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Resoconto dell'Assemblea

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XIX LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 448 di lunedì 17 marzo 2025

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LORENZO FONTANA

La seduta comincia alle 14.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato Segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

GIOVANNI DONZELLI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 3 marzo 2025.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 76, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Annunzio della presentazione di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissioni in sede referente.

PRESIDENTE. Il Ministro per i Rapporti con il Parlamento, con lettera in data 14 marzo 2025, ha presentato alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e XI (Lavoro): «Conversione in legge del decreto-legge 14 marzo 2025, n. 25, recante disposizioni urgenti in materia di reclutamento e funzionalità delle pubbliche amministrazioni» (2308) - Parere delle Commissioni II, III, IV, V, VI, VII, VIII, IX, X, XII, XIII e XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Discussione del disegno di legge: S. 1359 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 gennaio 2025, n. 3, recante misure urgenti per assicurare la continuità produttiva ed occupazionale degli impianti ex Ilva (Approvato dal Senato) (A.C. 2285​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 2285: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 gennaio 2025, n. 3, recante misure urgenti per assicurare la continuità produttiva ed occupazionale degli impianti ex Ilva.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2285​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Le Commissioni VIII (Ambiente) e X (Attività produttive) si intendono autorizzate a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore per la Commissione ambiente, deputato Dario Iaia.

DARIO IAIA , Relatore per la VIII Commissione. Grazie, signor Presidente. Un saluto alla signora Sottosegretario e a tutti i colleghi. Un provvedimento importante, che ha interessato i lavori della Commissione ambiente e della Commissione attività produttive.

Un provvedimento importante, in quanto il Governo interviene nuovamente stanziando delle risorse in favore del gruppo ex Ilva. Si tratta di risorse fondamentali che arrivano a un ammontare di 400 milioni di euro - ci sono stati altri due provvedimenti in precedenza da 150 milioni ciascuno, quindi ulteriori 100 milioni, per un ammontare totale di 400 milioni - per garantire la continuità produttiva dello stabilimento ex Ilva, quindi per garantire la produzione dello stabilimento, ma anche il fatto che gli stipendi dei lavoratori siano regolarmente pagati.

Un provvedimento importante, anche perché la continuità produttiva - ed è stato chiarito anche dal punto di vista normativo - ha i suoi rilievi anche sull'aspetto ambientale dello stabilimento stesso e, soprattutto, del territorio tarantino.

L'articolo 1, al fine di assicurare la continuità operativa degli stabilimenti di interesse strategico nazionale, nel cui novero rientra l'ex Ilva, e la tutela dell'ambiente, della salute e della sicurezza dei lavoratori, dispone che l'amministrazione straordinaria dell'ex Ilva trasferisca all'amministrazione di Acciaierie d'Italia fino a 400 milioni, esattamente come detto. Questi 400 milioni rinvengono da quel patrimonio, cosiddetto destinato, derivante dalla confisca che qualche anno fa è stata esperita ed eseguita nei confronti dei Riva. Si tratta di risorse che sono state finalizzate al ripristino ambientale, ma normativamente anche a garantire la continuità produttiva dello stabilimento.

Il decreto-legge n. 19 del 2024, all'articolo 39, ha chiarito come il rischio di chiusura dello stabilimento, conseguente all'insufficienza delle risorse, nelle more della procedura di gara finalizzata alla cessione a terzi - gara che è, appunto, in corso e che è in fase di conclusione - sia rilevante anche dal punto di vista ambientale. Quindi, la continuità produttiva dello stabilimento non è assolutamente in contraddizione con quelli che sono i rilievi dal punto di vista ambientale e la norma stessa, all'interno del decreto-legge n. 19 del 2024, lo chiarisce in maniera assolutamente precisa.

Aggiungo come, nel presente decreto, venga assorbito un altro decreto-legge, il decreto-legge n. 3 del 2025, un provvedimento importante con cui si disciplina la procedura di riesame dell'autorizzazione integrata ambientale (vale a dire dell'AIA) alla luce di una fondamentale sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, che è stata emessa in data 25 giugno del 2024. Questa sentenza in sostanza impone come all'interno del procedimento per il rilascio dell'AIA o del riesame dell'AIA si debba tener conto anche della valutazione del rischio sanitario nell'ambito delle aziende e degli impianti di interesse strategico nazionale. Difatti, l'articolo 1-bis prevede l'aggiornamento, ogni 7 anni, del decreto ministeriale che individua i criteri metodologici per la redazione del rapporto di valutazione del danno sanitario. Si tratta di una novità importante che finalmente trova spazio all'interno della nostra normativa. Ed ancora, il decreto in fase di conversione prevede anche che, in fase di prima applicazione, l'aggiornamento, sempre con decreto, sia fatto entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.

Si aggiunga un altro elemento importante, ossia che nella procedura di riesame dell'AIA si devono prendere in considerazione gli elementi di valutazione di carattere sanitario rilevanti. Quindi l'aspetto sanitario, come detto, rientra in maniera importante nell'ambito della procedura sia per il rilascio dell'AIA, sia per il riesame dell'AIA stessa. Aggiungo che nella sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea ci sono diversi passaggi importanti ma uno che mi piace richiamare è il seguente: “Gli Stati membri sono tenuti a prevedere che una previa valutazione degli impatti dell'attività dell'installazione interessata tanto sull'ambiente quanto sulla salute umana costituisca atto interno ai procedimenti di rilascio e riesame di un'autorizzazione all'esercizio (…)”, ed è proprio quello che la norma prevede nell'ambito del procedimento di riesame dell'AIA. Ed ancora, nella sentenza, i giudici scrivono che “ai fini del rilascio o del riesame di un'autorizzazione all'esercizio (…) l'autorità competente deve considerare, oltre alle sostanze inquinanti prevedibili (…), tutte quelle oggetto di emissioni scientificamente note come nocive che possono essere emesse dall'installazione interessata, comprese quelle (…) che non siano state valutate nel procedimento di autorizzazione iniziale di tale installazione”.

Rileva anche l'articolo 1-ter che prevede che, nell'ambito della procedura di riesame dell'AIA, si tenga conto della valutazione di impatto sanitario, della VIS e che ciò venga valutato dall'Istituto superiore di sanità. Quindi, l'Istituto superiore di sanità entra in campo con la possibilità di esprimere un parere nell'ambito della Conferenza di servizi. Peraltro, non si tratta di un istituto nuovo in quanto nei procedimenti di valutazione di impatto ambientale (nei procedimenti di VIA) l'Istituto superiore di sanità già svolge attività analoga; e infatti ha già reso 60 pareri.

Concludo. Il presente decreto-legge prevede che la Commissione istruttoria per l'AIA sia integrata anche da un ulteriore esperto in materia sanitaria, designato dal Ministero della Salute. In ultimo, è importante l'intervento del Governo, in quanto vengono appostati ulteriori 80 milioni di euro per le bonifiche ambientali. Si tratta di risorse che vanno ad integrare quelle già previste con altri provvedimenti dal Governo, anche nell'ambito del Just Transition Fund, per Taranto e per le aree colpite da problematiche ambientali.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo.

FAUSTA BERGAMOTTO, Sottosegretaria di Stato per le Imprese e il made in Italy. Presidente, nulla da aggiungere.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zaratti. Ne ha facoltà.

FILIBERTO ZARATTI (AVS). Grazie, signor Presidente. Signora rappresentante del Governo, colleghi della maggioranza, ancora una volta dobbiamo fare una premessa che non vorremmo fare. Anche questa volta, oltre all'abuso di decreti-legge, di cui questo Governo, questa maggioranza si sta facendo in qualche modo alfiere (vi è un uso così spregiudicato, mi consentirà il Presidente di utilizzare una formula forte, di decreti-legge che sta ponendo il Governo Meloni come un Governo di record), a decine, si votano fiducie una dopo l'altra; arrivano decreti uno dietro l'altro, di fatto, espropriando il Parlamento del diritto-dovere di legiferare. Ma ultimamente abbiamo visto che la maggioranza si sta dilettando anche con un'altra insana - dal punto di vista costituzionale - abitudine, ossia quella di utilizzare i decreti e poi integrarli in corsa con ulteriori provvedimenti. Questo rappresenta non solo un malcostume che dovrà essere risolto e corretto; del resto, lo afferma la Corte costituzionale nell'ordinanza n. 30 del 2024, nella quale dice esplicitamente che questa tecnica normativa è una tecnica “tortuosa” e “frutto di un anomalo uso del peculiare procedimento di conversione del decreto-legge, che reca pregiudizio alla chiarezza delle leggi e all'intelligibilità dell'ordinamento, principi questi funzionali a garantire certezza nella concreta applicazione della legge”; ma è anche uno sfregio nei confronti del Parlamento, visto che la Camera dei deputati ha approvato ben due ordini del giorno, appunto, approvati dalla maggioranza e dall'opposizione, nei quali si stabiliva, in modo chiaro, che bisogna operare per evitare la confluenza tra diversi decreti-legge, limitando tale fenomeno a circostanze di assoluta eccezionalità da modulare adeguatamente nel corso dei lavori parlamentari. Invece notiamo che, sempre più spesso, questo veicolo viene adottato. Noi vogliamo ribadire, come sempre, il nostro punto di vista su questioni fondamentali che riguardano la democrazia reale che deve essere garantita al dibattito parlamentare e che, ancora una volta, ci tocca stigmatizzare il Governo e la maggioranza per un uso improprio della legge e dei regolamenti della Camera dei deputati e del Parlamento.

È stato detto dal relatore, per entrare nel merito della questione, che questo decreto va in qualche modo ad aumentare i fondi stanziati già nell'articolo 39 del decreto n. 19 del 2024, decreto che prevedeva, appunto, 150 milioni di contributi che potevano essere aumentati fino a 300 - ulteriori 150 - e che in questo decreto appunto si arriva alla somma di 400 milioni. Si tratta di somme a valere sulle risorse rinvenienti dalla sottoscrizione delle obbligazioni emesse da Ilva versate in apposito patrimonio destinato. Il 24 maggio del 2017 la gestione commissariale di Ilva sottoscrisse un accordo transattivo con esponenti della famiglia Riva, che ha permesso il trasferimento di circa 1,1 miliardi destinati alla bonifica ambientale.

Ora, questo è un po' il punto fondamentale, perché i fondi che arrivano dalla transazione erano esplicitamente destinati alla decontaminazione e al ripristino ambientale del sito di Taranto. Si tratta di risorse, Presidente, che secondo i principi di giustizia ambientale e di responsabilità storica dovrebbero essere prioritariamente impiegate per le operazioni di disinquinamento e decontaminazione del sito industriale di Taranto e per mitigare il grave danno ambientale causato dalle passate gestioni di quegli stabilimenti.

La contaminazione ambientale dell'area di Taranto, signor relatore, è ampiamente documentata da studi scientifici e da sentenze della magistratura che hanno accertato l'impatto devastante dell'inquinamento siderurgico sulla salute dei lavoratori e dei cittadini di Taranto. In questo caso lo Stato, invece di farsi carico di garantire la bonifica non effettuata dalla famiglia Riva, cui sono stati sequestrati e confiscati fondi e portati all'estero, continua ad utilizzare quelle risorse per alimentare la continuità produttiva di un'industria ancora connotata da gravissimi impatti ambientali e sanitari in quel territorio. È quasi una presa in giro.

Ma vi domando: può lo Stato consentire di aumentare il trasferimento di risorse per garantire la continuità produttiva di un'attività che mette in pericolo, come è accertato, la salute dei cittadini, con picchi di benzene che continuano a registrarsi nel quartiere Tamburi, senza alcuna assunzione di responsabilità o di verifica sulla riduzione del rischio cancerogeno per la popolazione esposta e per i lavoratori? Potete continuare a far finta di niente? Potete far finta che questo non esiste? Che quegli studi, quei dati, quelle denunce, quelle sentenze della magistratura siano state fondamentalmente inutili e che non vengano mai verificate e che il sequestro dei beni dei Riva finalizzati a questo vengano utilizzati per altre finalità?

In dieci anni, tra decreti-legge, commissariamenti, stati di insolvenza, amministrazioni straordinarie, scudi penali, finanziamenti e apporti di capitale siamo di fronte a un'azienda il cui passivo ufficiale supera 1,6 miliardi; pendono, inoltre, ulteriori richieste, da parte dei creditori, per oltre 650 milioni di euro, e lo Stato ha concesso, fino ad oggi, finanziamenti per oltre 2 miliardi, senza contare le risorse e i fondi di garanzia concessi alle imprese fornitrici del gruppo Ilva.

Uno sperpero, un utilizzo di denaro pubblico mai indirizzato a quello cui effettivamente dovrebbe servire, cioè il risanamento ambientale. Proseguire questo esborso di danaro senza fine significa privare i lavoratori e la città di Taranto delle risorse necessarie per poter finalmente operare, invece, in un'altra direzione, che è quella del risanamento ambientale del sito, e dare avvio al processo di riconversione di quel polo produttivo verso attività e tecnologie per la transizione energetica, ridando prospettive economiche e sociali all'intera provincia ionica.

Nella seconda parte del decreto, il Governo ha dovuto poi integrare la normativa - lo diceva anche il relatore - vigente in materia ambientale, con disposizioni specifiche per la valutazione dell'impatto del danno sanitario nell'ambito della procedura di rilascio e rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale, a seguito della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, che ha imposto l'inclusione di una valutazione predittiva del danno sanitario nell'AIA per gli stabilimenti strategici come l'Ilva. Il recepimento operato dal Governo pone evidenti limiti di efficacia e imparzialità, a cominciare dal tempo eccessivo con il quale il Ministero, in sede di prima applicazione, è chiamato ad aggiornare i criteri metodologici utili per la redazione del rapporto di valutazione del danno sanitario, inizialmente stabiliti in dieci anni e poi ridotti a sette, termine troppo, troppo lungo rispetto alla rapidità con cui avanzano le conoscenze scientifiche sul rischio sanitario.

Come si può affidare, poi, agli stessi gestori degli impianti, nell'ambito della procedura di rinnovo dell'AIA, il compito di predisporre lo studio di valutazione di impatto sanitario? Questo è assolutamente assurdo. Il MASE acquisisce, poi, il parere dell'ISS, Istituto superiore di sanità, costretto a esprimersi in tempi ridotti e senza ulteriori oneri di spesa, escludendo gli enti tecnici regionali competenti in materia di sanità e ambiente. Questo rende, di fatto, impossibile una valutazione seria del danno sanitario. Di questo voi ve ne dovete rendere conto, altrimenti quelle popolazioni, quelle persone, quegli uomini e quelle donne, quei bambini che continuano ad ammalarsi a Taranto, voi li state, ancora una volta, prendendo in giro.

Ma quello che desta maggiore indignazione è una norma transitoria, introdotta con l'articolo 1-quater, che dispone, nel caso di procedimenti di riesame dell'AIA in corso - come nel caso degli stabilimenti Ilva -, l'acquisizione del parere dell'Istituto superiore di sanità entro il 15 febbraio 2025 sulla valutazione di impatto sanitario prodotta dal gestore; la commissione ministeriale, inoltre, è chiamata ad esprimersi nei successivi trenta giorni e la determinazione conclusiva del rinnovo dell'AIA è rilasciata nei successivi trenta giorni.

Un'accelerazione del tutto inaccettabile della chiusura del rinnovo dell'AIA, stante la mancata ottemperanza di diverse prescrizioni dell'AIA originale, scaduta nel 2023, e il recente parere negativo dell'Istituto superiore di sanità sulla valutazione di impatto sanitario presentata dai commissari straordinari di Acciaierie d'Italia.

Il tentativo ignobile di arrivare al negoziato col nuovo acquirente di Ilva, con un polo siderurgico miracolosamente pulito e un'AIA attuata solo sulla carta, rappresenta l'ennesimo sfregio per le cittadine e i cittadini di Taranto, che in questi anni hanno continuato a vedere ammalarsi e a morire amici e parenti, qualcosa di cui il Governo si dovrebbe vergognare (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Milani. Ne ha facoltà.

MASSIMO MILANI (FDI). Grazie Presidente, buongiorno Sottosegretaria Bergamotto. Colleghi, oggi siamo nuovamente, per la quinta volta dall'inizio di questa legislatura e di questo Governo, a parlare del tema Ilva, ad esaminare, in particolare, un decreto-legge avente ad oggetto il rilancio dell'ex Ilva, ciò a conferma dell'assoluta determinazione che il Governo Meloni e il Ministro Urso stanno mettendo nel salvaguardare e rilanciare il più importante polo siderurgico italiano, un complesso industriale assolutamente strategico per la nostra economia e anche per la nostra sovranità nazionale.

Nei vari interventi che ci sono stati - a cui facevo cenno - sono state stanziate ingenti risorse, anche per contenere l'aumento esponenziale dei costi energetici, per salvare questo fondamentale impianto e l'occupazione, che per la città di Taranto è un fatto molto importante, un fatto socialmente importante.

Ma facciamo anche una breve storia di questo impianto. Nasce nel 1965, a Taranto, la più grande acciaieria d'Europa, quarta in ordine di tempo, quarto polo nell'Italia dell'epoca, che voleva e vedeva nella siderurgia una possibilità di sviluppo importante. Inizia a rifornire l'Italia e mezza Europa, diventando uno dei simboli dell'Italia e del boom economico. Era il 1975 quando l'impianto venne addirittura raddoppiato: 20.000 dipendenti e un potenziale produttivo di 11 milioni e mezzo di tonnellate di acciaio. Eravamo il secondo produttore d'acciaio in Europa, dopo la Germania. Arrivano gli anni Ottanta e qui la crisi europea e italiana della siderurgia si comincia a fare sentire, fino ad arrivare, nel 1995, in quella scellerata stagione - scellerata per come è stata condotta - di privatizzazioni. Questo impianto Italsider venne acquistato dal gruppo Riva, ed assunse il nome che oggi conosciamo, quello di Ilva. Fece scandalo, all'epoca, l'acquisto per un valore di 2.500 miliardi di lire, invece dei 4.000 miliardi previsti nella sua valutazione ufficiale. I Riva avrebbero dovuto rilanciare lo stabilimento - questo era l'impegno importante che lo Stato poneva all'acquirente -, ma negli anni Duemila iniziarono ad emergere problemi legali e, soprattutto, di impatto ambientale del polo siderurgico, perché quegli interventi previsti nel piano di vendita, non erano stati effettuati, anzi si era arrecato un danno ambientale importante a causa proprio dei mancati interventi di manutenzione degli impianti.

Nel 2012, l'acciaieria viene sequestrata per gravi violazioni ambientali e i vertici dell'azienda vengono indagati. C'era il Governo Renzi quando, nel 2015, l'Ilva passa in amministrazione straordinaria e viene introdotto lo scudo penale per mantenerla in funzione e affidarla a commissari, per cercare poi un acquirente. Il Ministro Calenda del successivo Governo Gentiloni, nel 2017-2018, inizia le procedure per cedere lo stabilimento ai privati, completate alla fine del 2018 con l'entrata del colosso siderurgico franco-indiano ArcelorMittal. Era nel frattempo arrivato il Governo Conte I e ci fu la cessione ufficiale del gruppo nel novembre del 2018. Ma anche qui le promesse di investimento e di rilancio non sono state rispettate e si è arrivato, da ultimo, a febbraio 2024, alla messa in amministrazione straordinaria anche di Acciaierie d'Italia, la società nata dall'ingresso di Invitalia - quindi, ancora una volta, lo Stato italiano che interviene in questa delicata situazione -, nel capitale sociale di AM InvestCo, la società operativa del gruppo ArcelorMittal.

Quindi da febbraio dell'anno scorso l'attuale situazione dell'Ilva, come vediamo, nasce in realtà da una lunga storia, una storia di almeno 25-30 anni di difficoltà e di passaggi di mano, con forti investimenti dello Stato italiano per salvaguardare questo importante presidio produttivo nazionale. Anche questa volta Fratelli d'Italia e il Governo Meloni sono in campo per salvare l'industria siderurgica italiana, invertendo la rotta, però. L'intervento dello Stato con il nuovo commissariamento temporaneo della società è necessario per far tornare lo stabilimento di Taranto nelle mani dell'Italia, per consentire a chi vorrà investire di fare dell'ex Ilva uno dei più grandi poli siderurgici di Europa e, soprattutto, un polo siderurgico verde.

Con questo decreto, quindi, dopo i due interventi precedenti già svolti nel 2024, andiamo a rifinanziare con ulteriori 250 milioni, provenienti dalla confisca ai Riva dell'ex Ilva, per consentire la continuazione dell'attività in vista della imminente assegnazione a uno degli offerenti. Ci sono state - è importante ricordarlo qui - anche diverse offerte. Sono arrivate circa 15 offerte, di cui 10 su parti del complesso industriale e 3 sull'acquisto dell'intera attività, dell'intera società e di tutte le sue controllate. Quindi c'è stato un discreto successo per questa procedura di vendita pubblica, che si è iniziata durante la scorsa estate.

Si inseriscono in questo decreto, poi, le procedure per il rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale, atto importante, senza, certo, come si diceva poco fa invece lenire l'attenzione o il rispetto per la pubblica incolumità. Viene introdotta e rilanciata, in attesa di nuovi criteri per la definizione della valutazione ambientale, la VIS, la valutazione di impatto sanitario, in maniera tale da dare agli uffici preposti al rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale, e in particolare al Ministero dell'Ambiente, adeguato supporto per poter rilasciare rapidamente questo tipo di autorizzazione, che è fondamentale, chiaramente, per la vita di un impianto così importante. Si stanziano, inoltre, 80 milioni per interventi di ripristino e tutela ambientale del contesto dove si trova il sito, quindi non solo all'interno, ma anche nel contesto, quindi nella città di Taranto e in tutta l'area conseguente.

Quindi, gli interventi sono corposi, ancora una volta, importanti; prevedono la presenza dello Stato in maniera forte, a tutela di oltre 10.000 posti di lavoro che ancora esprime questo complesso industriale, ma soprattutto per far sì che questo impianto industriale, che è strategico, è definito dalla legge nazionale già oggi polo strategico nazionale, possa continuare a vivere, ad avere produzione, a garantire i posti di lavoro, a garantire acciaio realizzato in modalità sempre più ecologica e, soprattutto, a garantire un presidio di produzione interna nazionale sul nostro territorio italiano. Grazie per l'attenzione. Grazie, Presidente (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Stefanazzi. Ne ha facoltà.

CLAUDIO MICHELE STEFANAZZI (PD-IDP). Grazie, signor Presidente. Il decreto Ilva, come è stato peraltro ricordato, è diventato una specie di appuntamento annuale; una tradizione di cui, però, credo che nessuno in quest'Aula dovrebbe andare fiero, perché vuol dire che, se ci troviamo ogni anno qui a rinnovare il decreto, resiste, direi maledettamente resiste, la piaga dell'Ilva a Taranto, con tutti i suoi drammi di natura industriale e sociale.

In questo momento, come è noto, Ilva è interessata da una nuova operazione di compravendita, e tutti ci auguriamo, evidentemente, che questa volta si possa arrivare a un lieto fine, che però non può essere chiaramente solo la firma sull'ennesimo contratto di acquisto, perché questa storia i tarantini e gli italiani l'hanno già vissuta e vorremmo evitare, francamente, per il futuro, che si ripeta. Ci piacerebbe che il nuovo acquirente non fosse un “Mittal 2, la vendetta”.

Chi comprerà l'azienda dovrà dare garanzie certe e solide soprattutto di essere nelle condizioni di investire per garantire quella transizione ambientale che può portare un'industria strategica per il nostro Paese a produrre acciaio in maniera compatibile con l'ambiente, senza più provocare gli immani lutti e drammi sociali che ha provocato, perché altrimenti sarà un capitolo, l'ennesimo capitolo, di una storia che abbiamo già visto e che, ripeto, come ho già detto, speriamo non si ripeta.

Faccio queste premesse perché il territorio tarantino - ma in realtà credo qualunque parlamentare pugliese presente in quest'Aula - vive questo passaggio con estrema frustrazione, perché, come è noto, a parte qualche velina di palazzo o qualche notizia di stampa, nessuno di noi sa nulla di come sta andando la trattativa per la vendita di Ilva, e ci sembra quantomeno paradossale che il territorio e i suoi rappresentanti siano tenuti fuori totalmente dalle informazioni relative all'avanzamento. Non credo, onestamente, che sia un comportamento che il territorio pugliese, in particolare quello tarantino, meriti.

Tuttavia, se il buongiorno si vede dal mattino, questo provvedimento non è certamente un buon viatico, anche per quello che potrà succedere in futuro. Perché, da un lato, ci si limita a ridurre e a sottrarre ancora risorse al cosiddetto patrimonio destinato, che, come è stato anche ricordato, dovrebbe essere destinato appunto alle opere di ambientalizzazione, e quindi con il paradosso straordinario, direi persino incredibile, che le somme che sono da destinare all'ambientalizzazione continuino a essere utilizzate per consentire all'impianto di produrre, in un loop storico che davvero è estremamente particolare e peculiare. In un luogo dove è stato fatto un processo per inquinamento del ciclo alimentare e dove si suppone o si immagina si debbano spendere soldi per un'ambientalizzazione e per un recupero di un'area martoriata, si continua ad alimentare lo strumento che perpetua quell'inquinamento.

Mi sembra una totale e completa follia, una pagina vergognosa, credo, per tutto il Paese, non evidentemente solo per una parte politica. Credo che la politica in genere abbia enormi responsabilità, tutta, per la vicenda di Ilva. Si è detto anche che il decreto recupera alcune delle linee e dei principi della sentenza della Corte di giustizia del 24 giugno scorso, ed è vero perché si prevede l'aggiornamento dei criteri per la valutazione di danno sanitario e la si fa rientrare anche nella procedura di riesame dell'AIA, però in una modalità del tutto peculiare, su cui tornerò a breve.

Intanto torniamo un attimo a questo patrimonio destinato, che, per evitare confusioni - lo ricordo a quei pochissimi interessati che sono in quest'Aula -, deriva sostanzialmente dal sequestro di un'ingente quantità di denaro alla famiglia Riva, con l'obiettivo dichiarato di utilizzare quelle risorse per l'ambientalizzazione e per consentire di bloccare il ciclo di inquinamento che ha portato a conclamate situazioni di drammaticità di natura sanitaria.

Nel corso delle audizioni tenute al Senato su questo decreto i commissari straordinari, però, ci hanno offerto un quadro davvero desolante dell'utilizzo di queste risorse, un miliardo e 164 milioni di euro. Di quel miliardo e 164 milioni, 325 milioni sono stati utilizzati per l'ambientalizzazione, e questa somma sale a 410 semplicemente perché una parte dei lavoratori sono stati pagati con quei soldi per lavorare per Ilva, ma per fare attività di ambientalizzazione interne alla fabbrica. Per il resto, con questi ulteriori 250 milioni che autorizzate in questo decreto, siamo arrivati a 550 milioni di euro, attraverso i quali la fabbrica continuerà a produrre.

Quindi il Governo - questo dobbiamo dircelo in maniera chiara, lo dico anche ai miei colleghi dell'opposizione - conferma una scelta: la produzione, anche con impianti obsoleti, deve andare avanti per far sì che chi compra possa farlo alle condizioni migliori dal punto di vista industriale - questo deve essere chiaro -, indipendentemente dal fatto che la fabbrica sia in grado o meno di interrompere il ciclo di inquinamento che ha provocato in questi anni. Ho la netta impressione che la Presidente Meloni si sia dimenticata che Ilva ha causato un inquinamento della catena alimentare, con conseguenze direi ormai permanenti su uomini, animali e piante.

Però, torniamo al tema delle autorizzazioni, perché è un tema peculiare che merita di essere approfondito. Intanto, occorre ricordare che l'AIA, quella attraverso la quale l'azienda sta ancora funzionando, è scaduta soltanto ad agosto 2023, cioè quasi due anni fa. Le nuove norme, quelle che stiamo esaminando, cercano di tradurre in legge i rilievi fatti dalla Corte UE e, peraltro, avanzati più volte in varie sedi dalla regione Puglia, perché si procede finalmente all'aggiornamento del decreto ministeriale che definisce i criteri metodologici da seguire per la redazione della VDS, ossia la valutazione del danno sanitario, includendo finalmente criteri predittivi, cioè quei criteri che, grazie al progresso della scienza, consentono di predire il rischio per la salute nei casi come quello di Ilva, con inquinamenti durati nel tempo. L'AIA, poi, dovrà essere redatta - questo lo dice il provvedimento - alla luce dei risultati della VDS, facendo in modo che l'autorizzazione integrale ambientale tenga conto degli elementi di valutazione sanitaria. Infine, si chiede - questo è il passaggio più interessante - al gestore dell'impianto nelle more di predisporre una valutazione di impatto sanitario in attesa dell'aggiornamento dei criteri della VDS.

Però, queste pur corrette previsioni sembrano viziate da diversi aspetti tecnici, che abbiamo cercato di correggere in tutto l'iter di esame del provvedimento. Il primo e più importante - credo in assoluto il più significativo - è che la regione e, in particolare, ARPA, Ares e le ASL sono completamente escluse dall'ambito di valutazione del rapporto della VDS. Francamente, questo è un errore incomprensibile e preoccupante, considerato il contributo che, spesso in assoluta solitudine, gli organi regionali hanno offerto in questa lunga agonia di Ilva, organi che, come è noto, si sono occupati, in maniera direi quasi esclusiva in alcuni casi, delle tematiche relative all'Ilva e che hanno realizzato studi, con alcuni tra i più importanti istituti di ricerca mondiali, che hanno dimostrato - e anche questo è un dato incontrovertibile di cui il Governo non tiene conto - che c'è una diretta corrispondenza tra l'incremento, per esempio, delle patologie oncologiche o addirittura tra l'aumento delle malattie dello spettro autistico con le emissioni e con l'inquinamento della catena alimentare a Taranto.

In secondo luogo - e questo è l'altro elemento che desta inquietudine -, la VIS, che, come ho detto, sostituirà la VDS nel breve periodo in cui verranno aggiornati i criteri, fa riferimento esclusivamente ai criteri del decreto legislativo n. 155 del 2010, che, però, riguardano in maniera esclusiva gli aspetti di qualità dell'aria. Dunque, mi chiedo come sia possibile - ma veramente questa è una questione di buonsenso, devo dire - immaginare che quei criteri, quelli relativi all'inquinamento dell'aria, siano sufficienti per descrivere e per inquadrare un inquinamento la cui natura chiaramente non è solo legata all'aria ma è un inquinamento che, come è stato detto e come è stato dimostrato in sentenze, in atti depositati e in perizie di tutti i tipi, ha già compromesso la catena alimentare. Quindi, è una mancanza di lungimiranza e di prospettiva che è incomprensibile, salvo che, come ho detto, non serva a consentire all'acquirente di non avere l'impiccio di andarsi a impelagare con procedimenti autorizzativi o di valutazione troppo complessi, perché il concetto rimane sempre lo stesso: si accomodi qualcun altro al posto di Mittal e cerchiamo di far entrare questo qualcun altro senza arrecargli troppo disturbo.

Io voglio soltanto leggere, perché è importante, quanto ha detto l'Istituto superiore di sanità rispetto alla VIS presentata dagli attuali commissari di Acciaierie d'Italia (è brevissimo): “Il rischio sanitario è stato gravemente sottostimato, poiché gli scenari emissivi analizzati non includono alcuni inquinanti rilevanti per la salute pubblica. Inoltre, la valutazione dell'esposizione per via orale, che dovrebbe stimare il possibile impatto della contaminazione sulla catena alimentare, è risultata carente e limitata a pochi contaminanti e alimenti”. Lo dice l'Istituto superiore di sanità ed è la stessa conclusione a cui è arrivata la VDS della regione Puglia nel 2024.

A questo punto, come ho detto, il dubbio che si voglia consentire al fantomatico acquirente di non avere troppi ostacoli, di non frapporre troppi ostacoli e, quindi, di andare a vendere la merce, rappresentata da Ilva, nel modo più rutilante possibile diventa quasi una certezza e ritornano in mente, devo dire con grande tristezza, alcuni scenari confusi e anche misteriosi che hanno accompagnato le trattative fra l'allora Ministro Fitto e Mittal, con quei patti segreti e concessioni alla multinazionale franco-indiana. In quel caso a Mittal fu consentito di proseguire l'agonia produttiva di Ilva fregandosene in maniera chiara dell'ambiente, in un balletto umiliante fra un Ministro, Raffaele Fitto, che sottraeva a un altro Ministro, Urso, il dossier, salvo poi scappare a Bruxelles con la sua valigia carica di fallimenti e quella confusione non è mai stata chiarita dal Governo. Questo provvedimento appare, in maniera inquietante, preordinato proprio ad autorizzare un assetto produttivo indipendentemente dal fatto che esso sia realmente compatibile con l'ambiente. Per questo, peraltro, alcuni soggetti, tipo l'Istituto superiore di sanità, possono dire la loro, ma senza che questo parere sia minimamente vincolante e altri, come la regione Puglia, devono stare fuori da quel tavolo, non devono entrare in contatto con la procedura di valutazione, perché - ripeto - possono creare danni alla trattativa che, in questo momento, è l'asset principale su cui il Ministro Urso cerca di fondare la vendita di Ilva.

In sede di esame, sia alla Camera sia al Senato, abbiamo avanzato decine di proposte emendative, tutte strettamente mirate a migliorare questo testo e a garantire - e lo diciamo in maniera chiara - non la chiusura di Ilva, ma la possibilità che finalmente Ilva produca acciaio, che è strategico per il Paese, in maniera rispettosa dell'ambiente e senza ammazzare i tarantini. Emendamenti per correggere le richiamate storture di tipo tecnico, affinché le procedure di valutazione siano davvero capaci di incrociare i rischi per la salute e per l'ambiente, emendamenti per ripristinare le risorse sottratte alle bonifiche e garantire, comunque, altri soldi per gestire la fase di transizione per la cessione, emendamenti per coinvolgere gli enti locali, emendamenti per trasformare in legge le confuse dichiarazioni del Ministro Urso rispetto alla partecipazione dello Stato nella nuova società, emendamenti per rendere più sicura la fabbrica per tutti coloro che ci lavorano, emendamenti per rendere cogente l'impegno che tutti noi abbiamo preso con Taranto per la decarbonizzazione, perché, a prescindere dal livello di produzione, un fatto è innegabile: è proprio il ciclo integrato, è proprio la presenza del carbone che rende quell'azienda incompatibile col territorio. Questa cosa prima la capite e prima riusciamo a ripartire con un impianto che - ripeto - è strategico per il nostro Paese.

Tutti questi emendamenti, ça va sans dire, sono stati respinti e lo scenario devo dire che è molto fosco, perché la strategia è fatta da un Ministro che passerà alla storia per essere quello del calo della produzione industriale ininterrotto da 24 mesi, ma soprattutto - questo consentitemi di dirlo, perché riguarda anche la Puglia - è lo stesso Ministro che ha consentito a ENI di liquidare la chimica di base e poi lo stesso giorno ha fatto un comunicato stampa rutilante in cui aderiva alla rete degli Stati europei per promuovere e tutelare la chimica di base (un Ministro quanto meno confuso). L'obiettivo, quindi, è la cessione di Ilva col minimo di garanzie per il territorio e per l'ambiente e il massimo di rassicurazioni per chi acquisterà. Buona fortuna a tutti noi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ferrara. Ne ha facoltà.

ANTONIO FERRARA (M5S). Signor Presidente, onorevoli colleghi, membro di questo Governo dei miracoli mancati, ancora una volta siamo qui e ancora una volta il destino dell'Ilva viene discusso senza il Ministro Urso. Perché scomodarsi? Perché assumere la responsabilità di una crisi che, anno dopo anno, è diventata il simbolo dell'incompetenza e dell'ipocrisia di questa maggioranza? Meglio lasciare tutto alla sorte, al solito teatrino dei prestiti a perdere e delle promesse vuote, mentre Taranto soffoca sotto una cappa di inquinamento e disperazione.

Intanto, i commissari cambiano più spesso delle stagioni, i fondi pubblici scorrono a fiumi, ma le decisioni strategiche continuano a essere rimandate. Un copione che si ripete. L'ennesima presa in giro ai danni dei cittadini. Più soldi pubblici: negli ultimi anni, Ilva è diventata una voragine finanziaria, un pozzo senza fondo nel quale lo Stato continua a riversare miliardi senza ottenere nulla in cambio. Dal 2018 ad oggi, oltre 5 miliardi di euro di denaro pubblico sono stati versati per mantenere in vita un'industria inquinante e fallimentare. Ma qual è il risultato? Taranto continua ad ammalarsi, i lavoratori sono sempre più precari e l'impianto rimane tecnologicamente arretrato a metodi produttivi obsoleti e dannosi.

Nel 2023, il Governo ha stanziato 680 milioni di euro per Acciaierie d'Italia convinto di risollevare l'azienda. Dopo pochi mesi, la fabbrica è stata dichiarata insolvente. Ora, con questo decreto, si decide di versare altri 400 milioni di euro, togliendoli addirittura dai fondi destinati alle bonifiche. In altre parole, si sottraggono risorse alla salute e all'ambiente per continuare a finanziare il disastro (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Questi soldi non sono un investimento, sono un tappo temporaneo, un'elemosina per guadagnare tempo fino alla prossima emergenza. Non c'è alcuna strategia di lungo periodo, nessuna visione industriale, solo un'iniezione di denaro che non risolve nulla e che, nel giro di pochi mesi, sarà seguita dall'ennesima richiesta di aiuto economico.

Il Governo ha trasformato l'Ilva in un bancomat di Stato, dove i soldi pubblici vengono bruciati per evitare di prendere decisioni scomode. Ogni anno si ripete lo stesso rituale: nuove risorse, nuove promesse, nuovi decreti, ma nel frattempo l'industria resta un colosso in declino e la città di Taranto un territorio sacrificato. Questo non è sviluppo industriale, è accanimento terapeutico su un modello produttivo morto. Più promesse: da oltre dieci anni, si sente parlare di riconversione, di rilancio, di transizione ecologica. Dieci anni di promesse non mantenute, di annunci roboanti seguiti dal nulla assoluto.

Il piano industriale di ArcelorMittal, fallito; la nazionalizzazione di Invitalia, fallita; il progetto dei forni elettrici finanziati dal PNRR, cancellato dal Ministro Fitto. E oggi? Oggi ci vengono a dire che tutto si risolverà con una nuova cessione a un privato. Ma chi è questo privato? Quali garanzie offre? Quale sarà il piano industriale? Silenzio assoluto.

Nel 2021, il Governo aveva garantito che, entro il 2025, l'Ilva sarebbe diventata un polo di produzione a basse emissioni, con una progressiva riduzione dell'uso del carbone. Siamo nel 2025 e non è stato fatto nulla; anzi, con l'attuale piano si certifica che l'Ilva continuerà a produrre acciaio a carbone per altri dieci anni. Non solo non si è avviata la transizione, ma si è scelto di prolungare l'inquinamento per un altro decennio. Qualcuno dovrà spiegare ai cittadini di Taranto perché le loro vite valgono meno della finta realtà che viene raccontata in quest'Aula dal Governo.

Ma il peggio è che questo Governo continua a raccontare che tutto andrà bene, che c'è una soluzione dietro l'angolo. Non c'è nessuna soluzione, c'è solo il solito scaricabarile: rinvii, ritardi, dichiarazioni vuote e ogni anno il solito copione si ripete.

Un'industria che dovrebbe essere all'avanguardia è invece ferma al passato, mentre il resto del mondo corre verso la decarbonizzazione e la produzione sostenibile. Ma per l'Italia, l'Ilva resta un problema da rimandare, non da risolvere. Più fumo negli occhi: non solo il Governo non ha un piano, ma ha anche l'arroganza di vendere questo disastro come un successo. Si parla di salvataggio dell'Ilva, di tutela di posti di lavoro e di rilancio dell'industria siderurgica italiana. Ma di quale rilancio stiamo parlando?

L'unico dato certo è che, mentre l'Ilva arranca, il mercato globale dell'acciaio sta cambiando. Francia, Germania e Spagna stanno investendo sull'idrogeno verde per rendere la siderurgia sostenibile. E noi? Noi rimaniamo fermi, ostaggi della lobby del carbone e di un modello produttivo che ci condanna alla arretratezza. Eppure, lo stesso Ministro Urso, che qui boccia gli emendamenti dell'idrogeno verde, in Europa firma accordi per finanziare la transizione ecologica in altri Paesi. Un paradosso degno del teatro dell'assurdo. Promuoviamo l'innovazione fuori dai confini nazionali, ma condanniamo Taranto a restare ancorata al passato.

Questo Governo sa benissimo che la transizione ecologica è inevitabile, ma sceglie di prendere tempo e di far finta che il problema non esista. E il risultato? Più malattie, più inquinamento, più soldi pubblici gettati al vento. L'Ilva è diventata il simbolo del fallimento industriale italiano. Un monumento dell'incompetenza e miopia della politica. Ma il Governo continua a gettare fumo negli occhi dell'opinione pubblica, a vendere decreti vuoti come soluzioni definitive. Ogni anno la stessa messinscena, ogni anno la stessa delusione. La strategia? Immobilismo finanziato con i soldi degli italiani. Una storia di fallimenti e condanne ignorate. Cinque condanne della Corte europea dei diritti umani per la mancata tutela della salute e dei cittadini. Cinque richiami, cinque bocciature nette di una politica industriale che ha sempre sacrificato la vita delle persone sull'altare del profitto.

Un'AIA scaduta nel 2023 e mai rinnovata. L'impianto opera in palese violazione delle normative. Eppure, il Governo finge di non vedere, come se ignorare il problema potesse farlo scomparire. Un processo per il disastro ambientale in corso. Taranto è diventata sinonimo di “emergenza ignorata”. Famiglie distrutte da malattie, generazioni segnate dalla paura di crescere accanto a una bomba ecologica. Eppure, nessun piano concreto per fermare questa tragedia annunciata. Una truffa sulle quote CO2, una beffa che dimostra come l'Ilva non sia solo un mostro inquinante, ma anche un buco nero finanziario, capace di divorare soldi pubblici senza un minimo beneficio per i cittadini. Una condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea: l'ennesima prova che in questo Paese chi inquina non paga mai e che il Governo preferisce collezionare sanzioni piuttosto che adottare soluzioni serie.

Ilva è il campione indiscusso dell'illegalità industriale e voi siete gli allenatori perfetti. Il Governo dice di avere soluzioni, ma il risultato è sempre lo stesso. I tribunali dicono che lo stabilimento va chiuso perché rischioso per la salute pubblica, ma voi ignorate tutto, come se fosse solo una formalità burocratica. Nel frattempo, la gente continua ad ammalarsi.

E la cosa più assurda è che lo stabilimento è sotto sequestro ed opera in condizioni fuori norma. Un'industria strategica che viola regole e voi non fate nulla. Complimenti!

Ma attenzione, non si tratta solo di una questione ambientale: Ilva è diventata il simbolo del fallimento totale della politica industriale italiana e da anni, anziché investire in innovazione e transizione ecologica, avete scelto di mantenere un modello industriale obsoleto e tossico, che brucia risorse e futuro. La transizione ecologica? Ah, certo, quella parola magica che usate per nascondere l'ennesima presa in giro. In realtà, fate solo una cosa: 400 milioni di euro sottratti alle bonifiche per finanziare l'inquinamento. Altro che futuro e innovazione, questo Governo è ancorato all'Ottocento industriale, come se bruciare carbone fosse l'unica soluzione possibile. Se fosse dipeso da voi, le fabbriche funzionerebbero ancora a vapore e carbone. Mentre l'Europa investe su rinnovabili e sostenibilità, voi proteggete modelli obsoleti.

Nessun piano industriale, nessuna visione. Solo soldi pubblici per comprare il tempo. Ma aspetta: il MIMIT firma sempre gli accordi per l'idrogeno verde con altri Paesi, ma per Taranto no. Chissà, forse vi hanno spiegato che l'idrogeno verde fa male alla salute. Sì, quella del carbone. Eppure, Taranto potrebbe essere un polo di produzione e utilizzo di idrogeno verde, riconvertendo l'impianto con fondi europei già disponibili (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Ma a voi interessa solo salvare un'industria inquinante con soldi pubblici. L'idrogeno verde - quando il Governo lo promuove - ma non per Taranto.

In quest'Aula abbiamo presentato un emendamento nel Milleproroghe per favorire l'idrogeno verde come alternativa al carbone per produrre acciaio all'Ilva.

È un'idea moderna, sostenibile e un'opportunità straordinaria per Taranto. Peccato che è stata bocciata. Perché? Perché per voi l'Ilva deve rimanere nel Medioevo industriale; perché il Ministro Urso si fa bello all'estero, firmando accordi per l'idrogeno verde sull'acciaio con altri Paesi, mentre in Italia l'idrogeno verde è come il lavoro ben pagato: lo teorizzate, ma poi non fate nulla per farlo esistere. E poi dite che volete attrarre investimenti. Ma come, se allontanate qualunque seria innovazione? Incoerenza al massimo livello.

Ilva è il pozzo senza fondo e il bancomat di Stato, continua a ingoiare miliardi senza mai risolvere nulla. Ma questa volta avete battuto voi stessi: 680 milioni a Invitalia, dichiarate insolvente l'azienda, ora svendete al miglior offerente senza alcuna garanzia; 400 milioni, destinati alle bonifiche, usati per tenere in piedi un'industria inquinante. Amministrare Ilva per voi è come giocare a Scarabeo: mettete le lettere a caso e sperate che ne esca qualcosa di sensato. E i lavoratori? Solo incertezze e precarietà. Cancellate i fondi per le bonifiche, ignorate le misure per l'amianto, avete respinto gli emendamenti per la tutela dei lavoratori.

Ilva è il vostro bancomat, mentre gli operai pagano il conto. È il Governo dell'incompetenza che gioca a fare il salvatore. Signori della maggioranza, avete raggiunto un nuovo livello di incapacità. Se il vostro fosse un film, sarebbe un remake mal riuscito: stessa trama, stessi errori, stessi volti perplessi quando le cose vanno male. L'unica transizione ecologica che vediamo è quella della vostra credibilità: dal ridicolo al tragico. La più grande contraddizione del decreto Ilva? Dichiarate strategico uno stabilimento che non può più produrre acciaio con le attuali norme ambientali, mentre bocciate ogni proposta per una vera transizione ecologica.

Insomma, volete rilanciare un'acciaieria con tecnologie inesistenti, ignorando le norme ambientali e sperando che nessuno se ne accorga. E poi vi chiedete perché il Paese non si fida più delle vostre scelte? Forse dovreste prendere in mano il decreto e leggerlo davvero, perché sembra che nemmeno voi abbiate capito che cosa avete scritto. Allora voglio chiudere con la frase di Antonio Gramsci, un pensatore che il potere ha sempre temuto: dire la verità è sempre rivoluzionario.

Ed è proprio per questo che voi non la direte mai, perché la verità su Ilva è scomoda e imbarazzante.

È un atto d'accusa contro chi ha gestito questa crisi con una combinazione di codardia, incompetenza e complicità con le lobby del carbone. La verità è che Taranto è stata sacrificata per gli interessi di pochi, mentre i suoi cittadini sono stati trattati come danni collaterali della grande truffa industriale italiana. Infine, voglio ricordare la citazione di un uomo che, a differenza del Governo, la rivoluzione l'ha fatta sul serio: la follia sta nel fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi. Lo diceva Albert Einstein, eppure è la perfetta sintesi di ciò che state facendo con l'Ilva: sempre gli stessi decreti, gli stessi finanziamenti a perdere, le stesse frottole sulla transizione ecologica, mentre il carbone continua a bruciare.

Vi ostinate a ripetere lo stesso errore, sperando che prima o poi diventi un successo. Ma c'è una differenza fondamentale tra voi e noi: noi non ci arrendiamo a questa follia. Noi continueremo a dire la verità, a denunciare le vostre contraddizioni, a lottare perché Taranto non sia più la discarica dell'industria italiana, perché, a differenza vostra, noi sappiamo da che parte stare. E questa battaglia la vinceremo non con i vostri decreti truffa, ma con la verità (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 2285​)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la VIII Commissione: rinuncia alla replica.

Ha facoltà di replicare la rappresentante del Governo.

FAUSTA BERGAMOTTO, Sottosegretaria di Stato per le Imprese e il made in Italy. Grazie, Presidente. Volevo solo e unicamente ricordare un dato importante, che soltanto il 29 febbraio 2024, quindi un anno fa, la sezione fallimentare del tribunale di Milano ha dichiarato lo stato di insolvenza di Acciaierie d'Italia, aderendo alla richiesta del socio pubblico di minoranza, Invitalia - cosa permessa con un decreto fatto da questo Governo -, di poter, quindi, insieme al commissario straordinario, procedere alla dichiarazione dello stato di insolvenza.

Con decreto del Ministro, adottato il 1° marzo 2024, le società controllate ADI Energia, ADI Servizi marittimi, ADI Tubiforma e ADI Socova Sas sono state ammesse, in estensione e con decorrenza immediata, alla procedura madre di amministrazione straordinaria, ed è stato preposto alle predette società il medesimo organo commissariale. È una situazione tutt'altro che semplice e alquanto complicata. Con decreto ministeriale dell'aprile 2024 la procedura di amministrazione straordinaria è stata estesa anche alla holding, cioè Acciaierie d'Italia Holding Spa.

Sono trascorsi appena 12 mesi e c'è una procedura che è in via di definizione. Su questo voglio rispondere a quanto chiesto e sollevato questo pomeriggio dall'onorevole Stefanazzi, sul fatto che il Governo stia sottacendo gli esiti di queste trattative, che si apprendono soltanto dai giornali. Si tratta di una procedura negoziata con 3 offerenti per l'intero compendio.

Sono noti, non li nomino in questa sede, però è chiaro ed evidente a tutti che occorre in questa fase tutelare la riservatezza delle negoziazioni e il giudizio tecnico dei commissari, che, come è noto, dovrà basarsi sui seguenti elementi, che sono: lo sviluppo della produzione siderurgica in Italia, la decarbonizzazione dei siti, la tutela dei livelli occupazionali, il sostegno alle comunità locali e la garanzia della continuità operativa degli impianti, e poi, infine, il prezzo offerto.

Bene, la finalità di questo decreto, che ha giustificato l'urgenza dell'intervento normativo, è stata quella di assicurare la continuità produttiva e occupazionale degli impianti ex Ilva, di impedire la chiusura degli stessi, sull'evidente considerazione che la chiusura degli impianti predetti, oltre a generare drammatiche conseguenze sociali, determinerebbe gravissimi danni ambientali.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Richetti ed altri n. 1-00410 concernente il monitoraggio e lo stato di attuazione del PNRR.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Richetti ed altri n. 1-00410 concernente il monitoraggio e lo stato di attuazione del PNRR (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori (Vedi calendario).

Avverto che è stata presentata la mozione Scerra ed altri n. 1-00416, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritta a parlare la deputata Grippo, che illustrerà anche la mozione Richetti ed altri n. 1-00410, di cui è cofirmataria.

VALENTINA GRIPPO (AZ-PER-RE). Grazie, Presidente. Signor Presidente, onorevoli colleghi e rappresentanti del Governo, il tempo per spendere bene le risorse del Next Generation EU non è infinito, dobbiamo accelerare l'attuazione dei piani nazionali. Così avvertiva Mario Draghi il 3 maggio 2023, nel suo intervento al Parlamento europeo sulla competitività dell'Europa. Non un semplice invito all'azione, ma un monito preciso. Ogni ritardo, ogni inefficienza, ogni esitazione mina la ripresa e mette a rischio il futuro del nostro Paese.

Un richiamo che è stato confermato anche da Ursula von der Leyen, che ha ricordato come l'Italia sia il Paese che più di tutti beneficia del Next Generation EU, ma anche quello che ha la responsabilità di dimostrare all'Europa che questi fondi possono davvero essere l'occasione per trasformare un'economia. L'Europa ha investito nella nostra capacità di realizzare il PNRR. Adesso tocca a noi dimostrare di essere all'altezza della fiducia che ci è stata accordata.

Il PNRR ha davvero numeri importanti, non dimentichiamocelo mai, è un'occasione da non sprecare. L'Italia ha ottenuto più di qualsiasi altro Paese europeo: 191 miliardi di euro, il pacchetto più grande di tutti, più 30 miliardi dal Fondo complementare. E se pensiamo a ognuna delle missioni, ne abbiamo parlato tanto in quest'Aula, ne abbiamo parlato tanto nel Paese, ognuna ha un titolo da far tremare i polsi per l'importanza che può avere per le future generazioni: 40 miliardi su digitalizzazione e innovazione, 60 miliardi su rivoluzione verde, 25 miliardi su infrastrutture per la mobilità sostenibile, 30 sull'istruzione e la ricerca, 20 sull'inclusione e la coesione, per non dimenticare mai i 15 sulla salute. Sono l'occasione per una vera rivoluzione, certo, ma purtroppo siamo in ritardo.

Secondo la Commissione europea, l'Italia ha utilizzato solo il 43 per cento delle risorse disponibili, mentre la Spagna, ad esempio, ha superato il 55 per cento. Abbiamo 527 riforme e investimenti da completare entro il 2026, ma oltre un terzo appare essere in ritardo. Se non raggiungiamo gli obiettivi intermedi, non dimentichiamocelo, i fondi successivi non arriveranno. Ogni ritardo e ogni inefficienza si traducono in meno scuole, meno ospedali e meno infrastrutture per il futuro del Paese. Quindi, non è solo una questione di numeri, stiamo parlando davvero di come i cittadini italiani vivranno nei prossimi anni. Dietro a queste cifre, ci sono progetti che possono migliorare la qualità della vita degli italiani, creando posti di lavoro, rilanciando l'economia, migliorando le infrastrutture.

Se i fondi per la digitalizzazione non verranno usati, ad esempio, le nostre imprese resteranno indietro rispetto ai concorrenti europei, specialmente in questo periodo così complesso per l'economia europea, in cui si parla di dazi e competitività globale in modo sempre più preoccupante. Se i miliardi stanziati per la sanità non verranno spesi, i cittadini continueranno a subire tempi di attesa inaccettabili negli ospedali. Se le infrastrutture non verranno costruite, intere aree del Paese resteranno isolate, senza possibilità di sviluppo. Il tempo stringe, abbiamo meno di due anni per completare il Piano, non possiamo permetterci errori.

E quindi, quali sono - ci siamo chiesti con questa mozione - le cause dei ritardi? Ci sono ritardi nelle gare di appalto (il 25 per cento dei bandi del 2023 non è ancora stato assegnato); ci sono blocchi burocratici, molte procedure complesse che ne rallentano l'attuazione; c'è una complessità negli enti di prossimità: i comuni sono senza personale adeguato, il 30 per cento delle amministrazioni denunciano carenze di competenza per dare attuazione al Piano. Ci sono risorse ferme: oltre 20 miliardi già stanziati non sono ancora stati spesi. E poi c'è il problema - che sempre divide e preoccupa in Italia - della disparità territoriale: i ritardi non sono uniformi, alcune regioni sono più avanti, altre faticano e arrancano. Serve un coordinamento nazionale, che garantisca equità ed efficacia e che, forse, nella fretta e nella fatica di seguire questa articolata massa di progetti, si è perso.

La nostra mozione chiede azioni immediate e concrete: una cabina di regia permanente a Palazzo Chigi, per un controllo centralizzato; lo snellimento delle procedure burocratiche, per accelerare autorizzazioni e appalti; il monitoraggio trasparente, accessibile ai cittadini, per rendere visibile lo stato di avanzamento di ogni singolo progetto; l'erogazione più rapida dei fondi a comuni e imprese, per sbloccare i cantieri; il maggior coinvolgimento del settore privato, per gli investimenti aggiuntivi e valutazioni trimestrali sui progressi, con interventi correttivi immediati.

Su quest'ultimo punto, voglio essere chiara: non bastano controlli formali o promesse vaghe, ma serve un meccanismo che corregga i ritardi in tempo reale e che monitori lo stato di avanzamento dei progetti in tempo reale. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza rappresenta una sfida senza precedenti, ma anche un'opportunità irripetibile per trasformare il nostro Paese. Tuttavia, il successo del PNRR dipenderà dalla nostra capacità di superare inefficienze, ritardi e ostacoli burocratici. Se non interveniamo subito, rischiamo di perdere finanziamenti essenziali per la crescita e il rilancio dell'Italia. Non mi stanco di sottolinearlo: secondo l'ultima analisi della Corte dei conti, il rischio di disimpegno automatico delle risorse europee entro il 2026, a causa di ritardi ed inefficienze, è concreto. Non stiamo parlando di preoccupazioni dell'opposizione, è una preoccupazione che arriva dalle massime istituzioni contabili, dalla Corte dei conti. Il mancato utilizzo di queste risorse equivarrebbe a un fallimento politico ed economico, che la nostra Nazione non può permettersi e che non possiamo lasciare alle future generazioni. L'Italia non può permettersi di restare indietro rispetto agli altri Paesi europei. La Spagna, l'ho detto, ha ricevuto una quota inferiore di fondi rispetto a noi, ma ne ha già investito il 55 per cento. L'Italia è ferma, lo sottolineo, al 43 per cento. Dobbiamo accelerare. È nostro dovere garantire che ogni euro venga speso con criterio e con rapidità.

La nostra mozione chiede azioni concrete, non promesse vaghe. Indica una roadmap, indica interventi che ci vengono dall'ascolto di chi sta lavorando, in questo momento, ai diversi progetti. Vogliamo risposte chiare e un impegno tangibile da parte del Governo affinché il PNRR non resti sulla carta, ma diventi il motore di un'Italia più moderna, digitale e sostenibile.

Presidente, onorevoli colleghi, questo non è il momento delle esitazioni, è il momento delle decisioni coraggiose su un tema che appare di numeri, ma incide davvero sulla vita dei nostri concittadini. Lo dobbiamo alle imprese, che aspettano risorse per rinnovare, lo dobbiamo ai giovani, che meritano un'Italia competitiva e moderna, lo dobbiamo all'Europa, che ci ha dato fiducia. Se falliamo, perderemo non solo miliardi di euro, ma anche credibilità e futuro. Per questo vi invito a sostenere questa mozione, non per noi, ma per l'Italia che vogliamo costruire.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole De Luca. Ne ha facoltà.

PIERO DE LUCA (PD-IDP). Grazie, Presidente. Ringrazio il signor Ministro per la presenza in Aula. Si parla, ancora una volta, signor Ministro, del PNRR. È un Piano di rilancio economico-sociale del nostro Paese, ma, innanzitutto, ricordiamolo bene a chi ci ascolta e all'intero Paese, è il simbolo di un'Europa diversa: l'Europa della solidarietà, che ha provato a mettere in campo azioni inedite e straordinarie in risposta a una drammatica pandemia; l'Europa che non lascia nessuno indietro: né gli Stati, né le popolazioni, né le comunità interessate. Questa è la ragione per la quale si è riusciti ad ottenere un Piano straordinario, per la prima volta, attraverso l'emissione di titoli di debito comune, grazie all'impegno di figure e personalità straordinarie che hanno lavorato a livello europeo, perché questo fosse possibile, come il compianto - un democratico, un grande europeista - David Sassoli, la cui memoria ricordiamo ancora una volta in quest'Aula, che può essere considerato uno dei padri ideali di questo strumento, che davvero segna un cambio di paradigma nel processo d'integrazione europea.

L'Italia è il primo Paese beneficiario di questo Piano. L'obiettivo era quello di dare un'opportunità di rilancio, ricostruzione, coesione sociale ed economica, rilancio delle amministrazioni pubbliche e delle imprese, miglioramento della sanità e della scuola, investimenti nella transizione energetica e digitale. Purtroppo, però, da quando siete arrivati al Governo - come abbiamo ricordato già in altre occasioni, e vedo che lei annuisce, perché sa bene qual è la nostra posizione, che, peraltro, è fondata su dati oggettivi e di fatto - il Piano nazionale di ripresa e resilienza è diventato, in realtà, un piano nazionale dei ritardi e dei rinvii. Le ho mostrato una calcolatrice in occasione dell'ultimo question time: i conti non sono cambiati, i dati non sono cambiati, purtroppo i ritardi sono ancora lì e sono estremamente preoccupanti per il presente e per il futuro del nostro Paese. È da ormai due anni che del PNRR sappiamo poco o nulla.

Lei ha raccolto da poco, da qualche mese, l'eredità del suo predecessore Fitto che, nel corso del suo mandato, si è contraddistinto per una grande capacità oratoria e grandi capacità politiche ma, in realtà, sul PNRR la sua abilità a camuffare i dati è stata, forse, superiore alla capacità di attuare i progetti.

I numeri sono impietosi e, da quando anche lei è arrivato a ricoprire il ruolo di Ministro responsabile di questo Piano, purtroppo, non è cambiato nulla. Glielo abbiamo già ricordato; io lo auspicavo, le auguriamo di poter essere il Ministro attuatore, che possa portare a termine il PNRR, ma sta diventando ed è sempre più il Ministro che è un commissario liquidatore di questo Piano. Il metodo che state seguendo è un po' quello che risponde alla dottrina Salvini: se ci sono problemi di attuazione, si risolvono i problemi, non accelerando l'attuazione dei progetti o provando a mettere mano ai ritardi, ma semplicemente cancellando i progetti o cancellando alcuni interventi che sono, invece, però, decisivi per il Paese.

I numeri sono impietosi: lei sa bene che da qui al 30 giugno 2026 ci sono ancora 284 obiettivi e traguardi da raggiungere e da completare, quasi il 45 per cento del totale. Ovviamente, il cronoprogramma segue il suo corso formalmente, ma sono i risultati sostanziali che non tornano e i nodi stanno venendo al pettine; anche se, ovviamente, provate a dare informazioni edulcorate, i dati sono molto preoccupanti. Ed è questa la ragione per la quale oggi, con questa mozione, chiediamo innanzitutto trasparenza e verità, chiediamo un'operazione verità al Governo.

Ci sarebbe, in realtà, una norma di legge che obbligherebbe il Governo a trasmettere una relazione al Parlamento ogni 6 mesi. L'ultima relazione, però, risale al 22 luglio dell'anno scorso; siamo a marzo del 2025 e i conti - li sa fare meglio di me - non tornano anche su questo obbligo e su questo impegno. Aspettiamo la relazione semestrale, la aspettiamo quanto prima. È in ritardo ed è doveroso che il Governo informi il Parlamento e, quindi, il Paese - non i gruppi, né di maggioranza né di opposizione -, su quale sia lo stato di attuazione perché i progetti sono decisivi per le nostre comunità.

Il quadro sui numeri, di cui parlavo prima, è allarmante. Ci dispiace perché noi vorremmo rappresentare e raccontare un Piano che segue un corso differente, però, ad oggi, su 194 miliardi di risorse complessive sono stati spesi 62 miliardi, come sa meglio di me, su 122 ricevuti. Quindi, abbiamo speso la metà dei fondi ricevuti e un terzo (solo il 30 per cento circa) del totale; abbiamo speso una media di un miliardo al mese e restano due terzi da spendere. Come immaginate di poter attuare questi progetti di intervento e di investimento? Dovrebbero essere spesi oltre 7,5 miliardi al mese, questi sono i dati oggettivi che lei conoscerà sicuramente meglio di me.

Non vogliamo fare polemica, ma lanciare un campanello d'allarme; vorremmo aprire, accendere davvero, sollevare l'attenzione su questo tema, perché ci sembra che l'atteggiamento da parte del Governo sia molto leggero e non possiamo permetterci di perdere questa opportunità.

Ci sono ambiti in cui i ritardi sono drammatici. Settore della sanità: abbiamo speso circa il 15 per cento delle risorse. Inclusione sociale: 13 per cento delle risorse come avanzamento della spesa. Scuola, università e ricerca: 25 per cento.

Come considera lei questa fotografia? Insomma, non ci sono altri aggettivi se non, per ora, un fallimento. Crediamo allora, ancora una volta, che non si possa continuare a far finta di nulla.

Leggevamo dai giornali che ci può essere l'ipotesi di un'ulteriore rimodulazione del Piano. Sarebbe il sintomo di un'ulteriore confusione che ha portato alla situazione attuale. Prima avete modificato la governance, appena arrivati a Palazzo Chigi; si ricorderà meglio di me: modifica della governance che ha prodotto un pantano; mesi e mesi di confusione nelle pubbliche amministrazioni che non avevano più un riferimento amministrativo cui rivolgersi per l'attuazione del Piano; poi una maxi rimodulazione con un visionario Piano REPowerEU che, purtroppo, oggi si rivela fermo; Transizione 5.0, che prevedeva 6,5 miliardi che sono stati praticamente, ad oggi, inutilizzati; solo 500 milioni di fondi sono stati richiesti, cioè l'8 per cento delle risorse a disposizione.

Dopo avete previsto correzioni. Correzioni vuol dire tagli, tagli: 500 case e ospedali di comunità tagliati; 100.000 posti in asili nido tagliati; 10 miliardi di euro di risorse ai comuni spostati su fondi ordinari da spendere, se dovesse accadere, entro il 2029 o chissà quando. E ancora oggi - sono notizie di questi giorni - si parla di un nuovo taglio negli asili nido di 17.400 posti; si parla degli studentati universitari: l'associazione degli studenti universitari certifica oggi che su 60.000 posti in residenze universitarie rischiano di esserne realizzati solo 11.000, cioè quasi 50.000 posti in residenze universitarie non si riusciranno a realizzare. Sarebbe davvero un disastro per garantire il diritto su cui dovremmo essere tutti impegnati, cioè il diritto allo studio delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi.

Dulcis in fundo, obiettivi e investimenti tagliati, per esempio sull'alta velocità Salerno-Reggio Calabria; almeno i dati che ci forniscono soggetti terzi, che stanno analizzando il Piano, visto che non abbiamo notizie dirette dal Governo, sarebbe il caso che li inviaste al Parlamento.

Insomma, in questa mozione chiediamo per essere chiari: trasparenza, verità e impegno. Questo è un Piano che non appartiene ad alcuna forza politica, non ha colore di bandiera, è un Piano che riguarda il presente e il futuro del nostro Paese, è un Piano dal quale dipende la capacità di rilancio dell'Italia e di diventare protagonista a livello europeo ed internazionale; è un Piano che dovrebbe ricucire le ferite e i ritardi, che ha condizionalità trasversali, impegni trasversali legati alla coesione sociale e al rilancio del Mezzogiorno, politiche in favore delle donne e dei giovani. Anche su questo, qual è lo stato di attuazione delle trasversali che questo Piano dovrebbe attuare e realizzare? Brancoliamo nel buio, Ministro, il suo Governo brancola nel buio da questo punto di vista e il Paese, purtroppo, rischia di affondare perché rischiamo di non avere la possibilità di avere un Piano del genere nei prossimi anni. Peraltro - e chiudo su questo - dal successo o dall'insuccesso del PNRR italiano dipende la possibilità di immaginare uno strumento simile da approvare, in via strutturale, nei prossimi anni a livello europeo. Era un primo Piano realizzato con l'emissione di titoli di debito comune. Se dovesse fallire quello italiano, fallirebbe un modello di Europa sociale, solidale, attento alle comunità da rilanciare, un modello di Europa che noi vogliamo costruire e che, spero, sia l'obiettivo comune anche del Governo e della maggioranza, considerata l'ambiguità politica che sta caratterizzando le posizioni del Governo in queste settimane, rispetto ad attacchi rivolti all'Unione europea.

Noi vogliamo un'Unione forte, un'Europa sovrana, un'Europa solidale e sicura e questo Piano, l'attuazione di questo Piano è un tassello decisivo di questa strategia. Attenzione a non farlo fallire, altrimenti davvero vi assumete una responsabilità storica, drammatica nei confronti del nostro Paese e dell'intera Unione europea (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Scerra, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00416. Ne ha facoltà.

FILIPPO SCERRA (M5S). Grazie, Presidente. Il PNRR rappresenta un'occasione unica di rilancio per il nostro Paese. Ricordiamo tutti bene quello che è successo nel 2020, Presidente: la crisi pandemica e le sue conseguenze a livello sanitario ed economico. Ed è in questi momenti - e lo dico a maggior ragione in questi giorni - che gli statisti devono avere il coraggio e la forza di battersi per il proprio popolo, per proteggerlo e dargli un futuro migliore. Così fece nel 2020 Giuseppe Conte che, mentre coordinava la risposta alla diffusione del virus con decisioni complicatissime e difficili, ma che hanno permesso di salvare la vita, secondo quanto dice anche il premio Nobel Parisi, a circa 700.000 persone - di questo stiamo parlando -, allo stesso tempo, inizialmente da solo, ha dato il via ad una serie di proposte con un'azione diplomatica a livello internazionale che è arrivata, poi, a convincere anche gli Stati più riluttanti fino al traguardo dell'emissione di bond comuni per supportare soprattutto gli Stati che vivevano un momento di grandissima difficoltà, oltre che sanitaria, anche economica; e da lì nasce il Next Generation EU; da lì nasce il famoso Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Se si guarda a quello che sta succedendo adesso in Europa, possiamo dire tranquillamente che quello è stato un momento di picco dell'integrazione europea, in cui c'è stata una vera condivisione degli sforzi, solidaristica e comunitaria nel vero senso della parola, tra i vari Stati membri.

Dopo, purtroppo, c'è stata un'involuzione nel processo di integrazione europea e adesso stanno prevalendo i nazionalismi, stanno prevalendo gli egoismi, addirittura si è arrivati a sottoscrivere un Patto di stabilità e crescita che ci riporta indietro di vent'anni, che conferma delle regole asfittiche che non fanno altro che danni alla politica e all'economia, soprattutto di quei Paesi come l'Italia che hanno degli enormi debiti pubblici. E, quindi, si sta andando indietro.

Ma tornando al Piano nazionale di ripresa e resilienza, l'Italia è il Paese che ha ricevuto lo stanziamento maggiore: stiamo parlando di 194,4 miliardi di euro. Il nostro Piano comprende 66 riforme e 150 investimenti, che si articolano in 618 traguardi e obiettivi.

Dalla consultazione della banca dati ReGiS, emerge come i dati che riguardano il nostro Paese siano dei dati però preoccupanti, Ministro. Sono preoccupanti perché dei 120 miliardi di euro già incassati dall'Unione europea risulta che ne siano stati spesi circa 62. Magari, non so se lei può aggiornare questi dati, comunque siamo a una spesa molto vicina al 32-33 per cento: di questo stiamo parlando. C'è un rischio enorme che non arriviamo al nostro obiettivo entro il giugno del 2026, questa è la realtà, perché rimangono 132 miliardi da spendere in soli 15 mesi, e negli ultimi quattro mesi abbiamo speso solamente 5 miliardi di euro. Quindi, sono a rischio - se si fanno i conti - 94 miliardi di euro di spesa mancata del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Questo significherebbe una sconfitta fragorosa per il nostro Paese, significherebbe che questo Governo, tra i tanti disastri, deve aggiungere questo che, probabilmente, è il più doloroso, perché certificherebbe l'incapacità di sfruttare un'occasione unica che abbiamo adesso e, probabilmente, non avremo più in futuro. Da un Governo costituito da Fratelli d'Italia e da Lega, che da sempre sono stati scettici nei confronti di questo Piano, ci si potrebbe anche aspettare che magari stia snobbando questo tipo di Piano.

Io non penso questo, Ministro. Io penso che voi abbiate capito l'importanza di questo Piano e penso che non lo stiate riuscendo a fare semplicemente per una vostra incapacità, perché il Ministro Fitto ha fatto degli errori enormi durante il suo mandato. Non do responsabilità dirette a lei che ha iniziato da poco, ma lei dice che non ci saranno revisioni e non ci saranno modifiche: io penso che saranno necessarie, queste modifiche, me lo sta confermando adesso. Quindi, le modifiche saranno necessarie, probabilmente ci sarà una revisione che magari lei ci comunicherà, questa è una notizia della quale volevo avere contezza.

Per andare a un dato positivo - perché cerchiamo di guardare qualche dato positivo, anche se ce ne sono pochi -, a differenza del preoccupante andamento della spesa fatto registrare a livello nazionale, i comuni stanno svolgendo al meglio il loro compito. L'86 per cento degli interventi dei comuni, in cui i comuni sono attuatori, viaggia nei tempi corretti. Il problema principale in questo momento, a livello degli enti locali, è la certezza e la puntualità dei pagamenti da parte dell'amministrazione centrale, e su questo dobbiamo cercare di essere più solerti, Ministro.

Relativamente agli investimenti nel Mezzogiorno, voglio ricordare in questa sede quanto il MoVimento 5 Stelle, nella scorsa legislatura, si sia battuto per la famosa clausola del 40 per cento, per inserire quella famosa clausola del 40 per cento. Infatti, uno degli obiettivi più importanti di questo piano doveva essere - ed è - quello di colmare i divari, non solo sociali, ma anche territoriali.

Ebbene, Ministro, io glielo avevo chiesto nell'ultima audizione. Le avevo chiesto se si poteva avere una relazione nella quale, in maniera specifica, fosse possibile vedere a che percentuale siamo arrivati rispetto a tutte le risorse che sono, diciamo, localizzabili dal punto di vista territoriale. Io ancora non la vedo, questa relazione, Ministro. Se la relazione sta per arrivare, io sono contento; però, ricordiamoci che questa relazione manca dal dicembre del 2022: stiamo parlando di più di due anni, e dovrebbe essere semestrale. Quindi, se sta per arrivare, Ministro - dall'atteggiamento che vedo sembra che stia per arrivare -, allora la leggeremo con molta attenzione perché – lo ripeto - colmare i divari territoriali, supportare il Mezzogiorno significa supportare la crescita di tutto il Paese, e su questo noi del MoVimento 5 Stelle non facciamo sconti, ve lo ripeteremo sempre.

A proposito di fondi di coesione, una delle cose che si dice in questi giorni è la possibilità - che è stata per la verità smentita da alcuni membri del Governo - di utilizzare i fondi di coesione per le armi, per il piano ReArm EU. Alcuni di voi l'hanno smentita, ma a noi non bastano le smentite, diciamo, a mezzo stampa. Abbiamo inserito questo tipo di impegno in questa mozione in maniera tale che ci siano degli impegni scritti, Ministro, perché è fondamentale che quell'obiettivo, cioè colmare questo tipo di divari, non sia traviato e non si trasformi in soldi ed investimenti per il riarmo. Anche su questo noi vogliamo certezza, Ministro.

All'interno del Piano - per andare a parlare un po' di industria – c'è anche Transizione 5.0. Come Governo, potete ammettere che, a differenza di Transizione 4.0, Transizione 5.0 è un fallimento totale, perché è costituito da un ingorgo burocratico che non sta permettendo di far arrivare liquidità alle imprese italiane? Mentre Transizione 4.0 aveva cubato 29 miliardi di euro, con Transizione 5.0 siamo a 500 milioni di euro: siamo a circa il 6 per cento di utilizzo dei crediti di imposta, siamo a un fallimento totale.

Questo si aggiunge ai due anni consecutivi di calo della produzione industriale, alla mancanza di supporto alle imprese italiane, alla mancanza di piano industriale da parte di questo Governo. Insomma, dal punto di vista industriale, state facendo un disastro. Spero e auspico, in questa fase di discussione generale nella quale voglio essere costruttivo, che su Transizione 5.0 si faccia qualcosa in più, perché non è possibile andare avanti così, Ministro.

Un ultimo aspetto che voglio segnalare in questo intervento sono le preoccupazioni dovute al rischio di un uso irregolare dei fondi del PNRR, quantificabili in circa 2 miliardi di euro, e alle indebite interferenze della criminalità organizzata su questo tipo di fondi. Bene, Ministro, io su questo devo dire che tutte le iniziative a livello di questo Governo sul campo della giustizia vanno ad amplificare e non ad evitare questo tipo di fenomeni. Infatti, state piano piano smantellando, passo dopo passo, tutti i principali presìdi di legalità contro la corruzione, lasciando che si compia un vero assalto alla diligenza del Piano nazionale di ripresa e resilienza, su questo siamo molto preoccupati, Ministro.

Insomma, abbiamo affidato 200 miliardi di euro ad un Governo che, forse, è il meno indicato a gestirli. Per questo chiediamo l'istituzione - e lo diciamo anche in questa mozione - di una Commissione parlamentare per l'indirizzo, la vigilanza e il controllo dell'attuazione del Piano. Pensateci, è per il futuro di tutto il Paese, non è un controllo nei confronti di questo Governo, una Commissione del genere che pone il Parlamento al centro sarebbe fondamentale.

Un'altra cosa, e chiudo: se c'è una modifica del piano, Ministro, spero che il Parlamento sia centrale, sia informato su tutto e che dia i feedback al Governo per poterla modificare al meglio (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto parlare l'onorevole Mascaretti. Ne ha facoltà.

ANDREA MASCARETTI (FDI). Grazie, Presidente. Signor Ministro, onorevoli colleghi, per quanto riguarda il PNRR, voglio innanzitutto ricordare che l'Italia guida l'Europa con risultati straordinari. Ripercorriamo le ultime tappe. Il 5 agosto 2024, la Commissione europea versa all'Italia la quinta rata del PNRR, pari a 11 miliardi di euro; il pagamento segue la valutazione positiva della Commissione adottata formalmente il 2 luglio, connessa al conseguimento di 53 traguardi e obiettivi della rata del PNRR italiano. Con l'incasso della quinta rata, il nostro si conferma, nell'agosto del 2024, lo Stato membro dell'Unione europea che ha ricevuto l'ammontare maggiore di finanziamento, pari a 113 miliardi e mezzo di euro, corrispondenti al 58,4 per cento delle risorse complessive del Piano.

E poi, il 23 dicembre 2024, la Commissione europea versa all'Italia la sesta rata del PNRR, pari a 8,7 miliardi di euro; il pagamento è la conseguenza della valutazione positiva della Commissione, adottata il 26 novembre, connessa al conseguimento di 39 obiettivi, distinti in 23 milestone e 16 target.

Così l'Italia, alla fine del 2024, si conferma lo Stato membro dell'Unione europea che ha ricevuto l'importo maggiore di finanziamento, pari a 122 miliardi di euro, corrispondenti al 63 per cento della dotazione complessiva del PNRR. Un risultato positivo, che permette all'Italia di investire in molti settori strategici, intensificando la produzione in attività in cui questo Governo ha creduto fin dal suo insediamento.

Tra gli obiettivi conseguiti con il pagamento della sesta rata, figurano gli investimenti strategici, quali il potenziamento dei collegamenti ferroviari del Mezzogiorno e del centro Italia e la realizzazione di nuove infrastrutture per il trasporto del gas, Linea adriatica.

Agli investimenti si aggiungono importanti riforme, fra cui: i provvedimenti normativi in favore degli anziani non autosufficienti e delle persone con disabilità e le azioni per prevenire e contrastare il lavoro sommerso, lo sfruttamento dei lavoratori e le altre forme di lavoro irregolare. Ancora, il 30 dicembre 2024 viene trasmessa alla Commissione europea la richiesta di pagamento della settima rata, pari a 18,3 miliardi di euro. La richiesta presentata dall'Italia segue i lavori della cabina di regia PNRR del 29 novembre, per la verifica e il conseguimento dei 67 obiettivi collegati, distinti in 32 target e 35 milestone.

Dunque, l'Italia è la prima Nazione europea a presentare formale richiesta per il pagamento della settima rata: è un primato che ci consentirà presto di superare quota 140 miliardi di euro, oltre il 72 per cento della dotazione complessiva del Piano.

Il 2025 è un anno fondamentale per la messa a terra degli investimenti, è una fase cruciale nella quale tutte le amministrazioni coinvolte in prima linea per raggiungere l'obiettivo, dalle regioni ai comuni, dovranno fare la loro parte per il raggiungimento degli obiettivi. Tra questi obiettivi della settima rata: gli investimenti per l'implementazione delle infrastrutture di trasmissione dell'energia elettrica; il potenziamento della flotta di autobus e di treni a emissioni zero per il trasporto regionale e dei nodi metropolitani e dei principali collegamenti nazionali; la riqualificazione di molte stazioni ferroviarie; le misure per la cybersicurezza; l'attivazione di 480 centrali operative territoriali per rafforzare le prestazioni in materia di salute pubblica; gli investimenti per una migliore gestione delle risorse idriche; il conferimento di 55.000 borse di studio agli studenti meritevoli meno abbienti per l'accesso all'università, di 7.200 borse di dottorato nei settori della ricerca, della pubblica amministrazione e della cultura, di 6.000 borse di dottorato innovative dedicati alle imprese.

Agli investimenti si aggiungono diverse riforme strategiche come la legge sulla concorrenza e il completamento delle misure per velocizzare i pagamenti della pubblica amministrazione. Il PNRR rappresenta, dunque, un'occasione storica per il nostro Paese e i numeri parlano chiaro. Siamo primi per rate ottenute, primi per importi incassati, primi per obiettivi centrati. Un primato indiscutibile, che smentisce categoricamente le tragiche e sterili polemiche delle opposizioni, che continuano a diffondere voci infondate su presunti ritardi nell'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

È normale che alcuni settori mostrino performance eccellenti, mentre altri necessitano di un'ulteriore spinta. Quando si tratta di sanità e scuola, ad esempio, alcune amministrazioni regionali lamentano la mancanza di risorse, ma i fatti parlano chiaro. Sono stati stanziati 16,8 miliardi per la sanità e 17 miliardi per la scuola. Ora tocca alle regioni fare la loro parte, usando bene quelle risorse. A questo punto, capisco le difficoltà in cui si trovano i rappresentanti delle opposizioni, che, in merito al PNRR, hanno sempre avuto un approccio di tipo catastrofico e autoreferenziale, talmente immersi nei loro pregiudizi che hanno iniziato a criticare la gestione del PNRR da parte dell'attuale maggioranza in anticipo, ancora prima delle elezioni politiche del 2022.

Basta leggere le interviste nella rassegna stampa degli anni scorsi. Dichiaravano: se dovesse vincere le elezioni Giorgia Meloni, perderemmo tutti i fondi. Il ritornello era sempre quello: ora la reputazione dell'Italia in Europa scenderà ai minimi termini e perderemo i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Anche i presentatori della mozione dichiaravano, già nel 2023, con toni drammatici: sul PNRR siamo all'emergenza nazionale, siamo in drammatico ritardo, perdiamo fondi e credibilità. Ma la credibilità si rischia di perderla continuando a essere allarmisti e continuando a gridare “al lupo, al lupo”, per poi essere sistematicamente smentiti dai fatti.

Concludo, Presidente, ricordando quanto ha già ampiamente spiegato il Ministro per gli Affari europei e le politiche di coesione, Tommaso Foti, cui va il nostro plauso per l'ottimo lavoro fatto (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Innanzitutto, il PNRR è un programma di spesa e di riforme, mi spiace che qualcuno faccia finta di dimenticarlo, ma parte degli obiettivi sono direttamente legati alle riforme. Inoltre, quanto alla spesa, vi sono obiettivi che non sono legati strettamente alla spesa pura. Alcuni obiettivi del PNRR potrebbero essere effettivamente raggiunti anche con una spesa inferiore a quella che era stata prevista, proprio perché l'obiettivo prioritario non è la spesa.

Dunque, concludo ricordando all'Aula che entro la fine del 2024 sono stati raggiunti tutti gli obiettivi previsti fino alla sesta rata, e ora anche quelli della settima rata, e già il Governo è in fase di discussione con la Commissione europea per le verifiche previste, e che la Commissione europea ha sancito tre cose: l'Italia è prima per quanto riguarda il numero delle richieste di rate del PNRR; è prima per quanto riguarda gli importi di queste rate; è prima per quanto riguarda il raggiungimento degli obiettivi. Grazie, Ministro Foti, per il lavoro che sta svolgendo e per i risultati raggiunti (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il Ministro Tommaso Foti.

TOMMASO FOTI, Ministro per gli Affari europei, il PNRR e le politiche di coesione. Sembra, signor Presidente, il minimo poter intervenire dopo le numerose richieste, che sono state più volte riservate su agenzie, comunicati e quant'altro, che il Governo non debba sottrarsi al confronto parlamentare. In verità, devo dire che il Governo è presente. Mi dispiace che, dopo soltanto alcuni interventi, molti dei pochi presenti si siano dileguati: erano 20 e siamo rimasti in molto meno. È pur vero che questo è un consesso che, in questo momento, non necessita del numero legale, però penso che, se si vuole il confronto, bisognerebbe poi praticarlo e non soltanto enunciarlo sulle agenzie o sugli articoli di stampa (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

Probabilmente sbaglio nel voler replicare e dare dei dati, perché sono state presentate delle sentenze su questo piano, e sono sentenze, però, che a volte fanno acqua da tutte le parti. Ho sentito, ad esempio, evocare la Spagna. La Spagna è indubbiamente la Nazione che, con l'Italia, ha richiesto più risorse. A proposito di risorse, iniziamo a dire quali sono le risorse, perché la Commissione europea ha stanziato 359 miliardi di sovvenzioni, cioè fondi a fondo perduto, delle quali l'Italia se ne è aggiudicati 72, cioè il 20 per cento.

Poi vi sono prestiti per 291 miliardi: l'Italia ne ha 122,2, pari al 42 per cento, cioè il nostro è un piano che è per due parti composto da debito e per un terzo composto da sovvenzioni. Lo dico perché, a volte, si dice perderemo i fondi: ma quali fondi? Le sovvenzioni, perché quelli a fondo perduto, fino a prova contraria, possono essere sempre comunque richiesti in qualsiasi sede e anche, posso dire, con tassi di interesse magari diversi, essendo mutate, rispetto ad allora, le condizioni anche sotto questo profilo.

Ma visto che mi si è detto della Spagna, proviamo a fare un esercizio. L'Italia ha 194,4 miliardi a disposizione; ha ad oggi ottenuto 122,3 miliardi, pari al 63 per cento della dotazione complessiva. Ha speso il 52 per cento di quanto ha ottenuto, cioè dei 122 miliardi. La Spagna ha 163 miliardi assegnati; ad oggi ne ha richiesti 48, pari al 30 per cento, cioè la Spagna ha richiesto meno di quanto l'Italia, a tutt'oggi, ha speso. Lo dico per coloro i quali, legittimamente, avendo un furore antigovernativo e antinazionale, vogliono fare esempi senza conoscere, evidentemente, la questione.

Andiamo avanti. Cosa è stato fatto? Ho sentito solo enunciare tutte le cose che non sono state fatte. Possiamo enunciarne anche qualcuna che è stata fatta? Ad esempio, l'eliminazione di 40 discariche abusive, la riqualificazione di 10 stazioni ferroviarie nel Mezzogiorno, l'attribuzione di 118.372 borse di studio per l'accesso all'università, 16.000 borse di studio per dottorati in ricerca applicata, pubblica amministrazione e patrimonio culturale, la realizzazione di 480 centrali operative territoriali per quanto riguarda la sanità, l'apertura di 38 case di comunità, la realizzazione e messa in funzione di 2.500 apparecchiature sanitarie, 14 ospedali di comunità attivati.

Ho citato soltanto alcuni di questi dati perché, nella catastrofe generale, parrebbe quasi che un Governo di incapaci debba prendere lezione da persone che, evidentemente, hanno la laurea nelle spese inutili. Effettivamente, basterebbe vedere gli ultimi 5 anni precedenti a questa legislatura per vedere quale disastro si è prodotto per quanto riguarda il debito pubblico italiano. Ma poiché sono i numeri che parlano e non le parole, mi permetto di fare un rilievo di questo tipo.

Questo piano si regge anche su 270.406 progetti. Ebbene, di questi 270.406 progetti, ne sono stati completati e sono stati già chiusi 164.566, pari al 60,86 per cento; quanto al valore dell'importo, è pari a 46,43 miliardi, che, su 141 miliardi 740 milioni, quanto si compone il paniere di tutti gli interventi, è pari al 33 per cento.

Non mi pare che aver ultimato il 60 per cento - tra ultimato e in fase di ultimazione il 60,86 per cento - dei progetti dovrebbe essere preso come un dato negativo: in primo luogo, perché è offensivo rispetto a tutte le amministrazioni che già si sono attivate per concludere quei progetti; in secondo luogo, perché è evidente che, quanto al valore, prima si concludono i progetti che hanno un minore impatto economico e quelli successivi sono quelli che hanno maggiore impatto economico.

Vedete, probabilmente qualcuno dimentica, tra i tanti dati che si leggono, un dato che è particolarmente significativo, che è quello relativo alle opere pubbliche in Italia e ai tempi medi di realizzazione. Sono dati che sono forniti da associazioni terze e, quindi, penso che il valore del PNRR vada valutato anche in questo. Fino a due anni fa, per realizzare un'opera compresa tra 0,5 e 1 milione di euro, tra la scelta del progetto e il collaudo del progetto si impegnavano 5 anni; per opere da 2 a 5 milioni, si impegnavano 6,7 anni. Avete presente, se dovessimo rispettare questi tempi, quanto dovrebbe essere prorogato il PNRR per riuscire ad andare al punto? Perché noi siamo partiti da questa realtà, non da un'altra realtà. Questa è una realtà certificata, non è una realtà aumentata o una forma di immaginazione collettiva. Sono i dati ricavabili dalle fonti alle quali ci si riferisce in materia di appalti.

Allora, mi sia consentito anche di dire che spesso e volentieri si fa una polemica inutile quando si dice: ma i soldi del Sud vanno al Sud o non vanno al Sud? Anzitutto, dobbiamo stabilire quelle che sono le risorse stanziate da quelle che sono le risorse spese, perché voi capite benissimo che se si riservano alla stazione appaltante il 40 per cento delle risorse e poi se ne spendono molte meno, non è colpa della scelta in cui e a cui si attribuiscono le risorse; tutt'al più è la lentezza con cui le stesse vengono spese, ma è tutto un altro ragionamento. In ogni caso, per quanto riguarda il Sud, al Sud sono riservati 59,3 miliardi, pari al 40,85 del totale delle risorse territorializzabili al Sud. Questo è un dato: avevo promesso che ci sarebbe stato nella relazione, ed è uno dei motivi - la relazione - per cui viene convocata la prossima settimana la cabina di regia, dopodiché verrà inviata al Parlamento in modo che il Parlamento possa avere tutti i dati che richiede. Ma anche sotto questo profilo, perché continuare a dire che i dati non sono disponibili? Vi è una pigrizia da parte di chi lo dice, perché basterebbe andare sul sito Italia Domani e sono tutti dati aperti: ognuno può andare a vedere singolarmente lo stato di progetto per progetto. Consiglierei anche di farlo e magari qualcuno potrebbe avere amare sorprese anche in ordine all'efficienza di alcune regioni o alla sedicente efficienza di alcune regioni.

Quanto, poi, al fatto che alcuni enti locali - questo è vero - avevano un problema di cassa, anche questa - scusatemi - è una motivazione che andava bene fino al 31 dicembre, ma dal 4 gennaio è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale la possibilità per gli enti locali di richiedere direttamente il 90 per cento dell'importo del progetto al MEF e viene erogato. Qui si apre un altro problema che mi permetto di riferire, cioè noi stiamo facendo parecchie cabine di regia, a partire dalle regioni, e vi è anche una tendenza a dire: ma alla fine, dato che a caricare i dati sulla piattaforma Regis si fa fatica o si impegna troppo tempo, intanto andiamo avanti e poi certificheremo la spesa. Non dico che sia il sistema migliore. È un sistema, è una scelta che è stata opportunamente o meno valutata dai singoli, ma non se ne può far colpa al Governo, come non si può fare colpa al Governo - scusatemi - se in un appalto alla fine una ditta appaltatrice lascia a metà i lavori di un comune. Mi dispiace, ma non è un problema che è in capo al Governo. Possiamo collaborare, laddove possibile, con l'ente locale per cercare di risolvere il problema, ma non si può pensare che, su 270.000 progetti, i 270.000 progetti debba risolverli il Governo, perché forse qualcuno li ha anche presentati quei progetti.

Torno a ripetere che il dato che ho prima riferito, del 60 per cento tra progetti conclusi e in fase di conclusione, già qualcosa vuol dire rispetto anche - lo dico chiaramente - a due valutazioni: abbiamo 50 miliardi di obbligazioni giuridicamente vincolanti e 90 miliardi di impegni già operanti per quanto riguarda gli altri progetti. Vi è un 5 per cento dei progetti che - onestamente va detto - o non sono partiti o, addirittura, non si riescono a monitorare. Ma è colpa del Governo se chi è titolare del CUP non mette il codice del CUP, e quindi non riusciamo a trovare la sua posizione all'interno della banca dati, o è colpevole chi non inserisce nella banca dati i codici come dovrebbe fare, secondo non solo il buonsenso ma anche secondo le norme vigenti? Quindi, in conclusione, io non sono tra coloro i quali dicono che tutto va bene. No, assolutamente! Dico che stiamo monitorando e stiamo premendo sugli enti attuatori, che sono parecchi, diversi, in un piano così complesso, perché vi sia un'accelerazione sotto il profilo dei lavori e sotto il profilo della spesa.

Per quanto riguarda, infine, un tema che è stato qui richiamato e che, secondo me, è un tema molto serio, ho sentito dire che l'avvento del centrodestra al Governo ha lasciato spazio a quasi vicende di truffe o alla possibilità di aver aperto alle truffe. Mi dispiace che qualcuno non si ricordi dell'articolo 3 del decreto-legge n. 19 del 2024 proprio in tema di misure antifrode. Mi dispiace che qualcuno si dimentichi che sono state allargate le competenze al COLAF, perché prima erano riservate soltanto ai fondi di coesione e sono state aperte queste competenze anche a tutti i fondi del PNRR. Mi dispiace che qualcuno ignori che sono stati stipulati, nel frattempo, 397 protocolli d'intesa tra Guardia di finanza e soggetti attuatori del PNRR. È vera una cosa, che la procuratrice della Corte dei conti europea ha detto: in Italia vi è un numero molto più significativo che in altri Paesi di sospette frodi, ma il motivo non è dato dalla vera effettuazione delle frodi; è che in Italia i controlli si fanno, mentre da altre parti non si fanno.

Allora, mi pare che sia, questa, una fonte sicuramente autorevole, anche perché - e concludo - quando si dice e si chiede - ed è legittimo chiederlo - di fare una Commissione che abbia la funzione di verificare le spese del PNRR, faccio presente che le spese del PNRR non le verifica l'Italia: le verifica la Corte dei conti europea e tutto quanto noi attestiamo, in termini di raggiungimento degli obiettivi, di raggiungimento di spesa, effettuazione della spesa e collaudo, ha un rilievo ben diverso da quanto la Corte dei conti europea può fare in termini di verifica e di controllo.

Quindi, anche sotto questo profilo, sgombrerei il campo da facili illazioni, perché non soltanto questo è un Governo serio, non soltanto questo è Governo capace, ma questo è un Governo responsabile e che si assume tutte le responsabilità, ivi compresa anche quella di poter prevedere - e sarà portata in Parlamento nel momento in cui dovesse esservene effettivamente la necessità - una riprogrammazione del PNRR su alcune misure che non hanno dato l'esito soddisfacente o che ci aspettavamo, ma proprio perché le risorse le vogliamo utilizzare - e non buttare - siamo disposti anche a una riprogrammazione (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Proposta di trasferimento a Commissione in sede legislativa di una proposta di legge ed abbinata.

PRESIDENTE. Comunico che sarà iscritta all'ordine del giorno della seduta di martedì 18 marzo 2025 l'assegnazione, in sede legislativa, della seguente proposta di legge, della quale la sotto indicata Commissione, cui era stata assegnata in sede referente, ha chiesto, con le prescritte condizioni, il trasferimento alla sede legislativa, che proporrò alla Camera a norma del comma 6 dell'articolo 92 del Regolamento:

  alla VIII Commissione (Ambiente):

S. 794-868. - Senatori Minasi ed altri, Basso ed altri: “Benefici in favore delle vittime di eventi dannosi derivanti da cedimenti totali o parziali di infrastrutture stradali o autostradali di rilievo nazionale” (Approvata, in un testo unificato, dal Senato) (2145).

A tale proposta di legge è abbinata la proposta di legge Cavo: “Norme in favore delle vittime di eventi dannosi cagionati da errori od omissioni relativi alla progettazione, alla costruzione, alla manutenzione o al controllo di infrastrutture stradali o autostradali” (2146).

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 18 marzo 2025 - Ore 11:

1. Svolgimento di interrogazioni .

(ore 14 e al termine del punto 5)

2. Assegnazione a Commissione in sede legislativa della proposta di legge n. 2145​ ed abbinata .

3. Seguito della discussione del disegno di legge:

S. 1359 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 gennaio 2025, n. 3, recante misure urgenti per assicurare la continuità produttiva ed occupazionale degli impianti ex ILVA (Approvato dal Senato). (C. 2285​)

Relatori: IAIA, per la VIII Commissione; CAVO, per la X Commissione.

4. Seguito della discussione della proposta di legge:

S. 932 - D'INIZIATIVA DEL SENATORE ZANETTIN: Modifiche alla disciplina in materia di durata delle operazioni di intercettazione (Approvata dal Senato). (C. 2084​)

Relatori: CALDERONE e VARCHI.

(ore 15,30)

5. Consegna del testo delle Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista della riunione del Consiglio europeo del 20 e 21 marzo 2025.

La seduta termina alle 16,05.