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Resoconto dell'Assemblea

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XIX LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 347 di lunedì 16 settembre 2024

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SERGIO COSTA

La seduta comincia alle 14,30.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata Segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

GILDA SPORTIELLO , Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 6 agosto 2024.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 76, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione del disegno di legge: S. 924-bis - Revisione della disciplina in materia di valutazione delle studentesse e degli studenti, di tutela dell'autorevolezza del personale scolastico nonché di indirizzi scolastici differenziati (Approvato dal Senato) (A.C. 1830​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 1830: Revisione della disciplina in materia di valutazione delle studentesse e degli studenti, di tutela dell'autorevolezza del personale scolastico nonché di indirizzi scolastici differenziati.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1830​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

La VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Grazia Di Maggio.

GRAZIA DI MAGGIO , Relatrice. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, signor Sottosegretario, il provvedimento oggi all'esame dell'Assemblea reca: “Revisione della disciplina in materia di valutazione delle studentesse e degli studenti, di tutela dell'autorevolezza del personale scolastico nonché di indirizzi scolastici differenziati”. Il testo al nostro esame, di iniziativa governativa, è stato approvato dal Senato in data 17 aprile 2024 ed è il frutto di alcune disposizioni contenute originariamente in un disegno di legge unitario, che comprendeva anche l'istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale. Le disposizioni sulla filiera, come ricorderete, sono state approvate da quest'Aula poco prima dell'interruzione dei lavori della pausa estiva e oggi sono divenute legge.

Il disegno di legge sulla valutazione degli studenti è stato assegnato in sede referente alla VII Commissione (Cultura), che ne ha svolto un approfondito esame, nell'ambito del quale sono state discusse e respinte tutte le 64 proposte emendative presentate.

Venendo al contenuto del provvedimento in esame, esso si compone di 3 articoli. L'articolo 1 reca disposizioni in materia di valutazione delle studentesse e degli studenti. Al comma 1 sono apportate talune novelle al decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 62, recante: “Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato”. In primo luogo, si modifica il comma 1 del citato articolo 2 in materia di valutazione periodica e finale degli apprendimenti, prevedendo che nella scuola primaria-ex scuola elementare, a decorrere dall'anno scolastico 2024-2025, tale valutazione sia espressa con giudizi sintetici correlati alla descrizione dei livelli di apprendimento raggiunti.

Oggi, in applicazione di un regime derogatorio introdotto durante il periodo pandemico, la valutazione degli apprendimenti alla scuola primaria avviene attraverso un “giudizio descrittivo” riportato nel documento di valutazione e riferito a differenti livelli di apprendimenti. La valutazione degli apprendimenti nella scuola secondaria di primo grado resta, invece, effettuata in decimi. La definizione delle modalità della valutazione, sia in relazione alla scuola primaria che in relazione alla scuola secondaria di primo grado, è demandata a un'ordinanza del Ministro dell'Istruzione e del merito.

In secondo luogo, si interviene in materia di valutazione del comportamento degli alunni, prevedendo che, mentre nella scuola primaria essa sia espressa collegialmente dai docenti con un giudizio sintetico riportato nel documento di valutazione, nella scuola secondaria di primo grado essa venga, invece, espressa in decimi.

La lettera b) del comma 1 integra l'articolo 6 dello stesso decreto legislativo n. 62 del 2017 in materia di ammissione alla classe successiva nella scuola secondaria di primo grado e all'esame conclusivo del primo ciclo di istruzione. Si specifica che, se la valutazione del comportamento degli alunni della scuola secondaria di primo grado è inferiore a sei decimi, il consiglio di classe delibera la non ammissione alla classe successiva o all'esame di Stato conclusivo del percorso di studi.

La lettera c) del comma 1 modifica l'articolo 13, comma 2, lettera d), del decreto legislativo n. 62 del 2017, in materia di ammissione all'esame di Stato conclusivo dei percorsi di istruzione secondaria di secondo grado. In particolare, sono inseriti due nuovi periodi: il primo, volto a prevedere che, nel caso di valutazione del comportamento pari a sei decimi, il consiglio di classe assegni lo svolgimento di un elaborato critico in materia di cittadinanza attiva e solidale, da trattare in sede di colloquio dell'esame conclusivo del secondo ciclo; il secondo, finalizzato a ribadire che, nel caso di valutazione del comportamento inferiore a sei decimi, il consiglio di classe deliberi la non ammissione all'esame di Stato conclusivo del percorso di studi.

La lettera d) del comma 1 integra l'articolo 15 del decreto legislativo n. 62 del 2017, in materia di attribuzione del credito scolastico nel secondo ciclo di istruzione. Viene, poi, aggiunto un comma, il 2-bis, al predetto articolo 15, che prevede che il punteggio più alto nell'ambito della fascia di attribuzione del credito scolastico spettante sulla base della media dei voti riportata sullo scrutinio finale, possa essere attribuito solo se il voto di comportamento segnato sia pari o superiore a nove decimi.

Il comma 3 dell'articolo 1 integra l'articolo 3, comma 2, della legge 20 agosto 2019, n. 92, che prevede l'introduzione dell'insegnamento scolastico dell'educazione civica, disponendo che, nell'ambito dell'insegnamento trasversale dell'educazione civica, oltre alle tematiche che ne costituiscono l'oggetto specifico, siano altresì promosse l'educazione stradale, l'educazione alla salute e al benessere, l'educazione al volontariato e alla cittadinanza attiva e solidale.

Il comma 4 dell'articolo 1 attribuisce a uno o più regolamenti, adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge n. 400 del 1988, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della legge al nostro esame, il compito di provvedere alla revisione della disciplina in materia di valutazione del comportamento delle studentesse e degli studenti, al fine di: ripristinare la cultura del rispetto; riaffermare l'autorevolezza dei docenti delle istituzioni scolastiche secondarie di primo e secondo grado nel sistema nazionale di istruzione e formazione; riformare, attraverso modifiche al regolamento, di cui allo statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 249 del 1998, l'istituto dell'allontanamento dalla scuola per un periodo non superiore a 15 giorni, prevedendo che, se l'allontanamento disposto ha una durata fino a 2 giorni compresi, lo studente debba essere coinvolto in attività di approfondimento sulle conseguenze dei comportamenti che hanno determinato il seguente provvedimento disciplinare, e che, se l'allontanamento disposto ha una durata superiore a 2 giorni, lo studente debba svolgere, eventualmente anche dopo il rientro in classe, attività di cittadinanza solidale.

Si prevede, inoltre, che l'attribuzione del voto di comportamento inferiore a sei decimi e la conseguente non ammissione alla classe successiva e all'esame di Stato avvengano anche a fronte di comportamenti che configurano mancanze disciplinari gravi e reiterate, anche con riferimento alle violazioni previste dal regolamento di istituto. Si prevede, quindi, che l'attribuzione del voto di comportamento inferiore a sei decimi, in fase di valutazione periodica, comporti il coinvolgimento in attività di approfondimento in materia di cittadinanza attiva. Si conferisce maggiore peso al voto di comportamento, in particolar modo in presenza di atti violenti o di aggressione.

L'articolo 2 del provvedimento in esame, composto da 13 commi, reca disposizioni in materia di sezioni a metodo didattico differenziato. Le modifiche apportate sono volte ad aggiornare la disciplina in materia di attivazione delle sezioni e delle classi funzionanti con il metodo Montessori, nell'ambito della scuola dell'infanzia e della scuola primaria. Si prevede che l'Opera nazionale Montessori continui a prestare la propria assistenza tecnica alle scuole dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione ove è praticato l'insegnamento con il metodo Montessori, secondo quanto previsto in apposita convenzione da stipulare tra il Ministero e l'Opera, e alle scuole paritarie a gestione pubblica e privata, secondo quanto previsto in apposite convenzioni da stipulare tra il gestore e l'Opera.

Il comma 2 dispone che, a partire dall'anno scolastico 2025-2026, le istituzioni scolastiche del primo ciclo di istruzione possono richiedere l'istituzione di classi di scuola secondaria di primo grado - per intenderci scuola media - a metodo Montessori, secondo i principi e i criteri metodologici già adottati nella sperimentazione nazionale triennale in corso di svolgimento, autorizzata a decorrere dall'anno scolastico 2021/2022 con il decreto ministeriale n. 237 del 2021. Il comma 3 reca le condizioni necessarie per l'attivazione delle classi di scuola secondaria di primo grado a metodo Montessori. Il comma 4 prevede che il dirigente scolastico, in sede di determinazione dell'organico di diritto, quantifichi le esigenze necessarie al funzionamento delle sezioni a metodo Montessori.

Ai sensi del comma 5, alle classi a metodo Montessori di scuola secondaria di primo grado sono assegnati docenti in possesso di uno specifico titolo di specializzazione in differenziazione didattica nel metodo Montessori per l'insegnamento nella scuola secondaria di primo grado, conseguito in esito a un corso da istituire con il decreto ministeriale attuativo. Al comma 10 abbiamo un passaggio importante, perché si prevede che il Ministero dell'Istruzione e del merito possa autorizzare lo svolgimento, presso università ed enti di formazione, di corsi annuali di differenziazione didattica a metodo Agazzi per le scuole dell'infanzia e a metodo Pizzigoni per le scuole primarie.

Il comma 12 prevede l'abrogazione di taluni articoli del testo unico di cui al regio decreto n. 577 del 1928, volti a disciplinare i corsi speciali di differenziazioni didattiche nelle scuole materne ed elementari.

Infine, l'articolo 3, composto di un solo comma, reca misure a tutela dell'autorevolezza e il decoro delle istituzioni e del personale scolastico e, nello specifico, prevede che, con la sentenza di condanna per i reati commessi in danno di un dirigente scolastico o di un membro del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico o ausiliario della scuola, a causa o nell'esercizio del suo ufficio o delle sue funzioni, è sempre ordinato, oltre all'eventuale risarcimento dei danni, il pagamento di una somma da 500 a 10.000 euro a titolo di riparazione pecuniaria, in favore dell'istituzione scolastica di appartenenza della persona offesa.

Quindi, signor Presidente, prima di cedere la parola ai colleghi per la discussione generale, in qualità di relatrice, ci tenevo a ribadire e a sottolineare quali sono i passaggi fondamentali e, soprattutto, la rilevanza di questo disegno di legge, che abbiamo sviscerato articolo per articolo, comma per comma, e che va, dal nostro punto di vista, ad apportare un contributo significativo nel sistema scolastico ed educativo italiano. Perché, tra i tanti obiettivi, si pone anche quello di andare a restituire dignità e autorevolezza ai docenti e, dall'altro lato, una maggiore responsabilità, quindi un peso maggiore nella responsabilità comportamentale degli studenti, i quali avranno la possibilità, d'ora in avanti, di comprendere anche l'entità dei propri comportamenti sbagliati, non più lontano e fuori dalla scuola, ma all'interno della scuola e grazie alla scuola stessa.

Ovviamente, in un percorso da portare avanti insieme alle famiglie per divulgare e diffondere quei valori che sono fondanti e che poi troviamo all'interno della nostra Costituzione. I giovani non sono dei vasi da riempire, sono delle fiaccole da accendere. Ed è proprio con questo spirito propositivo che noi abbiamo l'ambizione di andare a formare i giovani di oggi, i cittadini del domani e, quindi, il futuro della nostra Nazione.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la Sottosegretaria di Stato per l'Interno, deputata Wanda Ferro.

WANDA FERRO, Sottosegretaria di Stato per l'Interno. Grazie, signor Presidente. Questo disegno di legge di iniziativa governativa è stato esposto, credo, in modo molto chiaro e molto dettagliato rispetto a tutto ciò che vi è stato inserito. È un disegno di legge approvato con modificazioni dal Senato della Repubblica e prosegue con quell'obiettivo di ripristinare la cultura del rispetto dell'ambiente scolastico, l'autorevolezza del personale docente, modificando la disciplina della valutazione del comportamento degli alunni e delle alunne, che, in qualche modo, credo riguardi un po' tutti quanti noi rispetto alla sintesi che dovrebbe vedere nella scuola non soltanto l'aspetto didattico, importantissimo, ma soprattutto quello di costruire e formare le classi dirigenti, e non solo, anche formare e costruire la volontà di essere un cittadino consapevole e costruttivo.

A tal fine, si apportano delle modifiche, che sono state elencate nei vari commi.

Norme in materia di valutazione e, quindi, di certificazione delle competenze nel primo ciclo di esami di Stato, a norma dei vari articoli. Queste credo che siano disposizioni che, in qualche modo, possano vedere la collegialità dell'Aula del Parlamento, perché credo che sia stato, anche da parte della collega Paola Frassinetti, questo l'intento, attraverso il Ministro e il Ministero da loro rappresentati: di mettere in piedi un sistema scuola che possa riportare a quelle regole che servono in questo nostro tempo. Un tempo di grandi difficoltà, ma soprattutto anche di grande fragilità dei nostri giovani, che devono vedere l'impegno di uno Stato presente, di uno Stato che li affianca per diventare i cittadini italiani che tutti, ovviamente, auspichiamo. Quindi, credo che la sintesi sia stata fatta. Non entro nel merito di tutto ciò che è stato già detto e, ovviamente, confermo l'attenzione massima del Governo in toto rispetto a questo disegno di legge.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paolo Ciani. Ne ha facoltà.

PAOLO CIANI (PD-IDP). Quelle insufficienze, che tanti giovani hanno preso nel corso dei decenni, sono servite a spronarli a impegnarsi maggiormente. Se i giovani sono così fragili, non sarà forse perché è il modello educativo che ovatta e rifiuta la valutazione ad essere corresponsabile di tanta fragilità? La vita, purtroppo, non è mai priva di difficoltà, errori, frustrazioni. Chi vuole il bene dei nostri giovani deve insegnare loro a gestire quelle difficoltà, quegli errori e quelle frustrazioni; non a negarne l'esistenza. Gentile Presidente, onorevole Sottosegretaria, evidentemente - voglio rassicurare i colleghi e chi seguirà questo mio intervento da fuori - queste parole che ho appena pronunciato non sono le mie.

Sono le parole del Ministro Valditara, pubblicate, quindi scritte, non a rischio di fraintendimento, su un settimanale, in risposta ad un appello lanciato da pedagogisti, formatori, personaggi dello spettacolo e del mondo culturale contro l'eliminazione della valutazione formativa alla scuola primaria. Le parole del Ministro - voglio ricordare - sono rivolte e dirette a bambini che frequentano la scuola primaria e che, quindi, devono rassegnarsi, sembra, sin da bambini, al fatto che la vita è piena di difficoltà, che non vanno ovattati, ma buttati in mare aperto ad affrontare il fallimento.

Anni e anni di pedagogia buttati in un cestino per un Ministro che ha esordito il suo mandato istituzionale affermando il valore dell'umiliazione come fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione dell'identità.

Anticipo le osservazioni dei colleghi della maggioranza che so già ci accuseranno di essere portatori di una cultura lassista, post-sessantottina, per ricordare, uscendo dal macchiettismo in cui spesso ci troviamo costretti a muoverci quando affrontiamo questi temi, che l'educazione - badate bene all'uso delle parole: non solo l'istruzione, proprio l'educazione - è uno strumento troppo importante nello sviluppo della personalità in crescita per essere etichettati in modo così semplicistico, come si proverà a fare temo nel corso del dibattito che seguirà in quest'Aula, e in modo sbagliato e inadeguato, come questo provvedimento prova a fare.

Allora, dunque, ricordiamo un momento cosa introduce questo provvedimento, concentrato su due temi: voto in condotta e riforma della valutazione introdotta alla scuola primaria.

Il voto in condotta diventerà più influente. Viene ripristinato il voto in condotta in forma numerica alle scuole secondarie di primo grado, facendo marcia indietro rispetto alla riforma introdotta dalla Ministra Fedeli nel 2017. Il voto in condotta, in generale, per le scuole secondarie di secondo grado avrà un peso maggiore e condizionerà anche l'ammissione all'esame di Stato. Irrigidimento complessivo dei criteri per l'assegnazione di un 5 in condotta, andando a intaccare la legittima e necessaria autonomia delle istituzioni scolastiche e dei regolamenti di istituto.

Accanto a questo, in sede di esame al Senato è stata introdotta la revisione dei giudizi formativi relativi alla scuola primaria, introdotti nel 2020 con un grande impegno di investimento pedagogico compiuto da e con il mondo della scuola, sostituiti da giudizi sintetici.

Infine, si inserisce una nuova - direi ennesima - norma di diritto penale che, a fronte di sentenze di condanna per i reati commessi in danno di un dirigente scolastico o di un membro della comunità scolastica, prevede il pagamento, insieme al risarcimento del danno, di una somma a favore dell'istituzione scolastica a titolo di riparazione. Questo - sostenete - in nome di una maggiore tutela dell'autorevolezza del personale e delle istituzioni scolastiche; autorevolezza che, anche in questo caso, pensate di raggiungere con maggiori sanzioni e non con un processo che investa sulla dignità, sulla formazione, sulla retribuzione e sulla consapevolezza del corpo docente; peraltro, senza educare e coinvolgere, in un comune patto di corresponsabilità, tutti i componenti della comunità scolastica - e, quindi, anche studenti e famiglie - sul valore e la centralità del corpo docente.

C'è un motivo credo per cui fate questo; non è una scelta casuale. Lo fate perché non considerate la scuola né come un servizio pubblico funzionale alla rimozione degli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona, né come un luogo in cui si promuove lo sviluppo della cultura e la formazione della personalità ma, semplicemente, come un contesto lavorativo; un posto di lavoro - che, ovviamente è, ma è anche molto di più - a cui volete restituire serenità con gli strumenti previsti in questo provvedimento.

E come fate? Come operare? Attraverso le sanzioni, rendendo più rigido e burocratico l'intero sistema di irrogazione delle sanzioni e tralasciando il valore educativo e formativo che ogni sistema di valutazione di una personalità in formazione - come gli studenti sono - deve far proprio.

Voglio condividere con voi un dato. Quando questo provvedimento è arrivato in Commissione cultura alla Camera si è svolto un ciclo di audizioni che ha coinvolto sindacati, associazioni, pedagogisti e studenti: da ogni parte, anche da soggetti molto diversi tra loro, si è levata una riflessione comune sulla necessità di rivedere le sue previsioni e sulla sua scarsa adeguatezza.

Di fronte a un coro così unanime, l'auspicio sarebbe stato quello di aprire un confronto serio e ampio sul suo contenuto e di rivederne gli aspetti più critici, a cominciare dalla necessità di favorire un ampio e collettivo confronto con il mondo della scuola rispetto alla revisione delle disposizioni in materia di valutazione del comportamento di studenti e studentesse. Invece, nulla di tutto questo.

In Commissione, l'esame del provvedimento si è risolto, sostanzialmente, in una pratica da sbrigare e chiudere il prima possibile. Avete anche provato, nel luglio scorso, ad accelerare ulteriormente l'arrivo in Aula del provvedimento: perché, vuoi mettere poter piantare l'ennesima bandierina sul percorso di costruzione della nuova scuola modello “Ministro Valditara”?

Siamo riusciti a spostare in avanti di qualche settimana l'arrivo del provvedimento in quest'Aula, purtroppo, senza cambiare di molto il risultato finale, visto che il testo è stato blindato. Sono purtroppo convinto che, anche in quest'Aula, assisteremo alla messa in scena di una discussione ideologica e stereotipata che sbaglia, fondamentalmente, in alcuni assunti. Infatti, non fa alcuna differenza tra “autorevolezza” e “autorità”: la prima è fondamentale per il mondo della scuola e per i ragazzi, i quali hanno bisogno di figure adulte in grado di educarli (attenzione: educarli, non semplicemente “istruirli”), capaci di avere rispetto da parte degli studenti perché percepite dagli stessi come autorevoli e, quindi, capaci di manifestare pensieri forti, nonché in grado di insegnare.

Voi, invece, scegliete la via apparentemente più facile: quella dell'autorità, che parte da una sfiducia sostanziale nei confronti dei ragazzi e delle ragazze. Voglio fare un'affermazione forse forte: mi sembra che voi pensiate che gli studenti e le studentesse siano fondamentalmente cattivi e come tali vadano trattati e, quindi, puniti. Nessuno di noi, tuttavia, vuole nascondere che nella scuola possano esserci situazioni difficili e complesse; nessuno pensa che i ragazzi e le ragazze non abbiano difficoltà o non si rendano protagonisti di episodi di violenza, bullismo o di prevaricazione.

Inoltre, di fondo, avete sfiducia anche negli insegnanti e nella loro autonomia, se pensate di dover indicare per legge i contenuti puntuali dei provvedimenti disciplinari, gli effetti stessi. Come se gli insegnanti non fossero sufficientemente autorevoli e consapevoli della propria missione educativa da poterlo fare loro stessi. Nessuna intenzione di recupero ma, sostanzialmente, degli automatismi e, soprattutto, nessuna azione preventiva, ad esempio, sul disagio giovanile, sulla comunità educante e su quanti si disperdono nel loro percorso scolastico.

Presidente, faccio presente che in quest'Aula, durante questa legislatura, con provvedimento largamente condiviso, abbiamo approvato nuove norme sul bullismo e sul cyberbullismo: ecco, mi aspettavo che all'inizio di questo nuovo anno scolastico fossero recepite e implementate dalle scuole. E invece, purtroppo, ancora non abbiamo visto nulla.

Di fronte alle difficoltà educative, il compito di un educatore non è semplicemente quello di punire, come se il voto fosse una sanzione disciplinare da erogare in un ambiente di lavoro, ma quello di accompagnare e guidare i ragazzi, favorendone la consapevolezza e acquisendo così, nei fatti, l'autorevolezza nei loro confronti, e non semplicemente incutendo loro paura. Lo dicono e testimoniano i racconti dei tanti insegnanti ed educatori con cui ognuno di noi ha quotidianamente a che fare e con cui si confronta. Non basta un voto, un elaborato scritto per cambiare la condotta e la condizione di uno studente o di una studentessa. Niente di più semplice o facile. E invece, no: non basta un voto. E ricordarlo non è lassismo, ma è provare a dare della scuola una visione meno macchiettistica e ideologica di quella che, purtroppo, sembra vogliate trasmettere voi. Occorre provare a favorire un percorso di crescita degli studenti, a coinvolgere in questo percorso le famiglie, spesso altrettanto disorientate di fronte alla propria missione educativa, a stringere un patto insieme ed a promuovere un lavoro comune.

Guardate l'etimologia del verbo “valutare”: si richiama al concetto di “dare valore”. È una parola importante “dare valore”: è un'azione piena di significato. Era con questo spirito che, nel 2020, è stata introdotta alla scuola primaria la valutazione formativa e descrittiva che, con questo provvedimento, con un emendamento introdotto al Senato, andate ad eliminare, sostituendola con il giudizio sintetico.

È più semplice dire “buono”, “ottimo”, “sufficiente” - avete detto - così il bambino potrà capire come va a scuola. È la facilità a fare la differenza, non l'obiettivo di crescita ed educazione del bambino e della sua famiglia.

Se l'attività didattica è concepita solo come una interrogazione, una classificazione, questo va benissimo. Ma se a noi interessa il processo di cambiamento e crescita che il valutare porta con sé, se ci interessa il cambiamento e la crescita di quel bambino e di quella bambina, il percorso di cambiamento necessario, quello che è più facile non ci interessa.

Il voto descrittivo e la valutazione formativa - su cui voglio ringraziare la comunità scolastica per il modo in cui aveva partecipato, in cui si era messa in gioco e aveva seguito un processo di cambiamento - servivano a spiegare al bambino e alla bambina da dove erano partiti, dove erano arrivati e su cosa avrebbero dovuto concentrarsi maggiormente con i propri insegnanti, facendo un percorso insieme, insegnando loro che non sono un voto o un giudizio, ma sono un percorso, un processo educativo, perché stanno crescendo. La valutazione non è il capriccio di una forza politica lassista, signor Presidente, è una scienza, con degli esperti, con i pedagogisti che lavorano da tempo, con persone competenti. E, allora, perché non si è pensato di coinvolgere quelle persone competenti per fare un bilancio di quanto era partito dal 2020, in quella stagione del COVID-19, in cui la scuola e i suoi componenti hanno sofferto, in cui sono esplose criticità, disuguaglianze, problemi? Perché non si è fatto per comprendere gli effetti, per migliorare quel sistema, rendendolo anche di più immediata ed efficace comprensione? Sarebbe stato un percorso da adulti consapevoli che vogliono il bene della scuola e dei suoi componenti. Si è preferita una strada che appare più semplice, quella che vale il titolo sul giornale o l'apertura di un TG - anche se non è particolarmente difficile ottenerla, mi sembra -, ma è questo il compito della scuola? Per l'ennesima volta, si è sbattuta una porta in faccia ai docenti che si erano formati in questi anni, alle famiglie che hanno preso parte al processo. Perché questo non è importante per voi, evidentemente; meglio un emendamento che, con un tratto di penna, cancella e restaura il passato. È più semplice, come dice il Ministro, e chi non la pensa è un vetero-sessantottino, anche se siamo nati qualche anno dopo.

Nell'avviarmi alla conclusione, vorrei ricordare alcune cose. Qui nessuno di noi sottovaluta il tema della violenza, della violenza a scuola; la riteniamo grave e preoccupante sempre, ancora di più se il disagio si manifesta all'interno della comunità scolastica, perché va ad incidere sulla serenità di quella comunità. Ma siamo - siete - proprio voi a sottovalutarla, scegliendo la strada definita più semplice e facile, che non tiene conto dell'emergenza educativa che coinvolge il nostro Paese, che si manifesta anche a scuola. Non sempre la strada più semplice e facile è quella più efficace a risolvere i problemi.

Agli episodi di violenza che hanno coinvolto studenti, famiglie e docenti si è scelto di rispondere con la sanzione e la punizione, mentre l'obiettivo dovrebbe essere, a fianco di una sanzione, quello di sviluppare realmente - e non solo attraverso un compito scritto - una cittadinanza solidale, facendo crescere nei giovani il valore e il rispetto dell'altro, assegnando al voto una funzione formativa finalizzata al cambiamento, in nome del senso repubblicano e democratico di una scuola per tutti e tutte, a sostegno e beneficio anche di chi cresce e nasce in un ambiente difficile, di chi ha meno mezzi economici e culturali, di chi sta affrontando difficoltà, anche molto serie. Per fare questo, la scuola ha bisogno di risorse economiche e umane, ha bisogno di investire sulla figura sociale dell'insegnante e di coinvolgere l'intera comunità educante.

Vi racconto una storia interessante e utile a cui ho ripensato in questi giorni in cui si discute di cittadinanza. Un giorno, mi trovavo con un gruppo di nuovi cittadini - come mi piace definirli - e riflettevamo sull'uso della lingua e sulla conoscenza delle parole. Uno di questi ragazzi, mentre facevamo una specie di quiz, alla domanda: “la persona più importante della città?” - chi la poneva voleva portarlo a dire “il sindaco” - ha risposto: il maestro. È questa la figura sociale dell'insegnante che ci piace. Serve una scuola rinnovata e rinforzata, che ripensi il tempo scuola in un tempo lungo, che organizzi anche le attività pomeridiane dei ragazzi e delle ragazze, che promuova lo stare insieme e la relazione. Servirebbe decidere che questa è la priorità comune. Invece, il dibattito, tristemente, si concentra sull'utilità e facilità del voto numerico, come se in questo modo si rendesse più efficace il processo di maturazione e crescita degli studenti.

Si cambia lo statuto degli studenti e delle studentesse dimenticando, volutamente, di coinvolgere i suoi protagonisti, tappa essenziale e necessaria di ogni buona ed efficace riforma. Ma si risponde all'urgenza della cronaca e pazienza se, per farlo, realizziamo un sistema che rischia di lasciare indietro chi ha più difficoltà. Ma, se la scuola non si cura di tutti i soggetti e non sente come un'urgenza il rimedio delle disuguaglianze, i più fragili rafforzeranno il loro individualismo, preoccupandosi solo dei propri interessi. Invece si dovrebbe intervenire più e meglio sulle condizioni pedagogiche e strutturali del fare scuola, si dovrebbe valorizzare e potenziare il patto di corresponsabilità tra scuola e famiglia, rendendolo una elaborazione sempre più partecipata e collettiva per ricostruire il dialogo necessario tra scuola, studenti e genitori e rifondare la fiducia nella scuola.

Ma per fare tutto questo, dovremmo lasciare da parte la propaganda, lavorando per le generazioni di oggi e di domani, occorrerebbe uscire dalle scorciatoie e, perdonatemi, dalle banalità, dalle macchiette che parlano di veterocomunismo o che continuano a chiamare in causa Gramsci e la sua cultura.

Pochi giorni fa, Carlo Verdelli, in un editoriale sul Corriere della Sera, ricordava allarmato al Ministro che c'è un'intera generazione che, ormai, parla una lingua che gli adulti non riescono, se non con difficoltà, a decifrare e manifesta un disagio palpabile e crescente, senza nome, senza cure e senza sbocchi, che la scuola, da sola, non può e non riesce ad arginare questo male di vivere. Ma, se ci limitiamo a pensare di arginarlo con il richiamo retorico all'orgoglio di Patria o al successo come unica meta di crescita, facciamo finta di non vedere l'iceberg in mezzo al mare. Ecco perché c'è la necessità di una straordinaria alleanza educativa comune, che abbiamo la responsabilità di stringere e sostenere tutti insieme (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Roscani. Ne ha facoltà.

FABIO ROSCANI (FDI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, Sottosegretaria Ferro, il provvedimento oggi all'esame, in discussione sulle linee generali, come abbiamo detto più volte, mira, dal nostro punto di vista, a ripristinare la cultura del rispetto e l'autorevolezza dei docenti, assicurando un ambiente di lavoro sereno per il personale scolastico e un percorso formativo efficace per gli studenti e per le studentesse.

Volendo leggere questo provvedimento al di fuori di qualsiasi approccio ideologico per chi lavora all'interno delle nostre scuole, per le famiglie e per gli studenti, l'unico commento che si possa fare, di fronte a questo intento, è: finalmente. Finalmente si può iniziare a costruire un percorso che porti, appunto, a ripristinare quella cultura del rispetto che tutti auspichiamo e quella autorevolezza nella figura del docente che, in questi anni, per tanti motivi, è andata persa, e questo provvedimento va proprio in questa direzione.

Voglio ringraziare la relatrice, l'onorevole Grazia Di Maggio, per la sua puntuale relazione, che ha raccontato i punti fondamentali degli articoli di questo provvedimento. Sicuramente, come è già stato ricordato, in primo luogo, si modifica quel comma 1 del citato articolo 2 in materia di valutazione periodica e finale degli apprendimenti, prevedendo, ad esempio, che, nella scuola primaria (la cosiddetta ex scuola elementare), a decorrere dall'anno scolastico 2024-2025, la valutazione sia espressa con giudizi sintetici, correlati alla descrizione dei livelli di apprendimento raggiunti. Sicuramente giudizi più chiari, giudizi capaci, in qualche modo, di assicurare assoluta trasparenza da parte del docente e anche giudizi che siano in grado di far valutare meglio lo stato di apprendimento dell'alunno o dell'alunna da parte della famiglia e dello stesso alunno.

La valutazione degli apprendimenti nella scuola secondaria di primo grado (ossia dell'ex scuola media), rimane, invece, effettuata con i voti numerici in decimi.

In seconda istanza, in materia di valutazione del comportamento degli alunni, si prevede, in questo provvedimento, che, mentre nella scuola primaria essa resti espressa collegialmente dai docenti con un giudizio sintetico riportato nel documento di valutazione, nella scuola secondaria di primo grado essa sia, invece, espressa anch'essa in decimi.

Una valutazione del comportamento degli alunni della scuola secondaria di primo grado che, se inferiore a sei decimi, comporterà la non ammissione alla classe successiva o all'esame di Stato conclusivo di quel percorso di studi.

Sulla stessa filosofia, si va ad intervenire sulle scuole secondarie di secondo grado, dove si prevede che, nel caso di valutazione del comportamento pari a sei decimi, il consiglio di classe assegni lo svolgimento di un elaborato critico in materia di cittadinanza attiva e solidale, da trattare in sede di colloquio dell'esame di Stato. Qualora, invece, si avesse una valutazione inferiore a sei decimi, ciò comporterebbe la non ammissione alla classe successiva o la non ammissione all'esame di Stato.

Si interviene anche in materia di attribuzione del credito scolastico nel secondo ciclo di istruzione. Come sappiamo, attualmente si attribuisce fino a un massimo di 40 punti: 12 per il terzo anno, 13 per il quarto anno e 15 per il quinto anno. Con questo provvedimento, vogliamo premiare tutti quegli studenti che, nella loro valutazione di comportamento, ottengano nove o dieci decimi, per ottenere così il massimo dei crediti possibili e disponibili. Tutto questo per costruire, all'interno di questo provvedimento, una cornice volta a consentire una ritrovata importanza della valutazione del comportamento degli studenti e, quindi, di conseguenza, la possibilità di stare all'interno dell'istituto scolastico con maggiore rispetto non soltanto degli altri studenti e dei propri colleghi di classe, ma anche dei professori, del personale amministrativo, del personale tecnico e di tutto il personale della scuola.

È un provvedimento che, inoltre, punta a riformare l'istituto dell'allontanamento dalla scuola per un periodo non superiore a 15 giorni: infatti, se l'allontanamento disposto ha una durata fino a 2 giorni compresi, lo studente dovrà essere coinvolto in attività di approfondimento sulle conseguenze dei comportamenti, che hanno determinato il provvedimento disciplinare; se l'allontanamento disposto ha una durata superiore ai 2 giorni, lo studente dovrà svolgere, eventualmente anche dopo il suo rientro in classe, attività di cittadinanza solidale presso strutture convenzionate con le istituzioni scolastiche. Di fronte a determinati episodi di mal comportamento, di violenza e di bullismo, crediamo ci sia bisogno di più scuola, non di meno scuola, e questo è il motivo per cui inseriamo questa riforma dell'istituto dell'allontanamento scolastico.

Le modifiche implementate sono volte, inoltre, ad apportare aggiornamenti sulla disciplina in materia di attivazione delle sezioni e delle classi funzionanti con il metodo Montessori, nell'ambito della scuola dell'infanzia e della scuola primaria. La modifica principale è volta ad eliminare ogni riferimento al fatto che il funzionamento con il metodo Montessori delle classi e delle sezioni, già gestite dall'Opera nazionale e poi statizzate, continui solo in via sperimentale: le citate classi e sezioni vengono, quindi, rese pienamente operative e a regime.

Si prevede, inoltre, che l'Opera nazionale Montessori continui a prestare la propria assistenza tecnica alle scuole dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione, ove è praticato l'insegnamento con il metodo Montessori, secondo quanto previsto in apposita convenzione da stipulare tra il Ministero, l'Opera e le scuole paritarie a gestione pubblica e privata, come previsto in apposite convenzioni da stipulare tra il gestore e l'Opera.

Nell'ultimo articolo di questo provvedimento, inoltre, sono inserite misure a tutela dell'autorevolezza e del decoro delle istituzioni e del personale scolastico. Nello specifico, abbiamo previsto che, con una sentenza di condanna per i reati commessi in danno di un dirigente scolastico, di un membro del personale docente, educativo, amministrativo, tecnico o ausiliario della scuola, a causa o nell'esercizio del suo ufficio o delle sue funzioni, è sempre ordinato, oltre all'eventuale risarcimento dei danni, il pagamento di una somma da euro 500 a euro 10.000 a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell'istituzione scolastica di appartenenza della persona offesa. L'importo della somma di cui al primo periodo è determinato dal giudice.

Questo provvedimento racconta di un modo con cui abbiamo voluto gestire gli episodi di cronaca, che si sono susseguiti negli ultimi anni ed hanno determinato un preoccupante aumento della violenza e del bullismo all'interno delle nostre scuole. Sono misure che vengono viste con grande favore dai cittadini italiani, dalle famiglie, dallo stesso personale scolastico e dai docenti. In base a un sondaggio dell'Istituto Quorum/Youtrend per Sky TG 24, il 76 per cento degli italiani, fra famiglie e docenti, ha visto con favore le misure contenute all'interno di questo provvedimento, grazie al lavoro del Ministro Valditara; ciò significa che effettivamente esiste un problema nelle nostre scuole, che vogliamo affrontare e risolvere non con un intento punitivo, come è stato raccontato, ma con il solo ed esclusivo intento di formare i nostri giovani ed educare le nuove generazioni, affinché possano essere cittadini più consapevoli e capaci di agire nel rispetto delle regole e degli altri. Questa è la filosofia che ha portato avanti la nostra azione politica, anche in questo senso.

Gli studenti, durante il periodo della loro vita che va dai 5 ai 19 anni, passano la maggior parte del proprio tempo all'interno di un istituto scolastico, accanto ad altri 700-800-900 coetanei: è inevitabile che, all'interno di quell'istituto, si inizi a costruire la formazione di se stessi, il proprio modo di essere cittadini, l'interpretazione del rapporto con gli altri, il modo di relazionarsi e di interpretare il proprio essere cittadini al di fuori dell'istituto scolastico.

Di fronte a comportamenti, come quelli che sono stati citati e che abbiamo visto negli ultimi anni, che hanno visto un acuirsi di episodi di violenza all'interno delle scuole, che cittadino potrà pensare di essere quel ragazzo che, di fronte a un comportamento tanto grave, non viene minimamente stigmatizzato o redarguito dall'istituto che lo sta formando ad essere un cittadino? Che idea si faranno dello Stato e delle istituzioni gli altri studenti che, invece, si comportano, seguendo le regole della convivenza civile, se, di fronte ad uno studente che si macchia di episodi così tanto spiacevoli e gravi, quell'istituzione volta le spalle, facendo finta che nulla sia accaduto?

Crediamo, quindi, che non bastino soltanto i buoni voti a scuola, ma che serva anche un comportamento rispettoso verso professori e compagni. È per questo che il Consiglio dei Ministri, il Governo e la maggioranza hanno voluto approvare questo disegno di legge.

La scuola deve tornare ad essere un presidio imprescindibile di educazione e rispetto, perché, troppo spesso, è stata teatro di episodi spiacevoli; l'istituzione scolastica deve saperli riconoscere e, se necessario, nell'interesse dell'alunno e del suo futuro provare a invertire la rotta di quei comportamenti. Credo che, se si aderisce a questa concezione della scuola, come luogo deputato alla formazione degli italiani di domani, non solo su un fronte nozionistico, non si possa non essere d'accordo con questi provvedimenti di buon senso. La preparazione, l'impegno e il talento devono poter determinare il destino di ognuno di noi, ma corredati da un assunto in più: che ogni azione deve comportare una relativa e conseguente assunzione delle proprie responsabilità (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Deputata Piccolotti, prego.

ELISABETTA PICCOLOTTI (AVS). Grazie, Presidente. Io preferirei essere definita deputata, perché sono una donna. Lei ha detto deputato, so che le è sfuggito, però lo volevo solamente sottolineare.

PRESIDENTE. Ero convinto di aver detto “deputata”, le chiedo scusa. Mi perdoni.

ELISABETTA PICCOLOTTI (AVS). Lo so, immaginavo, grazie mille. Ho ascoltato con molta attenzione i colleghi e la Sottosegretaria descrivere questo provvedimento e devo dire di essere stupita, perché mi aspettavo di trovare nei loro interventi alcuni riferimenti ad un'impostazione pedagogica, a studi, ad approfondimenti.

Invece, nei loro interventi ho sentito tanta retorica conservatrice, tante volte ripetere pochi concetti e poche parole e, assolutamente, un vuoto rispetto alla funzione della scuola, dell'educazione e della formazione e al tanto dibattito, anche accademico, che c'è stato su come rendere questa grande sfida, che è quella di educare a diventare cittadini consapevoli, una sfida sempre più vincente, sempre più entusiasmante e sempre più efficace dal punto di vista dei risultati.

Dico così, perché, in tutti questi mesi, io non ho letto una sola intervista di un solo pedagogista che spiegasse che il ritorno dei giudizi sintetici e l'inasprimento delle norme che regolano il voto in condotta potesse provocare qualche miglioramento nei rapporti fra gli studenti, la comunità educante e il mondo scolastico. Non c'è stata una sola intervista, perché di fatto - questo lo affermo io - si tratta semplicemente e tout court del ritorno a un modello di scuola vecchio, superato, e che tutti avevano, negli ultimi decenni, individuato come parte del problema e non come parte della soluzione.

Allora, fa un po' impressione che questo Paese nel 2024 debba avere come Ministro il Ministro Valditara, che in ogni sua intervista dichiara, di fatto, la propria ossessione per il Sessantotto, cioè per eventi politici e fatti, anche culturali e civili, che si sono svolti quasi sessant'anni fa e che, secondo lui, sono di fatto la ragione della fragilità dei ragazzi di oggi, la ragione delle difficoltà che incontra l'istituzione scolastica e, infine, anche la ragione, più o meno, di ogni male. Questo perché è talmente alta la frequenza con cui cita il Sessantotto che viene da percepire, da comprendere, che il Ministro pensi che qualsiasi stortura della società attuale sia dovuta a quegli anni di ribellione che i giovani di allora - ormai non sono più giovani, da tanto tempo - misero in atto contro istituzioni scolastiche e istituzioni, più in generale, civili, che avevano sì tante regole, ma avevano tante regole incomprensibili, autoritarie e assolutamente inutili dal punto di vista della crescita delle persone. Io dico che, per fortuna, quelle regole sono state abbattute e penso che oggi dovremmo essere tutti in condizione, sessant'anni dopo, di fare, invece, una riflessione che ci porti a comprendere non come si può tornare indietro ad annullare sessant'anni di storia, ma come si possono, invece, aiutare dei ragazzi che oggi manifestano tantissime difficoltà e tantissime fragilità.

Lo dico a partire dal fatto che l'ordine degli psicologi, ma anche tantissimi insegnanti, ormai almeno dalla pandemia, ci segnalano che tra le giovani generazioni c'è una vera e propria epidemia di problemi di salute mentale. Sia l'ordine degli psicologi sia i pedagogisti sia chi nelle università approfondisce questi temi, tutti segnalano che questa ondata di difficoltà di salute mentale non è legata all'assenza di regole che si respira nella società, ma, al contrario, a un inasprimento della logica competitiva, a un mondo di adulti che vuole questi ragazzi sempre giudicati, sempre esposti al giudizio - che sia il giudizio degli insegnanti, che sia il giudizio della famiglia, che sia il giudizio del datore di lavoro, che sia il giudizio dei compagni o il giudizio, banalmente, del pubblico sui social - e li vuole e li pretende sempre vincenti e performanti. Allora, di fronte a una società fatta così, i ragazzi vanno in crisi, sono stressati, hanno elementi di disagio sempre più profondi e non si sentono accolti per quel che sono e per quel che valgono.

Naturalmente, di fronte a un quadro così, ci saremmo aspettati che dal Ministero venissero risposte di sostanza. Ho sentito, prima, il collega dire: noi vogliamo che quando un ragazzo manifesta comportamenti violenti o comportamenti inappropriati la risposta non sia meno scuola, ma sia più scuola. È una frase con la quale potrei anche concordare, peccato che rispetto a questa frase non ci sia, nel provvedimento che andiamo a discutere, alcun orientamento concreto. Questo perché non c'è più scuola, nel senso che rimangono le sospensioni e - come è ovvio - le sospensioni sono l'esclusione dal percorso scolastico, e non c'è più scuola nemmeno nel senso del potenziamento dell'orario scolastico. In questo provvedimento e in nessun altro di questo Governo, c'è, ad esempio, l'istituzione del tempo pieno e del tempo prolungato in tutti gli istituti di scuola primaria e scuola secondaria di primo grado e non ci sono nemmeno risorse per l'apertura delle scuole in orario pomeridiano, con l'assunzione anche di un numero maggiore di docenti che potrebbero servire sia a fare attività di compresenza - quindi più scuola al mattino - sia a tenere aperta la scuola il pomeriggio, soprattutto in quei territori caratterizzati da maggiore difficoltà socio-economica e anche da un numero più alto di ragazzi che abbandonano la scuola. Io non mi stancherò mai di dirlo, in quest'Aula: ci sono città, come, ad esempio, Catania, dove il 25 per cento dei ragazzi abbandona la scuola prima della conclusione dell'obbligo. Il 25 per cento significa uno su quattro. Di fronte a questo problema, che è esistenziale, generazionale, economico e civile, dal Governo non c'è alcuna risposta. Dal Governo arriva l'idea, davvero misera, che sia sufficiente mettere il 6 in condotta e minacciare la bocciatura o che sia sufficiente tornare al voto da 1 a 10 e, quindi, a un giudizio più stringente per sistemare le cose. Peccato che non sarà così, peccato che questo metodo non ha mai funzionato nella storia della scuola, peccato che - come dice Corsini, un professore di pedagogia che si è molto speso in questi mesi, rilasciando interviste sui giornali - questo insieme di retorica conservatrice pare essere fondata sull'idea di dare di più a chi è già avvantaggiato e di dare di meno a chi, invece, ha dei contesti più difficili da affrontare, a partire dal contesto familiare.

Allora, se avanzate una proposta di riforma come questa, lo fate a prescindere dall'opinione dei pedagogisti. Fate le audizioni nelle Commissioni e tutti i sindacati, compresa la CISL, vengono a dire che qui non c'è un'idea di scuola, c'è un'idea di deterioramento dei percorsi di formazione dei ragazzi. Tutti gli operatori dicono la stessa cosa, poi, magicamente, i colleghi di Fratelli d'Italia si presentano in Aula e dicono: il Paese, di fronte a questo provvedimento, ha pronunciato la parola “finalmente”. In tutta franchezza, noi non abbiamo sentito alcuno pronunciare la parola “finalmente” e pensiamo che questo provvedimento non solo sia un errore, ma sia anche un elemento di destabilizzazione nella scuola. Accanto a me ho il collega Franco Mari, che ha insegnato per oltre quarant'anni, e, ridendo, prima, mi ha detto: sai, Betta, io non so, in questi quarant'anni, quante volte è cambiata la modalità di valutazione da parte degli insegnanti, non me lo ricordo, perché cambia continuamente e perché ogni Governo, invece di pensare a riforme strutturali della scuola, cerca di lasciare il segno semplicemente intervenendo su queste cose, senza dare una linea, senza avere una visione.

Fa sorridere che il Ministro dica che si cambia il sistema di valutazione riportando alla valutazione in decimi e ai giudizi sintetici alla primaria perché così c'è maggiore trasparenza e chiarezza. Fa sorridere, perché sono mamma di un bambino di 11 anni, appena uscito dalla scuola primaria, e non ho capito che cosa ci fosse di poco chiaro nel giudizio descrittivo, che cosa ci fosse di poco chiaro, per esempio, nel definire un bambino di livello “avanzato”. E anzi, dirò di più, ho sempre pensato che il giudizio descrittivo desse indicazioni più chiare alle famiglie su quali fossero i punti di debolezza della formazione del proprio figlio, quali fossero i punti su cui insistere e su cui fare potenziamento.

Il giudizio descrittivo aiuta la famiglia a capire qual è il percorso che bisogna fare per potenziare le competenze e le capacità del bambino; il giudizio sintetico, in tutta franchezza, così come il giudizio da 1 a 10, è un'etichetta che si attacca al grembiulino o alla divisa del ragazzo, ma che non dice nulla rispetto a quali siano i percorsi per uscire da un elemento di insufficienza o di difficoltà. Quindi è chiaro che il Governo sta raccontando al Paese delle bugie, e perché racconta delle bugie?

Le racconta perché la verità è che questo provvedimento anticipa altri e più gravi provvedimenti del Governo contro i quali si teme anche un elemento di mobilitazione nelle scuole. È di questi giorni, anzi, della settimana scorsa, la notizia che la Lega ha chiesto l'avvio dell'iter, l'incardinamento in Commissione di un progetto di legge che taglierebbe un anno di scuola in tutti gli istituti secondari di secondo grado.

Altro che più scuola, qui c'è proprio il progetto di fare meno scuola, e, collega, altro che i ragazzi non sono otri da riempire, ma sono fiamme da accendere. Sono otri da riempire eccome, perché, siccome si sostiene che, pur tagliando un anno, si daranno ai ragazzi le stesse competenze, le stesse nozioni e gli stessi programmi, vi invito a uscire da qui e a chiedere a un insegnante qualsiasi se riesce a fare il programma che deve fare oggi nei 5 anni previsti, se può riuscire a farlo in 4 anni e se quel programma può essere recepito allo stesso livello e con la stessa complessità in un tempo così breve.

Vi diranno tutti di no, vi diranno tutti di no. Ho i social pieni di insegnanti che dicono: abbiamo un problema, i programmi sono troppo lunghi, che cosa succede se ci tagliano un anno di scuola? Che faremo di meno, faremo di meno in termini di competenze e faranno di meno anche i ragazzi in termini di maturazione, perché la scuola non è solo un insieme di nozioni che viene trasmesso, ma è e deve essere un percorso di crescita civile e personale, e voi questo percorso lo volete più breve, lo volete più disciplinato, lo volete più subalterno a elementi di autorità, perché questo è il disegno che serve a rendere i lavoratori precari - che, poi, volete allestire per l'intero Paese - maggiormente adatti alle logiche dell'impresa.

Come dicevo prima, maggiormente adatti alle logiche dell'impresa e anche meno attrezzati dal punto di vista dello spirito critico. Già l'anno scorso noi abbiamo assistito a una serie di bocciature, sospensioni e provvedimenti disciplinari contro i ragazzi che nelle scuole occupavano, autogestivano e manifestavano. Voglio ricordare che c'è stato un ragazzo, in Emilia-Romagna, che è stato sospeso per avere rilasciato un'intervista a un giornale in cui criticava la scuola che frequentava. È stato sospeso - poi, per fortuna, quel provvedimento è stato annullato - solo per avere criticato il preside della scuola su un giornale.

Allora, siccome l'anno scorso è andata così e questo provvedimento non era ancora in vigore, non ci sfugge quale sia la ratio delle norme che prevedete in questo testo. La ratio è impedire che ci siano delle mobilitazioni, minacciare i ragazzi che organizzano le mobilitazioni, intimidire i ragazzi che organizzano manifestazioni di protesta.

Questo è quello che volete fare, e lo volete fare perché, siccome state mettendo in campo una riforma della scuola a pezzi, che piano piano, pezzo dopo pezzo, provvedimento dopo provvedimento, disegna persino una riduzione delle risorse - perché tagliare un anno di scuola, sempre che non ci si voglia prendere in giro, è chiaramente tagliare anche un pezzo dell'investimento nell'istruzione che fa lo Stato - vi preparate, anzi, vi siete preparati a impedire che dalla scuola nasca un movimento di opposizione sociale forte, un movimento che ha rivendicazioni di natura diversa.

Ora, queste rivendicazioni - in parte le ho descritte prima - sarebbero necessarie, sarebbero provvedimenti necessari per qualsiasi Governo davvero interessato a combattere le diseguaglianze che disegnano un mondo per cui chi nasce in una famiglia povera, in difficoltà, deve rimanere dentro un contesto di povertà relativa e chi, invece, nasce dentro una famiglia attrezzata per costruire la classe dirigente deve rimanere dentro il percorso che serve a diventare classi dirigenti. In questo senso va la riforma del tecnico professionale che avete approvato, in questo senso vanno tante delle misure che state mettendo in campo. Perché tagliare di un anno la scuola a tutti?

Perché così si facilitano quelli che vogliono mandare i figli all'estero, perché in alcuni Paesi europei, per la verità soltanto in 13 su 27, e in alcune università americane si entra un anno prima, quindi bisogna fare una riforma che guarda a quelli, non una riforma che guarda ai ragazzi più in difficoltà, che hanno bisogno di maggiore tempo scuola. Come sempre, favorite quelli che sono già in vantaggio, alla faccia del merito, anzi, a conferma della definizione che avete dato al Ministero, perché questa del merito - e ho chiuso - è davvero una truffa, come si vede da questi provvedimenti, perché merito non è valutare facendo finta che tutti arrivino a scuola dalla stessa situazione di partenza, ma merito è valutare l'impegno, la costanza, la fatica, il percorso di crescita di ognuno, a prescindere dal livello parificato a cui si arriva, ma valutando la complessità della persona che si forma e che è dentro quei volti, quelle facce e quei bambini.

Come diceva Lorenzoni, che è un grande maestro e che ha uno dei più importanti centri di aggiornamento degli insegnanti proprio in Umbria, a Giove, la regione dove vivo, la scuola dovrebbe essere il luogo della lentezza, perché dovrebbe essere il luogo dove si scopre il mondo che ci circonda, e la scuola dovrebbe essere aperta alla natura, alla società, alla differenza, alla capacità di comprendere l'altro. Ecco, qui, oggi, noi abbiamo sentito un continuo ripetersi della parola “rispetto”, che ha del surreale, perché, sì, noi vorremmo tanto che a scuola si insegnasse ai nostri ragazzi ad avere rispetto degli altri e delle altre, lo vorremmo tantissimo, perché per noi il rispetto è il fondamento di una società civile, inclusiva e capace di combattere le diseguaglianze.

Ma voi avete, in questi anni, invece, dimostrato di voler fare il contrario. Invocate il rispetto proprio nei giorni in cui viene mandato a giudizio un Ministro che non ha avuto rispetto delle vite e delle condizioni di difficoltà di altre persone solo perché non avevano la cittadinanza italiana o perché avevano la pelle nera. Invocate il rispetto, ma non avete alcun rispetto delle norme dello Stato e lasciate che Ministri che probabilmente hanno truffato lo Stato, hanno mancato di rispetto ai lavoratori, non pagandogli il TFR, o hanno avuto tante altre mancanze, siedano sugli scranni.

Parlate di rispetto, ma ogni giorno dobbiamo ascoltare parole di assoluta violenza contro ogni diversità, contro ogni difficoltà, contro ogni persona non conforme al modello di persona che voi giudicate accettabile. Allora qui non c'è alcun rispetto che state costruendo, voi state costruendo una società irrispettosa, e lo volete sancire anche nella modalità con cui alcuni verranno premiati e altri verranno lasciati a se stessi.

A questo servono questi vostri voti, a questo servono queste vostre norme e noi ci ribelleremo sempre. Infatti, la scuola, probabilmente, è l'unico luogo rimasto, in questo Paese, in cui ancora - per fortuna - si è tutti e tutte uguali, a prescindere dal reddito, a prescindere dalla cultura, a prescindere dal colore della pelle. Non è più così negli ospedali, non è più così nei luoghi di lavoro, non è più così, sostanzialmente, in alcun posto. Noi vogliamo che la scuola riprenda quel cammino che insegna a tutti che abbiamo pari diritti e che abbiamo pari doveri. Infatti, quel cammino è l'unico fondamento possibile per un'Italia migliore domani e noi non ci arrendiamo a questo declino e a questa barbarie (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Verdi e Sinistra e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Caso. Ne ha facoltà.

ANTONIO CASO (M5S). Grazie, Presidente. Prima di entrare nel dettaglio di questo ennesimo, inutile e dannoso provvedimento, made in Valditara, è necessario, secondo me, inquadrarlo in un contesto più ampio. Da un lato, è importante ricostruire, brevemente, il caos in cui si è ritrovato il mondo della scuola all'avvio del nuovo anno scolastico: problemi noti che si sono perpetrati negli anni. Sia chiaro: abbiamo piena consapevolezza della difficoltà del mondo della scuola, ma è altrettanto evidente che l'azione del Ministro Valditara non abbia fatto null'altro che peggiorare queste situazioni. Ciò a dimostrazione che il Ministro dell'Istruzione si è preoccupato, principalmente, di piazzare queste bandierine ideologiche anziché affrontare i veri problemi della scuola. Dall'altro lato, poi, è significativo collegare questo provvedimento ad altri per evidenziare che l'azione e l'indirizzo di questo Governo vanno verso la definizione di un'idea malsana della società, basata su intolleranza e rigore, la limitazione del dissenso, verso un modello educativo che mira ad addestrare gli studenti (sono state utilizzate proprio queste parole nei provvedimenti); quindi, un modello educativo che mira ad addestrare gli studenti anziché alimentare un pensiero critico.

Partiamo, allora, proprio dal caos in cui si è risvegliato il mondo scolastico alla ripresa dopo la pausa estiva. Infatti, mentre siamo qui a parlare di questo disegno di legge che, inutilmente, anzi dannosamente, va a modificare il sistema di valutazione del comportamento degli studenti, intanto tutti i vari disastri, portati avanti dal Ministro Valditara, stanno venendo a galla, stanno venendo allo scoperto; tutti problemi che, a tempo debito, sia chiaro, durante quest'ultimo anno, ma anche prima, abbiamo denunciato a più riprese al Ministro Valditara che, invece, ci ha sempre detto che andava tutto bene, era tutto a posto. Tuttavia, ora, i nodi sono venuti al pettine e ci troviamo, giustamente, le caselle e-mail, così come anche i social, inondati di proteste, richieste d'aiuto da tante categorie del mondo della scuola che il Ministro Valditara è riuscito a scontentare proprio tutte.

Il primo fallimento è quello legato al reclutamento dei docenti, alla disastrosa gestione dei concorsi e dei percorsi abilitanti. I numerosi ritardi e le scellerate scelte di Valditara hanno portato a situazioni caotiche, a disparità di trattamento ma, soprattutto, a un inizio di anno scolastico con un record di precari. Secondo il target iniziale del PNRR, il Ministero avrebbe dovuto assumere 70.000 docenti entro dicembre 2024, con un nuovo concorso. Invece, il Ministro Valditara dapprima ha rivisto questo target, spalmando queste 70.000 assunzioni in tre concorsi diversi da tenersi poi fino al 2026, ma, soprattutto, ha accumulato ritardi abnormi. Infatti, ci troviamo che le procedure anche del primo di questi concorsi non sono ancora terminate. Sapevamo che sarebbe accaduto, l'avevamo denunciato mesi fa anche con un question time in quest'Aula, ma Valditara fece orecchie da mercante: è tutto a posto e, invece, eccoci qui. Mentre il primo di questi concorsi ora è ancora in atto, è ancora in corso, a brevissimo, in autunno, dovrebbe essere bandito anche il secondo. E intanto, ora, dal primo concorso, stanno venendo fuori migliaia di idonei non vincitori.

I posti, infatti, sono spesso pochissimi e, quindi, persone che hanno anche superato lo scritto e l'orale, anche con voti altissimi, che arrivano al 100, si trovano ora con un pugno di mosche in mano. Abbiamo migliaia di aspiranti docenti che si troveranno, quindi, dopo aver superato ora queste prove, a ripetere tutto da capo, a strettissimo giro, a pochi mesi di distanza. Per molti significa - ricordiamolo - prendere un altro volo, prendere un altro treno, prendere un altro albergo, quindi, sostenere nuovamente dei costi, ripetere tutto e trovarsi, con molta probabilità, di nuovo al punto di partenza. Inoltre, a tutto questo, dobbiamo aggiungere anche il caos dei percorsi abilitanti che sono spacchettati in percorsi da 30, 36, 60 crediti; percorsi - ricordiamolo - costosissimi: tra i 2.000 e i 2.500 euro che sono diventati e diventano un impedimento per molti; costi che abbiamo e stiamo continuando a chiedere di rimodulare, magari parametrandoli anche all'ISEE. Ma anche l'avvio del primo ciclo di questi percorsi abilitanti è stato caratterizzato da enormi ritardi che, poi, hanno messo in difficoltà gli atenei e hanno favorito, di gran lunga, le università telematiche, i cui corsi, tra l'altro, hanno visto ultimamente numerose segnalazioni di irregolarità. A tal proposito, stiamo ancora aspettando una risposta alla nostra interrogazione che chiedeva proprio a Valditara e a Bernini lumi in merito.

Inoltre, ritardi e confusione dei percorsi abilitanti hanno creato, ovviamente, problemi anche all'apertura delle GPS, le graduatorie provinciali per le supplenze, gettando nel caos migliaia di docenti costretti a subire disparità di trattamento e discriminazioni. In tutto questo, poi, ci sono gli idonei dei concorsi precedenti, come quelli del 2020, che attendono di sapere che fine debbano fare.

Insomma, Presidente, nel nostro Paese l'iter per diventare docenti è ormai paragonabile alla partecipazione agli Hunger Games: una cosa a dir poco impossibile. Ovviamente, i problemi generati da Valditara non finiscono qui, la lista è molto lunga. Dovremmo, infatti, parlare anche della vergognosa gestione dei titoli e delle certificazioni estere, in particolar modo per quanto riguarda il sostegno; dei nuovi percorsi avviati tramite l'INDIRE; dei vari escamotage che produrranno e stanno già producendo nuove discriminazioni tra docenti che si troveranno ad avere lo stesso titolo, ma avranno seguito percorsi completamente differenti che, quindi, daranno loro una preparazione totalmente diversa.

Ma al peggio non c'è mai fine perché, oltre al reclutamento dei docenti, dovremmo parlare anche dell'incapacità del Ministro, dimostrata nella pessima gestione del concorso dei dirigenti scolastici. Grazie all'azione di questa maggioranza, i partecipanti al concorso ordinario si stanno vedendo superati dai colleghi del corso-concorso straordinario. Quindi, anche quelli che avevano sostenuto la prova e non l'avevano superata, che hanno presentato ricorso, ora improvvisamente, con vari escamotage, si trovano davanti a chi aveva e sta facendo invece il concorso ordinario.

Così come non possiamo assolutamente dimenticare - l'abbiamo ribadito fino alla fine in quest'Aula - le assurdità che hanno dovuto subire i lavoratori dell'organico aggiuntivo ATA: si è andati avanti di proroga in proroga, per periodi di tempo limitati, dimenticandosi, a volte, anche di intervenire, mortificando terribilmente la dignità di questi lavoratori che ricordo essere fondamentali per il buon funzionamento delle nostre scuole.

La lista è lunga e potrebbe continuare ancora per molto. In effetti, non per nulla, nel mondo della scuola il Ministro si è guadagnato il soprannome di “Valdisastro”. In tutto questo, quindi, mentre si gettava il mondo scolastico in un caos senza precedenti, il Ministro Valditara e il Governo Meloni si preoccupavano di tirare fuori inutili e dannosi provvedimenti per piazzare le loro bandierine ideologiche, un po' come questo provvedimento. Tuttavia, tra i vari, come non possiamo ricordare il disastroso flop del liceo del made in Italy, attivato in fretta e furia, tanto in pompa magna quanto in modo raffazzonato. Infatti, ricordiamolo, non si è neanche definita l'intera offerta formativa, ma si era deciso cosa fare solo nel primo biennio; poi non si sapeva cosa accadeva negli altri tre anni. Quindi, di fatto poi, questo nuovo liceo del made in Italy è stato bocciato dalle famiglie. Quasi nessuno si è iscritto: solo 375 iscrizioni in tutta Italia. Senza poi considerare la questione dello stop che era arrivato dal Consiglio di Stato, visto che mancavano diverse cose nelle procedure.

Insomma, tra le tante inutili bandierine ideologiche, che - ripeto - si è impegnato a piazzare Valditara, possiamo poi annoverare anche le nuove linee guida sull'educazione civica, una sorta di manifesto identitario, di una scuola che addestra al significato e al valore della Patria secondo una logica identitaria, nazionalistica e individualistica; il contrario di una scuola intesa come una comunità che educa. Anche queste sono state bocciate interamente dal Consiglio superiore della pubblica istruzione che le trova confusionarie e, soprattutto, non necessarie.

Ricordiamo anche la pericolosissima riforma degli istituti tecnico-professionali, la cosiddetta filiera formativa, che in quest'Aula abbiamo provato a contrastare in tutti i modi. Una riforma che mira a creare una subalternità totale della scuola pubblica al mondo delle imprese, che riduce gli anni scolastici e trasforma le scuole in corsi di avviamento al lavoro che, anziché creare i consapevoli cittadini del futuro, mira a formare semplicemente una manodopera a basso costo.

A chiudere la lista dei provvedimenti di cui assolutamente non avevamo bisogno c'è poi questo che ci apprestiamo a trattare ora in quest'Aula: una revisione della disciplina in materia di valutazione del comportamento degli studenti, un provvedimento che, anziché andare avanti, fa diversi passi indietro rispetto a quanto già era stato fatto finora.

Come tutti i provvedimenti sin qui deliberati dal Ministro Valditara, è fortemente sbagliato anche questo, carico di concetti anacronistici e legato ad un passato che non esiste più. Il mondo è andato avanti e dovrebbe forse farlo anche il Ministro Valditara. Questo disegno di legge, infatti, da un lato, va ad eliminare il meccanismo dei giudizi descrittivi, facendo dei passi indietro e tornando a quello dei giudizi sintetici, dall'altro, interviene sul voto in condotta e, in generale, sulla valutazione del comportamento delle studentesse e degli studenti, portando all'interno della scuola un'impostazione esclusivamente punitiva e sanzionatoria.

Partiamo dal passo indietro fatto sui giudizi. Questo provvedimento modifica quanto di buono fatto nel Governo “Conte 2” con l'introduzione dei giudizi descrittivi per la scuola primaria, che puntava a tutelare, almeno per i più piccoli (parliamo di bambini e bambine), quell'idea di comunità educante e di scuola inclusiva in cui nessuno resta indietro, nella quale ci identifichiamo e a cui ci piacerebbe tutti potessero rispecchiarsi e riconoscersi. Questo non lo diciamo solo noi: l'hanno detto chiaramente tutte le realtà interpellate nelle audizioni, l'ha detto l'intera comunità scolastica, ma anche numerosi appelli di pedagogisti e non solo. Invece, si decide di andare in una direzione opposta, non motivandolo in nessun modo, non avendo alcuna base, alcuno studio che giustifichi le misure che sta decidendo di prendere questo Governo con questo provvedimento.

Questa reintroduzione dei giudizi sintetici, tra l'altro, va ad interrompere - come dicevo prima - un processo che già è stato avviato, senza nemmeno aver svolto un monitoraggio delle esperienze messe in atto in questi tre anni. In genere, quando si va a modificare qualcosa, si va a vedere se ha funzionato. Invece qui no, perché ideologicamente si vuole andare immotivatamente verso una direzione e non si tiene conto di nulla.

Inoltre, in questi tre anni, gli insegnanti si sono formati, hanno lavorato con professionalità per rispondere a questo cambiamento pedagogico e metodologico, che era stato richiesto un po' da tutti e che era stato indicato da parte di diversi pedagogisti e non solo.

Invece, si fa finta che nulla sia successo, che non ci sia stato uno sforzo per andare verso questa nuova direzione e si annulla tutto con un colpo di spugna.

Il Ministro Valditara giustifica questa scelta di ritorno al passato con frasi del tipo: come fanno un genitore o un bambino a capire che “in via di prima acquisizione” voglia dire “insufficiente”? Invece, io mi chiedo: colleghi, cosa vuol dire, per un bambino o una bambina di sei anni, “gravemente insufficiente”? Cosa significa dire a una bambina piccola o a un bambino piccolo: “caro bambino, tu sei gravemente insufficiente” (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)? Vuol dire umiliazione, vuol dire sconforto, laddove invece ci dovrebbe essere incoraggiamento, stimolo e supporto. Parliamo di bambini. Ripeto, questo non lo dicono Antonio Caso, Giuseppe Conte o il MoVimento 5 Stelle; lo dicono gli esperti, lo dice la comunità scolastica, tutti quelli che il Ministro ha deciso di non ascoltare.

Il provvedimento poi, oltre a questo, va a revisionare interamente la disciplina in materia di valutazione del comportamento delle studentesse e degli studenti per le scuole di primo e secondo grado. Va ad agire sul voto in condotta con vari meccanismi che non sto qui a declinare. Si decide, però, di vincolare l'ammissione alla classe successiva in base al voto sul comportamento. Una decisione, anche questa, che va intesa come un'inversione di marcia rispetto alle valutazioni del comportamento che invece fanno riferimento - e devono far riferimento - allo sviluppo delle competenze di cittadinanza, così come, tra l'altro, stabilito nello statuto delle studentesse e degli studenti, nel patto educativo di corresponsabilità, che è firmato dagli studenti e dalle famiglie al momento dell'iscrizione, e dai regolamenti delle varie scuole. Si fa questo, ovviamente, senza minimamente coinvolgere le associazioni studentesche, i diretti interessati. Insomma, un messaggio sbagliato per un elemento così importante per la vita scolastica dei nostri alunni.

Qui invito un po' tutti a ragionare su un paradosso. Questo Governo e questo Parlamento si arrogano il diritto di legiferare sui giovani studenti senza minimamente coinvolgerli ed è lo stesso Parlamento che ha mostrato al Paese scene di violenza inaudita, scene di violenza gratuita. Ce lo ricordiamo tutti quello che è successo qui quando deputati di maggioranza si sono scagliati e hanno preso a calci e pugni il nostro collega Donno. È ancora più paradossale che, tra i picchiatori, ci fosse proprio il collega Mollicone, che è il presidente della VII Commissione, che ha competenze sulla scuola. Quindi, abbiamo dei parlamentari violenti che vogliono dire alle nostre studentesse e ai nostri studenti come si devono comportare (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Ipocrisia pura!

Come dicevo in principio, questo provvedimento va anche contestualizzato in un disegno più ampio, che sta operando il Governo Meloni. Va visto come un tassello che contribuisce a quel puzzle di criminalizzazione del dissenso che è iniziato con uno dei primi atti di questo Governo, il famoso decreto anti-rave. C'è un filo antidemocratico che lega tutto questo alla legge contro gli attivisti climatici, alle manganellate gratuite date agli studenti, alle nuove pene per i blocchi stradali, insieme alle varie restrizioni che stiamo vedendo all'interno del decreto Sicurezza; ed è tutto racchiudibile in un unico concetto: se protesti, ti punisco. Questo è. Quindi, bene iniziare dalle scuole a far capire che devi stare al tuo posto, che non sei nessuno per cambiare le cose che non vanno, che non devi batterti per un mondo migliore, ma è meglio per te se stai zitto, così magari poi avrai anche la fortuna di avere un lavoro sottopagato e sfruttato.

Invece, io voglio dire ai nostri giovani: non lasciatevi intimidire. Nessuno - assolutamente nessuno - è più in diritto di voi di decidere quale debba essere il futuro del nostro Paese, della nostra società e del nostro mondo. Non indietreggiate mai, ma lottate per essere ascoltati da chi governa; anzi, pretendete di essere i protagonisti, perché il futuro siete voi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1830​)

PRESIDENTE. La relatrice Di Maggio rinunzia alla replica.

Ha facoltà di replicare la Sottosegretaria di Stato per l'Interno, onorevole Wanda Ferro.

WANDA FERRO, Sottosegretaria di Stato per l'Interno. Grazie, Presidente, giusto qualche minuto, perché mi sembra doveroso, per suo tramite, replicare ai colleghi che ho ascoltato in questa discussione, che doveva essere priva di bandierine ideologiche, ma credo abbia spaziato a 360 gradi su molti temi che erano poco attinenti alla mozione. Parto dall'intervento della collega Piccolotti, che si è detta poco soddisfatta non soltanto della risposta breve del Governo, ma anche, soprattutto, con riferimento all'esposizione chiarissima e dettagliatissima da parte della relatrice.

Credo sia una visione totalmente diversa della società, rispetto a una maggioranza che guarda alla scuola con la giusta attenzione, che guarda alla scuola facendo comprendere certe cose ai nostri giovani, perché ognuno di noi è stato giovane, ognuno di noi, nella propria gioventù, è sceso, ha manifestato nelle università, nelle piazze, ma sempre, ovviamente, attraverso il rispetto di quelle regole che devono sancire che, se ci sono un uomo o una donna in divisa, vanno rispettati, che c'è una libertà di protestare e chi proviene dalla nostra storia, certamente, non andrà mai a intimidire né a minacciare nessun giovane. Una visione totalmente differente rispetto a quello che, secondo noi, non è un tornare al passato: è la dimostrazione, probabilmente - non ricordo chi lo diceva -, che le cose più intelligenti sono state già pensate, occorre solo ripensarle con le sfide di questo nostro tempo. Ed è una sfida che, certamente, vede delle generazioni molto deboli, molto fragili, una fragilità aumentata anche dalla chiusura lunga di quel COVID che li ha tenuti in qualche modo chiusi, ristretti in casa, dietro uno schermo, quindi con una realtà di socializzazione molto virtuale, per la quale, certamente, credo nessuno possa dirsi esente da questa responsabilità.

Una visione diversa, una visione che per noi guarda alla scuola, alla famiglia, alle agenzie educative, per cui, in qualche modo, ci deve essere la volontà di dire ai giovani: “scendete in campo, studiate, non andate a cercare scorciatoie, non mitizzate modelli, ma cercate di seguire degli esempi” - perché una cosa è il modello, un'altra è l'esempio da seguire -, di dire ai ragazzi che sballarsi fa male, che occupare per fare una festicciola o un rave in modo abusivo e senza controllo è sbagliato; la volontà di pensare che i ragazzi non debbano stare in un divano per prendere, in modo assistenziale, un reddito di cittadinanza, senza poter mettere in campo realmente quello che è il proprio estro, quella che è la propria vocazione, quella che è la possibilità di riuscire.

Ho sentito parlare di una politica violenta, dal linguaggio tremendo: io credo che ognuno, probabilmente, poi, spesso, misuri con il proprio metro. Io parto dal presupposto che di bagarre, in queste Aule, in tutte le legislature, ce ne siano state, ovviamente non vanno enfatizzate, ma vanno sottolineate, tuttavia, parto dal presupposto che lanciare un modello ai giovani per cui si dice che la politica non è in grado di guidare il loro percorso, probabilmente, è rinnegare anche quello scranno che lei, certamente, ha avuto per diritto popolare.

E allora, parto dal presupposto che nessuno può dire che favoriamo i più fortunati. Noi siamo stati abituati, nella nostra storia politica, nella storia di uomini e di donne, per esempio del Sud, a doverci confrontare ogni giorno con lo svantaggio e questo confrontarci con lo svantaggio ci fa comprendere che significa, invece, dover investire e poter dare pari opportunità ai nostri giovani nella formazione, nella didattica, nel diritto allo studio, nel diritto a tutto ciò che, in qualche modo, significa formare delle coscienze. Probabilmente, nella scuola - benché abbia sentito accusare il Ministro Valditara di non apprezzare, probabilmente, ciò che è stato, in termini formativi, il post-1968 come prodotto - si deve rivedere un po' quella che è la nostra visione che, certamente, ci vedrà andare avanti nell'educazione civica, nella possibilità di un confronto sempre e comunque diretto con i nostri giovani.

Non credo che si tratti di una bandiera ideologica, si tratta soltanto di mettere in campo ciò che è la nostra visione di scuola: formarsi, studiare, il rispetto delle regole. Certamente non ci appartiene l'idea di venir meno alle responsabilità di uno Stato che deve essere presente, di uno Stato che dice ai giovani: studiate, formatevi, scegliete cosa volete fare, solo in quel modo potrete emergere, ma, soprattutto, fregare chi delle scorciatoie, troppo spesso, in politica e non soltanto in politica, anche nella vita e nella professione, ne fa un'arte.

Chiudo. Mi è venuto in mente che utilizziamo anche noi i social, spesso anche quei social che pochi possono dire di utilizzare nel modo migliore in termini di informazione. Ebbene, negli ultimi tempi penso a una frase che viene attribuita a chi ha fondato Dubai - quest'emiro, no? -, che diceva: “Il mio bisnonno camminava con il cammello, mio nonno camminava con il cammello, mio padre camminava in Mercedes, io cammino in Land Rover, mio figlio camminerà in Land Rover, il mio pronipote tornerà a camminare con il cammello. Perché tempi duri fanno uomini forti, tempi troppo facili fanno uomini deboli”.

Noi abbiamo bisogno di una generazione che va accompagnata, sostenuta, tutelata, messa nelle condizioni di scendere in campo - un po' con la regola dello sport “chi è bravo scende in campo, chi è meno bravo rimane in panchina” -, ma senza poter ingannare i nostri giovani con false verità, con false illusioni per poi, quando si è al Governo, non fare quello di cui oggi stiamo parlando. Noi quello che avevamo promesso, quegli impegni che abbiamo assunto li stiamo mettendo in campo, probabilmente con una visione che non ci vedrà mai giungere allo stesso punto di arrivo, ma perché non partiamo dallo stesso punto. Quindi, su questo voglio essere molto chiara e molto determinata.

Chiudo dicendo che, per quanto ci riguarda, la scuola in questo Governo troverà sempre e comunque attenzione, ovviamente nell'arco delle possibilità. Subito dopo avremo anche un provvedimento in discussione, con riferimento al quale - rispetto anche al collega del MoVimento 5 Stelle, che ho ascoltato con attenzione - ribadiremo non le cose che non sono state fatte, ma tutte le cose che fino ad oggi abbiamo fatto e abbiamo messo in campo.

Abbiamo solo, però, un dovere: almeno quando parliamo di giovani, farlo con onestà e dire che, se non vogliamo bandiere ideologiche, non dobbiamo fare interventi che riguardano il Ministro Salvini rispetto a quello che ha fatto, piuttosto che ad altri temi. Altrimenti, credo che sia la dimostrazione che, troppo spesso, il vero non lo sappiamo dire (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Bakkali ed altri n. 1-00314 concernente iniziative per una riforma della disciplina in materia di cittadinanza.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Bakkali ed altri n. 1-00314 concernente iniziative per una riforma della disciplina in materia di cittadinanza (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori (Vedi calendario).

Avverto che sono state presentate le mozioni Zanella ed altri n. 1-00317 e Baldino ed altri n. 1-00320 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritta a parlare la deputata Bakkali, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00314. Ne ha facoltà.

OUIDAD BAKKALI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Io e il collega, insomma i vari colleghi che hanno sottoscritto questa mozione, l'abbiamo pensata e depositata ben prima che si aprisse il dibattito pubblico a cui abbiamo assistito all'indomani delle Olimpiadi di Parigi.

Questo perché, lo avevamo intuito, tutte le volte che in questo Paese ci sono manifestazioni sportive come le Olimpiadi, poco prima gli Europei di atletica, ci si rende conto di quale è la composizione della sua società, che c'è un pezzo di società italiana che spesso viene “invisibilizzata”, che spesso viene stereotipata nel racconto della diversità che la compone.

Diversità che incontriamo nelle aule scolastiche, che incontriamo nei campi dello sport, che misuriamo nei numeri e spesso anche nell'interpretazione di questi numeri, quando leggiamo, ad esempio, come è composta la scuola italiana. Allora, credo che sia forse casuale - ma almeno cogliamone l'opportunità -, ma questa mozione arriva in una mattinata dove si parla tanto di scuola, si parla tanto di diritto allo studio e si parla dell'approccio educativo che vogliamo avere nella formazione delle nuove e dei nuovi cittadini italiani, che per noi inizia dai nidi d'infanzia. Oggi è anche, in tanti luoghi d'Italia, il primo giorno di scuola.

È il primo giorno di scuola in Emilia-Romagna, che è la mia regione, ed è il primo giorno di scuola in tante città e per tante famiglie, e dunque inizio con questo numero: nella scuola italiana ci sono 914.860 alunni e alunne che ancora, purtroppo, vengono nominati come studenti stranieri e che compongono il 12 per cento della popolazione scolastica. Di questi oltre 900.000 studenti e studentesse ben il 65 per cento, Presidente, sono nati in Italia. Sono nati - lo diciamo spesso - negli stessi reparti di maternità dei propri compagni di scuola e dei propri compagni di sport, e, se andiamo ad analizzare in molti territori le cifre delle scuole d'infanzia, questa percentuale arriva addirittura all'80 per cento dei bambini cosiddetti stranieri che frequentano le scuole dell'infanzia che sono nati e nate in Italia.

Sappiamo che parte della cittadinanza - lo diciamo sempre in altri contesti parlando di altri provvedimenti e lo abbiamo detto poco fa, parlando del concetto di comunità educante - e del senso di appartenenza alla Repubblica si fondano e si formano proprio all'avvio dell'entrata nella comunità, nel primo piede che si mette in comunità, che è la comunità educante. È qui che cresce e si nutre il senso di appartenenza. Allora, cosa c'entra la riforma della cittadinanza, cosa c'entrano le Olimpiadi, cosa c'entra lo sport, cosa c'entrano quelle fotografie della nazionale di pallavolo che vince e su cui qualcuno, dall'alto di non si sa bene che cosa, ha voluto esprimere commenti su quanto quella fotografia esprimesse o non esprimesse l'italianità in questo 2024?

Invece, credo che tenere insieme scuola e formazione, tenere insieme la visione di società, della convivenza nelle diversità e nell'incontro con le diversità, soprattutto in un Paese come l'Italia, che ha come patrimonio culturale e storico le proprie radici in questo, cioè nell'essere attraversato nei secoli e nei millenni da popoli, da culture e da lingue che ne hanno fatto la grandezza e la bellezza che oggi vediamo, in questa Italia che oggi ancora vive, spesso con difficoltà e spesso con una strumentalizzazione politica che non ci permette di andare avanti nella riflessione di che cosa sia una società interculturale, di che cosa sia una società dove si possa essere diversi, ma, allo stesso tempo, pensare a un destino comune, tutto questo ha a che fare con l'essere cittadini italiani e cittadine italiane, che per noi non si riduce solamente a un contratto formale tra individuo e Stato, ma è anche una relazione fatta di identità, di un concetto di identità che non è monolitico, che è qualcosa che si nutre anche della contemporaneità che l'attraversa.

Quindi, l'Italia, oggi, è un Paese plurale, lo è. È abitato da tante persone, da tanti cittadini e cittadine con background diversi, che professano religioni diverse, che hanno bisnonni o nonni che non sono nati in Italia, ma che magari hanno deciso, a un certo punto, di dare avvio al proprio progetto migratorio in questo Paese. Io stessa sono cittadina italiana solo dall'età di 23 anni. Sono diventata cittadina italiana a 23 anni e sono arrivata in questo Paese non per mia scelta, perché ero abbastanza piccolina, avevo 2 anni e non avevo ancora ben chiaro quale potesse essere il mio progetto di vita, ma conseguentemente alla scelta della mia famiglia.

Eppure sono diventata cittadina a 23 anni, cioè 21 anni dopo. Forse, se ci fosse stato quello ius scholae, di cui tanto si è dibattuto in questa estate e in questo agosto, sarei diventata cittadina molto prima, forse avrei giurato sulla Costituzione, anche questo è bene farlo risuonare in quest'Aula, perché se ne parla molto poco. I concittadini nativi non sanno che i cittadini e le cittadine naturalizzati giurano sulla Costituzione italiana, giurano fedeltà alla Repubblica e lealtà alle leggi e alla Costituzione italiana. Io l'ho fatto nell'ufficio del mio comune di residenza e così succede alle centinaia di migliaia di nuovi cittadini che questo Paese accoglie tutti gli anni.

Eppure, ci sono ancora tanti problemi e questo è il cuore della mozione, il cuore del dibattito, ed è quello che sta succedendo nel Paese da tanti anni nell'attivismo rappresentato e incarnato da associazioni, da movimenti, da tanti comuni e da tanti sindaci e sindache che chiedono che la legge n. 91 del 1992, questa legge che regola l'acquisizione della cittadinanza in Italia, possa avere un momento di riforma, un momento di riforma organica che prenda e migliori gli aspetti che oggi creano problemi, che creano ritardi e che creano spesso - ed è la cosa più grave che stiamo riscontrando in questi anni - discriminazioni, mancanze di opportunità e impossibilità, perché magari ci sono questioni burocratiche legate alla famiglia d'origine e magari quel bambino o quella bambina, che sono nati nello stesso reparto di maternità del proprio compagno, avranno difficoltà ad accedere a un concorso pubblico, a una borsa di studio o a un tirocinio perché riservati solo ai cittadini europei o ai cittadini italiani.

Anche questo primo giorno di scuola, che ricordavo all'inizio, forse qualcuno non lo vivrà, perché questo primo giorno di scuola coincide con l'appuntamento in questura per rinnovare il permesso di soggiorno o magari per aggiustare un documento o un inciampo burocratico nella stessa domanda di cittadinanza o in quella giungla che è diventata la normativa sull'immigrazione. Nella nostra mozione proviamo a far passare il concetto che sono necessari tutti gli ius. Questo Paese deve maturare e tutti quanti dobbiamo maturare nell'approccio alla riforma. La riforma deve essere organica e non possiamo più polarizzare il discorso tra chi vuole lo ius soli, chi vuole lo ius scholae, chi vuole lo ius culturae e chi si ferma solo al tema degli anni della naturalizzazione. Ogni aspetto va ponderato, preso e migliorato perché c'è bisogno di una cassetta degli attrezzi.

Infatti, la modalità con cui si arriva in questo Paese e anche la stratificazione degli arrivi le trovate nella infinita letteratura di storie personali che i ragazzi, le ragazze e ormai gli adulti con background migratorio di questo Paese raccontano, da chi arriva da piccolo, da chi non acquisisce la cittadinanza richiesta dai propri genitori, seppure richiesta quando lui stesso era minore, ma il provvedimento arriva nel momento in cui lui o lei compie i 18 anni e, quindi, perde quella finestra di possibilità e deve ricominciare l'iter daccapo. C'è chi non riesce perché magari non ha contatti o nel proprio Paese di origine non c'è neanche mai stato, per reperire quel documento, quel casellario che gli serve per ottemperare a tutti i requisiti che ci sono.

Quindi, con riferimento ad ogni aspetto - lo diciamo in maniera metaforica, ovviamente -, ci vuole una cassetta degli attrezzi per approcciare il tema della cittadinanza. Non servono più le declinazioni degli ius, servono tutti gli ius, serve allinearsi anche al tema della naturalizzazione con gli altri Paesi europei. La Germania, non più tardi del 2024, ha portato gli anni della naturalizzazione a 5 anni. Noi siamo uno dei pochi Paesi ancora fermo a 10. Non dobbiamo mai dimenticarlo, perché sono anni, anche quelli, di mancate opportunità e di difficoltà: gli anni di lavorazione delle pratiche. In questo Paese, arriviamo a 4-5 anni di lavorazione della pratica di cittadinanza. E, quindi, sorrido quando sento che una delle motivazioni per cui la legge n. 91 del 1992 va bene così è perché siamo, in termini assoluti, uno dei Paesi che concede più cittadinanze: è una coda! Questi nuovi cittadini e queste nuove cittadine sono arrivati quantomeno 18 anni fa, almeno 18, alcuni anche 20 anni fa. Questa è la conformazione, credo che ce ne rendiamo tutti conto, perché le questioni che attraversano le nostre comunità, la crisi sociale e di welfare, sono vissute da tutti in maniera trasversale: da chi ha background migratorio e da chi non ce l'ha. Ma il dato - proprio perché vogliamo rendere il diritto soggettivo, cioè che sia un diritto del minore e non conseguenza della scelta dei propri genitori - dell'incidenza di povertà assoluta nelle famiglie con minori, in Italia, oggi, per tutti e tutte, è del 7,8 per cento e raggiunge il 36 per cento nelle famiglie con background migratorio. E questo cosa ci dice? Ci dice che, quando approcceranno, molto probabilmente, la domanda di cittadinanza per questi bambini e queste bambine, per questi ragazzi e queste ragazze, non avranno quel requisito fondamentale nella naturalizzazione, che è il requisito economico. Quei bambini e quelle bambine, se pur nati in Italia e pur avendo frequentato 5, c'è chi dice, dall'altra parte, 10, ma pure 15 o pure 20 anni di scuola, comunque non avranno la cittadinanza, perché il 36 per cento di essi vive in povertà assoluta. Questo dato va tenuto in considerazione.

Se noi non svincoliamo, soprattutto quando ragioniamo di minori e di bambini, il tema del reddito, il tema economico, il tema del parametro reddituale, rischiamo davvero di generare una situazione per la quale quel valore assoluto, che tanto ci fa dire che siamo il Paese che eroga più cittadinanza, sta venendo pian piano a mancare, perché c'è un tema di diritto all'abitare che riguarda tutti e, a maggior ragione, le famiglie con background migratorio, che spesso sono costrette a vivere o a lavorare senza un contratto regolare. Sono tutti parametri che vengono meno per diventare cittadini e cittadine, o fare la richiesta per i propri figli, in questo Paese.

In questa mozione, mettiamo insieme questo ragionamento: ius soli, ius scholae, dimezzamento degli anni per la naturalizzazione, il tema sul contributo. Su questo tema, una forza politica della maggioranza ha fatto tanto propaganda qualche anno fa. Introdussero questo contributo, si chiama contributo per la cittadinanza, che corrisponde a 250 euro a pratica: vuol dire che in una famiglia con 2 figli si arriva anche a spendere 1.000 euro. E noi asseriamo, ovviamente, che la cittadinanza è un diritto e che la cittadinanza non si compra. Proviamo a realizzare una riforma culturale anche del concetto di cittadinanza, che non è solo ius sanguinis, giustamente pensato per tenere i legami con gli emigrati italiani. È ora - ed è già tardi! - di affrontare, invece, il legame profondo con una popolazione di cui questo Paese ha veramente bisogno, ossia i bambini e le bambine, sono i cittadini e le cittadine italiane, oggi ancora senza cittadinanza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Luana Zanella, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00317. Ne ha facoltà.

LUANA ZANELLA (AVS). Grazie, Presidente. Un'indagine effettuata in Francia dall'Istituto nazionale di statistica e di studi economici (INSEE) e dall'Istituto nazionale di studi demografici (INED), relativa agli anni 2019 e 2020, ha dimostrato che: il 32 per cento della popolazione al di sotto dei 60 anni ha origini immigrate; la metà dei figli di immigrati ha un genitore non immigrato; alla terza generazione, 9 nipoti su 10 di immigrati hanno solo 1 o 2 nonni immigrati; il 66 per cento dei discendenti degli immigrati vive in coppia con qualcuno o qualcuna che non ha origini straniere. Fin dalla seconda generazione si verifica, dunque, un mix che rafforza la mescolanza della popolazione, ma non è questo, forse, ciò di cui ha bisogno l'Italia, Paese vecchio con culle sempre più vuote, che soffre di una crisi di denatalità e fecondità bassa, che ne può compromettere crescita, benessere ed equilibrio tra generazioni. Le norme in materia di cittadinanza in vigore nei Paesi europei più avanzati sono decisamente più adeguate alla realtà del presente, rispetto alla nostra legge 5 febbraio 1992, n. 91, la quale penalizza e discrimina una fascia di popolazione vitale e vulnerabile come quella dei minorenni e priva le italiane e gli italiani, di fatto, del pieno godimento dei diritti fondamentali: cito il diritto di elettorato attivo e passivo.

Definire le regole secondo le quali viene riconosciuta la cittadinanza è una delle questioni centrali in uno Stato di diritto. L'attuale legge sulla cittadinanza è superata, ingiusta, inefficiente e inadeguata alla realtà del Paese. E, purtroppo, lo è stato anche l'esito del dibattito che si è svolto la scorsa settimana in Aula: nessuna apertura da parte della maggioranza, che si è chiusa a riccio assieme al Governo, opponendosi alle nostre proposte emendative, tese a porre rimedio all'aspetto più inquietante e irrazionale della normativa vigente. Mi riferisco allo ius scholae, che teoricamente potrebbe raccogliere il consenso di questo Parlamento se uno dei partiti della maggioranza, Forza Italia, fosse più coraggioso e coerente con le dichiarazioni del suo segretario e traducesse in iniziativa parlamentare le posizioni espresse per via mediatica.

Per questo, per tenere aperto il varco di un'intesa possibile e superare in particolare gli ostacoli che i bambini e le bambine, e le ragazze ed i ragazzi senza cittadinanza italiana sono costretti ad affrontare nel loro percorso formativo, abbiamo presentato questa proposta di mozione, in sintonia con quanto si muove nel Paese, e non da oggi. La petizione “Bambini italiani senza cittadinanza”, promossa da Save the Children, sta raccogliendo migliaia di adesioni, così come la raccolta di firme per il referendum sulla cittadinanza, che ridurrebbe a 5 i 10 anni necessari per il suo ottenimento, ferme restando tutte le altre condizioni. Si tratta di un'iniziativa promossa da partiti e associazioni, in attesa che il Parlamento faccia il suo dovere.

Secondo i dati disponibili dell'ufficio statistica del Ministero dell'Istruzione e del merito, nelle scuole ci sono - è stato già citato - 914.860 studenti con cittadinanza non italiana, l'11,2 per cento della popolazione scolastica. Solo il 15,5 per cento delle scuole italiane non registra la presenza di alunni di origine straniera. Nell'anno scolastico 2021-2022, il 65,5 per cento degli studenti stranieri, cosiddetti stranieri, erano concentrati nelle regioni del Nord; il 21,9 per cento nel Centro; il 12,6 nel Sud e nelle isole. Quasi il 70 per cento di questi studenti e studentesse sono nati in Italia, quasi il 70 per cento. Diventano l'83 per cento, se facciamo riferimento alla scuola dell'infanzia. La Lombardia da sola, la ricca Lombardia, conta oltre un quarto degli studenti con cittadinanza non italiana. Nelle regioni Lombardia, Toscana, Umbria, Veneto, Piemonte circa uno studente su cinque non ha cittadinanza italiana. La mancanza di questa complica e, talora, preclude l'accesso ad attività scolastiche, come la partecipazione a viaggi di istruzione o ad attività sportiva. Non solo, lo stesso percorso formativo ne è compromesso. Uno studio, svolto in Germania, ci conferma che la percentuale di bocciature tra gli studenti con background migratorio è più bassa del 14 per cento per coloro che hanno ottenuto la cittadinanza.

A questo Governo, così irrigidito dal pregiudizio ideologico e dal disinteresse evidente per le questioni di giustizia e di uguaglianza, dovrebbe interessare almeno la miglior tenuta del tessuto sociale ed economico del Paese; esso dovrebbe avere a cuore la coesione e l'integrazione, la coesistenza pacifica e feconda tra le differenti componenti della nostra comunità. Ci auguriamo davvero che il Governo e la maggioranza ci ripensino e diano ascolto non tanto e non solo a noi, all'opposizione, ma ai milioni di cittadini e cittadine italiani di fatto ma non di diritto che vivono, lavorano, studiano, pagano tasse, imposte e contributi e che, da anni, rivendicano i propri diritti al riconoscimento in quanto cittadini e cittadine italiane.

È, quindi, urgente e necessaria una riforma della legge n. 91 del 1992. Come noto, l'unica proposta di legge che, in questi anni, è stata approvata - solamente da un ramo del Parlamento, la Camera dei deputati - risale al 2015. C'è di che vergognarsi. Anche perché c'è stato un progressivo peggioramento delle procedure per ottenere la cittadinanza, prima con la legge n. 94 del 2009. E guarda caso, si trattava di disposizioni in materia di sicurezza pubblica, come se la concessione o il riconoscimento della cittadinanza avessero a che fare con un problema di pubblica sicurezza. E poi, ancora, con il decreto Sicurezza, il n. 113 del 2018, convertito nella legge n. 132 del medesimo anno. Queste hanno ulteriormente complicato e reso più costoso il percorso.

Per questo, chiediamo, nella nostra mozione, che il Governo si impegni ad avviare un processo di riforma della vigente legge e della vigente normativa, per garantire finalmente il riconoscimento della cittadinanza alle bambine e ai bambini nati e cresciuti in Italia attraverso procedure celeri; a garantire politiche - e chiudo, Presidente - efficaci di inclusione scolastica, attraverso percorsi educativi e risorse adeguate. Una normativa che rispecchi la realtà del Paese che è cambiato e che ancora cambierà, più equa, giusta, in armonia con i principi fondamentali della nostra democrazia, della nostra Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Andrea Quartini, che illustrerà anche la mozione n. 1-00320, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ANDREA QUARTINI (M5S). Grazie, Presidente. Colleghe, colleghi, Sottosegretaria, io credo che, come premessa, dovremmo tutti convenire su un fatto, cioè che nessuno dovrebbe essere considerato straniero in questo pianeta. Questo è il primo elemento da cui dovremmo partire. Ed è l'elemento chiave rispetto al tema della cittadinanza, è l'elemento fondamentale, perché la cittadinanza è l'elemento che può garantire l'esigibilità dei diritti. Quindi, è un punto centrale su cui dobbiamo assolutamente agire. L'umanità, purtroppo, invece, è divisa in Nazioni, è divisa in Stati, in popoli. Sono stati eretti muri, tracciate linee sulla sabbia, si sono costruite barriere che ci separano gli uni dagli altri. Ma cosa ci divide davvero? Ci dividono la lingua, la cultura, la religione? No, io credo che quello che ci divide è la paura, la paura dell'altro, la paura del diverso.

E, purtroppo, qualcuno, invece di unire, separa. Invece di unire, divide. Invece di unire, frammenta e spezzetta ancora di più. E, nel nostro Paese nello specifico, addirittura è più facile vincere una medaglia alle Olimpiadi che ottenere la cittadinanza, per chi non è cittadino italiano.

Eppure, la nostra penisola è un crocevia millenario di geni. Non solo geni, da un punto di vista del DNA, ma di veri geni, anche mentali. È un incrocio straordinario. Cito solo uno degli esempi artistici più straordinari del mondo: la Cappella Palatina di Palermo. Un'iscrizione in latino, greco e arabo, addirittura del 1142, in ricordo dell'orologio idraulico fatto costruire da Ruggero II, testimonia l'intrecciarsi di molteplici culture nella Palermo normanna. Essa è un esempio, forse il più elevato, dal punto di vista storico-artistico, della convivenza tra culture, tra religioni e modi di pensare apparentemente inconciliabili perché furono coinvolte, dalla sapiente gestione del potere di Ruggero II, maestranze bizantine, musulmane, latine. Pensi un po' quanto l'essere meticci, l'essere ibridi, da un punto di vista genetico - a me non dispiace pensarci bastardi, in questo senso - ci ha reso ricchi. La penisola italica è proprio questo grande crocevia.

Perché dobbiamo avere tutta questa paura del diverso, questa paura dell'altro? La nostra proposta vuole aggiungere un piccolo contributo per abbattere questi muri, per superare queste paure e costruire una convivenza più giusta, più equa e solidale. Fare un passo, mettere una piccola goccia in un mare magnum dove ogni essere umano possa realizzare i propri sogni, dove ogni talento possa trovare spazio per esprimersi, dove ogni bisogno possa trovare una risposta.

Eppure, dobbiamo avere, da questo punto di vista, anche la capacità utopica, perché la storia ci insegna che l'umanità è capace di grandi cambiamenti e di superare ostacoli che sembravano insormontabili: pensiamo alla caduta del muro di Berlino, alla fine dell'apartheid, ai progressi compiuti nei diritti civili, all'enorme capacità che abbiamo avuto di collaborare a livello mondiale durante la crisi pandemica. Per raggiungere questi obiettivi abbiamo bisogno di un grande sforzo collettivo e di una politica che abbia il coraggio di guardare oltre i propri interessi nazionali. Abbiamo da affrontare sfide comuni straordinarie per l'umanità: dal cambiamento climatico alle migrazioni di massa. E queste migrazioni di massa sono quasi tutte e quasi sempre forzate. Si stima che il solo cambiamento climatico a causa delle carestie, della deforestazione, della mancanza d'acqua, della riduzione di terreni fertili, di inondazioni e di tempeste, stia generando flussi migratori a livello mondiale di almeno un miliardo di persone nei prossimi decenni. Secondo la Banca mondiale, entro il 2050, 216 milioni di persone saranno costrette a migrare a causa delle conseguenze del cambiamento climatico. E non sto ad elencare gli oltre 260 conflitti, che sono insorti in questi ultimi cinque anni a causa della carenza idrica a livello mondiale. Secondo la Banca mondiale, ripeto, saranno 216 milioni le persone costrette a migrare a causa del clima: il numero più alto riguarderà l'Africa subsahariana con 86 milioni di persone; 19 milioni di persone, probabilmente, migreranno a causa delle scarse risorse idriche. Sarà un muro di flusso migratorio, sarà un vento di flusso migratorio che non potremo fermare. Pertanto, dobbiamo cercare di collaborare tutti. Dobbiamo promuovere, senz'altro, la cooperazione internazionale, il dialogo interculturale e il rispetto dei diritti umani. Ci sono molte sfide da affrontare: i pregiudizi, i nazionalismi e le disuguaglianze. Sicuramente, l'educazione e la cultura sono fondamentali per promuovere la tolleranza e il rispetto reciproco.

Concludo rapidamente, Presidente. La mozione è un piccolo passo - dicevo - ma, come tale, ci può aiutare, se venisse approvata, a superare l'ipocrisia di una politica fino a oggi incapace di intercettare un bene che va al di là dei diritti, in quanto il presupposto della cittadinanza è il radicamento e la cittadinanza, come sosteneva la filosofa Hannah Arendt, è al di là di un diritto, in quanto “diritto ad avere diritti”. Abbiamo nelle nostre scuole 914.860 studenti con cittadinanza non italiana, che parlano la lingua italiana e gli stessi nostri dialetti. Consentire lo ius scholae, come l'abbiamo concepito nella nostra mozione, va nella direzione di dare il diritto di avere diritti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciani. Ne ha facoltà.

PAOLO CIANI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, oggi siamo chiamati a discutere un tema che riteniamo fondamentale per il futuro del nostro Paese: la riforma della legge sulla cittadinanza. L'attuale legge - quella del '92 - non pare più adeguata a raccogliere il bisogno di cittadinanza e di integrazione sociale di tanti uomini, donne e bambini che contribuiscono allo sviluppo e alla crescita del nostro Paese. Sì, direi che il bisogno di cittadinanza è cresciuto. È un indicatore importante della nostra capacità di stare in maniera incisiva sulla scena europea e internazionale.

C'è bisogno di risposte adeguate e senso di cittadinanza, anche in senso giuridico, delle seconde generazioni: stranieri figli di immigrati, ma non essi stessi immigrati, in quanto nati o comunque vissuti in Italia nell'intero periodo della loro formazione linguistica e culturale, nel corso dell'età evolutiva. Oggi, con questa mozione, chiediamo al Parlamento di compiere un passo in avanti per una maggiore giustizia sociale e per una nuova visione del nostro Paese, che guardi al futuro con coraggio, responsabilità e senso della realtà. Per capire l'importanza di questo discorso dobbiamo guardare i dati: attualmente, in Italia, vivono circa un milione di minori stranieri, pari circa al 10 per cento dei bambini e ragazzi sotto i 18 anni. Perché parliamo della necessità di una riforma? Il concetto di cittadinanza e la sua acquisizione non è certo un concetto rivoluzionario né una minaccia all'identità italiana; al contrario, per noi è un principio di civiltà, che riconosce a chi nasce, cresce, si forma in questo Paese e ne diventa pienamente parte integrante, un diritto fondamentale.

Noi troviamo inconcepibile che un bambino o una bambina nati in Italia, che parla italiano, che condivide la nostra cultura, le nostre tradizioni, le nostre abitudini e i nostri sogni, debba essere considerato straniero fino alla maggiore età o, addirittura, oltre. Non bisogna cedere alla narrazione, che purtroppo in questi anni è stata portata avanti, che una possibile riforma in questo senso trasformerebbe l'Italia in una sala parto. Non si tratta di questo, cioè, di concedere la cittadinanza a chi arriva in questo momento e qui partorisce, ma a chi è figlio di genitori arrivati in Italia, che hanno scelto il nostro Paese come il loro Paese in cui vivere, crescere, lavorare e mettere su famiglia. Dobbiamo allora chiederci: cosa vuol dire essere italiani? Essere italiani, per noi, significa crescere in questo Paese, studiare nelle nostre scuole e formarsi ai nostri valori; perciò, se questo è vero, allora dobbiamo riconoscere il diritto alla cittadinanza a chi è parte di questo tessuto sociale, indipendentemente dalle origini dei propri genitori.

Un altro punto qualificante di questa mozione prevede l'acquisto della cittadinanza da parte dei minori giunti in tenera età, che abbiano frequentato con successo un percorso scolastico: quello che è stato pensato tanti anni fa e proposto dall'allora Ministro Riccardi come ius culturae, quello di cui oggi noi parliamo come ius scholae. Quindi, anche in questo caso, nessun automatismo con l'esser presenti qui, ma con il conseguimento di un percorso legato alla scuola.

Secondo i dati del Ministero dell'Istruzione - li ricordava poco fa la mia collega Bakkali - oltre 900.000 bambini senza cittadinanza italiana frequentano le nostre scuole, ma di questi, più della metà sono nati in Italia. Questo significa che gran parte di questi ragazzi ha fatto tutto il suo percorso formativo nel nostro Paese, condividendo con i compagni italiani le stesse esperienze educative e culturali. Quindi, se vogliamo vedere la realtà di questa proposta, non dobbiamo guardare alle immagini degli sbarchi o alla propaganda dell'invasione portata avanti in questi anni. Dobbiamo guardare alle nostre scuole, ai parchi pubblici, agli oratori e ai centri sportivi: è questo il mondo che non si vuol guardare, ma che tutti conoscono - tutti noi conosciamo, chiunque ha un figlio conosce - e che, tante volte, è una realtà molto apprezzata. È quello di ragazzi di origine africana che parlano napoletano e vestono alla moda, di giovani dai tratti asiatici e dal chiaro accento toscano o di ragazze velate a passeggio con gli smartphone per le vie di Milano. Si sentono italiani ma, talvolta, hanno la sensazione di essere respinti; faticano a vivere la loro diversità in famiglia; stentano a far accettare la loro diversità nella nostra società.

Questi giovani potrebbero costituire il ponte tra famiglie e immigrati, società e futuro, ma vivono in uno strano limbo: portano con sé - spesso a prescindere dalla loro volontà - tratti dell'alterità delle loro famiglie di origine, fosse il nome, i tratti somatici o gli abiti. Tratti spesso difficili da far digerire alla società italiana ma, soprattutto, a chi non li conosce e li giudica.

A chi giova tutto questo in un mondo sempre più interconnesso? Di certo non giova all'Italia, che non valorizza il grande potenziale del capitale umano raffinato nell'integrazione; non giova alla comunità internazionale, perché incoraggia anomia e non appartenenza, vecchie e nuove fragilità. Raccontava un ragazzo sedicenne, figlio di genitori eritrei, nato e cresciuto a Roma: “la prima domanda che mi fa chi non mi conosce è sempre: da dove vieni? Ogni volta resto un po' interdetto, ma ormai mi sono deciso, e rispondo: da casa o da scuola, e lei?”.

Il possesso di una cittadinanza diversa da quella percepita costituisce, evidentemente, una fonte di traumi destinati a riflettersi negativamente sulla corretta evoluzione della personalità. Un esito negativo, questo, che anche l'articolo 2 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo impegna gli Stati firmatari ad evitare. Spesso questi giovani - per usare una parola desueta, ma che piace anche alla maggioranza che guida questo Paese - sono dei veri patrioti, che sentono l'Italia come il loro unico Paese, hanno i nostri gusti, vestono come i nostri ragazzi, tifano per le nostre squadre di calcio. Spesso ho riscontrato più amore per l'Italia da parte di questi giovani che non nei loro coetanei connazionali autoctoni.

A loro si vuole rivolgere questa proposta di riforma sulla cittadinanza. Presidente, la legge sulla cittadinanza è del 1992: era l'anno dell'inizio di Mani pulite, della guerra in Jugoslavia, del confronto Eltsin-Bush, un'era geologica fa; era una legge pensata più per gli italiani che avevano lasciato il nostro Paese che per i figli di chi aveva scelto questo Paese per vivere, per i nuovi immigrati, per i nuovi italiani.

Lo ius culturae, o lo ius scholae, è un riconoscimento che premia l'integrazione attraverso l'istruzione; non si tratta solo di un atto di equità, ma di un investimento nel futuro del Paese.

Questi giovani sono parte del nostro futuro, negare loro la cittadinanza significa escluderli, significa privare l'Italia di una risorsa preziosa, significa creare una generazione di invisibili, costretti a vivere ai margini della società, e noi non possiamo permetterci, né moralmente, né economicamente, di emarginare una parte così importante e significativa della popolazione. Dobbiamo ricordare che questi giovani rappresentano una risorsa essenziale per il nostro futuro, in un Paese che sta vivendo un forte declino demografico, con tassi di natalità tra i più bassi in Europa.

Questi ragazzi sono il futuro delle nostre scuole, delle università, del nostro mercato del lavoro. Escluderli o considerarli stranieri è un atto miope, che non tiene conto delle sfide che l'Italia dovrà affrontare nei prossimi decenni. Riconoscere la cittadinanza ai figli degli immigrati che nascono e studiano nel nostro Paese significa costruire una società più coesa, più giusta, in cui ognuno possa sentirsi parte di una comunità; non si tratta di concedere privilegi, ma di riconoscere diritti.

Capisco che alcuni colleghi possano nutrire delle preoccupazioni, ma voglio ricordare che questa non è una battaglia ideologica e non va vissuta come una battaglia ideologica; non è una questione di destra o di sinistra, è una questione di dignità, di giustizia, di diritti umani, di futuro del nostro Paese; è una questione che riguarda i valori della nostra democrazia e del nostro Stato di diritto. Non possiamo più chiudere gli occhi davanti alla realtà, questi giovani sono già italiani nel cuore e nella mente; negare loro la cittadinanza significa perpetuare ingiustizie e divisioni che non fanno altro che danneggiare il tessuto sociale del nostro Paese.

Oggi abbiamo l'opportunità di scrivere una pagina importante e nuova della storia del nostro Paese, abbiamo l'opportunità di dimostrare che siamo una nazione che guarda al futuro con senso di responsabilità, con lungimiranza, con umanità. Abbiamo l'opportunità di costruire un'Italia più inclusiva, più giusta e più unita. Dobbiamo dare, finalmente, voce e diritti a chi, da troppo tempo, attende di essere riconosciuto per quello che già è, un cittadino italiano. Prima lo faremo e prima daremo a loro un senso di giustizia nuovo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Alifano. Ne ha facoltà.

ENRICA ALIFANO (M5S). Presidente, colleghi e colleghe, noi siamo qui a discutere uno dei temi più importanti che possano essere discussi in quest'Assemblea, il tema della cittadinanza. Ora, il primo quesito che bisogna porsi è: cos'è la cittadinanza, e chi può dirsi cittadino? La cittadinanza - è stato ripetuto più volte dai giuristi - è uno status, un vincolo di appartenenza di un individuo allo Stato, che gli impone, ovviamente, di osservarne le leggi e che, allo stesso tempo, gli riconosce il godimento pieno di diritti civili e politici. Questa è una definizione che è stata tramandata nel tempo, ma è una definizione, ahimè, riduttiva e formalistica.

Ne è stata data, recentemente, nei documenti del Consiglio d'Europa, un'altra definizione, che ritengo molto più al passo con i tempi. La cittadinanza viene definita, in questi documenti, come una realtà multidimensionale, che deve essere calata nel contesto sociale e politico, e che non si identifica semplicemente con la nazionalità. Viene posto poi l'accento, sempre in questi documenti redatti dal Consiglio d'Europa, sulla dimensione democratica della cittadinanza, perché la cittadinanza democratica postula, innanzitutto, la partecipazione attiva degli individui al sistema dei diritti che la comunità di appartenenza gli riconosce.

E cosa rende un individuo realmente un cittadino? L'adesione a un sistema di principi e di valori che sono condivisi dalla comunità di appartenenza. Principi fondamentali come il pluralismo, il rispetto della dignità umana e l'eguaglianza dinanzi alla legge costituiscono un nucleo fondamentale che deve essere riconosciuto perché un individuo possa dirsi cittadino. Di conseguenza, chi è cittadino? Cittadino è colui che partecipa attivamente alla vita politica, ma anche alla vita culturale della comunità alla quale appartiene; dunque, è estremamente importante la dimensione culturale della cittadinanza.

La stessa Dichiarazione universale dei diritti umani, all'articolo 27, riconosce a ogni individuo il diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della propria comunità, di goderne delle arti e di partecipare al progresso scientifico e di trarne benefici. È ancora da sottolineare un altro elemento: tutte le Costituzioni moderne riconoscono valore all'essere umano, prima ancora che al cittadino. Quindi vi è l'uomo al centro dell'interesse di tutte le Costituzioni dei Paesi democratici. Cosa deriva da queste premesse, che sono sancite da Carte fondamentali?

Che la cittadinanza non può essere ancorata esclusivamente allo ius sanguinis e, dunque, alla nazionalità degli ascendenti, cosa che veniva riconosciuta quando i fenomeni migratori erano ridotti. Ma il mondo è cambiato. Presidente, il mondo di oggi è cambiato velocemente, con una rapidità enorme, e le economie degli Stati sono adesso interdipendenti; la tecnologia ci sta ponendo delle sfide che non possono trovarci impreparati. In un mondo così veloce, così interconnesso, è cambiata anche la composizione delle popolazioni negli Stati democratici, in tutti i Paesi occidentali.

Noi abbiamo più di 5 milioni di cittadini stranieri residenti in Italia, ma le acquisizioni di cittadinanza, in proporzione a questo numero, sono effettivamente ridotte, perché nel 2022 - questo è un dato fornito dal Ministero dell'Interno - gli stranieri che hanno acquistato la cittadinanza sono circa 214.000, quindi un numero non eccessivamente elevato. Diamo altri numeri, che sono stati dati anche dai colleghi. Nell'aprile del 2023, il Ministero dell'Istruzione e del merito ha certificato la presenza di circa 900.000 alunni con genitori entrambi stranieri; il 44 per cento di questi è di origine europea, più di due terzi sono costituiti da seconde generazioni.

Va da sé che la scuola può rappresentare effettivamente un grande laboratorio di integrazione proprio in ragione della dimensione culturale che riveste il concetto di cittadinanza di cui abbiamo parlato prima. I bambini e i ragazzi vivono senza alcun imbarazzo l'incontro con i coetanei che provengono da altri Paesi; non c'è nulla che possa determinare criticità.

Con questa mozione che cosa chiediamo? Chiediamo che le migliaia di ragazzi e di ragazze che frequentano le nostre scuole, nati e cresciuti in Italia, che vivono nel nostro Paese da tempo, che parlano la lingua italiana, che spesso, come è stato ripetuto, conoscono i dialetti dei vari luoghi in cui vivono, che si sentono italiani a tutti gli effetti, che condividono i principi e i valori di cui abbiamo parlato - perché è soprattutto quello il nucleo fondamentale sul quale verte la cittadinanza, la condivisione di principi e di valori - e che contribuiranno con le loro esperienze al progresso della nostra società, dopo aver frequentato un ciclo di studi o un percorso di formazione professionale, possano divenire cittadini italiani. In questo modo, dimostrano il loro impegno, dimostrano la loro crescita culturale e, quindi, dimostrano di sentirsi parte della comunità italiana, perché questo e solo questo, Presidente, significa essere cittadini italiani (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Riccardo Ricciardi. Ne ha facoltà.

RICCARDO RICCIARDI (M5S). Grazie, Presidente. Numeri e dati sono stati elencati, saggiamente, da molti colleghi. Io mi soffermerò non su questo, ma fondamentalmente su una domanda: perché? Perché non si può dare la cittadinanza, nella nostra declinazione, a chi ha compiuto un ciclo scolastico, quindi ai minori, ai bambini? Davvero, trovo che questa domanda, nel suo essere elementare, sia il centro della situazione. Vedete, due bambini di 9 e 10 anni, uno col colore di una pelle, uno con un altro colore di pelle, non si considerano diversi tra loro. Siamo noi, come Stato e come politica, che diciamo loro che sono differenti, perché loro già da sé non si considerano diversi, in quanto frequentano le stesse scuole, tifano le stesse squadre di calcio, hanno le stesse passioni e frequentano gli stessi luoghi; solamente, noi gli diciamo che sono diversi.

Allora, veramente, in questo, c'è tutto il cinismo della politica. Io so che, in cuor vostro, anche a voi, questa cosa, so che non cambia nulla, so che, in termini di principio, non può essere vista come una battaglia di sovranità o di patriottismo, è semplicemente un cinismo basato su un consenso - non so neanche quanto - e su una battaglia che è, fondamentalmente, contro il futuro, perché poi questa cosa si farà. Ve lo dovete mettere in testa che questa cosa accadrà: se ora, tra 5 anni o tra 10 anni, sta solo a noi capire quando accordarci col futuro e quanto rimandare questo futuro, così come avverrà per il matrimonio omogenitoriale, così come avverrà per le adozioni, così come avverrà per il fine vita. Arriveranno queste cose, semplicemente c'è da capire quanto vogliamo fare da ostacolo alle conquiste di civiltà e quanto invece decidiamo di avere un tempismo.

Fa poi sorridere amaramente - capisco quello che è accaduto in questi giorni, rispetto alla richiesta di condanna del Ministro Salvini a 6 anni per la vicenda di Open Arms - che, improvvisamente, il Governo si ricompatta su questi temi, dato che avete bisogno di ritrovare una battaglia comune sull'identità.

Nel momento in cui la vostra politica estera viene decisa a Washington, quella monetaria a Bruxelles, quella energetica alla Borsa di Amsterdam e nel momento in cui svendiamo le nostre partecipazioni nelle aziende strategiche a fondi privati americani, ditemi voi se la difesa della nostra nazionalità e del nostro patriottismo deve essere fatta su bambini di 8, 9, 12, 13 anni (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Questo fate. Dove ce l'abbiamo la sovranità, noi? Su cosa? Che, se a novembre, vince le elezioni di Trump e ci dice che dobbiamo ritirarci dall'Ucraina, diventate quelli che dicono che ci dobbiamo ritirare dall'Ucraina? Che, se domani mattina, gli Stati Uniti dicono che Israele è criminale, starete qui a dire che Israele è criminale? Dov'è la nostra sovranità? Stiamo facendo affari per la sovranità energetica con il gas liquido che ci arriva dagli Stati Uniti, che, se domani decidono di aumentare i prezzi, le nostre aziende vanno in rovina e le nostre famiglie non sanno come pagare le bollette. C'è la gente che non sa come pagare i mutui, perché la BCE decide quali sono le condizioni con le quali una famiglia si deve comprare una casa; però tu, che sei nato e cresciuto in Italia, che hai fatto le scuole in Italia, devi considerarti sempre straniero, perché i patrioti - a parole - che brandiscono la fiamma tricolore o lo spadone leghista dicono che tu non devi essere italiano. Questo fate e lo fate per cinismo.

Guardate, so che in Aula c'è un refrain della Meloni, che oramai è davvero un disco rotto, che dice: perché non l'avete fatto voi? Signori, qui bisogna anche metterci un attimo d'accordo su quello che potevamo fare noi, perché pare che il MoVimento 5 Stelle abbia governato 40 anni. Noi, le condizioni per fare un provvedimento del genere, che era in cantiere, le avevamo nell'anno in cui c'era il Governo Conte II, che poteva fare un provvedimento del genere, ma il Governo Conte II aveva il Paese chiuso, perché stavamo combattendo contro una pandemia. Abbiamo fatto quattro manovre finanziarie (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), una dietro l'altra, in un anno. Non si può sempre dire: perché non l'avete fatto voi? Noi avevamo tutto questo contesto.

Allora, capisco che ci sia un problema di integrazione o di sicurezza in questo Paese, perché è vero che ci sono alcuni lavoratori che lavorano alle condizioni che gli italiani, grazie a Dio - perché negli anni hanno maturato alcune convinzioni sindacali -, non fanno più e ci sono persone disposte a fare alcuni lavori a molto meno. La colpa è sempre di quel bambino di 8 anni che non vede riconosciuti i suoi diritti o forse dobbiamo andare a combattere quelle condizioni di lavoro? Perché non si dà un salario minimo alle persone? Perché non si tutela la sicurezza nel mondo del lavoro? Lì c'è un problema: c'è un problema nelle nostre strade e nelle periferie di molte grandi città, legato a un'immigrazione e a un'integrazione che non è avvenuta? Sì, chiaramente, c'è un problema. Ma cosa si è fatto in due anni per combatterlo? Perché qui pareva dovesse arrivare la Meloni, che doveva finalmente risolvere il problema delle nostre periferie. Già Berlusconi, da tempo, doveva creare alcune piccole Milano 2 in tutta Italia. Cosa è successo? Il problema è sempre quel ragazzino o quella ragazzina di 8 anni che non vede riconosciuti i suoi diritti? No, i problemi stanno in ben altri campi. Quando ci sono persone di buona volontà, che vogliono arrivare a un risultato, le declinazioni per riconoscere i diritti si trovano e si vanno anche a colmare alcune differenze; per questo il respingimento che farete di queste mozioni è solo un'operazione di cinismo politico. Voi siete abituati a fare cinismo politico sulla pelle dei lavoratori, sulla pelle degli sfruttati, sulla pelle di chi non arriva alla fine del mese e sulla pelle di chi non si riesce a curare, perché non esiste la sanità pubblica.

Bene, adesso lo state facendo su bambine e bambini di 9, 10, 12 anni, che voi marchiate come diversi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Il Governo intende intervenire o si riserva di farlo successivamente?

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare la Sottosegretaria di Stato per l'Interno, Wanda Ferro.

WANDA FERRO, Sottosegretaria di Stato per l'Interno. Grazie, Presidente. Sarà, ovviamente, mia cura, intervenire successivamente, in occasione delle giornate successive, ma credo che qualche chiarimento e anche qualche risposta vadano dati rispetto a una posizione con riferimento alla quale la normativa italiana nonché il racconto, soprattutto da parte di qualche collega, sono un po' differenti rispetto a quello che oggi si registra nel nostro Paese.

La normativa italiana in materia non è più restrittiva rispetto a quella in vigore in tanti altri Paesi europei e i dati di Eurostat del 2022, che credo siano certificati, certificano che l'Italia è al primo posto in Europa per la concessione di nuove cittadinanze agli stranieri. L'acquisizione della cittadinanza deve rappresentare l'esito, per quanto ci riguarda, di un percorso di integrazione. Per questo siamo contrari rispetto a quello che è stato fino a poc'anzi detto sul modo di arrivare alla cittadinanza. Proprio i dati Eurostat 2022 certificano che l'Italia è al primo posto in Europa per la concessione di nuove cittadinanze agli stranieri e, quindi, cambiare la normativa sulla cittadinanza non è una priorità imminente e in questa fase non fa parte del programma di Governo del centrodestra.

La cittadinanza italiana deve essere condivisa, per quanto ci riguarda, da valori, da tradizioni, da identità, da un sistema sociale e di leggi condiviso. Per questo, la cittadinanza andrebbe sempre e comunque richiesta, meritata e celebrata, e deve essere il punto di arrivo di un percorso e non un punto di partenza, come, invece, interpreta una parte politica. Soprattutto, la cittadinanza non è fatta soltanto di diritti, ma anche di doveri verso lo Stato e verso la comunità. La contrarietà che noi abbiamo espresso non è per banalizzare, tantomeno in un momento in cui l'Italia è investita da importanti flussi migratori irregolari. La cittadinanza per i ragazzi nati in Italia da genitori stranieri deve poter essere eventualmente richiesta una volta completato un percorso di integrazione scolastico, solo al compimento della maggiore età, ma anche in considerazione del fatto che non tutte le legislazioni nazionali prevedono la possibilità di avere la doppia cittadinanza. L'acquisizione della cittadinanza italiana da parte di un minorenne, tra le altre cose, potrebbe infatti determinare la perdita di quella del Paese di origine, con conseguenti problematiche a livello burocratico.

Credo che l'approfondimento delle mozioni che avete presentato sia un tema sicuramente molto delicato, anche perché voglio ricordare che l'acquisizione della cittadinanza incide non soltanto sul ragazzo, ma anche sul contesto familiare. Ad esempio, renderebbe impossibile adottare eventuali provvedimenti di espulsione per genitori e parenti conviventi, o, ancora, consentirebbe un numero esorbitante di ricongiungimenti.

L'Italia ha già una legislazione avanzata sul tema di riconoscimento della cittadinanza. Non a caso, come dicevo prima, è proprio il Paese ad averne dato, a livello europeo, negli ultimi 10 anni, il maggior numero. Le conseguenze della cittadinanza con delle potenziali criticità vanno altrettanto valutate: dicevamo dell'inespellibilità, all'articolo 19 del Testo unico sull'immigrazione, per cui non può essere espulso, salvo che per motivi di sicurezza, il cittadino straniero convivente con parenti entro il secondo grado e con il coniuge di nazionalità italiana. Pertanto, qualora un minore acquisisse la cittadinanza grazie a una procedura differente, renderebbe non espellibili i propri genitori, i propri fratelli e i suoi conviventi.

Il ricongiungimento familiare è molto più facile per chi è cittadino italiano: la direttiva 2004/38/CE, recepita dal nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 30 del 2007, disciplina in modo molto chiaro questa fattispecie. A differenza del ricongiungimento familiare tra cittadini extracomunitari, la procedura prevista per il congiungimento con un cittadino italiano è molto più semplice, ma sicuramente molto più rapida. La cittadinanza italiana si acquista - lo sappiamo - per ius sanguinis, cioè se si nasce o si è adottati da cittadini italiani.

La legge n. 91 del 1992, che è stata più volte citata, prevede che lo straniero, che è nato in Italia e vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età, diviene cittadino se dichiara di voler acquistare la cittadinanza italiana entro un anno dalla suddetta data. Sono previste anche una serie di facilitazioni proprio per raggiungere e mettere in campo questo procedimento. C'è un'ipotesi marginale di acquisto della cittadinanza, rispetto al fatto che si nasca nel territorio italiano da genitori apolidi o i genitori siano ignoti e non possano, quindi, trasmettere la propria cittadinanza al figlio secondo la legge dello Stato di provenienza.

Anche negli Stati dell'Unione europea la cittadinanza si acquisisce prevalentemente per ius sanguinis. In Europa, nessun Paese concede la cittadinanza in maniera incondizionata e automatica ai bambini nati sul territorio nazionale da cittadini stranieri. La condizione più comune per lo ius soli in Europa è che i genitori abbiano risieduto nel Paese per un certo periodo di tempo prima della nascita del bambino.

Quanto ai temi che saranno dibattuti, anche successivamente, rispetto allo ius soli, va sottolineato che nessun Paese europeo - questo non significa non dover fare un dibattito, approfondire e, ovviamente, anche ascoltare - lo applica in maniera automatica e quanti lo prevedono ancorano la possibilità di rilasciare la cittadinanza soltanto a chi è figlio di immigrato regolare. Se facessimo altrettanto in Italia, il Paese sicuramente avrebbe un numero di cittadinanze maggiori: tutti i figli di migranti irregolari non avrebbero accesso alla cittadinanza.

Aggiungo anche un tema che credo vada sottolineato, perché noi abbiamo raccontato, abbiamo ascoltato un racconto di un'Italia dove c'è una parte politica senza umanità, dove non si guarda al futuro, non si guarda al destino. Ne ho sentito parlare, con termini anche abbastanza forti, ma dimentichiamo che conosciamo perfettamente quello che è il migrare. Per chi mi ascolta, il mio accento non trae in inganno, vengo da una terra dove, come in tante altre terre in Italia, siamo emigrati per studiare, siamo emigrati per curarci, siamo emigrati per lavorare. Però, è chiaro che, accompagnarli è la vera integrazione, non dimenticando questi esseri umani il giorno in cui arrivano alla banchina di un porto e il giorno dopo vedendoli vagare come degli invisibili.

Allora, questo è il tema reale, che credo sia anche un tema molto attuale rispetto all'incontro di una leader come il Presidente Meloni, che non sta al traino di altri Paesi per le scelte da fare, per come ho sentito, ma semmai che, nell'incontro con Starmer, anche oggi, ancora una volta - e stiamo parlando ovviamente di un Primo Ministro laburista e, quindi, non posso essere tacciata di citarlo in modo strumentale -, dice che è molto più importante frenare le partenze che gestire gli arrivi. Credo che, da questo punto di vista, ci sarà quella collaborazione che è stata anche oggi annunciata. Questo significa che il termine delle cittadinanze non deve essere anche uno strumento per i famosi scafisti, per far arrivare migranti, sulla pelle di tante persone che poi lasciano la propria vita nel nostro Mediterraneo, con il miraggio della famosa cittadinanza.

Però, diamo dei numeri: nel 2022, l'Italia è stato il Paese nell'Unione europea che ha concesso il numero assoluto maggiore di cittadinanze. Nel 2022, i cittadini con background migratori che hanno acquisito la cittadinanza italiana sono stati 213.716, cioè il 76 per cento in più rispetto al 2021, quando erano diventate italiane 121.457 persone. I numeri del Ministero dell'Interno, per quanto riguarda l'anno 2023, fotografano una situazione analoga. Gli stranieri che hanno ottenuto la cittadinanza tricolore nel 2023, infatti, sono stati oltre 199.000. Tra coloro che hanno acquisito la cittadinanza italiana nel 2022, il 26 per cento sono ragazzi di età tra 0 e 14 anni. Se si considera anche la fascia di età dai 15 ai 19 anni, si arriva a comprendere il 37 per cento totale di tutte le acquisizioni.

Nel 2022 sono diventati cittadini italiani soprattutto persone originarie da: Albania, 38.000; Marocco, 31.000; Romania 16.000. Questi tre Paesi rappresentano il 40 per cento delle acquisizioni totali. Al quarto posto c'è il Brasile con 11.000, seguito da India, Bangladesh e Pakistan che, complessivamente, hanno registrato 20.000 nuove acquisizioni. È un dibattito importante ma che dura da oltre dieci anni, quello sulla riforma della cittadinanza per la modifica dei requisiti, per come acquisirla. Un confronto scandito da alcune tappe superate, in alcuni casi, con l'approvazione nelle Aule parlamentari di alcune proposte di legge senza, però, che si sia riusciti a completare l'iter in maniera definitiva.

Già nel 2015, infatti, alla Camera arrivò, con un via libera, insomma, un testo che prevedeva una forma di nuova cittadinanza, praticamente l'altra declinazione di quello che oggi, in qualche modo, viene definito lo ius scholae. Il provvedimento non arrivò a ottenere l'ok definitivo al Senato. Esso prevedeva l'acquisizione della cittadinanza per i nati in Italia da genitori stranieri, dei quali almeno uno in possesso del diritto di soggiorno permanente e del permesso di soggiorno di lungo periodo. Inoltre, la cittadinanza poteva essere ottenuta da minori stranieri nati in Italia o che avessero fatto ingresso, entro il compimento del dodicesimo anno di età, qualora avessero frequentato regolarmente il percorso formativo per almeno 5 anni nel territorio nazionale.

E così ci sono state altre tappe: penso a quella sulla cittadinanza del 2022, che passò dalla Commissione Affari costituzionali della Camera, però mai approdata in Aula per la fine anticipata della legislatura. Secondo questo testo la cittadinanza poteva essere concessa a minori stranieri nati in Italia o che avessero fatto ingresso entro il dodicesimo anno di età, residenti legalmente nel nostro Paese, che avessero frequentato regolarmente, per almeno 5 anni, nel territorio nazionale uno o più cicli scolastici presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione o a percorsi di formazione professionale e di istruzione. Secondo alcune stime, questo meccanismo - abbiamo fatto un calcolo - avrebbe consentito di far diventare subito italiani 135.000 studenti già presenti in Italia con un incremento annuale di 6.000-7.000. All'epoca, poi, fu presentato un emendamento da parte della maggioranza dove si chiese che avessero compiuto, per poter arrivare a questo risultato, almeno i due cicli scolastici presso istituti appartenenti al sistema nazionale di istruzione.

Oggi, io credo che, da questo punto di vista, non possiamo dire che questo Paese faccia figli e figliastri negando dei diritti che sono, ovviamente, giustamente, uguali, sia per i ragazzi che hanno la cittadinanza italiana che per coloro che ancora non l'hanno raggiunta. È un Paese dove, credo, la democrazia, la sensibilità, l'umanità non verranno sicuramente mai a mancare, ma dove bisogna anche cercare di approfondire per poter valutare la sostenibilità di tutto questo, attraverso quelle criticità, che dicevo all'inizio, che in qualche modo sono criticità dal punto di vista dell'espellibilità, ma anche di altri temi che vanno sicuramente tenuti presenti.

Oggi, come nelle legislature passate, io credo che ci sarà un approfondimento. Ho sentito citare, anche con riferimento al dibattito dell'altro giorno, uno dei nostri alleati con i quali credo ci sia stata chiarezza nella volontà di disquisire il tema, anche con un approfondimento; e ovviamente c'è stata anche una dichiarazione molto chiara che non si sarebbe prestato, diciamo, a fare una riforma sui desiderata dell'opposizione. Le riforme vanno fatte affinché possano, in qualche modo, dare un aiuto al nostro Paese, un aiuto ai tanti migranti regolari, un aiuto ovviamente a tutto il tessuto e a quella sostenibilità di cui parlavo prima. E ricordo che anche la stessa Elly Schlein, nel gennaio del 2024, dichiarava che bisognava usare una formula più coraggiosa: chi nasce e cresce in Italia è italiano, chiamiamolo ius soli o con un altro nome ma, per me, in qualche modo il PD - dice Elly Schlein - deve sostenere la formula più ampia possibile.

Non bisogna dimenticare che dare la cittadinanza a chi nasce in Italia, come spesso alcune forze politiche sottolineano, incitano e vorrebbero, finirebbe per mettere - ribadisco un tema del quale non ci dobbiamo mai dimenticare - sui barconi dei trafficanti migliaia di donne, di bambini, di donne in gravidanza, pronte ovviamente a sfidare i pericoli del mare, della traversata, per far nascere i figli nel nostro Paese. E credo che la vera scommessa sia quella, ovviamente, del Piano Mattei, la scommessa di far sì che possano realizzare nella loro terra un futuro migliore.

Voglio anche ricordare che stiamo lavorando nella direzione di migliorare l'incontro tra la domanda e l'offerta e, per quanto riguarda il lavoro che sappiamo necessitare in questo Paese, con un efficace decreto, come il decreto Flussi, e, ad esempio, con le quote regionali, il maggior controllo preventivo e la possibilità, in qualche modo, di formare, di parlare realmente di accoglienza, di parlare veramente di integrazione. Ciò per far sì che ogni cittadino diventi italiano non soltanto perché decide di farlo, perché non sia costretto a dover in qualche modo acquisire la propria cittadinanza e dover abbandonare quella del Paese di origine, e che ci sia la reale volontà di un Paese che nella parola “accoglienza” metta sostanza e non soltanto, troppo spesso, un titolo da riscrivere.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Prima di procedere al prossimo punto all'ordine del giorno, sospendo temporaneamente la seduta per 5 minuti.

La seduta, sospesa alle 17,25, è ripresa alle 17,33.

Discussione della mozione Caso ed altri n. 1-00315 concernente iniziative volte a garantire il diritto allo studio.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Caso ed altri n. 1-00315 concernente iniziative volte a garantire il diritto allo studio (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori (Vedi calendario).

Avverto che sono state presentate le mozioni Manzi ed altri n. 1-00318, Faraone ed altri n. 1-00319 e Sasso, Amorese, Tassinari, Pisano ed altri n. 1-00321 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritto a parlare l'onorevole Antonio Caso, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00315. Ne ha facoltà.

ANTONIO CASO (M5S). Grazie, Presidente. Io partirei proprio chiedendole un consiglio: se esiste, magari, qualche metodo, di cui lei è a conoscenza, per poter essere ascoltati da questo Governo, almeno una volta, perché è evidente - è evidentissimo - che tutte le azioni parlamentari (le mozioni, gli emendamenti, le proposte di legge, gli interventi fatti qui in Aula o in Commissione) non vengono prese minimamente in considerazione da questo Governo. Dico questo perché ci ritroviamo, per l'ennesima volta, a dover denunciare una situazione che era ampiamente prevedibile, dato che tutti sappiamo che ogni anno, a settembre, inizia la scuola.

Ancor di più dell'anno scorso, l'inizio del nuovo anno scolastico coincide con un vero e proprio salasso economico per le famiglie italiane. Il dramma del caro libri - ma, in realtà, dovremmo parlare in generale del caro scuola - sta colpendo con una violenza inaccettabile le famiglie e, dato che abbiamo costantemente avvisato la maggioranza, in questi mesi, anzi, per un anno intero, che si sarebbe arrivati a questo punto, ora, che vogliamo fare? Ci troviamo davanti, di nuovo, a questa situazione prevedibile; che vogliamo fare? Cosa vogliamo raccontare alle famiglie italiane in difficoltà?

Ci sono i numeri che parlano chiaro: secondo l'Osservatorio nazionale Federconsumatori, la spesa per il corredo scolastico, quindi astucci, zaini, quaderni, penne e così via, ha subito un aumento del 6,6 per cento rispetto al 2023, portandosi a ben 647 euro per studente; ma non è finita qui: il costo dei libri di testo ha subito anch'esso un'impennata inaudita, con un aumento del 18 per cento rispetto all'anno scorso, per un totale di 591 euro circa a studente.

Queste cifre non rappresentano solo spese, che si può scegliere se fare o meno, perché sono vere e proprie barriere economiche al diritto allo studio. Pensiamo ai genitori che devono comprare il materiale, i libri, per un figlio che inizia un ciclo scolastico, ad esempio la prima media, che si trovano a dover sborsare oltre 1.100 euro. La stessa cosa per un ragazzo o una ragazza che frequenta il primo anno delle scuole superiori: si arriva quasi a 1.400 euro ed è vergognoso. Un intero stipendio, anzi, purtroppo, in tanti casi, più di uno stipendio, per poter mandare un figlio a scuola.

Queste cifre sono ancora più insostenibili se pensiamo al contesto economico attuale, con il costo della vita che, in generale, è esploso, mentre intanto gli stipendi sono fermi al palo e abbiamo un Governo che di salario minimo non ne vuole proprio sentir parlare. Chi paga, quindi, tutto questo? Chi paga il prezzo più alto? Sempre gli stessi: le famiglie, i lavoratori, coloro che faticano ogni giorno ad assicurare ai propri figli una vita dignitosa. Non sono più solo gli ultimi - quelli che definivamo gli ultimi - ma si sta avvicinando a questa situazione anche la cosiddetta classe media.

Davanti a questi numeri, davanti a questa situazione, in che modo la maggioranza considera il diritto allo studio ancora un diritto, se rimane lì, ferma, inerte, a non fare niente? Forse, Presidente, è meglio iniziare a chiamarlo privilegio allo studio, perché - ripeto ancora - come dicevo, non si tratta solo di caro libri, che, in alcune fasce scolastiche, fortunatamente sono gratuiti, ma di caro scuola in generale, perché mandare ora un figlio a scuola significa, oltre che comprare materiale scolastico (quaderni, zaini, cancelleria), anche far fronte alle spese legate alla tecnologia. Infatti, nonostante la crociata ideologica del Ministro Valditara contro lo smartphone in classe, oggi le famiglie devono comunque acquistare tablet, computer e programmi vari, perché la didattica prevede anche questo, a scuola e a casa.

Questi dispositivi - sempre come ci ricorda l'Osservatorio nazionale Federconsumatori - impattano per una media di oltre 400 euro, con un aumento del 5 per cento rispetto all'anno scorso. Quindi, continua ad aumentare l'impatto economico per poter mandare i propri figli a scuola.

Presidente, chi oggi qui si stupisce che le famiglie siano schiacciate da questo caro scuola, chi si stupisce delle manifestazioni degli studenti, delle proteste degli studenti e delle famiglie dovrebbe cambiare mestiere. Non può fare né il Ministro né il parlamentare, né, tantomeno, può avere la responsabilità dell'Italia intera.

È un anno che sollecitiamo questo Governo e questa maggioranza ad intervenire, con le interrogazioni, il question time, le proposte di legge, gli emendamenti. Un anno in cui abbiamo avvisato che, inevitabilmente, questo momento sarebbe arrivato, ma l'unica cosa che questa maggioranza è stata in grado di fare dopo le nostre pressioni - non solo le nostre, ma anche di tante associazioni di categoria e dei sindacati - l'unica cosa che è riuscita a fare è avviare delle audizioni nella VII Commissione (Cultura), di cui faccio parte; audizioni che, però, sono finite in un nulla di fatto.

Con costanza, veramente con costanza, ogni settimana, in ogni ufficio di presidenza tenuto in Commissione, abbiamo chiesto di calendarizzare la nostra proposta di legge, a prima firma della collega Orrico, che va proprio in questa direzione: potenziare le comunità educanti e istituire una dote educativa, ovvero un sostegno alle famiglie lungo l'intero percorso di studio dei ragazzi e delle ragazze. Dopo un anno di insistenza, finalmente, siamo riusciti a calendarizzarla e presto approderà proprio in quest'Aula.

Vedremo, allora, cosa deciderà questa maggioranza: se continuerà a girarsi dall'altra parte, facendo finta di affrontare il problema, ma poi non facendo nulla, o se finalmente si deciderà ad inserire il diritto allo studio tra le sue priorità.

Perché, Presidente, l'atteggiamento di questa maggioranza è sempre lo stesso e l'ho rivisto anche in vari convegni organizzati dai sindacati, da chi lavora e vive il mondo della scuola. Purtroppo, ho dovuto assistere a delle situazioni - mi viene da dire - imbarazzanti, perché davanti al disappunto dei docenti, del personale scolastico, degli studenti, ho ritrovato sempre lo stesso atteggiamento: sguardo basso e voce tremolante. Si finge che si è disposti a collaborare con tutte le forze parlamentari, che non dovremmo avere colori politici, “lavoriamo insieme per salvare la scuola”, però poi arriviamo in Commissione, arriviamo in Aula e l'atteggiamento cambia.

Il dialogo è annullato, le voci delle opposizioni silenziate e si va avanti a colpi di maggioranza, senza minimamente discutere. La solita arroganza - mi permetta, Presidente - di chi fa della vigliaccheria la sua cifra politica. E se non volete, se non vogliono ascoltare noi, sentano almeno il Governatore della Banca d'Italia, che ha più volte dichiarato che occorre investire in capitale umano. E ora qual è l'investimento in capitale umano più importante che si può fare? Ovviamente, l'investimento in istruzione.

Però, bisogna sapere che, intanto, l'Italia spende meno di tutti per l'istruzione e, secondo l'ultimo rapporto dell'OCSE, la media di investimento rispetto al PIL, per quanto riguarda l'istruzione, è del 4,9 per cento; noi, Italia, siamo fermi al 4 per cento. Ed è questo, questo immobilismo che condanna le nostre scuole, condanna il nostro Paese e condanna, di conseguenza, l'intero Paese.

È ovvio, è chiaro che chi si laurea, chi va avanti ha maggiore possibilità di trovare un lavoro, un'indipendenza materiale dalla famiglia di origine e, magari, anche la forza di creare una propria famiglia, questo lo sappiamo tutti, è ovvio. E allora, per quale assurdo motivo siamo arrivati di nuovo a settembre, di nuovo all'inizio della scuola, di nuovo senza prevedere nulla per poter assicurare il sacrosanto diritto allo studio a tutti?

Presidente, un Ministro serio avrebbe, mesi fa, messo in campo delle azioni, si sarebbe preoccupato del caro scuola, e invece si è preferito dedicarsi ad altro, si è iniziato a sfasciare il concetto di scuola pubblica, per esempio assoggettandola alle aziende private con la riforma degli istituti tecnici e professionali, la cosiddetta filiera, iniziando, con il dimensionamento scolastico, ad accorpare le scuole, mettendo in difficoltà intere aree del nostro territorio, a creare un caos senza precedenti nei concorsi pubblici per il reclutamento dei docenti, a prendere in giro costantemente il personale ATA.

Un disastro a più livelli, che è riuscito a scontentare proprio tutte le categorie della scuola. Chiedo un po' a tutti quante volte, in questi 2 anni, abbiamo sentito la Presidente Meloni citare parole come scuola, istruzione e diritto allo studio. Ve lo dico io: praticamente mai, anzi, solo quando si è annunciato in pompa magna il famoso liceo del made in Italy, che poi si è dimostrato, nei fatti, un chiaro fallimento totale.

In compenso, però, abbiamo iniziato un po', anzi, con costanza, a sentire sempre la stessa ottusa richiesta diretta agli italiani: fare figli, fare figli, fare figli in nome di un patriottismo, in nome della Nazione. Però ancora non è chiaro alla Presidente Meloni che, se per mandare un solo figlio a scuola le famiglie sono costrette a indebitarsi, allora come si fa a dire “fate figli” in questa condizione? Non serve un genio per capire che questi sono i problemi.

Intanto oggi, in rassegna, possiamo leggere parole vittoriose del Ministro Valditara sul calo della dispersione scolastica. Bene, bene che il trend calante continui, chiaro, e ora non voglio stare qui a dire se è grazie a questa o a quella misura, fare una guerra dei meriti, dire che si è in linea con il trend; è un buon risultato e va sottolineato. Va bene festeggiare, ma dobbiamo avere tutti consapevolezza che la strada è ancora lunga e persistono ancora diversi motivi di preoccupazione.

Innanzitutto, il tasso di abbandono scolastico registrato nel 2023 resta comunque ai primi posti a livello europeo. In secondo luogo, la dispersione implicita, sì, è tornata fortunatamente sotto i livelli pre-COVID, ma il recupero non è ancora completo in materie chiave proprio come l'italiano e la matematica. Ma, cosa ancora più importante, il calo della dispersione esplicita e implicita non deve far trascurare i divari di varia natura che, purtroppo, restano all'interno del nostro Paese e su cui è urgente intervenire. Parliamo di gap sociali, di cittadinanza, di genere e, soprattutto, territoriali.

Divari territoriali che, purtroppo, un'eventuale attuazione dell'autonomia differenziata, inevitabilmente, accentuerebbe anziché migliorare; gap sociali che, inevitabilmente, sono legati ai bassi salari, è chiaro, e che si manifestano, poi, nell'ambito scolastico, soprattutto in questa fase di inizio anno scolastico, su cui da tempo stiamo chiedendo di intervenire. E la strada maestra, quella principale, è una sola. Innanzitutto, mai più tagli come quelli che abbiamo visto, illo tempore, con i Governi Berlusconi, con la riforma Gelmini, madre di tutti i tagli, ma soprattutto investimenti. Investimenti che, al di là del PNRR, da questo Governo non vediamo.

È la strada che avevamo provato a indicare nei Governi Conte, quando abbiamo investito 10 miliardi per garantire il più possibile il diritto allo studio durante il difficile periodo della pandemia, e ora già sento i parlamentari di maggioranza con la famosa frase “avete fatto i banchi a rotelle, voi siete quelli dei banchi a rotelle”. Le confido una cosa, Presidente: siamo davvero in difficoltà quando proviamo a ragionare con i colleghi di maggioranza della scuola e del mondo della scuola, perché ad ogni proposta, ad ogni critica, invece di entrare nel merito, si va sempre lì, rispondono sempre con la stessa cosa.

Voi pensate ai banchi a rotelle, e allora affrontiamola questa cosa una volta per tutte, perché c'è un falso storico che questa maggioranza prova a ripetere, con la speranza che forse, ripetendolo, magari diventi vero. Voglio raccontare qui un episodio, in merito, che mi è successo durante uno dei tanti gazebo fatti per raccogliere le firme contro il disastroso disegno dell'autonomia differenziata.

Mi si è avvicinata una dirigente scolastica, che è venuta a firmare e mi ha chiesto: “Ma i tuoi colleghi della maggioranza lo sanno che i banchi a rotelle, i famosi banchi a rotelle, di fatto sono utilizzati in tutta Europa per vari motivi? Ma soprattutto”, mi chiede, “lo sanno che è stata una richiesta esplicita dei dirigenti scolastici?”. Nel suo caso lei diceva: “Io, come dirigente scolastico, sul portale, quando ne ho avuto la possibilità, dovevo scegliere quali banchi volevo, quelli a rotelle o quelli tradizionali. Non lo sanno questo i tuoi colleghi di maggioranza? Perché continuano a raccontare cose false?”.

La risposta è semplice: certo che i colleghi sono consapevoli di come è andata, ma si tira fuori questo tema perché non sanno come affrontare i veri problemi della scuola, non sanno cosa rispondere e la buttano in caciara con queste strumentalizzazioni. È solo questo. Invece, Presidente, serve una vera e propria svolta sul mondo della scuola, serve avere la consapevolezza che tutto parte dall'istruzione e dal sacrosanto diritto allo studio, che c'è il bisogno di tutelarlo in ogni sua forma e soprattutto difenderlo da chi lo sta trasformando in un privilegio.

Da un'indagine di Save the Children è emerso che il 24 per cento dei ragazzi quest'anno inizierà la scuola senza aver potuto comprare il necessario come libri, zaini, quaderni e così via. Il 24 per cento! Il carovita e il mancato incremento dei salari reali stanno ovviamente mettendo sempre più in difficoltà le famiglie italiane, coinvolgendo in misura sempre maggiore, come dicevo prima, non solo più gli ultimi, ma anche la cosiddetta classe media. Se si fa fatica ad arrivare a fine mese, tra le prime cose che si tendono a tagliare c'è proprio la spesa per l'istruzione dei propri figli, e questo non possiamo permetterlo.

Quindi, a tutte queste famiglie che in questi giorni sono in seria difficoltà, che si stanno arrovellando per far quadrare i conti e spesso, purtroppo, non ci riescono, a queste famiglie che cosa gli diciamo? Che cosa gli vogliamo dire, visto che per l'ennesima volta - così come l'anno scorso e questa volta ancora peggio - ci troviamo, come Parlamento, senza soluzioni? Ve lo abbiamo ricordato per un anno intero e siamo di nuovo qui a parlarne; e proprio per questo, così come un anno fa, abbiamo presentato questa mozione, in cui chiediamo diversi impegni al Governo.

Innanzitutto, chiediamo di intervenire urgentemente con azioni forti e immediate per sostenere le famiglie nell'acquisto dei libri scolastici e del materiale necessario per affrontare dignitosamente l'avvio del nuovo anno scolastico, e, quindi, garantire pienamente il diritto allo studio; allo stesso modo, chiediamo di reperire risorse adeguate a garantire il diritto all'istruzione per tutte le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, perché, purtroppo, continua a esistere un grande divario tra Nord e Sud, ma anche tra varie aree della stessa regione. Quindi, assicurare una scuola veramente inclusiva, che coinvolga tutti, indifferentemente dalla situazione socioeconomica e non solo, lavorando seriamente sul tempo pieno, su strumenti utili veramente per colmare tutte le differenze che possono esistere.

Chiediamo anche di sostenere economicamente le famiglie durante tutto il percorso educativo dei figli, contrastando, quindi, tutte le disuguaglianze culturali e territoriali, anche proprio per ridurre e continuare a contrastare l'abbandono scolastico. Lo abbiamo sottolineato, noi abbiamo una proposta di legge che propone una dote educativa da destinare a tutte le alunne e gli alunni, a tutti gli studenti e le studentesse del primo e del secondo ciclo di istruzione. Infine, chiediamo di intervenire potenziando anche le comunità educanti, proprio per incidere ancora di più su un abbandono scolastico che, sì, sta lievemente migliorando, ma che, purtroppo, continua a esistere, anche soprattutto per andare a rimediare a quelli che potrebbero essere - e che saranno, se andrà avanti - i danni portati avanti dall'attuazione dell'autonomia differenziata, ma anche per far fronte a quello che è stato il dimensionamento scolastico che ha accorpato diversi istituti del nostro Paese.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Bakkali, che illustrerà anche la mozione Manzi ed altri n. 1-00318, di cui è cofirmataria.

OUIDAD BAKKALI (PD-IDP). Grazie, Presidente. L'indimenticato e indimenticabile Giancarlo Cerini, che era un uomo di scuola, un uomo che aveva lavorato al pensiero, alla pedagogia e alla progettazione della scuola italiana, proponeva una sessione del Parlamento dedicata ai problemi dell'educazione nel nostro Paese, uno o due giorni all'inizio di ogni anno scolastico, perché diceva che, così come i nostri massimi rappresentanti dovrebbero occuparsi dei nostri anziani, della nostra salute e del nostro lavoro, “spetta ai decisori politici apprestare le condizioni affinché la scuola sia messa in grado di realizzare un progetto alto, condiviso, non di maggioranza: una scuola della Repubblica”.

Queste parole, ovviamente, risuonano pesanti su quest'Aula, credo, come una grande responsabilità rispetto anche ai numeri e alle fatiche delle famiglie italiane che hanno varcato in questi giorni la porta delle scuole in tutta Italia. È una fatica che, tra l'altro, arriva dopo un'estate dove credo che uno dei temi fondamentali sia stato, rispetto alla sostenibilità dei centri estivi, organizzare quel pezzo di tempo dei bambini e delle bambine, anche e soprattutto nei contesti di povertà educativa e di marginalità. Quindi, la scuola diventa di nuovo e finalmente un luogo in cui ritornare. Si ritorna nel luogo e nella comunità educante e si torna nella scuola pubblica, e credo che quello che proviamo a mettere nella discussione, anche qui con una discussione spesso monodirezionale, ma qualcosa rimarrà in quello che diciamo e nella visione e nella prospettiva che proviamo a introdurre nel dibattito, si riassuma davvero in una frase. Davanti a noi abbiamo ciò che il Governo e il Ministro Valditara ci propongono come la scuola del merito.

Credo che, quando parliamo soprattutto di diritto allo studio, parliamo, invece, della scuola che tutti e tutte si meritano, che è una scuola che accoglie, che è una scuola che mette i servizi del diritto allo studio al centro.

Sono stata assessora per 10 anni nel mio comune, che è un comune capoluogo, e l'impegno, la frontiera e la prima fila sono spesso i comuni nell'erogazione di questi servizi relativi al diritto allo studio, che siano i temi che riguardano, in parte ovviamente, le erogazioni per la gratuità dei libri di testo, ma penso anche al tema del trasporto scolastico, della ristorazione scolastica, dei servizi, questo sì, che spesso dipendono dai comuni, dalle disponibilità, e penso anche solo ai servizi di pre-scuola e post-scuola, che sono tutte condizioni imprescindibili per mettere insieme la conciliazione delle famiglie e la qualità della didattica che le scuole offrono.

Nella nostra mozione credo che proponiamo questioni che devono essere rimesse al centro, rimesse nella priorità e nell'agenda di questo Ministero, perché di queste priorità non c'è traccia. Non vi è traccia nei bilanci, e lo stiamo dicendo, ormai in tutte le leggi di bilancio che abbiamo approvato e studiato non ci sono, in questo momento, strumenti per alleviare quella che è un'emergenza che attraversa tutto il Paese e tutte le famiglie. Questo è stato l'anno scolastico più caro di tutti gli altri e, quindi, tutto questo deve essere attenzionato e su questo bisogna avere proposte concrete.

Nella nostra mozione sono cinque gli aspetti che vogliamo affrontare e che vogliamo mettere sul tavolo. In primo luogo, il tema della gratuità dei libri di testo nelle diverse aree del Paese, aumentando le risorse nazionali destinate alla progressiva gratuità, a partire dalle famiglie con meno mezzi. Chiediamo di intervenire con misure dirette a garantire, in forma graduale e progressiva, la gratuità dei costi legati alla mobilità. Tante sono le sperimentazioni positive nel Paese, una gratuità che parte dai primi anni di scuola fino a tutta l'università, che è uno dei temi fondamentali per tantissimi ragazzi e ragazze, soprattutto per chi vive nelle aree decentrate, per chi vive lontano dalla città dove ha sede il liceo, la scuola superiore o la propria università.

Quindi, la mobilità è un tema che riguarda il diritto allo studio, sul quale abbiamo anche richiamato il Governo in un'altra mozione, quella sul trasporto pubblico locale. Perché questo è un tema che riguarda, ovviamente, tutta la popolazione, da chi si muove per lavoro, per salute, per studio; però, in questa, in particolare, l'attenzione è su questo tema e anche sul sostegno agli enti locali nell'organizzazione specifica dei trasporti scolastici. Pensate solo che in un comune, come il mio, noi avevamo 70 linee di trasporto scolastico per accompagnare, per andare spesso anche a recuperare bambini, bambine che vivevano in contesti di case isolate. Abbiamo un Paese complesso e articolato e, quindi, su questo dobbiamo porre massima attenzione, a partire dai nuclei più in difficoltà, dai bisogni speciali delle famiglie e degli studenti.

Un altro tema, anche questo che riguarda il diritto allo studio e la scuola che i ragazzi e le ragazze meritano - e credo che questo sia il cambio di visione necessario in questo momento - è il Fondo di solidarietà per i viaggi di istruzione. Questo è uno dei temi di discriminazione, spesso dovuto al disagio sociale, alla povertà dei nuclei familiari, lo dicevamo prima nella discussione sulla mozione per la riforma della cittadinanza rispetto alla povertà assoluta che attraversa le famiglie in percentuali variabili. Quindi abbiamo ragazze e ragazzi che rimangono a casa, mentre i propri compagni, magari, partecipano a viaggi di istruzione, che sono parte integrante della proposta didattica di un percorso ed è nostro compito, è compito della Repubblica, rimuovere gli ostacoli che non permettono la piena formazione a tutti e a tutte.

E poi, c'è il tema del tempo pieno: noi qui lo articoliamo rispetto al reperimento di risorse adeguate a incrementare, nella prospettiva dell'introduzione di un livello essenziale delle prestazioni che riguardi il servizio di refezione scolastica. Questo è un altro grande tema di disuguaglianza e che riproduce disuguaglianze nel Paese. A seconda del comune o della regione nella quale si nasce, si avranno meno o più possibilità di accedere a un tempo pieno, di avere una refezione scolastica, e ancora oltre. Per noi, la refezione e la ristorazione scolastica sono momenti educativi, momenti di socialità, momenti anche di intercultura, perché nei moltissimi comuni, spesso, grazie anche a coordinamenti pedagogici e al lavoro con le scuole, il momento di refezione è un momento di conoscenza reciproca con chi ha altre usanze e anche di educazione alimentare. Insomma, nella refezione scolastica non c'è solo un semplice servizio, ma appunto, per chi conosce il mondo della scuola e degli enti locali, quella è un'altra occasione educativa e di crescita della comunità.

E poi, c'è il tema - anche questo importante - della garanzia rispetto a un maggior numero di insegnanti, di presidi territoriali, dell'istituzionalizzazione della comunità educante e dei patti educativi di comunità diretti alla costruzione di reti tra scuole, Terzo settore, parrocchie, enti locali, fondazioni, supporto di educatori e assistenti sociali. Anche qui, sempre nell'ottica del contrasto alla povertà educativa, sempre in risposta a quella che dovrebbe essere la scuola della Repubblica, che è una scuola che deve tenere dentro alla comunità chi rischia di essere disperso, chi rischia di perdere queste occasioni di emancipazione, di crescita educativa, di mobilità, spesso, anche sociale.

Noi abbiamo posto molte questioni che riguardano, prettamente e concretamente, il tema del diritto allo studio, ma, ovviamente, non manchiamo di riflessioni. Anche dopo aver visto il messaggio video, a social unificati, del Ministero rispetto ai grandissimi risultati in tema di precariato, diamo una notizia: ci sono ancora tantissimi problemi dentro alle nostre scuole in tema di precariato, di algoritmi problematici, di cattedre scoperte, di sostegno. Non si dimentichi la riforma che danneggia chi ha frequentato il TFA regolarmente. Anche su questo ci vorrebbe maggior raccordo e coordinamento, anche qui, con i territori, rispetto al sostegno, ma anche a quella che è una risorsa importante, sempre più insostenibile per i comuni italiani, che è l'aiuto alla comunicazione, quegli educatori e quelle educatrici che supportano il lavoro all'interno delle classi.

Sì, continueremo a mettere in discussione le scelte, facciamo proposte e continuiamo proprio per questo anche a rilevare quelle che, per noi, sono criticità importanti, anche rispetto al percorso di questo Ministero e alle scelte assunte. Lo abbiamo fatto poco fa rispetto al voto in condotta, lo abbiamo fatto rispetto all'avvio della sperimentazione del “4+2” - anche qui, sempre con argomentazioni ed emendamenti precisi e costruttivi -, lo abbiamo fatto rispetto al liceo del made in Italy, sul quale non infieriamo e la chiudiamo qui. Non è piacevole dover ripetere spesso che ve l'avevamo detto su tante cose. E sì, ve lo abbiamo detto e i fatti ci stanno tristemente dando ragione.

I dati, quelli che ha dato il collega prima, rispetto alla dispersione e rispetto al caro, ci impongono un'azione, una strategia ampia, una strategia di investimento nei luoghi delle mancate opportunità, in quei luoghi in cui le agenzie educative sono in crisi, in cui i tassi di abbandono e dispersione sono elevati.

Anche qui, provando a cambiare l'approccio, quell'approccio punitivo che colpevolizza le condizioni di partenza di molti ragazzi e di molte ragazze per i propri contesti di origine. Basta andare a guardare i dati della dispersione e della povertà educativa che tocca i bambini e le bambine del nostro Paese. Questi sono - lo abbiamo detto in tanti - tra i più alti di Europa. Ci chiediamo, quindi, quale sia il merito a cui si pensa in questo momento. È quel merito per cui l'appartenenza a famiglie con minori opportunità economiche rischia di compromettere la possibilità di crescita, di futuro e di formazione delle generazioni più giovani? Qual è il supporto concreto alle famiglie che vogliamo dare per supportarle nel momento più importante e più strategico anche per il futuro del Paese, che è il momento in cui formiamo i ragazzi e le ragazze?

Quindi, per essere il più sintetica possibile e lasciare impressi i passaggi più importanti che abbiamo suggerito con questa mozione, vi richiamiamo a un cambio di prospettiva: diamo agli studenti italiani e alle studentesse italiane non la scuola del merito, come l'abbiamo vista sinora, ma veramente la scuola che tutti e tutte loro si meritano (Applausi del deputato Ciani).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Giovanna Miele, che anche illustrerà la mozione Sasso, Amorese, Tassinari, Pisano ed altri n. 1-00321, di cui è cofirmataria.

GIOVANNA MIELE (LEGA). Grazie, Presidente. Credo sia doveroso iniziare questa riflessione ricordando che, per noi, la scuola sostiene la crescita civile e la cittadinanza. È un luogo in cui nascono i primi sentimenti, le prime relazioni, gli affetti; non solo l'informazione e l'istruzione, ma veramente una crescita personale.

Noi crediamo in questa mozione, perché vogliamo che la scuola - sia ribadito - sia inclusiva. Inoltre, siamo orgogliosi, ma anche molto responsabili nel ricordare che il rapporto tra scuola e politica si sostanzia partendo dal presupposto che la prima è oggetto di intervento della seconda. Perciò, fin dal suo insediamento, il Governo ha prestato particolare attenzione ai settori dell'istruzione e della formazione, in coerenza con il dettato costituzionale che dedica tre articoli al diritto all'istruzione: gli articoli 3, 33 e 34. Il diritto allo studio è l'insieme di tutte le attività e gli interventi che servono a facilitare il percorso educativo scolastico di ogni studente, quindi, di tutti. Non è una realtà statica, ma è sempre connessa ai mutamenti sociali, culturali, economici e demografici che non riguardano solo il contesto territoriale, ma devono essere visti in una visione più ampia, in un quadro internazionale.

Il primo aspetto decisivo per comprendere e, quindi, capire le politiche scolastiche, è l'affermazione del diritto universale all'educazione e all'istruzione, che viene delineato nell'articolo 26 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948, che cita testualmente, tra le altre cose, che “ogni individuo ha diritto all'istruzione”. Un diritto che è l'insieme di tutte quelle attività - l'abbiamo detto - utili a facilitare il percorso educativo e scolastico di ogni discente, sin dagli asili nido, per dare a tutti l'opportunità di apprendere, senza discriminazioni economiche o di qualsiasi altra natura.

Nel diritto allo studio - e ce lo raccontano le amministrazioni comunali e le amministrazioni regionali - rientrano sia i servizi per l'accesso all'istruzione (quindi, le mense scolastiche, il pre-scuola, il post-scuola, il trasporto scolastico e l'educativa ad personam) sia quelli per l'approfondimento e l'ampliamento dell'offerta formativa. Questo Governo ha già adottato una serie di iniziative mirate a favorire gli studenti in situazioni di svantaggio economico-sociale, attraverso il rafforzamento delle misure di welfare dello studente, per combattere la dispersione scolastica, implicita ed esplicita, e per sostenere, quindi, gli alunni più fragili. Al riguardo, è stata introdotta, infatti, la figura del docente tutor. Inoltre, con il decreto-legge n. 71 del 2024, si è incrementata di 3 milioni, a decorrere dall'anno 2025, la fornitura gratuita dei libri di testo per gli alunni in possesso dei requisiti richiesti. Peraltro, l'articolo 27 ha fatto ancora di più: dà agli alunni meno abbienti la possibilità di utilizzare i libri di testo anche in comodato. Infine, con i piani di Agenda Sud e Agenda Nord di 220 milioni di euro e con il Piano Estate, che stanzia 400 milioni di euro, si sono previste progettualità e interventi dedicati a tutelare le famiglie meno abbienti e le peculiarità territoriali e circostanziali in contesti caratterizzati da maggiore disagio educativo. È una risposta pratica, immediata, che evidenzia una visione strategica e una conoscenza delle reali esigenze del Paese, senza demagogia, senza ideologie. E oggi il feedback ci arriva ed è evidentemente positivo, perché sappiamo, dai dati che ci sono stati forniti, che evidentemente la dispersione scolastica è diminuita.

Senza dimenticare l'attenzione per l'inclusione degli alunni stranieri: a prescindere dall'inclusione che ci viene reclamata e richiamata da tante parti politiche di questo Parlamento, e non solo, beh, noi siamo in grado di dirvi che abbiamo potenziato la didattica per recuperare il gap derivante dalla scarsa conoscenza della lingua italiana, che è il primo elemento di isolamento sociale e scolastico.

L'obiettivo principale di una politica attenta si focalizza sul diritto all'apprendimento, inteso come garanzia per lo studente di inclusione nel sistema di istruzione e, soprattutto, di successo anche nel percorso formativo: questo perché oggi è superata la visione di diritto allo studio e dobbiamo integrarla con la visione di diritto all'apprendimento. L'apprendimento e la crescita personale sono le vere espressioni di questo diritto. Equità di opportunità nell'apprendimento e nei percorsi formativi sono la sfida del presente e di questo Governo, che sta investendo molto per combattere l'abbandono scolastico e il disagio giovanile che ne consegue. Gli studenti che partono da condizioni di svantaggio socio-economico fanno sicuramente molta più fatica, perché la questione scolastica è fortemente connessa a quella sociale.

Pensiamo e lavoriamo per una scuola pronta a rispondere alle esigenze attuali, in cui il modello didattico - e finora non abbiamo sentito parlare di una visione di vera inclusione scolastica - parte anche dalla modalità di approccio educativo e formativo. Quindi, una scuola pronta deve rispondere a queste esigenze, abbandonando la modalità di trasmissione delle conoscenze con una lezione frontale in cui l'insegnante è in cattedra. Inoltre, i giovani devono essere supportati per raggiungere le competenze necessarie per il loro inserimento nel tessuto sociale e produttivo, attraverso una visione di scuola che veda una circolarità dell'informazione e una bipolarità tra studenti e insegnanti. Insegnanti, docenti, che sono il cuore pulsante delle scuole e sono chiamati, oggi più che mai - e fino adesso non ne ho sentito parlare - a innovare la questione metodologica, essendo questa centrale, alla base dell'intero processo che passa da insegnamento ad apprendimento. Oggi il focus si sposta sulla costruzione di percorsi e di modalità più adatte a sviluppare potenzialità per ogni discente e motivarlo ad apprendere.

Quindi, oggi ci troviamo di fronte a una situazione in cui la scuola è centrale nello sviluppo della comunità, è di supporto alle famiglie ma, soprattutto, fa i conti con classi sempre più eterogenee e sempre più poliedriche: pertanto, ha bisogno che venga supportata in questo lavoro. Per questo motivo, dunque, noi oggi facciamo un plauso a quello che sta facendo il Ministro, con una visione netta, chiara e determinata rispetto al sostegno con una scuola che non solo preveda informazione e nozioni, ma, soprattutto, sostegno.

Oggi sono emersi, quindi, questi bisogni, in cui, oltre alle grandi difficoltà, abbiamo grandi opportunità date dalla tecnologia, nonché dalla possibilità di fare esperienze attraverso il rapporto con gli enti territoriali, l'alternanza scuola-lavoro, il rapporto con le aziende e la sperimentazione dei giovani con il mondo del lavoro.

Siamo consapevoli che il diritto all'apprendimento esige un impegno costante, che passa attraverso servizi e iniziative a sostegno delle famiglie nell'acquisto dei libri scolastici, nella partecipazione ai viaggi di istruzione e alle visite didattiche: dunque, accesso con maggiore equità alle opportunità educative. Bisogna investire sulle mense, e lo stiamo facendo: è proprio di questi giorni l'uscita del bando che prevede risorse per i comuni per incrementare e migliorare le strutture delle mense scolastiche. Questa cosa, quindi, è già in essere ed è già tra le priorità di questo Governo; anzi, non fra le priorità, ma fra le cose che sta già facendo questo Governo. Utilizzo il termine studio e intendo richiamare una serie di concetti che a esso sono connessi: istruzione, educazione, formazione, edificazione del sapere, capacità critica e affermazioni di libertà. Sembra giusto sottolineare che il diritto all'istruzione passa attraverso il sostegno alle famiglie, che, finora, non ho sentito citare: famiglie che oggi hanno difficoltà economiche, ma anche educative. Tutto questo passa per il ruolo delle donne: donne che, attraverso il loro impegno per contribuire all'economia familiare e alla produttività del Paese, assumono, oggi, nella società un ruolo sempre più centrale e che, pertanto, vanno sostenute. Per questo, noi in questa mozione - e mi avvio alla conclusione - chiediamo di proseguire le iniziative poste in essere per l'acquisto dei libri, per i viaggi di istruzione, per le visite didattiche, per garantire equità nell'accesso alle opportunità educative e per garantire luoghi di confronto e di dialogo, anche attraverso il Terzo settore.

Inoltre, chiediamo di continuare a promuovere il dialogo intergenerazionale tra gli alunni; di assumere iniziative di competenza volte a consolidare il patrimonio dei valori, dei diritti e dei doveri; di adottare iniziative volte alle agevolazioni per le spese di istruzione; di valorizzare il ruolo degli insegnanti, attraverso iniziative per l'aumento di retribuzioni.

Tutto questo perché, per noi, non scholae, sed vitae, come dicevano i latini. Noi vogliamo che la scuola non sia solo un trasferimento di nozioni, ma che serva per la vita.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cangiano. Ne ha facoltà.

GEROLAMO CANGIANO (FDI). Grazie, Presidente. Innanzitutto, voglio fare gli auguri agli studenti italiani per l'inizio dell'anno scolastico.

Quando i nostri padri costituenti si sedettero intorno ad un tavolo per immaginare e disegnare la Nazione che saremmo diventati, partirono da un nucleo fondante di principi innegabili e inviolabili, che garantissero agli italiani di crescere come cittadini consapevoli, autodeterminati e liberi. L'istruzione, l'accesso all'istruzione costituisce uno di questi principi; non si poteva - e non si può - prescindere da esso nella definizione di uno Stato democratico, liberale e pluralista.

Il diritto all'istruzione, così come concepito, è un concetto complesso che si compone di relazioni, di dialogo, di interventi normativi, di responsabilità, di prospettive, che coinvolge diversi attori: alunni, famiglie, scuola, istituzioni centrali e periferiche, tutti insieme per realizzare quella alleanza educativa e formativa che vede al centro il suo esistere la persona e il suo sviluppo armonico e completo.

Compito di chi governa è creare le condizioni affinché questa alleanza educativa trovi terreno fertile per dare i suoi frutti, garantendo, al contempo, la scuola intesa come istituzione personale (famiglia ed alunni). Certo, ne sono cambiate di cose da quel lontano 1946, ed ogni cambiamento si riflette in modo paritario sul rapporto tra scuola e società, determinando fenomeni che, spesso, hanno messo a dura prova il diritto stesso all'istruzione, che deve partire da un principio di base immutabile: l'accessibilità e la fruibilità a prescindere dalle condizioni sociali ed economiche; un principio che questo Governo, attraverso l'azione del Ministro Valditara, ha fatto proprio sin dall'insediamento.

Tanti sono i provvedimenti che, in tal senso, abbiamo approvato, molti dei quali discussi proprio in quest'Aula; provvedimenti che hanno sempre avuto come stella polare la difesa e la valorizzazione del nostro sistema di istruzione che è tra i migliori al mondo.

Il primo obiettivo che ci siamo posti è stato proprio quello di rendere concreta l'accessibilità all'istruzione, intervenendo sull'annoso e gravoso problema del caro libri, o del caro scuola. Ma non solo. La pandemia ci ha consegnato una società cambiata, che, da un lato, ha imposto un nuovo modo di intendere il rapporto tra didattica, innovazione e tecnologia, mentre, dall'altro, ha contribuito a rendere più fragili e difficoltose le relazioni umane e personali, soprattutto tra i nostri alunni. È questo uno dei motivi alla base di quegli interventi finalizzati a supportare le scuole e le famiglie. Solo per citarne alcuni: avvisi pubblici a valere sui fondi PNRR, per consentire alle scuole di dotarsi di laboratori all'avanguardia, di aule innovative, di strumenti tecnologici; avvisi pubblici a valere sui Fondi europei, per creare momenti di socializzazione e integrazione anche in orario non scolastico; piano Agenda Sud, a cui ora si aggiunge il piano Agenda Nord, per superare i divari territoriali, contrastare la dispersione scolastica e regalare agli alunni una scuola oltre la scuola in cui sentirsi protagonisti; erogazione di un contributo economico per consentire agli alunni di partecipare ai viaggi di istruzione e alle visite guidate, vere e proprie tappe di crescita dei nostri studenti; agevolazioni per borse di studio sin dal primo ciclo di scuola, per entrare nel merito e permettere a tutti di scegliere secondo una inclinazione, e non secondo le esigenze; tutti i Fondi investiti per consentire agli enti locali di dotarsi di edifici scolastici nuovi e rinnovati, di mense, di palestre.

Poiché non bastano interventi strutturali a garantire un'istruzione libera e accessibile a tutti, questo Governo ha lavorato molto anche dal punto di vista delle pari opportunità e delle relazioni personali, per affiancare gli studenti in alcune delle fasi più delicate del loro percorso di crescita. È in questa direzione che vanno le competenze non cognitive, dall'affettività, all'empatia, all'educazione ai sentimenti e alle emozioni; percorsi finalizzati a rafforzare l'autostima degli studenti, a non temere gli ostacoli, a non sentirsi a disagio e a non esprimere sé stessi attraverso comportamenti lesivi per il resto della comunità scolastica.

Nella stessa direzione vanno anche le linee guida per l'insegnamento dell'educazione civica, emanate proprio qualche settimana fa dal Ministro Valditara, un progetto didattico e di vita che abbraccia i cambiamenti degli ultimi anni e li rende fruibili e comprensibili agli alunni e alle loro famiglie.

Si potrebbe dire tanto, perché tanto e altro è stato fatto in questi due anni di Governo, ma quando si parla di scuola, di istruzione, di alunni, ciò che conta non è soltanto quello che si è fatto, ma ciò che si intende fare nei prossimi anni. E noi oggi chiediamo al Governo e al Ministro Valditara di continuare sulla strada già tracciata, e di porsi obiettivi ancora più ambiziosi per perseguire quel benessere fisico e psicologico dei nostri studenti.

Con questa mozione, vogliamo continuare a sostenere le famiglie nelle spese per l'acquisto dei libri di testo; vogliamo che agli alunni non sia preclusa alcuna possibilità, a prescindere dalle condizioni economiche dei contesti di provenienza; vogliamo affiancare gli enti locali nell'opera di riqualificazione degli edifici scolastici e degli spazi di relativa pertinenza, che possano diventare punto di riferimento per le comunità scolastiche; vogliamo che la scuola, intesa sia come luogo fisico che come dimensione di crescita e di confronto, possa essere sempre più aperta al dialogo, all'esperienza, all'inclusione, al rispetto verso sé stessi e verso gli altri; vogliamo che vengano sempre garantite - in qualsiasi parte d'Italia e a chiunque lo voglia - le stesse opportunità di successo formativo.

E questo è quello che chiediamo oggi, un diritto all'istruzione che si coniughi nella quotidianità delle piccole e delle grandi cose, nel rispetto dei dettami della nostra Costituzione, e con l'obiettivo di contribuire a far crescere cittadini liberi e consapevoli (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Il Governo intende intervenire o si riserva di farlo successivamente? Si riserva.

Il seguito del dibattito è, quindi, rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge Mule' ed altri: “Istituzione della Giornata degli internati italiani nei campi di concentramento tedeschi durante la seconda Guerra mondiale” (A.C. 1835-A​) e dell'abbinata proposta di legge: Cavandoli ed altri (A.C. 1851​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 1835-A: “Istituzione della Giornata degli internati italiani nei campi di concentramento tedeschi durante la seconda Guerra mondiale” e dell'abbinata proposta di legge n. 1851.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1835-A​ e abbinata)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

La IV Commissione (Difesa) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Giorgio Mule'.

GIORGIO MULE' , Relatore. Grazie, Presidente Costa. Colleghi, il provvedimento che è oggi all'esame dell'Assemblea vuole istituire, il 20 settembre di ogni anno, la giornata degli internati italiani nei campi di concentramento tedeschi durante la seconda guerra mondiale. Ricordo che, nel periodo che va dalla crisi dell'estate 1943 alla cessazione della guerra, circa 800.000 italiani, militari e civili, vennero trasferiti, in maniera coatta, nel territorio del terzo Reich, per essere impiegati, come forza lavoro, nell'economia bellica tedesca. Il gruppo più numeroso, oltre 650.000 - Presidente, 650.000 - è quello degli IMI, sigla che sta per Internati Militari Italiani, la cui storia - tragica, troppe volte - ha inizio l'8 settembre 1943, il giorno dell'armistizio con le forze alleate annunciato da Pietro Badoglio, capo del Governo pro tempore. Costretti a consegnare le armi, migliaia di soldati vennero posti di fronte a una richiesta, a un bivio: continuare a collaborare con le truppe tedesche e con la Repubblica di Salò, costituitasi il 23 settembre, dopo la liberazione di Benito Mussolini.

Una limitata, limitatissima parte di soldati accetta; alcuni riescono a fuggire, altri vengono uccisi durante una serie di combattimenti. Circa 50.000 soldati, tra coloro che non accettano la collaborazione, perdono la vita nel corso della prigionia per malattie, denutrizione, esecuzioni e bombardamenti. È una storia tragica, è una storia sulla quale è calato l'oblio, per tanto, per troppo tempo, Presidente, e che riguarda una forma di resistenza, una resistenza senza armi, una resistenza che venne fatta nel nome degli ideali di libertà e democrazia, su cui si poggiano le fondamenta e i pilastri della Repubblica in cui viviamo.

Sono 650.000 soldati, 650.000 persone che, di fronte a quel bivio, dissero una sola parola: “no”. “No” a collaborare con il regime nazista, “no” a collaborare con qualsiasi forma di nazifascismo. Come precisato dall'articolo 1, comma 1, del testo approvato dalla Commissione, si ritiene, dunque, necessario - e dico, doveroso - conservare la memoria dei cittadini italiani, militari e civili, internati nei campi di concentramento, 21 campi di concentramento dove arrivarono nell'estate del 1943 con la divisa estiva e dai quali uscirono con la stessa identica divisa estiva; sottoposti a violenze fisiche e morali inenarrabili, delle quali è conservata traccia negli archivi, destinati al lavoro coatto a causa del loro rifiuto, fermo ed intransigente rifiuto, di collaborare con lo Stato nazionalsocialista e con la Repubblica sociale italiana.

La scelta della giornata del 20 settembre è stata definita tenendo conto che, proprio in questa data, nel 1943, la Germania nazista modificò unilateralmente per volere del Führer, di Adolf Hitler, lo status dei militari italiani, come forma di umiliazione estrema: da prigionieri di guerra - per togliergli i diritti dei prigionieri di guerra - in internati militari, cioè gli Italienische Militärinternierte.

Prima di illustrare le ulteriori disposizioni del provvedimento, premetto che il nuovo testo della proposta di legge n. 1835, gran parte elaborato nell'ambito di un Comitato ristretto, tiene conto anche del contenuto dell'abbinata proposta di legge n. 1851 della collega Cavandoli ed è il frutto della collaborazione vera, intensa, fruttuosa e corale di tutti i gruppi parlamentari in Commissione difesa, un lavoro che ha consentito di pervenire ad un testo condiviso da tutte le forze presenti in quest'Aula. Nel corso dell'esame in Commissione, inoltre, l'originaria formulazione del citato comma 1 dell'articolo 1 è stata ampliata, prevedendo che la Giornata abbia anche allo scopo di onorare la memoria di tutti i militari italiani uccisi a causa del rifiuto di collaborare con lo Stato nazionalsocialista e con la Repubblica sociale italiana dopo l'armistizio.

Presidente, solo pochissimi giorni fa, il 14 settembre, il Presidente della Repubblica, nella sua alta sensibilità di rappresentante di tutti gli italiani, ha ritenuto di tornare su questa pagina, descrivendo il 1944, l'anno successivo a quell'armistizio, come un anno carico di orrore ed ha aggiunto una cosa che va esattamente nella direzione della legge di cui noi oggi stiamo discutendo. Quando il Presidente dice: “Contemporaneamente prendeva forza il movimento di Resistenza al fascismo. Fascismo che, con il regime della Repubblica sociale italiana, era complice della ferocia nazista” e richiama quella che fu una resistenza anche dei militari italiani, non fa altro che richiamare la pagina di quei 650.000 militari che vennero internati nei campi di concentramento tedeschi.

L'articolo 1, comma 2 dispone in merito alle modalità per la celebrazione dell'istituenda Giornata, con il coinvolgimento degli organi competenti di province ed enti territoriali di livello equivalente, che avranno la possibilità di promuovere e organizzare iniziative e manifestazioni pubbliche, cerimonie pubbliche per il conferimento della medaglia d'onore ai cittadini italiani, militari e civili, deportati ed internati nei lager nazisti, di cui si prevede il conferimento nel successivo comma 3, con rinvio alla norma della legge finanziaria del 2007, che ne prevede i presupposti per il conferimento. Si potranno, inoltre, organizzare cerimonie pubbliche per la deposizione di una corona commemorativa presso l'Altare della Patria in Roma, nonché incontri, dibattiti, momenti comuni di ricordo e riflessione, ricerche e pubblicazioni. Iniziative che hanno, nel loro complesso, lo scopo di diffondere la conoscenza del valore storico, militare e morale della vicenda degli internati italiani, nonché il ricordo delle sofferenze indicibili ad essi inferte, in violazione di tutte le leggi di guerra e dei diritti inalienabili della persona e quale atto di coercizione, affinché si trasformino in un messaggio di pace rivolto soprattutto alle giovani generazioni. Si tratta di un insieme di iniziative che intendono essere senz'altro complementari con quelle previste per la Giornata mondiale di commemorazione in memoria delle vittime dell'Olocausto, il 27 gennaio, e l'anniversario della liberazione d'Italia, il 25 aprile.

L'articolo 2, comma 1, dispone che l'eventuale coinvolgimento delle pubbliche amministrazioni, delle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, nell'ambito della loro autonomia, delle università, nell'attività di promozione delle iniziative per celebrare l'alto valore storico, morale ed educativo della Giornata degli internati italiani nei campi di concentramento tedeschi sia stabilito attraverso apposite direttive da parte dei Ministeri dell'Istruzione e del merito, dell'Università e della ricerca, della Cultura, della Difesa e dell'Interno, nel rispetto della clausola di invarianza finanziaria di cui all'articolo 4.

I commi 2 e 3 disciplinano, invece, la partecipazione dell'Associazione nazionale reduci dalla prigionia, dall'internamento e dalla Guerra di Liberazione - la ANRP che, peraltro, qui a Roma ha un museo “Vite di IMI”, che è già meta di pellegrinaggio civico di decine di migliaia di studenti italiani e di nostri concittadini - e dell'Associazione nazionale ex internati (ANEI). Le attività celebrative, previste dall'articolo 1, comma 2, in particolare, stabiliscono che queste associazioni partecipano alle attività sulla base di un protocollo d'intesa con i Ministeri dell'Istruzione e del merito, dell'Università e della ricerca, della Cultura, della Difesa e dell'Interno.

L'articolo 3 dispone che la Giornata degli internati italiani nei campi di concentramento tedeschi non è considerata solennità civile, ai sensi dell'articolo 3, della legge 27 maggio 1949, n. 260.

L'articolo 4 introduce la clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che dall'attuazione delle disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e che le amministrazioni interessate provvedono a darvi attuazione con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

Mi lasci concludere, Presidente, in questo momento che riguarda soltanto la relazione, ringraziando ancora una volta tutti coloro che in quest'Aula, in Commissione difesa, al Governo si sono adoperati affinché si stabilisse questo nuovo momento di memoria condivisa, di riscatto per quei 650.000 militari italiani, che oggi vedono restituito, nella forma più solenne, con la discussione di questa legge, il loro sacrificio.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo, che si riserva.

È iscritto a parlare l'onorevole Andrea De Maria. Ne ha facoltà.

ANDREA DE MARIA (PD-IDP). Grazie, Presidente. Credo che noi stiamo scrivendo, in questa discussione generale e quando, poi, porteremo questo provvedimento in Aula per il voto, una pagina importante della nostra vita parlamentare, perché è una pagina che vuole ricordare, con questa legge, un'esperienza molto importante, che ha riguardato - veniva ricordato ora - 650.000 dei nostri militari, in particolare gli internati civili. Una pagina che è stata una pagina di resistenza e una pagina di antifascismo. Come veniva ricordato, noi vogliamo dedicare una giornata, in particolare, a quei militari italiani fatti prigionieri dall'Esercito tedesco dopo l'8 settembre 1943, che, di fronte alla richiesta di aderire alla Repubblica sociale italiana e di combattere con la Repubblica sociale italiana accanto ai nazisti, risposero con un rifiuto e si esposero per questo a una condizione di vita difficilissima: di prigionia, di lavoro coatto, di umiliazioni, di violenza. Tanti pagarono con la vita quell'esperienza e fecero una scelta di grande rilievo: di resistenza, di antifascismo, di ripudio e di rifiuto della collaborazione con la Repubblica sociale italiana.

La scelta della data non è casuale: è la data in cui Hitler tolse a quei militari lo statuto di prigionieri di guerra e, quindi, i diritti legati a quello statuto, anche se è vero che i nazisti, in tante occasioni, nei riguardi dei prigionieri di guerra quei diritti non li hanno applicati, pensiamo a quello che hanno fatto ai prigionieri russi o polacchi; quei diritti, sostanzialmente, i nazisti li applicavano ai prigionieri delle Forze armate dei Paesi occidentali. Fu, appunto, anche questo un atto di disprezzo verso i nostri militari e fu anche la scelta di ridurli in una condizione davvero di servaggio, di sfruttamento e di violenza, che è giusto ricordare in questa maniera, con una iniziativa istituzionale così rilevante. Il contesto storico era quello drammatico della Seconda guerra mondiale e di quello che è stato definito l'universo concentrazionario nazista.

L'onorevole Mule' citava il bellissimo discorso del Presidente della Repubblica di pochi giorni fa sul valore della Resistenza, su cosa sia stato il fascismo, su cosa sia stato il nazismo. Mattarella verrà - dico verrà perché è il comune di cui ho avuto l'onore di essere sindaco per due mandati - a Marzabotto il 29 settembre; è l'ottantesimo anniversario degli eccidi nazifascisti di Marzabotto e verrà, fra l'altro, con il Presidente tedesco. Pensando a questo e pensando alla giornata di oggi, penso sarebbe interessante, per tanti di noi, leggere o rileggere un testo di un grande italiano, don Giuseppe Dossetti, che è l'introduzione a “Le querce di Monte Sole”, che è un libro scritto da monsignor Luciano Gherardi e dedicato all'eccidio di Marzabotto, in cui Dossetti dà una descrizione molto interessante del nazismo che appunto ne aiuta a comprendere anche l'universo concentrazionario, come è stato definito.

Parlando della strage di Marzabotto, parla di delitto castale, cioè parla dell'idea nazista per cui il mondo si riorganizzava su una base razzista ed etnica, prevedendo l'estinzione di intere categorie di esseri umani (gli ebrei, i portatori di handicap, i disabili, gli omosessuali, i rom, i testimoni di Geova, gli oppositori politici) e destinava altre cosiddette categorie di esseri umani al lavoro coatto al servizio dei nuovi padroni ariani. Questo riguardava i popoli slavi e ha riguardato anche, dopo l'8 settembre, quei prigionieri militari italiani.

In questo dramma della storia umana che è stato il nazismo, c'è anche la tragedia, ci sono anche le responsabilità, grandissime, del regime fascista. Nella discussione pubblica, a volte viene propagata l'idea di un fascismo buono fino alle leggi razziali e all'alleanza con Hitler. In realtà, il fascismo fu fin dall'inizio un movimento di straordinaria violenza, che represse le libertà democratiche, la voglia di riscatto sociale del popolo italiano; stiamo tutti ricordando in questi giorni il centesimo anniversario dell'omicidio di Giacomo Matteotti.

Poi, il fascismo è stato un esempio per il nazismo tedesco. È col fascismo italiano che si è avviato un movimento europeo di cui ha fatto parte poi anche il nazismo di Hitler, tanto che Hitler ha sempre considerato Mussolini un suo maestro. Ha sempre disprezzato gli italiani, ancora di più dopo l'8 settembre, ma ha sempre mantenuto un legame strettissimo con Mussolini. Poi, quel regime è quello che ci ha trascinato in una guerra di aggressione: quando Mussolini disse che servivano qualche migliaio di morti da gettare sul tavolo della pace, l'Italia ha pagato quella guerra con più di mezzo milione di morti, con distruzioni immani, con quella tragedia che si è conclusa solo con la liberazione, il 25 aprile del 1945.

Dentro questa storia c'è anche il 25 luglio del 1943 e c'è anche l'8 settembre del 1943, quando, firmato l'armistizio, la monarchia, le classi dirigenti del Paese, i vertici militari abbandonarono i nostri soldati a se stessi; quella monarchia e quelle classi dirigenti che già avevano avuto una grande responsabilità nella nascita del fascismo. Ricordo che Antonio Gramsci parlò, riferito appunto alla fase di nascita, di crescita e di presa del potere da parte del fascismo, di sovversivismo delle classi dirigenti. Quelle stesse classi dirigenti e quella stessa monarchia abbandonarono a loro stessi i soldati italiani.

In quell'esperienza, in tanti di quei soldati, che erano cresciuti educati dal fascismo, crebbe una cultura antifascista, crebbe nella tragedia della guerra. Per esempio, in tanti di loro crebbe nella ritirata di Russia e, poi, crebbe nella reazione dopo l'8 settembre, a Cefalonia, a Porta San Paolo. Poi, crebbe, in questo caso, col coraggio di quegli internati militari italiani, quella grande maggioranza, che rifiutò di collaborare col nazismo e con il fascismo.

Per queste ragioni, come gruppo Partito Democratico, auspichiamo davvero che questa proposta di legge proceda con l'unità di tutto il Parlamento. Lo abbiamo sottolineato nella discussione in Commissione e lo faremo anche con alcuni emendamenti che abbiamo presentato e avremo modo di discutere quando torneremo per il voto, sostanzialmente per sottolineare due elementi: uno, lo accennava anche prima l'onorevole Mule', è la complementarità con le due date del 27 gennaio, Giorno della Memoria, e del 25 aprile, Giorno della Liberazione. Questo perché per noi, penso e spero per tutti noi deputati, quegli internati militari italiani fecero una scelta di resistenza e fecero una scelta di antifascismo. Quindi, quella loro scelta sta anche dentro le giornate del 27 gennaio e del 25 aprile.

Quindi, questa scelta di dedicare loro una giornata specifica è anche un modo - è vero - per recuperare un ritardo che c'è stato su questa memoria. Questo perché è vero che è stato uno degli aspetti della memoria e della Resistenza che a volte è stato poco al centro dell'attenzione della stessa attività delle istituzioni, però, è dentro un quadro complessivo che, come vede l'unitarietà del progetto nazista e dell'universo concentrazionario nazista, vede l'unità di chi, in modi diversi, scelse di combattere il nazismo e il fascismo e di battersi per la libertà del Paese. Quindi, la complementarità col 27 gennaio e il 25 aprile è un punto molto importante rispetto a come caratterizzare e costruire questa giornata.

Poi, vi è il pieno coinvolgimento delle associazioni che più hanno lavorato sul tema degli internati; abbiamo proposto il coinvolgimento dell'Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti e abbiamo sottolineato l'importanza di un pieno coinvolgimento di queste associazioni nell'ambito dei progetti che si metteranno in campo, perché sono associazioni che, in particolare sul tema degli IMI, hanno costruito competenze, un lavoro molto importante; già lavorano con le scuole, già promuovono momenti di approfondimento, di ricerca. Quindi, è molto importante che siano pienamente inseriti in questa legge.

Noi abbiamo anche ragionato su cosa era meglio fare, anche nel contesto politico che viviamo oggi nel Paese, e abbiamo pensato - personalmente ne sono davvero molto convinto - che tutte le volte che questo Parlamento si unisce per difendere i valori della Resistenza, dell'antifascismo fa una cosa molto importante e che tutti i gruppi parlamentari devono favorire questi momenti di unità su questi valori, perché questi valori, questa storia, questa memoria sono la base della nostra democrazia; sono la base della nostra Costituzione, che è nata dalla Resistenza e dall'antifascismo.

Questo impegno sulla memoria rappresenta un elemento fondamentale di solidità delle nostre istituzioni democratiche, perché le fonda nella storia del Paese, perché rafforza le radici della nostra democrazia, anche con la fatica di trovare i punti di equilibrio, di confrontarsi.

Devo fare un ringraziamento particolare all'onorevole Mule', perché è stato davvero un tessitore di questo lavoro. Fra i gruppi parlamentari abbiamo ritenuto che la scelta migliore fosse lavorare sul testo della legge e provare a farne una grande occasione di unità di tutto il Parlamento appunto per difendere i valori fondanti della nostra democrazia e della nostra Costituzione antifascista. Per questo sono contento del punto di arrivo a cui siamo arrivati fino ad ora e penso che potremmo giungere ad un voto unanime di tutta l'Aula, che rappresenterà una pagina importante della nostra attività parlamentare (Applausi dei deputati Casu e Mule').

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Calderone. Ne ha facoltà.

TOMMASO ANTONINO CALDERONE (FI-PPE). Presidente, signori colleghi. Questo provvedimento si occuperà della Giornata degli italiani internati nei campi di concentramento tedeschi. In discussione generale è d'uopo esaminare gli articoli che compongono l'apparato normativo. Però, mi consenta, Presidente, di evidenziare, prima ancora di commentare i quattro articoli di cui si compone questa legge, il valore della stessa, che credo sia l'aspetto più importante, così come anticipato sia dal signor relatore, sia dal collega che mi ha preceduto: il valore, o dico meglio, il suo alto valore morale, storico-educativo.

Questo perché ritengo fondamentale - e sono convinto lo riterranno in maniera corale l'Aula e tutte le forze politiche - tramandare, trasferire e comunicare ai nostri giovani e alle generazioni che verranno quello che di sbagliato è accaduto nei lustri, nei decenni, nei secoli precedenti.

Ciò perché la storia, che credo sia da mettere al primo posto nella scala degli insegnamenti, deve essere e deve costituire sempre, direi, eternamente, un valore assoluto per tutte le generazioni.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIO MULE' (ore 18,50)

TOMMASO ANTONINO CALDERONE (FI-PPE). Questa proposta di legge, all'articolo 1 prevede, come finalità, di far conoscere la memoria dei cittadini italiani, militari e civili, internati nei campi di concentramento, dove questi cittadini hanno subito violenze, badate, perché si rifiutarono di collaborare con il nazionalsocialismo dopo l'8 settembre. Quindi, non stiamo parlando di uomini qualsiasi, stiamo parlando di uomini con la schiena dritta, che furono internati perché si rifiutarono di collaborare con una delle forme più estreme, intollerabili di - non vorrei dire e non vorrei definirla neanche come tale -ideologia, quale quella del nazionalsocialismo. Badate, lo dico perché è necessario trasferire ogni cosa, ogni sensazione alle generazioni future, stiamo parlando di 21 campi e di 600.000 persone, e anche di più.

Il secondo comma investe gli enti locali del compito di promuovere e organizzare iniziative, manifestazioni, cerimonie e dibattiti. Certo, perché è il confronto, attraverso le manifestazioni, i dibattiti e le iniziative, che determina e cagiona conoscenza ed è questo un fatto fondamentale. Il terzo comma, come precisava il relatore, disciplina il conferimento con cerimonia pubblica delle medaglie d'onore previste dalla legge 296 del 2006, che è la legge finanziaria 2007.

L'articolo 2 stabilisce che tutte le scuole, di ogni ordine e grado, e anche le università devono essere, sono e saranno coinvolte per celebrare il valore storico ed educativo della giornata. Quali luoghi più opportuni, se non le scuole di ogni ordine e grado e le università? Sono previsti, ovviamente, e anche questa è stata una buona idea, protocolli d'intesa con i Ministeri.

La Giornata - stabilisce l'articolo 3 - non è considerata solennità civile. A questa Giornata parteciperanno varie associazioni nazionali dei reduci della prigionia e dell'internamento delle guerre. Il 20 settembre non è una data a caso, quella scelta, perché in quella data la Germania nazista, in maniera unilaterale - in quel tempo non poteva essere diversamente, ahinoi -, modificò lo status dei militari italiani da prigionieri di guerra a internati militari: 800.000 italiani, dall'estate del 1943 alla fine della guerra vennero trasferiti coattivamente nel territorio del Terzo Reich per essere impiegati come forza lavoro.

L'articolo 4, come è noto, pertiene all'invarianza finanziaria.

Si tratta, quindi, di una buona proposta di legge che, sono sicuro, signor Presidente e signori colleghi, verrà votata da tutto il Parlamento, perché è una proposta di legge che - desidero finire così come ho iniziato - che tramanda l'alto valore morale, storico ed educativo di questo 20 settembre. Ogni 20 settembre, di ogni anno, attraverso tutte quelle iniziative di cui ho fatto testé riferimento, insegneremo ai nostri giovani che da quel passato dobbiamo solo trarre qualche insegnamento, perché veramente non possa accadere mai più. Questo era l'orientamento, ovviamente poi, in dichiarazione di voto, signor Presidente, sarà pacifico l'orientamento del nostro, del mio partito, del nostro partito, Presidente Mule', cioè di Forza Italia, che voterà con convinzione questo apparato normativo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sergio Costa. Ne ha facoltà.

SERGIO COSTA (M5S). Grazie, Presidente. Intanto la ringrazio - in una nota appunto personale - per avermi consentito di essere qui, tra i banchi, e poter parlare per questa proposta di legge alla quale tengo particolarmente: nel corso del mio intervento ciò emergerà e, quindi, le sono grato per questa possibilità che mi ha fornito.

Riavvolgendo la storia, 81 anni fa, nel medesimo mese di settembre, come oggi, ci fu un momento tragico per l'Italia: 650.000 militari, come lei, da relatore, ha ben ricordato, e 200.000 civili subiscono l'onta della razzia, uso il termine corretto e lo posso dimostrare, perché questo è il documento originale che parla di razzia di questi 850.000 italiani (Il deputato Sergio Costa mostra un documento cartaceo). Di questi 850.000 italiani, svariate decine di migliaia morirono nei lager nazisti, sottoposti a violenza, a pressioni psicologiche e la cosa grave è proprio quella a cui lei ha accennato nel suo intervento da relatore, ovverosia quella della unilateralità con la quale il führer, il 20 settembre - e quindi è apprezzabile la data in cui noi vogliamo istituire la Giornata per gli internati - toglie l'onore ai militari della uniforme, cioè li derubrica a prigionieri militari, ma non con le garanzie della Convenzione di Ginevra del 1929. E io che ho fatto quarant'anni da militare e oggi mi trovo qui, sento questa umiliazione che, per chi ha vissuto l'uniforme per una vita, significa veramente uno sfregio, uno schiaffone in faccia a tutto quello per il quale noi abbiamo giurato, indossando una divisa.

A questi 650.000 che hanno avuto, io dico, l'onore oltre il coraggio di dire “no” - un “no” che significava, purtroppo, tanto: sapevano il rischio ma erano ragazzetti, non dimentichiamo, non uomini strutturati, ma ragazzetti, ragazzetti che hanno avuto quel coraggio e quella spregiudicatezza di dire “no” -, si aggiungono appunto 200.000 civili: 100.000 in giro per l'Europa e 100.000, come si usava il termine all'epoca, rastrellati, rastrellati in Italia.

Sono contento che questa norma sia stata arricchita da emendamenti che hanno dato anche una visione supplementare, che ci siano l'Associazione nazionale reduci dalla prigionia, l'Associazione nazionale ex internati, l'Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti, che potranno rappresentare e sostenere questa Giornata. Sono molto contento di questo, sono contento - e di questo ringrazio tutti, tutto l'arco costituzionale - che questa Giornata si ponga nella linea della Giornata della Memoria del 27 gennaio e di quella del 25 aprile. È complementare a queste due Giornate, è conservazione della memoria. Questo termine mi sta particolarmente a cuore, perché conservazione della memoria è un pilastro che va sempre conservato, a imperitura memoria, va sempre conservato come fondamenta della Repubblica.

Non c'è, però, Presidente, una conservazione della memoria se non c'è un racconto della memoria, perché altrimenti la conservazione rimane quasi di natura museale, in una teca. Invece no, va raccontata. Le dico di più: secondo me, non è nemmeno da raccontare, ma è da narrare, cioè da rendere come un romanzo, sempre descritto da colui che l'ha vissuta, la vive e che la cede poi agli eredi, che vengono via via nelle generazioni. Non uso per caso questo termine - lei sa che cosa significa - perché ho qui davanti a me la storia di un ragazzetto di 17 anni di nome Nicola, che narro qui in Aula, che il 27 settembre del 1943, nel cuore della città di Napoli, a piazza Dante, mentre andava all'università (a 17 anni era già iscritto alla facoltà di ingegneria della Federico II), viene rastrellato o razziato, nei termini ufficiali, dalla furia nazifascista.

Subisce le violenze del caso, viene portato in Germania e, a suo rischio e pericolo, scrive su questo quaderno - questo è l'originale (Il deputato Sergio Costa mostra un documento cartaceo) - il quotidiano della sua prigionia. Scrive il quotidiano della sua prigionia sapendo che era vietato farlo, perché la memoria i nazisti non volevano che fosse mai scritta. Questo quaderno ci dice pezzi di storia, ci racconta la narrazione: non è più solo conservazione, è vera narrazione nel quotidiano. Lei ha avuto modo di leggere poc'anzi qualche passo, che, con il suo permesso, molto rapidamente leggerò, per condividere con i colleghi che cosa significa narrazione, che va oltre la conservazione.

Quando questo Nicola scrive: “Abbiamo dato l'ultimo addio alla nostra Italia, qualcuno piange, siamo tutti tristi, abbiamo recitato per la prima volta il santo rosario, per chiedere la protezione del Signore”, stavano lasciando il Brennero per arrivare prima a Innsbruck e poi al lager a loro destinato. “La popolazione della stazione” - siamo a Innsbruck - “ci guarda con odio, sapendo che siamo italiani”. Mi consentirà altri due passaggi soltanto, che si soffermano sul quotidiano di un ragazzetto di 17 anni: “Che cosa mangio? Come sopravvivo oggi rispetto a domani?”.

Ci sono due passaggi che ci lasciano capire cosa tutto ciò significa nella mente di un ragazzino di 17 anni, quando dice che il suo rancio era un chilo di pane per 14 persone, quando dice: “La mia cena è una fetta di pane con due microscopici pezzetti di margarina e di salame”; oppure quando dice del viaggio, abbiate pazienza che lo trovo: “Nella stazione un sottufficiale dell'aviazione italiana aveva chiesto ad un tedesco che ora fosse e ha avuto come risposta uno sputo in faccia”; oppure, ed è l'ultimo che cito: “Siamo montati su un trenino, carrozza coperta e ben calda per i tedeschi, carrelli scoperti per gli stranieri. Molto freddo, lavoro di pala, caricare vagoni con terra, poi altri vagoni con pietre, nel pomeriggio abbiamo dovuto trasportare dei grossi travi di legno. Un nostro compagno è stato frustato a sangue sul viso e sulle mani dal capo, perché non aveva compreso un ordine dato in tedesco. Siamo avviliti”.

E così questo diario, scritto giorno per giorno, a rischio e pericolo, da questo ragazzetto di 17 anni, arriva fino all'aprile del 1945, in cui si libera, il lager viene liberato. Sono particolarmente legato a questo quaderno, ho quasi una gelosia fisica, perché quel ragazzino di 17 anni era mio padre, e ricordo i suoi silenzi, ricordo i suoi sorrisi affaticati quando è tornato. È morto molti anni fa. Ricordo, da adolescente - perdonate se condivido questo passaggio personale, a volte le delusioni della vita del quotidiano, da adolescente sembra che il mondo ti cada addosso -, nelle sue rare volte in cui rammentava questi passaggi, che lui mi riconduceva alla concretezza di una vita vissuta giorno per giorno, in cui diceva: “Io domani non sapevo se ci sarei mai arrivato. Rischiavo, scrivendo questo diario, ma domani magari non ci sarei stato. La tua pena di ragazzetto, di adolescente, riconducila ad un disegno molto più grande”.

E ricordo anche un passaggio, molto delicato, che mi è rimasto nel cuore, che è la prima volta che dico. Mio padre, in quelle occasioni, mi raccontava anche una cosa: “Io ero nel mio lager, a nord della Germania, e il lager dove ero era vicino ad un campo di sterminio. E ci sono state delle notti in cui noi vedevamo del fumo, lo annusavamo, sapeva di carne bruciata. Sapevamo che stava succedendo, non è vero che non si sapeva”. Loro lo sapevano, non potevano fare nulla, ma proprio per questo mi diceva: “Noi siamo fortunati, perché oggi lo possiamo raccontare. Il lager a fianco non lo potrà raccontare”.

Chiudo dicendo questo: questa norma fa onore a questi 650.000 militari e 200.000 civili, che, quando sono tornati in Italia, Presidente, non furono trattati bene. Ai militari fu chiesto di rimettere l'uniforme, e non come gesto di privilegio, ma per andare sul fronte di nuovo; ai civili non fu riconosciuto niente. Papà si è laureato in tre anni e mezzo in ingegneria, era considerato una mente particolare, ma tutto senza privilegi. Oggi è bello, finalmente, che lo Stato riconosca a tutte queste 850.000 persone ciò che è il privilegio di avere servito lo Stato in forma diversa. È il primo gesto di vera resistenza, la resistenza di chi ha sopportato il male ed è stato in grado di raccontarlo a nome proprio e a nome degli altri.

E allora le dico grazie per avere pensato a questa norma, che ho voluto anche firmare - lei sa perché - ma dico grazie a tutti i colleghi, e mi auguro che tutti voteranno questa norma, tutti, che ci sia un una voglia di riscatto di uno Stato che finalmente riconosce questa giornata. E auguro a mio padre di continuare il suo viaggio e poi di rivederci un giorno (Applausi).

PRESIDENTE. Grazie, Presidente Costa, per tutto quello che ha detto. Il suo papà è certamente nel pantheon dei giusti, quindi può andarne sicuramente fiero.

È iscritto a parlare l'onorevole Padovani. Ne ha facoltà.

MARCO PADOVANI (FDI). Presidente, onorevoli colleghi, onorevole Sottosegretaria, questa proposta di iniziativa parlamentare prevede di istituire il 20 settembre di ogni anno quale Giornata degli internati italiani nei campi di concentramento tedeschi durante il secondo conflitto mondiale. La scelta di codesta data è stata definita tenendo conto che proprio in quel momento, nel 1943, la Germania modificò unilateralmente lo status dei militari italiani da “prigionieri di guerra” a “internati militari”. L'articolo 1, comma 1, specifica altresì che tale riconoscimento è volto a commemorare il ricordo dei cittadini italiani, militari e civili, internati nei campi di concentramento nazisti a causa del proprio rifiuto di collaborare con il nazionalsocialismo dopo l'8 settembre del 1943.

Dopo quella data, infatti, un armistizio prevedeva che l'Italia cessasse di collaborare con i tedeschi, interrompesse le ostilità contro le truppe alleate, liberasse tutti i prigionieri di guerra e desse la disponibilità agli alleati di utilizzare il territorio per le operazioni di guerra.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SERGIO COSTA (ore 19,10)

MARCO PADOVANI (FDI). L'esempio rappresentativo in questo periodo furono senza dubbio gli IMI, gli Internati Militari Italiani, militari, ufficiali, sottufficiali e soldati catturati su tutti i fronti di guerra dove fino a quel momento costoro avevano combattuto a fianco dei tedeschi come alleati. Un gruppo numerosissimo, oltre 650.000 che, costretti a consegnare le armi, furono posti di fronte alla richiesta di continuare a collaborare con le truppe tedesche. Una parte accettò, altri riuscirono a fuggire, molti altri vennero uccisi durante una serie di combattimenti. Cinquantamila moriranno nel corso della prigionia per malattia, denutrizione, esecuzioni e bombardamenti. Considerati traditori e deportati in Germania, fu loro tolto lo status di prigionieri di guerra e non goderono, quindi, della protezione degli accordi internazionali, primo tra tutti la Convenzione di Ginevra, e neppure della tutela della Croce rossa internazionale e delle altre organizzazioni umanitarie. Molti di questi al loro ritorno in patria morirono di malattie contratte in prigionia. È doveroso ricordare che furono internati anche i Carabinieri della capitale, circa 2.000 uomini che furono definiti inaffidabili come Forze di Polizia, ma che valsero oltre 700 ricompense al valore e al merito civile, nonché la concessione della medaglia d'oro.

Questo provvedimento mi permette anche, però, di ricordare doverosamente, in maniera concreta e per onestà intellettuale, la triste storia di tutti i campi di concentramento, iniziata dalla fine del 1800 e prevalentemente fino alla fine della Seconda guerra mondiale in molte parti del mondo, con uomini e donne privati, anche in questo caso, della loro libertà. Appaiono evidenti, fin da subito, i metodi e le finalità di sistematica eliminazione dei prigionieri attribuiti già nel secolo XIX nella Guerra di secessione americana da ambedue le parti del conflitto e nel XX secolo da parte degli inglesi nella Seconda guerra boera, che vide in 30 mesi di conflitto il 50 per cento della popolazione deportata in 58 campi di concentramento, dove persero la vita 4.000 donne, 22.000 bambini e 1.676 uomini.

Nell'Unione Sovietica stalinista dal 1918 al 1987 furono creati e gestiti dal regime sovietico i cosiddetti gulag, utilizzati per punire gli oppositori politici e come strumenti di una politica del terrore praticata nell'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche per mantenere il potere e il controllo della società tutta. Mi preme portare anche il mio doveroso ricordo a tutti i militari italiani catturati in Africa dagli inglesi, sempre durante il Secondo conflitto mondiale, e detenuti nei campi di transito prima di essere definitivamente condotti verso i campi di internamento nelle colonie britanniche, molto spesso in condizioni non soddisfacenti, come descritto dalle molte testimonianze della Croce rossa e della Svizzera, Paese garante del rispetto dei diritti della Convenzione di Ginevra per i prigionieri italiani, dove le rapine e le vessazioni nei confronti degli internati italiani erano talvolta all'ordine del giorno.

Per quanto riguarda la Germania nazista, di cui oggi andiamo a discutere del provvedimento degli internati italiani, è facile intuire che le condizioni di vita e di lavoro erano, anche in questi casi, estremamente disagevoli, dove, a fronte di un intenso impegno lavorativo, non corrispondeva un'alimentazione adeguata, dove era praticamente impossibile procurarsi i prodotti per l'igiene personale, dove l'abbigliamento era insufficiente e la malattia era spesso una conseguenza diretta delle dure condizioni di vita. Una situazione, quindi, che poneva l'essere umano lontano da ogni condizione di vivere civile e umano.

Quindi, il comma 2 dell'articolo 1 di questo provvedimento ci porta a evidenziare le iniziative celebrative della Giornata degli internati italiani nei campi di concentramento tedeschi, in cui gli organi competenti, in ciascuna provincia o ente territoriale, dovranno promuovere e organizzare iniziative al fine di diffondere la conoscenza, il valore storico e morale della vicenda degli internati italiani, nonché il ricordo delle sofferenze a essi inferte in violazione di tutte le leggi di guerra e dei diritti inalienabili della persona.

Un messaggio di pace che questa giornata ci dovrà fornire, e che dovrà rivolgersi soprattutto alle nuove generazioni, nella promozione e organizzazione di manifestazioni pubbliche, cerimonie ed iniziative a testimonianza. Il provvedimento, al comma 3, prevede la medaglia d'onore ai cittadini italiani, militari e civili, deportati e dispone il coinvolgimento pubblico delle scuole di ogni ordine e grado e delle università, nelle attività di promozione delle iniziative previste. Un principio e una disposizione fondamentale, al fine di riconoscere e promuovere per i nostri giovani un futuro di memoria storica, nel solco di una costruzione di pace che anche questo Parlamento deve, con i propri strumenti, facilitare, sostenere e favorire. Un provvedimento che Fratelli d'Italia condivide pienamente e vuole celebrare in maniera convinta, ribadendo che la libertà è un diritto dell'uomo e dei popoli che non deve essere sottratto, né venduto, né ceduto e, quindi, insopprimibile (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1835-A​ e abbinata)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, il Presidente Giorgio Mule', che rinuncia.

Ha facoltà di replicare il Governo, che rinuncia.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Modifica nella composizione di gruppi parlamentari.

PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data 16 settembre 2024, il deputato Enrico Costa, già iscritto al gruppo parlamentare Azione-Popolari Europeisti Riformatori-Renew Europe, ha dichiarato di aderire al gruppo parlamentare Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE. La presidenza di tale gruppo, con lettera pervenuta in pari data, ha comunicato di aver accolto la richiesta.

Sui lavori dell'Assemblea.

PRESIDENTE. Ricordo che, nella giornata di domani, martedì 17 settembre, alle ore 12,30 è convocato il Parlamento in seduta comune per procedere alla votazione per l'elezione di un giudice della Corte costituzionale. La chiama avrà inizio dai senatori.

Interventi di fine seduta.

PRESIDENTE. Passiamo agli interventi di fine seduta.

Ha chiesto di parlare l'onorevole Andrea Casu. Ne ha facoltà.

ANDREA CASU (PD-IDP). Grazie, Presidente. Rappresentante del Governo, onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, vince solo chi custodisce e il calcio sociale lo dimostra ogni giorno. Giunga anche dalla Camera dei deputati, dal Parlamento italiano, forte, tutto il sostegno a Massimo Vallati e a tutta la splendida comunità di educatori, istruttori, accompagnatori sportivi, ragazze e ragazzi, intere famiglie che ha scelto di trasformare Corviale, prima rimboccandosi le maniche, poi scegliendo di scendere in campo direttamente, grazie alla straordinaria forza inclusiva dello sport per combattere degrado e criminalità, combatterli insieme, a testa alta, occhi negli occhi, per dimostrare che un campo di calcio può diventare un'immensa aula di educazione civica a cielo aperto, proprio dove ne abbiamo più bisogno.

Ecco, i delinquenti che, nelle scorse ore, hanno bruciato la macchina di Massimo non lo fermeranno, non ci fermeranno. Tutte le istituzioni devono reagire insieme, tutte le istituzioni stanno già reagendo insieme. Stamattina ho partecipato, insieme al presidente del municipio Gianluca Lanzi, all'assessore Veloccia, a rappresentanti di istituzioni diverse, di forze politiche e sociali diverse, a una bellissima manifestazione, con il Ministro Abodi, con la Fondazione Roma, per presentare gli interventi per completare gli spogliatoi e le tribune del campo di calcio a 11. Perché, come ci ha ricordato Massimo, ancora una volta oggi, servono azioni concrete per continuare a sognare insieme. Ma per vincere insieme la partita più importante è chiaro che non possiamo lasciare da solo Massimo, il calcio sociale deve continuare a crescere, questi progetti servono, ma non basta. Il Governo e il Parlamento tutto, tutti e tutte noi, dobbiamo andare anche oltre, attraversare idealmente via di Poggio Verde e sostenere con tutta la forza possibile, anche a livello nazionale, lo sforzo quotidiano del Municipio, del Comune, i progetti avviati dalla regione Lazio per portare avanti i tanti progetti di riscatto che tutta Corviale merita, che tutte le zone e i quartieri e i territori feriti che, anche grazie al lavoro della Commissione periferie, stiamo incontrando possano avere quelle risposte che necessitano. Perché la partita si gioca sicuramente grazie al calcio sociale, una partita importante, ma va giocata a tutto campo, e va giocata tutta Corviale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 17 settembre 2024 - Ore 9,30:

1. Svolgimento di interrogazioni .

(ore 14,30)

2. Seguito della discussione del disegno di legge:

Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento penitenziario. (C. 1660-A​)

Relatori: ALESSANDRO COLUCCI e MONTARULI (per la I Commissione) e BISA e PITTALIS (per la II Commissione), per la maggioranza; MAGI (per la I Commissione), di minoranza.

3. Seguito della discussione dei disegni di legge:

S. 613 - Ratifica ed esecuzione del Trattato di assistenza giudiziaria in materia penale tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica del Senegal, fatto a Dakar il 4 gennaio 2018 (Approvato dal Senato). (C. 1149​)

Relatrice: MARROCCO.

S. 563 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica del Ghana in materia di cooperazione nel settore della difesa, fatto ad Accra il 28 novembre 2019 (Approvato dal Senato). (C. 1150​)

Relatore: COIN.

S. 676 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica d'Armenia inteso a facilitare l'applicazione della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959, fatto a Roma il 22 novembre 2019 (Approvato dal Senato). (C. 1260​)

Relatore: BILLI.

S. 694 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica del Kosovo sulla cooperazione di polizia, fatto a Roma il 12 novembre 2020 (Approvato dal Senato). (C. 1388​)

Relatore: LOPERFIDO.

4. Seguito della discussione del disegno di legge:

S. 924-bis - Revisione della disciplina in materia di valutazione delle studentesse e degli studenti, di tutela dell'autorevolezza del personale scolastico nonché di indirizzi scolastici differenziati (Approvato dal Senato). (C. 1830​)

Relatrice: DI MAGGIO.

5. Seguito della discussione delle mozioni Bakkali ed altri n. 1-00314, Zanella ed altri n. 1-00317 e Baldino ed altri n. 1-00320 concernenti iniziative per una riforma della disciplina in materia di cittadinanza .

6. Seguito della discussione delle mozioni Caso ed altri n. 1-00315, Manzi ed altri n. 1-00318, Faraone ed altri n. 1-00319 e Sasso, Amorese, Tassinari, Pisano ed altri n. 1-00321 concernenti iniziative volte a garantire il diritto allo studio .

7. Seguito della discussione della proposta di legge

MULÈ ed altri: Istituzione della Giornata degli internati italiani nei campi di concentramento tedeschi durante la seconda Guerra mondiale. (C. 1835-A​)

e dell'abbinata proposta di legge: CAVANDOLI ed altri (C. 1851​)

Relatore: MULÈ.

8. Discussione della Relazione della Giunta per le autorizzazioni sulle richieste di deliberazione in materia di insindacabilità, ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, nell'ambito di un procedimento penale nei confronti di Vittorio Sgarbi (deputato all'epoca dei fatti). (Doc. IV-ter, n. 3-A)

Relatrice: DONDI.

9. Discussione della Relazione della Giunta per le autorizzazioni sulla richiesta di deliberazione in materia di insindacabilità, ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, nell'ambito di un procedimento civile nei confronti di Vittorio Sgarbi (deputato all'epoca dei fatti). (Doc. IV-ter, n. 8-A)

Relatrice: CAVANDOLI.

La seduta termina alle 19,20.