espressamente dalla relazione introduttiva della proposta di revisione della direttiva per la quale: «gli elementi della legislazione proposta mantengono la sostanza del patto di bilancio». Si tratta, pertanto, di aggiustamenti limitati e modesti, incapaci di incidere, che confermano ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo l'errore principale, nelle regole per riequilibrare i bilanci statali, del concentrare tutta l'attenzione sul denominatore, cioè la spesa, e del tralasciare il numeratore, cioè le entrate. Queste ultime, a loro volta, dipendono dalla crescita che si realizza solo a fronte di investimenti (cioè spesa pubblica), di una spesa fiscale comune, di un bilancio comunitario molto più consistente, capace di rafforzare un modello di crescita europea che vada a beneficio di tutti i Paesi europei, e infine di strumenti strutturali e permanenti di finanziamento degli investimenti su scala europea;
11) il vulnus principale di questa proposta di revisione è che non è integrata dalla previsione di molte misure fondamentali, come lo scorporo della spesa per investimenti dal conteggio del debito e del deficit (appena attenuata, come si è visto, dalla possibilità di elevare da quattro a sette anni i piani di rientro, nel caso di investimenti), di un meccanismo di condivisione, di mutualizzazione di parte del debito nazionale a livello comunitario e dalle necessarie revisioni complessive per la convergenza delle politiche economiche, finanziarie e fiscali dei singoli Stati membri: tutti campi in cui ogni Stato sembra volersi mantenere le mani libere. La sola convergenza prevista sembra essere quella sulle spese (con il Patto di stabilità), ma non sul fronte delle entrate, ove ciascun Stato, adottando regimi diversi e trattamenti fiscali speciali, entrano in competizione per attrarre investimenti, favorire il business, aggirare le regole sulla concorrenza sleale tra i membri dell'Unione;
12) il passato insegna che le politiche ispirate al «pareggio di bilancio» non assicurano maggiore crescita e sviluppo, ma tendono solo a rassicurare – con la loro impronta monetarista e restrittiva – i Paesi cosiddetti «frugali»;
13) manca inoltre, all'interno del disegno di nuova governance europea, la dimensione locale e regionale, basandosi solo su criteri nazionali. Sarà pertanto indispensabile prevedere un coordinamento sulle regole per gli equilibri di bilancio, al fine di non pregiudicare i livelli degli attuali trasferimenti alle regioni e la sostenibilità dei livelli delle prestazioni essenziali. Si deve, inoltre, tener conto del fondamentale contributo fornito sinora dalle regioni al miglioramento della finanza pubblica nel corso degli anni. Dal 2009 al 2022, infatti, le regioni hanno ridotto la spesa primaria del 14 per cento, mentre quella delle amministrazioni centrali è aumentata del 73 per cento, il tutto in un contesto in cui la spesa primaria delle regioni ha sempre meno peso sull'intero complesso della spesa pubblica. La regola della spesa netta, prevista dalla riforma della governance dell'Unione europea, dovrebbe essere inserita nel contesto delle regole di finanza pubblica attualmente in vigore per gli enti territoriali ed essere proporzionata alla percentuale di spesa che rappresentano;
14) il nuovo impianto della regola fiscale europea che dovrebbe basarsi sulla centralità dell'indicatore di spesa netta quale perno operativo del cosiddetto braccio preventivo, come anche ribadito dalla Corte dei conti, renderà necessaria una compiuta e ponderata definizione delle risorse economiche necessarie all'attuazione delle riforme connesse all'autonomia differenziata e dei livelli essenziali di assistenza, anche in vista dei cambiamenti che questi ultimi possono comportare nel volume delle risorse gestite dalle regioni, in primis, ma anche dalle amministrazioni locali stante il previsto e molto più complesso meccanismo di compartecipazione al controllo della spesa;
15) anche secondo l'Ufficio parlamentare di bilancio l'applicazione delle nuove regole europee al complesso degli enti territoriali è un'operazione complicata che dovrà assicurare il coordinamento tra le nuove regole e quelle contabili sul pareggio di bilancio e che, su un piano più sostanziale, i vincoli sulla dinamica della spesa siano compatibili con il fabbisogno finanziario per lo svolgimento delle funzioni fondamentali e per l'erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni. In base alle regole attuali, infatti, i singoli enti hanno l'obbligo di conseguire il pareggio di bilancio contabile, mentre il rispetto del saldo previsto dalla legge n. 243 del 2012, un saldo simile all'indebitamento netto rilevante ai fini delle regole di bilancio comunitarie, deve essere accertato non a livello di singoli enti, ma piuttosto dell'intero sottosettore;
16) come emerge dalle stime del documento di economia e finanza 2024, per l'Italia la concreta attuazione della riforma richiederà sforzi significativi, specie dopo la fase 2025-2027, connotata da elementi di transitorietà. L'auspicio è che a livello europeo cresca, nei prossimi anni, la consapevolezza che la governance economica dell'Unione europea dovrà anche contribuire a rispondere alle difficili sfide connesse alle crisi in atto (climatica, energetica, geopolitica e altre) e alle relative implicazioni in termini di maggiori investimenti per la produzione di beni pubblici europei;
17) per l'Italia l'osservanza delle nuove previsioni del cosiddetto braccio preventivo comporta una conseguenza ben precisa. Il documento di economia e finanza deliberato dal Consiglio dei ministri il 9 aprile 2024, indica, nel 2023, un rapporto debito/prodotto interno lordo dell'Italia del 137,3 per cento e un deficit del 7,2 per cento, con una tendenza al rialzo nei prossimi anni. Pertanto considerato il prodotto interno lordo italiano nel 2023 (2.085 miliardi di euro certificati dall'Istat), la traiettoria correttiva che sarà proposta dalla Commissione europea all'Italia entro il 21 giugno 2024 dovrebbe richiedere, in linea di massima, una riduzione del debito pubblico di circa 21 miliardi di euro all'anno, fino al raggiungimento del 90 per cento nel rapporto debito/prodotto interno lordo;
18) ciò spiega perché, nel medesimo documento di economia e finanza 2024, il Governo italiano ha già annunciato l'intenzione di concordare con la Commissione europea l'estensione a sette anni dell'aggiustamento di finanza pubblica, necessario a porre il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo dell'Italia su un sentiero di continua e sostanziale riduzione: per ottenere tale proroga, un ruolo determinante avranno i risultati conseguiti con il Piano nazionale di ripresa e resilienza «Italia domani»;
19) infine, sempre dal lato della prevenzione, la riforma appena entrata in vigore, attraverso la clausola di salvaguardia per la resilienza del deficit (Deficit resilience safeguard), chiede a tutti gli Stati membri non solo di impegnarsi a raggiungere un disavanzo del 3 per cento del prodotto interno lordo, ma di restare al di sotto di tale livello, soprattutto nei periodi di crescita dell'economia, al fine di creare riserve di bilancio necessarie per affrontare le crisi future;
20) le imminenti consultazioni per il rinnovo del Parlamento europeo hanno determinato, in sede di approvazione di una proposta di riforma in cui prevale l'aspetto dell'austerity e già approvata a dicembre del 2023 dal Consiglio europeo, uno sfilacciamento all'interno della coalizione di Governo: l'intera maggioranza, infatti, compresa la Lega, per la quale «rappresenta un compromesso che presenta ancora elementi critici», si è astenuta sul testo negoziato dal suo stesso Ministro dell'economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo di fatto, sfiduciandolo,
impegna il Governo:
1) ad adottare iniziative volte ad avviare in sede europea una trattativa al fine di revisionare la proposta di riforma delle regole di governance economica dell'Unione europea approvata in sede di Consiglio dell'Unione europea il 29 aprile 2024, in modo tale da:
a) riconoscere un quadro di bilancio a sostegno della resilienza delle economie dell'Unione europea agli shock, pur rispettando la sostenibilità dei debiti;
b) offrire agli Stati membri la possibilità di crearsi, attraverso riserve di bilancio, uno spazio finanziario adeguato che consenta loro di attuare politiche anticicliche nei futuri momenti di crisi;
c) prevedere un quadro di convergenza sui requisiti di bilancio che sia accompagnata dalla convergenza delle politiche fiscali, degli investimenti pubblici e delle politiche industriali dei singoli Stati membri;
d) contemplare lo scorporo della spesa per investimenti dal calcolo del debito e del deficit coniugato ad un meccanismo di condivisione e di mutualizzazione, a livello comunitario, di parte del debito nazionale;
e) prevedere, al fine di non pregiudicare i livelli degli attuali trasferimenti alle regioni e la sostenibilità dei livelli delle prestazioni essenziali, il coordinamento delle nuove regole per gli equilibri di bilancio con le regole di finanza pubblica attualmente in vigore per gli enti territoriali;
f) contribuire a rispondere alle difficili sfide connesse alle crisi in atto (climatica, energetica, geopolitica e altre) e alle relative implicazioni in termini di maggiori investimenti per la produzione di beni pubblici europei.
(1-00290) «Grimaldi, Zanella, Bonelli, Borrelli, Dori, Fratoianni, Ghirra, Mari, Piccolotti, Zaratti».
La Camera,
premesso che:
1) l'espressione «governance economica europea» fa riferimento al sistema di istituzioni e procedure posto in essere al fine di conseguire gli obiettivi dell'Unione in ambito economico, ossia il coordinamento delle politiche economiche volto a promuovere il progresso economico e sociale dell'Unione europea a vantaggio dei suoi cittadini;
2) il 9 novembre 2022 la Commissione europea ha adottato una comunicazione, in cui ha delineato gli orientamenti per una riforma del quadro di governance economica dell'Unione europea, con l'obiettivo di rafforzare la sostenibilità del debito e promuovere una crescita sostenibile e inclusiva attraverso investimenti e riforme;
3) su tale linea, il 26 aprile 2023, la Commissione europea ha elaborato tre proposte legislative, volte rispettivamente a sostituire il regolamento (CE) n. 1466/97 relativo al rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche, a modificare il regolamento (CE) n. 1467/97 concernente l'accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi e ad emendare la direttiva 2011/85/UE sui requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri;
4) la riforma della Commissione europea si poneva l'obiettivo di abbandonare i difetti delle vecchie imposizioni, pericolosamente tendenti ad assumere un carattere pro-ciclico, e passare ad una programmazione pluriennale con un'analisi di sostenibilità del debito di ciascun Paese membro basata su un arco temporale di 14 o 17 anni, con un percorso di riduzione senza particolari vincoli se non quello di una riduzione soddisfacente, basata sulla condizione macroeconomica e sulla posizione fiscale del Paese stesso. Ogni Stato, poi, avrebbe dovuto presentare un proprio piano quadriennale, estendibile in base a specifiche condizioni fino a 7 anni;
5) tale proposta della Commissione europea assicurava un mai visto margine di flessibilità e di specificità nei percorsi di aggiustamento dei singoli Paesi, ma purtroppo tale impostazione è stata profondamente modificata, in maniera peggiorativa, dall'accordo raggiunti il 29 aprile 2024 in sede di Consiglio;
6) se, infatti, si era partiti con l'intento di semplificare il quadro regolatorio e rimuovere i difetti del precedente impianto, il compromesso approvato ne ha vanificato impianto e portata anche attraverso l'introduzione di una serie di vincoli numerici: riduzione del debito del 1 per cento annuo per debiti superiori al 90 per cento del prodotto interno lordo, oltre ad una convergenza strutturale del deficit all'1,5 per cento attraverso un miglioramento del saldo primario strutturale dello 0,4 per cento o dello 0,25 per cento annuo sul prodotto interno lordo a seconda della durata del piano di aggiustamento (4 o 7 anni);
7) come preannunciato dallo stesso Ministro Giorgetti, la Commissione europea aprirà una procedura di infrazione per disavanzo eccessivo nei confronti dell'Italia, per cui l'operatività delle nuove clausole sulla riduzione del debito verrà disapplicata fino al termine della procedura stessa;
8) in buona sostanza, il Governo italiano ha ceduto in sede di contrattazione alle posizioni della Germania e dei Paesi cosiddetti «frugali», opposti fin da subito ai negoziati bilaterali tra Commissione europea e singoli Stati membri e a traiettorie di rientro più flessibili e commisurate al singolo caso, in modo da assicurarsi un più agevole percorso di correzione nei primi esercizi del ciclo di programmazione, vale a dire il termine di questa legislatura, prevedendo, al contempo, regole più rigide e criteri fissi e uniformi a livello di Unione a partire da quella successiva;
9) dal testo del nuovo Patto di stabilità e crescita, nel corso della trattativa intergovernativa, sono spariti gli elementi più innovativi della proposta originaria della Commissione europea;
10) la posizione critica nei confronti dell'accordo approvato in sede di Consiglio – e, conseguentemente, fonte di delegittimazione dell'attuale Governo – è stata confermata, peraltro, dal voto di astensione al Parlamento europeo da parte dei tre partiti italiani dell'attuale maggioranza;
11) il carattere immutato dei parametri macroeconomici della nuova riforma, senza alcuna previsione di regole e meccanismi fiscali comuni, difatti crea un nuovo sistema ancor più complesso del precedente, con un insieme di strumenti diversi – come, ad esempio, le traiettorie di spesa netta, i deficit nominali, i saldi primari strutturali – spesso in contraddizione tra loro e con una serie di eccezioni ancora più complicate e, sicuramente, foriere di ulteriori contenziosi e, nel lungo periodo, di politiche fiscali non vantaggiose, né per le imprese né per i cittadini;
12) stando ai dati contenuti nel documento di economia e finanza 2024 – il cui esame in sede parlamentare è stato peraltro depauperato a causa dell'assenza del quadro programmatico – la spesa sanitaria sarà pari a 138,7 miliardi di euro nel 2024, a 142,8 miliardi di euro nel 2025 e a poco meno di 144,7 miliardi di euro nel 2026. Conseguentemente, il rapporto fra la spesa sanitaria e prodotto interno lordo, pari al 6,3 per cento nel 2025 e nel 2026, si assesta al 6,2 per cento nel 2027, in netto calo rispetto al 7,4 per cento del 2020 e al 7 per cento del 2021;
13) a tal proposito, i firmatari ricordano – per l'ennesima volta – come il Governo abbia ideologicamente perso l'enorme occasione di attivare la linea pandemica del Meccanismo europeo di stabilità (cosiddetto «Mes sanitario»), facendo sfumare la possibilità di ottenere risorse una tantum pari al 2 per cento del prodotto interno lordo nazionale, che avrebbero costituito un'importante occasione per modernizzare il sistema sanitario italiano e la cui unica condizionalità sarebbe stata l'utilizzo di tali risorse esclusivamente per sostenere il finanziamento, diretto e indiretto, di tale settore in relazione alla sopravvenuta emergenza pandemica,
impegna il Governo:
1) ad assumere ogni iniziativa di competenza utile volta a promuovere un imminente avvio di una riforma che migliori nettamente il quadro di regole della governance economica europea approvato recentemente, prevedendo regole fiscali più trasparenti e semplici, basate su dati macroeconomici osservabili e non «potenziali», oltre a meccanismi e traiettorie di rientro che, da un lato, necessitino di un maggior rigore e di una migliore disciplina fiscale da parte dei singoli Stati membri, ma, dall'altro, di strumenti – anche di carattere comune – per consentire adeguamenti efficaci e azioni rapide di natura anticiclica, oltre a grandi investimenti finanziati da debito comune;
2) a farsi promotore, in tale ambito, di un possibile grande accordo politico che, da un lato, definisca regole fiscali giustamente cogenti per la politica fiscale nazionale degli Stati membri, ma, dall'altro, inizi fattivamente il percorso per cui la fornitura di beni pubblici europei e il sostegno alle grandi transizioni produttive necessarie siano finanziate dall'Unione europea attraverso un maggior grado di condivisione del rischio fiscale e l'emissione di passività finanziarie comuni;
3) ad adottare iniziative di competenza, anche di carattere normativo, volte a promuovere una revisione dei tempi e delle modalità di esame parlamentare, già a partire dal prossimo piano strutturale di bilancio, anche al fine di migliorare e semplificare le procedure nazionali di programmazione economica e finanziaria e di garantire maggiore trasparenza delle stesse;
4) ad adottare ogni iniziativa di competenza volta a promuovere investimenti congiunti nell'ambito di un più ampio obiettivo di raggiungimento di una difesa comune europea, sostenuta da un assetto industriale adeguato;
5) ad adottare iniziative volte ad attivarsi con la massima priorità per una nuova riproposizione di una linea di credito specificatamente dedicata ad interventi strutturali nel settore sanitario.
(1-00292) «Richetti, Bonetti, Pastorella, Benzoni, D'Alessio, Grippo, Sottanelli, Carfagna, Enrico Costa, Onori, Rosato, Ruffino».
PROPOSTA DI LEGGE SCHIFONE ED ALTRI: MODIFICA DELL'ARTICOLO 2407 DEL CODICE CIVILE, IN MATERIA DI RESPONSABILITÀ DEI COMPONENTI DEL COLLEGIO SINDACALE (A.C. 1276)
A.C. 1276 – Articolo unico
ARTICOLO UNICO DELLA PROPOSTA DI LEGGE NEL TESTO DELLA COMMISSIONE IDENTICO A QUELLO DEI PROPONENTI
Art. 1.
1. L'articolo 2407 del codice civile è sostituito dal seguente:
«Art. 2407. – (Responsabilità) – I sindaci devono adempiere i loro doveri con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell'incarico; sono responsabili della verità delle loro attestazioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio.
Al di fuori delle ipotesi in cui hanno agito con dolo, anche nei casi in cui la revisione legale è esercitata da collegio sindacale a norma dell'articolo 2409-bis, secondo comma, i sindaci che violano i propri doveri sono responsabili per i danni cagionati alla società che ha conferito l'incarico, ai suoi soci, ai creditori e ai terzi nei limiti di un multiplo del compenso annuo percepito, secondo i seguenti scaglioni: per i compensi fino a 10.000 euro, quindici volte il compenso; per i compensi da 10.000 a 50.000 euro, dodici volte il compenso; per i compensi maggiori di 50.000 euro, dieci volte il compenso.
All'azione di responsabilità contro i sindaci si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 2393, 2393-bis, 2394, 2394-bis e 2395.
L'azione di responsabilità verso i sindaci si prescrive nel termine di cinque anni dal deposito della relazione di cui all'articolo 2429 relativa all'esercizio in cui si è verificato il danno».
A.C. 1276 - Ordini del giorno
ORDINI DEL GIORNO
La Camera,
premesso che:
l'atto in esame, modificando l'articolo 2407 del codice civile, mira a sostituire la responsabilità solidale con gli amministratori, gravante sui membri dei collegi sindacali delle società per azioni attualmente prevista dall'ordinamento, con un sistema di responsabilità limitata, basato sul compenso annuo percepito;
in particolare, all'ultimo comma dell'articolo 1 si inserisce un termine di prescrizione di 5 anni per esercitare l'azione di responsabilità verso i sindaci, decorrente dal momento del deposito della relazione dei sindaci, allegata al bilancio relativo all'esercizio in cui si è verificato il danno, ai sensi dell'art. 2429 c.c.;
la locuzione «esercizio in cui si è verificato il danno», contenuta nel suddetto articolo, si ritiene possa prestarsi a differenti interpretazioni temporali, col rischio di creare incertezze esegetiche c disparità di trattamento rispetto a fattispecie concrete analoghe,
impegna il Governo
a monitorare gli effetti applicativi della previsione di cui all'ultimo comma dell'articolo 1, con riferimento all'interpretazione che verrà data dalla giurisprudenza alla locuzione «esercizio in cui si è verificato il danno», al fine di contemperare l'esigenza di non sottoporre oltremodo nel tempo i sindaci alla spada di Damocle di una richiesta risarcitoria con l'esigenza di non lasciare prive di tutela istanze risarcitorie legittime e fondate, tenuto conto anche dell'oggettiva limitazione della responsabilità patrimoniale che viene introdotta con la presente proposta di legge.
9/1276/1. D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano.
La Camera,
premesso che:
l'atto in esame, modificando l'articolo 2407 del codice civile, mira a sostituire la responsabilità solidale con gli amministratori, gravante sui membri dei collegi sindacali delle società per azioni attualmente prevista dall'ordinamento, con un sistema di responsabilità limitata, basato sul compenso annuo percepito;
in particolare, il nuovo secondo comma dell'articolo 2407 del codice civile, nel ribadire che i sindaci che abbiano agito (o omesso di agire) in violazione dei propri doveri sono responsabili nei confronti della società, dei soci, dei creditori e dei terzi, ne circoscrive l'entità ad un multiplo del compenso annuo percepito dal sindaco medesimo, secondo il seguente schema che prevede 3 scaglioni: fino a 10.000 euro, 15 volte il compenso; da 10.000 a 50.000 euro, 12 volte il compenso; oltre 50.000 euro, 10 volte il compenso;
appare opportuno prevenire eventuali applicazioni strumentali e distorsive della suddetta norma, al fine di tutelare da una parte, la dignità dei compensi previsti per i professionisti e dall'altra, di non impedire alle parti lese di essere adeguatamente risarcite,
impegna il Governo
a monitorare gli effetti applicativi della richiamata norma, per verificare che il compenso utile ai fini del calcolo del limite di responsabilità del sindaco sia computato secondo parametri congrui, al pari di quanto accade con riferimento ai parametri di liquidazione giudiziale dei compensi per la carica di sindaco, previsti dal decreto ministeriale 20 luglio 2012, n. 140.
9/1276/2. Cafiero De Raho, D'Orso, Ascari, Giuliano.
La Camera,
premesso che:
l'atto in esame, modificando l'articolo 2407 del codice civile, mica a sostituire la responsabilità solidale con gli amministratori, gravante sui membri dei collegi sindacali delle società per azioni attualmente prevista dall'ordinamento, con un sistema di responsabilità limitata, basato sul compenso annuo percepito;
in particolare, il nuovo secondo comma dell'articolo 2407 del codice civile, nel ribadire che i sindaci che abbiano agito (o omesso di agire) in violazione dei propri doveri sono responsabili nei confronti della società, dei soci, dei creditori e dei terzi, ne circoscrive l'entità ad un multiplo del compenso annuo percepito dal sindaco medesimo, secondo il seguente schema che prevede 3 scaglioni: fino a 10.000 euro, 15 volte il compenso; da 10.000 a 50.000 euro, 12 volte il compenso; oltre 50.000 euro, 10 volte il compenso;
il secondo comma, per come formulato, pare individuare, in modo secco ed automatico, per ciascuno scaglione di riferimento, il multiplo di compenso da applicare per determinare l'entità del risarcimento senza consentire una graduazione della colpa e dunque della responsabilità in relazione all'effettivo e concreto apporto causale dato dalla condotta del sindaco rispetto alla verificazione del danno;
se così interpretata, la disposizione può rendere la quantificazione dei risarcimenti rigida, in taluni casi eccessiva e comunque non coerente rispetto alla condotta effettiva posta in essere dai soggetti,
impegna il Governo
a monitorare gli effetti applicativi del secondo comma, come novellato dalla presente proposta di legge, al fine di verificare come verrà interpretato dalla giurisprudenza, ed in particolare se ciò avverrà nel senso di consentire una graduazione della colpa e dunque della responsabilità coerente con l'effettivo apporto causale del sindaco rispetto alla causazione del danno o se, invece, verrà favorita un'interpretazione meramente letterale, che avallerebbe un meccanismo rigido di determinazione della responsabilità.
9/1276/3. Giuliano, D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho.
DISEGNO DI LEGGE: S. 615 – DISPOSIZIONI PER L'ATTUAZIONE DELL'AUTONOMIA DIFFERENZIATA DELLE REGIONI A STATUTO ORDINARIO AI SENSI DELL'ARTICOLO 116, TERZO COMMA, DELLA COSTITUZIONE (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 1665)
A.C. 1665 – Questioni pregiudiziali
QUESTIONI PREGIUDIZIALI
DI COSTITUZIONALITÀ
La Camera,
premesso che:
la «autonomia differenziata» recata dal provvedimento in titolo rappresenta una interpretazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione sostenuta dal Governo in carica e derivante, ad avviso dei firmatari, da una personalissima quanto rispettabile – alla luce del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione – opinione sul predetto articolo; tuttavia, stante la forma e la natura giuridica scelte per il mezzo di diffusione – un disegno di legge – esso avrebbe dovuto recare il crisma della proposta di legge di natura costituzionale, in quanto, in assenza della procedura di revisione costituzionale di cui all'articolo 138 della Costituzione, altera profondamente l'equilibrio tra i soggetti di cui all'articolo 114 della Costituzione, si pone in contrasto con i principi di capacità fiscale, perequazione e coesione di cui all'articolo 119 della Costituzione, espunge di fatto la categoria «legislazione concorrente» dall'articolo 117, terzo comma, annulla la differenza tra regioni a statuto ordinario differenziato e regioni a statuto speciale, assimilando di fatto le due fattispecie, lede il principio di uguaglianza formale e sostanziale di cui all'articolo 3 della Costituzione, e, ad onta delle pur lodevoli finalità e dei richiami ad alcuni dei principi fondamentali del nostro ordinamento di cui all'articolo 1, comma 1 del provvedimento, determina la frantumazione dell'unità giuridica ed economica della Repubblica;
anche le audizioni succedutesi nel corso dell'esame hanno messo in luce tale assunto e in più di un caso qualificato il provvedimento quale «erronea interpretazione del Governo» dell'articolo 116, terzo comma, «in modo largamente espansivo, ponendo le premesse per l'incostituzionalità dell'intero testo in discussione»;
i firmatari stigmatizzano la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (LEP) – nella loro individuazione, nel loro finanziamento, nella loro erogazione e nella fruizione da parte dei cittadini – la quale, nel provvedimento in titolo così come nelle disposizioni di cui all'articolo 1, comma 793, lettera c), della legge di bilancio 2023, è subordinata agli stanziamenti di bilancio disponibili a legislazione vigente o a quelli resi disponibili dalle leggi di bilancio: con ciò subordinando la primaria connotazione sociale e il principio fondamentale di uguaglianza della nostra Carta costituzionale al criterio economico, sottoponendo l'articolo 3 della Costituzione all'articolo 81, in assenza di qualunque bilanciamento;
si sottolinea, in proposito, che i diritti e i principi costituzionali costituiscono un insieme vivente che interagisce e nessuno di essi può avere, in astratto, una posizione (costante, nel caso in parola) di supremazia gerarchica e, vieppiù, che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 275 del 2016, con riguardo al rapporto tra principio dell'equilibrio del bilancio e tutela dei diritti costituzionali, ha stabilito l'ordine di priorità ritenendo necessario, dapprima, individuare gli interventi di attuazione dei diritti e, di seguito, e di conseguenza, decidere la composizione del bilancio; conclude la Corte, infatti, che «Assumendo questa prospettiva, ferma restando l'auspicabile invarianza degli effetti finanziari, gli oneri derivanti dall'approvazione della nuova legge potrebbero essere finanziati qualora eccedenti le coperture attuali, attraverso la rimodulazione della spesa o, eventualmente, per il tramite di nuove entrate»;
il criterio adottato nel testo in discussione appare, dunque, completamente rovesciato rispetto all'assunto della Corte;
l'articolo 2, comma 2 – esso dispone, al primo periodo, che «l'atto o gli atti di iniziativa di ciascuna Regione possono concernere una o più materie o ambiti di materie e le relative funzioni.» – concretizza il vulnus principale del disegno di legge, in quanto contrasta con l'articolo 117, commi secondo e terzo, prevedendo il trasferimento integrale alle regioni di materie attribuite dal predetto articolo alla competenza concorrente tra Stato e Regioni e, altresì, con il medesimo articolo 116, terzo comma, che, in ordine al riconoscimento di «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomie», non può essere «interpretato», a pena della sua legittimità costituzionale, quale attribuzione di intere materie;
è stato posto in luce da un emerito costituzionalista che «l'adozione, da parte della legge costituzionale n. 3/2001, del terzo comma dell'articolo 116 della Costituzione in base alla quale "ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia possono essere attribuite ad altre regioni", non può essere interpretata in forma espansiva, al di là della sfera dei meri poteri amministrativi, quasi che non vi siano limiti residuati a tutela della potestà legislativa statale: nell'articolo 117 della Costituzione troviamo tuttora vigenti le disposizioni costituzionali che prevedono che il legislatore statale dispone del potere di disciplinare le materie di competenza esclusiva (secondo comma) e di stabilire i principi fondamentali nelle materie di competenza concorrente (terzo comma, ultimo periodo) e analogamente prevedono gli Statuti speciali»;
in proposito, si segnala l'aperto e netto contrasto con le predette vigenti disposizioni costituzionali dei commi 3 e 5 dell'articolo 7 del provvedimento in titolo, i quali prevedono, rispettivamente, che «le disposizioni di legge statale» coinvolte dal trasferimento «cesserebbero di avere efficacia nel territorio regionale, con l'entrata in vigore delle leggi regionali attuative dell'intesa» e che «le disposizioni statali successive alla data di entrata in vigore delle intese osservano le competenze legislative contenute nelle intese»;
secondo i predetti commi, quindi, successivamente al trasferimento alle regioni, le leggi statali non avrebbero più il potere di normare le tre materie di competenza esclusiva statale menzionate dall'articolo 116, terzo comma, né avrebbero più il potere delle leggi-quadro nelle materie concorrenti: questo implica, però, per forza di cose, una modifica integrale dell'articolo 117, un mutamento radicale del nostro «regionalismo», (nonché del nostro ordinamento), che il provvedimento non contempla, e per il quale occorre una revisione della carta costituzionale ai sensi della procedura aggravata di cui all'articolo 138;
preme, altresì, ai firmatari sottolineare che in ordine all'attribuzione di autonomia per ambiti quali la salute, l'ambiente e l'istruzione, il meccanismo applicativo contenuto nel testo in esame prefigura, come esito finale, la potenziale violazione del principio di solidarietà di cui all'articolo 2 della Costituzione, e del principio di eguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione. Ne risultano lesi il principio di coesione sociale di cui all'articolo 119, della Costituzione, seppur formalmente richiamato nel testo, e, come detto, gli articoli 9, 32 e 33, che tutelano ambiente, salute e istruzione. Sotto il profilo della sostenibilità, anche finanziaria, del progetto sotteso al disegno di legge, esso potrebbe avere gravi ricadute riducendo le opportunità di crescita del Paese, se lo Stato centrale dovesse perdere parte rilevantissima della propria capacità di intervento, impositiva, redistributiva e di spesa, a vantaggio di una miriade di regioni «sovrane», ciascuna con leggi, funzioni e risorse differenti, pregiudicando, in ultima analisi, la funzione perequativa statale finalizzata alla rimozione degli squilibri economici e sociali imposta dal citato articolo 119 della Costituzione. Queste modalità di attuazione del regionalismo differenziato pongono anche gli atti che, a cascata, deriveranno dalla riforma in esame, in rapporto antinomico col dettato costituzionale, sia per quanto concerne il concorso di tutti alla spesa in base alla propria capacità contributiva (articolo 53 della Costituzione) sia per il confinamento della attuazione dei LEP a mera promessa, in mancanza delle indispensabili risorse, eludendo l'articolo 120 della Costituzione;
si rileva contrasto con gli articoli 70 e 72 della Costituzione con riguardo al potere delle Camere: si rammenta che i processi di differenziazione e, nel loro complesso, tutte le procedure disposte dal provvedimento in titolo, marginalizzano il Parlamento, spogliato delle sue prerogative, dell'esercizio delle sue funzioni e limitato nella sua potestà legislativa non solo nelle fasi deliberative delle intese, anche nelle fasi informative e conoscitive, cosa ancor più grave alla luce del fatto che, dopo il trasferimento di funzioni, le leggi votate dalle Camere in quel dato ambito di materie avranno applicazione differente a seconda dello status differenziato o meno di ciascuna delle Regioni;
merita, altresì, considerazione che all'interno delle stesse regioni differenziate vi saranno ricadute diverse a seconda del diverso livello di differenziazione ottenuto, non è dato quindi sapere quale effetto tutto ciò possa avere sul principio di uguaglianza e sulla unità giuridica ed economica della Repubblica;
l'autonomia differenziata così concepita appare in latente contrasto ai senti dell'articolo 114 della Costituzione, sotto due profili: i processi di differenziazione sembrano condurre verso un «centralismo regionale» dal quale risulta quasi assente il coinvolgimento delle autonomie locali – assenti nei predetti processi e nella determinazione dei LEP – anche con riguardo all'impatto del trasferimento di materie o di funzioni sulle funzioni fondamentali degli enti locali;
in proposito, si segnala che la Corte costituzionale, con sentenza n. 274/2003, ha osservato che la novella costituzionale introdotta con la riforma del Titolo V, pur introducendo la pari dignità «orizzontale» tra le componenti territoriali della Repubblica, non comporta una totale equiparazione dello Stato alle altre componenti, in quanto lo stesso continua ad essere investito di peculiari funzioni non altrimenti esercitabili; come rilevato anche dalla Corte dei conti, «prendendo in considerazione il tema delle conseguenze del trasferimento delle ulteriori competenze sulle funzioni dello Stato, nella prospettiva dell'unità ed indivisibilità della Repubblica e alla luce dei criteri individuati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 274 del 2003, appare dubbio che nelle funzioni devolute non residui in capo allo Stato un margine di intervento, sia pure nel rispetto del principio di leale collaborazione; infatti, non deve venir meno un momento di coordinamento e di sintesi degli interessi generali del Paese»;
è la Corte dei conti a richiamare la sentenza della Corte costituzionale n. 39 del 2014, con la quale precisa che la tutela dell'unità economica della Repubblica – che l'atto in titolo richiama all'articolo 1, comma 1 – giustifica un governo unitario della finanza pubblica e controlli esterni sugli enti territoriali onde evitare tensioni sugli equilibri di bilancio, da ciò ne deriva che alla richiesta di attribuzione di «autonomia differenziata» debba conseguire l'adozione di adeguati strumenti di verifica, monitoraggio e rendicontazione: ma il provvedimento in titolo, come segnalato anche dall'Ufficio parlamentare di bilancio, «contempla verifiche facoltative e asimmetriche in quanto riguardano il raggiungimento dei Lep nelle regioni ad autonomia differenziata e non nel resto del territorio nazionale dove la fornitura continua a essere statale» e, ancora, «appaiono inoltre limitate le verifiche previste sull'effettiva erogazione dei LEP» così come «adeguati presidi per garantire il coordinamento della finanza pubblica tra i diversi livelli di governo. Occorrerà innanzitutto assicurare una piena condivisione degli obiettivi programmatici, l'uniformità nelle metodologie per la revisione dei fabbisogni e meccanismi per assicurare il contributo delle regioni ad autonomia differenziata in caso di esigenze eccezionali di finanza pubblica»;
avviare un processo nel quale teoricamente – dal tenore letterale delle formulazioni normative in esame – non è espressamente escluso che tutte le regioni possano richiedere ed eventualmente ottenere simultaneamente l'intero novero di materie, non significa dare attuazione ad un articolo della Costituzione ma negare lo spirito stesso della Costituzione;
stando al testo, la Repubblica si potrebbe ritrovare un corpus normativo frammentato tra regioni ordinarie ad autonomia differenziata, regioni ordinarie ad autonomia non differenziata e regioni a statuto speciale per tutte o ciascuna di tali materie: ne risulterebbe un mosaico incomprensibile ed ingestibile che nulla ha a che vedere con l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, la quale andrebbe invece subordinata alla piena definizione della cornice legislativa statale che determini, oltre ai livelli essenziali delle prestazioni – per i quali deve essere preventivamente assicurato lo stanziamento di risorse necessario a garantirne l'attuazione in concreto – anche i principi fondamentali per tutte le materie di legislazione esclusiva statale e di legislazione concorrente cui, in ogni caso, nessuna istituzione territoriale può derogare;
preme, infine, ai firmatari rappresentare le criticabili modalità con le quali approda in Aula, in tutta fretta, il provvedimento in titolo, a favore del quale, in assenza di alcuna ragione di necessità o di urgenza, a fronte di un contenuto di grande rilevanza e di rilievo costituzionale per i suoi effetti potenzialmente dirompenti anche con riferimento alla nostra forma di Governo, in sede referente si sono sommate; ad avviso dei presentatori, gravi violazioni, forzature e irritualità rispetto alle procedure regolamentari, drastica compressione dei tempi e applicazione della «ghigliottina», un immotivato contingentamento del dibattito e una inammissibile compressione delle prerogative parlamentari che hanno colpito oltremodo i Gruppi di opposizione unitamente alla pervicace elusione di un serio e costruttivo confronto, evidentemente non ricercato né atteso dalla maggioranza che ha ulteriormente decretato la sterilità dell'attività parlamentare e dell'esercizio delle sue funzioni, acuiti dalla tacita blindatura del provvedimento, pur in prima lettura nel presente consesso, aggravando le già mortificanti condizioni nelle quali, oramai alternativamente, ciascuna Camera, esercita un mandato di esclusiva ratifica dell'esame dell'altra;
come noto, nel corso della seduta della Commissione di mercoledì 24 aprile, ha avuto luogo la votazione – ad avviso dei firmatari, si può ben dire che abbia avuto luogo l'approvazione – dell'emendamento 1.19 Auriemma (M5S), il cui risultato non è stato proclamato dal Presidente, ancorché numericamente accertato dal Segretario della Commissione medesima;
quanto occorso è figlio, ad avviso dei firmatari, di una inappropriata gestione del calendario dei lavori e della loro conseguente organizzazione nonché di un uso criticabile delle prerogative del Presidente della I Commissione con riguardo all'applicazione e all'interpretazione del Regolamento che si rileva arbitraria, in primis, con riguardo all'articolo 8, il quale dispone che egli «Assicura il buon andamento dei lavori, facendo osservare il Regolamento.»;
nell'ambito dei lavori della Commissione nelle sedute del 24 e del 26 aprile si sono consumate, ad avviso dei firmatari, molteplici violazioni del Regolamento:
a) ai sensi dell'articolo 57, il Presidente della Commissione avrebbe dovuto proclamare l'esito della votazione dell'emendamento 1.19 e non l'ha fatto, sebbene il deputato Segretario avesse verificato il risultato della votazione, ai sensi dell'articolo 21, comma 2;
b) ai sensi dell'articolo 57, ove, eventualmente, valutate delle irregolarità, il Presidente avrebbe dovuto disporre immediatamente una nuova votazione – nello stesso istante, con la medesima composizione soggettiva dell'Organo; viceversa, una nuova votazione ha avuto luogo 48 ore dopo, con una composizione dell'Organo deliberante totalmente diversa (di cui al punto d);
c) ai sensi dell'articolo 50, comma 3, il Presidente, iniziata la votazione, non avrebbe più potuto concedere la parola fino alla proclamazione del voto; viceversa, in luogo della proclamazione del voto, egli ha fatto intervenire un deputato;
d) dal fatto di cui al punto a) è scaturito un lungo e acceso dibattito, che ha portato i Gruppi di opposizione a chiedere la convocazione di una Conferenza dei Presidenti di Gruppo, accordata dal Presidente della Camera per le ore 21 della stessa giornata, con il fine di «riportare ordine e garantire il buon andamento dei lavori»: nonostante la predetta convocazione, il Presidente della Commissione ha comunque illegittimamente ed inopportunamente disposto – alle ore 17 circa – la ripetizione della votazione dell'emendamento 1.19;
ad avviso dei firmatari, il testo in titolo approda alla discussione di questo consesso in palese violazione delle norme del Regolamento che disciplinano e preservano le procedure di formazione degli atti e in ordine alle deliberazioni su di essi ed il loro contenuto, «a tutela delle quali è riconosciuto rimedio giurisdizionale innanzi alla Corte costituzionale ai sensi dell'articolo 37, primo comma, della legge n. 87 del 1953, ove si determini una sostanziale negazione e un'evidente menomazione della funzione costituzionalmente attribuita ai parlamentari» (ordinanza n. 17/2019);
i firmatari segnalano, altresì, ancora dall'ordinanza n. 17/2019, che la Corte costituzionale precisa che le «forzature procedurali denunciate dai ricorrenti inducono questa Corte a richiamare l'attenzione sulla necessità che il ruolo riservato dalla Costituzione al Parlamento nel procedimento di formazione delle leggi sia non solo osservato nominalmente, ma rispettato nel suo significato sostanziale. L'articolo 70 affida la funzione legislativa alle due Camere e il successivo articolo 72 della Costituzione articola l'esame di ogni progetto di legge in una fase da svolgersi in commissione e in una che coinvolge l'intera assemblea ed esige che la votazione si svolga dapprima articolo per articolo e poi sul testo finale. Tali principi sono volti a consentire a tutte le forze politiche, sia di maggioranza sia di minoranza, e ai singoli parlamentari che le compongono, di collaborare cognita causa alla formazione del testo, specie nella fase in commissione, attraverso la discussione, la proposta di testi alternativi e di emendamenti. Gli snodi procedimentali tracciati dall'articolo 72 della Costituzione scandiscono alcuni momenti essenziali dell'iter legis che la Costituzione stessa esige che siano sempre rispettati a tutela del Parlamento inteso come luogo di confronto e di discussione tra le diverse forze politiche, oltre che di votazione dei singoli atti legislativi, e a garanzia dell'ordinamento nel suo insieme, che si regge sul presupposto che vi sia un'ampia possibilità di contribuire, per tutti i rappresentanti, alla formazione della volontà legislativa.»;
alla luce dei numerosi nodi critici, tuttora irrisolti, che intridono l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma della Costituzione, come disposta dal Governo per il tramite del disegno di legge in titolo il quale, ad avviso dei firmatari, accresce le sperequazioni socio-economiche tra i territori anziché ridurle e, in ordine al suo contenuto, appare viziato da gravi elementi di palese o latente incostituzionalità,
delibera
di non procedere all'esame del disegno di legge n. 1665.
N. 1. Auriemma, Alfonso Colucci, Alifano, Penza, D'Orso, Quartini, Francesco Silvestri.
La Camera,
premesso che:
pur con le modifiche apportate al testo governativo originario, quello approvato dal Senato della Repubblica, senza nessuna modifica in sede referente dalla I Commissione affari Costituzionali, mantiene pressoché inalterate tutte le gravi criticità più volte evidenziate dalla grandissima parte degli auditi;
le modalità, i ristretti tempi di discussione in commissione, la bocciatura di tutti gli emendamenti della minoranza, il mandato al relatore di riferire in aula nonostante trattasi, in questo caso, di un disegno di legge e quindi di un provvedimento che non ha scadenze come i decreti legge: tutto ciò accade, ad avviso dei firmatari, per meri fini elettorali. Questo avvalora e sostanzia la tesi che siamo di fronte ad un «monocameralismo di fatto» in violazione dei più elementari principi costituzionali e ne certifica la crisi profonda che sta attraversando il nostro sistema democratico, con un Parlamento sempre più svuotato delle sue prerogative;
è «monocameralismo di fatto» che fa continuo ricorso a un uso strategico delle disposizioni che disciplinano i tempi di discussione parlamentare al fine di limitare la discussione medesima sui disegni di legge alla prima Camera in cui il procedimento legislativo ha preso avvio, e trasforma, in ultima analisi, la deliberazione della seconda Camera in un mero atto di ratifica della prima;
in particolare, nel testo posto all'esame dell'Aula permangono, ad avviso dei firmatari, profili di incostituzionalità tali da imporre l'approvazione della questione pregiudiziale proposta per evidente contrasto con il dettato costituzionale fra gli altri, degli articoli 1, 2, 3, 4, 9, 33, 34, 53, 70, 116, 117, 119 della Costituzione;
la riforma, avanzata con legge ordinaria e non con il più adeguato strumento della proposta di legge costituzionale in ragione degli strutturali interventi stabiliti, se approvata, comporterebbe un enorme impatto sull'assetto istituzionale e costituzionale dell'Italia, fino a prefigurare lo stravolgimento dell'attuale assetto Costituzionale, delineandone uno diverso e alternativo;
preliminarmente, si evidenzia l'incomprensibile scelta della maggioranza di comprimere il dibattito in Commissione e respingere tutte richieste di modifiche avanzate da tutte le opposizioni;
peraltro, in Commissione, in sede referente, la maggioranza supportata dal Presidente della Commissione ha utilizzato in modo che consideriamo improprio il Regolamento della Camera per strozzare la discussione e soprattutto ribaltare di fatto il risultato della votazione di un emendamento dell'opposizione approvato per assenza di diversi rappresentanti della maggioranza. Quella votazione, è stata annullata e ripetuta 48 ore dopo;
si evidenzia che l'articolo 21, comma 2, del Regolamento della Camera, prevede che «i segretari verificano i risultati delle votazioni e controllano la redazione del processo verbale». Il segretario ha contato i favorevoli e ha contato i contrari e poi li ha comunicati e quello sarebbe dovuto essere l'esito della votazione, così come prevede il Regolamento della Camera. Così come, ai sensi dell'articolo 57, primo comma, il collegio che rifà la votazione deve essere lo stesso. Non si possono cambiare deputate e deputati, perché il punto centrale è che si mette in discussione uno dei principi fondamentali della democrazia sancito dalla nostra Costituzione all'articolo 67. Il deputato è rappresentante della Nazione e libero da qualunque mandato imperativo;
se si deroga al suddetto articolo 67 della nostra Carta, si deroga a uno dei punti fondamentali della Costituzione medesima. Pertanto, ad avviso dei firmatari, quella forzatura perpetrata contro l'opposizione rende, di fatto, incostituzionale la procedura che ha portato all'approvazione da parte della Commissione di quel testo;
un'altra considerazione attiene alla pretesa introduzione di disposizioni che innovano in modo così pregnante l'attuale assetto istituzionale attraverso lo strumento della legge ordinaria, sempre modificabile successivamente ed in specie modificabile dalla legge approvativa dell'intesa tra Stato e Regione ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, che potrebbe quindi volta per volta disporre diversamente. La scelta più opportuna sarebbe stata senza alcun dubbio quella della proposta di legge costituzionale;
la conseguenza più immediata dell'attuazione nei termini previsti dell'autonomia differenziata, ad avviso dei presentatori, sarà la cristallizzazione delle differenze esistenti fra i territori, in aperto e evidente contrasto con quanto stabilito dall'articolo 5 della Costituzione laddove è stabilito che l'Italia è «una e indivisibile», e dall'articolo 3 della Costituzione che prescrive il principio di eguaglianza e che impone allo Stato il compito fondamentale di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.»;
l'oggettiva ripercussione dell'entrata in vigore della riforma contenuta nel testo in esame sarà consentire alle regioni più ricche di trattenere più poteri e risorse per garantire i loro cittadini, mentre i territori più fragili, segnatamente quelli del Mezzogiorno e delle aree periferiche o interne e insulari, avranno maggiori difficoltà per riassorbire le diseguaglianze e raggiungere i livelli di sviluppo e di benessere sociale della parte del Paese più ricca. Si accrescerebbero quindi in prospettiva diseguaglianze e divari territoriali potenzialmente irreversibili, si aprirebbe la strada alle diseguaglianze nei diritti fondamentali su base territoriale, unico discrimine sarebbe la residenza delle persone;
il risultato finale sarebbe una torsione dell'interpretazione della nostra Costituzione, pericolosa e inaccettabile, che potrebbe condurre ad una fase di instabilità e di pericolose tensioni tra le diverse aree del Paese che nella peggiore delle ipotesi porterebbe a mettere in discussione la stessa unità nazionale;
peraltro, il percorso attivato di definizione formale dei livelli essenziali delle prestazioni (Lep) e il lavoro – lodevole – del nominato Comitato per l'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni, rischia di rimanere solo un'esercitazione virtuale, in mancanza delle risorse necessarie per la concreta attuazione dei livelli essenziali territorio per territorio;
entrando nello specifico, il principio di unità e indivisibilità della Repubblica risulta, nel disegno costituzionale, strettamente connesso con gli altri principi costituzionali e, in particolare, con quelli stabiliti dagli articoli precedenti, a partire dall'articolo 1 che consacra l'assetto democratico della Repubblica, basato sull'appartenenza della sovranità al popolo (Corte cost., sent. n. 256 del 1989), che si identifica tramite la partecipazione delle autonomie sociali, politiche e territoriali alla vita politica, economica e sociale del paese e la condivisione di quella che è stata definita la «sostanza costituzionale dell'unità», intesa come «unità nel nome di valori omnicondivisi»;
in questo senso, l'unità nazionale non può prescindere dai compiti che i successivi articoli 2, 3, 4 della Costituzione assegnano alla Repubblica: la garanzia dei diritti inviolabili e l'assolvimento dei doveri inderogabili di solidarietà, la rimozione degli ostacoli all'eguaglianza sostanziale di tutti i cittadini, il diritto al lavoro. In evidente contraddizione con questi principi, il disegno di legge in esame prevede un novero di materie delegabili che esorbita dai confini segnati dai principi costituzionali summenzionati: la sanità; la scuola; l'università e la ricerca; i beni culturali, l'ambiente e gli ecosistemi; l'organizzazione della giustizia di pace; le politiche attive del lavoro; i trasporti; porti e aeroporti; protezione civile; il governo del territorio; il trattamento dei rifiuti; la produzione, il trasporto e la distribuzione di energia; il sostegno alle attività produttive; la riorganizzazione degli enti locali;
è evidente come il passaggio alle regioni, per la maggior parte di esse, finirebbe per tradursi in un inevitabile aggravamento del divario sociale e territoriale, con una lesione diretta dei principi di eguaglianza, solidarietà, democrazia sostanziale. Sul punto la letteratura scientifica e la reportistica di autorità indipendenti e associazioni di categoria (Banca d'Italia, sindacati, Confindustria e altri) è copiosa e dettagliatissima eppure non è stata tenuta in alcuna considerazione da parte della maggioranza che esprime il Governo in carica, così come in alcuna considerazione è stata tenuta la giurisprudenza della Corte costituzionale sull'applicazione uniforme dei diritti fondamentali;
come da più parti osservato, l'articolo 116, terzo comma, non dà alcuna indicazione circa le ragioni che debbano supportare la richiesta di nuove competenze e/o il quantum di autonomia possibile e, anzi, la formula è tale da non escludere che ogni singola regione possa richiedere la maggiore autonomia per tutte le materie elencate (e neanche il testo di legge in esame prevede adeguati limiti – materiali, procedurali, temporali – né cautele) tant'è che, nonostante alcune astratte opinioni dottrinali prefiguranti l'inammissibilità di richieste per più materie, tutte le Regioni finora attivatesi hanno dimostrato la volontà di ottenere quanta più autonomia possibile, né appaiono efficaci le limitazioni previsti all'articolo 2 del provvedimento in esame poiché demandate esclusivamente alle valutazioni del Presidente del Consiglio;
il disegno di legge in esame condurrebbe pertanto a tre tipologie differenti di autonomia: quella delle regioni che la domandano (e la ottengono) ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione: quella delle Regioni a statuto speciale e quella prevista della competenza concorrente di cui all'articolo 117, terzo comma, con l'effetto di una inarrestabile frammentazione della disciplina normativa, con le ovvie conseguenze in termini di inflazione normativa e di incertezza del diritto (si pensi a materie come il governo del territorio), maggiori costi per le imprese e i cittadini (si pensi alla disciplina di porti, aeroporti, autostrade), inefficacia delle politiche pubbliche, si pensi alle materie che coinvolgono necessariamente lo Stato nazionale, quando non addirittura gli organismi sovranazionali: dall'energia all'ambiente e, più in generale, a tutte quelle che essendo toccate dal Piano nazionale di ripresa e resilienza e dalle priorità con lo stesso variamente dichiarate – transizione verde, trasformazione digitale, crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, coesione sociale e territoriale, salute e resilienza economica, sociale e istituzionale, politiche per le nuove generazioni, l'infanzia e i giovani – esigono, al contrario, la capacità di formulare e implementare politiche nazionali forti e non compatibili con le richieste di ulteriore disgregazione;
altra evidente criticità riguarda la necessità di pre-determinare i LEP (livelli essenziali delle prestazioni), prima di attribuire alle regioni le risorse necessarie per sostenere le loro nuove competenze. Al di là delle evidenti difficoltà per molte delle regioni interessate di assicurare l'effettiva erogazione delle prestazioni, che la prima parte della Costituzione pretende non solo come essenziali o minime, ma uguali per tutti i cittadini, a prescindere dal luogo di nascita o di residenza, si evidenzia che mentre l'articolo 117 della Costituzione attribuisce la determinazione dei Lep, per tutti i diritti sociali e civili, «alla competenza legislativa dello Stato», nel testo oggi in esame si prevede una procedura accelerata che si conclude con l'approvazione di un decreto legislativo. Si ritiene che il disegno di legge in esame sia comunque violativo delle prerogative e del ruolo che la Costituzione attribuisce al Parlamento;
il ruolo attribuito al Parlamento dal testo in esame è infatti del tutto marginale, sia in merito alla definizione delle Intese con le singole Regioni, sia in relazione alla determinazione dei LEP così come disciplinata dalla Legge di Bilancio 2022 (legge n. 197/2022, articolo 1, commi dal 791-801), con una procedura amministrativa che si ritiene sia del tutto incompatibile con la riserva di legge che la Costituzione stabilisce in materia;
inoltre, per quanto concerne la procedura per la definizione dei LEP, non è prevista alcuna predeterminazione politica degli obiettivi di uguaglianza sostanziale cui i LEP sono funzionali e soprattutto non sono previste adeguate procedute vincolate di stanziamento delle risorse aggiuntive necessarie per garantirli;
i livelli essenziali delle prestazioni, definiti in questo modo non costituiranno l'insieme dei servizi e degli interventi pubblici necessari ad assicurare – in maniera omogenea e uniforme – i diritti sulla base dei bisogni e a prescindere dalla capacità fiscale di un territorio, ma come detto determineranno una cristallizzazione – se non un incremento – delle disuguaglianze in essere;
un sistema così congegnato – per di più a risorse date e senza spesa aggiuntiva – sarà un moltiplicatore dei divari territoriali e produrrà una riduzione del perimetro pubblico proprio nei territori e negli ambiti in cui è maggiormente decisiva la funzione redistributiva dello Stato. Manca, inoltre, la definizione delle leggi statali di principio e delle norme generali su tutte le materie che non sono riconducibili ai LEP e che non possono essere lasciate alla piena disponibilità delle Regioni;
un sistema di autonomia differenziata compatibile con l'attuale assetto costituzionale e istituzionale dovrebbe invece subordinare le «ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia» al vincolo del rispetto dei principi fondamentali e delle norme generali nazionali inderogabili ed esplicitare le materie – oltre a quelle già citate – insuscettibili di qualsiasi differenziazioni;
le disposizioni e i procedimenti definiti dagli attuali articoli 2 e 3 del provvedimento invece sostanziano una palese violazione del disposto costituzionale e pongono in pericolo la garanzia dei diritti, che devono essere definiti dall'organo rappresentativo della volontà popolare e presidiati dal giudice delle leggi, segnando anche un'ulteriore torsione della forma di governo non più centrata sul Parlamento ma sull'Esecutivo e il Presidente del Consiglio;
in particolare, la procedura individuata dall'articolo 2 per l'approvazione delle intese è serrata nei tempi e non coinvolge in modo adeguato né la Conferenza Unificata, cui si chiede solo il parere, né il Parlamento, sede della sovranità popolare, cui si demanda la sola facoltà di esprimere un atto di indirizzo non vincolante sugli schemi preliminari di intesa;
il Parlamento potrà solamente respingere o approvare, senza alcuna possibilità di intervenire su punti di merito specifici, l'accordo raggiunto tra Governo e singola Regione, approvando il disegno di legge che la recepisce, senza facoltà emendativa sui contenuti dell'intesa. Si lascia così che sia ridefinita l'attribuzione di competenze legislative, amministrative e regolamentari, riscrivendo nei fatti parte dell'articolo 117 della Costituzione, senza il coinvolgimento delle Camere e attribuendo per contro un abnorme potere al Presidente del Consiglio dei ministri;
quanto alla procedura definita dall'articolo 3 del provvedimento, essa non restituisce dignità al Parlamento ma gli sottrae le proprie nonché specifiche prerogative, stabilite chiaramente dal dettato dell'articolo 70 della Costituzione, che al Parlamento, e non al Governo, attribuisce prioritariamente la funzione legislativa. La previsione che a determinare i LEP sia un decreto legislativo di iniziativa governativa, lungi dallo sconfessare l'intento di sottrarre spazi e compiti al Parlamento, conferma invece il proposito del provvedimento di spostare l'asse del potere legislativo, fermamente ancorato al Parlamento – a Costituzione vigente – verso una illegittima attribuzione al Governo del potere legislativo;
quanto al tema delle risorse economiche con cui far fronte ai nuovi compiti, ovvero residui fiscali e trasferimenti in base alla spesa storica, valga il riferimento alla sentenza n. 275/2016 della Corte costituzionale, la quale sancisce, che deve essere «la garanzia dei diritti incomprimibili a incidere sul bilancio, e non l'equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione». Il che è quanto dire, innanzitutto, che lo Stato, con il suo bilancio, è chiamato a soddisfare i diritti inviolabili dei cittadini qualunque sia il territorio in cui essi vivono e lavorano;
peraltro, il riferimento alla spesa, come criterio di ripartizione delle risorse, denuncia e conferma le profonde differenze già esistenti – si va da una spesa pro capite di 19 mila euro in Lombardia ai 13.700 in Campania – rendendo evidente la palese illegittimità del criterio prospettato, che, lungi dal promuovere la coesione sociale e territoriale, finirebbe per aggravare le differenze. Con il che si ignora il fatto che i diritti sono, non il frutto di concessioni graziose di chi più ha nei confronti di coloro che versano in differenti condizioni economiche e sociali, ma il necessario corredo della cittadinanza e, ancora, che non sono le regioni ma i cittadini a pagare le tasse in ragione della loro capacità contributiva e non del luogo di residenza, sicché una norma così concepita finisce per violare per ciò solo gli articoli 2 e 53 della Costituzione, a tenore dei quali la solidarietà economica e tributaria opera a livello nazionale, non regionale;
quanto in ultimo, al novero delle materie oggetto di devoluzione, l'articolo 116 della Costituzione si riferisce ad alcune specifiche competenze o funzioni inerenti alle materie elencate, e non certo a una devoluzione alle regioni della potestà legislativa esclusiva su intere materie, sottraendola completamente allo Stato. Si ritiene particolarmente grave che fra le materie oggetto di devoluzione non sia stata esclusa l'Istruzione;
chiare ed evidenti le conseguenze negative che deriverebbero all'ordinamento scolastico, finalizzato in primo luogo all'esercizio del diritto all'istruzione degli alunni e alla libertà dell'insegnamento, fondamenti intangibili su cui si costruisce la cittadinanza, la libertà e l'unità del nostro popolo e della nostra comunità;
quanto previsto dal provvedimento in esame potrebbe radicalmente mutare il quadro, in peggio, della scuola italiana e quindi del nostro Paese. Infatti, attraverso le intese regionali si prevede che si possa giungere perfino a far diventare «le norme generali sull'istruzione» – oggi legislazione esclusiva dello Stato – oggetto di legislazione concorrente. Altro non significa «regionalizzare» e quindi differenziare le norme che disciplinano le finalità della scuola e che – al contrario – dovrebbero essere applicabili in tutto il territorio nazionale in modo uniforme riguardanti ad esempio, gli ordinamenti scolastici, le funzioni e dell'organizzazione del sistema educativo, la disciplina dell'organizzazione e del rapporto di lavoro del personale della scuola. Non solo, ma, ancora, le leggi regionali potrebbero disciplinare l'istituzione di ruoli del personale della scuola, la sua consistenza organica, la stipulazione di contratti collettivi regionali, con gravi e devastanti conseguenze sulla tenuta delle finalità nazionali dell'ordinamento scolastico, sul contratto collettivo nazionale e trattamento economico di docenti, Ata e dirigenti scolastici, sulla mobilità territoriale, sulla valenza di concorsi per il reclutamento a sbarramento regionale. Inoltre, la stessa autonomia scolastica costituzionalmente riconosciuta rischia di essere pregiudicata e collocata in ambito subalterno rispetto alle nuove funzioni e poteri regionali e locali;
il tutto in aperto e evidente contrasto con gli articoli 33 e 34 Costituzione che stabiliscono le caratteristiche basilari del sistema scolastico e con il carattere delle prescrizioni derivanti da tali articoli cui si attribuisce una «valenza necessariamente generale ed unitaria che identifica un ambito di competenza esclusivamente statale» rappresentando «la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario ed uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra coloro che fruiscono del servizio dell'istruzione (interesse primario di rilievo costituzionale)» (Corte costituzionale sentenza 24 giugno 2009, n. 200);
se è chiaro che la missione principale della scuola è la costruzione della cittadinanza, la condivisione di valori e il senso di appartenenza, che fondano la convivenza democratica – «La democrazia infatti non è solo una forma di governo ma il sentire condiviso dalla comunità» – è altresì pacifico che questo ruolo del sistema di istruzione statale sarebbe inevitabilmente pregiudicato da una scelta regionalistica e territorialistica;
già oggi le Regioni godono di ampie funzioni amministrative: sulla programmazione dell'offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale, sulla programmazione della rete scolastica, sulla suddivisione del territorio regionale in ambiti funzionali al miglioramento dell'offerta formativa, sulla determinazione del calendario scolastico, sui contributi alle scuole non statali, sulle iniziative e le attività di promozione relative all'ambito delle funzioni attribuite. Oltre queste competenze non si può e non si deve andare. Il diritto all'apprendimento dell'alunno, le finalità dell'istruzione ancorate all'esercizio della cittadinanza italiana, sono diritti dell'individuo/persona/lavoratore-lavoratrice, che devono essere esercitati e garantiti in ogni luogo del nostro Paese in quanto diritti nazionali, non regionalizzabili, ed esigibili a prescindere dai confini territoriali dei governi locali;
da tutto quanto esposto deriva che, per molteplici profili, la norma asseritamente attuativa della Costituzione si configura incostituzionale sotto molteplici aspetti. Il meccanismo di autonomia differenziata delineato, in assenza di contrappesi e bilanciamenti certi, pone a rischio l'unità della Repubblica.
Tutto ciò premesso,
delibera
di non procedere nell'esame del disegno di legge n. 1665.
N. 2. Zaratti, Zanella, Bonelli, Fratoianni, Borrelli, Dori, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti.
La Camera,
premesso che:
dalle numerose audizioni svoltesi dinanzi alla Commissione Affari costituzionali, è emerso un quadro di diffusa incostituzionalità del disegno di legge in esame;
la maggior parte dei costituzionalisti auditi ha posto preliminarmente un problema in relazione all'adeguatezza dello strumento legislativo ordinario al fine di dare attuazione all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. Se infatti l'obiettivo era quello di fornire una cornice istituzionale alle future intese stipulate per la concessione di forme e condizioni particolari di autonomia, si sarebbe dovuto utilizzare, in base al sistema delle fonti, un atto di rango costituzionale, approvato ai sensi dell'articolo 138 della Costituzione, e in quanto tale non derogabile dalle future intese, a loro volta approvate con legge ordinaria; la legge di rango ordinario, ora all'esame del Parlamento, potrà invece sempre essere modificata o abrogata da qualunque altra legge ordinaria successiva, ivi compresa la legge di approvazione dell'intesa, vanificando così di fatto l'efficacia nel tempo di tutte le disposizioni contenute nell'A.C. 1665, in corso di approvazione;
un'altra norma segnalata per la sua problematicità è senz'altro quella introdotta dall'articolo 2, comma 2, primo periodo, del disegno di legge in esame che prevede che «L'atto o gli atti di iniziativa di ciascuna regione possono concernere una o più materie o ambiti di materie e le relative funzioni». Questa disposizione è infatti in palese violazione dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, poiché prevede il trasferimento alle regioni di intere materie – attribuite dalla citata norma costituzionale alla competenza concorrente tra Stato e regioni – in luogo dell'attribuzione di ambiti di materie ovvero di singole funzioni «concernenti» le stesse, secondo la ratio dello stesso articolo 116, terzo comma, che prevede l'attribuzione di forme e condizioni particolari di autonomia concernenti le materie (...);
nel caso in cui l'articolo 116, terzo comma, consentisse infatti l'integrale trasferimento di intere materie di competenza concorrente a quelle Regioni che chiedono forme e condizioni particolari di autonomia, verrebbe meno uno dei principali criteri distintivi tra Regioni a statuto speciale e regioni a statuto ordinario, con la conseguente violazione del principio cardine che presiede l'ordinamento dell'autonomia regionale, previsto dal titolo V e stabilito dallo stesso articolo 116, primo comma: la previsione di un impianto duale tra Regioni a statuto speciale e regioni a statuto ordinario. L'attribuzione alle Regioni di intere materie comporterebbe dunque una modifica in forma tacita, graduale e surrettizia dell'intero sistema dell'autonomia regionale delineato dal titolo V, né pare sostenibile un'interpretazione del terzo comma dell'articolo 116 in palese contrasto con quanto previsto dall'articolo 117, commi secondo e terzo o comunque atta a scardinare il sistema ivi delineato;
è evidente allora che le intese non possono che essere tutte rigorosamente concepite all'interno del sistema di competenze già previsto dalla Costituzione per le regioni a statuto ordinario: lo Stato ex articolo 116, terzo comma, può attribuire alle regioni singole funzioni, proprio in virtù delle intese e della legge ordinaria che le approva, ma non può rinunciare al proprio titolo di competenza concorrente o esclusiva se non in palese violazione di quanto stabilito dall'articolo 117, commi secondo e terzo;
altra questione estremamente problematica, rilevata dalla quasi totalità degli auditi, è costituita dal ruolo del tutto marginale e assolutamente non incisivo del Parlamento nella formazione delle intese, che nel disegno di legge in esame restano di fatto relegate ad una negoziazione esclusiva tra l'esecutivo nazionale e le regioni. Il Parlamento infatti è chiamato ad intervenire con atti di indirizzo che, come è noto, nella configurazione attuale dei regolamenti sono atti obbligatori, ma non vincolanti. Pertanto il Parlamento dovrà essere chiamato ad esprimere il proprio parere, ma esso resterà senza effetto se il Governo dovesse decidere di discostarsene;
il Parlamento interverrà poi con legge nella fase di approvazione finale dell'intesa, che dovrà essere approvata a maggioranza assoluta dei componenti, ma secondo quanto previsto dal disegno di legge in esame potrà solo accogliere o respingere nel suo complesso i contenuti di un'intesa già firmata, senza alcun reale potere emendativo;
poiché l'articolo 116, terzo comma, della Costituzione fa esclusivo riferimento alla legge dello Stato per l'approvazione delle intese, e alla maggioranza richiesta, senza far riferimento a procedimenti speciali di approvazione, è da ritenersi pienamente applicabile il procedimento previsto dall'articolo 72 della Costituzione, che prevede che ogni disegno di legge presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo Regolamento, esaminato da una Commissione e poi dalla Camera stessa che l'approva articolo per articolo e con votazione finale;
la procedura prevista dall'A.C. 1665 appare dunque in netta violazione con la procedura ordinaria di esame prevista dall'articolo 72 della Costituzione;
nonostante il procedimento per la determinazione dei LEP sia stato apparentemente rimesso, con una modifica operata al Senato, all'adozione di decreti legislativi, il permanere dei commi 9 e 10 dell'articolo 3 costituisce una grave violazione della nostra Costituzione. Mentre infatti l'articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione prevede che i Lep siano stabiliti con legge dello Stato, l'articolo 3, comma 9, stabilisce che «nelle more dell'entrata in vigore dei decreti legislativi (...), ai fini della determinazione dei LEP» continuino ad applicarsi le norme previste dalla legge di bilancio 2023, ovvero il ricorso ai decreti del Presidente del Consiglio dei ministri; l'articolo 3, comma 10, poi, prevede che alla data di entrata in vigore dei decreti legislativi sia «fatta salva la determinazione dei LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard», svolta ai sensi delle suddette norme, ossia nuovamente con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
così come è del tutto irragionevole e incongrua la possibilità riconosciuta dall'articolo 3, comma 7, di poter procedere all'aggiornamento periodico dei Lep «nei limiti delle risorse disponibili» e nuovamente con decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, che verrebbero peraltro così potenzialmente a modificare atti aventi natura legislativa;
pertanto, anche se formalmente la determinazione dei Lep – che vanno non solo definiti con legge dello Stato, ma anche garantiti su tutto il territorio nazionale – è rimessa all'adozione di decreti legislativi, di fatto i commi 7, 9 e 10 dell'articolo 3 potrebbero permettere in astratto che essi siano definiti, attuati e modificati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, aggirando così quanto previsto dall'articolo 117, secondo comma, lettera m);
del tutto discutibile è poi la previsione che i decreti legislativi siano adottati sulla base dei principi e criteri direttivi di cui all'articolo 1, commi 791-801-bis della legge di bilancio del 2023, trattandosi di commi che contengono norme meramente procedurali; né potrebbe essere altrimenti in virtù del divieto introdotto nel nostro ordinamento dalla legge 243 del 2012 di inserire norme di delega ordinamentali o organizzatorie in legge di bilancio;
infine, come ampiamente sottolineato anche in fase di audizioni, le regole procedurali introdotte nel disegno di legge in esame sono spesso contraddittorie e non indicano una linea univoca e chiara rispetto alla necessaria propedeuticità che dovrebbe sussistere tra l'attuazione dell'autonomia differenziata e la determinazione dei Lep con norma statale, non specificando il disegno di legge in esame che sino a quando non è approvata la norma sui Lep non si può avviare il percorso per la definizione dell'intesa: se da un lato infatti l'articolo 4 precisa che il trasferimento di funzioni concernenti materie riferibili ai Lep può essere attuato solo dopo la determinazione dei medesimi Lep, l'articolo 11 del medesimo provvedimento dispone che gli atti di iniziativa delle regioni già presentati al Governo e già oggetto di confronto congiunto possano proseguire il loro iter, così riconoscendo la possibilità di negoziare le intese anche prima che siano stati definiti, attuati e finanziati i Lep;
l'articolo 116, terzo comma, della Costituzione prevede che ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia possano essere attribuite ad altre regioni solo nel rispetto dei principi di cui all'articolo 119 della Costituzione: tale articolo pone infatti una norma cardine del nostro ordinamento per l'attuazione di un regionalismo solidale, ricavabile dalla previsione della perequazione rivolta ai territori con minore capacità fiscale; sempre l'articolo 119, al quinto comma, stabilisce che lo Stato deve destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, al fine di rimuovere gli squilibri economici e sociali e favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona;
come sottolineato da numerosi professori durante le audizioni, il disegno di legge in esame, al contrario, passa dalla concezione di un regionalismo solidale e cooperativo a declinazioni meramente competitive dello stesso: con specifico riferimento al finanziamento delle funzioni che dovrebbero essere trasferite, infatti, il disegno di legge in esame prevede una clausola di invarianza finanziaria all'articolo 9, comma 1, dove viene espressamente stabilito che «dall'applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»; la stessa clausola di neutralità finanziaria tuttavia pare poi smentita da un inciso dello stesso articolo 4, comma 1, in cui si dice che eventuali «maggiori oneri a carico della finanza pubblica» potranno condizionare il trasferimento delle funzioni allo stanziamento delle risorse necessarie;
ad avviso dei firmatari, particolarmente problematica sotto il profilo costituzionale è poi la previsione dell'articolo 5 del provvedimento laddove prevede che quote di compartecipazione al gettito di tributi erariali vengano definite nelle intese, senza dettare però alcun criterio sull'ammontare di queste quote di compartecipazione ai tributi erariali che dovranno essere garantite dalle regioni differenziate, e che serviranno a finanziare le funzioni ad esse affidate;
l'affidamento alla negoziazione tra Stato e Regioni di scelte tributarie potenzialmente decisive sul bilancio dello Stato, appare ai firmatari un'opzione non solo rischiosa e irragionevole, ma anche lesiva degli articoli 3 e 81 della Costituzione;
la previsione dell'articolo 5, comma 2, appare poi del tutto incoerente con quella del successivo articolo 9, comma 3 laddove prevede che «le intese, in ogni caso, non possono pregiudicare l'entità e la proporzionalità delle risorse da destinare a ciascuna delle altre Regioni», una clausola di salvaguardia questa irrealizzabile senza una previa determinazione della quota di compartecipazione al gettito erariale che dovrà essere corrisposta dalle singole regioni differenziate;
l'Ufficio parlamentare di bilancio (UPB), nell'audizione durante l'esame del provvedimento al Senato, ha sottolineato che «il trasferimento alle Regioni di competenze quali, ad esempio, le grandi reti di trasporto, i porti e gli aeroporti potrebbe generare, nel caso di interessamento di due o più Regioni o di una minore efficienza nella gestione locale rispetto a quella nazionale, esternalità negative con effetti potenziali sull'intero Paese»;
lo stesso UPB ha poi sottolineato che «un'attenzione particolare meriterebbe il fatto che tra le materie potenzialmente oggetto di autonomia differenziata vi è la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia, una materia di particolare interesse strategico nazionale e cruciale a fronte delle sfide che si pongono in merito alla transizione energetica (...). Il trasferimento di funzioni e delle necessarie risorse dovrebbe pertanto essere preceduto da un'analisi da cui emerga un effettivo miglioramento complessivo della gestione pubblica. La stessa Regione che voglia ottenere maggiori competenze in alcune materie dovrebbe, a monte, motivare la richiesta indicando i benefici che ne deriverebbero rispetto alla situazione centralizzata. Il complesso di queste informazioni dovrebbe poi essere reso disponibile al Parlamento per istruire l'eventuale approvazione»;
come sottolineato da molti dei soggetti auditi, la possibilità che «le norme generali sull'istruzione», possano essere oggetto di autonomia differenziata appare problematica anche solo da ipotizzare, e rischia di dar luogo ad una grave e irreversibile frammentazione del sistema scolastico con una chiara lesione di quanto stabilito dagli articoli 33 e 34 della Costituzione: il venir meno del «carattere nazionale» dell'istruzione, e la conseguente regionalizzazione della Scuola, potrebbero infatti minare alla radice le basi del diritto allo studio, creando un vulnus profondo della stessa identità culturale del Paese e del suo sistema scolastico nazionale;
come chiarito dalla Corte costituzionale in numerose sentenze, tra cui la n. 200 del 2009, gli articoli 33 e 34 della Costituzione pongono le caratteristiche basilari del sistema scolastico, relative all'istituzione di scuole per tutti gli ordini e gradi; al diritto di enti e privati di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato; alla parità tra scuole statali e non statali sotto gli aspetti della loro piena libertà e dell'uguale trattamento degli alunni; alla necessità di un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuola o per la conclusione di essi e all'apertura della scuola a tutti; alla obbligatorietà e gratuità dell'istruzione inferiore; al diritto degli alunni capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, di raggiungere i gradi più alti degli studi; alla necessità di rendere effettivo quest'ultimo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso;
la Corte ha pertanto sancito che «dalla lettura del complesso delle riportate disposizioni costituzionali si ricava, dunque, una chiara definizione vincolante – ma ovviamente non tassativa – degli ambiti riconducibili al “concetto” di “norme generali sull'istruzione”»;
con tale ampia descrizione, la Corte intendeva chiarire come il legislatore costituzionale avesse assegnato «alle prescrizioni contenute nei citati articoli 33 e 34 valenza necessariamente generale ed unitaria che identifica un ambito di competenza esclusivamente statale», rappresentando «la struttura portante del sistema nazionale di istruzione», richiedendo che esse fossero applicate in modo necessariamente unitario ed uniforme su tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra gli utenti che fruiscono del servizio dell'istruzione (interesse primario di rilievo costituzionale), nonché la libertà di istituire scuole e la parità tra le scuole statali e non statali in possesso dei requisiti richiesti dalla legge. In questo ambito si colloca anche la disciplina relativa alla «autonomia delle istituzioni scolastiche», facenti parte del sistema nazionale di istruzione, autonomia cui fa espresso riferimento il terzo comma dell'articolo 117 della Costituzione;
analogamente al comparto istruzione, anche per il sistema universitario si potrà prevedere, a seconda delle diverse regioni, l'assunzione di rilevanti competenze in materia di finanziamenti, programmazione e personale. Il percorso che si vuole intraprendere porterà, inevitabilmente e in poco tempo, alla definitiva disgregazione del già agonizzante «sistema nazionale» universitario, già oggi fin troppo frammentato; infatti, pur nell'ambito dell'autonomia riconosciuta alla ricerca, il rischio sarà quello di accelerare il processo di rafforzamento delle prerogative regolamentari e di drenaggio di risorse dagli atenei meno forti a quelli più forti, che in quest'ultimo decennio ha amplificato le differenze tra gli atenei e indebolito il sistema universitario nel suo complesso;
la maggior parte dei soggetti auditi ha poi evidenziato come l'autonomia differenziata – così come concepita dal disegno di legge in esame – avrebbe ripercussioni molto negative sul funzionamento del Servizio sanitario nazionale, già fortemente compromesso come si è visto durante la gestione regionale della pandemia, finendo per ledere in maniera irreversibile l'articolo 32 della Costituzione che prevede che la Repubblica tutela la salute come diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti;
secondo alcuni dati Istat, già attualmente al Sud si vive un anno e sette mesi in meno che al Nord, e la mobilità sanitaria riguarda l'11,4 per cento dei ricoverati residenti nel Meridione a fronte del 5,6 per cento dei residenti nel Nord-Italia, mentre già da diversi anni il Sistema sanitario nazionale, pubblico e universale, è oggetto di una «parcellizzazione selvaggia» che ha dimostrato tutti i suoi limiti, creando una «salute diseguale» che non potrà che essere ulteriormente esasperata a seguito dell'entrata in vigore del disegno di legge in esame;
da lungo tempo assistiamo infatti ad una mobilità sanitaria che, secondo la Corte dei conti, ha «dirottato» in un decennio 14 miliardi di euro dalle Regioni del Sud a quelle del Nord; secondo l'UPB «La mobilità passiva riguarda prestazioni che devono comunque essere coperte dalla Regione di residenza anche se vengono rese da parte dei SSR di altre Regioni. Un fenomeno, questo, che sarebbe fisiologico se riguardasse limitati casi di prestazioni molto specialistiche, fornite solo da un piccolo numero di strutture sul territorio nazionale, e che presenta in generale in Italia dimensioni abnormi, in quanto rispecchia anche gli squilibri infrastrutturali e le differenze qualitative nei servizi, che a loro volta possono discendere, oltre che dalle stesse carenze in termini di strutture sanitarie disponibili, da problemi di organizzazione e gestione e/o da carenze, ad esempio, di personale, anche legate alle misure di governo della spesa imposte con i piani di rientro.»;
specifiche preoccupazioni sono poi state espresse dagli enti locali che temono che i processi di differenziazione possano condurre a un nuovo «centralismo regionale» senza, peraltro, prevedere un adeguato coinvolgimento degli enti locali (sia nei processi di differenziazione, sia nel procedimento di determinazione dei LEP) riguardo all'impatto del trasferimento di funzioni sulle funzioni fondamentali delle province e dei comuni;
ad avviso dei presentatori, il complessivo impianto del disegno di legge e le concezioni che lo ispirano si fondano su una interpretazione dell'articolo 116, terzo comma, indebitamente estensiva e contrastante, come visto, con la lettera e lo spirito di numerose specifiche disposizioni costituzionali, nonché di altre a carattere più generale quale l'unità e indivisibilità della Repubblica ex articolo 5 della Costituzione il principio di uguaglianza sostanziale ex articolo 3, comma 2 della Costituzione e il dovere inderogabile di solidarietà economica e sociale ex articolo 2 della Costituzione;
alla luce delle complesse questioni sopra esaminate, e dei numerosi profili di incostituzionalità, contraddittorietà e incongruenza sopra rilevati, nonché dell'enorme impatto politico, sociale ed economico che il provvedimento in esame determinerà nel nostro ordinamento, ai firmatari appare del tutto inaccettabile e irragionevole – anche alla luce dei tempi di esame previsti per l'Aula e in assenza di ragioni di necessità ed urgenza – l'estrema compressione dei tempi in fase di discussione e votazione degli emendamenti in Commissione;
nonostante infatti il formale rispetto dei tempi minimi di esame in Commissione previsti dal Regolamento, tale compressione ha di fatto negato la possibilità di un esame adeguato in sede referente, configurando una chiara lesione dei diritti delle opposizioni, e un aggiramento di fatto di fondamentali garanzie costituzionali quali quelle previste dall'articolo 72 della Costituzione,
delibera
pertanto, di non procedere all'esame del disegno di legge n. 1665.
N. 3. Braga, Schlein, Bonafè, Sarracino, Cuperlo, Fornaro, Toni Ricciardi, De Luca, Ubaldo Pagano, Ascani, Mauri, Amendola, Bakkali, Barbagallo, Berruto, Boldrini, Carè, Casu, Ciani, Curti, D'Alfonso, De Maria, De Micheli, Di Biase, Di Sanzo, Evi, Fassino, Ferrari, Forattini, Fossi, Furfaro, Ghio, Gianassi, Girelli, Gnassi, Graziano, Gribaudo, Guerini, Guerra, Iacono, Lacarra, Lai, Laus, Letta, Madia, Malavasi, Mancini, Manzi, Marino, Merola, Morassut, Orfini, Orlando, Peluffo, Porta, Provenzano, Quartapelle Procopio, Roggiani, Andrea Rossi, Scarpa, Scotto, Serracchiani, Simiani, Speranza, Stefanazzi, Stumpo, Tabacci, Vaccari, Zan, Zingaretti.
QUESTIONE PREGIUDIZIALE DI MERITO
La Camera,
premesso che:
il testo trasmesso dal Senato, pur contenendo integrazioni e modificazioni rispetto al disegno di legge governativo originario, mantiene un impianto segnato da criticità rilevanti, emerse e confermate anche durante il ciclo di qualificate audizioni, al punto che si può affermare che, salvo alcuni casi, sono rimasti irrisolti quasi tutti i principali nodi politico-tecnici. Al contrario, cittadini ed imprese hanno bisogno di un quadro normativo certo per programmare le proprie scelte nella vita e nell'attività che svolgono, tenuto conto della delicatezza e del vasto ambito di tematiche che il testo va ad investire;
l'elemento che desta più inquietudine nel disegno di legge in esame è la sua indeterminatezza, tanto che ci si avvia – in modo azzardato – a dare attuazione ad un processo potenzialmente di amplissima portata senza certezza alcuna del quadro ordinamentale e procedurale che lo accompagnerà non soltanto nella cruciale fase negoziale ed istruttoria ma anche in quella strettamente applicativa. Incertezza – consistente nella mancanza di un quadro articolato e preciso di tutte le risposte legislative, finanziarie ed amministrative da utilizzare in base alle possibili variabili nelle ricadute concrete del meccanismo una volta avviato – che si ripercuoterebbe su scala pluriennale –;
logica e ragionevolezza avrebbero voluto che prima di avventurarsi in un progetto frettoloso di attuazione si fosse proceduto ad una preventiva verifica dell'applicazione del nuovo Titolo V dopo oltre venti anni dalla sua approvazione, stante anche la giurisprudenza costituzionale accumulatasi sul punto, il contenzioso e le problematiche concrete riscontrate;
l'attuazione dell'autonomia differenziata non può naturalmente prescindere dal rispetto della coesione sociale del Paese ed anzi la solidarietà e l'unità dei diritti fondamentali esigibili dovrebbero essere alla base di qualsiasi passaggio ulteriore, non potendo il nostro paese permettersi il lusso di un'avventura alla cieca che investe la struttura stessa dell'ordinamento repubblicano e la sua capacità di risposta. La temporaneità e reversibilità dell'attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia dovrebbe costituire l'architrave, in un dispositivo prudente, graduale nel tempo e precisamente circoscritto a funzioni puntuali gestibili con certezza, dovevano essere i presupposti attorno ai quali costruire la disciplina attuativa, specificando un sistema di regole efficace e flessibile anche per periodi di eventuale crisi o nel caso di riscontro di problematiche nella fase applicativa e invece, anche dopo le modifiche approvate dal Senato permangono ampi dubbi proprio sulle modalità applicative di questi criteri. La definizione dei princìpi generali andava pertanto ripensata e riarticolata, mantenendo fermi il ruolo di indirizzo, controllo, correzione e coordinamento da parte dello Stato e del Parlamento in ogni fase, in modo da garantire la indispensabile omogeneità delle politiche pubbliche nei settori socialmente ed economicamente strategici e il miglioramento della qualità dei servizi resi dalle amministrazioni pubbliche. Cosa che non può verificarsi senza un previo e condiviso raccordo operativo e puntualmente definito tra lo Stato – Parlamento compreso – e le regioni, anche avvalendosi della Conferenza Unificata;
una attuazione efficace dell'autonomia richiederebbe, tra i principi di unità preminenti ed invalicabili, quello di partecipazione – in ogni fase – degli organismi tecnici pubblici più qualificati e, in primis, dei cittadini. Già i negoziati dovrebbero tener conto di questi ultimi, unitamente ai corpi sociali, delle associazioni, delle forze sociali, delle imprese: questa partecipazione – entro precisi schemi normativi – dovrebbe essere assicurata in piena trasparenza per ogni passaggio successivo. La promozione di pratiche ambientalmente sostenibili e di solidarietà interterritoriale dovrebbe parimenti figurare tra gli elementi fondamentali ispiratori della norma in esame. A partire dalla fase iniziale, lo stesso processo di valutazione delle richieste di attribuzione di autonomia differenziata appare logico che venga subordinato alla preventiva approvazione di una legge dello Stato volta a definire la gradualità del processo, le regole di valutazione dell'impatto sulla redistribuzione tra cittadini in termini fiscali e di servizi, le modalità di intervento dello Stato in caso di necessità per interesse nazionale e le regole comuni volte a prevenire differenziazioni normative sul territorio disfunzionali per la solidarietà tra territori e la coesione socioeconomica nazionale. Una legge dello Stato ad hoc dovrebbe definire le regole della istruttoria preventiva su ciascuna funzione e materia, cui conformare le istanze delle regioni interessate a richiedere l'autonomia, le regole di trasparenza e rendicontazione, le procedure obbligatorie di verifica della spesa e delle prestazioni erogate da tutte le regioni, a tal fine avvalendosi costantemente della Corte dei conti, del Consiglio di Stato, della Banca d'Italia, della Ragioneria generale dello Stato e dell'Ufficio parlamentare di bilancio e di tutti gli altri organismi pubblici competenti nelle specifiche funzioni;
avviare un processo nel quale teoricamente – dal tenore letterale delle formulazioni normative in esame – non è espressamente escluso che tutte le regioni possano richiedere ed eventualmente ottenere simultaneamente non solo singole funzioni bensì l'intero novero di materie, non significa dare attuazione ad un articolo della Costituzione ma negare lo spirito stesso della Costituzione. Stando al testo la Repubblica si potrebbe ritrovare un corpus normativo frammentato tra regioni ordinarie ad autonomia differenziata, regioni ordinarie ad autonomia non differenziata e regioni a statuto speciale per tutte o ciascuna di tali materie. Ne risulterebbe un mosaico incomprensibile ed ingestibile che nulla ha a che vedere con l'attuazione dell'articolo 116, terzo comma della Costituzione, la quale andrebbe invece subordinata alla piena definizione della cornice legislativa statale che determini, oltre ai livelli essenziali delle prestazioni – per i quali deve essere assicurato lo stanziamento di risorse necessario a garantirne l'attuazione in concreto – anche i principi fondamentali per tutte le materie di legislazione esclusiva statale e di legislazione concorrente cui, in ogni caso, nessuna istituzione territoriale può derogare. Le intese andrebbero finalizzate al pieno superamento dei divari territoriali delle prestazioni, con riferimento non a prestazioni teoriche ma a quelle effettivamente godute e garantite su tutto il territorio nazionale, quale condizione preliminare per l'attribuzione di ulteriori funzioni e limite inderogabile per le relative negoziazioni. Nell'ambito della gradualità del processo, in una prima fase, sarebbe stato saggio escludere dal possibile riconoscimento di ulteriori e particolari forme di autonomia in materie di legislazione esclusiva statale come le norme generali dell'istruzione e alcune delle stesse materie di legislazione concorrente per le quali un'ulteriore devoluzione comporterebbe un rischio di disarticolazione di diritti fondamentali delle persone e dello sviluppo economico unitario del Paese. Parallelamente, la procedura di richieste di funzioni o compiti non associate ai LEP dovrebbe essere avviata solo successivamente all'approvazione di una legge finalizzata a predeterminare i parametri di efficienza, equità, solidarietà e coesione socioeconomica, alla luce dei quali poter valutare limiti e modalità di delegabilità delle stesse, con particolare riferimento al confronto tra i costi e i benefici per la regione richiedente, per le altre regioni e per lo Stato, così da prevenire asimmetrie, inefficienze e difficoltà regolatorie per i cittadini e le imprese in termini di coordinamento normativo e amministrativo;
la legge dello Stato risulta lo strumento più adatto a definire le modalità di una specifica istruttoria per ciascuna funzione nell'ambito di ciascuna materia, secondo metodologie condivise, trasparenti e validate da organismi tecnici nazionali, al fine di valutare le conseguenze del decentramento rispetto allo status quo per la regione interessata e per il resto del paese nella gestione a livello decentrato – anche in termini di efficienza ed efficacia – nella rapidità e nella qualità dei processi decisionali ai fini della coesione e della solidarietà sociale. Solo in tal modo si possono misurare preventivamente le richieste di accesso alla luce del loro impatto sulle funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane. Al contrario, il testo non sfrutta il principio di gradualità nell'attribuzione delle funzioni e non è esplicito e dettagliato nel prevedere che vengano svolte verifiche puntuali prima di ogni passaggio successivo. I criteri di accesso delle singole regioni alle competenze differenziate per ciascuna materia o ambito di materia, andrebbero delineati per via legislativa e sulla base di valutazioni qualificate ed analisi adeguate concedendole purché la modifica dell'attuale riparto di competenze sia motivato dall'interesse nazionale e non solo dagli interessi di una frazione territoriale. Da questo, per organizzare l'intero processo in modo logico e coerente, discende la necessità di procedere per fasi sperimentali, di individuare un numero massimo di ambiti richiedibili all'interno di un novero di materie che si rivelino, sulla base di parametri oggettivi e dell'esperienza del Titolo V meno difficili da gestire a livello sub-statale, evitando in radice che si possa richiedere simultaneamente o persino effettivamente concedere l'intero novero delle stesse. Trascurato appare l'aspetto del necessario coordinamento nazionale delle materie temporaneamente delegabili, come anche il principio fondamentale di non discriminazione nel godimento dei diritti e dei servizi relativi, affermati apparentemente ma poi privati di un concreto presidio legislativo di tutela. Tutti questi aspetti non tengono neppure conto della necessaria cautela che imporrebbe la delicata e controversa materia del Titolo V, già oggetto di numerosa giurisprudenza costituzionale ma anche di proposte di revisione – tuttora pendenti – sia di iniziativa parlamentare che popolare, nella cui ultima categoria va annoverato il disegno di legge n. 764 recante proprio una modifica dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, concernente il riconoscimento alle regioni di forme e condizioni particolari di autonomia, e modifiche all'articolo 117, commi primo, secondo e terzo, della Costituzione, con l'introduzione di una clausola di supremazia della legge statale e lo spostamento di alcune materie di potestà legislativa concorrente alla potestà legislativa esclusiva dello Stato;
rispetto al testo governativo originario sarebbe stato saggio e prudente rafforzare il ruolo istruttorio e deliberativo parlamentare e quello consultivo e di verifica degli organismi tecnici statali nella fase iniziale di negoziato tra la regione e lo Stato, nella fase in cui lo schema di intesa preliminare arriva in Parlamento, nella fase finale in cui il disegno di legge contenente lo schema di intesa definitivo deve essere esaminato dalle Camere, all'occorrenza in una fase di nuova negoziazione dell'intesa, nella fase attuativa ed eventualmente in quella, cruciale, di tipo correttivo o persino revocatorio. Mancano tuttavia l'indicazione parlamentare degli indirizzi e dei criteri cui la negoziazione dovrà attenersi, la specificazione delle funzioni in cui si articola ogni materia, il vincolo di legge per cui il trasferimento a una o più regioni può riguardare solo specifiche funzioni e non un'intera materia, la limpida e netta previsione della revoca statale a tutela dell'interesse nazionale e dei diritti dei cittadini, un nitido meccanismo volto a prevenire aggravi di spesa o malfunzionamento nella distribuzione o nell'utilizzo delle risorse finanziarie;
nel testo non sono esplicitate linee guida di valutazione degli esiti attesi dalla differenziazione sia per la regione richiedente che per le altre regioni, al fine di evitare disparità tra territori in termini di risorse e strutture o maggiori oneri per i cittadini e le imprese e di garantire maggiore efficienza ed efficacia dei servizi su tutto il territorio nazionale. Nel testo, a fronte dell'introduzione di un articolo sul monitoraggio relativo alle intese, permane la mancanza di una esaustiva disciplina delle procedure di confronto periodico e simmetrico tra i servizi resi dalle regioni ad autonomia differenziata e quelli forniti invece dallo Stato e dalle regioni non differenziate. Non essendo costituzionalmente ragionevole che lo Stato si spogli della propria competenza in intere materie o settori, la norma di attuazione avrebbe dovuto definire i requisiti fondamentali per il mantenimento dei legami solidaristici tra cittadini residenti in regioni differenziate e non differenziate e tra i livelli di governo corrispondenti; l'individuazione degli strumenti di coordinamento tra Stato e regioni e regioni ed enti locali in riferimento alla differenziazione; i meccanismi di commisurazione del potere di spesa e delle fonti di finanziamento e i relativi meccanismi di responsabilizzazione delle amministrazioni interessate; i meccanismi e i requisiti atti a dimostrare, sulla base di affidabili dati ed indicatori economico sociali, i benefici per l'interesse nazionale derivanti dalla differenziazione ed in particolare di misurazione preventiva del miglioramento delle condizioni socio-economiche per le regioni non differenziate derivante dall'attuazione dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione; un rapporto chiaro tra regionalismo differenziato e regionalismo a statuto speciale;
non soltanto la fase negoziale ma la stessa possibilità di richiesta di attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia manca del presupposto di una dimostrata o dimostrabile maggior efficienza della gestione regionale del pubblico servizio collegato alla funzione di cui si richiede il trasferimento, senza effetti negativi per le altre regioni e per il libero esercizio dei diritti sociali e civili ed economici dei cittadini e delle imprese su tutto il territorio nazionale. In luogo della riduzione delle esistenti disparità regionali, si avrebbe una maggiore deresponsabilizzazione dei decisori delle politiche pubbliche nell'uso delle risorse pubbliche;
anche dopo le modificazioni ed integrazioni apportate in fase istruttoria, resta dubbia la configurazione di un costrutto normativo che realmente rechi un processo razionale, controllato e reversibile, secondo un metodo temporale selettivo, sostenibile e graduale, a garanzia della sua gestibilità e della unitarietà del quadro giuridico in cui cittadini ed imprese si ritroverebbero a vivere ed operare alla fine del processo stesso. La mancanza di elementi conoscitivi e valutativi di assoluto rilievo fa apparire il testo come una sorta di scommessa o salto nel buio che l'Italia non dovrebbe affrontare con incoscienza. L'Ufficio Parlamentare di Bilancio, la Cabina di regia di cui all'articolo 1, comma 93 della legge 29 dicembre 2022, n. 197, la Commissione tecnica per i fabbisogni standard, le Amministrazioni centrali, il Consiglio di Stato, la Corte dei conti, la Banca d'Italia, la Ragioneria Generale dello Stato avrebbero dovuto avere, nel testo, ben altro ruolo nell'individuazione e verifica delle funzioni fondamentali svolte a livello centrale o locale nell'ambito delle materie rilevanti ai fini dell'autonomia differenziata, così come nei criteri di valutazione degli effetti su tutte le regioni delle diverse modalità di finanziamento delle singole funzioni attribuibili alle regioni e delle conseguenti misure di riequilibrio eventualmente da assumere, nel controllo della qualità dei servizi resi sull'intero territorio nazionale. Le carenze della disciplina generale, dai criteri di valutazione ex ante alle modalità di intervento ex post, pongono rischi concreti in caso di future problematiche;
ne deriva un timore per gli effetti distorsivi causati dalla proliferazione di normative differenziate, dalla frammentazione dei centri di responsabilità, intervento e controllo, dall'aumento dei costi, anche indiretti, di adempimento per cittadini ed imprese e dalle difficoltà di coordinamento ed integrazione a livello nazionale. Né si rinvengono criteri di analisi degli effetti sui costi fissi, sul trasferimento eventuale di risorse umane e strumentali verso e tra regioni ad autonomia differenziata, sulla residua efficienza dello Stato e delle amministrazioni delle regioni non differenziate, sull'ammontare delle risorse perequate e sui servizi dei comuni. Così come non convince l'introduzione di misure perequative e di promozione dello sviluppo economico, della coesione e della solidarietà sociale, che poi non vengono debitamente supportate dagli investimenti necessari per stimolare l'economia del Paese e per offrire a tutte le regioni le medesime opportunità di crescita;
ciò pregiudica la consapevolezza dell'esame e comprime alla radice i necessari approfondimenti su decisioni che – una volta prese – assumeranno carattere pluriennale. Se tutti si augurano che i benefici possano essere pluriennali andrebbe però evitato che siano i danni ad essere pluriennali e per ottenere questo sarebbe stato opportuno che la norma risultante dall'esame del Parlamento sull'attuazione dell'autonomia differenziata fosse esaustiva e facesse rinvio ad ulteriori meccanismi legislativi, prevedendo una fase sperimentale tale da far soppesare su base oggettiva i diversi aspetti applicativi, a cominciare da un trattamento non omogeneo di materie e funzioni tra loro assai diversificate, essenziale per evitare confusione tra cittadini ed operatori socioeconomici;
meccanismi temporali più realistici e passaggi procedimentali più accurati avrebbero migliorato la qualità delle decisioni e la consapevolezza delle conseguenze che queste possono comportare in tempi e territori differenti. Il disegno di legge avrebbe pertanto dovuto contenere disposizioni atte alla prevenzione dei fenomeni di disomogeneità della regolazione e frammentazione delle competenze amministrative e legislative. A tal fine, in aggiunta al già previsto potere sostitutivo del Governo ai sensi dell'articolo 120, secondo comma, della Costituzione, sarebbe stato opportuno garantire la prerogativa della legge dello Stato di intervenire in materie conferite alle regioni in ogni momento quando lo richieda la tutela dell'interesse nazionale, ferma rimanendo la preminente tutela dei principi fondamentali della Costituzionale. Si tratta di una prudente formula di flessibilità laddove determinate situazioni in futuro dovessero richiedere un intervento sollecito, che non va lasciata all'incertezza applicativa di un testo che avvia un processo di attuazione dell'articolo 116, terzo comma, senza curarsi di disciplinare con attenzione e saggezza un meccanismo che non andrebbe messo incautamente in moto senza sapere come governarlo in concreto in tutte le diverse evenienze possibili;
il divario tra Nord e Sud e quello all'interno dei diversi territori, di cui l'articolo 119 della Costituzione, dovrebbero essere rimossi; per effetto del regionalismo differenziato essi tendono, se possibile, ad inasprirsi, in violazione del principio perequativo di cui all'articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e quindi dell'articolo 117 della Costituzione;
problematiche di assoluta rilevanza, oltre che dagli organismi tecnici auditi, sono state rilevate dai sindacati dei lavoratori e dalle associazioni delle categorie produttive sia in ordine a profili specifici che sull'impianto complessivo. I contesti di crisi nazionale ed internazionale più recenti hanno infatti dimostrato che un potere centrale incisivo in termini di coordinamento ed operatività serve tanto quanto una cornice normativa unitaria e che la frammentazione indebolisce l'Italia di fronte ai suoi competitori internazionali perché polverizza i centri decisionali e le responsabilità, situazione molto pericolosa nei casi di emergenza socioeconomica. Non a caso sul tema si è espresso in prima persona il Governatore della Banca d'Italia in una lettera inviata al presidente del Comitato LEP, con cui mette in guardia sui rischi per il bilancio pubblico o per prestazioni collegate ai LEP formulate in termini troppo generici, in buona parte riconducibili a mere petizioni di principio, il cui contenuto pratico rimane a suo avviso in larga parte indeterminato. Un monito che è giunto dopo le dimissioni date da quattro insigni componenti del Comitato nel luglio del 2023;
l'Ufficio parlamentare di bilancio ha segnalato, dal punto di vista procedurale, l'assenza di criteri di accesso al regionalismo differenziato – ad esempio relativi alla solidità delle finanze e alla capacità amministrativa delle regioni richiedenti – e l'assenza di informazioni sulle implicazioni finanziarie da esso derivanti al momento del passaggio parlamentare nonché i rischi di maggiori oneri per il bilancio dello Stato derivanti dall'asimmetria nell'aggiustamento delle aliquote di compartecipazione negli anni successivi al conferimento delle ulteriori forme di autonomia e l'assenza di momenti di coordinamento tra le decisioni riguardanti le risorse da trasferire alle diverse regioni richiedenti, prese unicamente sulla base di accordi bilaterali fra esecutivi nell'ambito delle Commissioni paritetiche Stato-Regione;
in proposito, si segnala, altresì, che non sono previsti momenti di valutazione ex ante o ex post delle conseguenze delle attribuzioni, in quanto l'autonomia differenziata potrebbe portare a configurazioni molto diverse fra loro e, dunque, ad uno scenario fortemente frammentato, con funzioni differenti e LEP differenti e peso finanziario differente: il caos derivante dalla possibilità che in ciascuna delle 23 materie oggetto di devoluzione si possa determinare una attività legislativa e amministrativa differenziata in ciascuna delle 20 regioni che potrebbe avanzarne richiesta, inciderebbe anche in ordine all'attrattività, già piuttosto bassa, del Paese da parte degli investitori esteri;
una bocciatura all'autonomia differenziata è arrivata anche dalla Commissione europea che nei rilievi di cui al Country Report del 2023 ha sollevato numerosi dubbi in merito ai presunti rischi che l'autonomia differenziata porterebbe provocare in termini di aumento delle disparità e tenuta dei conti pubblici, nonché sulla capacità dei LEP di compensare gli squilibri territoriali per l'incapienza dei necessari stanziamenti;
è la Corte dei conti a ribadire che il conseguimento dell'autonomia differenziata debba essere inserito all'interno di un quadro di riferimento unitario e cooperativo e, se da una parte rimanda alla necessaria definizione dei LEP, dall'altra rinvia alla necessità di realizzare una completa perequazione infrastrutturale, necessaria non solo per colmare le carenze di molte regioni, in particolare del sud, ma anche all'interno delle regioni più sviluppate, dove talvolta convivono situazioni di marginalità;
in conclusione, quello che si deve rilevare con preoccupazione è che il sistema concepito, declinato in maniera dettagliata solo in alcuni suoi aspetti, appare privo di un quadro normativo di misure altrettanto puntuali da adottare in caso di malfunzionamento dello stesso. Si è di fronte ad una interpretazione dell'articolo 116 e non già alla sola, univoca e possibile forma di attuazione. E, più specificamente, ad un disegno di legge ordinario contenente una opzione attuativa tra le tante, che per vari motivi non sembra in linea con i principi fondamentali del nostro stesso ordinamento costituzionale. Il testo peraltro non assicura che siano al contempo determinati e debitamente finanziati, quindi concretamente attuabili tutti i LEP attinenti all'esercizio di diritti civili e sociali ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m) della Costituzione. Particolare incertezza avvolge il futuro di materie quali tutela dell'ambiente e dei beni culturali; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione; tutela della salute; reti di trasporto, energetiche e della comunicazione; commercio e professioni; il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. In tutti questi campi, come anche in altri, non è chiaro quale possa essere il ruolo futuro del Parlamento e del Governo, quindi dello Stato, che dovrebbe invece poterne mantenere il controllo e la regia a garanzia di tutti i cittadini su tutto il territorio. In mancanza tutti gli elementi essenziali a prefigurare un ordinato e positivo sviluppo del modello di autonomia recato dal testo in esame ed in assenza di correttivi sufficienti applicati nella fase istruttoria, dal disegno di legge appare un quadro di incertezza ordinamentale che l'Italia non può assolutamente permettersi in questa fase,
delibera
di non procedere all'esame del disegno di legge n. 1665.
N. 1. Alifano, Alfonso Colucci, Auriemma, Penza, Torto, Fenu, Francesco Silvestri.
INTERROGAZIONI A RISPOSTA IMMEDIATA
Elementi e iniziative in merito a interventi di restauro del Duomo di Salerno e dell'Abbazia della Santissima Trinità di Cava de' Tirreni – 3-01229
D'ALESSIO, BONETTI, BENZONI, GRIPPO e SOTTANELLI. — Al Ministro della cultura. — Per sapere – premesso che:
la città di Salerno, con la relativa provincia, è ricca di monumenti storici che arricchiscono il patrimonio culturale e artistico non solo della zona, ma dell'intero Paese;
particolare rilevanza è rivestita dal Duomo di Salerno – noto altresì come Cattedrale primaziale metropolitana di Santa Maria degli Angeli, San Matteo e San Gregorio VII – un edificio dal grande valore storico e artistico, oltre a rappresentare il principale luogo di culto cattolico della città;
oltre a esso, è presente anche la millenaria Abbazia della Santissima Trinità (nota come «Badia di Cava»), situata a Cava de' Tirreni (Salerno), che, oltre a essere un monumento nazionale sin dal 1867, è una delle principali protagoniste della storia del Mezzogiorno d'Italia;
per quanto riguarda il Duomo, nel 2016 dall'allora Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo era stato annunciato lo stanziamento di 1.506.000 euro a favore del suo restauro e recupero. Tuttavia, da quel che si ha avuto modo di apprendere da fonti di stampa locale, risulterebbe che i lavori non siano mai stati avviati e, cosa ancor più grave, nel tempo il finanziamento sia stato tagliato, limitandosi al restauro del solo campanile. Negli ultimi anni, inoltre, l'edificio vede sempre più necessari interventi di ristrutturazione, a causa non solo delle conseguenze dell'incedere del tempo, ma anche degli effetti dei cambiamenti climatici e degli agenti inquinanti;
la Badia di Cava, invece, ha visto la validazione nel 2021 di un progetto di restauro finanziato dal Ministero per ulteriori 1,5 milioni di euro, ma, dopo numerosi mesi di ritardo per la nomina del responsabile unico del procedimento – la quale è avvenuta a dicembre 2023 –, a oggi non si hanno evidenze sulle procedure di affidamento ed esecuzione dei lavori e sul relativo cronoprogramma;
lo stesso Ministro interrogato aveva riconosciuto l'importanza della conservazione di tali luoghi storici, dichiarando infatti, proprio a seguito di una visita alla Badia a dicembre 2023, che «luoghi come questo devono diventare centrali per affermare il valore della cultura. La Badia di Cava è uno scrigno di tesori, ma soprattutto una testimonianza importante della nostra storia e della nostra tradizione cristiana. Sono qui per avviare un programma di valorizzazione già finanziato e che ci vedrà impegnati nel prossimo anno» –:
se i fondi stanziati siano ancora nella disponibilità dei soggetti destinatari e quale sia lo stato di avanzamento del cronoprogramma per la ristrutturazione dei due edifici storici.
(3-01229)
Chiarimenti in merito alla tipologia di forniture militari inviate all'Ucraina, anche al fine di garantire la massima trasparenza e il pieno coinvolgimento del Parlamento in relazione alle autorizzazioni di invio di armamenti – 3-01221
FRANCESCO SILVESTRI, PELLEGRINI, RICCARDO RICCIARDI, BALDINO e LOMUTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
recenti notizie di stampa hanno riportato le preoccupanti dichiarazioni del Ministro della difesa britannico, Grant Shapps, secondo il quale l'Italia avrebbe fornito all'Ucraina, al pari di Regno Unito e Francia, i missili Storm Shadow/Scalp Eg impiegati per colpire in profondità obiettivi nelle retrovie delle forze russe in Crimea e nei territori ucraini sotto il controllo di Mosca;
il Ministro britannico avrebbe aggiunto che «queste armi stanno facendo una differenza molto significativa» e inoltre sono dotate di «un'efficacia devastante». I missili Storm Shadow infatti hanno un raggio di azione e una capacità distruttiva nettamente superiore anche alle armi fornite dagli Stati Uniti: sono in grado di colpire a quasi 500 chilometri di distanza, carichi con quasi 450 chili di esplosivo;
nel documento programmatico pluriennale della difesa per il triennio 2023-2025 si sottolineano le capacità deep strike del missile descritto, specificando che «tale capacità costituisce uno dei fondamentali elementi della deterrenza convenzionale, nonché decisivo game changer nelle operazioni militari, in grado di elevare marcatamente il rango e il peso politico del Paese»;
destano particolare preoccupazione le attività di preparazione per l'uso di tali missili che risulterebbero particolarmente complesse per i tecnici ucraini e, secondo indiscrezioni riportate da fonti di stampa, verrebbero svolte sul campo in Ucraina da specialisti britannici e francesi;
la conferma dell'invio di tali armi strategiche posizionerebbe il nostro Paese in un ruolo decisamente diverso nella cornice del conflitto russo-ucraino;
il Ministro interrogato, durante le comunicazioni del 10 gennaio 2024 in merito all'ottavo pacchetto di aiuti militari, ha affermato che era costituito «da equipaggiamenti e sistemi d'arma volti a rafforzare solo e soltanto le capacità difensive delle forze armate ucraine»;
secondo la normativa vigente, gli allegati dei decreti interministeriali contenenti il dettaglio delle forniture di armamenti inviati all'Ucraina sono considerati «documenti classificati» e illustrati dal Governo in seno al Copasir. Tale elemento di segretezza è stato mantenuto solo dall'Italia a differenza degli altri Paesi che inviano armi all'Ucraina –:
al fine di garantire la trasparenza nonché il rispetto dei principi democratici e costituzionali, in particolare dell'articolo 11 della Costituzione, se non ritenga urgente comunicare alle Camere la situazione in merito al potenziale offensivo degli armamenti inviati e al mutato coinvolgimento dell'Italia nel conflitto russo-ucraino, riconsiderando la classificazione degli allegati di cui in premessa, coinvolgendo pienamente ciascuna Camera, nelle rispettive Assemblee, nelle eventuali future autorizzazioni di invio di armamenti.
(3-01221)
Elementi e iniziative in ordine alla riduzione delle risorse finanziarie destinate agli enti locali in relazione ai contributi assegnati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza – 3-01230
BRAGA, SCHLEIN, BONAFÈ, CIANI, GHIO, TONI RICCIARDI, CASU, FORNARO, DE LUCA, FERRARI, MORASSUT, ROGGIANI, DE MARIA, AMENDOLA, ASCANI, BAKKALI, BARBAGALLO, BERRUTO, BOLDRINI, CARÈ, CUPERLO, CURTI, D'ALFONSO, DE MICHELI, DI BIASE, DI SANZO, EVI, FASSINO, FORATTINI, FOSSI, FURFARO, GIANASSI, GIRELLI, GNASSI, GRAZIANO, GRIBAUDO, GUERINI, GUERRA, IACONO, LACARRA, LAI, LAUS, MADIA, MALAVASI, MANCINI, MANZI, MARINO, MAURI, MEROLA, ORFINI, ORLANDO, UBALDO PAGANO, PELUFFO, PORTA, PROVENZANO, QUARTAPELLE PROCOPIO, ANDREA ROSSI, SARRACINO, SCARPA, SCOTTO, SERRACCHIANI, SIMIANI, SPERANZA, STEFANAZZI, STUMPO, TABACCI, VACCARI, ZAN e ZINGARETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
la legge di bilancio per il 2024, al comma 533, ha disciplinato il concorso alla finanza pubblica degli enti locali per gli anni 2024-2028, prevedendo tagli al comparto per 250 milioni di euro per ciascun anno;
la disposizione richiamata, riferendosi ai criteri di riparto da stabilire con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, precisa che l'entità del contributo per ciascun ente debba essere determinato anche tenendo conto delle risorse Piano nazionale di ripresa e resilienza assegnate al 31 dicembre 2023;
con il sopra indicato decreto ministeriale si stabilisce così il principio che l'essere destinatario di finanziamenti aggiuntivi in conto capitale del Next generation EU debba avere come contropartita una riduzione della spesa corrente, con l'effetto paradossale che le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che dovrebbero considerarsi come un ulteriore sostegno per riforme e investimenti, diventino addirittura penalizzanti rispetto all'ordinario finanziamento degli enti locali;
da fonti di stampa si apprende che nella bozza del suddetto decreto, che si applicherebbe a 6.838 comuni, 78 province, 13 città metropolitane (essendo esclusi gli enti in dissesto, quelli in procedura di riequilibrio e quelli che hanno firmato un accordo per il ripiano del disavanzo e il rilancio degli investimenti), il taglio sarebbe calcolato per il 50 per cento in proporzione agli impegni di spesa corrente, al netto di quella relativa alla missione 12 (diritti sociali, politiche sociali e famiglia), e per il restante 50 per cento in proporzione ai contributi assegnati a ciascun ente dal Piano nazionale di ripresa e resilienza;
questa scelta penalizzerà maggiormente gli enti locali più impegnati, in termini di risorse, nella realizzazione degli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, mettendo irragionevolmente comuni, province e città metropolitane nell'impossibilità di gestire le opere pubbliche, come asili nido e case di comunità, che hanno realizzato;
una decisione così irragionevole, che disincentiva e mette a rischio la piena riuscita del piano di competenza territoriale, ha costretto il Ministro per gli affari europei, il Sud, le politiche di coesione e il PNRR Raffaele Fitto a precisare, in polemica con i Ministri dell'interno e dell'economia e delle finanze, che «il Governo valuterà le considerazioni e le esigenze del sistema degli enti locali e darà delle risposte» –:
se il Ministro interrogato non ritenga condivisibili gli allarmi provenienti dagli enti locali e se non ritenga di modificare immediatamente questo criterio che gli interroganti giudicano insensato, per il quale sono operati maggiori tagli di spesa corrente ai comuni che stanno investendo più risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
(3-01230)
Iniziative volte all'introduzione di codici identificativi degli agenti impegnati in operazioni di ordine pubblico – 3-01231
ZARATTI, ZANELLA, BONELLI, BORRELLI, DORI, FRATOIANNI, GHIRRA, GRIMALDI, MARI e PICCOLOTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo garantisce a ogni individuo il diritto alla libertà d'opinione e di espressione;
per gli interroganti si registra ultimamente un clima vessatorio e anticostituzionale, sia nelle carceri, sia nei confronti di coloro che manifestano per la giustizia climatica o per la pace in Palestina;
dopo che alcuni agenti della polizia hanno caricato giovani manifestanti durante cortei pacifici, si è tornati a parlare della possibilità di introdurre i codici, o le bodycam, per identificare i membri delle forze dell'ordine quando sono in servizio;
in Italia gli agenti di polizia devono identificarsi soltanto quando sono «in borghese», ossia in abiti civili; la legge li obbliga a portare con sé la tessera di riconoscimento, ma non a esibirla. Solo nel caso di servizio «in borghese» devono portare sull'abito in modo visibile una placca di riconoscimento;
il regolamento dell'Arma dei carabinieri impone di portare con sé la tessera di riconoscimento nel caso di servizi svolti «in borghese»;
il 19 settembre 2001 il Consiglio d'Europa ha approvato con raccomandazione il «Codice etico europeo di polizia». Questo documento invita da tempo gli Stati membri a far sì che, nel corso di manifestazioni pubbliche, ciascun agente di polizia sia riconoscibile e identificabile;
dopo dieci anni, il 12 novembre 2012, il Parlamento europeo ha esortato con risoluzione gli Stati dell'Unione europea a introdurre il numero identificativo per le forze dell'ordine;
è ormai improcrastinabile la previsione di misure che consentano l'identificazione degli agenti impegnati in operazioni di ordine pubblico, anche perché episodi di uso ingiustificato della forza possono innescare pericolose generalizzazioni, specie se si riscontrano difficoltà rispetto all'accertamento delle responsabilità e delle relative sanzioni;
di tutt'altro avviso sono alcune proposte della maggioranza di Governo che, secondo quanto risulta da fonti di stampa, addirittura vorrebbero mandare in carcere chi protesta contro la realizzazione di un'opera pubblica o di un'infrastruttura strategica, come il ponte sullo Stretto di Messina. Fare e distribuire un volantino potrebbe essere perseguito penalmente, verrebbe previsto il carcere da 4 a 20 anni anche per chi, con immagini o atti simbolici, possa minacciare il blocco di opere infrastrutturali;
per chi protesta, quindi, sarebbe prevista una pena tripla rispetto alla corruzione e ad altri reati gravi come la rapina: ad avviso degli interroganti, una vera emergenza democratica –:
se non ritenga opportuno adottare iniziative per procedere all'introduzione di codici identificativi degli agenti impegnati in operazioni di ordine pubblico, ottemperando così anche alle sollecitazioni del Parlamento europeo.
(3-01231)
Iniziative a favore della popolazione dei Campi Flegrei, con particolare riferimento al potenziamento delle politiche abitative, alla previsione di una moratoria sui mutui e all'attuazione del piano intermodale sulle vie di fuga – 3-01232
GADDA, FARAONE, DE MONTE, DEL BARBA, MARATTIN, BONIFAZI, BOSCHI, GIACHETTI e GRUPPIONI. — Al Ministro per la protezione civile e le politiche del mare. — Per sapere – premesso che:
i Campi Flegrei, l'area ricompresa tra i comuni di Bacoli, Monte di Procida, Pozzuoli, Quarto, Giugliano in Campania e Napoli, sono una delle più significative aree vulcaniche attive del mondo e i costanti fenomeni di bradisismo interessano una popolazione di oltre 500.000 abitanti;
la recrudescenza degli episodi nelle ultime settimane ha ingenerato nella popolazione un comprensibile stato di ansia e provocato ingenti danni di natura economica agli edifici pubblici e privati. Nel solo comune di Pozzuoli (Napoli) si sono registrate oltre 1.400 richieste di sopralluogo sulle unità immobiliari e 121 famiglie risultano sgomberate e allocate temporaneamente in strutture alberghiere della Campania;
molti cittadini si trovano, inoltre, nella paradossale situazione di continuare a pagare regolarmente le rate dei mutui per immobili che non risultano nella loro disponibilità, non essendo stata prevista alcuna misura di moratoria;
la maggior parte dell'edificato nei centri urbani, seppur disponendo di regolari titoli abitativi, risulta edificato antecedentemente al primo apparato normativo in materia antisismica (legge 2 febbraio 1974, n. 64) e dunque necessiterebbe di interventi definitivi, tali da resistere alle costanti sollecitazioni causate dal fenomeno bradisismico;
la presidenza della regione Campania, con la deliberazione numero 207/4 del 26 marzo 1985 e in qualità di commissario straordinario di Governo, ha elaborato il cosiddetto «Programma ex lege 887/84», che prevede la realizzazione di un sistema integrato di trasporti portuali, marittimi e terrestri, su gomma e su ferro, che possa costituire anche una rete di vie di fuga dall'area flegrea;
a distanza di quarant'anni molte delle infrastrutture previste nel sopra citato piano intermodale non risultano cantierate, rendendo complesse le eventuali operazioni di esodo in caso di fenomeni acuti;
le misure adottate finora sembrano aver sostanzialmente sottovalutato la portata dei pericoli cui è esposta la popolazione, cui va garantito l'approntamento di misure necessarie a garantirne l'incolumità –:
se il Governo non intenda adottare iniziative volte al potenziamento delle politiche abitative nelle zone interessate dal fenomeno di bradisismo, anche attraverso misure programmatiche che permettano di aumentare la resilienza degli edifici esposti a costanti sollecitazioni, e se non ritenga di adottare iniziative straordinarie legate all'emergenza, come la moratoria sui mutui e l'aumento delle risorse stanziate con il decreto-legge 12 ottobre 2023, n. 140, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 dicembre 2023, n. 183, così da accelerare gli interventi straordinari necessari per attuare il piano intermodale sulle vie di fuga definito la prima volta nel 1984.
(3-01232)
Misure per tutelare le aziende e i lavoratori del comparto della cosiddetta cannabis leggera – 3-01233
MAGI. — Al Ministro delle imprese e del made in Italy. — Per sapere – premesso che:
la cannabis cosiddetta «leggera» è quella ricavata dalle infiorescenze femminili della pianta di cannabis priva di effetti psicoattivi, poiché selezionate per il loro basso contenuto di thc (che deve avere valore non superiore a 0,6 per cento) e per la ricchezza di cbd;
la legge n. 242 del 2016, «Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa», ha consentito in Italia la coltivazione della canapa a basso contenuto di thc;
secondo i dati Eurispes, per effetto della legge n. 242 del 2016, si è sviluppato in Italia un florido settore di produzione e commercializzazione della canapa, che, nel 2018, contava quasi 10.000 addetti e un fatturato di 150 milioni di euro;
secondo le stime di Cia e Coldiretti le superfici coltivate a canapa sono passate, nel nostro Paese, da 950 a quasi 4.000 ettari nell'ultimo triennio, il che ha poi garantito l'apertura di 800 partite Iva agricole specializzate, nonché 1.500 aziende di trasformazione e distribuzione e 1.000 negozi;
secondo l'Aical, il 90 per cento del fatturato dei canapa shop arrivava da infiorescenze e oli, prodotti da cui dipende la sostenibilità di queste attività;
da un primo studio scientifico sul fenomeno cannabis light in Italia, pubblicato su European economic review, emergeva che la «legalizzazione» della cannabis light ha portato ad una riduzione tra l'11 e il 12 per cento dei sequestri di marijuana illegale in ogni provincia e a una riduzione dell'8 per cento della disponibilità di hashish;
si è assistito al fenomeno di cosiddetta «sostituzione imperfetta», che ha comportato una parte dei consumatori a preferire il prodotto light ma più sicuro e certificato, invece che acquistare lo stupefacente e accedere al mercato illegale della droga;
recenti iniziative del Governo tendono ad equiparare, anche in termini di rilevanza penale in violazione del principio di offensività, le infiorescenze di canapa con basso contenuto di thc a quelle con effetto stupefacente –:
quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato per tutelare le aziende e i lavoratori di un settore in crescita, che già al momento attuale impiega tante persone che, inevitabilmente, verrebbero danneggiate irrimediabilmente se il Governo decidesse di procedere con questo piano.
(3-01233)
Tempi di adozione delle disposizioni applicative del Piano «Transizione 5.0» – 3-01234
CASASCO, SQUERI e BATTILOCCHIO. — Al Ministro delle imprese e del made in Italy. — Per sapere – premesso che:
con l'articolo 38 del decreto-legge n. 19 del 2024 è stato approvato il Piano «Transizione 5.0», nel quale è previsto un credito d'imposta in favore delle imprese che negli anni 2024 e 2025 effettuano nuovi investimenti in strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato, nell'ambito di progetti di innovazione che conseguano una riduzione dei consumi energetici;
la misura è disposta in attuazione della decisione del Consiglio Ecofin dell'8 dicembre 2023 e in relazione all'investimento 15 – «Transizione 5.0», della missione 7 – REPowerEU, finalizzato alla transizione dei processi produttivi verso un modello sostenibile. Il Piano dispone di un budget di 6.300 milioni di euro, puntando a raggiungere un risparmio energetico cumulato di 400.000 tep (tonnellate di equivalente in petrolio);
l'articolo 38 citato affida la definizione delle modalità attuative della disposizione a un decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy, da adottare, entro il 1° aprile 2024, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro dell'ambiente e della sicurezza energetica, che tuttora non è stato emanato;
per accedere al contributo, le imprese presentano apposita documentazione, in via telematica, sulla base di un modello standardizzato messo a disposizione dal Gestore dei servizi energetici, anch'esso al momento non disponibile;
nelle more della piena attuazione della misura, con il comma 3-bis dell'articolo 6 del decreto-legge n. 39 del 2024, sono state introdotte disposizioni volte a specificare il regime delle comunicazioni e si è precisato che gli investimenti agevolabili devono essere effettuati dal 1° gennaio 2024 al 31 dicembre 2025;
gli interroganti ritengono che una crescita più robusta, in grado di innalzare redditi e salari e favorire una maggiore occupazione, si realizzi migliorando la competitività delle imprese italiane, della quale l'efficienza energetica, in regime di alti costi dell'energia, è elemento decisivo;
sono quindi assolutamente condivisibili le misure per rafforzare il sistema produttivo nazionale, così come lo erano i precedenti, positivi, interventi a sostegno dell'innovazione nelle imprese («Industria 4.0» e «Transizione 4.0»);
il nuovo presidente di Confindustria, Orsini, ha fatto presente che gli imprenditori stanno attendendo le citate disposizioni attuative per poter fare gli investimenti, sottolineando che si tratta di misure legate al Piano nazionale di ripresa e resilienza, che scade nel 2026, mentre il sistema produttivo italiano avrebbe bisogno di misure che abbiano una visione di lungo periodo –:
quali siano i tempi di adozione del complesso delle disposizioni applicative del Piano «Transizione 5.0» e se non ritenga opportuno ampliarne l'orizzonte temporale.
(3-01234)
Intendimenti in merito alla cosiddetta liberalizzazione dei dehors a favore delle attività di ristorazione – 3-01235
LUPI, CAVO, BICCHIELLI, BRAMBILLA, ALESSANDRO COLUCCI, PISANO, ROMANO, SEMENZATO e TIRELLI. — Al Ministro delle imprese e del made in Italy. — Per sapere – premesso che:
l'articolo 9-ter, comma 5, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, ha disposto che la posa in opera temporanea su vie, piazze, strade e altri spazi aperti di interesse culturale o paesaggistico, da parte di talune imprese titolari di concessioni o di autorizzazioni concernenti l'utilizzazione del suolo pubblico, di strutture amovibili, quali dehors, elementi di arredo urbano, attrezzature, pedane, tavolini, sedute e ombrelloni, non fosse subordinata alle autorizzazioni del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;
dopo alcune proroghe della misura citata intervenute fino al 31 dicembre 2023, l'articolo 11, comma 8, della legge 30 dicembre 2023, n. 214, recante «Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2022», ha prorogato ulteriormente le disposizioni fino al 31 dicembre 2024;
il 16 maggio 2024, il Ministro interrogato ha annunciato che il suo Dicastero sta elaborando, all'interno del disegno di legge in materia di concorrenza, un provvedimento per rendere strutturali i cosiddetti dehors, ritenendola un'occasione per valorizzare le attività di ristorazione, soprattutto nei centri storici;
alcune associazioni hanno rilasciato dichiarazioni agli organi di stampa sostenendo che la proposta di legge sulla liberalizzazione dei dehors possa risultare lesiva del decoro urbano e andare contro i regolamenti comunali;
il 20 novembre 2023 è stata assegnata alla X Commissione attività produttive, commercio e turismo della Camera dei deputati una proposta di legge, recante «Delega al Governo in materia di riordino delle norme relative alla concessione di spazi e aree pubbliche di interesse culturale o paesaggistico alle imprese di pubblico esercizio per l'installazione di strutture amovibili funzionali all'attività esercitata»;
il 22 maggio 2024, nell'ambito dell'esame della proposta di legge citata, si è svolta l'audizione informale di rappresentanti di alcune associazioni di categoria –:
se intenda adottare iniziative di competenza volte a rendere strutturali le misure per i cosiddetti dehors e con quali modalità.
(3-01235)
Iniziative per sostenere la crescita e la competitività delle imprese nel settore spaziale, con particolare riferimento al disegno di legge in materia collegato alla manovra di bilancio – 3-01236
FOTI, ANTONIOZZI, GARDINI, MESSINA, MONTARULI, RUSPANDINI, VINCI, CARAMANNA, COLOMBO, COMBA, GIOVINE, MAERNA, PIETRELLA, SCHIANO DI VISCONTI, ZUCCONI e MASCARETTI. — Al Ministro delle imprese e del made in Italy. — Per sapere – premesso che:
il settore dello spazio sta conoscendo in questi anni una nuova fase di sviluppo, diventando un campo di confronto sempre più rilevante per gli attori della scena internazionale, con un ruolo crescente assunto anche dai soggetti privati;
sono crescenti anche le ricadute nello sviluppo del nostro Paese, non manifestandosi più soltanto come un settore della ricerca, bensì concretizzandosi come irrinunciabile opportunità di sviluppo economico e sociale nei diversi settori di riferimento (come quello delle telecomunicazioni e della navigazione satellitare o delle applicazioni nel campo delle osservazioni della Terra);
la nota di aggiornamento al documento di economia e finanza 2024 ha previsto un collegato specifico per il settore spaziale, che rappresenta una delle frontiere più avanzate della tecnologia e dell'innovazione;
cruciale risulta essere lo sviluppo di capacità e competenze in questo ambito, non solo per il progresso scientifico e tecnologico, ma anche per le ricadute economiche e di sicurezza nazionale;
da notizie di stampa risulterebbe che il 15 maggio 2024 è stata convocata presso il Ministero delle imprese e del made in Italy una riunione dei distretti aerospaziali, al fine di avviare un dialogo nazionale permanente tra i distretti tecnologici nazionali e gli attori istituzionali e industriali sulle priorità e sulle opportunità di sviluppo del settore spaziale e aeronautico –:
quale sia lo stato del provvedimento legislativo di cui in premessa e quali misure intenda adottare il Governo italiano per sostenere la crescita e la competitività delle imprese italiane nel settore spaziale.
(3-01236)
Iniziative di competenza volte a favorire il confronto e il contraddittorio in ambito universitario e ad evitare che in tale contesto sia data risonanza a ideologie di carattere antisemita – 3-01237
GIACCONE, MOLINARI, SASSO, ANDREUZZA, ANGELUCCI, BAGNAI, BARABOTTI, BELLOMO, BENVENUTO, DAVIDE BERGAMINI, BILLI, BISA, BOF, BORDONALI, BOSSI, BRUZZONE, CANDIANI, CAPARVI, CARLONI, CARRÀ, CATTOI, CAVANDOLI, CECCHETTI, CENTEMERO, COIN, COMAROLI, CRIPPA, DARA, DI MATTINA, FORMENTINI, FRASSINI, FURGIUELE, GIAGONI, GIGLIO VIGNA, GUSMEROLI, IEZZI, LATINI, LAZZARINI, LOIZZO, MACCANTI, MARCHETTI, MATONE, MIELE, MINARDO, MONTEMAGNI, MORRONE, NISINI, OTTAVIANI, PANIZZUT, PIERRO, PIZZIMENTI, PRETTO, RAVETTO, STEFANI, SUDANO, TOCCALINI, ZIELLO, ZINZI e ZOFFILI. — Al Ministro dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
si apprende dalla stampa che la sede delle facoltà umanistiche a Torino, Palazzo Nuovo, è stata occupata da un gruppo di studenti, accampati con le tende davanti all'ingresso, che solidarizzano con il popolo palestinese, esponendo bandiere e uno striscione con la scritta «Student intifada, all eyes on Rafah. Stop guerre e genocidio», al fine di imporre il boicottaggio accademico di Israele;
le istituzioni accademiche scientifiche israeliane godono di grande prestigio e si tratta di un ambiente accademico aperto e internazionale, come si evince dal numero di pubblicazioni e dalle numerose citazioni che gli studiosi ricevono;
per costruire una cultura di pace è necessario smontare le diverse retoriche dell'odio e per questo fine le collaborazioni scientifiche possono rappresentare un momento importante di confronto e di relativizzazione delle posizioni conflittuali; inoltre, mantenere aperto il dialogo scientifico non può in nessun modo rappresentare indifferenza agli orrori del conflitto;
inoltre, si deve sottolineare che, se è vero che lo spazio universitario deve restare uno spazio autonomo, è altresì indubbio che in esso debbano essere rappresentate tutte le opinioni presenti nel dibattito pubblico, nel pieno rispetto del principio del contraddittorio e della completa rappresentanza, senza cadere in eccessi demagogici di alcun tipo;
invece, venerdì 24 maggio 2024 per un'ora l'imam ha tenuto la preghiera inneggiando ad una jihad italiana davanti a qualche decina di studenti in uno spazio occupato dell'università stessa, con le donne confinate in un recinto;
la presenza dell'imam viola la laicità imposta alle istituzioni universitarie, dove peraltro le lezioni sono interrotte dall'occupazione e viene impedito l'accesso ai tanti che vorrebbero proseguire i propri studi, oltre che ai docenti e al personale universitario;
l'università pare essere, ancora una volta, al centro di un corposo tentativo di strumentalizzazione da parte di alcuni gruppi di pressione che vorrebbero superare il dibattito sociale, politico e istituzionale, per parlare dalle aule ad una platea di qualità e ottenere così maggiore risonanza;
ad avviso degli interroganti l'autonomia riconosciuta alle istituzioni universitarie non dovrebbe tradursi di fatto nella possibilità di diffondere posizioni che paiono avere anche connotati antisemiti, come accaduto nella vicenda in questione –:
di quali elementi disponga sulla vicenda e quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda avviare affinché in tutte le università del Paese sia favorito in ogni occasione il confronto e il contraddittorio e sia comunque evitato di dare risonanza a ideologie politiche e a posizioni che possono istigare all'odio o alla discriminazione razziale, anche di carattere antisemita.
(3-01237)