Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XIX LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 497 di lunedì 23 giugno 2025

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SERGIO COSTA

La seduta comincia alle 11.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato Segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ROBERTO GIACHETTI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 17 giugno 2025.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 92, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta in corso (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione del disegno di legge: S. 1146 - Disposizioni e deleghe al Governo in materia di intelligenza artificiale (Approvato dal Senato) (A.C. 2316-A​) (ore 11,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 2316-A: Disposizioni e deleghe al Governo in materia di intelligenza artificiale.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2316-A​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Le Commissioni riunite IX (Trasporti) e X (Attività produttive) si intendono autorizzate a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice per la maggioranza per la Commissione attività produttive, la deputata Beatriz Colombo, anche a nome del relatore per la maggioranza per la Commissione trasporti.

BEATRIZ COLOMBO, Relatrice per la maggioranza per la X Commissione. Grazie Presidente, grazie Sottosegretario. Riferisco in merito al disegno di legge di iniziativa governativa recante disposizioni e deleghe al Governo in materia di intelligenza artificiale, l'Atto Camera 2316. Ricordo che si tratta di un provvedimento collegato alla manovra di finanza pubblica, già approvato dal Senato. Il disegno di legge è stato assegnato il 24 marzo 2025 in sede referente alle Commissioni riunite X (Attività produttive) e IX (Trasporti), che, dopo l'approvazione di emendamenti, ne hanno concluso l'esame nella seduta del 17 giugno 2025.

Il provvedimento nasce dalla consapevolezza che la rivoluzione informatica, dalla fine del Novecento, ha assunto un'incidenza sulla vita individuale e collettiva tale da configurare una vera e propria società digitale, caratterizzata da un'amplissima diffusione di strumenti tecnologici nella quotidianità, a partire dall'utilizzo del personal computer, passando per l'avvento di Internet e degli smartphone, fino ad arrivare all'Internet of Things e infine all'intelligenza artificiale. L'evoluzione tecnologica ha fatto oramai sì che le macchine siano dotate di margini di auto-apprendimento, auto-organizzazione e auto-decisione, che pongono all'etica, al diritto e al dibattito pubblico il tema dell'intelligenza artificiale e di una sua regolazione.

Il disegno di legge in esame è dunque volto a introdurre una normativa nazionale che predisponga un sistema di principi di governance e misure specifiche adatte al contesto italiano, per mitigare i rischi e per cogliere le opportunità dell'intelligenza artificiale. Esso si colloca nell'ambito delle numerose iniziative normative avviate a livello internazionale, europeo e anche nazionale, volte a dar vita a una regolamentazione tempestiva e tecnologicamente neutrale, capace di disciplinare gli usi dell'intelligenza artificiale nei vari settori della società, che consenta ai cittadini, alle istituzioni e alle imprese di sfruttare a pieno i benefici di questi nuovi strumenti e che garantisca un'adeguata tutela degli interessi nazionali e dei principi fondamentali, come la protezione dei diritti umani, la privacy, la sicurezza, l'equità e la trasparenza.

Il disegno di legge, quale fonte nazionale, si affianca dunque al regolamento (UE) 2024/1689, meglio conosciuto come AI Act, del 13 giugno 2024, già oggetto di esame da parte delle Commissioni riunite trasporti e attività produttive nel corso della scorsa legislatura. Sottolineo altresì che il contesto economico di riferimento è caratterizzato da una significativa crescita del mercato nazionale. Riprendendo i dati del recente rapporto dell'Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, nel 2024, il mercato dell'intelligenza artificiale ha raggiunto ben 1,2 miliardi di euro, con una crescita del 58 per cento rispetto al 2023. In particolare, l'intelligenza artificiale generativa, che include soluzioni innovative, tra cui i modelli linguistici avanzati e le tecnologie di creazione automatica, risulta il principale fattore di traino e rappresenta il 43 per cento del mercato; il restante 57 per cento è costituito in prevalenza da soluzioni di intelligenza artificiale tradizionale, che comprende applicazioni consolidate come il machine learning e il riconoscimento vocale e visivo.

Passando al contenuto di questo provvedimento, segnalo che esso si compone complessivamente di 28 articoli, suddivisi in 6 Capi. Iniziamo dal Capo I, articoli da 1 al 6, che detta i principi e le finalità del disegno di legge. L'articolo 1 enuncia le finalità e l'ambito di applicazione del provvedimento, richiamando la promozione di un utilizzo corretto, trasparente e responsabile in una dimensione antropocentrica dell'intelligenza artificiale e la necessità di una vigilanza sui rischi economici e sociali e sull'impatto sui diritti fondamentali.

L'articolo 2 reca le definizioni, che sono state modificate nel corso dell'esame presso il Senato, al fine di assicurarne la coerenza con il regolamento (UE) 2024/1689 in materia di intelligenza artificiale. L'articolo 3 definisce i principi generali a cui devono essere improntate le attività inerenti ai sistemi e ai modelli di intelligenza artificiale, tra i quali il rispetto dei diritti fondamentali e delle libertà, lo svolgimento con metodo democratico della vita istituzionale e politica, nonché i principi di trasparenza, proporzionalità, sicurezza, protezione dei dati personali, riservatezza, accuratezza, non discriminazione, parità dei sessi e sostenibilità.

Come specificato con emendamento approvato nel corso dell'esame in sede referente, il dibattito democratico non deve essere pregiudicato da interferenze illecite da chiunque provocate. L'articolo 4, modificato in sede referente, reca i princìpi in materia di libertà di informazione e di riservatezza dei dati personali e regola il regime per l'accesso alle tecnologie di intelligenza artificiale (e per il conseguente trattamento dei dati personali) da parte dei minori, differenziando tra i minori infra-quattordicenni, per i quali è richiesto il consenso di chi esercita la responsabilità genitoriale nel rispetto di quanto previsto dal regolamento europeo, e i minori che abbiano compiuto 14 anni, ai quali la facoltà di esprimere il proprio consenso è riconosciuta a condizione che le informazioni e le comunicazioni siano facilmente accessibili e comprensibili.

L'articolo 5, anch'esso modificato nel corso dell'esame in sede referente, reca i princìpi per lo Stato e per le autorità pubbliche in relazione ai profili di sviluppo economico, quali la promozione dello sviluppo e dell'utilizzo dell'intelligenza artificiale come strumento per migliorare l'interazione uomo-macchina, anche mediante l'applicazione della robotica nei settori produttivi, nella produttività, in tutte le catene del valore e le funzioni organizzative, nonché per l'avvio di nuove attività economiche, per il supporto del tessuto produttivo nazionale costituito da piccole e medie imprese e per la creazione di un mercato dell'intelligenza artificiale innovativo, equo, aperto e concorrenziale.

L'articolo 6 esclude dall'ambito applicativo della disciplina prevista dal disegno di legge le attività connesse ai sistemi e ai modelli di intelligenza artificiale svolte, per finalità di sicurezza e difesa nazionale, dagli organismi preposti alla sicurezza nazionale, alla cybersicurezza e alla difesa nazionale. Nel corso dell'esame in sede referente è stata soppressa la previsione secondo cui i sistemi di intelligenza artificiale destinati ad uso pubblico dovevano essere installati su server ubicati nel territorio nazionale, eccezion fatta per i sistemi impiegati all'estero nell'ambito di operazioni militari.

Il Capo II (articoli 7-18) detta le disposizioni di settore. L'articolo 7 enuncia i princìpi volti a regolamentare l'uso dei sistemi di intelligenza artificiale in ambito sanitario, con particolare riguardo al miglioramento delle condizioni di vita delle persone con disabilità. Tra le altre previsioni, segnalo in particolare il riconoscimento del diritto dell'assistito ad essere informato sull'impiego di tecnologie di intelligenza artificiale, nonché la previsione secondo cui tali tecnologie debbano fungere da supporto nei processi di prevenzione, diagnosi, cura o scelta terapeutica, lasciando impregiudicata la decisione, che è sempre rimessa agli esercenti la professione medica.

L'articolo 8 dispone che i trattamenti di dati, anche personali, eseguiti da soggetti pubblici e privati senza scopo di lucro per la ricerca e la sperimentazione scientifica, nella realizzazione di sistemi di intelligenza artificiale per finalità sanitarie, siano dichiarati di rilevante interesse pubblico. A seguito delle modifiche apportate nel corso dell'esame al Senato, la disposizione prevede, altresì, che in tale ambito sia consentito il trattamento per finalità di anonimizzazione, pseudonimizzazione o sintetizzazione dei dati personali, nonché per finalità di studio e ricerca sui gesti atletici, sui movimenti e sulle prestazioni nell'attività sportiva in tutte le sue forme. La norma è stata modificata in sede referente alla Camera con l'espunzione della necessaria approvazione del trattamento dei dati da parte dei comitati etici interessati.

L'articolo 9, aggiunto nel corso dell'esame presso il Senato, rimette a un decreto del Ministro della Salute la disciplina del trattamento per finalità di ricerca e sperimentazione, anche tramite sistemi di intelligenza artificiale e machine learning, dei dati personali, anche particolari, rientranti nella definizione di “categorie particolari di dati personali”. L'articolo 10 detta disposizioni riguardanti il fascicolo sanitario elettronico, i sistemi di sorveglianza del settore sanitario e il governo della sanità digitale, rimandando a uno o più decreti del Ministro della Salute la disciplina delle soluzioni di intelligenza artificiale aventi funzioni di supporto alle finalità sanitaria e di ricerca in campo medico, biomedico e epidemiologico, nonché prevedendo l'istituzione di una piattaforma di intelligenza artificiale per il supporto alle finalità di cura e, in particolare, per l'assistenza territoriale.

L'articolo 11 disciplina l'utilizzo dell'intelligenza artificiale nel mondo del lavoro. In particolare, la norma enuncia gli obiettivi che è possibile perseguire mediante il suo impiego, facendo sempre salvo il pieno rispetto della dignità umana e della riservatezza dei dati personali e la tutela dei diritti inviolabili dei prestatori. L'articolo 12 istituisce l'Osservatorio sull'adozione di sistemi di intelligenza artificiale nel mondo del lavoro. L'articolo 13 limita alle attività strumentali e di supporto la possibile finalità di utilizzo dei sistemi di intelligenza artificiale nelle professioni intellettuali…

PRESIDENTE. Onorevole, per favore, concluda. Ha terminato il tempo.

BEATRIZ COLOMBO, Relatrice per la maggioranza per la X Commissione. Arrivando al termine, è stato riconosciuto, all'ultimo articolo, il perimetro dei soggetti con cui l'Agenzia può stabilire accordi. Ci sono due Agenzie, ma, visto che il tempo non è sufficiente, termino qui e deposito integralmente la relazione.

PRESIDENTE. Onorevole Colombo, è autorizzata al deposito. Purtroppo i minuti sono quelli, e sono passati.

Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza per la IX Commissione (Trasporti), onorevole Casu. Ha massimo 5 minuti, nel caso di specie.

ANDREA CASU, Relatore di minoranza per la IX Commissione. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, non è semplice intervenire in un momento di così grande preoccupazione per quello che sta avvenendo nel mondo, ma onoriamo fino in fondo il nostro compito anche di relatori per la maggioranza e di minoranza. Io, intervenendo come relatore di minoranza per la IX Commissione, nei pochi minuti a disposizione, mi concentrerò solo su alcuni aspetti di questo testo, dividendo l'analisi con gli altri relatori di minoranza espressi dall'altra Commissione che lo ha esaminato.

Sicuramente voglio sottolineare l'importanza dell'emendamento soppressivo 6.2, che va a cancellare un aspetto di questa norma che avrebbe dato vita a preoccupanti interpretazioni, eliminando il comma 2 dell'articolo 6, e lo fa nella direzione che era stata invocata già al Senato da numerosi interventi dell'opposizione, in particolare del Partito Democratico. Se fossero stati ascoltati gli interventi delle opposizioni già in occasione dell'esame al Senato, non sarebbe stato necessario questo soppressivo. Purtroppo, sono stati ascoltati solo in parte.

Sono necessari, infatti, correttivi ulteriori sull'articolo 6, ai quali la scelta del Governo di presentare un soppressivo del comma 2 ha sbarrato la strada, per quanto riguarda la qualificazione dei dati strategici e la garanzia di sicurezza di questi dati, non solo riguardo alla collocazione dei server, ma anche a tutti i passaggi che li interessano. Quindi, nonostante l'intervento in qualche modo corregga un errore, non lo fa in maniera sufficiente da mutare le preoccupazioni, che, comunque, permangono nei confronti di questo aspetto.

Inoltre, voglio sottolineare l'importanza dell'emendamento 28.2, a prima firma Ascani, che sancisce un principio a nostro avviso fondamentale: la priorità dell'Italia e dell'Europa, dei soggetti italiani ed europei, per quanto riguarda le necessarie azioni che l'Agenzia per la cybersicurezza nazionale deve portare avanti anche in relazione allo sviluppo dell'intelligenza artificiale. Da questo punto di vista, viene sancito il principio che questa priorità debba essere destinata a soggetti italiani ed europei. La formulazione iniziale parlava di soggetti italiani e stranieri.

Adesso, finalmente, viene sancito un principio di priorità per i soggetti europei. Questo non significa che attraverso il testo, frutto del confronto con il Governo e con la maggioranza, non ci sia comunque la possibilità di un'apertura ad altri Paesi, ma questa apertura deve tenere conto dell'interesse nazionale e deve essere esplicitamente motivata dalla Presidenza del Consiglio. E questo criterio, che vale per l'ACN, a nostro avviso, deve valere per tutto, dalla cybersicurezza alla politica industriale dell'innovazione. L'Italia, se vuole garantire un'effettiva sovranità digitale nell'ambito delle rivoluzioni che stiamo vivendo, deve essere in grado di guardare prioritariamente alla crescita e allo sviluppo di un ecosistema dell'intelligenza artificiale non solo comunitario ed essere protagonista di questo cambiamento.

Inoltre, voglio segnalare l'importanza dell'emendamento 5.5, a mia prima firma, per quanto riguarda il supporto al tessuto nazionale produttivo e al ruolo che può avere lo Stato nel sostenere le micro, piccole e medie imprese all'interno di questa rivoluzione: non possono essere lasciate sole, devono essere sostenute e devono essere sostenute dallo Stato. L'emendamento 16.3, a prima firma Peluffo, stabilisce il principio che non debbano essere previsti obblighi ulteriori rispetto a quanto già stabilito a livello europeo, pensiamo all'AI Act e al GDPR. Le norme che noi scriviamo non devono appesantire la corsa e la rincorsa dei soggetti nazionali ed europei, ma devono sostenerla e devono essere parte integrante e armonica con l'azione che si sta portando avanti in Europa.

Nonostante questi interventi, restano nodi cruciali irrisolti all'articolo 6, per quanto riguarda la sicurezza dei dati strategici, come abbiamo visto, e all'articolo 20, dove manca l'autorità unica per l'intelligenza artificiale che abbiamo invocato con forza.

Questa è una scelta di fondo profondamente sbagliata, che non è stata corretta e che auspichiamo possa essere corretta in Aula.

Serve un'autorità indipendente, perché l'intelligenza artificiale non deve essere gestita da un'agenzia governativa; a prescindere da chi oggi governa, è un errore. E lo spezzatino di poteri tra AgID, ACN e Garante Privacy, che peraltro ignora il ruolo di Agcom, rischia di complicare, non di semplificare, un quadro già estremamente complesso.

All'articolo 25 - che poi è un aspetto fondamentale -, se vogliamo tutelare i diritti fondamentali, non possiamo dimenticare il diritto d'autore. L'Italia è seduta su una pentola d'oro di dati che vengono costantemente depredati. Molti emendamenti, che purtroppo sono stati bocciati, insistevano sull'importanza dell'obbligo di trasparenza dei dati, sulla necessità di eliminare le clausole vessatorie per attori, doppiatori e illustratori e di limitare l'eccezione per scopo di ricerca, che, spesso, rende depredabile un patrimonio che non solo è fatto di dati, ma rappresenta opere d'arte, attività professionali, il presente e il futuro di tantissimi lavoratori.

Veniamo al punto cruciale (lo vediamo per i lavoratori del settore creativo, ma riguarda tutti i lavoratori): deve essere tutelata e rafforzata la tutela verso il futuro del lavoro. È questa la principale carenza di questo testo: il lavoro, i sindacati, la sicurezza sul lavoro.

L'intelligenza artificiale non può e non deve servire a sostituire il lavoro, ma realizzare pienamente la nostra Costituzione, senza dimenticare l'articolo 1 e senza dimenticare l'articolo 35 e, quindi, l'importanza della formazione, la formazione nel lavoro e per il lavoro e la formazione nella scuola. A partire dalla scuola, è fondamentale mettere le nuove generazioni, le donne e gli uomini che sono chiamati a formarle, nelle migliori condizioni di vivere da protagonisti, e non da spettatori, questo cambiamento.

Permangono pesanti preoccupazioni anche sull'impatto di queste norme per quanto riguarda la pubblica amministrazione e la giustizia. Abbiamo una grande occasione…

PRESIDENTE. Concluda.

ANDREA CASU, Relatore di minoranza per la IX Commissione. …che è il fatto che questo testo tornerà al Senato. Può essere ulteriormente corretto in Aula e ci auspichiamo che ciò avvenga nella direzione di questi interventi.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza per la X Commissione (Attività produttive, commercio e turismo), l'onorevole Antonio Ferrara, anche per lei massimo cinque minuti.

ANTONIO FERRARA, Relatore di minoranza per la X Commissione. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, ormai è evidente che il Governo Meloni ha deciso di affrontare la questione dell'intelligenza artificiale con la stessa superficialità di chi copia male il compito in classe da Wikipedia.

Avevate l'occasione storica di mettere l'Italia al passo col futuro del digitale e, invece, ci troviamo davanti a una legge che somiglia più a un tema scolastico frettoloso che a un provvedimento serio e strutturato.

Parliamoci chiaro: questo testo è un gigante dai piedi d'argilla. Tante belle parole, slogan suggestivi e promesse che restano vuote, perché prive di coperture economiche e strategie definitive. Parlate tanto di sovranità tecnologica e di sicurezza dati, eppure continuate a lasciare i nostri dati strategici in mani straniere, pensando che basti definirli italiani per renderli davvero sicuri. Non è così che funziona!

E in questo passaggio vorrei ricordare a tutti che era possibile apportare modifiche importanti, senza che ciò significasse dover rimandare il testo al Senato, modifiche che avrebbero reso il provvedimento più solido e utile per i cittadini italiani, in settori cruciali come la sanità, il lavoro, la legislazione e il sistema delle imprese.

In ambito sanitario, per esempio, l'intelligenza artificiale è uno strumento che può salvare le vite, migliorando diagnosi e trattamenti. Tuttavia, senza trasparenza sugli algoritmi e senza un'etica precisa, rischiamo di lasciare decisioni vitali nelle mani di una fredda macchina senza alcun controllo umano effettivo.

Nel mondo del lavoro, l'AI non deve essere vista solo come una minaccia, che elimina i posti di lavoro, ma come una risorsa da gestire e governare con competenza, formazione continua e protezione reale dei lavoratori. Invece, state ignorando la necessità di prevedere investimenti adeguati a formare il personale, lasciando migliaia di lavoratori in balia delle trasformazioni tecnologiche.

Dal punto di vista legislativo, questo testo lascia troppo spazio a interpretazioni vaghe e crea confusione, insicurezza per i cittadini e per le imprese. Un provvedimento serio avrebbe definito, con chiarezza, le responsabilità civili e penali legate all'uso dell'intelligenza artificiale, garantendo così certezza del diritto e sicurezza giuridica. Le imprese, soprattutto le piccole e medie imprese, avrebbero meritato attenzioni particolari. Servono investimenti concreti per favorire la cooperazione e la formazione digitale continua, un accesso reale e l'innovazione tecnologica. Invece, siete riusciti a confezionare solo slogan vuoti su Industria 5.0, mentre all'estero si va avanti spediti verso Industria 6.0. E gli stessi industriali italiani vanno dicendo apertamente che preferirebbero tornare alle nostre proposte di Industria 4.0, perché, almeno, quelle funzionavano davvero.

In definitiva, caro Governo e colleghi della maggioranza, con questo testo avete scelto ancora una volta la strada più semplice: quella degli annunci e delle illusioni, abbandonando la responsabilità politica di governare davvero l'innovazione tecnologica. Non sarà la propaganda né il vostro ostinato rifiuto di dialogare con le opposizioni a proteggere davvero l'Italia e gli italiani. Era il momento giusto per apportare cambiamenti seri, senza perdere altro tempo, senza ulteriori passaggi inutili, ma avete preferito sacrificare questa opportunità sull'altare della vostra solita arroganza e del vostro “decidiamo noi e basta”.

Il MoVimento 5 Stelle continuerà comunque a proporre soluzioni serie, concrete e sostenibili, affinché l'intelligenza artificiale diventi davvero uno strumento al servizio dei cittadini e non un privilegio nelle mani dei soliti pochi. Il futuro si costruisce oggi. Noi non abbiamo intenzione di rassegnarci a un domani governato da algoritmi senza controllo, da decisioni prese altrove, da interessi che nulla hanno a che vedere con il nostro bene comune.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice di minoranza per la X Commissione (Attività produttive, commercio e turismo), la deputata Ghirra.

FRANCESCA GHIRRA, Relatrice di minoranza per la X Commissione. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, signor Sottosegretario, oggi iniziamo in quest'Aula l'esame del disegno di legge sull'intelligenza artificiale che noi avremmo auspicato potesse essere una grande opportunità per il nostro Paese e che, di fatto, rischia di diventare un pericolo.

Abbiamo sottolineato, durante l'esame in Commissione, alcune delle preoccupazioni che abbiamo avuto anche durante l'esame del DDL Spazio, perché, al netto della retorica dei proclami, ci sembra che questo Governo, anche con questo provvedimento, stia rinunciando a esercitare la propria autonomia e sovranità.

Di fatto, è un provvedimento pleonastico (potremmo definirlo), perché non va oltre quanto già sancito dal regolamento (UE) 2024/1689 (l'AI Act), in primo luogo perché è un provvedimento a invarianza finanziaria, quindi, di fatto, il Governo già ci sta dicendo che non intende investire in questo settore per garantire al nostro Paese sviluppo nei settori più diversi. Anche se l'articolato entra nel merito di disposizioni che riguardano la cybersicurezza, la sanità e il lavoro, di fatto non ci sono interventi che garantiscano la tutela dei nostri dati, della privacy dei nostri cittadini e la tutela di lavoratrici e lavoratori che, con l'entrata in vigore di questo provvedimento, rischiano di essere indeboliti nella loro forza e nelle loro prerogative. Noi, a differenza di quanto diceva il collega Casu, riteniamo che la soppressione del comma 2 dell'articolo 6 sia stata un errore, perché riteniamo che uno dei principali vulnus di questo provvedimento sia proprio quello di non avere data center sul nostro territorio, non prevederne lo sviluppo e il finanziamento e, quindi, di voler continuare a regalare i nostri dati alle big tech senza tutelarli.

Questo lo dico perché non è stato accolto il nostro emendamento che chiedeva di tutelare i dati della pubblica amministrazione, ritenendoli beni di interesse pubblico, ma anche perché, come abbiamo già sottolineato, persino il Capo della Polizia, Vittorio Pisani, ha fatto presente che, mentre le Forze dell'ordine di altri Paesi potranno accedere ai nostri data center (ai nostri dati, anzi), per avere informazioni, noi avremo un problema ad accedere ai dati che saranno allocati in altri territori nazionali, con il rischio di rimanere indietro rispetto a processi di sviluppo, ma anche rispetto all'accesso a dati fondamentali. Ed è un problema, questo, anche perché non avete voluto inserire neanche un emendamento che chiedeva che l'intelligenza artificiale non venisse utilizzata per lo sviluppo di armamenti offensivi. Visto il clima che stiamo vivendo, per noi, questa cosa è piuttosto grave.

Dicevo: non garantisce la tutela dei nostri dati, non garantisce la tutela di lavoratrici e lavoratori che non avranno la facoltà di stabilire quali dati saranno cedibili per lo sviluppo di intelligenza artificiale generativa, ma neanche per poterne godere rispetto alla tutela del loro lavoro, alle garanzie di sicurezza e alla formazione.

In particolare, per quanto riguarda il lavoro intellettuale, avevamo avuto garanzie dal Sottosegretario Butti della possibilità di introdurre disposizioni per tutelare la proprietà intellettuale e il diritto d'autore, ma questo non è accaduto.

Sappiamo quale è il pericolo: che tante lavoratrici e lavoratori siano sostituiti, soprattutto nel mondo delle professioni intellettuali, dall'intelligenza artificiale e mi riferisco, in particolare, a doppiatori, traduttori, interpreti e a tutti coloro che oggi vivono grazie al loro lavoro intellettuale e che già da tempo manifestano, protestano per il rischio a cui vanno incontro.

Soprattutto, poi, per chiudere, voglio sottolineare ancora una volta il rischio che si creino oligopoli e monopoli in capo alle big tech rispetto alla gestione dei dati. La rinuncia dell'Italia e la lentezza dell'Europa nel procedere verso dei sistemi autonomi sono, a nostro avviso, molto pericolose perché, come ha già detto in altre circostanze la mia collega Elisabetta Piccolotti, i dati sono il petrolio di questo millennio e l'idea che l'Italia non disponga di una tutela, ma continui a cederli a chiunque - che si tratti di Stati sovrani o di privati, come coloro che governano oggi le big tech dell'informazione - è un grosso pericolo (Applausi della deputata Piccolotti).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, Sottosegretario per la Salute Marcello Gemmato, che si riserva di farlo.

È iscritta a parlare la deputata Pavanelli. Ne ha facoltà.

EMMA PAVANELLI (M5S). Grazie, Presidente. Colleghi deputati, oggi ci troviamo a discutere un disegno di legge che, almeno nelle intenzioni dichiarate, dovrebbe rappresentare una prima risposta nazionale a quella che molti chiamano “quarta rivoluzione industriale”: un'espressione forte, che indica il profondo cambiamento che conseguirà alla diffusione globale, generalizzata dell'intelligenza artificiale. Un tema imprescindibile, che riguarda il presente e il futuro del nostro Paese, un tema che avrà effetti strutturali sulla nostra economia, sulla nostra pubblica amministrazione, sulla vita quotidiana dei cittadini, sui diritti, sul lavoro, sulla cultura, sull'energia e perfino sull'educazione dei nostri figli.

Però ho come l'impressione che tutto questo non sia stato ben compreso dalla maggioranza, anzi, lo dico subito con chiarezza, Presidente: il testo che ci è stato portato in Aula rappresenta una grande occasione mancata; un testo scritto in fretta, senza visione, senza ambizione, ma, soprattutto, senza coraggio. Noi del MoVimento 5 Stelle avevamo un'altra idea: pensavamo che questo disegno di legge, partendo dall'AI Act europeo, dovesse servire a costruire una normativa nazionale solida e coerente, fondata su principi chiari e su strumenti concreti per garantire due cose: da una parte, l'affidabilità, la trasparenza e la supervisione umana dell'intelligenza artificiale, dall'altra, il suo impiego per rafforzare la competitività del nostro sistema produttivo, delle imprese, della ricerca, del lavoro e della pubblica amministrazione. Nulla di tutto questo è presente, se non a parole. Il testo resta generico, incompleto, timido e, soprattutto, Presidente, non affronta i nodi veri.

Il nostro primo rilievo è di metodo: un provvedimento di tale portata non può essere scritto con tanta superficialità, trattato in Commissione in tempi strettissimi, soprattutto in prima lettura al Senato, con margini risicati per un confronto costruttivo. Ma questa volta la maggioranza è anche riuscita a dare prova di essere in grande confusione, sopprimendo un emendamento che essa stessa aveva proposto e approvato in prima lettura. Un passo indietro che la dice lunga sul modo di procedere a tentoni e senza visione.

E non è tutto. Una volta riaperta la possibilità di modificare il provvedimento, qui, alla Camera, la maggioranza si è improvvisamente trovata in difficoltà, senza emendamenti. Allora, mi chiedo quale sia il senso dell'attività dei colleghi di maggioranza, se la loro azione si limita soltanto a seguire i dettami del Governo. Non avete mostrato apertura persino di fronte all'atteggiamento collaborativo tenuto dal MoVimento 5 Stelle e, in generale, dalle opposizioni.

È vero, siamo molto preoccupati, Presidente, ma stavolta non dipende dalla maggioranza, quanto da elementi concreti. Come non mai, in questo caso il punto centrale è di merito: questo disegno di legge non risponde ai problemi concreti che l'intelligenza artificiale già oggi pone alla società. Il motivo è molto semplice: tutti gli appelli degli stakeholders e degli addetti ai lavori sono stati del tutto ignorati.

Primo, la trasparenza degli algoritmi. Nel testo non vi è alcun meccanismo che consenta al cittadino di sapere chi decide cosa, sulla base di quali criteri. Questo è un problema serissimo, perché significa che la vita delle persone può essere condizionata da sistemi opachi, non verificabili, non contestabili, senza considerare l'esposizione a ricorsi continui sulle decisioni amministrative laddove i sistemi vengano utilizzati dalla pubblica amministrazione. I giudici amministrativi hanno già avuto modo di chiarire che la decisione dell'algoritmo deve sempre essere mediata dal decisore pubblico, e questo oggi rappresenta un principio generale che non si può in alcun modo ignorare e che incide sulla legittimità stessa del provvedimento. Dove avete previsto il diritto di sapere e di opporsi a fronte di decisioni da parte di macchine e, dunque, prive di responsabilità?

Secondo, il lavoro. Il testo ignora completamente gli effetti dirompenti che l'intelligenza artificiale avrà sul mondo del lavoro, non solo sui colletti blu, ma anche e soprattutto sui colletti bianchi, i professionisti, i creativi. Eppure non c'è, nell'articolato, una sola norma che tuteli le persone dalla sostituzione indiscriminata, nessuna garanzia contro un algoritmo che può licenziare; nessuna misura, tanto meno fondi, per la riqualificazione, la formazione e il sostegno occupazionale. Si tratta di una problematica che attiene alla tutela dei diritti fondamentali. Il nostro ordinamento non può accettare che decisioni cruciali vengano prese da una macchina o che una persona vulnerabile, un paziente, un minore si trovi di fronte a un verdetto automatizzato, senza empatia, senza discernimento umano. Tutto questo viene confermato con stime da poco pubblicate dal Censis per Confcooperative: una perdita di circa 6 milioni di lavoratori entro il 2030, con le donne più colpite rispetto agli uomini. Nel disegno di legge non avete messo fondi per formare i cittadini per le nuove competenze.

Terzo punto, le risorse. Ma l'aspetto in assoluto più grave riguarda l'assenza di uno stanziamento reale: un miliardo, sulla carta, senza neanche avere contezza di come verrà speso. Spiccioli, spiccioli rispetto ai 100 miliardi della Francia che ha annunciato per i prossimi 10 anni, nulla rispetto alle partnership già avviate in Germania, e mi limito ai Paesi europei perché il confronto con le altre potenze mondiali è impietoso e particolarmente umiliante. Eppure, dovrebbe essere chiaro che nei prossimi anni chi dominerà l'intelligenza artificiale dominerà il mondo, avrà un potere immenso nei confronti di quelle imprese e di quegli Stati che saranno tenuti ad acquistare i servizi, altro che dipendenza energetica.

A proposito di energia, proprio l'energia - permettetemi un ulteriore passaggio - è un punto centrale, perché, come è noto, l'intelligenza artificiale è particolarmente energivora.

Si stima che già oggi non produciamo abbastanza energia a livello mondiale per far fronte alla domanda in forte crescita. Allora mi chiedo: se già oggi non siamo in grado di tenere sotto controllo il caro bollette, se le nostre imprese faticano per i costi energetici, se non esistono tutele per le imprese energivore, abbandonate al proprio triste destino, come pensate di reggere la sfida dell'intelligenza artificiale? È quanto mai evidente che il nostro Governo non abbia una strategia energetica per sostenere questa transizione, questa rivoluzione, e questa assenza rischia di frenare del tutto lo sviluppo italiano del settore.

La situazione assume contorni ancora più preoccupanti alla luce dei recenti sviluppi in Medio Oriente. L'aumento dei costi energetici dovrebbe interessare particolarmente il Governo Meloni, che fonda la propria politica energetica su una forte dipendenza dalle importazioni straniere di fonti fossili.

Una situazione che continuerà a penalizzare l'Italia, a maggior ragione con l'aumento dei costi energetici e con l'aumento del fabbisogno di energia dovuto all'intelligenza artificiale. Ben consapevoli delle criticità finora esposte, consentitemi di ricordare il lavoro fatto dal MoVimento 5 Stelle, sempre in modo responsabile e costruttivo.

All'inizio della legislatura abbiamo chiesto e ottenuto un'indagine conoscitiva in Commissione sull'intelligenza artificiale, conclusa con una relazione approvata all'unanimità: un lavoro approfondito, meticoloso e persino condiviso; un lavoro che oggi avete scelto di cestinare, avendolo ritenuto non meritevole di spazio all'interno del vostro disegno di legge.

Di tutto questo lavoro, che oggi rappresenta ancora un grande patrimonio di conoscenza e che riassume le osservazioni di massimi esperti del settore, non avete preso nulla. In pratica la maggioranza ha votato contro se stessa: un fatto gravissimo, Presidente, che non può essere sottaciuto! Non avete soltanto sbagliato, ma quel che è più grave è che avete perseverato nell'errore, andando arbitrariamente e senza motivo contro tutte le nostre proposte.

Abbiamo presentato emendamenti concreti per vietare l'uso dell'intelligenza artificiale in armamenti offensivi, per coinvolgere i lavoratori, le parti sociali, i territori, per garantire trasparenza sugli algoritmi, per tutelare i dati personali, per monitorare i disastri ambientali, per mitigare i consumi energetici, per difendere i diritti dei minori, per promuovere la parità di genere negli algoritmi pubblici, per impedire discriminazioni sul lavoro basate su sistemi automatizzati, per impedire che la voce di un attore, la musica di un artista e la scrittura di un autore vengano copiati, replicati, commercializzati, senza alcun compenso. Tutto respinto, tutto, Presidente. Mi avvio alla conclusione.

Ci tengo particolarmente a ringraziare tutto il personale della Commissione per il grande lavoro fatto in queste settimane, così come ringrazio il Sottosegretario Butti, l'unico esponente di questo Governo che su questo provvedimento ha provato timidamente ad aprire al dialogo. È per suo tramite, Presidente, che dico al Governo che è inaccettabile, però, la giustificazione secondo cui questo - e cito - è solo il primo disegno di legge, poi si migliorerà. Ebbene, scusate, non si poteva fare bene subito? Di cosa abbiamo paura? Quando un testo riguarda una trasformazione di questa portata, va scritto bene dall'inizio, altrimenti non è un inizio, è soltanto un passo falso. Eppure stiamo parlando di un tema di massima importanza, di strategia nazionale per le nostre imprese, per i lavoratori e per tutti i cittadini.

L'intelligenza artificiale è già qui e corre con una velocità che non siamo nemmeno in grado di immaginare, quasi quotidiana, Presidente. Tutto il mondo si prepara, investe, forma, costruisce. Molti Paesi inizieranno già da settembre a insegnare l'intelligenza artificiale in prima elementare. Nel frattempo, l'Italia, con questo testo, ignora del tutto la formazione delle nuove generazioni, lasciandole indietro rispetto ai loro coetanei all'estero.

Se non formiamo i nostri giovani, i nostri insegnanti, i nostri professionisti, chi guiderà questa transizione? Li importeremo dall'estero? O forse perderemo, ancora una volta, il treno del futuro? Colleghi, l'intelligenza artificiale non è solo una questione tecnologica, è una questione democratica, sociale, culturale, ma soprattutto economica. È una questione di sopravvivenza del nostro Paese. Questo disegno di legge, così come è stato partorito, non risponde alle sfide, non difende i diritti, non investe sul futuro. Per questo, lo diciamo chiaramente, non possiamo sostenerlo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Gaetana Russo. Ne ha facoltà.

GAETANA RUSSO (FDI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, Sottosegretario Gemmato, viene oggi all'esame dell'Assemblea, dopo circa un anno di esame parlamentare al Senato e in Commissione alla Camera, il provvedimento di legislazione nazionale sull'intelligenza artificiale. Sin da subito occorre sottolineare che legiferare in questa materia è un'operazione tanto complessa e delicata quanto, però, provvisoria, poiché la IA è intrinsecamente connotata da equilibri mutevoli e in continua evoluzione, che richiedono una ponderazione costante tra i vari interessi coinvolti.

Secondo gli studi, l'intelligenza artificiale potrebbe aumentare il PIL annuo dell'Italia fino a 312 miliardi di euro nei prossimi 15 anni, pari al 18,2. Ricorderete che Microsoft, ad ottobre del 2024, ha annunciato l'investimento di 4,3 miliardi di euro in Italia per questi 2 anni, il più grosso effettuato dal colosso di Redmond in Europa rispetto a quelli lanciati in Germania, Francia e Spagna, per sviluppare infrastrutture di intelligenza artificiale e capacità cloud. Ciò ci inorgoglisce e dimostra la strategia vincente ed efficace che il Presidente Giorgia Meloni sta portando avanti sui tavoli internazionali, concentrando l'attenzione del Governo sull'attrazione di investimenti e competenze, puntando sul settore dell'intelligenza artificiale e sui data center, oltre che sul rafforzamento delle capacità computazionali, sfruttando le eccellenze italiane nella formazione e ricerca.

Ma è altrettanto evidente che vadano individuati criteri regolatori capaci di riequilibrare il rapporto tra le opportunità che offrono le nuove tecnologie e i rischi legati al loro uso improprio, al loro sottoutilizzo e al loro impiego dannoso. In questo solco si inserisce il disegno di legge, fortemente sollecitato dal Presidente Meloni, che è all'esame dell'Aula. Si introducono norme di principio e disposizioni di settore che, da un lato, promuovono l'utilizzo delle nuove tecnologie per il miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini e della coesione sociale e, dall'altro, devono fornire soluzioni per la gestione del rischio fondate su una visione antropologica.

In quest'ottica, il disegno di legge si affianca al regolamento europeo sull'intelligenza artificiale, approvato lo scorso 21 maggio dal Consiglio europeo, il n. 1689 del 2024, e ne accompagna il quadro regolatorio in quegli spazi propri del diritto interno. L'esame parlamentare è stato ricco e si è giovato di numerosi contributi di persone esperte e sensibili; quindi ringrazio anche chi, nelle Commissioni, ha contribuito a questo lavoro, oltre agli uffici dell'Aula. Pertanto, arriva all'esame in Assemblea dopo essere stato approvato dal Senato e poi modificato dalla Camera, quindi dalle Commissioni riunite IX e X; quindi il testo verrà trasmesso nuovamente al Senato e si procederà con un'ulteriore lettura dell'articolato da parte del Parlamento.

Le norme intervengono in cinque ambiti: la strategia nazionale, l'autorità nazionale, l'azione di promozione, la tutela del diritto d'autore e le sanzioni penali. Si prevede inoltre una delega al Governo per adeguare l'ordinamento nazionale al regolamento dell'Unione europea in materie come l'alfabetizzazione dei cittadini in materia di intelligenza artificiale, la formazione da parte degli ordini professionali per professionisti e operatori, con un'attenzione - esigenza questa emersa anche nel corso delle audizioni - di adoperarsi ai fini occupazionali per la riqualificazione del personale dipendente.

La delega riguarda anche il riordino in materia penale per adeguare reati e sanzioni all'uso illecito dei sistemi di intelligenza artificiale. Ma veniamo per sommi capi al contenuto, fermo quanto ha già detto anche la relatrice in precedenza.

Il provvedimento si compone di 28 articoli, suddivisi in 6 capi, ed è teso ad introdurre una normativa nazionale, in armonia con il quadro regolamentare europeo, che predisponga un sistema di principi di governance e misure specifiche adatte al contesto italiano per mitigare i rischi e cogliere le opportunità dell'intelligenza artificiale.

Mi limito qui a sottolinearne gli aspetti salienti. Anzitutto, voglio evidenziare come il filo conduttore del disegno di legge consista nella visione antropocentrica dell'utilizzo dell'intelligenza artificiale e nella necessità di tutelare i valori della persona. Il testo mira a limitare, inoltre, i rischi economici e sociali e l'impatto potenzialmente negativo in ordine ai diritti fondamentali.

In questo senso, gli articoli 1 e 3 in particolare individuano i principi generali alla base della disciplina dell'IA, tra cui il rispetto dei diritti fondamentali, della privacy, delle libertà e dei principi democratici. Tale cornice di principio è intesa a durare e a resistere anche a successive evoluzioni della tecnologia di cui stiamo discutendo.

A tal riguardo, anticipo fin da ora che, nel corso dell'esame in sede referente alla Camera, è stata aggiunta la previsione che l'utilizzo dei sistemi di IA non debba pregiudicare la libertà del dibattito democratico con interferenze illecite da chiunque provocate, così volendosi tutelare gli interessi della sovranità dello Stato, nonché i diritti fondamentali di ogni cittadino riconosciuti dall'ordinamento nazionale ed europeo.

Inoltre, come in parte accennato, il primo crinale problematico della materia è il rapporto tra intelligenza artificiale e i dati che essa tratta, molti dei quali rientrano nella categoria dei dati personali soggetti alla speciale tutela apprestata dagli ordinamenti europeo e nazionale.

In questo senso, è interessante sottolineare come le capacità imitative dell'intelligenza artificiale rispetto al cervello umano si concentrino sulle capacità di memoria, sintesi, analisi e associazioni di concetti. In questo senso, i sistemi di IA si alimentano di dati e, quindi, pongono il problema del rapporto tra innovazione e tutela dei dati.

A questo problema sono dedicate disposizioni specifiche per i vari settori coinvolti, dalla sanità al lavoro, alla pubblica amministrazione, alla giustizia, contenute negli articoli 4, da 7 a 11, 14 e 15.

Sempre a proposito della tutela al contempo della dignità umana e dei dati personali, rileva segnalare che, durante l'esame alla Camera, è stata introdotta una modifica all'articolo 4, volta a tutelare ulteriormente i minori di 14 anni, prevedendo che essi non possano avvalersi delle tecnologie di IA senza il consenso di quanti esercitino su di loro la responsabilità genitoriale, che sono tenuti anche ad autorizzarne il trattamento dei dati personali.

L'articolo 5, a sua volta, promuove un ruolo attivo dello Stato e dell'autorità pubblica nello stimolare l'utilizzo dell'IA, stabilendo una serie di linee strategiche che tali soggetti sono tenuti a porre in essere. Rispetto al disegno originario, tale articolo ha subito talune modifiche in entrambi i rami del Parlamento. Più in particolare, nelle Commissioni alla Camera sono stati apportati riferimenti specifici alla robotica, alle micro, piccole e medie imprese.

L'articolo 6, a seguito delle modifiche, esclude dal campo di applicazione del provvedimento le attività inerenti alla sicurezza nazionale, alla cybersicurezza e alla difesa; una più analitica disciplina di rango applicativo è demandata a successivi DPCM.

L'articolo 8 riconosce l'interesse pubblico del trattamento dei dati, anche personali, per finalità di ricerca, nonché terapeutiche e farmacologiche, regolando l'uso secondario dei dati anonimi e semplificando le informative.

L'articolo 13 affronta la questione dell'uso dell'IA nel settore delle professioni intellettuali, così ponendo in maniera plastica il tema dell'utilizzo di questi sistemi in rapporto al prodotto delle libere professioni. Si tratta cioè dell'ambito in cui l'apporto conoscitivo, esperienziale e creativo dell'uomo dovrebbe regnare incontrastato; viceversa, qui irrompe l'attitudine generativa di questi sistemi tecnologici. Il disegno di legge allora limita l'utilizzo dell'IA alle funzioni strumentali e di supporto dell'attività professionale, affermando il principio della prevalenza del lavoro intellettuale oggetto delle prestazioni d'opera e il fruitore della prestazione comunque dovrà sempre essere informato dell'uso degli strumenti di intelligenza artificiale.

Quanto poi all'uso dell'IA nell'attività giudiziaria, l'articolo 15 si mostra consapevole delle delicatissime questioni che si aprono legate principalmente al fatto che i provvedimenti giudiziari, per espresse disposizioni costituzionali, tra tutte l'articolo 111, devono essere motivate. Tale obbligo di motivazione scaturisce dalla necessità che il ragionamento giuridico e interpretativo compiuto dal giudice sia osteso alle parti del processo e ai destinatari dei provvedimenti giudiziari. Da questo punto di vista, la decisione deve essere soltanto umana e mai il giudice potrebbe essere sostituito da un meccanismo di determinazione automatizzata e tecnologica.

Sempre in tema di rapporti tra capacità creative umane e tecnologia generativa, l'articolo 25 precisa che anche le opere realizzate con l'ausilio dell'intelligenza artificiale siano tutelate dal diritto d'autore, ma solo a condizione che la loro creazione derivi dal lavoro intellettuale dell'autore. È inoltre consentito l'uso dell'IA per riprodurre ed estrarre contenuti da fonti accessibili legittimamente.

Il testo, infine, agli articoli 16 e 24 reca delega al Governo, rispettivamente, per la definizione organica di una disciplina relativa all'utilizzo di dati, algoritmi e metodi matematici per l'addestramento di sistemi di IA, l'adeguamento della normativa nazionale all'AI Act, la disciplina nei casi di uso di sistemi di IA per finalità illecite.

Per quanto riguarda, infine, la regolazione della governance, il testo di legge ha scelto di non istituire una nuova authority, ma di attribuire le competenze alle autorità nazionali. Concorrono, quindi, con queste autorità nazionali, aventi il compito di elaborare la strategia nazionale, secondo il dettato dell'articolo 20, numerosi altri soggetti tra cui i Ministeri delle Imprese e del made in Italy, dell'Università e della ricerca e della Difesa.

Infine, l'articolo 28, che è stato emendato nel corso dell'esame in sede referente alla Camera, prevede che si possano concludere accordi di collaborazione con soggetti privati e si possa partecipare a consorzi, fondazioni o società con soggetti pubblici e privati di Paesi appartenenti all'Unione europea e di Paesi della NATO. Un lavoro quindi – Presidente, mi appresto a concludere - complesso che sicuramente nei prossimi anni ci vedrà spesso impegnati a legiferare con maggior contezza e che inevitabilmente rappresenta una svolta importante per il Paese.

Faccio mie, però, le parole di Papa Leone XIV sull'intelligenza artificiale e più in generale sull'evoluzione digitale della nostra società, espresse all'udienza in Vaticano durante il Giubileo dei governanti qualche giorno fa, che credo abbiano colpito molti di noi, tanto più per l'attualità e la modernità di quel pensiero: “La vita personale vale molto più di un algoritmo e le relazioni sociali necessitano di spazi umani ben superiori agli schemi limitati che qualsiasi macchina senz'anima possa preconfezionare”. Dobbiamo ricordarlo non solo noi che oggi ci apprestiamo a modificare questa materia o i creatori dell'IA, ma dobbiamo soprattutto insegnarlo alle nuove generazioni e portarlo nelle scuole.

È questo l'approccio che Fratelli d'Italia e il Governo di Giorgia Meloni hanno adottato sin dal principio - molti di noi ricorderanno la presenza solenne di Papa Francesco all'incontro dei grandi della Terra, insieme ai rappresentanti delle altre fedi religiose, portando un messaggio non dogmatico, ma puramente umanistico sul tema dell'intelligenza artificiale -, ne è oggi l'ulteriore conferma l'intelaiatura di questo disegno di legge fortemente voluto dalla Presidenza del Consiglio, che dai primi articoli traccia da subito la propria rotta chiara verso il futuro, ma con l'uomo al centro.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pandolfo. Ne ha facoltà.

ALBERTO PANDOLFO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Colleghe e colleghi, siamo all'indomani del Giubileo dei governanti e degli amministratori, con Papa Leone XIV che, nell'affidarci la promozione e la tutela del bene della comunità, ha ancora una volta sottolineato l'emergenza dei più deboli. Questo suo messaggio fa seguito a quello della Seconda conferenza annuale sull'intelligenza artificiale, in cui sempre Papa Leone XIV ha fatto appello alla valorizzazione dell'intelletto come macchina inimitabile, dono da valorizzare anche attraverso l'ausilio delle nuove tecnologie, che devono essere strumento al servizio dell'uomo in grado di aprire certamente gli orizzonti per scoperte benefiche nella scienza e nella medicina, promuovendo però uguaglianza.

Oggi ci troviamo a discutere in quest'Aula di questo disegno di legge in materia di intelligenza artificiale. Com'è chiaro, non è un argomento tra i tanti, non è l'ennesima sigla da recitare, è la sfida epocale, la vera rivoluzione che sta plasmando il nostro presente e in modo inesorabile il nostro futuro.

L'intelligenza artificiale ridefinirà il nostro modo di vivere, di lavorare, di informarci, di curarci, persino di comprendere il mondo. Guardiamo i numeri: in Italia il mercato dell'intelligenza artificiale ha toccato 1,2 miliardi di euro, un balzo del 58 per cento in un solo anno, con l'intelligenza artificiale generativa a trainare il 43 per cento di questa crescita. Gli esperti ci dicono che un'adozione diffusa potrebbe portare al nostro PIL un aumento tra i 150 e i 170 miliardi di euro. Ma attenzione, un ritardo di appena cinque anni ridurrebbe questo potenziale a un misero 2 per cento.

Di fronte a una trasformazione di tale portata, il Partito Democratico ha una certezza incrollabile: l'intelligenza artificiale deve essere uno strumento nelle mani dell'uomo, mai il contrario. La nostra visione è chiara, deve essere uno strumento antropocentrico, etico e soprattutto responsabile. L'intelligenza artificiale deve garantire i diritti e le libertà fondamentali in modo trasparente, senza discriminazioni.

È un progresso inarrestabile destinato a modificare profondamente le nostre abitudini professionali, sociali, relazionali. “Dobbiamo fare in modo che la rivoluzione che stiamo vivendo resti umana. Cioè, iscritta dentro quella tradizione di civiltà che vede nella persona - e nella sua dignità - il pilastro irrinunciabile”: sono le parole del Presidente della Repubblica Mattarella, che devono essere guida nell'affrontare la nostra azione legislativa.

È con questo spirito costruttivo che vogliamo approcciare al disegno di legge in trattazione, un provvedimento che, pur riconoscendo l'importanza del tema, ci vede critici, poiché presenta alcune lacune e debolezze strutturali, un testo che rischia di farci perdere un'opportunità irripetibile per il nostro Paese. Permettetemi di essere schietto: questo disegno di legge è nato vecchio. L'idea era quella di anticipare l'AI Act europeo, di giocare d'anticipo, ma il nostro iter legislativo è stato così lento che nel frattempo il regolamento europeo è entrato in vigore ed è già in atto.

L'Italia non può permettersi di inseguire gli altri: dobbiamo essere protagonisti, non semplici spettatori di questa rivoluzione. In questo scenario geopolitico così complesso, così tragico, come stiamo assistendo in queste ore, la questione della nostra sovranità tecnologica e digitale diventa centrale. Non possiamo permettere che i nostri dati, il nostro sapere, la nostra ricchezza finiscano sotto il controllo di potenze straniere. Pensate alla clausola sulla localizzazione dei server dei dati pubblici sul nostro territorio che era inizialmente prevista: un passo indietro preoccupante, che mina la nostra sicurezza e la nostra autonomia. Il “caso Paragon” non è un'astrazione: è un monito su quanto sia pericoloso affidarsi ciecamente a infrastrutture esterne.

Poi c'è il capitolo dei fondi: il disegno di legge mette sul piatto circa un miliardo di euro, ma un miliardo di euro per una sfida che ne vale centinaia è la vera risposta? La vicina Francia mette in campo circa 100 miliardi; altri Paesi si muovono con strategie faraoniche. Il nostro impegno, invece, sembra quasi un segnale di sfiducia nelle nostre stesse potenzialità. Abbiamo bisogno di investimenti veri, nuovi, coraggiosi, mirati soprattutto all'intelligenza artificiale generativa; dobbiamo creare un ecosistema vivo che attragga capitali privati e faccia fiorire la nostra ricerca e le nostre startup. Senza risorse adeguate, il nostro Paese non avrà alcun ruolo strategico.

C'è poi il tema della governance: l'affidamento delle competenze all'Agenzia per l'Italia digitale e all'Agenzia per la cybersicurezza nazionale, pur riconoscendo l'alta professionalità dei loro addetti, solleva un interrogativo cruciale. Sono indipendenti? La risposta è “no”: sono Agenzie soggette all'influenza governativa, ma in un settore così delicato, che incide sui diritti fondamentali delle persone, è impensabile non avere un'autorità terza e indipendente. Occorre qualcuno che garantisca imparzialità, che eviti condizionamenti politici e che tuteli i cittadini da possibili abusi e discriminazioni algoritmiche.

Non possiamo dimenticare certamente il mondo del lavoro: da questo disegno di legge, pur prendendo atto dell'impatto dell'intelligenza artificiale, non si interviene con una dovuta forza per tutelare i lavoratori. L'intelligenza artificiale non si limita a far scomparire alcune mansioni. No, trasforma l'intera organizzazione del lavoro, le competenze richieste, i diritti, le relazioni sindacali. È un errore strategico, imperdonabile, aver escluso gli emendamenti che garantivano il coinvolgimento delle parti sociali, sindacati e associazioni datoriali, nell'osservatorio sull'adozione dei sistemi di intelligenza artificiale. Non si può pensare di gestire questa transizione necessaria senza chi vive quotidianamente il lavoro, senza chi può portare la voce di chi sarà più travolto da questi cambiamenti.

Non per ultimo, le implicazioni sociali ed etiche: l'intelligenza artificiale, se non governata, rischia di replicare e amplificare le diseguaglianze, i pregiudizi che già esistono nei dati con cui viene addestrata. Abbiamo insistito sulla necessità di inserire principi espliciti di equità e pluralismo per correggere i rischi della cosiddetta distorsione algoritmica. È molto semplice: i modelli su cui si basano le iniziative di intelligenza artificiale assorbono i pregiudizi della società che possono essere silenziosamente incorporati nell'enorme quantità di dati su cui vengono addestrati. Una raccolta di dati influenzata da distorsioni riflette le diseguaglianze sociali, può danneggiare chi è storicamente emarginato, amplificando appunto le diseguaglianze. Questo non va assolutamente bene.

Anche nel settore giudiziario, la cosiddetta giustizia predittiva, è un esempio lampante: non possiamo accettare che decisioni, che stravolgono la vita delle persone, vengano prese senza un controllo umano pieno e senza garanzie di accuratezza e non discriminazione. Per questo abbiamo chiesto e continuiamo a chiedere lo stralcio dell'articolo 24, sulle norme penali: un articolo generico, inserito senza una seria valutazione e del tutto inadeguato a governare una materia così complessa.

Lo stesso principio vale per il diritto d'autore: non possiamo permettere che il lavoro creativo, intellettuale, culturale venga svuotato di valore da un utilizzo indiscriminato e non regolamentato delle opere protette per l'addestramento dell'intelligenza artificiale. Il mondo della cultura, dell'informazione e del giornalismo si fonda sul riconoscimento del diritto d'autore: tutelarlo significa difendere la dignità del lavoro creativo.

Il Partito Democratico non è solo qui per criticare, ha spirito costruttivo. Abbiamo presentato emendamenti qualificanti: auspichiamo che possano essere accolti nell'esame in Aula. Noi abbiamo una proposta e una visione chiara e ambiziosa per il futuro dell'Italia che si trova nel mezzo di quello che potrà essere ricordato come il balzo storico dell'inizio del terzo millennio. Innanzitutto occorre un'autorità indipendente per l'intelligenza artificiale, ne abbiamo bisogno: una realtà che sia realmente terza, con poteri ispettivi e sanzionatori a tutela dei cittadini e del mercato. Poi investimenti reali e strategici: l'Italia deve fare uno sforzo economico senza precedenti, con capitali pubblici significativi che facciano da calamita per quelli privati. Dobbiamo puntare sulle tecnologie emergenti, come l'intelligenza artificiale generativa, e sostenere la nostra ricerca, le nostre startup. Dobbiamo avere l'ambizione di creare un CERN italiano dell'intelligenza artificiale, dove fare ricerca pura, come ci ha suggerito il premio Nobel Giorgio Parisi, per sviluppare modelli nostri, trasparenti, diversificati e liberarci dalla dipendenza dei giganti americani e cinesi. La sovranità digitale e il controllo nazionale non sono concetti astratti: sono fondamentali. Dobbiamo investire in infrastrutture digitali nazionali, sicure e autonome, promuovendo la localizzazione dei server, qui, sul nostro territorio e favorendo lo sviluppo di cloud nazionali ed europei.

Sul lavoro, l'intelligenza artificiale deve essere un fattore di progresso sociale, non di esclusione. Serve un grande piano nazionale di formazione, di educazione digitale: dalle scuole ai lavoratori, agli insegnanti, a tutti i professionisti. Dobbiamo dare a tutti le competenze per governare questa trasformazione. L'intelligenza artificiale deve rafforzare il capitale umano, non impoverirlo e - lo ripeto - le parti sociali devono essere pienamente coinvolte nella definizione delle politiche su questo tema e nel monitoraggio sul suo impatto.

Infine, l'intelligenza artificiale deve essere sviluppata rispettando i principi di legalità algoritmica, garantendo che ogni decisione automatizzata sia sempre imputabile a un responsabile umano e sia verificabile. Dobbiamo usarla per rafforzare il pluralismo, l'equità, la trasparenza, impedendo che diventi uno strumento di controllo o discriminazione e questo include una protezione decisa del diritto di autore e della proprietà intellettuale. Abbiamo bisogno di una strategia di lungo periodo, una politica industriale chiara, capace di integrare lo strumento intelligenza artificiale nel nostro tessuto produttivo, di sostenere le nostre imprese e posizionare l'Italia come un leader nell'innovazione europea e globale. Abbiamo tutte le carte in regola per farlo, le competenze per farlo, ma servono coraggio, lungimiranza e capacità di costruire. Per questo bisogna fare ricerca pura sul nuovo che deve ancora arrivare, con studi teorici, pratici, su software, algoritmi della prossima intelligenza artificiale, quella che ancora non c'è (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gusmeroli. Ne ha facoltà.

ALBERTO LUIGI GUSMEROLI (LEGA). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, sicuramente il Governo ha avuto un atto di coraggio nel regolamentare questa intelligenza artificiale che ci riguarda tutti. Queste disposizioni e delega al Governo per l'intelligenza artificiale sono un momento molto importante per il Paese: un atto di coraggio perché questa è una materia assolutamente delicata, molto delicata. È un po' come governare l'acqua e, quindi, cercare di fermarla, cercare di fermare una rivoluzione, cercare di fermare qualcosa che è impossibile da fermare. Ebbene, il coraggio è cercare di governarla e, quindi, su questo aspetto sicuramente il Governo ha avuto un grande coraggio.

È un cambiamento lento, l'intelligenza artificiale, pervasivo nella società, ma, al contempo, è una rivoluzione molto veloce. Non è la rivoluzione del futuro, è una rivoluzione che arriva dal passato, che già è in corso e, per certi aspetti, è talmente veloce che è una rivoluzione esponenziale.

Ebbene, quest'attività coraggiosa, per certi aspetti, del Governo è stata fortemente supportata dal Parlamento. Si dice spesso che il Parlamento non è protagonista, ma in questo caso il Parlamento è stato assolutamente protagonista.

La Lega ha voluto fortemente un'indagine conoscitiva sull'intelligenza artificiale. Abbiamo ascoltato tantissime associazioni, tantissimi esperti, professori universitari, operatori nel campo dell'intelligenza artificiale, startup: un mondo enorme. Infatti, è meglio non subire il cambiamento, ma governarlo, non è facile ed è coraggioso.

In questa indagine conoscitiva sono emerse tantissime informazioni, che sono state poi utilizzate per tradurle nel testo governativo e dargli la capacità di fotografare la realtà non comune, perché le buone leggi nascono dall'ascolto. Quindi, aver fatto quell'indagine conoscitiva è stato assolutamente importante.

Che cosa è emerso? È emerso che già oggi il 13 per cento delle piccole e medie imprese utilizza sistemi di intelligenza artificiale. E dobbiamo fare di più proprio in Italia: dobbiamo aiutare il sistema delle piccole e medie imprese italiane, proprio perché il sistema delle piccole e medie imprese si differenzia totalmente dai sistemi economici di altri Paesi europei. Quindi, ancora di più devono essere supportate.

Abbiamo visto che utilizzare, nel mondo delle piccole e medie imprese, sistemi di intelligenza artificiale aumenta l'efficienza e la competitività e sappiamo quanto il nostro Paese ha bisogno di aiutare il sistema delle piccole e medie imprese sul versante della competitività, perché in altri campi siamo ancora deboli. Pensiamo ai grandi costi dell'energia che devono sostenere le piccole e medie imprese italiane rispetto a quelli di altri Paesi europei.

Abbiamo visto che utilizzare i sistemi di intelligenza artificiale, nel sistema delle piccole e medie imprese, aumenta la competitività del 25 per cento e questo è assolutamente importante. Abbiamo visto quanto può aumentare il prodotto interno lordo l'utilizzo corretto dell'intelligenza artificiale, ma abbiamo visto anche quali possono essere i problemi di sicurezza, i problemi etici, i problemi che ci poniamo tutti e che, in qualche modo, accomunano tutto il Parlamento.

Quell'indagine conoscitiva, che ha voluto la Lega e che è stata svolta nella Commissione attività produttive, è stata approvata all'unanimità e quel testo è stato utilissimo al Governo per tradurlo in questo disegno di legge.

Noi dobbiamo aiutare il sistema delle piccole e medie imprese, ma anche i cittadini, perché, dall'ascolto, sia nell'indagine, sia nell'attività parlamentare di Commissione, propedeutica all'arrivo in Aula del progetto di legge, è emerso che il 46 per cento degli italiani, tra i 16 e i 74 anni, ha minima dimestichezza con il digitale. Vuol dire che c'è un enorme rischio di esclusione sociale e questo è un problema che ci dobbiamo porre tutti: il tema della formazione dei ragazzi dalle elementari, sull'uso del computer, del digitale e dell'intelligenza artificiale, perché i timori si governano già subito dai primi anni di età. Si aiuta un Paese, anche fortemente, con la formazione direttamente dalle scuole elementari. Bisogna favorire le materie STEM: anche questo è assolutamente importante, perché il sistema Paese ne ha assoluto bisogno.

Ma ricordiamoci anche che il sistema delle piccole e medie imprese, l'occupazione, il lavoro, il lavoro dipendente si aiutano tutelando con sistemi di intelligenza artificiale - penso alla blockchain - il made in Italy, perché quando si tutelano le imprese e le nostre eccellenze, si tutelano anche i posti di lavoro. Una grandissima rivoluzione, che è bene governare.

Però, attenzione. E qui voglio proprio riferirmi a ciò che ha detto Papa Leone XIV, che ha detto che la vita personale vale più di un algoritmo. Ci deve far riflettere tutti. L'intelligenza artificiale deve essere al servizio dell'intelligenza umana. Dobbiamo avere una grandissima attenzione etica. Non pensiamo che, con questa legge sull'intelligenza artificiale, abbiamo risolto tutti i problemi, ma abbiamo avuto il coraggio di affrontarli e questa è la grande differenza e questo ci dovrebbe accomunare tutti. Infatti, anche in questo il Governo ha avuto un'attenzione per il Parlamento, perché questo disegno di legge arriva dal Senato, è stato fortemente migliorato dall'azione del Senato, è arrivato qua non blindato ed è stato fortemente migliorato dall'attività del Parlamento. Ora farà un ulteriore passaggio al Senato. Vuol dire che, partendo dall'indagine conoscitiva che abbiamo fatto noi in Commissione attività produttive, abbiamo ascoltato il Paese, abbiamo ascoltato il Parlamento che è espressione del Paese, abbiamo ascoltato la realtà.

Questo disegno di legge, in questo, è coraggioso. E attenzione: l'intelligenza artificiale deve essere sempre al servizio dell'intelligenza umana, non deve escludere nessuno. La vera sfida è proprio che non escluda nessuno, ma includa tutti. È una sfida che ci riguarda tutti e può unire tutti. Deve essere una sfida di oggi: non è la sfida del futuro, è la sfida del presente (Applausi dei deputati Colombo e Deidda).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Piccolotti. Ne ha facoltà.

ELISABETTA PICCOLOTTI (AVS). Grazie, Presidente. Cari colleghi e care colleghe, siamo di fronte a una trasformazione tecnologica epocale, con implicazioni che forse oggi stentiamo ancora a prevedere e a calcolare. Ci troviamo a fare un dibattito molto importante, probabilmente in un Paese che ha approfondito poco, che sul tema ha strumenti conoscitivi limitati e la cui opinione pubblica non è ancora adeguatamente informata.

Lo dico perché le intelligenze artificiali generative cambieranno il nostro mondo del lavoro - molti di voi hanno fatto riferimento a questo problema -, cambieranno il nostro modo di produrre oggetti, ma anche idee e quindi cambieranno anche i nostri processi cognitivi, cioè i nostri cervelli. C'è uno studio del MIT, uscito pochissime ore fa, che dimostra che l'abuso dell'intelligenza artificiale, delle facilitazioni che offre all'intelligenza umana, può far deprimere il cervello umano e i suoi processi cognitivi; ci può trasformare persino in persone meno intelligenti, perché il cervello è un muscolo e va allenato alla creatività, al pensiero critico, alla capacità di proiettarsi oltre i dati di fatto.

È evidente che noi non vogliamo avere un'ottica apocalittica nell'approccio all'intelligenza artificiale. Siamo una forza politica che crede nel progresso, crede nella tecnologia, che si definisce in qualche modo persino “accelerazionista” rispetto a questi processi, perché vediamo i vantaggi che potremmo avere dall'utilizzo delle nuove tecnologie se sapremo investire il nostro sistema economico e sociale della necessità di farsi competitivo, non più attraverso i bassi salari, com'è accaduto fin qui, ma attraverso l'innovazione dei prodotti e dei processi produttivi e, quindi, attraverso l'aumento della produttività, a cui dovrebbe corrispondere anche l'aumento del tempo libero delle persone che partecipano ai processi produttivi.

Detto questo, però, sappiamo anche che noi corriamo grandi rischi se l'intelligenza artificiale, o meglio, le intelligenze artificiali non verranno governate, e i rischi che correremo saranno soprattutto rischi democratici se non metteremo a fuoco l'importanza di alcune azioni, di alcuni passaggi definitori, cioè l'importanza di affermare che i dati di cui l'intelligenza artificiale si nutre e gli algoritmi che li elaborano - cioè quelle strutture attraverso cui si definiranno in futuro i nuovi modelli sociali, economici e cognitivi - devono essere dichiarati beni comuni, appartengono a tutti, sono una ricchezza prodotta dal general intellect e, quindi, deve essere adeguatamente regolata e tutelata.

Dico questo a partire dalla triste consapevolezza che in questo provvedimento del Governo, nonostante le parole auto-elogiative della maggioranza, di tutto questo non c'è alcuna traccia. Questo provvedimento nasce per essere ambizioso e coraggioso, ma non dimostra né ambizione, né coraggio. Piuttosto, dimostra una logica di subalternità a quello che sta avvenendo in altri luoghi del mondo, alle grandi compagnie e le big tech, che stanno in qualche modo definendo le regole del gioco. Non è nient'altro che un provvedimento vuoto, che si riferisce, per fortuna, ai modelli europei, che però altri, non l'Italia, stanno elaborando.

Modelli ancora incerti di regolazione, che andrebbero approfonditi e a cui l'Italia dovrebbe dare un contributo, e, invece, stiamo permettendo che vengano in qualche modo snaturati e indeboliti a favore delle richieste che vengono dal resto del mondo, in particolare dagli Stati Uniti. Dico questo perché abbiamo avuto in Commissione una lunga discussione su un tema in particolare, che è cruciale in questa vicenda, quello dell'allocazione dei server in cui saranno custoditi i dati della pubblica amministrazione italiana.

Devo ammettere che, inizialmente, io e la collega Ghirra siamo persino rimaste stupite quando abbiamo scoperto che Fratelli d'Italia, al Senato, aveva fatto inserire una previsione che avrebbe obbligato la pubblica amministrazione italiana ad allocare questi dati in server posti e ubicati sul territorio nazionale, come è giusto che sia. Questo nostro stupore è durato poco, perché, appena il provvedimento è arrivato qui alla Camera, diciamo nell'ombra, all'ultimo minuto utile, il Governo ha depositato un emendamento che cancella e abroga questa previsione.

Perché lo fa? Perché naturalmente questo significa permettere che i dati della pubblica amministrazione - quindi dati molto sensibili per i cittadini e dati anche che hanno un grande valore economico, oltre che un valore ai fini della sicurezza nazionale - potranno essere allocati in server che saranno negli Stati Uniti oppure, magari, come ci è stato suggerito da persone di nostra fiducia che lavorano presso il Parlamento europeo, allocati in Paesi come Israele, che oggi è un Paese in guerra, che ha compiuto un genocidio a Gaza, che ha portato il Medio Oriente sull'orlo di una guerra nucleare con l'attacco illegittimo all'Iran e che, come sappiamo, utilizza dati, algoritmi e sistemi di intelligenza artificiale anche per i propri armamenti, persino per i sistemi di puntamento e per individuare le persone che sono dentro gli immobili oggetto di bombardamento.

Ecco, noi vogliamo sapere per quale ragione il Governo ha pensato di indietreggiare rispetto a una previsione giusta e vogliamo anche sapere qual è la posizione del Governo in Europa rispetto a questa discussione, perché la discussione vede due posizionamenti diversi. Uno, capeggiato dalla Francia, che dice che i dati devono restare in Europa e - aggiungiamo noi - non solo nello spazio dell'Europa, ma nello spazio sicuro europeo, perché, per esempio, non ci fidiamo di un Governo come quello di Orban in Ungheria.

Invece, ci sono altri Paesi, capitanati dall'Olanda, che dicono che i dati devono stare quantomeno dentro il sistema della NATO, appunto perché gli Stati Uniti e Israele non vanno esclusi. Non siamo ancora riusciti a capire quale sia la posizione del Governo italiano, e siamo molto preoccupati, Sottosegretario, perché voi vi presentate come sovranisti, come difensori della sovranità della Nazione italiana, e poi, al primo minuto di gioco, quando si tratta di discutere di cose molto materiali e molto importanti, come i dati sanitari degli italiani, come i dati relativi ai percorsi di istruzione degli italiani, ma anche come i dati fiscali degli italiani, vi rendete disponibili ad allocare questi dati in server su cui non avete nemmeno il controllo, perché non sono posti sul territorio nazionale.

Ricordo che il capo della Polizia italiana, il dottor Pisani, al Festival di Trento ha fatto un'intelligente intervento chiedendosi per quale ragione le compagnie telefoniche, tutte, debbano essere obbligate a collaborare con le autorità giudiziarie italiane, e nel caso in cui si stia cercando un omicida, com'è accaduto e come accade tutti i giorni, le compagnie telefoniche sono obbligate a consegnare le conversazioni, a consegnare le chiamate, a consegnare le celle a cui il telefono dell'indagato si è collegato, ma lo stesso obbligo non esiste a carico delle società che hanno delle piattaforme tecnologiche, sia quelle social, sia quelle di intelligenza artificiale, con il paradosso finale che l'Italia non può avere queste informazioni.

Ma siccome, invece, la legislazione statunitense prevede che le autorità giudiziarie degli Stati Uniti possano entrare nei server, queste informazioni potrebbero essere accessibili alle autorità giudiziarie di un altro Paese. Qualcuno può spiegarci che cosa stiamo facendo? I punti di opacità sono tanti e sono concreti, e non riguardano il futuro, riguardano l'oggi. Faccio degli esempi molto precisi: l'Agenzia delle entrate ha annunciato da poco l'adozione di dispositivi di intelligenza artificiale volti a comunicare con i contribuenti. Chi e come ha deciso quali soluzioni adottare?

Con quali criteri sono state scelte le intelligenze artificiali che opereranno sui database dell'Agenzia delle entrate? Chi sono i fornitori? I data center dove vengono messi i dati fiscali degli italiani dove sono? Non c'è nelle pubbliche amministrazioni italiane, attualmente, nemmeno il personale specializzato che serve per scrivere questi bandi garantendo trasparenza e tutelando la privacy dei nostri cittadini. Eppure voi avete bocciato un emendamento, da noi depositato, che proponeva per l'appunto di stanziare delle risorse per assumere questo personale, perché, allo stato attuale, non è chiaro cosa stia accadendo, e quando le cose non sono chiare, probabilmente c'è qualcuno, qualche società privata, che ha enormi interessi, anche di natura economica, che sta in qualche modo gestendo i processi al posto dei cittadini e dei loro rappresentanti. Vale per l'Agenzia delle entrate, ma vale anche per la scuola.

In alcune scuole italiane si stanno utilizzando dei software di intelligenza artificiale con natura predittiva: devono prevedere quali sono i ragazzi che possono avere una maggiore propensione all'abbandono scolastico. Possiamo conoscere chi ha scritto questi software? Chi ha scritto questi algoritmi? Quali dati sono consegnati a queste società? Possiamo capire se c'è un esperto indipendente del Ministero, capace di validare, valutare come funzionano questi algoritmi che etichetteranno i nostri ragazzi? Possiamo capire se c'è un'impostazione democratica? No, non lo possiamo capire, perché noi abbiamo depositato un'interrogazione, l'abbiamo svolta in Commissione e la risposta della Sottosegretaria Frassinetti è stata del tutto insufficiente ed evasiva.

Andiamo avanti: ci sono enormi problemi che riguardano il dibattito democratico. Recentemente sono state annullate le elezioni democratiche in Romania, con la motivazione delle forme di condizionamento che, anche attraverso agenti di intelligenza artificiale, operano sui social network. In particolare, TikTok ha rilasciato un report, in cui parla, per la sola Romania - che, come sapete, non è un Paese estremamente popoloso -, di 11 milioni di bot che agivano nello spazio informativo della Romania, sotto il controllo di potenze straniere. C'è in questo provvedimento, a parte il nostro emendamento di impostazione generale, una qualche forma di controllo, inibizione e sanzione per quegli agenti, economici o statuali (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra), che vogliono condizionare il nostro libero dibattito democratico? No, ovviamente no. E, allora, anche questa è una forma di subalternità nei confronti delle big tech e degli attori che, attraverso le big tech, puntano a impedire il libero pensiero, a condizionare, a spargere fake news, come vediamo ogni giorno.

Chiudo dicendo che, proprio ieri, dopo l'attacco degli Stati Uniti all'Iran, chi avesse acceso la TV e guardato il TG di Sky TG24, avrebbe visto che la giornalista, facendo uso delle informazioni di una speciale sezione della BBC, dava informazioni ai cittadini per capire quali immagini pubblicate dell'Iran fossero vere e quali, invece, fossero false o frutto di intelligenza artificiale. Avete rinunciato persino a prevedere che i cittadini possano comprendere questo: dirimere il vero dal falso. Non avete immaginato, nemmeno per la Rai e per il servizio pubblico, un ruolo di questo tipo.

Tutto questo è molto grave, perché disegna uno scenario in cui non è vero, come dite, che l'uomo sarà al centro e l'intelligenza artificiale al servizio, ma, al contrario, l'intelligenza artificiale e, soprattutto, i grandi poli economici che la governeranno e, soprattutto, chiunque abbia miliardi da spendere per condizionare le opinioni pubbliche potranno, in qualche modo, perimetrare lo spazio cognitivo delle persone. Non sono giochi, non sono scherzi, è la realtà di cui abbiamo discusso anche nelle audizioni che abbiamo svolto in questo Parlamento ed è la realtà a cui dobbiamo fare fronte.

Vedo che avete citato tutti il Papa in un impeto umanistico, è giusto, perché ci richiama ad alcuni valori etici fondamentali. Però, per entrare un po' più nel concreto, io vorrei, invece, citare Huang, l'AD di Nvidia, il più grande produttore mondiale di processori, che, intervistato pochi giorni fa sul futuro dell'intelligenza artificiale, alla domanda del giornalista che chiedeva “scusate, ma all'Europa cosa resta?” - in qualche modo, sottolineando quello che stiamo sottolineando anche noi qui, cioè la totale assenza di una strategia per addestrare i nostri modelli autonomi di intelligenza artificiale -, Huang risponde: “L'intelligenza artificiale nasce dai dati. E quei dati appartengono a voi: alla vostra comunità, ai vostri Paesi e alla vostra cultura. Non esportateli. Usateli per addestrare i vostri modelli”.

Non solo non siete in grado di mettere in campo una strategia che abbia un senso compiuto, ma non siete in grado nemmeno di ascoltare chi ci sta dicendo che i nostri dati sono una gigantesca ricchezza, che noi dobbiamo proteggere e tutelare, e che dobbiamo utilizzarli per essere competitivi nel mondo internazionale, in cui l'intelligenza artificiale cambierà i sistemi produttivi, addestrando nostre intelligenze.

Sottosegretario, le dico solo un'ultima cosa: la Francia, che è molto più avanti di noi nel dibattito, nell'elaborazione e anche negli investimenti, ha annunciato un nuovo modello di intelligenza artificiale basato sulla capacità di spiegare il ragionamento, non solo di elaborare i dati e restituirli, ma anche di far vedere come è arrivata a promuovere quel ragionamento, mostrando tutti i passaggi logici. Questa intelligenza artificiale è addestrata anche grazie al Cineca di Bologna. Cioè, noi abbiamo dei centri di ricerca avanzati in materia di tecnologie, abbiamo dei supercomputer come altri Paesi non hanno e non ce ne stiamo facendo niente. Siamo costretti a collaborare con altre nazioni perché l'Italia è completamente inerme.

Allora, io penso che dovremmo cambiare strategia: dovremmo provare a democratizzare questo spazio di mercato, che sta diventando un monopolio tecnologico e tecno-oligarchico, per liberare le energie creative delle startup, delle imprese e dei tecnici che abbiamo anche nel nostro Paese, a partire dalla ricerca pubblica. E ci tengo a dire che del CERN dell'intelligenza artificiale discutiamo da molti mesi, tanto che la proposta era nel programma delle elezioni europee di Alleanza Verdi e Sinistra. Perché noi pensiamo che quello sia un vettore fondamentale di progresso e di sviluppo, anche economico, mentre, invece, gli investimenti che state facendo in armamenti, in bombe, in strategie di guerra sono investimenti che ci porteranno al palo, anche dal punto di vista della competitività internazionale del nostro Paese. Non vogliamo nemmeno sapere - e ho finito, Presidente - quali siano gli applicativi militari dell'intelligenza artificiale che state pensando. Perché ogni volta che facciamo questa nostra rimostranza rispetto agli investimenti in armamenti, qualcuno, dalle parti del Governo, ci risponde, dicendo: fermi tutti, gli investimenti in armamenti, però, sono anche investimenti in intelligenza artificiale. Cioè, qualcuno ci vuole spiegare se stiamo usando - visto che avete bocciato un altro nostro emendamento che parlava di questo - i soldi dei cittadini per immaginare applicativi dell'intelligenza artificiale atti ad offendere? Forse, anche su questo, ci vorrebbe chiarezza (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra e di deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Benzoni. Ne ha facoltà.

FABRIZIO BENZONI (AZ-PER-RE). Grazie, Presidente. Questa discussione è, probabilmente, una delle discussioni più importanti che racchiude il Parlamento, perché la sfida dell'intelligenza artificiale è la sfida del futuro ed è una sfida - il presidente Gusmeroli lo diceva bene - che non solo dobbiamo tentare di cavalcare, ma, quantomeno, dobbiamo cercare anche di governare. Il rischio, però, con questo provvedimento, è di normare - e tanto - per prevenire, prevedere quelli che sono i possibili rischi, ma non incentivare, invece, quello che accadrà. E, se è una valanga che non possiamo fermare, a quel punto, forse, avrebbe effetto se la valanga la producessimo noi e, quindi, la incentivassimo.

L'intervento di prima ha raccontato come, oggi, l'intelligenza artificiale sia, sostanzialmente, nelle mani delle grandi potenze mondiali, ma l'Italia è fanalino di coda anche nell'Europa, che è già fanalino di coda rispetto al mondo. Siamo schiavi della tecnologia, da un lato, americana e, dall'altro, cinese. Su questo noi non interveniamo.

Ci sono un po' di problemi in questo provvedimento, di metodo e di merito. Parto dal metodo, perché, sul metodo, è singolare scoprire dal presidente Gusmeroli che questo provvedimento è aperto e discutibile anche alla Camera: quando è arrivato profondamente blindato, ci si è accorti che la maggioranza ha fatto un errore al Senato e, quindi, nel riaprire quel provvedimento per un errore fatto dalla maggioranza, si è dovuto, in qualche modo, riaprire anche all'opposizione un ragionamento.

Venderlo, oggi, come un provvedimento aperto è tirarci per i fondelli, perché sappiamo bene che quando questo provvedimento è arrivato alla Camera, l'intenzione era di chiuderlo qui e non migliorarlo. Considerato il fatto che avete raccolto anche alcune osservazioni, anche delle opposizioni, forse quel provvedimento non era perfetto al Senato e bene abbiamo fatto a migliorarlo.

Il tema poi è la delega. È una delega molto ampia che lascia alla legislazione secondaria gli interventi concreti e quindi allunga ancora di più i tempi di intervento, lasciando peraltro gravi spettri su come interverremo, quando e in che modo. Ma soprattutto si sovrappone all'AI Act, in sede di Unione europea, su cui in tante cose dovrà essere allineata, e dovremo capire su quali aspetti andremo ad approfondire e a normare ulteriormente rispetto a questa norma europea. E quindi anche nei tempi la comprensione di come si intende o sovrapporre questi due provvedimenti o viceversa ragionare per un'implementazione ulteriore.

L'ultima è la velocità. Abbiamo un sistema di intelligenza artificiale che ogni giorno ha e presenta delle novità. Noi abbiamo un provvedimento che non solo è lungo nei tempi, come la burocrazia italiana insegna, ma che anche prevede che verrà rivisto ogni due anni, dove ogni due anni sostanzialmente è un nuovo provvedimento, perché sarà cambiata completamente la tecnologia, quello che bisogna fare e tutto il resto. Ma poi c'è il tema anche di merito e sul merito i discorsi sono più complessi e la risposta forse non è univoca, perché sulla sovranità digitale l'hanno detto: prima si è imposto che i server fossero in Italia, poi l'avete tolto e c'è un dibattito anche sui giornali su questo tema. C'è chi pensa che tenere i dati in Italia fosse una garanzia, o comunque nei Paesi NATO, e c'è chi pensa invece che non ci sia alcun rischio. Ma non è questo il tema. Il tema è che noi dobbiamo parlare che i dati sono un valore, ma sono anche un costo. Sulla tecnologia e i data center siamo molto indietro oggi rispetto a questo e c'è un tema fondamentale, che è quello dell'energia, che non state affrontando. Ad oggi non è conveniente costruire data center in Italia. Non lo è dal punto di vista economico e finanziario. Ce ne sono meno rispetto a quelli che dovrebbero esserci e quindi anche l'imposizione di farli in Italia oggi sarebbe un difetto rispetto alla concorrenza e i prezzi, ma dall'altro canto mette a disposizione un rischio rispetto al trattamento di quei dati, perché non normiamo come quei dati vengono trattati.

C'è un tema di finanziamento. Un miliardo non è nulla rispetto a quello che stanno investendo gli altri Stati, ma soprattutto noi dovremo investire di più degli altri perché siamo più indietro. Allora, non solo normare, non solo burocratizzare, non solo fermare alcune potenzialità dell'intelligenza artificiale, ma magari anche far sì che un pezzo di quell'intelligenza artificiale possa essere italiana, made in Italy, sovrana, come voi amate chiamare. E con questo provvedimento di questo non ci occupiamo.

Poi c'è la governance che voi date a due Agenzie, che evidentemente non è una governance indipendente. Quindi, c'è il tema di ragionare su una governance che potesse e possa essere indipendente. Ma - e qua la risposta che non arriva - non abbiamo all'interno di questa governance considerato il Garante della protezione dei dati personali, che penso sia uno dei temi fondamentali su cui l'intelligenza artificiale interviene, e l'Agcom che un'attività molto seria sta compiendo in altri settori e che sull'intelligenza artificiale dovrebbe intervenire.

Avete fatto un ragionamento sulle pene, che pare però penalizzare sempre i deboli. Quindi forti con i deboli, ma deboli con i forti. C'è un tema - su cui poi arrivo - sul diritto d'autore, su cui non vogliamo intervenire nei confronti dei poteri forti che, in questo caso, non rispettano minimamente il diritto d'autore. Poi c'è il tema della burocrazia lunga e indefinita. L'intelligenza artificiale viaggia alla velocità della luce e noi viaggiamo alla velocità delle lumache.

Arrivo all'ultimo tema che è la tutela del diritto d'autore. Voi non avete voluto intervenire. L'articolo 25 è incompiuto su tanti aspetti e non vi abbiamo chiesto una rivoluzione. Vi abbiamo chiesto dei provvedimenti di buon senso, fatti peraltro in accordo con i doppiatori e con gli attori. Oggi c'è un evidente utilizzo della proprietà intellettuale, del diritto d'autore per alimentare i sistemi di intelligenza artificiale senza alcun consenso e peraltro senza alcun buon senso nell'utilizzo dei dati. Si può chiedere di fare un vocale con la voce di un noto doppiatore che doppia Brad Pitt o si può chiedere di ottenere un discorso, ispirandosi a qualcuno che del diritto d'autore ci vive. Si può chiedere di avere una vignetta o una propria foto, ispirandosi a un noto autore, e tutto questo senza che ci sia il consenso di quell'autore e senza che, quantomeno, ci sia anche una retribuzione rispetto a questo. Se l'intelligenza artificiale potrà, grazie all'efficientamento, eliminare alcuni posti di lavoro - ma abbiamo imparato, anche dalle precedenti rivoluzioni industriali, che questo è un rischio, ma è anche supportabile e superabile -, quando si elimina la capacità del diritto d'autore siamo di fronte a un precedente che non abbiamo mai visto nella nostra storia.

E allora chiedevamo tre cose. La prima, che si debba avere un consenso preventivo prima che i dati vengano utilizzati dove c'è un diritto d'autore, dove c'è una proprietà intellettuale. Oggi non è così. Peraltro, non sono solo estratti senza consenso, ma sono utilizzati effettivamente a scopo di lucro.

La seconda, che si normasse un po' meglio questi famosi scopi di ricerca, perché, nel voler incrementare e sempre favorire la ricerca, alimentare gli input di quelli che sono gli algoritmi dell'intelligenza artificiale con la scusa della ricerca, ma alimentarli con dei dati che sono protetti da copyright e dal diritto d'autore, è evidentemente una struttura su cui non siete voluti intervenire.

Sul consenso preventivo non basta mettere le sanzioni che avete messo, perché è evidente che ogni singolo autore, che si rifà contro le major dell'intelligenza artificiale, non c'è paragone. Bisogna mettere la sanzione collettiva. Così come abbiamo fatto con la pirateria e lo streaming online, si deve fare anche nei confronti dell'intelligenza artificiale. Non può essere il singolo artista, autore, doppiatore a rifarsi nei confronti delle grandi major, peraltro con delle multe che sono sicuramente più basse di quello che è il contenuto, ma ci vuole una normativa diversa.

La terza, la trasparenza nei registri pubblici, cioè i registri degli input, quindi dell'algoritmo, devono essere pubblicati e bisogna conoscere perfettamente quali sono le informazioni a cui ha accesso quel determinato algoritmo, ma soprattutto da dove le ha prese e con quali diritti ha ottenuto quelle informazioni.

L'ultima, le clausole vessatorie, cioè una normativa che preveda, anche per tutti gli artisti, che non ci possano essere delle clausole vessatorie, per le quali, per poter lavorare, bisogna cedere poi i diritti anche all'intelligenza artificiale. È una norma che non avete accettato, ma che poteva essere invece molto di buon senso.

Chiudo con solo una considerazione. La nostra paura di normare è evidente rispetto a un fenomeno che cambierà il mondo. Ma non lo cambierà solo nell'efficientamento e nella vita lavorativa, lo cambierà, come diceva prima la collega, nella capacità cognitiva delle persone. Il tema è la paura che l'intelligenza artificiale diventi la verità assoluta e uccida il pensiero critico, che è quello che fa muovere le culture e le intere generazioni e le generazioni che crescono. La futura generazione già oggi associa ogni informazione detta dall'intelligenza artificiale come una verità assoluta. Spesso oggi non lo è, magari in futuro sarà sempre più precisa. Ma la paura che l'intelligenza artificiale spenga il pensiero critico è quello che dovrebbe preoccuparci per la salvezza di una comunità e la salvezza del nostro Paese. In questa legge delega in realtà noi non ci occupiamo di questo, ci occupiamo semplicemente di normare, di creare enti, di dare una garanzia, senza nemmeno però cavalcarla e avere un controllo che sia davvero sovrano rispetto ad alcune tecnologie e con i rischi connessi. Ecco perché credo che questa non sarà l'ultima occasione in cui parleremo di intelligenza artificiale. Dovranno essercene molte altre e dovranno essercene perché è un fenomeno che sconvolgerà il nostro Paese. Al di là delle differenze politiche tra maggioranza e opposizione, l'occuparsene da un punto di vista, in cui oggi non ce ne siamo occupati, sarà la chiave di volta per salvare, non dico la nostra generazione, ma quelle future.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 2316-A​)

PRESIDENTE. I tre relatori di minoranza hanno sostanzialmente terminato il tempo a loro disposizione, così come la relatrice per la maggioranza. Il Sottosegretario Gemmato ci ha informato che non intende intervenire, pertanto il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: Quartini ed altri: Disposizioni concernenti il finanziamento, l'organizzazione e il funzionamento del Servizio sanitario nazionale nonché delega al Governo per il riordino delle agevolazioni fiscali relative all'assistenza sanitaria complementare (A.C. 1298-A​) (ore 12,50).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 1298-A​: Disposizioni concernenti il finanziamento, l'organizzazione e il funzionamento del Servizio sanitario nazionale nonché delega al Governo per il riordino delle agevolazioni fiscali relative all'assistenza sanitaria complementare.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1298-A​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

I presidenti dei gruppi parlamentari Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e Movimento 5 Stelle ne hanno chiesto l'ampliamento.

La XII Commissione (Affari sociali) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, l'onorevole Francesco Maria Salvatore Ciancitto.

FRANCESCO MARIA SALVATORE CIANCITTO, Relatore per la maggioranza. Grazie Presidente. Signor Sottosegretario e onorevoli colleghi, oggi riferisco all'Assemblea in merito alla proposta di legge recante disposizioni concernenti il finanziamento, l'organizzazione e il funzionamento del Servizio sanitario nazionale nonché delega al Governo per il riordino delle agevolazioni fiscali relative all'assistenza sanitaria complementare, d'iniziativa del deputato Quartini ed altri, sulla quale la XII Commissione (Affari sociali) il 17 giugno scorso ha deliberato di riferire in senso contrario.

Vorrei quindi in qualità di relatore per la maggioranza motivare le ragioni di tale deliberazione. Innanzitutto tengo a sottolineare che fin dall'avvio dell'esame in Commissione della proposta di legge ho avuto modo di segnalare all'altro relatore, il deputato Quartini, oggi relatore di minoranza in Assemblea, per la chiarezza e i rapporti con tutti i gruppi parlamentari, la non congruità delle disposizioni relative alla copertura finanziaria del provvedimento che presenta un contenuto molto complesso e articolato.

La proposta di legge, infatti, reca numerose disposizioni evidentemente molto onerose. Cito, a titolo di esempio, l'articolo 1 sul finanziamento del Servizio sanitario nazionale, l'articolo 2 sull'appropriatezza delle prestazioni sanitarie, l'articolo 3 sul personale sanitario, l'articolo 11 sul sistema di emergenza-urgenza; senza quantificare i relativi oneri, anche con riferimento a quanto prevede l'articolo 12, rinviando per la copertura a generici interventi di razionalizzazione e di revisione della spesa pubblica. Questo vulnus veniva rilevato già nel dossier predisposto dal Servizio Studi.

Colleghi, è sufficiente aver svolto il mandato parlamentare per un anno per acquisire consapevolezza del fatto che, a fronte di qualsiasi spesa prevista da un progetto di legge, anche minima, debba esserne individuata con estrema precisione la relativa copertura finanziaria, altrimenti il progetto non va avanti. Questo vale tanto per le proposte della maggioranza, quanto per quelle dell'opposizione. Nella proposta di legge al nostro esame i presentatori hanno previsto disposizioni estremamente onerose senza preoccuparsi di indicare quali risorse si intendono utilizzare, rinviando sul punto a generici ed eventuali provvedimenti futuri.

Con riferimento all'iter presso la XII Commissione faccio presente che sulla proposta di legge si è svolto un ampio ciclo di audizioni ed è stato quindi fissato il termine per la presentazione delle proposte emendative. In questa fase, il relatore Quartini ha presentato alcuni emendamenti, respinti dalla Commissione, che non risolvevano affatto i due problemi di fondo: l'assenza di una puntuale quantificazione delle spese e la relativa copertura finanziaria. Anche in quell'occasione ho avuto modo di evidenziare come il provvedimento non sarebbe potuto andare avanti. A ulteriore conferma dell'estrema problematicità della proposta di legge, rilevo che diverse Commissioni, competenti in sede consultiva (giustizia, finanze, trasporti, attività produttive e lavoro), hanno espresso parere contrario. Nella seduta della Commissione bilancio, dedicata all'esame in sede consultiva della proposta, la rappresentante del Governo ha depositato una documentazione dalla quale emerge, sulla base di una serie di argomentazioni che, stanti le spese di rilevante entità, prive di idonea copertura e la mancata indicazione degli effetti finanziari derivanti dalle singole disposizioni, il provvedimento non può avere ulteriore corso.

Per tutte queste ragioni, è evidente che non ci fossero le condizioni per consentire un mandato a riferire favorevolmente in Assemblea; ma il gruppo Movimento 5 Stelle, che ha richiesto la calendarizzazione in Assemblea del provvedimento in oggetto, non ha voluto fermarsi nemmeno di fronte a tale evidenza, peraltro rappresentata dal Presidente della Commissione bilancio con una lettera con cui si invitava a svolgere le opportune valutazioni ai fini del prosieguo dell'esame del provvedimento.

Ora, dopo aver dato conto dell'esame in sede referente che, ribadisco, si è svolto in un clima di assoluta trasparenza fin dall'inizio, senza alcuna compressione dei tempi di esame, permettetemi di svolgere qualche ulteriore considerazione sul merito.

Richiamo, innanzitutto, l'articolo 1 della proposta di legge, il quale prevede che la spesa sanitaria sia pari ad almeno l'8 per cento del PIL annuo e che in ogni caso il finanziamento statale del fabbisogno sanitario nazionale debba crescere annualmente in misura almeno doppia rispetto al tasso di inflazione, anche in caso di diminuzione del PIL. Al riguardo faccio presente che, secondo quanto riporta il dossier elaborato dal Servizio Bilancio dello Stato della Camera dei deputati, il raggiungimento dell'otto per cento del PIL, in base ai dati contenuti nel Documento di finanza pubblica del 2025, richiederebbe una spesa sanitaria aggiuntiva pari a 37 miliardi di euro per il 2025, 36 miliardi di euro per il 2026 e 39 miliardi di euro per il 2027. Ebbene, a fronte di questi dati, all'articolo 12 la proposta di legge Quartini rinvia a non meglio precisati interventi di razionalizzazione e di revisione della spesa pubblica, che assicurino minori spese pari a quattro miliardi di euro per ciascuno degli anni dal 2025 fino al 2030. Ogni commento da parte mia è superfluo.

Vi sono numerose altre disposizioni prive del minimo criterio di rigore: cito ad esempio l'articolo 2, comma 5, che è suscettibile di determinare effetti onerosi in conseguenza dell'aumento dei posti letto. In base alle stime della Corte dei conti, intervenuta in audizione dinanzi alla XII Commissione, l'onere complessivo della disposizione ammonterebbe a circa 7,3 miliardi di euro. Ancora: l'articolo 3, comma 2, che, prevedendo un innalzamento al 30 per cento della quota che le regioni possono destinare alla spesa per il personale, come indicato sempre dalla Corte dei conti, implicherebbe, in mancanza di misure riduttive di altre voci di spesa sanitaria, un aumento della spesa per il personale di circa un miliardo di euro.

Sembra dunque che i presentatori della proposta di legge abbiano voluto intervenire su ogni tema connesso all'organizzazione e al funzionamento del Servizio sanitario nazionale - erogazione delle prestazioni, personale, sanità integrativa, emergenza-urgenza, ricerca e digitalizzazione - senza seguire alcun criterio sistematico o razionale non solo per l'assenza della quantificazione degli oneri, ma anche sotto il profilo del contenuto e delle soluzioni prospettate.

Un caso emblematico è quello delle liste di attesa, argomento trattato all'articolo 8, laddove si prevede che le regioni sono tenute a rispettare una serie di obblighi per conseguire l'abbattimento delle liste d'attesa, senza tuttavia indicare gli strumenti volti ad assicurarlo. Al riguardo, faccio presente che il Governo è intervenuto su questa problematica con il decreto-legge n. 73 del 2024 con il quale sono state introdotte soluzioni concrete e applicabili. Successivamente è stato presentato un disegno di legge sull'erogazione delle prestazioni sanitarie, già approvato al Senato e ora all'esame della XII Commissione della Camera, recante numerose e importanti misure sulle quali siamo disponibili a confrontarci.

L'atteggiamento della maggioranza, quindi, non è affatto di chiusura. L'invito è a un confronto serio che sia alieno da soluzioni populistiche e lontane dalla realtà. Nessuno vuole negare i problemi che affliggono la sanità italiana e che affrontiamo quotidianamente in Commissione. Rifiutiamo però di prospettare ai cittadini l'idea che si possano reperire risorse di tale entità e pari a una manovra finanziaria dall'oggi al domani. Peraltro, avete avuto a disposizione cinque anni per realizzare la sanità prospettata dalla proposta del Movimento 5 Stelle.

Mi limito a segnalare incidentalmente che nel Documento di economia e finanza del 2019 - Governo Conte, prima dell'emergenza pandemica - si prevedeva una spesa sanitaria corrente pari a poco più di 118 miliardi di euro; per il triennio 2020-2022 si indicava una crescita pari all'1,4 per cento annuo. Il rapporto tra la spesa sanitaria e il PIL sarebbe così passato da un valore pari a 6,6 punti percentuali per ciascuno degli anni dal 2018 al 2020 a un livello pari a 6,5 punti percentuali nel 2021 e a 6,4 punti nel 2022. Sembra invece che oggi dall'opposizione sia possibile raggiungere facilmente qualunque risultato, senza tenere conto dei limiti oggettivi e incontrovertibili di finanza pubblica.

Per le ragioni illustrate sarebbe stato sicuramente più opportuno non portare questo provvedimento all'esame dell'Assemblea.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, l'onorevole Quartini.

ANDREA QUARTINI, Relatore di minoranza. Grazie, Presidente. Io comprendo perfettamente il collega Ciancitto nel suo ruolo di detrattore di questa proposta di legge. Comprendo che l'unico modo è quello di trovare dei vizi formali, degli aspetti burocratici incongrui. Comprendo come si giustifichi con l'insufficiente copertura economica del provvedimento. Presidente, la prima osservazione che vorrei rilevare è che non è una questione burocratica, non è una questione formale: è una questione politica. Abbiamo un Servizio sanitario nazionale, che è la più grande conquista sociale del Paese, in grave sofferenza, definanziato negli anni, ai livelli più critici della nostra storia.

Guardando la spesa media pro capite, l'Italia paga un prezzo altissimo: 800 euro in meno rispetto ai Paesi OCSE e UE. In soldoni, sono 48 miliardi in meno investiti sulla salute. E di questi 48 miliardi in meno all'anno che vengono investiti sulla salute, 18 miliardi riguardano gli stipendi e i salari, non adeguati, dei nostri professionisti. Questo ragionamento vale anche per la spesa sul PIL. A breve Meloni ci dirà che dovremo spendere il 5 per cento del PIL nell'economia di guerra, nell'economia di morte. A poche ore dall'attacco illegittimo degli USA all'Iran, la via negoziale e diplomatica sembra fallire a vantaggio di un'escalation militare.

Come fate a non vedere l'immensa contraddizione tra riarmo ed escalation militare? Non solo, questo 5 per cento è una cifra che si avvicina pericolosamente alla spesa sanitaria sul PIL, alla spesa sanitaria per la vita, per la salute. Ma di cosa stiamo parlando? Ecco che la questione è tutta politica. I soldi per le armi li trovate, per la salute no. I pretesti e gli alibi adottati dal collega sono semplicemente inconsistenti nei fatti, Presidente. Si lamenta la mancanza di quantificazione e l'esauriente copertura, dopo che la maggioranza ha respinto i nostri emendamenti che riportavano la quantificazione, con il contributo dell'Ufficio parlamentare di bilancio e della Corte dei conti, e la relativa copertura, anche rispetto alle pregresse annualità debitamente corrette in fase emendativa.

Dimentica che è prassi consolidata che la parte finanziaria venga regolata con maggiore precisione in sede referente, per poi arrivare in Aula con le più appropriate coperture: cosa, questa, che la maggioranza non ha consentito di fare. Non solo, oltre la metà degli articoli non vanno a riguardare la finanza pubblica, perché sono a costo zero. Di nuovo, ma di cosa stiamo parlando? Il parere del MEF si è concentrato su pochi articoli per cassare in maniera pretestuosa l'intero provvedimento, ignorando altri articoli che trattano di appropriatezza concernente i LEA, i raggruppamenti omogenei di diagnosi, le risorse umane, l'accreditamento delle strutture sanitarie, la sanità integrativa, la tracciabilità nella spesa sanitaria, le nomine della dirigenza sanitaria, le liste d'attesa, l'attività Intra moenia, la ricerca sanitaria, la digitalizzazione del Servizio sanitario nazionale, il riordino del sistema di emergenza sanitaria territoriale e ospedaliero.

E veramente avete il coraggio di dirci che non c'è omogeneità in una proposta di legge che va a incidere su tutto il sistema sanitario nazionale? Sono disposizioni per la maggior parte finalizzate ad efficientare la spesa sanitaria e a generare un risparmio. Il testo identifica e si propone di risolvere i numerosi problemi che affliggono il nostro Servizio sanitario nazionale. La spesa sanitaria rispetto al PIL è tornata a scendere con il Governo Meloni, che, mentre millantava inesistenti record, l'ha riportata ai livelli di 17 anni fa. Qui la nostra proposta di legge interviene con una spesa sul PIL adeguata, con crescita non inferiore al doppio dei livelli inflattivi, se non altro per far pari con il credito che il Servizio sanitario nazionale ha nei confronti della fiscalità generale.

Abbiamo inaccettabili disparità nell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, con 14 regioni che mostrano prestazioni peggiorate rispetto al 2019, soprattutto in ambito cardiovascolare e oncologico. Noi diciamo “no” a una sanità di serie A e di serie B sulla base della regione di nascita. In altra sede proponiamo di riformare il Titolo V della Costituzione e riportare la gestione della sanità sotto il controllo dello Stato, mentre, al contrario, assistiamo a scellerate proposte di autonomia, che non farebbero che aumentare i divari regionali.

In questa proposta interveniamo sul finanziamento dei LEA e sul riparto a partire dalle condizioni di deprivazione sociale. Un anno fa il Governo ha varato il suo decreto sulle liste d'attesa, annunciato in pompa magna, una vera e propria manovra di propaganda elettorale, come la soluzione di tutti i nostri problemi, compreso l'odioso fenomeno dei gettonisti, che, a differenza di quello che ha detto la Meloni in quest'Aula, non sono stati eliminati, anzi, sono aumentati: 6 milioni di cittadini - 1 italiano su 10 - hanno, almeno una volta, rinunciato a una visita o a un esame nell'ambito del Servizio sanitario nazionale, e 4 milioni lo hanno fatto proprio a causa delle lunghe attese.

Numeri in paurosa crescita negli ultimi 2 anni, a dimostrazione che non solo questo Governo non è in grado di risolvere il problema delle liste d'attesa, ma lo sta drammaticamente aggravando. Un contesto che finisce per favorire il ricorso agli amici della sanità privata e all'Intra moenia. Sono ormai anni che si realizza un aumento della fuga verso le strutture private e un insopportabile abuso dell'attività Intra moenia, con enormi rischi di corruzione e disparità di trattamento, e con una spesa out of pocket, quindi direttamente a carico delle famiglie, che aumenta drammaticamente ogni anno.

Con il Governo Meloni, nel 2023, ha raggiunto la cifra record di 43 miliardi, 9 in più rispetto al Governo Conte, e si prevede che arriverà a 47 miliardi. Interveniamo, con questa PDL, sulle liste di attesa e sull'Intra moenia! Enormi sono, poi, i problemi legati al personale sanitario, a partire dalla sua carenza: fattori che hanno enormemente indebolito il sistema, finendo per vessare medici e infermieri, costretti a turni massacranti per ovviare alla carenza e per ripercuotersi sui cittadini in termini di aumento dei tempi di attesa e di abbassamento della qualità dell'assistenza sanitaria, e non solo, anche di incremento del fenomeno della violenza.

Ma se parliamo di personale sanitario, non possiamo non parlare dei salari dei nostri medici e infermieri, con buste paga tra le più povere d'Europa. Personale che è costretto a operare in contesti spesso fatiscenti e in strutture inadeguate, sempre più rinchiuso nei grandi ospedali e nei pronto soccorso allo stremo, a causa di una totale assenza del filtro della medicina di prossimità. A proposito di quest'ultima, questo Governo ha avuto un'occasione enorme di invertire la rotta, grazie agli oltre 15 miliardi stanziati all'interno dei 209 miliardi portati all'Italia da Conte con il PNRR, ma abbiamo assistito solo a tagli e rinvii dei progetti, tra i quali 1.800 posti letto tra le terapie intensive e semintensive e più di 500 strutture di prossimità, come case e ospedali di comunità.

Con questa proposta di legge, noi interveniamo sui contratti per adeguare i salari alla media europea e sui piani di assunzione triennale e per implementare la medicina territoriale. E, a proposito di posti letto, l'Italia si ritrova oggi ad avere 3,7 posti per mille abitanti, contro una media europea di 5,5. Interveniamo aumentando verso la media europea i posti letto ospedalieri.

Chiudo, Presidente. Non posso, naturalmente, non citare, tra le criticità del nostro Servizio sanitario nazionale, le procedure di accreditamento delle strutture sanitarie, la scarsa trasparenza e tracciabilità della spesa sanitaria e la piaga delle nomine politiche delle direzioni aziendali. Tutti temi affrontati nella PDL.

L'obiettivo è di garantire universalità, qualità e sostenibilità del Servizio sanitario nazionale, in linea con i principi costituzionali, l'esatto opposto di ciò che questo Governo sta facendo, con trasformazione di quei principi e di quei diritti in privilegi per pochi fortunati e, se va bene, di un Servizio sanitario nazionale in centro appaltante agli amici della sanità privata, incontenibile rispetto alla propria ingordigia.

PRESIDENTE. Concluda, per favore.

ANDREA QUARTINI, Relatore di minoranza. Un sistema che, di fatto, finisce per lucrare sul dolore dei cittadini e questo, eticamente, è inconcepibile, Presidente (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il Sottosegretario, onorevole Gemmato.

MARCELLO GEMMATO, Sottosegretario di Stato per la Salute. Grazie, Presidente. Vorrei partire, ringraziando l'onorevole Quartini per aver immaginato di incardinare questa proposta di legge, evidentemente perché spinto dalla volontà di affrontare un problema che esiste, che riguarda il nostro sistema sanitario nazionale pubblico, le sue performance, il modo di migliorarlo, di ripensarlo, di immaginarlo.

Ripeto: mi piace ricordare come il sistema sanitario nazionale nasce con la legge 23 di dicembre 1978, n. 833. Si rispondeva a un'esigenza di salute di una società completamente diversa da quella attuale. All'epoca, avevamo una popolazione giovane, venivamo fuori dal boom economico degli anni Sessanta, la popolazione italiana era una popolazione giovane e si facevano figli. Oggi, viviamo un inverno demografico di 1,18 bambini per donna. Eravamo già ultimissimi con 1,24 bambini per donna nella penultima rilevazione; oggi, 1,18 bambini per donna.

Una straordinaria riforma, quella voluta da Tina Anselmi, che però, ripeto, rispondeva a quel tipo di società. Oggi, la società è cambiata. Abbiamo una popolazione anziana. Siamo fra le popolazioni più longeve al mondo (un dato positivo), però non facciamo più figli (dato in contrapposizione e quindi negativo).

Dobbiamo immaginare un nuovo sistema sanitario nazionale pubblico che parte da questo. Immaginate che l'80 per cento del Fondo sanitario nazionale viene speso per la gestione della cosiddetta cronicità: malattie croniche non trasmissibili che, nel 1978, non esistevano, perché la popolazione giovane non aveva e non doveva prevedere la presa in carico di quel tipo di patologie che si conclama in età adulta. Non esisteva l'innovazione farmaceutica che oggi porta alla risoluzione di gravi problemi di salute, addirittura con somministrazioni one shot di un farmaco che, grazie alla ricerca scientifica dei nostri straordinari ricercatori, sostanzialmente riesce a risolvere il quadro sintomatologico di un paziente, ma che ha costi di decine di migliaia di euro, di centinaia di migliaia di euro. Per alcune malattie rare, milioni di euro in un'unica somministrazione, che, però, risolve il quadro sintomatologico molto spesso nelle malattie rare di bambini. Nel 1978 tutto questo non esisteva.

Quindi, lo sforzo dell'onorevole Quartini è giusto, sacrosanto. Dice: “re-immaginiamo un sistema sanitario nazionale” che ancora oggi, però - lo voglio ricordare - è comunque quotato come il quarto sistema sanitario nazionale pubblico al mondo.

In tutta sincerità, dico all'onorevole Quartini (che stimo), quello che non mi convince è l'aspetto temporale. Se ci sono tutti questi problemi che lei ha enunciato - come la nomina dei direttori generali, le storture -, ma perché non li avete risolti, quando eravate al Governo? Avete governato cinque anni, con responsabilità, in generale, con il Presidente del Consiglio, ma, in tema di sanità, con un Ministro prima e con un Vice Ministro poi. Perché non avete compendiato quelle criticità, quando eravate al Governo? Lo dico in maniera affettuosa, amichevole, per non fare ciò che spesso avviene, per non cadere nella trappola di dividersi sulla sanità quando, invece, sulla sanità dovremmo essere uniti, per la risoluzione dei problemi degli italiani, essendo, il diritto alla salute, un diritto costituzionalmente riconosciuto all'articolo 32 della nostra straordinaria Costituzione.

Cosa non mi convince ulteriormente? Non mi convince il fatto - e lo ricordava il relatore di maggioranza, l'onorevole Ciancitto - che non ci fossero né quantificazioni, né coperture, oserei dire un libro dei sogni all'interno del quale mettiamo di tutto e di più: facciamo arrivare all'80 per cento il finanziamento del fondo, portiamo lo stesso al finanziamento di 40 miliardi di euro l'anno. Così animiamo cosa? Un po' lo scoramento dei cittadini italiani, che magari ci seguono, ma non ossequiamo a quello che vorrei fosse la stella polare nei nostri ragionamenti, quando si parla di sanità, ovvero l'aderenza alla realtà. La realtà, purtroppo, ci racconta tutt'altro. Ne abbiamo discusso in Commissione.

Ho dato una scorsa al documento prodotto dagli uffici della Camera, del nostro dossier, dove, sostanzialmente, si richiama una cosa che spesso faccio notare: in fase previsionale del DEF, se non ricordo male nell'aprile del 2022, l'allora Governo uscente (quindi non il nostro, ma il vostro), nella fase previsionale triennale, postava come finanziamento… Lo potete vedere nella tabella che è prodotta e allegata ai vostri atti; non lo stiamo producendo noi, la state producendo voi, incidentalmente, avendo incardinato questo provvedimento. Quando voi eravate al Governo, voi dite che il finanziamento del Fondo sanitario, in fase previsionale nel 2025 - lo andiamo a vedere insieme; per non sbagliare, lo ricordo a memoria, ma lo voglio citare e seguire con voi; mi riferisco alla vostra tabella, allegata ai vostri atti -, dovesse essere del 6,1 per cento.

Con il Governo Meloni - tabella da voi prodotta -, il finanziamento è del 6,2 per cento. Significa che questo Governo, rispetto alle vostre previsioni, non alle nostre, un punto percentuale a spanne e sono 130 milioni di euro in più, ha pensato di postare 130 milioni di euro in più rispetto a ciò che voi avevate detto, nell'ultimo documento da voi prodotto, prima che ci fossero le elezioni e ci fosse il cambio di Governo, rispetto al finanziamento del Fondo sanitario nazionale.

Io su questo - lo dico perché il dibattito deve essere anche un dibattito di verità - vorrei che ci fosse un ancoraggio, perché: o è vero che il Governo uscente, con una presenza importante vostra in maggioranza, all'epoca immaginava che venendo fuori dal periodo pandemico si dovesse de-finanziare - e avete voi de-finanziato in fase previsionale - quel fondo, oppure, garbatamente, ci stiamo prendendo in giro rispetto a numeri che, purtroppo, nella loro assolutezza vi pongono in contraddizione (volevo utilizzare un altro termine, ma non l'utilizzo).

Allora, è questa la contraddizione. Così come è contraddittorio dire - perché voi potreste prendere la stessa tabella e dirci ciò - che, durante il vostro Governo - verissimo - si è arrivati a finanziare il 7 per cento del prodotto interno lordo. Ma è di tutta evidenza che quel 7 per cento viene raggiunto durante la pandemia, quando le fabbriche, gli studi professionali e i ristoranti erano chiusi (sostanzialmente tutto era chiuso, un'economia di guerra): il PIL crolla, quel rapporto schizza e quindi si raggiunge il 7 per cento. Ma ciò che invece è interessante è la cifra assoluta, cioè quanto oggi viene finanziato il Fondo sanitario nazionale. E oggi il Fondo sanitario nazionale viene dotato di 136,5 miliardi di euro che, oltre ad essere un record storico, rispetto al 2019 (quindi, condizione di analogia: all'epoca non c'era il COVID, oggi non c'è il COVID), essendo all'epoca 114,5 miliardi di euro - vado a memoria, ma sui numeri riesco ad essere abbastanza aderente alla realtà -, abbiamo un fondo che viene dotato di più di 20 miliardi di euro in condizioni di analogia 2019-2025.

E, allora, di che cosa stiamo parlando? L'invito che veramente vi faccio è quello di essere, almeno sul tema della sanità, non divisivi, ma uniamoci, partendo da quel presupposto che vi ho fatto. È verissimo, il nostro sistema sanitario nazionale pubblico deve avere un ripensamento. Dobbiamo immaginare, stiamo facendo alcuni sforzi - ve lo dico -, per esempio, per investire in prevenzione. Oggi si investe il 95 per cento in cura e soltanto il 5 per cento in prevenzione.

Se noi vogliamo rendere sostenibile il nostro sistema sanitario nazionale pubblico, dobbiamo perequare questa differenza e dobbiamo, sostanzialmente, evitare che i cittadini italiani si ammalino per rendere sostenibile lo stesso nostro sistema. Così come la perequazione fra Nord e Sud è un tema, secondo me - e lo capirete dall'accento di cui io vado orgogliosamente fiero -, da uomo del Meridione, non è un tema, è il tema. Il tema oggi è evitare che i cittadini meridionali debbano andare al Nord a curarsi non per libera scelta, ma per esigenza, per costrizione. Ma, anche qui, lo vogliamo dire in aderenza di realtà? Vi siete resi conto che quello che lei, onorevole Quartini, richiamava come elemento da introdurre, ovvero il coefficiente di deprivazione, nella suddivisione del Fondo sanitario nazionale, è stato introdotto per la prima volta dal Governo Meloni? Questa è la realtà.

Nel 2023 - divisione CIPESS del Fondo sanitario nazionale -, per la prima volta, alle regioni meridionali vengono dati 220 milioni di euro in più per curare i meridionali, riconoscendo quel tema che lei, giustamente, introduceva e che era un tema che la Conferenza Stato-regioni e gli ordini professionali ponevano come centrale nel dibattito. Io, nella scorsa legislatura, avevo fatto approvare un ordine del giorno in tal senso. Bene, arriva il nostro Governo e lo fa. Il coefficiente di deprivazione di cosa tiene conto? Tiene conto della mortalità al di sotto dei 75 anni, tiene conto del tasso di scolarizzazione, tiene conto del tasso di occupazione, sostanzialmente di parametri che favoriscono, purtroppo, le regioni del Meridione. Il risultato? Onorevole Quartini, nella sua regione Campania, 87 milioni di euro in più, soltanto per il 2023, per il Fondo sanitario regionale (Commenti dei deputati Quartini e Baldino)… chiedo scusa, ho sbagliato, anche lei ha l'accento come il mio. Ho sbagliato… scusate, non è un'offesa dire che si è campani, assolutamente…

PRESIDENTE. Prego, tranquilli.

MARCELLO GEMMATO, Sottosegretario di Stato per la Salute. Quindi, per la Campania, 87 milioni di euro in più; per la Puglia - ecco, la mia regione - 48 milioni di euro in più dal Fondo sanitario nazionale. Così come anche - non voglio essere troppo tecnico nell'intervento - per la suddivisione della parte di sforamento della cosiddetta distribuzione diretta del farmaco, soggiacente al payback, per la prima volta quest'anno è stato introdotto un coefficiente migliorativo che, sostanzialmente, andasse a perequare quella differenza. È una battaglia che si è intestato il presidente Marsilio, e che ha portato per la Campania, sempre come riferimento, a una cinquantina di milioni di euro in più solo per l'anno di competenza di quest'anno, per la Puglia 10 milioni di euro in più. Quindi, cito questi dati per tabulas per rappresentarvi l'interesse, la centralità che per il Governo Meloni ha la perequazione, perequare la differenza fra Nord e Sud, anche in tema di salute.

Concludo così come ho iniziato: a mio avviso, sulla sanità non ci dovremmo dividere; dovremmo ritrovare insieme lo spirito unitario che, nel 1978, produsse quella straordinaria legge che superava tutta una serie di differenze sociali nell'approccio alla cura dei cittadini italiani. Lo dobbiamo fare, lo dobbiamo difendere, lo dobbiamo sostanziare, lo dobbiamo attualizzare, perché - ripeto - la nostra società è completamente diversa da quella di ieri. Dobbiamo investire in prevenzione, dobbiamo investire in cura, dobbiamo investire in percorsi complessi, dobbiamo investire in nuove tecnologie, che possono e devono servire nei nuovi modelli organizzativi immaginati a migliorare le performance del sistema sanitario nazionale pubblico, ma lo dobbiamo fare senza applicare l'ideologia o, peggio ancora, la divisione politica o partitica che sicuramente distorce i nostri ragionamenti, soprattutto in quest'Aula (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Grimaldi. Ne ha facoltà.

MARCO GRIMALDI (AVS). Grazie, Presidente. Affrontiamo subito il cuore della questione: non si può riorganizzare il Servizio sanitario nazionale senza un poderoso aumento di risorse finanziarie. Non si può, non si può senza un piano straordinario di assunzioni, senza il superamento della precarietà, senza potenziare la sanità territoriale, senza siglare accordi con le grandi organizzazioni sindacali, senza rinnovare quei contratti da fame.

Il nostro Servizio sanitario è in predissesto - lo dicono i dati, non lo diciamo noi -, è progressivamente abbandonato dai pensionamenti, dalle offerte lavorative più vantaggiose, soprattutto dalla fuga verso l'estero. È stato risollevato - lo chiediamo al Sottosegretario - dal PNRR? Ma per carità, basta che guardiamo qualche dato: su 1.350 case di comunità previste, ne sono state completate poco più di una decina, il 2 per cento. Abbiamo lavori in corso per oltre 500 strutture, ritardi nell'avvio dei lavori per 631 strutture. E degli ospedali di comunità, Sottosegretario, non ne parla, vero? Sono state finanziate 427 strutture per un valore di 1.300.000.000, ma completate e collaudate solo 10. Ecco, su 1,3 miliardi di euro disponibili, risultano pagati poco più di 100 milioni di euro.

No, c'è un punto più delicato però, Sottosegretario: è che, per attivare queste strutture, servirebbero circa 18.350 infermieri, 10.200 unità di personale di supporto, 2.000 operatori sociosanitari e 1.300 assistenti sociali. Peccato che, entro il 2028, andranno in pensione 33.000 medici di base e 47.000 medici ospedalieri. Ecco, intanto la spesa per la salute delle famiglie è aumentata del 10,3 per cento nel solo 2023. È inutile che continuate a guardare col torcicollo e ve lo dice una forza politica che non ha governato quanto voi negli ultimi vent'anni, abbiamo governato un quarto di quanto avete governato voi. Parliamo soprattutto di una spesa out of pocket, ovvero pagata direttamente dai cittadini. Nel 2024 - e se ci ascolta, Sottosegretario, capirà meglio di che cosa parliamo -, quasi 6 milioni di persone, circa un decimo della popolazione italiana, hanno dovuto rinunciare a curarsi. È accaduto perché i tempi di attesa per esami e visite sono troppo lunghi o perché fare i controlli costa troppo. Il 6,8 per cento delle persone dice che non si cura perché bisogna aspettare troppo tempo e altri hanno detto di aver rinunciato per motivazioni, appunto, economiche; già, perché non tutti hanno la carta di credito per saltare quelle file.

Dopo la pandemia, la quota di popolazione costretta a rinunciare alle cure è sempre cresciuta. Nel 2023 le persone che rinunciavano erano il 7,5 per cento, nel 2024 il 9,9 per cento. E gli altri? Che cosa fanno? Aspettano, aspettano o fanno usi impropri della sanità, di cui non parlate mai. Ecco, rispetto al 2022, nel 2023 si è ridotta di ben 1,9 miliardi la spesa in prevenzione. Sapete benissimo - e lo sapete davvero bene - che il taglio di questa spesa avrà ricadute e un costo altissimo in termini di salute nei prossimi anni. Nel frattempo - e ce lo dice l'Istat, non le opposizioni -, cresce il ricorso a cliniche e strutture private per esami e visite, cliniche e strutture private che conoscete, anche lì, molto, molto bene e troppo da vicino. Nel 2024, il 23,9 per cento della popolazione si è affidato ai privati, senza avere nessun rimborso dalle assicurazioni sanitarie. Così, mentre aumenta la speranza di vita - 81,4 anni per gli uomini e 85 per le donne -, la speranza di vita in buona salute continua a diminuire; già, è questo il dato strutturale. E la rinuncia alle cure per così tante persone significherà un maggiore utilizzo dei servizi di emergenza e di ricoveri in ospedale, anche lì, spesso, con servizi molto più costosi per la collettività rispetto alla prevenzione.

La proposta di legge del collega Quartini - che condividiamo - prevede un incremento obbligatorio della spesa fino ad almeno l'8 per cento del PIL e un aumento annuale del finanziamento del fabbisogno al doppio del tasso di inflazione; per questo prevede una copertura finanziaria di 4 miliardi dal 2025 al 2030. Chiede semplicemente di aumentare il tetto di spesa per il personale, di aumentare le risorse per il personale di assistenza sanitaria territoriale, di adeguare le retribuzioni ai livelli europei; prevede di ridefinire il sistema di calcolo del numero di posti letto in base alle esigenze epidemiologiche, aumentandoli e adeguandoli alla media europea; propone, di fatto, un intervento vero per abbattere le liste di attesa, con una gestione informatica trasparente, tracciabile e unica dell'agenda di prenotazione.

In più potenzia, come diciamo da tempo, la ricerca sanitaria con lo 0,5 per cento in più del finanziamento complessivo al sistema sanitario nazionale. Eppure, questa proposta di legge arriva in Aula con un parere contrario del relatore. Il Governo ci chiede proprio in queste ore - ce lo dirà di nuovo Giorgia Meloni - di stanziare il 2 per cento del PIL per spese militari, con l'impegno di arrivare fino al 5 per cento, ma sfugge al confronto sul diritto universale alla salute. A quanto pare il muro invalicabile della Ragioneria dello Stato vale solo per la sanità, per la scuola, per i servizi sociali e, magari, per i rinnovi contrattuali, ma per le spese militari, quando si tratta di passare, come abbiamo fatto quest'anno, da 35 miliardi a 45 miliardi, non avete avuto remore.

Oggi doveva essere il giorno del confronto su un tema essenziale della vita delle persone. Negli ultimi 10 anni, anzi, mettiamola così, nei 10 anni precedenti al COVID abbiamo assistito a una riduzione dei finanziamenti per il Servizio sanitario nazionale pari a 37 miliardi di euro. La pandemia ha mostrato tutti i limiti di una mancata integrazione tra l'ambito sanitario e quello sociale, tra ospedale e territorio. La salute del nostro Paese ha bisogno di una profonda riorganizzazione e il PNRR serviva esattamente a questo. Serve un sistema integrato che metta al centro le persone e le comunità, servono servizi sanitari e sociosanitari di prossimità.

Sapete, prima del COVID i controlli erano 32.800.000 ogni anno; sono precipitati a 27.500.000, con un calo di 5 milioni di pazienti. Sono dati reali, spaventosi. In 3 anni il Servizio sanitario ha perso un milione di elettrocardiogrammi, delegati alle cliniche private, 334.000 ecografie all'addome, ben 127.000 mammografie al seno. Negli ospedali pubblici gli stipendi sono tra i più bassi d'Europa, le condizioni di lavoro sempre più dure, con carenze di medici e infermieri, in fuga all'estero o verso il privato, come ci dicono la CGIL e la UIL, che non hanno firmato quell'accordo che avete, come al solito, firmato separatamente.

Le persone in condizioni di povertà assoluta sono 5,7 milioni e il 10 per cento di questi 5,7 milioni in povertà assoluta si trova in condizioni di povertà sanitaria. Ecco, abbiamo creato una nuova figura della povertà nel nostro Paese. Abbiamo lavorato con tutte le opposizioni, insieme, a una proposta organica e ragionata; voi vi apprestate a rigettarla sulla base di falsità, prima fra tutte quella secondo cui avreste aumentato la spesa per sanità in bilancio. La realtà è che il trend del FSN mantiene l'andamento consolidato sino al 2026, per poi tornare solo ai livelli del periodo pre-pandemia; la percentuale del PIL destinata alla sanità sarà ferma al 6,4 per cento fino al 2028.

Significa che il Servizio sanitario nazionale continuerà a essere sottofinanziato e lontano dai livelli dei Paesi dell'Unione europea più avanzati. Gliene dico alcuni, Sottosegretario, che forse se ne è dimenticato nella sua controrelazione: nel 2023 la Germania ha speso per la sanità pubblica il 10,1 per cento del PIL, il Regno Unito l'8,9 per cento, la Spagna il 7,2 nel 2022 e la Francia aveva speso il 10 per cento negli scorsi anni. Le vostre bugie e la vostra propaganda non curano nulla e nessuno, nemmeno la vostra coscienza, ed è per questo che su questi temi continueremo a inchiodarvi alla realtà, quella di cui gli italiani ci parlano tutti i giorni (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciocchetti. Ne ha facoltà.

LUCIANO CIOCCHETTI (FDI). Grazie, signor Presidente. Colleghi, Sottosegretario, è certamente molto importante parlare di sanità, avere la possibilità di dialogare, oltre che in Commissione, nei convegni e nelle manifestazioni, anche in quest'Aula. Quindi, da questo punto di vista, ringrazio il collega Quartini di avere posto questo argomento al centro di questo dibattito. Come diceva il Sottosegretario, Presidente, credo che su questo tema della salute e della sanità dovremmo trovare più le condizioni per soluzioni comuni che non le divisioni ideologiche o le battaglie soltanto per raccogliere un like in più, perché chiaramente è un tema che ha attraversato tutti i Governi, dalla legge n. 833 del 1978 al decreto legislativo n. 502 del 1992 della Ministra Rosy Bindi, e ha attraversato il tema del finanziamento, del taglio dei posti letto, della modifica dell'organizzazione sanitaria.

Poi è arrivato il Titolo V della Costituzione, che nel 2001, certamente non da parte di chi vi parla o della forza politica e della coalizione di centrodestra, ha portato all'approvazione di una riforma costituzionale che, di fatto, ha creato 21 sistemi sanitari regionali uno diverso dall'altro, arrivando a comporre questo meccanismo di assistenza a macchia di leopardo nel nostro Paese, e anche i problemi che venivano richiamati dal Sottosegretario, dal presidente, dal collega Quartini e da altri sul tema del rapporto della sanità al Nord, della sanità al Centro, della sanità al Sud, con una serie di questioni oggettivamente vere e concrete, su cui bisogna agire e su cui credo che il Governo, da questo punto di vista, in questi due anni e mezzo, come ricordava, Presidente, l'onorevole Sottosegretario, sta agendo anche nella contrattazione con le regioni in Conferenza Stato-regioni.

Perché voglio ricordare che la ripartizione del Fondo sanitario nazionale viene fatta non dal Governo da solo, ma viene fatta in Conferenza Stato-regioni, e senza un accordo in Conferenza Stato-regioni né il Governo, né il Parlamento sono in grado di poter definire esattamente quali sono le risorse che arrivano alle singole regioni, in rapporto a una serie di concetti che nel tempo hanno favorito le regioni del Nord, in qualche modo bloccando la spesa storica, a differenza di quello che è stato speso nel corso degli anni nelle regioni dal Centro al Sud.

Quindi certamente c'è un problema, qualche azione di riequilibrio si sta mettendo in campo e credo che sia questa una, per esempio, delle battaglie che andrebbero assunte concretamente per cercare di riportare un equilibrio anche nella ripartizione dei fondi. Alcuni presidenti di regioni del Centro-Sud hanno posto una serie di questioni da questo punto di vista che, credo, debbano e possano essere considerate. Si dice nella battaglia politica, e lo abbiamo ascoltato più volte in quest'Aula: ah, il Governo Meloni ha definanziato la sanità!

Lo abbiamo ascoltato in televisione, lo abbiamo ascoltato sui social, lo abbiamo ascoltato da importanti leader politici in quest'Aula, e credo che questo, però, dovrebbe in qualche modo riportare, in un dibattito serio e concreto, alla realtà dei fatti. E la realtà dei fatti dice le cose che sono state ricordate sia dal relatore di maggioranza che dal rappresentante del Governo in rapporto anche alle scelte che questo Governo, questa maggioranza ha assunto, da questo punto di vista, nell'ambito delle possibilità che le disponibilità finanziarie del Paese possono porre. Si dice del rapporto tra finanziamento sanitario nazionale e il prodotto interno lordo.

Grazie a Dio il prodotto interno lordo di questo Paese, in questi due anni e mezzo, è salito in maniera significativa; quindi anche l'impatto, o il mantenere il 6,2, come diceva il rappresentante del Governo prima, significa aumentare significativamente lo stanziamento sul Fondo sanitario nazionale. Nel 2020, 2021 e 2022, per il COVID il prodotto interno lordo del nostro Paese crollò di 10 punti, e quindi è chiaro che in un momento in cui ci fu uno sforamento di 180 miliardi, giustamente, per poter intervenire a sostegno delle imprese e delle famiglie in periodo di COVID, una parte di quelle risorse furono messe per aiutare il sistema sanitario ad aiutare i pazienti e i cittadini colpiti dal COVID e gli operatori sanitari.

Ciò portò ad un aumento del rapporto con il prodotto interno lordo. Però voglio ricordare - perché probabilmente si dimentica - che nel 2019, quindi ante COVID-19, il finanziamento del Fondo sanitario nazionale era 114,5 miliardi (2019). Noi arriviamo a 136,5 nel 2025, lo ha ricordato il Sottosegretario Gemmato, ma voglio ricordare anche che sono già programmati nella legge di bilancio che abbiamo approvato a dicembre del 2024 degli stanziamenti che sono di più di quelli che la proposta di legge Quartini in qualche modo prevede, perché la proposta di legge Quartini prevede 4 miliardi di finanziamento per il 2026. La spesa programmata del Fondo sanitario nazionale aumenta di 5 miliardi e 78 milioni per il 2026; 5 miliardi e 780 milioni per il 2027; 6 miliardi e 663 milioni per il 2028; 7 miliardi e 725 milioni per il 2029; 8 miliardi e 898 milioni annui a decorrere dall'anno 2030.

Questo è scritto nella legge di bilancio che abbiamo approvato, non sono cifre che mi sono inventato in questo momento e quindi, da un certo punto di vista, una parte del finanziamento e della proposta Quartini sul tema finanziamento - a parte il tema dell'8 per cento in rapporto al prodotto interno lordo che chiaramente in questa fase, come dicono la Ragioneria di Stato e la Commissione bilancio, è assolutamente insostenibile in tema di bilancio -, ma l'intervento significativo c'è già, cioè noi prevediamo, nei prossimi 2025, 2026 e 2027 e fino alla fine di questa legislatura, già in legge di bilancio 12 miliardi complessivamente in più di finanziamento e altre cose che speriamo che l'azione del Ministero della Salute, del Governo e del Presidente del Consiglio porteranno nella prossima legge bilancio per inserire ulteriori interventi come le risorse annunciate sulla salute mentale, come le risorse annunciate per aumentare l'intervento sulla prevenzione per passare dal 5 all'8 per cento dello stanziamento del Fondo sanitario nazionale. Quindi, credo, complessivamente, che non è vero che questo Governo abbia definanziato il sistema sanitario nazionale, ha fatto esattamente il contrario, e credo che se dobbiamo confrontarci su questo dobbiamo partire da questi dati che sono assolutamente incontrovertibili.

Poi siamo intervenuti per aggiornare le tariffe per la remunerazione delle prestazioni per acuti e post acuti che, in qualche modo, sono una realtà importante. Sul tema del personale, Presidente, credo che sia importante ricordare che questo Governo ha rinnovato contratti di lavoro che erano scaduti, in particolare quello dei medici nel 2017 che il Governo Meloni ha rinnovato nel 2024, un anno dopo l'effettiva attività, dopo un periodo di trattative importanti per quello dei medici, dei dirigenti medici, così come adesso è stato rinnovato il contratto del comparto pur con la contrarietà, delle volte anche un po' incomprensibile, da parte di alcune organizzazioni sindacali, cosa che apre la possibilità di rinnovare adesso i contratti che già, di fatto, sono scaduti per il prossimo triennio, che è assolutamente uno degli obiettivi fondamentali delle previsioni anche della stessa legge di bilancio di cui parlavo prima, che ha già riservato una serie di risorse importanti per il rinnovo dei contratti sia della dirigenza medica che del comparto sanitario. E poi…

PRESIDENTE. Onorevole, concluda per favore.

LUCIANO CIOCCHETTI (FDI). Sì, vado a concludere, un attimo soltanto. Credo che nel merito della proposta di legge poi ci sono alcuni articoli che certamente non hanno una rilevanza finanziaria ma hanno una rilevanza su cui abbiamo delle perplessità. Sul tema degli accreditamenti già il disegno di legge Concorrenza (il DDL Concorrenza) dal Governo Draghi in poi ha previsto che: il Ministero della Salute debba ridefinire i criteri per l'accreditamento, e questa è una cosa che dovrà fare entro il 31 dicembre del 2026; quella che si sta facendo è una riorganizzazione territoriale faticosa, ma che si concluderà a giugno del 2026 con l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza con le case di comunità e con gli ospedali di comunità, l'80 per cento dei cantieri sono aperti e stanno completando il loro lavoro. Il decreto liste d'attesa sta iniziando a dare i suoi effetti, guardate bene cosa sta accadendo nelle due regioni che lo hanno applicato in maniera perfetta, Lazio e la Basilicata: si sono ridotte le liste d'attesa in maniera significativa ed importante, speriamo che lo faranno…

PRESIDENTE. Grazie.

LUCIANO CIOCCHETTI (FDI). …tutte le regioni del nostro Paese, in modo da poter dare concretamente una risposta alla domanda di sanità che i cittadini meritano (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Giuliano. Ne ha facoltà.

CARLA GIULIANO (M5S). Grazie, Presidente. Io ci tengo moltissimo a intervenire su questo tema su cui c'è un'assoluta chiusura della maggioranza, e ci tengo a intervenire perché - e invito il Sottosegretario Gemmato, che è della mia stessa terra, la Puglia, a venire a vedere qual è la situazione nella mia provincia, la provincia di Foggia - i dati dimostrano come questo Governo abbandoni i cittadini e si disinteressi della salute dei cittadini, tant'è che leggo dei dati sulla Nota di aggiornamento al DEF del settembre 2023 per cui il rapporto tra PIL e spesa sanitaria dal 6,6 per cento del 2023 è scesa al 6,2 per cento e nel 2026 addirittura toccherà il 6,1 per cento. Sembrano dei dati sterili, ma qui si sta parlando e si sta giocando con la vita e con la salute dei cittadini, e lo si sta facendo in maniera anche non tanto celata visto che le uniche risposte - e mi dispiace - che ho sentito dal Sottosegretario, che ha parlato di una collaborazione con le opposizioni - noi siamo qui e vi abbiamo presentato un testo, quindi la collaborazione nel portarvi le nostre idee concrete c'è, ma c'è l'assoluto silenzio del Governo -, visto che lei parla di collaborazione, allora le chiedo di venire giù da me nella provincia di Foggia dove, a fronte di una popolazione di quasi 700.000 abitanti e di una terra che si estende per oltre 7.000 metri quadrati - è quasi una regione, è più grande della Liguria la sola provincia di Foggia, è grande quasi l'Abruzzo - abbiamo un'emergenza sanitaria di presidi ospedalieri come mai prima.

Proprio nei giorni scorsi ho interloquito con il direttore della ASL del mio territorio perché è a rischio nell'ospedale della mia città il reparto di nefrologia, così come negli anni sono stati depotenziati, a causa della carenza di medici, altri reparti come quello di ortopedia, di pediatria, di ginecologia e addirittura il reparto di psichiatria e di diagnosi e cure psichiatriche in un periodo, quello post COVID-19, che invece dovrebbe vedere una maggiore attenzione dello Stato. E mi stupisco delle sue parole tanto più perché lei parla di un rafforzamento del sistema sanitario nazionale, come noi promuoviamo attraverso questa proposta di legge con delle puntuali indicazioni ma, in realtà, tutto questo Governo sta facendo tranne che investire nel sistema sanitario nazionale. Lo abbiamo visto con la scuola, lo stiamo vedendo con la sanità: state rafforzando sempre di più quella sanità privata integrativa che privilegia i pochi, privilegia quei cittadini che hanno i soldi per potersi curare a fronte di 6 italiani su dieci che hanno, almeno una volta nel corso dell'anno, rinunciato ad un accertamento diagnostico perché non hanno i soldi per rivolgersi alla sanità privata, e le sue parole suonano come una beffa, Sottosegretario, perché ripeto, la situazione nei nostri presidi sanitari, anche tra i medici di base, è drammatica.

Non ci sono medici specialisti, non ci sono medici di base che possano rispondere adeguatamente ai bisogni di cura di una popolazione che invecchia sempre più, non ci sono infermieri. Quei 15 miliardi che erano previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, che voi dovevate investire soprattutto negli ospedali di comunità e nella sanità territoriale, non si sa dove siano andati a finire. Sono stati oggetto di marcia indietro, di riduzione dei progetti.

PRESIDENTE. Onorevole, concluda.

CARLA GIULIANO (M5S). Appena il 2 per cento dei progetti è stato portato a termine e le sue dichiarazioni, la sua presenza qui ha proprio il sapore della beffa, visto che lei, Sottosegretario, è detentore e, tramite lei, è stata ampliata la pubblicità di quella famosa clinica privata che, come pubblicità, ha quella di avere accertamenti diagnostici veloci, senza dover attendere i tempi lunghi del sistema sanitario pubblico, quel sistema sanitario pubblico che voi state distruggendo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Malavasi. Ne ha facoltà.

ILENIA MALAVASI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Faccio una premessa, perché giustamente stiamo cercando tutti quanti di dialogare, di discutere per un impegno a cui anche la maggioranza dice sempre di essere disposta, per capire come fare a tutelare il nostro sistema sanitario nazionale. Vorrei partire da qui, dal sottolineare, in quest'Aula, come il nostro sistema sanitario nazionale sia una grandissima risorsa, sia un sistema di grande qualità, sia un patrimonio di democrazia pensato per garantire equità e uguaglianza e rappresenta tuttora un patrimonio di dedizione, di impegno e di competenza, grazie alla professionalità di quanti e quante ogni giorno si prendono cura di chi ha necessità di cura, di accoglienza e di ascolto.

Per il Partito Democratico, per tutti noi, continuare a investire per garantire il sistema sanitario nazionale è una priorità imprescindibile: garantire il diritto alla salute è un imperativo ed è un instancabile impegno quotidiano. Per questo motivo, ringrazio il collega Quartini che, con questa proposta, ci dà l'opportunità, ancora una volta, di portare in quest'Aula un dibattito importante sulla sanità pubblica, per decidere insieme se, davvero, la tenuta del sistema sanitario nazionale sia una priorità che richiede non solo l'attenzione delle opposizioni, ma di tutto il Parlamento, nonostante - devo dire - il disinteresse al dialogo, all'ascolto e al confronto del Governo e di questa maggioranza.

Ho ascoltato con attenzione le parole del Sottosegretario, del collega Ciocchetti e del relatore di maggioranza, ma è indubbio che le cose in questi anni non siano migliorate, non solo perché mancano risorse, ma perché manca il personale, mancano le prestazioni sanitarie, le liste di attesa sono lunghissime e, rispetto a questi problemi ormai strutturali, Governo e maggioranza non hanno fatto nulla di concreto per reperire risorse aggiuntive. Non parlo di risorse necessarie a garantire una sorta di galleggiamento del sistema sanitario nazionale, ma di risorse straordinarie, urgenti. Questa maggioranza è stata abilissima, con la Premier in testa, a gettare fumo negli occhi della nostra opinione pubblica, con provvedimenti vuoti, senza dare alcuna risposta vera ed efficace ai problemi che davvero affliggono il nostro sistema sanitario nazionale.

Sulla sanità, infatti, sono state fatte molte promesse sulla pelle dei cittadini e ogni volta, di fronte ai propri fallimenti, si è sempre cercato qualche capro espiatorio. Ormai ci siamo abituati: è sempre colpa degli altri. Che gli interventi messi in campo siano insufficienti lo dicono i dati, lo dicono i freddi numeri: nel 2024 - lo voglio ricordare anch'io, perché la situazione è drammatica -, un italiano su dieci (parliamo di quasi 6 milioni di cittadini) ha riferito di avere rinunciato, negli ultimi 12 mesi, a visite o ad esami specialistici, specialmente a causa delle lunghe liste di attesa o per la difficoltà di pagare prestazioni sanitarie. Il dato che cito viene dal rapporto annuale dell'Istat del 2025, che certamente non può essere tacciato di parzialità, come la destra è abituata a fare, quando gli osservatori indipendenti, quali GIMBE, che spesso utilizziamo, registrano i suoi fallimenti.

Le ultime rilevazioni dell'Istat confermano come le condizioni di grave affanno siano endemiche e, in queste, versa la nostra sanità pubblica. La rinuncia a prestazioni vitali per la prevenzione e la cura è in crescita sia rispetto al 2023, quando era al 7,6 per cento, sia rispetto al periodo pre-pandemico, quando era al 6,3 per cento. Oggi, siamo quasi al 10 per cento e - ahimè - questi non sono numeri, ma sono persone, sono vite di persone che dovrebbero chiamare in causa, con la massima responsabilità, chi governa in primis, ma tutti noi che in questo Parlamento siamo stati eletti per riportare e rappresentare i bisogni dei nostri cittadini. È del tutto evidente che più le persone rinunciano a curarsi, più ci saranno conseguenze sulla salute pubblica, ma non solo, sulla tenuta del sistema sanitario, sulla sicurezza di un Paese che smette di curare e di fare prevenzione e, un Paese che non è in salute, è un Paese che non genera né benessere, né felicità, né competitività.

C'è anche un evidente impatto sul sistema sanitario, perché trascurare prevenzione e cure tempestive porta inevitabilmente ad un maggiore utilizzo di servizi di emergenza, a ricoveri in ospedale che sono molto più onerosi. So che condividiamo tutti questa affermazione, ma non ci intendiamo: siamo tutti consapevoli che investire in prevenzione e in salute riduce, in misura importante, il rischio di sviluppare patologie croniche, oncologiche, cardiovascolari, ma soprattutto genera benessere, perché investire in salute e in prevenzione è senza dubbio il più importante investimento che uno Stato democratico può fare sui suoi cittadini.

I lunghi tempi di attesa, per sottoporsi ad esami di laboratorio e visite specialistiche, sono la principale causa di rinuncia alle cure: il 6,8 per cento delle persone ha rinunciato alle cure, perché bisogna aspettare troppo tempo. La quota di queste persone che rinunciano a curarsi è aumentata: l'abbiamo già detto. È per questo motivo che crollano i castelli di carta costruiti e raccontati dal Governo in questi mesi. Del resto, il decreto Liste di attesa si è rivelato una scatola vuota, un bluff. L'abbiamo sempre denunciato, fin dall'inizio: fatto sulla pelle e a spese dei cittadini, che non hanno ottenuto alcun beneficio, perché la situazione - è un dato oggettivo - è peggiorata, perché per risolvere i problemi veri non basta uno spot, ma servono scelte chiare e maggiori risorse, che, ovviamente, non sono state stanziate, serve un pensiero lungo per un modello nuovo, organizzativo, tecnologico e digitale, che sappia investire in ricerca e sul personale, a partire dal superamento del tetto di spesa. Sto parlando di finanziamenti ingenti, importanti, per il personale, per riforme coraggiose, che non sono mai state all'ordine del giorno.

Il Governo - perdonatemi - non è stato neppure in grado, a un anno di distanza, di emanare tutti i decreti attuativi per il DL Liste di attesa, per poi prendersela con le regioni per le proprie incapacità organizzative. Avete creato un vero e proprio cortocircuito normativo che, di fatto, paralizza il sistema con regioni e aziende sanitarie che rimarranno, ancora per alcuni mesi, in attesa di interventi per far fronte da sole a liste di attesa e a un peggioramento del sistema delle prestazioni sanitarie. Tra l'altro, nelle prossime settimane, arriverà in Aula anche il DDL sulle prestazioni sanitarie che prevede altri 12 decreti attuativi, di cui due senza scadenza, e nessun investimento strutturale sul personale. Il personale è un punto di debolezza, ma di grande attenzione, perché c'è un malessere diffuso, dovuto a carichi di lavoro eccessivi, a carenza di personale, a mancato riconoscimento delle professionalità, a retribuzioni inferiori rispetto alla media di molti Paesi europei. Sappiamo benissimo che questo divario retributivo è un fattore che contribuisce alla fuga all'estero dei professionisti, ma anche verso il privato. La carenza di personale endemica è preoccupante e richiede un intervento tempestivo.

Chi rinuncia alle cure - ha fatto bene il collega Grimaldi -, lo fa perché non può più permettersi di scegliere. Da un lato, un sistema sanitario che arranca, dall'altro, l'impossibilità di pagarsi una prestazione.

Si tratta del fenomeno della povertà sanitaria, attentamente monitorata dall'Osservatorio, appositamente istituito, sulla povertà sanitaria dalla Fondazione Banco Farmaceutico, anche in questo caso un Osservatorio importante e indipendente. La percentuale di persone che dichiara di avere rinunciato alle cure per motivi economici è pari al 5,3 per cento, ed è un dato aumentato. Nel 2024 aumenta anche il dato delle persone che si affidano ai privati senza alcun rimborso delle assicurazioni sanitarie, ma non tutti possono permetterselo.

Nel nostro Paese, lo sappiamo bene, le retribuzioni sono ferme da 30 anni, il costo della vita è aumentato, le bollette sono cresciute anche per colpa delle scelte infelici di questo Governo. È calato il potere di acquisto, cresce la povertà e chi ha bassi redditi non ha la possibilità di scegliere, di fronte - lo dicevo - a un sistema che arranca e che non riesce più a dare risposte tempestive ed efficaci. Ricordo che, negli ultimi dati da pochi giorni pubblicati, nel 2023 solo 13 regioni sono state promosse sui LEA, 8 sono state bocciate.

Significa che non si riescono più a garantire uniformità ed equità nell'accesso alle cure, con divari importanti non solo tra Nord e Sud, ma anche all'interno delle stesse regioni, tra aree urbane e aree interne. Questi cittadini sono costretti, in mancanza di alternative, a rinunciare alle cure, e per questo stiamo facendo da mesi una battaglia anche sul salario minimo, perché solo così potremo affrontare e contrastare sacche di povertà in aumento e ridare dignità e una prospettiva di vita civile ai nostri cittadini più fragili.

In questi mesi abbiamo fatto tante proposte, le abbiamo fatte con la consapevolezza che la responsabilità deve essere di tutti noi, ma non abbiamo avuto la possibilità di dialogare veramente, in profondità, con attenzione, semplicemente perché, pregiudizialmente, le proposte fatte dalle opposizioni vengono sempre bocciate. Vengono bocciate se chiediamo di aumentare le risorse, se proponiamo modifiche sul tetto del personale, se proponiamo assunzioni straordinarie, se proponiamo di lavorare insieme sulle liste di attesa.

Non c'è la possibilità di dialogo e lo abbiamo chiesto.

Abbiamo chiesto risposte concrete anche rispetto al tema del personale, tanto che il Ministro Schillaci ha promesso un piano straordinario di assunzioni di medici e di infermieri. Peccato che quel piano, poi, non abbia mai visto la luce. E non si è accettato di discutere nemmeno dell'abolizione del tetto di spesa del personale. Abbiamo ascoltato con piacere che il Ministro Schillaci abbia fatto un'apertura sul tema dei gettonisti. Ha dichiarato, pochi giorni fa, che la spesa per i loro contratti può essere usata per le assunzioni. Bene, anzi, benissimo.

Ci pare un interessante punto di partenza, anche se lascia spazio a dubbi e interrogativi, perché non chiarisce in che modo questa cosa si potrà fare. Le risorse, infatti, per i gettonisti non rientrano fra quelle del personale, ma rientrano tra quelle per i servizi e non incidono sul tetto di spesa del personale. I contratti con i medici a gettone scadono il 31 luglio, tra circa un mese, ed è urgente decidere come fare ad attuare le intenzioni del Ministro Schillaci. Altrimenti, come faremo a tenere aperti i servizi, che oggi funzionano con i gettonisti, dal 1° agosto?

Come faremo a tenere aperti i pronto soccorso? Il Ministro Schillaci sa bene che l'unico modo per dare attuazione alle sue idee è togliere il tetto di spesa alle assunzioni, cosa che abbiamo sollecitato più volte, aumentando le retribuzioni, smettendo di incrementare le prestazioni aggiuntive a risorse invariate. Peccato che sia esattamente quello che questo Governo persegue da quando si è insediato.

Sentiamo, tra l'altro, l'urgenza in questa sede di sottolineare anche le tante crisi che ci sono rispetto alle professioni sanitarie e anche sociosanitarie: dalla professione infermieristica agli OSS, a cui il Governo non ha dato nessuna risposta, nonostante i bisogni crescenti, anche per attuare la nuova assistenza territoriale, la nuova assistenza domiciliare integrata, che è uno degli obiettivi del PNRR. Il numero degli infermieri, come degli OSS, è largamente insufficiente e le iscrizioni al corso di laurea sono in continuo calo, con sempre meno laureati.

Ma come faremo a reggere? Come faremo a dare servizi efficaci e prestazioni sanitarie tempestive ai nostri cittadini? È necessario ed urgente non solo fare l'indagine conoscitiva, come abbiamo fatto nella XII Commissione, ma aprire una discussione ampia nel Paese su un tema cruciale che riguarda la tenuta del nostro welfare e della nostra coesione sociale, che è un patrimonio di democrazia e di sicurezza per il nostro Paese. Noi siamo pronti al dialogo e abbiamo una serie di proposte che abbiamo depositato per rendere il confronto vivace, attivo, costruttivo, e rendere questa, come tutte le altre professioni, più attrattiva.

Al di là, però, dei proclami, mi sembra evidente che il Governo Meloni non abbia nessuna voglia di procedere con l'assunzione di nuovo personale. Basta ricordare, come dicevo prima, il decreto sulle liste di attesa, rimasto lettera vuota, oppure quello sulle prestazioni sanitarie che ci apprestiamo a deliberare, dove si citano nuovamente i Cococo, pensate un po': non lavoratori a tempo indeterminato, dei Cococo per la nostra sanità. E si pensa di risolvere tutti i problemi aumentando le risorse solo al sistema dell'accreditamento privato.

Trovo abbastanza incomprensibile, se non vergognoso, avere trasferito, con il prossimo decreto Prestazioni sanitarie, ulteriori 190 milioni dal Fondo sanitario nazionale alla sanità privata. E anche in questo caso non stiamo parlando di risorse aggiuntive, ma di risorse sottratte al Fondo sanitario nazionale, già insufficienti per coprire le necessità attuali. In aggiunta, avete anche ridotto del 50 per cento le risorse destinate in via esclusiva al personale medico dirigente del Servizio sanitario, per remunerare le stesse prestazioni svolte dagli specialisti ambulatoriali interni, vanificando tutti gli sforzi compiuti fino ad oggi per rendere più attrattivo il lavoro negli ospedali.

Insomma, è evidente a tutti, anche ai cittadini italiani: ogni scelta che fate rappresenta un colpo inferto al sistema sanitario nazionale e un indebolimento del sistema pubblico, un disinvestimento in qualità, in competenza, in innovazione, in competitività, in formazione. Indebolire il pubblico è una scelta precisa, per dimostrare quanto poi sia inefficace rispetto al privato e, di conseguenza, legittimare altri tagli. Un orientamento chiaro ed evidente.

Purtroppo, al di là dei vostri proclami populisti su inesistenti investimenti record, c'è un elenco di fatti, e i fatti sono questi: crisi motivazionale del personale, stipendi inadeguati, prospettive di carriera limitate, casi di violenza, aumento esponenziale della spesa a carico delle famiglie o per chi può permettersela; quasi 6 milioni di cittadini italiani che hanno rinunciato alle cure; chi è costretto a spostarsi da una regione all'altra, con una mobilità sanitaria enorme, soprattutto verso alcune regioni, tra cui la mia, l'Emilia-Romagna; pronto soccorso affollati, disagi enormi causati dalle liste di attesa, fuga dei giovani specialisti e dei medici dalla medicina d'urgenza, mancanza di medici di base, di infermieri, di OSS, per fare alcuni esempi; alcune difficoltà evidenti che le regioni hanno per rispettare i LEA.

E non sarà solamente colpa delle regioni, che non hanno gli strumenti adeguati per reggere ai nuovi indicatori, per garantire quindi uniformità delle prestazioni. Insomma, ritardi e tagli, rimodulazione del PNRR per rafforzare una medicina territoriale, che dovrebbe essere un vanto per il nostro Paese. È l'elenco di un fallimento. Lo dico perché i fatti sono questi. E lo dico - tramite lei, Presidente - al collega Ciocchetti, e so bene quale sia la sua attenzione sulla sanità pubblica, perché questo elenco è impietoso e i cittadini stanno peggio di prima.

I fatti, purtroppo, sono testardi come la verità, e voi state cancellando la sanità pubblica; e a pagare saranno, purtroppo, i cittadini e i pazienti, soprattutto quelli indigenti, a cui lo Stato dovrebbe per primi garantire cure gratuite. L'accesso alle cure è l'urgenza del nostro tempo e non si risolve certamente con qualche norma pensata in modo frettoloso. Abbiamo bisogno di un pensiero lungo, coraggioso, necessario per invertire la marcia.

Parliamo - e mi avvio alle conclusioni, Presidente - di una vera e propria emergenza nazionale. Siamo a un punto di non ritorno per quei principi fondanti di universalismo, equità, uguaglianza, che sono ormai stati traditi, ed è nostra responsabilità tutelarli. State lentamente e inesorabilmente distruggendo il diritto costituzionale alla salute, alla tutela della salute, in particolare per le fasce socioeconomiche più fragili, per gli anziani, per i fragili, per chi vive nel Mezzogiorno e nelle aree interne e disagiate.

Nei mesi scorsi - lo ricordo volentieri -, il nostro Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha ricordato pubblicamente che il sistema sanitario nazionale costituisce una preziosa risorsa ed è un pilastro essenziale per la tutela del diritto della salute, nella sua duplice accezione di fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività. State facendo di tutto per spazzare via un diritto.

Chiudo, Presidente. Il sistema sanitario nazionale non è un lusso e non può essere neppure un peso, ma deve essere un investimento sul futuro del nostro Paese e richiede risorse, intelligenze e anche riforme. È il momento di fare qualcosa e di metterci tutti quanti la faccia e, in primis, lo devono fare il Governo e la sua maggioranza. Per questo è così importante discutere la proposta del collega Quartini - che ringrazio -, per discutere veramente e prenderci insieme un pezzo di responsabilità. Noi siamo pronti a prendercela oggi, perché domani sarà già troppo tardi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Baldino. Ne ha facoltà.

VITTORIA BALDINO (M5S). Grazie, Presidente. Speravamo di fare oggi un dibattito serio sulla sanità. Peccato che abbiamo ascoltato, dagli interventi dei colleghi della maggioranza e del Governo, la solita retorica infarcita del quanto siamo bravi, quanto abbiamo investito, quanto sta crescendo la sanità pubblica, quanto sta crescendo il Paese e del perché non l'avete fatto voi. Vorrei soltanto ricordare agli esponenti della maggioranza e del Governo che, quando c'eravamo noi, abbiamo avuto a che fare con una crisi pandemica, sociale ed economica senza precedenti e l'abbiamo dovuta gestire praticamente a mani nude, in un deserto che era la sanità pubblica, deserto che qualcuno prima di noi ci aveva lasciato. Allora, se dobbiamo superare la retorica del “noi” e del “voi”, facciamolo, però facciamolo veramente. A me sembra, addirittura, assurdo e surreale dover venire qui a convincere la maggioranza che bisogna riformare profondamente il nostro Servizio sanitario nazionale, che bisogna finanziare profondamente il nostro Servizio sanitario nazionale. Mi sembra, addirittura, surreale doverlo fare proprio oggi, alla vigilia del giorno in cui andrete a L'Aia a dire “sì” a un piano per spendere centinaia di miliardi in armi, mentre ci dite “no” a spendere ulteriori 18 miliardi in più per raggiungere la media OCSE di finanziamento della sanità pubblica (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Questo vi stiamo chiedendo: di riformare il nostro Servizio sanitario nazionale, partendo da una base, che è quella della legge istitutiva del 1978, una legge che nasceva da una visione alta, profondamente democratica, da una visione del diritto alla salute sancito dall'articolo 32 della Costituzione, che fosse un diritto universale, equo e uniforme, cioè da garantire a tutti gli individui, indipendentemente dal reddito, indipendentemente dalla condizione sociale, indipendentemente dal luogo in cui si nasce. Quella era una legge che non garantiva soltanto il diritto alle cure, quella era una legge che garantiva dignità alla persona in quanto tale. Allora, io oggi mi chiedo: ma a che punto siamo dopo 47 anni da quella legge?

Io oggi mi chiedo: è dignitoso un Paese in cui 1 persona su 10, nell'ultimo anno, nel 2024, ha rinunciato a curarsi - sono 6 milioni, 2,5 milioni in più rispetto all'anno precedente - a causa delle liste d'attesa troppo lunghe oppure dei costi delle prestazioni sanitarie troppo elevati? Ma non eravate voi quelli che avevano fatto il decreto Liste d'attesa che doveva salvare il Paese dalle liste d'attesa troppo lunghe? Evidentemente non l'avete fatto bene o non era abbastanza o era un annuncio troppo roboante da fare, guarda caso, il giorno prima delle elezioni.

Io vi chiedo, colleghi della maggioranza: è dignitoso se chi è nato in una regione del Sud, la mia regione, la Calabria, ha un'aspettativa di vita inferiore rispetto alla media nazionale? Mi chiedo: è dignitoso se, sempre in quella regione, sempre in Calabria, 1 paziente su 4 viene curato in altre regioni, con un saldo negativo di 300 milioni di euro che nell'ultimo anno la regione Calabria ha speso per far curare i propri cittadini fuori dalla regione? Io mi chiedo: è dignitoso essere confinati per oltre dieci giorni in un letto di pronto soccorso, sempre in un ospedale, sempre di quella regione - la Calabria -, senza assistenza e, soprattutto, senza servizi igienici? È dignitoso per la persona tutto ciò? È dignitoso morire a 40 anni mentre si aspetta un'ambulanza in arresto cardiaco per ore e ore? È dignitoso avere 80 pazienti dializzati che non ricevono i farmaci salvavita? Addirittura mancano gli aghi in quell'ospedale nella Locride.

Potrei continuare, Presidente, all'infinito. Non stiamo parlando dell'Afghanistan, non stiamo parlando di Kabul, stiamo parlando della Calabria. Non faccio questo esempio a caso, cito Gino Strada che, in uno dei suoi ultimi lasciti, ci disse che era più facile aprire un ospedale a Kabul che in Calabria. Ma qui, oggi, non mancano solo ospedali, manca tutto: mancano medici, mancano mezzi, manca una visione, manca il coraggio, manca la volontà politica di rafforzare il nostro sistema sanitario nazionale. Perché in Calabria, come in Italia, la verità, cari colleghi, è che avete già deciso e avete deciso per una privatizzazione progressiva e occulta della sanità, avete deciso di tradire i principi ispiratori del Servizio sanitario nazionale.

Concludo, Presidente, citando un monito del primario di cardiologia dell'ospedale di Polistena di qualche mese fa - prendo l'esempio della Calabria, ma potrei fare l'esempio di altre regioni del Sud, e purtroppo non solo del Sud -, che disse che la sanità calabrese è in regime di guerra e servono armi e soldati. Armi e soldati: lui intendeva medici e attrezzature. Evidentemente, caro dottor Amodeo, questo Governo l'ha presa alla lettera, perché ha deciso di investire veramente in armi e soldati, ma non per curare i cittadini e le cittadine, ma per programmare una prossima guerra (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) e per dire addio ai diritti e alle libertà. Ecco, Presidente, concludo. Poco fa, nella sua relazione, il relatore per la maggioranza, il deputato Ciancitto, ha detto che il MoVimento 5 Stelle…

PRESIDENTE. Concluda.

VITTORIA BALDINO (M5S). …non ha voluto fermarsi. No, Presidente, noi non ci fermeremo, perché crediamo che questa sia una battaglia di civiltà e che di questo dovremmo discutere e fare qualcosa di utile davvero per il nostro Paese, se davvero ci teniamo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Sportiello. Ne ha facoltà.

GILDA SPORTIELLO (M5S). Grazie, Presidente. Sono esterrefatta. Pensavo che, dopo mesi di esclusione del Parlamento da questioni dirimenti, che dopo mesi di discussioni sulle istituzioni delle più varie giornate, volessimo quest'oggi davvero prendere in carico una richiesta importante, impellente, che non è più rimandabile e che il MoVimento 5 Stelle ha voluto, in maniera determinata, portare in Aula: parlare del Servizio sanitario nazionale, parlare del diritto alla salute che le persone hanno in questo Paese, quello che, anzi, gli viene negato. Perché siamo davanti a questo: alla negazione di un diritto fondamentale, quando un cittadino o una cittadina si reca in ospedale per prenotare una visita diagnostica o un esame e, nonostante, magari, abbia anche una patologia cronica, non riesce ad avere una prestazione dal Servizio sanitario nazionale, se non aspettando addirittura anni. Questa è negazione di un diritto.

Allora noi siamo venuti qui e con spirito collaborativo vi abbiamo posto delle questioni. Vi abbiamo posto la questione del finanziamento: vi abbiamo detto che nel nostro Paese mancano all'appello circa 13 miliardi, soltanto per arrivare al livello di finanziamento dei nostri Governi. Vi abbiamo chiesto di raggiungere la media dei Paesi OCSE per garantire anche all'Italia le prestazioni che sono un diritto delle persone, per garantire anche ai lavoratori e alle lavoratrici della sanità stipendi dignitosi, contratti a tempo indeterminato, non precari. Cosa ci è stato risposto? Ci è stato risposto che non c'è alcun problema, che questo Governo sta facendo tutto, che le risorse che questo Governo sta mettendo in sanità ci sono, bastano. Allora, io vi sfido a parlare con una singola persona, una, uscendo da questo Palazzo e chiedere se è riuscita ad avere una prestazione sanitaria, se è riuscita a prenotare una visita nella sanità pubblica, se è riuscita ad ottenere il diritto alla salute di cui aveva bisogno. Scoprirete che non è così (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), scoprirete che ci sono 6 milioni di persone in questo Paese che non riescono a curarsi, che rinunciano alle cure. Scoprirete che c'è mezzo milione di persone che deve rinunciare ai farmaci di cui ha bisogno, e di queste 100.000 sono bambini e bambine che avrebbero bisogno di farmaci che non possono permettersi. Scoprirete che non ci sono posti letto e che i pronto soccorso sono congestionati, che le persone aspettano in barella, che qualcuno deve portarsi, addirittura, le lenzuola e il cuscino da casa. Scoprirete - ma questo lo sapete già, e lo sapete bene - che state trasformando la sanità privata in sanità non integrativa, ma come modello dominante.

Vedete, ci abbiamo provato, vi abbiamo chiesto addirittura di investire, magari, quelle risorse che sono necessarie per garantire i livelli essenziali di assistenza, quelli che dovrebbero essere per legge garantiti. E, invece, sapete cosa abbiamo scoperto? Abbiamo scoperto con grande vergogna - quella che dovreste avere oggi nel discutere questa proposta di legge e nel rifiutarla - che, grazie a voi, oggi, chi ha una disabilità non si vede garantita nemmeno la possibilità, da parte dello Stato, di sostenere il costo dei pezzi di ricambio, delle batterie, di tutte le componenti per una carrozzina elettrica.

Ma quand'è che vi assalirà il senso della vergogna (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)? Mentre private le persone con disabilità del diritto di camminare, di vivere le città, di lavorare e di curarsi, state andando a stringere un accordo con gli altri Paesi NATO per investire 100 miliardi in armamenti e non trovate 400 milioni per i LEA, per i livelli essenziali di assistenza. Allora, guardate, veramente ve la faccio come promessa, perché la nostra storia parla per noi: noi non ci arrenderemo mai, finché il Servizio sanitario nazionale pubblico non verrà riqualificato, rispettato, salvaguardato e rifinanziato.

Perché quello che voi state facendo, scientemente, con una volontà politica davvero determinata, è demolirlo a favore della sanità privata. E, guardate, non ci fermeremo in nessuna istituzione, che sia il Parlamento, che siano le regioni, per noi la sanità pubblica e il diritto alla salute delle persone sono sempre state al primo posto, sempre state la nostra priorità politica, e continuerà ad esserlo. Non vi permetteremo di demolire il Servizio sanitario nazionale (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Marianna Ricciardi. Ne ha facoltà.

MARIANNA RICCIARDI (M5S). Grazie, Presidente, colleghi, colleghe, rappresentanti di Governo. “Questo è il Governo che ha messo più soldi nella sanità della storia repubblicana: sono numeri, non sono opinioni”: così parlava Giorgia Meloni a novembre del 2023, ormai 2 anni fa. Io chiedo per un amico: ma dove si trova questa sanità più finanziata di sempre? Nei pronto soccorso al collasso? Nei medici e negli infermieri che scappano dal pubblico? Nelle liste di attesa infinite o nelle corsie degli ospedali sovraffollate di pazienti?

No, perché noi non ce ne siamo accorti di avere la sanità più finanziata di sempre. Dato che per noi palesemente non è così, nella nostra proposta di legge abbiamo inserito un concetto semplice quanto rivoluzionario: il finanziamento del Fondo sanitario nazionale deve tenere conto dell'inflazione. Abbiamo dovuto scriverlo nero su bianco, perché evidentemente questo concetto non è chiaro, dati gli interventi che ho ascoltato poco prima dalla maggioranza. Dopo l'ultima legge di bilancio, un anno dopo il più grande investimento in sanità, la Presidente del Consiglio ci ricasca: abbiamo stanziato fondi record per la sanità.

Presidente, per suo tramite, chiedo ai parlamentari di maggioranza se davvero sono convinti della verità delle parole di Giorgia Meloni, se davvero rispondono questo ai cittadini che chiedono aiuto per liste d'attesa infinite, per le difficoltà che incontrano a fare una visita medica in tempi ragionevoli, se rispondono di avere finanziato il più grande investimento in sanità della storia repubblicana. Quello che avete fatto voi si chiama “definanziamento”, che non vuol dire tagliare direttamente i fondi, ma vuol dire non finanziare in modo adeguato per compensare l'inflazione e i nuovi bisogni sanitari. È una forma subdola di taglio, che è mascherata, però, da crescita.

Visto che so che non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire, provo a spiegarlo in modo semplice semplice. Supponiamo che vostra madre vi compri 300 grammi di ciliegie e dica: ho speso 4 euro, la più grande spesa in ciliegie di sempre. A voi, però, qualcosa non torna e dite: mamma, scusami, ma l'anno scorso hai comprato mezzo chilo di ciliegie. E lei: sì, ma l'anno scorso ho speso 3,50 euro, quest'anno 4 euro, la più grande spesa in ciliegie di sempre.

A questo punto, è chiaro che la stessa cosa succede con il più grande investimento in sanità di Giorgia Meloni. Voi chiamate il CUP e vi dicono che non ci sono posti disponibili, non ci sono più ciliegie nel piatto. La nostra proposta è stata chiara: la spesa sanitaria deve essere finanziata almeno al doppio rispetto all'inflazione. Solo questo ci consentirà di garantire i livelli essenziali di assistenza, di garantire a tutti e a tutte l'accesso alla sanità pubblica, di rafforzare la medicina territoriale, di consentire di investire in prevenzione. Soltanto questo serve.

Noi a ogni legge di bilancio abbiamo fatto delle proposte chiare e concrete per recuperare delle risorse. Ci avete detto sempre “no”. Qui, però, bisogna prendere una decisione, perché noi siamo in Europa quando dobbiamo allinearci agli investimenti e armarci fino ai denti. Poi, però, quando dobbiamo chiedere di allineare la nostra spesa in sanità per essere almeno in linea con la media europea, allora no, là non siamo più in Europa (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Quando dobbiamo portare la spesa militare al 5 per cento del PIL, siamo in Europa; quando Trump ci dice di convertire la nostra economia in un'economia di guerra, allora siamo in Europa.

Però, poi, quando chiediamo di investire in sanità per garantire a tutti e a tutte l'accesso alla sanità pubblica, allora lì non siamo più in Europa. Voi dite che la coperta è corta, noi vi abbiamo proposto risorse per recuperarle, un modo per recuperare risorse nei modi più disparati, e voi ci dite che non va bene. Avete sempre votato contro tutte le nostre proposte. Abbiamo proposto anche di razionalizzare la spesa, di combattere gli sprechi, nella proposta di legge è molto chiaro come fare questo. Ma è chiaro che voi avete votato “no” e voterete “no” alle successive proposte, perché è chiaro che i vostri interessi vanno in un'altra direzione.

Perché se, infatti, la sanità pubblica è alla frutta, quella privata sta facendo affari d'oro. Non a caso abbiamo esponenti autorevoli della maggioranza, che siedono in questo Parlamento, che sono imprenditori della sanità privata e, addirittura, abbiamo membri di Governo che detengono partecipazioni in società che lucrano con le liste d'attesa: più le liste d'attesa si allungano e più incassano. Nella nostra proposta c'è anche un altro aspetto a cui teniamo molto, che è quello di rivedere le nomine in sanità, trovare dei criteri in modo da decidere in modo meritocratico i nostri direttori generali delle ASL.

Io lo so, è una cosa folle, inaccettabile, contraria ai più basilari principi di spartizione delle poltrone, è per questo che so che siete contrari, però voglio provare a sollevare comunque un po' la vostra coscienza.

A Trapani il reparto di anatomia patologica è stato per anni senza un primario. Sapete chi era il direttore generale? Una persona che non aveva esperienza né gestionale, né tantomeno clinica, però era stato candidato alle elezioni regionali con Fratelli d'Italia, e non essendo stato eletto, ma avendo comunque portato voti alla causa di Giorgia Meloni, ha comunque avuto una poltrona.

Il problema però qual è? Che quando è scoppiato lo scandalo dei referti, anche 8 mesi di ritardo per consegnare un referto di anatomia patologica, non è stato rimosso subito. Sono servite ispezioni, pressioni, perché è evidente che per voi il concetto di amicizia è un concetto molto importante, anche di più della salute dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Io concludo, Presidente…

PRESIDENTE. Onorevole, concluda.

MARIANNA RICCIARDI (M5S). …prendendo in prestito parole non mie: voi potete ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non potete ingannare tutti per sempre. E sulla sanità pubblica la verità vi sta raggiungendo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata L'Abbate. Ne ha facoltà.

PATTY L'ABBATE (M5S). Grazie, Presidente. Governo, colleghi, questa proposta di legge, che chiaramente non vi piace, non è la proposta di legge del MoVimento 5 Stelle o del collega Andrea Quartini o nostra. Questo è il grido, è la voce di migliaia di operatori sanitari sul territorio. È la voce dei cittadini che sono esasperati, è un Paese che è esasperato, perché crede ancora in quei valori costituzionali di equità, di dignità e della cura. Parliamo della cura, sì, quella che, come dice Battiato: “perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te”.

Io penso che questo Governo non veda i cittadini tutti uguali o tutti esseri speciali, che hanno bisogno, quindi, di cure, che hanno bisogno di attenzioni. Questa proposta è un atto di verità, di coraggio e di giustizia. È una risposta strutturale a quelli che sono i danni che avete fatto definanziando la sanità, l'avete definanziata. Questo Governo che cosa ha fatto? Ha ridotto la spesa della sanità, è andata indietro di 17 anni. Come li curiamo, quindi, i nostri cittadini?

Cento miliardi alle armi, questa è la vostra risposta, cento miliardi alle armi. Magari ci dite: no, per la vostra sicurezza. Ma quale sicurezza? La paura, la paura che sta venendo fuori. Quindi qui non c'è solo la mancanza di cura dei nostri cittadini, c'è qualcos'altro: c'è una paura che cresce, che continua a crescere. Questo è un Governo che lancia slogan: il merito, l'efficienza, il diritto alla salute. Quante volte vi abbiamo sentito dire questi slogan, che, appunto, sono rimasti tali. Oggi l'Italia si ammala perché fa le liste di attesa, si soffre nei pronto soccorso che sono fatiscenti e si muore in silenzio. Abbiamo chiesto di vincolare la spesa sanitaria all'8 per cento del PIL, del prodotto interno lordo, di ancorarla all'inflazione, rendendo la distribuzione delle risorse più equa, ma assolutamente nulla.

Abbiamo chiesto efficienza a un sistema chiaramente che è lasciato poi senza personale, perché siamo praticamente con personale molto ridotto e sottopagato. Vogliamo dire anche questo. Quelli che voi avete sempre chiamato i “nostri eroi”, li avete chiamati i “nostri eroi” quando c'è stato il problema del COVID - anche noi -, per voi non sono eroi, perché gli stipendi di quelli che voi chiamate eroi sono i più bassi d'Europa. Qui ritorniamo: ma perché non aumentiamo gli stipendi dei nostri eroi? No, perché dobbiamo dare sempre i nostri 100 miliardi per le armi. Quindi, queste sono le vostre scelte. Lo ripetiamo, così a casa lo sanno quali sono le vostre scelte. Noi in Italia gli infermieri li sostituiamo, sapete con cosa? Con un sistema cooperativo, con i gettonisti. Poi ci sorprendiamo se i nostri reparti collassano. Quindi, questi 2 miliardi che abbiamo chiesto per adeguare gli stipendi per voi non vanno bene. Sempre la stessa cosa: perché abbiamo bisogno di 100 miliardi per armarci, perché ci dobbiamo difendere non so da cosa o da chi. Vi opponete perché avete scelto di svuotare il pubblico e di ingrassare il privato. Questo sistema sanitario nazionale è diventato un centro appaltante per i vostri amici, un sistema che lucra sul dolore. Quindi, devo pagare per curarmi. Certo, è una condanna per chi è fragile e per chi i soldi non ce li ha. Cittadini - sì - di serie A e di serie B, ormai li abbiamo definiti tali. Noi difendiamo l'articolo 32 della Costituzione.

PRESIDENTE. Concluda.

PATTY L'ABBATE (M5S). La salute è un diritto. La salute è un diritto, non è un privilegio. Vogliamo più posti letto: 3,7 sono i posti letto per 1.000 abitanti che abbiamo in Italia, contro i 5,5 posti letto per 1.000 abitanti in Europa. Quindi, signori, per voi nessuno è un essere speciale, come diceva Battiato. Non sono esseri speciali, gli esseri speciali sono quelli che avranno il denaro e si potranno curare…

PRESIDENTE. Onorevole, concluda!

PATTY L'ABBATE (M5S). …in quelle - concludo, Presidente - che sono le nostre strutture pubbliche. Per il resto il nulla assoluto (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Orrico. Ne ha facoltà.

ANNA LAURA ORRICO (M5S). Grazie, Presidente. Presidente, il collega Quartini ha ragione quando dice che il sistema sanitario nazionale nel nostro Paese è iniquo e pervaso da diseguaglianze che sono innanzitutto territoriali, ma che stanno diventando anche generazionali.

Basta affacciarsi e sbirciare quanto accade nella sanità calabrese. È commissariata per risanare i propri conti e, in virtù di quest'obiettivo meramente economico, ha completamente messo da parte l'obiettivo che si pone il Servizio sanitario nazionale, ovvero l'accesso universale alle cure, alla prevenzione, ai servizi sociosanitari di base per consentire a tutta la popolazione di vivere in salute. Un debito, quello della sanità calabrese, generato da una certa politica corrotta e da una gestione amministrativa che definire “allegra” sarebbe un eufemismo, visto che ci sono ospedali e ASP che non hanno mai redatto un bilancio negli ultimi 20 anni, e hanno pagato le fatture più e più volte agli stessi fornitori, e ospedali occupati dalla 'ndrangheta e dalla malavita organizzata. Un debito che ha significato per i calabresi rinunciare al proprio diritto alla cura. Una rincorsa a ripagare un debito generato da chi malamente ha gestito la sanità, interpretandola come un business e come un bancomat per pochi.

Ecco perché in questa proposta di legge prevediamo un sistema di tracciamento dei pagamenti e dei flussi finanziari che sia trasparente e digitale. Nella mia Calabria se sei una bambina con problemi neuropsichiatrici devi attendere almeno 6 mesi per una visita e altrettanti per essere inserita in un percorso che prevede una serie di trattamenti, quando questi sono effettivamente garantiti perché c'è il personale, come accade per la neuropsichiatria infantile di Rogliano, in provincia di Cosenza, dove da 7 mesi manca il logopedista. Quindi, decine e decine di bambini non possono usufruire di un servizio essenziale non solo per il proprio progresso psicofisico, ma soprattutto per potersi inserire nella propria comunità. Accade così che le famiglie, quelle che se lo possono permettere, si rivolgano ai privati, mettendosi in lunghe liste d'attesa. Queste sono le umiliazioni che subisce un genitore in una terra e in un Paese che è diventato senza diritti, dove la salute è oggetto di ricatto e di favori. Per questo chiediamo che il finanziamento della nostra sanità pubblica non scenda mai sotto l'8 per cento del PIL e chiediamo di incrementare i Fondi di 400 milioni di euro all'anno per l'aggiornamento dei LEA.

Nella mia Calabria, se vivi in un paese delle cosiddette aree interne, devi fare gli scongiuri e pregare che nessuno dei tuoi cari abbia bisogno di un'ambulanza. Ancora una volta la Calabria è maglia nera nei tempi di risposta del 118 e anche in questo caso i numeri però si trasformano in diritti negati, come il diritto alla vita. Ha sconvolto tutti la morte di Serafino Congi, 48 anni, che nella sua San Giovanni in Fiore è stato colto da un malore ed è morto nell'ambulanza che lo trasportava all'ospedale più vicino a 60 chilometri di distanza, dopo aver atteso per oltre 3 ore un'ambulanza con medico a bordo. Per questo chiediamo in questa proposta di legge la riorganizzazione di tutto il comparto dell'emergenza-urgenza. Nella mia Calabria la povertà sanitaria colpisce l'8 per cento della popolazione: il doppio rispetto alle altre regioni. Basta affacciarsi negli ambulatori creati da Emergency o dalle altre organizzazioni del Terzo settore. Ambulatori che non sono frequentati soltanto dai migranti, ma da cittadini italiani: giovani e anziani che non riescono ad accedere a una visita specialistica, ma neppure a un controllo di routine. Ci sono ospedali che attendono da 20 anni di essere realizzati e per farlo questo Governo decide di dare ulteriori poteri speciali al commissario, poteri che ovviamente derogheranno alle regole sulla trasparenza e anche i controlli antimafia. Per tutte queste ragioni, e per molte altre che bisognerebbe ricordare ogni giorno per smentire la propaganda del Governo Meloni, questa proposta di legge racchiude una visione riorganizzata del Servizio sanitario nazionale, che ha un solo obiettivo, cioè far sì che i cittadini di serie C e D finalmente siano cittadini in questo Paese e che possano accedere alle cure e al Servizio sanitario nazionale in maniera equa, senza doversi votare a qualche santo in paradiso, come spesso succede alle mie latitudini, a qualche famiglia politica (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Torto. Ne ha facoltà.

DANIELA TORTO (M5S). Grazie, Presidente. Io credo che se qui si pensa di rimandare al mittente una proposta di legge, che tutela la sopravvivenza del diritto alla salute, semplicemente facendo riferimento a dei cavilli tecnici e burocratici qui ci si sbaglia di grosso, perché questo lo potete fare con i vostri fan fuori da questo palazzo, ma qui dentro noi non ce la beviamo. Quindi, vi diciamo chiaramente che questa non è una battaglia burocratica, di coperture finanziarie. No, è una battaglia politica, è una battaglia sociale ed è una battaglia morale, alla quale voi non solo vi sottraete, ma vi opponete.

Se in Italia oggi la sanità pubblica arranca è causa di un definanziamento perpetrato da anni. Non è un'opinione del MoVimento 5 Stelle o del collega Quartini. No, sono i dati che parlano chiaro, perché, caro Presidente, noi spendiamo 800 euro in meno a cittadino rispetto alla media europea. Ben 48 miliardi in meno, di cui 18 sottratti solo agli stipendi dei medici e degli infermieri. Noi abbiamo proposto delle idee concrete e complete che puntano sul rifinanziamento del sistema sanitario nazionale, che puntano ad assumere personale, a ridurre le liste d'attesa, a garantire la trasparenza e a togliere la sanità dalle mani della politica per restituirla alla competenza.

Vi abbiamo chiesto che la spesa sanitaria non scenda mai sotto l'8 per cento del PIL, che ci siano 500 posti letto per ogni 100.000 abitanti come in Europa. Allora, qualcuno ci può spiegare, tra i Sottosegretari presenti che continuano a parlare? Qualcuno ci può spiegare, sottosegretario Gemmato, cosa non va nelle nostre proposte?

Noi abbiamo scritto, nero su bianco, come rendere la sanità integrativa trasparente e senza conflitti di interesse - so che questo a lei dà molto fastidio - e vi abbiamo detto anche come tracciare ogni spesa. E poi viene qui a dirci che lei vuole unione su questo tema, Sottosegretario Gemmato, che continua a chiacchierare con altri Sottosegretari... beh, io le rispondo che l'unione lei deve dimostrarla, prima di chiederla. Dia esempio, non faccia l'ipocrita, Sottosegretario, sempre tramite la Presidenza.

E oggi io mi rivolgo a questo Governo, un Governo che, anziché proteggere il diritto alla salute dei nostri cittadini, è impegnato a usare i soldi dei cittadini italiani per finanziare coloro che gli ospedali li bombardano (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Questo è grave e vi dovreste soltanto vergognare, perché è inaccettabile che, nel 2025, si finanzino le guerre e si rinuncino agli ospedali per il popolo italiano.

Sottosegretario, sempre con lei, un'ultima cosa, perché lei dice che noi - il MoVimento 5 Stelle - siamo in contraddizione. Guardi, dovrebbe parlare con la sua Premier, che è la regina delle giravolte da quando si è seduta nei banchi del Governo, e non le faccio la carrellata di esempi, altrimenti, poi, sarebbe davvero imbarazzante per lei continuare a rivestire il suo ruolo. E le dico anche che lei si arroga questa dichiarazione. Lei dice che c'è un modello che vi contraddistingue…

PRESIDENTE. Concluda.

DANIELA TORTO (M5S). … e si nomina - sì, Presidente, sto chiudendo - il presidente di regione Marco Marsilio, che, in sette anni, ha fornito un modello di sanità abruzzese pessimo. E vi leggo che cosa ha detto, soltanto ieri - riporto frasi già dette, Presidente, e vado a chiudere -, il Collegio dei revisori dei conti della regione Abruzzo. Ascolti, Sottosegretario, quello che dice della gestione Marsilio: “Una grave confusione amministrativa e contabile, riscontrata per il secondo anno consecutivo (…)”. E ancora: “Una non corretta e trasparente gestione dei capitoli di entrata e di spesa del bilancio, non conforme al dettato normativo di riferimento”.

Ecco, prima di nominare questi modelli, Dio ce ne scampi, perché già avete piegato l'Abruzzo in ginocchio e, se questo è il modello per l'Italia, vi dovreste soltanto vergognare e ritirare (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Auriemma. Ne ha facoltà.

CARMELA AURIEMMA (M5S). Grazie, Presidente. Mi lasci dire, prima di iniziare il mio intervento, che oggi in quest'Aula si contrappone la visione del MoVimento 5 Stelle, che chiede in quest'Aula più sanità, che chiede un servizio sanitario pubblico e universale, e la visione, invece, di questo Governo, di questa maggioranza. Fra poco tempo, fra pochi minuti, la Presidente Meloni ci verrà a comunicare che trascinerà l'Italia in un'economia di guerra e, quindi, siamo fieri di stare dalla parte degli italiani, che in questo momento vogliono più sanità e più servizi e che, sinceramente, questa economia di guerra la vogliono rispedire al mittente.

Detto questo, mi faccia sdoganare: ormai è chiarissimo che questo Governo continua a mentire sul Fondo sanitario, sulle risorse che dà, perché è evidente, i dati sono oggettivi, le risorse, di fatto, sono state tagliate. La sanità campana, per esempio, è sottofinanziata a causa di una norma nazionale - una norma becera - che prevede la distribuzione delle risorse tenendo conto dell'età anagrafica, senza però considerare che in Campania, a causa della carenza dei servizi e a causa della carenza di risorse, in realtà, si muore prima. È questa la verità. E, ogni anno, la Campania perde 350 milioni di euro; ogni anno, dal 1995. Guardate quanti soldi sono stati sottratti alla regione Campania.

A questo si aggiunge un altro elemento, che è quello della migrazione sanitaria: cioè, i cittadini campani sono costretti ad andare in altre regioni per poter vedere garantito il proprio diritto alla salute. E si perdono altri 240 milioni di euro all'anno. Perché? Perché aspettare in Campania significa, a volte, anche morire.

C'è il dramma delle liste di attesa, e mi permetto, Presidente, di leggere una storia che mi ha particolarmente colpito: “Nella disgrazia penso pure di essere fortunata, perché il mio tumore non è aggressivo ed è stato diagnosticato tempestivamente. Quello che è successo dopo è tutta un'altra storia. È il mese di ottobre del 2023, mammografia di routine: qualcosa non va. Comincia l'iter: visita dall'oncologo, ago aspirato. Agli inizi di dicembre, la diagnosi: tumore circoscritto. È necessario fare altri esami. Alla fine di febbraio arriva l'esito, c'è un problema: un linfonodo. Bisogna fare altri esami e capire se la terapia più adatta sia la chemioterapia o la radioterapia. Fortunatamente nessuna chemio, ma va iniziata il prima possibile la radioterapia. La chiameremo presto, mi dicono. Tenevo sempre il telefono in mano e alla vista. In bagno, in chiesa, tenevo sempre il telefono in mano”. E poi: “Capisco la sua ansia, signora, ma davanti ci sono altri pazienti, non c'è abbastanza personale, ma stia tranquilla: vedrà che a breve la chiameremo. Mio marito voleva chiedere un prestito in banca per fare le cure a pagamento, tuttavia gli hanno detto che, in questi casi, non ci sono scorciatoie. La chiamata arriva a metà maggio, la cura dura una settimana. La tappa successiva: una flebo per le ossa, ma è un farmaco particolare e prima occorre accertare che non ci siano problemi ai denti. Tra radiografie alla bocca e visita maxillo-facciale passa un altro mese. Mi dicono che devo togliere tre denti e devo rivolgermi al pronto soccorso del Policlinico. Una volta là, il dentista vuole vedere la lastra, però non riesce ad accedere al fascicolo sanitario dell'altro ospedale, così ne fa un'altra. A fine luglio ho finito. Porto la documentazione al centro oncologico per fare la flebo, che mi farà stare meglio. Sono stata convocata il 20 settembre. Quando hai un tumore, sappiamo tutti che la differenza la fa il tempo. Non si dice sempre e ovunque così? Ho cinquant'anni; potevo essere calva e, invece, ho tutti i capelli in testa. Però ogni notte mi prendo lo stesso una grande paura e penso al tempo che ho perso” (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1298-A​)

PRESIDENTE. Il relatore di minoranza, onorevole Quartini, ha esaurito i tempi per la replica.

Ha facoltà di replicare il relatore per la maggioranza, onorevole Ciancitto, per un minuto: prendo atto che vi rinuncia.

Ha facoltà di replicare il Sottosegretario Gemmato: prendo atto che vi rinuncia.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Boschi ed altri n. 1-00434 concernente iniziative volte a salvaguardare il sistema produttivo nazionale in relazione alla prospettata applicazione dei dazi da parte degli Stati Uniti d'America (ore 14,47).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Boschi ed altri n. 1-00434 concernente iniziative volte a salvaguardare il sistema produttivo nazionale in relazione alla prospettata applicazione dei dazi da parte degli Stati Uniti d'America (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori (Vedi calendario).

Avverto che è stata presentata la mozione Pavanelli ed altri n. 1-00463 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente (Vedi l'allegato A). Il relativo testo è in distribuzione.

Avverto, altresì, che in data odierna è stata presentata una nuova formulazione della mozione Boschi ed altri n. 1-00434 (Vedi l'allegato A), il cui testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritto a parlare l'onorevole Roberto Giachetti, che illustrerà anche la mozione Boschi ed altri n. 1-00434 (Nuova formulazione), di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ROBERTO GIACHETTI (IV-C-RE). Grazie, Presidente. Come detto, la nostra mozione tende a indicare una strada per fronteggiare la politica dei dazi, annunciata e, poi, perpetrata da Trump dal suo insediamento.

Va rilevato che il nostro Paese ha diversi settori su cui impattano i dazi di Trump. L'Italia è, infatti, il tredicesimo partner commerciale degli Stati Uniti, con uno scambio pari a circa 92 miliardi di euro. Il valore delle esportazioni italiane negli USA è pari a 67 miliardi di euro, mentre quello delle importazioni dagli USA è pari a 24 miliardi di euro, con un saldo positivo pari a 43 miliardi di euro annui.

I settori colpiti dai dazi americani sono molteplici: la sola filiera italiana dell'automotive conta 1,28 milioni di lavoratori, con un impatto diretto sull'economia reale pari a 28,8 miliardi di euro e con un fatturato complessivo pari a 364,4 miliardi di euro, cioè al 19,4 per cento del prodotto interno lordo nazionale. Ma l'Italia è, soprattutto, il primo Paese dell'Unione europea per l'export dell'agroalimentare negli USA, che sono il terzo Paese - e il primo non europeo - di destinazione delle merci italiane in assoluto, la cui origine - si sa - è prevalentemente nelle regioni Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Veneto e Piemonte, che da sole producono più di due terzi delle esportazioni complessive.

L'applicazione dei dazi sui beni e servizi italiani da parte degli USA rappresenta un concreto pericolo per le prospettive di crescita del Paese, nonché per la tenuta di interi settori che già patiscono l'aumento dell'inflazione e dei costi dell'energia. L'impatto territorialmente concentrato dei dazi rappresenta un rischio concreto per l'intera filiera agroalimentare: solo il settore del vino, che nel 2024 ha portato al sistema Paese 1,2 miliardi di euro grazie alle esportazioni negli USA, vede il 48 per cento dei bianchi esportati prodotti in Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia e il 71 per cento dei rossi prodotti tra Toscana e Piemonte. A seguito dell'annuncio americano, l'Unione italiana vini paventa che questo possa causare per il settore una perdita di 323 milioni di euro di ricavi all'anno, pena l'uscita dal mercato per buona parte delle nostre produzioni.

Dobbiamo essere consapevoli che le ripercussioni economiche derivanti dall'imposizione di dazi nel settore agroalimentare rischiano di essere drammatiche per quelle filiere che dipendono quasi interamente dalle esportazioni come il pecorino romano DOP prodotto in Sardegna, la cui esportazione è destinata, per circa la metà, al mercato statunitense, ma anche per la Toscana, che negli USA esporta, oltre al 33 per cento della propria produzione di vini, il 42 per cento della propria produzione di olio extravergine d'oliva, e per il Lazio, che esporta circa il 58 per cento della propria produzione di olio d'oliva. Come sappiamo, la filiera agroalimentare si contraddistingue per la presenza di aziende di grandi dimensioni, così come di microimprese e di realtà cooperative che rappresentano veri e propri modelli di sviluppo sostenibile, inclusivo e innovativo, la cui operatività rischia di essere pregiudicata fortemente dall'imposizione di dazi che, oltre a cagionare gravi perdite economiche, si ripercuotono sulla pianificazione degli investimenti.

Riteniamo, inoltre, necessario approntare un piano europeo per la semplificazione e la previsione di misure nazionali ed euro-unitarie legate all'internazionalizzazione delle produzioni italiane, ma soprattutto dare avvio da subito a un'operazione di sburocratizzazione nel nostro Paese e di concreto sostegno alle nostre aziende, anche piccole e medie imprese, per la penetrazione in nuovi mercati, che possano compensare la contrazione delle esportazioni verso gli USA.

Ma sono anche altri i settori a rischio, secondo le stime di Confindustria: la produzione di macchinari e impianti rischia una perdita di fatturato pari a 12,4 miliardi di euro annui; quella farmaceutica una perdita di 8 miliardi di euro annui; quella chimica di 2,9 miliardi; il settore della moda, già fortemente provato da anni di extracosti per via di caro energia e caro materiali, rischia una perdita di circa 2,4 miliardi di euro, un colpo ferale per un comparto ritenuto unanimemente un'eccellenza mondiale. Più in generale, Confindustria ha calcolato che i dazi americani al 25 per cento sui prodotti italiani porteranno a una riduzione dello 0,4 per cento del prodotto interno lordo nel 2025 e dello 0,6 per cento nel 2026, erodendo di fatto tutta la crescita.

A questi dati preoccupanti, si somma il rischio che l'Europa e, quindi, l'Italia diventino mercato privilegiato dei prodotti cinesi o di altri Paesi. Non va trascurato, infatti, che una delle finalità dichiarate da Trump, connessa alla politica dei dazi, è il trasferimento negli USA di aziende straniere e dobbiamo constatare che molte realtà italiane hanno già manifestato tale intenzione per aggirare i dazi, con evidenti ricadute sugli investimenti nel nostro Paese e, soprattutto, sui livelli occupazionali.

Signor Presidente, colleghi, la prospettiva di una guerra commerciale con gli Stati Uniti d'America non rappresenta in alcun modo una sorta di opportunità e occasione, come inspiegabilmente prospettato da alcuni esponenti della maggioranza di Governo. A fronte delle crescenti e fondate preoccupazioni delle imprese, invece, e ai lavoratori italiani, il Governo è chiamato a dare risposte rapide e concrete, mettendo in sicurezza il tessuto economico-produttivo del Paese nel suo complesso.

Lasciatemi dire che, di fronte a fenomeni globali come il rischio di una possibile guerra commerciale, l'ipotesi di adottare un approccio bilaterale tra Italia e USA, al di fuori del dialogo con l'Unione europea e gli altri Stati membri, non solo sconfesserebbe i valori che hanno portato il nostro Paese a fondare l'Unione europea, ma collocherebbe l'Italia al di fuori di ogni prospettiva futura di integrazione. Porsi al di fuori o, persino, contrastare una strategia coordinata e concordata a livello europeo, nella speranza di ottenere un qualche vantaggio esclusivo di brevissimo periodo, richiederebbe di esporre le nostre imprese a ulteriori incertezze, posto che i nostri principali partner commerciali si trovano sul territorio europeo.

Noi riteniamo che, in vista delle prossime trattative tra l'Unione europea e gli USA in materia di dazi e politiche commerciali, sia fondamentale che l'Unione appaia compatta, solida e autorevole. Pertanto, è necessario che la stessa inizi a interloquire con gli USA tramite una voce unitaria e rappresentata da un leader autorevole, credibile e forte della sua competenza, come Mario Draghi. Un approccio frammentato, con iniziative diplomatiche unilaterali da parte degli Stati membri, risulterebbe estremamente controproducente per gli interessi europei. La nomina di Draghi come inviato speciale per l'Unione europea nelle trattative con gli USA risulterebbe la giusta soluzione affinché l'Unione europea possa risultare un soggetto ascoltato e autorevole in uno dei dossier più complicati in politica estera, come, appunto, quello dei dazi introdotti dagli USA. Ma molto possiamo e dobbiamo fare anche noi, in casa, al fine di mitigare gli effetti negativi dei dazi sul tema economico e scongiurare la delocalizzazione delle imprese. Occorre elaborare, senza indugio, un piano industriale volto a rilanciare la produzione italiana a livello nazionale e mondiale, rafforzando le forme di incentivazione alla competitività, come Industria 5.0, ma anche realizzando interventi di semplificazione normativa e amministrativa volti ad alleggerire gli oneri burocratici patiti dalle imprese.

Pensiamo, inoltre, che sia necessario attivare un quadro normativo europeo che consenta, in linea con l'esperienza maturata nell'ambito del Temporary Framework durante la pandemia, di sospendere il divieto di aiuti di Stato nonché di favorire il rientro del capitale umano italiano che, nel corso degli anni, soprattutto per mancanza di competitività e prospettive, è espatriato all'estero.

In conclusione, in questo quadro è altresì fondamentale che il Governo riconosca la centralità di una risposta condivisa a livello europeo, che porti all'elaborazione di una strategia comune europea in risposta ai dazi introdotti dalla nuova amministrazione statunitense, elaborando misure coordinate e concrete che forniscano risposte immediate e certezze ai comparti interessati, oltre che misure volte a garantire liquidità alle imprese, nel breve periodo, e a sostenerne l'operatività, nel medio e lungo periodo, anche attraverso interventi volti a ridurre i costi di produzione, in primis sul versante energetico.

Il Presidente Trump, peraltro, periodicamente annuncia l'ipotesi di nuovi dazi su singoli mercati e prodotti, dai chip al farmaceutico, che generano un diffuso senso di incertezza negli operatori e, quindi, di stallo negli investimenti. A situazioni di incertezza e di rallentamento dei traffici commerciali, generata dalla politica dei dazi introdotta da Trump, si somma, inoltre, l'instabilità derivante dai diversi conflitti aperti, in particolare il recente attacco da parte di Israele ad alcuni obiettivi militari e industriali iraniani e il supporto militare diretto degli Stati Uniti d'America nonché la reazione iraniana, che avranno ricadute anche sulle relazioni commerciali e la circolazione delle merci e si ripercuoteranno, inevitabilmente, anche sui prezzi di alcuni prodotti e materie prime, in particolare laddove venisse chiuso lo Stretto di Hormuz.

Signor Presidente, le considerazioni che ho espresso in questo intervento sono analiticamente illustrate nel dispositivo della nostra mozione, sul quale ci auguriamo possa esserci un parere favorevole da parte del Governo.

PRESIDENTE. Colleghi, siamo giunti alle ore 14,57 e residuano, quindi, ulteriori interventi per lo specifico aspetto del punto all'ordine del giorno. Conseguentemente, la discussione generale delle mozioni non potrà essere conclusa, ovviamente, entro le ore 15,00, orario di inizio delle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Secondo le intese intercorse, sospendo a questo punto la discussione generale, che riprenderà al termine dell'intervento del Presidente del Consiglio, per concludersi entro i 45 minuti nel corso dei quali il dibattito sarà sospeso per consentire la consegna del testo presso l'altro ramo del Parlamento. Sospendo a questo punto brevemente la seduta, che riprenderà alle ore 15,00 per lo svolgimento delle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri in vista della riunione del Consiglio europeo del 26 e 27 giugno 2025.

La seduta, sospesa alle 14,58, è ripresa alle 15,05.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE LORENZO FONTANA

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta sono complessivamente 94, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna.

Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista della riunione del Consiglio europeo del 26 e 27 giugno 2025 (ore 15,06).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista della riunione del Consiglio europeo del 26 e 27 giugno 2025.

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori (Vedi calendario).

Avverto che l'intervento del Presidente del Consiglio e le dichiarazioni di voto dei rappresentanti dei gruppi e delle componenti politiche del gruppo Misto avranno luogo con ripresa televisiva diretta.

(Intervento del Presidente del Consiglio dei ministri)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni.

GIORGIA MELONI, Presidente del Consiglio dei ministri. Signor Presidente, onorevoli deputati, il Consiglio europeo del 26 giugno arriverà al termine di una serie di importanti impegni internazionali, tra i quali, come sapete, il summit dei leader del G7 della settimana scorsa in Canada, il vertice NATO previsto per domani e dopodomani a L'Aia, e si terrà, come purtroppo avviene ormai da tempo, in un frangente internazionale estremamente complesso, dove alla guerra in Ucraina e alla grave situazione in cui versa la Striscia di Gaza si è ora aggiunta anche la recente escalation in Medio Oriente.

Il Consiglio europeo ci offrirà, quindi, l'occasione per discutere di quali debbano essere le priorità dell'Unione europea in questa fase e di quali iniziative debbano essere messe in campo per perseguire quelle priorità, e capite bene come sia ancora più sensato oggi quel richiamo al principio di sussidiarietà che abbiamo spesso fatto all'Unione europea. Penso che oggi, ancora più di ieri, sia necessario concentrarsi sulle questioni nelle quali noi possiamo davvero fare la differenza insieme sul piano globale, e non su quelle materie di dettaglio che possono invece essere meglio regolate a livello nazionale.

Ed è veramente lunga la lista di dossier su cui, come Europa, siamo chiamati a lavorare insieme, come anche l'agenda del prossimo Consiglio europeo dimostra. Il Consiglio europeo si concentrerà, naturalmente, sugli ultimi sviluppi in Medio Oriente, a partire dalla crisi che coinvolge Israele e Iran, che si è aggravata in queste ultime ore a seguito dell'attacco statunitense a 3 siti nucleari iraniani. Chiaramente in quest'Aula comprendiamo tutti molto bene i potenziali enormi rischi derivanti da un'ulteriore destabilizzazione di una regione già molto provata, e penso anche che in questa fase così delicata sia importante il dialogo tra Governo e Parlamento, tra Governo e opposizione, per il bene e la sicurezza degli interessi della nostra Nazione.

Farò ovviamente del mio meglio per mantenere e per ampliare questo dialogo. Approfitto, in primo luogo, per confermare quanto è già stato dichiarato dal Ministro degli Affari esteri, Tajani, e dal Ministro della Difesa, Crosetto, in questi giorni, circa il fatto che nessun aereo americano è partito da basi italiane e che la nostra Nazione non ha in alcun modo preso parte all'operazione militare. Detto questo, ieri mattina dopo gli attacchi ho convocato una riunione d'urgenza con i Vicepremier, con i Ministri competenti, con i vertici dell'intelligence, per valutare la situazione e gli scenari collegati.

Le nostre priorità sono state, ovviamente, la sicurezza dei nostri connazionali, civili e militari, presenti nella regione e l'esame dei possibili impatti securitari ed economici sull'Italia, a partire da quelli legati all'ambito energetico. Sulla situazione dei nostri connazionali, un convoglio con 122 persone a bordo è partito da Israele, ha raggiunto ieri l'Egitto, da dove chiaramente i cittadini italiani saranno riportati in patria.

Stiamo lavorando anche per ridurre, in maniera ordinata, la nostra presenza a Teheran, portando fuori dal Paese, via Azerbaigian, i connazionali che ne hanno fatto richiesta. Questa mattina un nuovo convoglio, il terzo, guidato dai Carabinieri, con circa 67 persone a bordo, inclusi alcuni dipendenti dell'ambasciata, si è messo in viaggio verso Baku; si stanno predisponendo le attività per far partire un ulteriore convoglio nei prossimi giorni, a seconda dell'evoluzione della situazione sul terreno, ed è allo studio la possibilità di ricollocare temporaneamente la nostra ambasciata in Oman, da valutare chiaramente quando tutti gli italiani saranno al sicuro.

L'acuirsi della crisi genera ovviamente molta preoccupazione per le possibili ripercussioni in tutto il Medio Oriente e oltre. Stiamo vagliando le ipotesi di risposta da parte iraniana. In particolare, stiamo monitorando Hormuz, uno stretto strategico per l'economia globale, capace di condizionare il prezzo del petrolio e dell'energia a livello mondiale, ma in ogni caso ci siamo già occupati di assicurare all'Italia gli approvvigionamenti energetici necessari. Sulla crisi la posizione del Governo rimane una posizione chiara. Noi consideriamo molto pericolosa l'ipotesi che l'Iran si doti dell'arma nucleare.

Un Iran come potenza nucleare non rappresenterebbe solamente un pericolo vitale per Israele, ma avvierebbe una rincorsa a dotarsi di armi atomiche da parte degli altri attori dell'area, innescando un effetto domino, che sarebbe molto pericoloso anche per noi.

Siamo convinti che solo un'azione diplomatica coordinata possa garantire la pace nella regione. È la ragione per la quale avevamo sostenuto con convinzione le negoziazioni tra USA e Iran. Abbiamo ospitato, come sapete, a Roma, in questi mesi, due round negoziali e siamo pronti a fare la nostra parte anche oggi, ma è giunto il tempo di abbandonare ambiguità e distinguo. L'Iran deve evitare ritorsioni contro gli Stati Uniti, cogliere l'opportunità oggi di un accordo con Washington sul proprio programma nucleare, consapevole che è possibile portare avanti un programma civile in un modo che garantisca la totale assenza di fini militari. Gli Emirati Arabi Uniti, in questo senso, sono un modello nella regione.

Con questo obiettivo, in queste ore, ho ovviamente mantenuto contatti costanti con gli alleati del G7, con i principali attori regionali e tutti concordiamo su una azione coesa a favore di un ritorno ai negoziati. Il Ministro degli Esteri Tajani ha parlato più volte in questi giorni con il suo omologo iraniano, l'ultima volta questa mattina, e ha trasferito questi messaggi. Il Ministro Tajani è stato in contatto anche con il Segretario di Stato Rubio e ribadirà oggi a Bruxelles la nostra posizione alla riunione dei Ministri degli Esteri dell'Unione europea, come io stessa farò al Consiglio europeo e negli incontri con i leader a margine del vertice NATO. Ma in tutte queste occasioni ribadiremo anche un altro obiettivo prioritario per l'Italia, che è il cessate il fuoco a Gaza, dove, come già detto dal Governo in quest'Aula, la legittima reazione di Israele a un terribile e insensato attacco terroristico sta assumendo forme drammatiche e inaccettabili, che chiediamo a Israele di fermare immediatamente (Applausi dei deputati dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia, Lega-Salvini Premier, Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE, Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare e di deputati del gruppo Azione-Popolari Europeisti Riformatori-Renew Europe).

Anche grazie all'impegno italiano, abbiamo condiviso questa necessità in ambito G7 e siamo soddisfatti del fatto che il riferimento al cessate il fuoco nella Striscia sia incluso nella dichiarazione finale dei leader al vertice di Kananaskis. Siamo convinti che sia necessario e possibile cogliere il momento per ottenere finalmente una cessazione delle ostilità sulla Striscia, anche per permettere l'ingresso degli aiuti umanitari e porre fine alle sofferenze della popolazione civile che ha patito troppo e troppo a lungo e, più in generale, per allentare la tensione nella regione. A questo obiettivo fondamentale, in queste settimane, stiamo dedicando i nostri principali sforzi.

Ribadiamo il nostro forte sostegno alla mediazione intrapresa tra Stati Uniti, Egitto e Qatar. Il futuro della Striscia può iniziare solo con la liberazione degli ostaggi e il disarmo di Hamas. Una cessazione permanente delle ostilità è necessaria anche per poter avviare la sfida della ricostruzione, in cui, come ho già detto, credo che le Nazioni arabe debbano svolgere un ruolo preminente e in cui, è chiaro, Hamas non potrà, invece, avere alcun ruolo.

Per la Palestina, siamo pronti a fornire il nostro contributo per un assetto futuro in cui i due popoli possano convivere in pace, dignità e sicurezza, in cui i terroristi non possano avere alcun ruolo e in cui la Striscia di Gaza non possa mai più essere una piattaforma per attacchi verso Israele. Al contrario, nel quadro di una soluzione concordata, una riformata autorità palestinese dovrebbe, a nostro avviso, assumere responsabilità sempre maggiori di governo e la gestione della sicurezza sia in Cisgiordania che a Gaza. Per ottenere questi risultati, sono necessarie scelte coraggiose, in primo luogo da parte di Israele. È necessario un processo politico che conduca alla soluzione dei due Stati con garanzie di sicurezza reali e credibili per Israele e una piena normalizzazione dei rapporti con il mondo arabo e islamico, portando a compimento il processo avviato con gli Accordi di Abramo.

L'Italia, attore determinante nel sostegno concreto alla popolazione di Gaza sia in termini di finanziamenti stanziati, sia di aiuti umanitari consegnati, intende, inoltre, portare in sede di Consiglio europeo l'esperienza maturata con l'iniziativa Food for Gaza per rafforzare l'azione umanitaria dell'Unione europea. E consentitemi, in quest'Aula, di ringraziare gli operatori umanitari, i medici e i paramedici (Applausi) che operano in prima linea nella Striscia: siamo loro vicini, faremo di tutto per sostenerli e proteggerli (Applausi).

E proprio in questi giorni, il Governo si è impegnato a stanziare ulteriori aiuti per OMS e UNICEF per attrezzature sanitarie e assistenza a donne e bambini. Da ultimo, l'Italia ha coordinato l'evacuazione di 70 palestinesi dalla Striscia di Gaza, tra i quali anche il piccolo Adam insieme a sua madre, la dottoressa Alaa al-Najjar, unici sopravvissuti di una famiglia di 12 persone.

Oltre l'emergenza, se allarghiamo lo sguardo, noi cominciamo a vedere un Medio Oriente profondamente cambiato: Assad è caduto, abbiamo una nuova leadership a Damasco, Hezbollah è indebolito e il Libano ha una nuova dirigenza che dobbiamo sostenere, che può davvero voltare pagina, superando molte crisi che hanno attanagliato questa Nazione negli ultimi anni. La ripresa economica di entrambi i Paesi e la ricostruzione non solo delle infrastrutture, ma anche del tessuto sociale libanese e siriano, sono cruciali per gli equilibri di lungo periodo della regione e non solo della regione.

In Libano, l'Italia intende continuare a sostenere le esigenze umanitarie della popolazione, avviando al contempo progetti con effetti duraturi. Per la Siria, abbiamo annunciato a Bruxelles uno stanziamento da 50 milioni di euro, che saranno destinati a interventi nei settori dell'assistenza e del reintegro dei rifugiati, protezione dei soggetti vulnerabili, infrastrutture, sicurezza alimentare, salute e protezione del patrimonio culturale. La rimozione delle sanzioni economiche dell'Unione europea alla Siria determina una congiuntura storica chiave per il Medio Oriente e l'Italia farà il possibile perché il Consiglio europeo ne colga le potenzialità, per definire un nuovo triangolo di stabilità tra Libano, Siria e il futuro Stato palestinese, che avrebbe effetti cruciali anche per la sicurezza di Israele.

Ci sono, infatti, in tutto il mondo arabo, in particolare nel Golfo, leader interessati a un futuro di pace e di opportunità economiche, che sono pronti a lavorare in un quadro regionale in cui Israele possa essere pienamente integrato come un partner e non come un nemico, una regione proiettata nel futuro, che esporta tecnologia e ricchezza in luogo di instabilità e terrorismo: un cambiamento epocale che gli estremisti proveranno a contrastare in ogni modo, soprattutto facendo ricorso alla cinica strategia degli attentati contro la popolazione inerme. In questo contesto rientra probabilmente il terribile attentato che ieri ha colpito la chiesa di Sant'Elia a Damasco, causando decine di vittime tra i fedeli. Alle comunità cristiane e siriane vogliamo esprimere il nostro più sentito cordoglio (Applausi).

L'Italia è impegnata nella ricerca di soluzioni serie e concrete, non è interessata alle speculazioni, perché la difficilissima situazione che sta vivendo il Medio Oriente non lo consente. La riconoscenza della popolazione palestinese e israeliana per quanto ha fatto e sta facendo la nostra Nazione è l'unica cosa che ha importanza per noi e lo voglio dire agli italiani: siate fieri di quello che ha fatto l'Italia, non solo le istituzioni, ma il mondo del volontariato (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia, Lega-Salvini Premier, Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE e Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare), i militari, l'intelligence, i nostri medici (Applausi), i nostri infermieri, per aiutare le persone comuni che vivevano un momento drammatico. Porteremo chiaramente queste riflessioni in Consiglio europeo, ma il punto di partenza - ribadisco - resta il cessate il fuoco a Gaza e la ripresa delle negoziazioni tra le parti sul conflitto in Iran, condizioni necessarie a definire una nuova architettura politica e di sicurezza.

Nel Consiglio europeo torneremo ovviamente anche a discutere della guerra di invasione russa all'Ucraina. Assistiamo, in questo frangente, a una fase estremamente delicata del conflitto, con l'assenza di progressi sostanziali sul piano negoziale, specie in termini di cessazione delle ostilità. Alla luce di questi sviluppi, sono due le direttrici sulle quali ci stiamo muovendo: sostegno all'Ucraina e pressione sulla Russia. Anche qui, l'obiettivo immediato è un cessate il fuoco che fermi i combattimenti, che lasci il campo alla diplomazia, per discutere un vero e duraturo accordo di pace che, giocoforza, avrà un impatto anche sull'architettura di sicurezza europea.

Credo sia evidente a tutti come l'impegno dell'Ucraina a favore della pace è un impegno chiaro, a partire dall'immediata disponibilità ad accettare il cessate il fuoco, fino alle ripetute manifestazioni di disponibilità - colloqui diretti con la Russia che abbiamo visto a Istanbul, anche con l'invio di una delegazione qualificata - e le proposte concrete, credibili, per un percorso negoziale.

La ripresa del dialogo diretto e lo scambio di prigionieri sono passi in avanti, ma sono a nostro avviso insufficienti. La Federazione russa deve ora dimostrare di volersi seriamente impegnare al tavolo negoziale.

Al momento, purtroppo, non vediamo questo impegno, come dimostrano i sistematici e premeditati attacchi contro gli obiettivi civili, particolarmente alla vigilia di eventi importanti come è stato per i bombardamenti su Kiev alla vigilia della presenza del Presidente Zelensky al vertice del G7, come se il tentativo fosse invece quello di minare ogni tentativo di fare dei passi avanti verso la pace.

Penso, quindi, che in questa fase sia importante esercitare sulla Russia una pressione coordinata, siamo pronti a farlo con il XVIII pacchetto sanzionatorio attualmente in discussione a Bruxelles, che si concentra sulla flotta ombra di petroliere riconducibili alla Russia, che vengono utilizzate per aggirare le sanzioni e, più in generale, sul settore energetico e sul settore bancario.

Intendiamo continuare a sostenere l'Ucraina nella sua legittima autodifesa, ma anche nella prospettiva della ricostruzione, una delle più importanti scommesse sul futuro di questa Nazione, come una Nazione libera, prospera, sovrana. Il 10 e l'11 luglio ospiteremo a Roma la Ukraine Recovery Conference e, in quella sede, torneremo a ribadire il nostro impegno per garantire al popolo ucraino un futuro di pace e di benessere. È una sfida ambiziosa che possiamo vincere solo se riusciamo a lavorare insieme, se riusciamo a mobilitare il settore privato. Stiamo lavorando con l'Ucraina e con i partner esattamente in questa direzione. Contiamo di raggiungere obiettivi concreti e immediati, consapevoli come siamo che un'Ucraina libera e prospera sarebbe una grande opportunità, una grande ricchezza per l'intera Europa. Dobbiamo anche essere pronti a fare di più per la sicurezza e per la difesa dell'Italia e del continente. È una necessità strategica che non possiamo più disattendere perché, come ho già detto in quest'Aula, nessuna Nazione, nessuna organizzazione di Stati può essere pienamente indipendente e sovrana se affida ad altri la propria difesa, la propria sicurezza (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia, Lega-Salvini Premier, Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE e Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare e di deputati del gruppo Azione-Popolari Europeisti Riformatori-Renew Europe).

Questo ha ricadute che vanno molto oltre la questione della difesa in sé, perché coinvolge le dinamiche economiche e commerciali ovvero, in poche parole, la possibilità stessa di difendere appieno i propri interessi nazionali. Se non sai difendere, non decidi; se non decidi, non puoi considerarti pienamente libero. È il motivo per il quale io ho sempre creduto che fosse una scelta giusta lavorare per costruire un solido pilastro europeo dell'Alleanza atlantica, da affiancare a quello Nordamericano, in un'ottica di complementarietà strategica e capace di incentivare anche la formazione di una solida base industriale. Nel 2014 gli Stati membri dell'Alleanza atlantica si erano impegnati a fornire le forze e le capacità richieste dai Piani di difesa della NATO equivalenti al raggiungimento in dieci anni di spese per la difesa pari al 2 per cento del prodotto interno lordo. Da allora, tutti i Governi italiani hanno confermato quell'impegno senza mai raggiungerlo, senza eccezioni di colore politico. È un obiettivo che abbiamo raggiunto, rispettando così la parola che l'Italia aveva dato a livello internazionale (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia, Lega-Salvini Premier, Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE e Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare). Lo abbiamo fatto sia rilanciando la traiettoria di potenziamento delle nostre capacità di difesa, sia inserendo nel computo delle spese rilevanti le voci che altre Nazioni già considerano in linea con i parametri dell'Alleanza atlantica. Spese che rientrano in quell'approccio allargato, multidimensionale della difesa che sono propri del concetto strategico NATO, del Libro Bianco UE, del Piano Readiness 2030.

Al vertice de L'Aja ci confronteremo sulla proposta presentata dal Segretario generale della NATO, Rutte, sul potenziamento della capacità difensiva dell'Alleanza. Saremo chiamati ad assumere impegni all'altezza della complessità del tempo che viviamo. Impegni che dovranno essere chiari, trasparenti e soprattutto sostenibili dal punto di vista economico e finanziario, sia per questo Governo, sia per quelli che verranno dopo di noi.

Resta ferma la necessità a livello europeo di rendere compatibili le regole del Patto di stabilità con l'incremento delle spese di difesa concordate con gli Alleati, in particolare con riferimento alle procedure di deficit eccessivo, riguardo cui è necessario conseguire una parità di trattamento ed evitare rischi di applicazioni asimmetriche. Attualmente la proposta presentata prende atto della valutazione aggiornata che la NATO fa delle minacce e dei rischi per l'Europa, dei conseguenti Piani di difesa, della possibile riduzione del contributo in termini di forze e capacità da parte degli Stati Uniti. Questo si traduce in un impegno per tutti i membri dell'Alleanza ad arrivare al 3,5 per cento del prodotto interno lordo in spese di difesa e all'1,5 in spese di sicurezza. Sono impegni importanti, certo. Sono impegni necessari che, finché questo Governo sarà in carica, l'Italia rispetterà, restando un membro di primordine della NATO, per il semplice motivo che l'alternativa sarebbe più costosa e decisamente peggiore. Intorno a noi vediamo moltiplicarsi caos e insicurezza e non lasceremo l'Italia esposta, debole, incapace di difendersi o impossibilitata a tutelare i suoi interessi come merita che i suoi interessi vengano tutelati (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia, Lega-Salvini Premier, Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE e Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare).

In questa trattativa, l'Italia è stata impegnata, da un lato, a ottenere una modulazione sostenibile nel tempo degli investimenti richiesti, dall'altro, a far sì che, in questo nuovo programma di impegni per i prossimi anni, venga rispettato quell'approccio a 360° che vede come essenziali, per la difesa nazionale, europea e occidentale, gli investimenti strategici sulla sicurezza in tutti i domini che sono oggetto di minacce ibride. Significa non solo difesa in senso stretto, ma molto altro. Significa difesa dei confini, lotta ai trafficanti di esseri umani, significa lotta al terrorismo, minacce cyber, infrastrutture critiche, mobilità militare. È un approccio che conoscete, del quale abbiamo già discusso in quest'Aula, che l'Italia ha già sostenuto con successo nella fase di discussione del Piano UE Readiness 2030 e che sta trovando importanti riscontri anche da molti partner.

Grazie alla mediazione, voluta e ottenuta da noi, avremo un periodo temporale di dieci anni per raggiungere il 3,5, libertà sugli aumenti annuali senza alcun limite minimo annuo e possibilità di revisione degli impegni nel 2029. In sostanza, tenuto conto che già siamo al 2 per cento del prodotto interno lordo per la difesa, un aumento dell'1,5 in dieci anni è un impegno non distante da quello che, nel 2014, il Governo di allora prese con un aumento dell'1 per cento, atteso che, in quell'anno, l'Italia si trovava all'1 per cento delle proprie spese di difesa in rapporto al PIL.

Riguardo l'1,5 per cento di spese dedicate alla sicurezza, abbiamo, invece, chiesto e ottenuto che siano gli Stati membri a definire cosa considerino una minaccia per la sicurezza dei propri cittadini, quali strumenti mettere in campo per affrontare quella minaccia e, di conseguenza, anche quali spese effettuare. Si tratta di un percorso compatibile con tutte le altre priorità del Governo, perché non distoglieremo risorse da ciò che consideriamo importante per il benessere degli italiani, coerente con gli impegni internazionali dell'Italia e coerente con la posizione dell'attuale maggioranza di Governo, posizione consacrata nel programma con il quale si è presentata di fronte agli italiani. Perché senza difesa non c'è sicurezza, senza sicurezza non c'è libertà e aggiungo che, senza sicurezza e libertà, non può esserci neanche benessere e prosperità (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia, Lega-Salvini Premier, Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE e Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare).

Il Consiglio europeo si occuperà anche di ciò che sta accadendo in altre due aree strategiche per la sicurezza dell'Italia e dell'Europa, che sono il Nordafrica e il Sahel. I violenti scontri a Tripoli, nelle scorse settimane, dimostrano che non possiamo permetterci di trascurare la Libia. Ciò che accade in Libia ha immediate ripercussioni sulla sicurezza dell'Unione europea e l'Italia è di gran lunga la Nazione più esposta a eventuali rischi e minacce. Il quadro sul terreno resta molto fragile, molto imprevedibile e l'Italia sostiene pienamente gli sforzi per consolidare il cessate il fuoco attraverso il dialogo, ma chiediamo che anche l'Unione europea eserciti tutta la sua influenza affinché le parti continuino a rispettare incondizionatamente la tregua, assicurando ogni sforzo per scongiurare che vi siano ulteriori vittime civili o danni alle infrastrutture. Al tempo stesso, vogliamo lavorare per rilanciare un processo politico che conduca la Libia verso un assetto politico-istituzionale più stabile e il ruolo delle Nazioni Unite resta ovviamente centrale anche per mediare le posizioni tra le istituzioni dell'Est e dell'Ovest e trovare un terreno concreto di confronto proattivo tra tutti gli attori coinvolti.

L'Unione europea deve usare la sua influenza e la sua forza per esercitare una pressione sui principali attori libici, affinché collaborino con l'ONU senza precondizioni, anche perché una Libia debole e frammentata è destinata ad attrarre sempre più le ingerenze di potenze straniere, portatrici di interessi strategici molto diversi dai nostri. Ma è essenziale che l'Europa sostenga la mediazione ONU in maniera coesa e leale, superando le divisioni tra Stati membri che, in passato, hanno soltanto avvantaggiato attori ostili. La stabilità della Libia e dei Paesi confinanti rappresenta un elemento determinante anche per il contenimento dei flussi migratori irregolari e per il contrasto dei traffici illeciti che attraversano il Mediterraneo centrale. È, infatti, nei vuoti di potere e nella debolezza delle istituzioni che si radicano le reti criminali e i trafficanti che sfruttano instabilità e fragilità per alimentare circuiti migratori fuori controllo, forme di economia illegale che minacciano direttamente la nostra sicurezza.

E aggiungo che l'Est e il Sud della Libia sono già le principali teste di ponte della proiezione militare russa in Africa. C'è il rischio concreto che la Russia possa sfruttare l'instabilità attuale per rafforzarsi ulteriormente in Libia, e quindi per rafforzarsi nel Mediterraneo. Siamo intenzionati a portare il tema in Consiglio europeo per chiedere ai nostri partner e all'Unione di prestare maggiore attenzione a questa pericolosa dinamica. Sul Sahel, a fronte del costante arretramento della presenza europea nel corso degli ultimi anni, l'Italia sostiene l'esigenza di un approccio flessibile e pragmatico, che metta al centro i nostri comuni interessi strategici.

Anche nell'ottica di contenere la crescente influenza negativa di altri attori, anche qui internazionale, sosteniamo in ambito UE il riavvio del dialogo politico, della cooperazione allo sviluppo, della collaborazione in materia di sicurezza con 3 Paesi centrali della regione come Mali, Burkina Faso e Niger, attualmente governati da giunte militari, usciti dalla Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale e riunitisi nell'Alleanza degli Stati del Sahel.

Su queste linee stiamo contribuendo attivamente alle discussioni in corso sul rinnovato approccio dell'UE per il Sahel, affinché prevalga una linea pragmatica di reingaggio e di dialogo, anche critico, sui temi del ritorno all'ordine costituzionale. A riprova di questo impegno, l'Italia, unico tra gli Stati occidentali, mantiene con la MISIN, in Niger, una collaborazione militare bilaterale nell'area, anche nell'ottica di assicurare una maggiore profondità strategica del fianco meridionale della NATO.

E proprio grazie al ruolo privilegiato dell'Italia ritengo che la nostra Nazione potrebbe porsi come mediatore tra i Paesi del Sahel e quelli occidentali interessati a ottenere nuovamente una loro presenza attraverso un processo virtuoso e concordato. Al Consiglio europeo faremo nuovamente il punto sull'attuazione delle politiche dell'Unione europea in ambito migratorio. Una discussione che cade nel quarantesimo anniversario del Trattato di Schengen, che se da un lato ha garantito una libertà per noi oggi irrinunciabile, come quella di poterci muovere senza barriere all'interno dell'UE, dall'altro ha visto per troppo tempo sottovalutato e non pienamente attuato il suo secondo pilastro, che è quello della difesa e della protezione dei confini esterni dell'Unione, e conseguentemente della riaffermazione del sacrosanto principio secondo il quale spetta agli Stati decidere chi può entrare all'interno del proprio territorio e non certo alle mafie dei trafficanti di esseri umani (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia, Lega-Salvini Premier, Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE e Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare).

Sono molto fiera del lavoro fatto su questa materia anche a livello G7, dove non a caso è stato affidato all'Italia il compito di coordinare il tavolo tematico sull'immigrazione e la lotta globale contro il traffico di esseri umani. Un formato che dà seguito al lavoro della Presidenza italiana del G7 dello scorso anno. Il documento finale del G7 sull'immigrazione sposa appieno la nostra linea, ovvero la necessità di un'immigrazione regolamentata, di una lotta senza quartiere alla criminalità organizzata che gestisce il traffico di esseri umani, soprattutto seguendo il principio di follow the money che abbiamo imparato da Giovanni Falcone e da Paolo Borsellino (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia, Lega-Salvini Premier, Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE e Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare e di deputati del gruppo Misto), e di una cooperazione tra pari con i Paesi di origine e di transito, strategia alla base degli accordi bilaterali che abbiamo siglato, nonché ovviamente del Piano Mattei per l'Africa e del Global Gateway dell'Unione europea.

E proprio sulla sinergia tra le due piattaforme, Piano Mattei e Global Gateway, la scorsa settimana, insieme alla Presidente della Commissione europea, abbiamo ospitato a Roma una conferenza internazionale nella quale abbiamo annunciato nuovi impegni verso il continente africano. Il Piano Mattei, insomma, non è più una strategia solamente italiana. Come sapete, negli ultimi 2 anni su spinta italiana c'è stato a Bruxelles un deciso cambio di passo in materia migratoria. L'attenzione ora è tutta rivolta alla dimensione esterna, ai partenariati paritari, al nuovo regolamento per rendere più efficaci i rimpatri, al nuovo Patto di migrazione e asilo alla cui attuazione gli Stati membri stanno lavorando in vista dell'entrata in vigore, senza dimenticare le cosiddette soluzioni innovative, concetto anch'esso introdotto dall'Italia con il Protocollo Italia-Albania.

Attorno a questa strategia complessiva, che include i concetti rafforzati di Paese sicuro di origine e di Paese terzo sicuro, ma anche, in prospettiva, la creazione di centri di rimpatrio europei in Paesi terzi, è oggi riunita la stragrande maggioranza degli Stati membri, e il risultato è che la Commissione in questi mesi ha presentato diverse proposte legislative concrete su queste materie. Voglio ricordare, ad esempio, forse e soprattutto la lista europea di Paesi di origine sicuri, che fa giustizia di tante, troppe decisioni dettate da una distorta lente ideologica alle quali abbiamo assistito per mesi qui in Italia (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia, Lega-Salvini Premier, Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE e Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare). Toccherà ora ai legislatori europei, al Consiglio e al Parlamento portare avanti rapidamente i relativi negoziati. L'Italia è stata, è all'avanguardia in questo dibattito, sempre molto esigente sull'attuazione pratica di quanto deciso.

Ovviamente, anche in occasione di questo Consiglio si riunirà il gruppo di lavoro sull'immigrazione, che abbiamo promosso insieme a Danimarca e Paesi Bassi, e che ormai rappresenta ampiamente la maggioranza degli Stati membri, tenuto conto che ora anche la Germania ha deciso di farne parte. Sempre con il Primo Ministro danese, Mette Frederiksen, e altri 7 leader europei - che, sono certa, aumenteranno, data anche la recente adesione del Primo Ministro ungherese e l'interesse crescente che registriamo sull'iniziativa da parte di altri - vogliamo continuare a cercare soluzioni sempre più efficaci.

Per questo, lo scorso 22 maggio abbiamo firmato una lettera aperta con la quale chiediamo di aprire una riflessione di alto livello sul tema delle convenzioni internazionali alle quali siamo legati e sulla capacità di quelle convenzioni, a distanza di diversi decenni da quando sono state adottate, di affrontare efficacemente le questioni del nostro tempo, a partire proprio dal fenomeno migratorio. Ovviamente, la riflessione che proponiamo non ha l'obiettivo di indebolire le convenzioni o i valori che quelle convenzioni incarnano.

Il nostro obiettivo è, al contrario, rafforzarli, perché, adattandone l'applicazione a una realtà che è cambiata, non faremmo altro che rendere quei testi più aderenti ai bisogni e alle richieste dei cittadini. In troppi casi l'applicazione di alcuni principi ha prodotto risultati incomprensibili ai più. Penso, ad esempio, ai casi nei quali, in applicazione della Convenzione europea per i diritti dell'uomo, viene impedito alle Nazioni parte di espellere stranieri che si sono macchiati di crimini particolarmente gravi per poter difendere la sicurezza dei propri cittadini (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia, Lega-Salvini Premier, Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE e Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare).

La tutela dei profughi e dei rifugiati va ripensata per renderla più efficace, ma anche per renderla meno ipocrita, e questo può voler dire una migliore accoglienza sui nostri territori, ma, certamente, un maggiore sostegno nelle aree di crisi. Abbiamo preso atto della disponibilità del Segretario generale del Consiglio d'Europa di approfondire questi temi. Con i nostri partner intendiamo avviare una discussione seria, ma anche analizzare tutti gli strumenti giuridici a disposizione, perché, come ha detto lo stesso Segretario generale, non ci devono essere tabù sulla possibilità di aggiornare alcuni aspetti della Convenzione.

Il Consiglio europeo farà il punto anche sui progressi nel processo di allargamento, quella che a me piace definire riunificazione dell'Europa, con un focus particolare dedicato a Balcani occidentali e Moldova. L'Unione europea ha lasciato per troppo tempo un vuoto nei Balcani occidentali, che altri attori internazionali hanno, come sempre, tentato di colmare. Ma queste Nazioni non sono semplici vicini: i Balcani non si trovano ai margini dei confini europei o addirittura al di là del nostro continente; si trovano nel cuore del nostro continente, sono la regione di cerniera tra l'Est e l'Ovest, tra quelli che San Giovanni Paolo II amava definire “i due polmoni d'Europa”.

Per questo motivo l'Italia è impegnata a Bruxelles per far valere un approccio strategico ai Balcani occidentali, che tenga conto, pur nella complessità delle sfide che l'area presenta, della necessità di fornire a questi Paesi una chiara prospettiva di integrazione nell'Unione europea. È evidente come l'allargamento porti con sé nuove sfide, alle quali dovremo essere capaci di rispondere, però io rimango convinta che l'integrazione europea dei Balcani occidentali, così come verso Est , rappresenti anche un investimento strategico nella sicurezza dell'Europa, ancor più alla luce di quello che accade ai nostri confini.

Albania e Montenegro sono corridoi di punta nella regione; dobbiamo consolidare i loro progressi anche per favorire la ripresa del percorso europeo degli altri candidati, a partire dalla Serbia. E in questo contesto è fondamentale continuare ad attuare il piano di crescita per i Balcani occidentali, per sostenere le riforme e il cammino verso la famiglia europea. Il 4 luglio si svolgerà poi il primo summit UE-Moldova, fondamentale per approfondire il partenariato tra Chisinau e Bruxelles in settori di interesse comune ad alto valore aggiunto, come sicurezza e difesa, migrazione, energia, digitale, trasporti e competitività, mentre prosegue anche il percorso per l'adesione all'UE.

Infine, il Consiglio europeo sarà l'occasione per discutere anche dei passi in avanti fatti sui temi della competitività dal Consiglio scorso, quello di marzo, quando i nostri lavori si sono concentrati su materie come l'urgenza della semplificazione, la necessità di un'energia disponibile per tutti e al giusto prezzo, e l'adeguatezza degli investimenti necessari. Sosteniamo e incoraggiamo gli sforzi di semplificazione profusi dalla Commissione con i diversi pacchetti Omnibus che sono stati presentati e che sono attualmente in fase di discussione.

Se qualche anno fa il fardello delle complicazioni che ci siamo autoimposti era da considerarsi un errore, nello scenario attuale diventa un errore assolutamente imperdonabile. Il mondo intorno a noi cambia, corre e noi non possiamo essere competitivi se ci costringiamo a correre con un inutile masso sulle nostre spalle. Strumenti normativi, come le direttive sulla sostenibilità delle imprese, stanno dimostrando i loro limiti evidenti (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia, Lega-Salvini Premier, Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE e Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare).

Come Governo stiamo lavorando, come sempre, a tutela della competitività delle nostre imprese, così come sulle proposte per semplificare i finanziamenti europei sulla politica agricola comune, sulla possibilità di creare una nuova categoria di imprese a media capitalizzazione con regime semplificato.

Abbiamo, inoltre, accolto con interesse la comunicazione della Commissione sulla strategia per il mercato unico, che è in linea con le aspettative e le priorità individuate dall'Italia. Dobbiamo continuare a insistere sulla semplificazione e, anche qui, armonizzare le regole per la circolazione dei beni e dei servizi, mettere al centro le piccole e medie imprese, facilitare la digitalizzazione.

Guardiamo con interesse anche alla comunicazione della Commissione sulla strategia UE Startup and Scaleup, che si pone come obiettivo quello di rendere l'Europa il luogo ideale dove far crescere imprese innovative. Ci attendiamo ora dalla Commissione proposte e azioni serie ed efficaci per far tornare l'Europa al centro dell'innovazione tecnologica.

Per quanto riguarda il settore automobilistico europeo, sappiamo che è un settore che sta attraversando una crisi profonda e sappiamo che quella crisi ci impone di rispondere con coraggio. Il Governo lo sa molto bene. Da tempo insistiamo sulla necessità di un radicale cambio di rotta, di un piano per garantire il futuro del settore, a partire dal superamento degli aspetti più surreali del Green Deal (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia, Lega-Salvini Premier, Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE e Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare).

È grazie anche al nostro impegno instancabile - dimostrato, tra l'altro, dal non paper promosso insieme alla Repubblica Ceca e ad altri partner europei per una nuova politica europea per l'automotive - che la Commissione ha presentato un piano d'azione industriale per il settore automobilistico, di cui è necessario ora garantire una rapida attuazione. Occorre un quadro normativo chiaro e prevedibile, un vero sostegno alla filiera europea, compresa quella per la produzione di batterie. Occorre assicurare condizioni di parità con i mercati internazionali, per esempio attraverso accordi con partner affidabili. Abbiamo, in particolare, sostenuto la decisione di introdurre flessibilità per consentire ai produttori di automobili di evitare costose multe e scongiurare fenomeni di pooling, vale a dire l'alleanza di comodo con altri costruttori, spesso stranieri, per compensare le emissioni di CO2, che comportano inevitabili danni alla competitività dell'industria europea.

Tuttavia, nel settore automobilistico continua a mancare un solido e inequivocabile riferimento alla neutralità tecnologica, nonostante l'ultimo Consiglio europeo di marzo abbia richiamato questo concetto tra i princìpi alla base di un mercato unico e di un'industria più competitiva: altro risultato che l'Italia può rivendicare con orgoglio. Occorrerà, quindi, insistere nell'ambito della più generale revisione della normativa sull'automotive, affinché tutte le tecnologie utili al processo di decarbonizzazione vengano prese in considerazione, tra cui, come sapete, i biocarburanti, i fuels, l'idrogeno (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia, Lega-Salvini Premier, Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE e Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare).

E proprio in questo senso, annuncio anche che sto lavorando insieme al Presidente francese Macron e al Cancelliere tedesco Merz per definire delle linee comuni a sostegno del settore automobilistico europeo. Penso che le nostre tre nazioni, lavorando insieme, possano su questo fornire uno stimolo importante alla riflessione in corso.

In conclusione, onorevoli deputati, noi - è evidente a tutti - viviamo in un periodo di grande tensione globale, nel quale è necessario mantenere, chiaramente, il timone saldo, mantenere coerente la rotta che è stata tracciata. La rotta per questo Governo è chiara: un'Italia protagonista in tutti i tavoli, costruttrice di ponti, capace di dialogo con tutti i partner, chiara nel suo posizionamento euroatlantico e mediterraneo, salda nella guida grazie a un Governo che ha messo finalmente al centro l'interesse nazionale e lo persegue ogni giorno su ogni tema.

E forti delle nostre posizioni, della credibilità che ci siamo guadagnati con lealtà e con franchezza, della visione che accomuna una maggioranza solida e di un popolo italiano che rappresentiamo e che è ancora capace di stupire il mondo (Commenti di deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), continueremo a lavorare senza risparmiarci, senza condizionamenti, senza paura, come sempre, solo ed esclusivamente nell'interesse dell'Italia. Vi ringrazio (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia, Lega-Salvini Premier, Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE e Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare, che si levano in piedi).

PRESIDENTE. Sospendiamo a questo punto il dibattito, che riprenderà alle ore 16,30, al fine di consentire al Presidente del Consiglio dei Ministri di consegnare il testo delle comunicazioni, testé rese, presso il Senato della Repubblica.

Secondo le intese intercorse, la seduta proseguirà a questo punto con lo svolgimento dei residui interventi previsti nella discussione generale delle mozioni in materia di dazi.

Sospendiamo un minuto per permettere a chi deve uscire, di farlo. La seduta è sospesa.

La seduta, sospesa alle 15,45, è ripresa alle 15,50.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE SERGIO COSTA

Si riprende la discussione delle mozioni.

(Ripresa discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. La seduta è ripresa. Riprendiamo a questo punto la discussione generale delle mozioni Boschi ed altri n. 1-00434 (Nuova formulazione) e Pavanelli ed altri n. 1-00463, concernenti iniziative volte a salvaguardare il sistema produttivo nazionale in relazione alla prospettata applicazione dei dazi da parte degli Stati Uniti d'America.

È iscritto a parlare l'onorevole Alessandro Caramiello, che illustrerà anche la mozione Pavanelli ed altri n. 1-00463, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO CARAMIELLO (M5S). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, ci troviamo di fronte a un panorama internazionale che sta cambiando radicalmente in modo imprevedibile e che ci obbliga a ripensare le nostre strategie di mercato e di alleanza commerciale. Quest'oggi affrontiamo il tema dei dazi. Purtroppo, la verità è che siamo in ritardo e completamente fermi rispetto ad altri Paesi, e mentre il Governo italiano attende, la Spagna, con il Primo Ministro Sanchez, ha lanciato un piano di sostegno da 14 miliardi di euro per sostenere le imprese colpite proprio dai dazi americani, prevedendo linee di garanzia, prestiti industriali, fondi per riorientare le capacità produttive.

Quindi, Presidente, c'è il sentito timore che la nostra economia, a causa di mancanza di idee e di visione politica, possa essere travolta dal protezionismo americano. Presidente, il mondo si muove, si rafforza e si riorganizza. Noi restiamo immobili, a sperare che tutto passi, a sperare che i dazi americani siano solo un incidente di percorso, ma questa, Presidente, è una speranza vana. Il vero rischio è che, se non ci svegliamo, se non ci apriamo e intercettiamo nuovi mercati, il nostro Paese rimarrà schiacciato tra le mille tensioni di un sistema internazionale.

È il momento di reagire, di pensare in grande, di tessere relazioni nuove, di uscire da un perimetro a stelle e strisce. Colleghi, vi ricordo che siamo la porta di accesso del Mediterraneo. Dobbiamo e possiamo esportare in altri Paesi e difendere i nostri prodotti e il nostro made in Italy. Colleghi, questa non è una questione di destra o di sinistra, di partiti o di ideologia, ma è una questione di sopravvivenza nazionale, perché il vero pericolo, oltre alle guerre e ai dazi, è la nostra incapacità di reagire, di essere padroni del nostro destino, di non lasciarci trascinare da un'egemonia che ci sta impoverendo.

Colleghi, l'attendismo, la paura di decidere e la tentazione di rimandare le scelte difficili sono spesso il preludio di tragedie. Mentre si rimanda, il nemico avanza, la crisi si aggrava e il danno diventa irreparabile. E ce lo insegna la storia, Tito Livio. Durante l'impero romano, durante l'attendismo delle istituzioni romane, innanzi alla richiesta di aiuto da parte, per esempio, di Sagunto, Roma tergiversò, sicché, dopo 8 mesi di combattimenti, la città si arrese e Annibale la rase al suolo. E il letterato latino commentò: “mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata”.

Onorevoli colleghi, come viene espugnato il nostro Paese, vittima dell'attendismo dei palazzi romani attuali. Onorevoli colleghi, in questo contesto nero le misure protezionistiche degli Stati Uniti, che sembrano più un atto di arroganza e imposizione che una strategia di sviluppo, rischiano di peggiorare ulteriormente i dati già estremamente preoccupanti della nostra produzione industriale. E che cosa fa questo Governo? Praticamente nulla, e le conseguenze di questa inazione si riflettono sui cittadini come un macigno: prezzi alle stelle, potere d'acquisto in calo, imprese costrette a stringere i denti di fronte a dazi insostenibili.

E secondo Confartigianato l'attacco commerciale degli USA potrebbe far perdere all'Italia oltre 11 miliardi di euro in esportazioni, con 33.000 posti di lavoro a rischio nel settore manufatturiero. Più di un terzo di queste perdite colpirebbe le piccole imprese, le colonne portanti del nostro sistema produttivo, quelle che meno possono permettersi di resistere a questa tempesta. Un ciclone, Presidente, che causerà danni per 7 miliardi di euro, secondo alcune stime, tra riduzioni nelle esportazioni, calo del PIL e impoverimento delle famiglie, e tutto questo mentre il debito pubblico aumenta e continua a salire come un'ombra minacciosa sulla nostra testa, pronto a inghiottire ogni speranza di ripresa.

Vorrei vedere adesso con che coraggio il Ministro Urso, il Ministro del “fu made in Italy”, continuerà a parlare dei nostri settori di eccellenza, quelli che fino a ieri ci rendevano unici nel mondo, moda, automotive, agroalimentare. Settori che rischiano di essere travolti da una marea di dazi e di imitazioni, Italian sounding che non solo impoverisce le nostre imprese, ma danneggia anche i consumatori e il prestigio del nostro comparto produttivo.

Per questo motivo il MoVimento 5 Stelle ha depositato una mozione chiara, netta, senza ambiguità. Chiediamo al Governo di agire con decisione e tempestività, di mettere in campo tutte le iniziative necessarie per difendere il nostro sistema economico e il nostro patrimonio produttivo dai dazi e dagli effetti di queste guerre commerciali, e non solo, ed esigiamo che ci si impegni affinché l'Europa scongiuri qualsiasi tentativo di riconversione dell'industria automotive verso la produzione di armamenti.

Noi diciamo basta con questa follia, noi non vogliamo che l'Italia diventi un arsenale, vogliamo un'Italia che produca innovazione, tecnologia e futuro. Noi, con questa mozione, pretendiamo che il Governo si faccia carico di questa responsabilità; noi non vogliamo più promesse vuote, vogliamo azioni concrete, immediate ed efficaci. Onorevoli colleghi, questa mozione non è solo un atto formale, è un grido di dolore, è un appello all'Italia che merita di più, a un Governo che deve svegliarsi e assumersi le sue responsabilità.

Basta con le promesse, basta con l'immobilismo. È ora di agire, di mettere da parte le divisioni e di lavorare per un futuro diverso, più giusto e più forte. Presidente, vado a concludere: il nostro Paese ha bisogno di una classe dirigente all'altezza, di un'Italia che lotta, che reagisce, che non si arrende e che difende la sua sovranità, senza attendere che ogni decisione venga presa nello Studio Ovale della Casa Bianca (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pandolfo. Ne ha facoltà.

ALBERTO PANDOLFO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Colleghe deputate e colleghi deputati, la discussione di oggi è frutto della necessità di azioni a salvaguardia del nostro sistema produttivo in relazione alla prospettata applicazione dei dazi da parte degli Stati Uniti d'America. Affrontiamo la questione di vitale importanza per il futuro del nostro Paese e dell'Europa all'indomani di un preoccupante attacco di Trump ai siti nucleari iraniani, che aggrava ulteriormente lo scenario internazionale e che coinvolge tutti. Il Governo italiano deve lavorare a stretto contatto con i principali Paesi europei, che hanno condannato le violazioni iraniane sul nucleare, per far ripartire i negoziati, tenendo aperti i canali di dialogo.

L'unico modo per favorire la de-escalation è fermare l'azione militare e riaprire un percorso negoziale per portare pace e sicurezza nella regione mediorientale. La strategia dei dazi è solo un antipasto, ma si è già trasformata in una crisi, fatto che rischia di compromettere la stabilità economica globale e che per l'Italia si configura come un problema enorme, non certo come un'opportunità, come qualcuno vorrebbe farci credere. Vorrei ripartire dalle parole del Presidente Mattarella, che ha parlato di un errore profondo circa la previsione di dazi innescata da Trump.

Non è stata una gentile concessione la sospensione temporanea ma è stata una retromarcia necessaria, fatta a pochi passi dal baratro, dopo giorni di sconvolgimento sui mercati azionari e turbolenze sui titoli di Stato americani. Questa strategia spericolata di Trump, che usa i dazi come vera e propria arma contrattuale per spuntare accordi convenienti, genera incertezza, frena gli investimenti e comporta una contrazione degli scambi commerciali e un aumento dei prezzi che si ripercuote sui consumatori, sulle imprese, danneggiando l'economia globale. Il rischio di escalation di una vera e propria guerra commerciale è ancora dietro l'angolo. Rimane un clima di profonda incertezza che sta già condizionando negativamente le decisioni di consumatori e investitori.

Nel 2024 il nostro Paese ha esportato negli Stati Uniti ben 73 miliardi di euro, con un surplus commerciale di 43 miliardi. Numeri che parlano da soli; siamo tra i Paesi che hanno più da perdere da questa stretta protezionistica. Le stime più recenti, Presidente, ci dicono che con l'applicazione dei dazi al 20 per cento l'impatto sul nostro PIL potrebbe arrivare a un taglio dello 0,2 per cento nel 2025. L'Ufficio parlamentare di bilancio ha addirittura previsto una possibile riduzione di 68.000 posti di lavoro a causa dell'incertezza generata. Non è una minaccia lontana, è una realtà che bussa alle nostre porte, che bussa alle porte delle imprese, delle famiglie.

Di fronte a questa amministrazione americana sempre più imprevedibile e inaffidabile, il mondo di prima non tornerà e la risposta non può che essere europea, compatta, serena, ma determinata. Non si tratta di mettere in discussione l'Alleanza atlantica - ci mancherebbe - ma di fare gli interessi nazionali ed europei. Iniziative dei singoli Stati membri, infatti, indeboliscono la posizione negoziale dell'UE a fronte di vantaggi limitati in un sistema economico fortemente integrato come quello europeo.

È vitale quindi una strategia negoziale condivisa a livello europeo, negoziando non solo l'interscambio commerciale, ma anche sui servizi digitali e finanziari, mettendo sul tavolo una tassazione efficace per le big tech. L'Unione europea ha avviato negoziati con gli Stati Uniti, ma un accordo non è ancora stato raggiunto, soprattutto dopo il tentativo fallito del G7 in Canada. Il 9 luglio terminerà la sospensione dei dazi nei confronti dell'UE decisa da Trump, rendendo questa data un momento cruciale per riaprire il dialogo e cercare punti di convergenza. Parallelamente è fondamentale rilanciare l'iniziativa multilaterale per l'introduzione della global minimum tax per garantire che le multinazionali paghino una quota equa di tasse, riducendo la competizione fiscale e rafforzando le entrate pubbliche.

L'Europa, un mercato di 450 milioni di consumatori, la terza potenza globale e la seconda per commercio, deve avere la schiena dritta, consapevole della propria forza quando è unita. Dobbiamo rafforzare scelte come la creazione di un fondo europeo di sostegno, finanziato con i dazi di riequilibrio, e orientare le misure difensive verso i settori dove sono più forti la specializzazione e la pervasività dell'economia americana nel nostro continente.

È fondamentale anche attivare un nuovo quadro temporaneo per gli aiuti di Stato, sul modello SURE, per rafforzare la rete di protezione sociale dei lavoratori e rimuovere le barriere interne al nostro mercato unico europeo. E se citiamo il rapporto Draghi dobbiamo essere conseguenti e attuare le politiche industriali a livello europeo che quel rapporto chiede con forza, promuovendo un ampio impulso agli investimenti e ai consumi, anche attraverso una crescita dei salari, dei lavoratori e del potere di acquisto delle famiglie. Purtroppo sul fronte interno il Governo ha dimostrato ancora una volta la sua inadeguatezza: mentre l'Europa si muove, la maggioranza qui ha perso tempo prezioso minimizzando inizialmente l'impatto e presentando piani di sostegno che sono più un gioco delle tre carte che una vera strategia. È un fallimento, in particolare sulle politiche industriali. A quasi tre anni dal vostro insediamento non avete ancora una strategia chiara, pensiamo ad alcune crisi, quella drammatica dell'Ilva, dell'automotive con i fondi tagliati del 70 per cento, o al flop annunciato di Transizione 5.0.

Il Governo Meloni infatti ha assunto una posizione del tutto ambigua, schiacciata sulla linea dell'amministrazione Trump e isolata in Europa, relegando il nostro Paese del tutto ai margini delle trattative. Noi chiediamo una strategia di risposta più solida e credibile: rifinanziare gli ammortizzatori sociali e aumentare la dotazione finanziaria per l'internazionalizzazione delle imprese.

Sull'energia, signor Presidente, è inaccettabile che l'Italia paghi di più di qualsiasi altro Paese europeo. Il vostro decreto Bollette è stato troppo poco e troppo tardi, invece si può agire a costo zero, investendo sulle rinnovabili, semplificando i processi, disaccoppiando il prezzo dell'energia elettrica dal gas e sviluppando naturalmente i contratti a termine. Invertire la rotta è l'imperativo, Presidente. Servono una visione chiara, una strategia europea coesa e un sostegno concreto alle nostre filiere produttive e ai nostri territori.

Il Partito Democratico è pronto a fare la sua parte per difendere l'Italia e naturalmente il nostro futuro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Loperfido. Ne ha facoltà.

EMANUELE LOPERFIDO (FDI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, è evidentemente un momento non facile per l'economia europea e, in particolare modo, per la tenuta competitiva del sistema produttivo del nostro continente. Le attuali tensioni non sorgono in un vuoto improvviso, ma sono figlie di attività di un decennio in cui l'Unione europea ha perseguito una politica commerciale fondata su una visione troppo spesso normativa e mai strategica, affidandosi all'idea che la liberalizzazione a prescindere costituisse di per sé garanzia di prosperità.

La verità è che l'Europa ha dimenticato di proteggere i propri anelli deboli, la propria classe produttiva, le proprie aziende, le piccole aziende, le filiere a media intensità tecnologica, proprio nel momento in cui emergenti Paesi dotati di sovvenzioni massicce entravano con forza sui mercati globali; quindi un surplus economico europeo crescente verso Washington, che ha alimentato una certa diffidenza negli Stati Uniti e un progressivo depauperamento competitivo di alcuni comparti industriali comunitari, sostituiti da catene globali a trazione asiatica. Questo è avvenuto nel corso di anni e sembra incredibile che chi oggi è qui a dire di trovare soluzioni per l'economia europea è colui il quale ha governato la politica economica dell'Unione europea per decenni. Da questo punto di vista, di certo, non accettiamo lezioni dal Partito Democratico che ha creduto per decenni nella transizione ecologica, mettendo in ginocchio le nostre aziende europee e italiane soprattutto.

La minaccia principale al modello manifatturiero occidentale proviene da un ambiente competitivo squilibrato nel quale la Cina, attraverso trasferimenti a fondo perduto, standard ambientali meno stringenti, disciplinato capitalismo politico, occupa gradualmente nicchie ad alto valore aggiunto. Ecco allora che il Presidente Trump, evidentemente, ha posto l'accento su questa discrasia; se le regole del gioco non sono comuni, ogni riferimento astratto al libero scambio diventa arma a doppio taglio contro le democrazie di mercato.

Riconosciamo quindi che la delocalizzazione può avvenire ma non ci deve essere unicamente delocalizzazione di know-how strategico e posti di lavoro ad alta qualificazione, facendo in modo che questo possa avvenire anche con quei finanziamenti europei che hanno consentito ad aziende cinesi e asiatiche di produrre vendendo in Europa, quando semplicemente era un tubo di scappamento che non era qui in Europa, ma era nei processi produttivi delle miniere magari in Africa, in Asia, dove non ci sono diritti per i lavoratori, dove non c'è una legislazione della tutela ambientale, consentendo quindi in modo ancor peggiore a queste aziende di beneficiare di contributi europei che davano vantaggi notevoli ad aziende asiatiche che non avevano di certo le regole stringenti che alle aziende europee, che producevano in Europa, venivano imposte da questa Unione europea (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

Ecco allora che questa spirale tariffaria, che ha ridotto il potere d'acquisto dei consumatori a causa dell'incertezza regolatoria, deve essere sicuramente corretta. I dazi non sono una soluzione, l'ha detto anche la Presidente Meloni. Ed ecco perché ha imposto un tavolo di dialogo tra l'Unione europea e gli Stati Uniti d'America: per fare in modo che non ci sia una escalation autolesionista per l'Europa e per gli Stati Uniti d'America.

Dal primo istante la Presidente del Consiglio ha scelto una linea per cui si deve evitare la retorica dello scontro frontale, predisponendo una task force interministeriale, mappando i settori maggiormente a rischio, facendo in modo - e si è svolto il 18 maggio a Palazzo Chigi - che ci potesse essere un vertice Europa-Stati Uniti per definire una linea unitaria occidentale di fronte alla sleale concorrenza asiatica. Questa è definibile come la diplomazia del realismo strategico. Quindi, la transizione ecologica non può trasformarsi in un esperimento punitivo nei confronti delle nostre aziende, favorendo i concorrenti sleali dell'Est, ma deve essere un mercato unico davvero funzionante per ridurre la dipendenza da protezioni esterne, facendo in modo che il nostro Governo, sollecitando Bruxelles a intervenire rapidamente, coniughi ambizione ambientale e pragmatismo industriale, ponendo al centro quella che è definibile come la strategia della security of supply delle materie prime critiche.

In merito al testo condividiamo l'obiettivo di tutelare il tessuto produttivo, ma rileviamo alcune criticità. Sicuramente indichiamo una strada che si fonda su quattro pilastri intimamente connessi e che sono stati anche raffigurati dal Ministro Urso recentemente. Innanzitutto, è necessario rilanciare il principio di reciprocità effettiva nei rapporti con gli Stati Uniti, implicando una costruzione di un pacchetto negoziale di regole che compensi le nostre eccellenze, dal food and wine alla meccanica di precisione, con la riduzione di barriere regolatorie ancora penalizzanti per l'export; in secondo luogo, dobbiamo rafforzare gli strumenti europei di difesa commerciale in modo selettivo e intelligente, affinché il dumping strutturale non continui a erodere le basi industriali occidentali. Servono procedure anti-sovvenzioni rapide e applicate con rigore per garantire che la competizione rimanga leale e che il costo sociale dell'innovazione non ricada soltanto sui lavoratori europei e statunitensi.

La riforma del Green Deal, inoltre, va adattata al contesto internazionale complesso in cui viviamo; deve essere modulata sulla base dell'equivalenza tecnologica lungo l'intero ciclo di vita dei prodotti, così da evitare che filiere extra-UE ad alto impatto ambientale godano di vantaggi comparativi ingiustificati. In altre parole, la sostenibilità deve smettere di essere un alibi per spiazzare la manifattura continentale e diventare, invece, un volano di competitività responsabile. Occorre, inoltre, un rafforzamento delle filiere ad alto contenuto strategico, semiconduttori di nuova generazione, aerospazio dual use, sicurezza cibernetica della rete energetica, puntando, appunto, sulla security of supply delle materie prime critiche e sugli investimenti con elevato moltiplicatore di sovranità tecnologica.

Per concludere, Presidente, reciprocità negoziale, difesa commerciale mirata, transizione ecologica pragmatica e politica industriale integrata costituiscono le quattro tessere di un medesimo mosaico, come detto dal Ministro Urso, ma soprattutto come ribadito poc'anzi dalla Presidente del Consiglio Meloni, quando andrà a riferire al Consiglio europeo (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Grimaldi. Ne ha facoltà.

MARCO GRIMALDI (AVS). Grazie, Presidente. Siamo di fronte a scenari spaventosi. L'escalation bellica, con l'intervento degli Stati Uniti in Iran, ci espone davvero a rischi incalcolabili. Comincia già la seconda settimana di guerra fra Israele e Iran, mentre a Gaza si continua a morire; basti pensare che nelle ultime 48 ore sono morte più di 200 persone, tra l'altro colpite di nuovo mentre attendevano di ricevere il cibo. Nel frattempo, dovremmo affrontare altri rischi e incertezze - appunto la mozione di cui parliamo oggi -, segnali contraddittori che arrivano dal neoprotezionismo degli Stati Uniti, un estremo tentativo - come l'abbiamo chiamato - di rimediare a un'esposizione debitoria verso l'estero, ormai insostenibile, di quasi 29.000 miliardi di dollari, pari all'80 per cento del PIL.

È una crisi che va avanti più o meno dal crollo dell'Unione Sovietica, dall'inizio della globalizzazione deregolata, una crisi a cui non si è mai voluto far fronte, una situazione a cui Trump pensa di porre rimedio con la cosiddetta strategia del friendshoring, cioè per difendersi da acquisizioni di capitali in mano straniera avverse divide il mondo e i suoi creditori in due grandi blocchi economici: da un lato i Paesi occidentali, che definisce amici, e i loro sodali, con cui continua a intrattenere affari purché accettino le condizioni imposte, come fa con l'Italia; dall'altra quelli che definisce nemici, da tenere alla larga, Cina in primis, ma anche molti Paesi storicamente alleati che oggi non accettano le nuove condizioni.

È un cambiamento epocale. Se ci pensate, dalla fine della Seconda guerra mondiale a oggi gli Stati Uniti sono stati l'alfiere del libero commercio internazionale e ora Trump prova a invertire la rotta. Entro poche settimane il dazio medio applicato dagli Stati Uniti al mondo potrebbe essere del 12 per cento, che è quasi dieci volte l'1,4 degli anni di massima liberalizzazione. Nonostante la moratoria, non c'è un accordo duraturo e nel frattempo è stato introdotto un dazio aggiuntivo del 10 per cento su tutte le importazioni da qualsiasi Paese verso gli Stati Uniti e per l'Unione europea un dazio ulteriore del 20 per cento generalizzato su tutte le merci.

Ma, vedete, la storia insegna che forme scoordinate di protezionismo inaspriscono le tensioni internazionali. Siamo, di fatto, di fronte a un'offensiva minacciosa dell'amministrazione statunitense fatta per ridefinire gli equilibri economici internazionali. La geografia del commercio internazionale potrebbe cambiare radicalmente: i dazi impatteranno sui consumi, sulle imprese, sull'export e sull'occupazione. L'Europa deve capire che cosa vuole fare da grande, in tutto questo. Serve una riorganizzazione del mercato globale: è un banco di prova per l'Unione europea ma anche per l'Italia. Il modello mercantilistico basato sull'esportazione e sulla restrizione della domanda interna non ha futuro. Quel modello a trazione tedesca ha egemonizzato l'Unione europea secondo la logica dell'austerità. Certo, ha prodotto uno straordinario surplus commerciale dell'Europa, ma intanto ha danneggiato ed eroso i sistemi di welfare dei Paesi europei e ha peggiorato le condizioni di vita di milioni di lavoratori.

Serve una riflessione profonda, come avevamo provato a fare col Next Generation EU. L'Europa deve abbandonare definitivamente le politiche di austerità e di mercantilismo. Abbiamo uno straordinario potenziale inespresso, quello della domanda interna europea. Allora, servono politiche comuni espansive, investimenti su infrastrutture, conoscenza, salute e beni comuni, politiche industriali non di economia di guerra ma di conversione ecologica e transizione digitale, misure per aumentare i salari reali.

In molti qui pensano che se le trattative con Trump dovessero fallire sarebbe scellerato reagire con i contro-dazi. Siamo d'accordo: il rischio è un'escalation della guerra commerciale, con effetti recessivi e un aumento dell'inflazione. Ma all'Europa conviene questa subalternità a Trump? Che prospettiva c'è per tutti noi? Insomma, è possibile una risposta mirata ai dazi? Secondo noi sì, per esempio indirizzata verso i servizi digitali e finanziari statunitensi, in particolare nei confronti di quelle big tech che mettono in pericolo le nostre democrazie. Soprattutto, dobbiamo trovare la nostra strada attraverso il Green New Deal che sta costruendo una vera indipendenza e sicurezza energetica e lo sta facendo davvero nonostante i gravissimi ritardi italiani, superando progressivamente la dipendenza dalle fonti fossili.

Qui andiamo, invece, a tutto gas contro il clima. Ma in Europa non è esattamente così ed è anche per questo che Trump usa la leva negoziale per eliminare le barriere non tariffarie e ottenere lo smantellamento del Green Deal. Non si tratta solo di venderci il loro gas per ridurre lo sbilancio commerciale, ma di impedire all'Europa di costruire la propria indipendenza energetica, impedire di rendersi competitiva anche rivolgendosi a nuovi fornitori sui mercati globali. Dipenderà anche dalle fonti fossili made in USA questo tipo di trattative. Significa, per noi, rinunciare a costruire nuove catene del valore più sostenibili per legarsi a un fornitore che usa la guerra commerciale come strumento di confronto geopolitico. Ma c'è un'alternativa, come sempre: si chiamano social standard, anzi, eco social standard. Si tratta solo di aggiornare le proposte che già sono in campo (un progetto già esaminato dal Parlamento europeo). In che cosa consiste? In sostanza, nel limitare i commerci con quei Paesi che competono al ribasso sui salari, sulle condizioni di lavoro, sul fisco e sulle tutele ambientali e sanitarie, l'opposto di quella scellerata miscela di protezionismo liberista con cui le destre vorrebbero rispondere a Trump, una sorta di dumping a tutto campo che non risolverà mai la crisi mondiale ma, invece, aggraverà le condizioni di lavoro, della salute e dell'ambiente.

Vi chiediamo di essere lungimiranti, di guardare un po' più in là. Il Governo sostenga un negoziato europeo per interrompere i dazi di Trump verso i Paesi dell'Unione europea (ho finito). Intanto predisponga un piano straordinario di sostegno ai settori della nostra economia più esposti, sposi e promuova il modello degli standard sociali, soprattutto diffonda, una volta per tutte, il Green Deal nell'interesse di tutta la collettività - non come ha fatto adesso Giorgia Meloni continuando a mettere contro il Green Deal tutte le politiche sciagurate di questa destra - e il rilancio della domanda interna europea attraverso politiche comuni espansive, altrimenti questa ennesima guerra la perderemo e sarà a scapito non solo dell'umanità ma anche della nostra terra (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Il Governo intende intervenire o si riserva di farlo successivamente? Si riserva.

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

A questo punto sospendo la seduta, che riprenderà alle ore 16,30 così come era stato stabilito. La seduta è sospesa.

La seduta, sospesa alle 16,20, è ripresa alle 16,30.

Si riprende la discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista della riunione del Consiglio europeo del 26 e 27 giugno 2025.

(Discussione)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri. È iscritto a parlare l'onorevole Benedetto Della Vedova. Ne ha facoltà.

BENEDETTO DELLA VEDOVA (MISTO-+EUROPA). Grazie, Presidente. Signora Presidente del Consiglio, non ho tempo per argomentare la mia profonda e di lunga data disistima per Trump e Netanyahu, ma non dobbiamo per un secondo solo dimenticare la natura del regime oscurantista e sanguinario degli ayatollah, la cui violenta retorica ultradecennale considera la distruzione di Israele e la sconfitta dell'Occidente, noi compresi, e dei suoi, nostri valori, un obiettivo vitale. Se davvero per l'Iran il possesso di bombe nucleari - se - è stato in questi giorni definitivamente compromesso o allontanato nel tempo, in sé questo è un bene per tutti.

Signora Presidente del Consiglio, l'Italia sta assistendo da spettatrice a quanto accade nel vicino Oriente e ci riguarda e ci riguarderà - appunto - da vicino. Cito tre elementi: approvvigionamento energetico, libertà di navigazione da e verso il Mediterraneo, flussi migratori, per non parlare di libertà e democrazia. Trump ha cambiato la storia dell'Occidente: i suoi predecessori hanno sempre agito di concerto, o coinvolgendo o avvisando per tempo gli storici e leali alleati europei, anche e soprattutto nelle azioni in Medio Oriente, giuste o sbagliate che si rivelassero. Lui, no. Trump ha scavalcato anche il Congresso. Presidente, i nazionalisti populisti sono così: perseguono una democrazia scarnificata, con un voto in più pretendono di avere i pieni poteri.

Anche i sovranisti trumpiani come lei o il suo Vice, Salvini, non sono stati minimamente considerati da Trump. Il famoso “ponte” con gli USA, di cui la stampa filogovernativa ha straparlato per mettere lei su un piedistallo, si è rivelato immaginario, perché l'unilateralista Trump non ha alcun interesse o bisogno di ponti. Questo vale anche per i Paesi che stanno nel Consiglio di sicurezza dell'ONU, che hanno un arsenale nucleare o che fanno direttamente parte dell'accordo sul nucleare iraniano.

Signora Presidente, lo dica forte e chiaro ai suoi amici nazionalisti e sovranisti, suoi e di Salvini. Lo dica ad Abascal, Le Pen, Wilders, Orbán, Fico, Kaczynski! La vostra è una sovranità di cartone, è pura propaganda, anche se potente. Significa, per il futuro, irrilevanza globale e inefficacia a garantire prosperità, libertà, democrazia e sicurezza. Dica al Consiglio, a nome dell'Italia, che, se non si fanno gli Stati Uniti d'Europa - la sussidiarietà, signora Presidente Meloni, va anche in salita, non solo in discesa - a partire da una politica estera e di difesa comune, senza diritto di veto per nessuno, l'UE, così com'è, non sarà sufficiente, nonostante i progressi straordinari compiuti fino ad oggi; anzi, a maggior ragione questo va fatto prima dell'allargamento.

Chiudo, signor Presidente. Infine, sull'Ucraina ho apprezzato le sue parole, perché su un punto l'UE ha fatto, può e deve continuare a fare la differenza: la difesa dell'Ucraina, sostegno economico-finanziario, anche con gli asset russi, e militare a un Paese aggredito che resiste, perché guarda all'Europa. Quali che possano essere, espliciti o no, se ci saranno, gli accordi fra Trump e Putin, l'UE deve restare al fianco dell'Ucraina, perché solo di fronte alla determinazione di ucraini e alleati, Putin si adeguerà a una soluzione negoziale. Solo così recederà dal proposito, ribadito pochi giorni fa a San Pietroburgo, cioè la riunificazione tra Russia e Ucraina ovviamente manu militari. Abbiamo un modo per difendere in modo cristallino quel diritto internazionale di cui giustamente denunciamo il disinteresse in Medio Oriente: affermarlo a casa nostra, in Europa, aiutando a respingere l'aggressione illegale e violenta di Putin ai danni degli ucraini (Applausi dei deputati del gruppo Misto-+Europa e di deputati del gruppo Italia Viva-il Centro-Renew Europe).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare la deputata Lucaselli. Ne ha facoltà.

YLENJA LUCASELLI (FDI). Grazie, Presidente. Presidente Meloni, interveniamo oggi alla vigilia di un Consiglio europeo che si svolgerà in uno dei momenti più delicati della nostra storia recente e che sarà, quindi, cruciale. Al netto del già complesso ordine del giorno di questo Consiglio europeo, ovviamente si parlerà del Medio Oriente, un Medio Oriente che è sull'orlo di una crisi ad alta intensità e il contesto internazionale appare attraversato da una instabilità che coinvolge direttamente la sicurezza globale. In questo scenario critico, desidero innanzitutto sottolineare, con forza e con gratitudine, l'immediatezza e la lucidità con cui il Governo italiano, sotto la sua guida, ha reagito all'evolversi della situazione. Nel giro di poche ore, sono stati attivati i massimi livelli di coordinamento nazionale, sono stati rafforzati i dispositivi di sicurezza a tutela dei nostri cittadini e delle nostre infrastrutture strategiche, è stata convocata l'unità di crisi e sono stati mantenuti contatti costanti con gli alleati. L'Italia non si è limitata ad assistere come alcuni vorrebbero far credere: ha agito, ha dimostrato cosa significa essere uno Stato maturo, responsabile e presente.

Ancora più significativo è stato il ruolo attivo che l'Italia ha assunto sul piano internazionale: contatti serrati con i vertici europei, con la NATO, con le principali cancellerie occidentali; un'azione di regia silenziosa, ma efficace, che ha confermato un dato politico fondamentale ossia che l'Italia non è più un soggetto passivo nella politica estera europea. L'Italia, grazie alla serietà di questo Governo, ne è protagonista e la nostra rete diplomatica, oggi, è finalmente intensa e tesa non solo ad analizzare, ma ad orientare e a guidare. Questo Governo si è assunto la responsabilità di parlare una lingua diversa, quella della fermezza, ma anche della prudenza, della legalità internazionale, ma mai della provocazione unilaterale. Una Italia, quella del Governo Meloni, che non alza i toni, ma non abbassa mai la testa, e di questo la ringraziamo.

In questo contesto, mi auguro davvero che la pochezza d'animo di alcuni non prenda il sopravvento; mi auguro che questo Parlamento non tenti di lucrare sui drammatici eventi internazionali, per attaccare lei o questo Governo. Spiace, infatti, che proprio due ex Premier - che dovrebbero sapere quanto delicato è il momento che stiamo attraversando - abbiano invece deciso di speculare sulle tensioni in Medio Oriente, per manifestare livore e invidia che provano indubbiamente nei confronti di questo Governo. Non è serio, non è responsabile e, aggiungerei, non è neanche più credibile.

La linea del Governo è chiara: “no” a un Iran nucleare, “sì” a una de-escalation reale; “no” a guerre per procura, “sì” a una responsabilità condivisa per la stabilità dell'intera regione. In questo quadro, è palese l'importanza del comparto difesa: difendersi non è un lusso, è un dovere verso i nostri cittadini. Se vogliamo contare, dobbiamo assumerci il compito di proteggere la nostra comunità nazionale e questo dibattito andrebbe affrontato con serietà, responsabilità e verità, cosa purtroppo non molto chiara alle volte fra i banchi dell'opposizione. Quello delle spese per la difesa è un tema delicato che chiama in causa la sicurezza, la stabilità dei nostri bilanci pubblici, la credibilità dell'Europa nel nuovo contesto geopolitico globale. Non so perché per alcuni sia così difficile capire che quello per la difesa è un investimento in libertà e stabilità, che non vorrà mai dire compromissione di welfare e coesione sociale. Semmai sarà il modo per costruire una strategia europea integrata, che valorizzi le spese dual use, le tecnologie condivise, le sinergie industriali. Significa difendere i nostri valori, senza indebolire la nostra economia. Proprio parlando di economia, sarà fondamentale, in questo Consiglio, battersi affinché finalmente si costruisca una visione: dobbiamo decidere se vogliamo un'Europa che subisce la crisi o che la governa, se vogliamo un'Europa che si divide sulle regole o si unisce sui valori. Presidente, se i conflitti ci mettono di fronte a sfide drammatiche, è nella tenuta economica e sociale che si misura davvero la forza di un progetto politico. Anche qui, Presidente Meloni, il suo Governo ha segnato dei punti importanti: la difesa del potere d'acquisto delle famiglie, la revisione degli strumenti di sostegno al reddito, le prime misure strutturali per incentivare l'occupazione e sostenere le imprese in difficoltà energetica.

È una rotta chiara, che va rafforzata e proiettata in avanti. L'Italia può e deve farsi interprete di una nuova ambizione economica. Non possiamo più permetterci un'Unione che parli soltanto il linguaggio della stabilità, senza declinarlo con quello dello sviluppo. Abbiamo bisogno di un patto di crescita, che affianchi al rigore contabile e di bilancio gli investimenti produttivi a lungo termine, di una politica industriale europea capace di accompagnare le imprese senza distruggerne la competitività. Servono investimenti comuni, incentivi mirati, meno burocrazia, meno ideologismi e più autonomia strategica. Un'autentica sovranità industriale, che non può prescindere da politiche fiscali armonizzate, dal rafforzamento delle catene del valore interne e dagli investimenti in settori strategici, come l'intelligenza artificiale e la microelettronica, nei quali oggi l'Europa è, purtroppo, ai margini.

In questo quadro mi permetto di aggiungere un elemento di riflessione: la crisi demografica non può essere ignorata. L'Europa che non fa figli è un'Europa che si spegne. Servono politiche comuni per la natalità, incentivi strutturali, sostegno alle famiglie, ma soprattutto un cambio di paradigma culturale, perché vede, Presidente, per la sinistra è legittimo manifestare per alcuni diritti e non è, invece, legittimo che una donna Premier scelga di essere anche madre e di esercitare il diritto ad essere madre. Questo rappresenta la chiusura di una sinistra che non è più capace di interpretare il tempo nel quale viviamo.

Noi non possiamo che ringraziarla, invece, per questo esempio. Non possiamo che ringraziarla per aver scelto di mettere la natalità al centro di uno dei suoi Ministeri, e su questo adesso l'Europa deve seguirci. Così come ha fatto sui temi dell'immigrazione, sui quali, dopo che per anni ha prevalso la politica dei porti aperti e dei cervelli chiusi, è finalmente arrivato il suo approccio pragmatico, fatto di accordi con i Paesi terzi e di una parola che sembrava dimenticata: controllo. Lo vedremo ancora in questo Consiglio, dove si discuterà anche della dimensione esterna delle migrazioni.

Da Paese lasciato solo, oggi, grazie a questo Governo, l'Italia è diventato motore di un nuovo approccio strategico. Servono meccanismi obbligatori e credibili di ricollocamento, una lista dei Paesi sicuri che velocizzerà le procedure, canali legali di ingresso regolati e trasparenti. Ma anche in questo il suo Governo è già un passo avanti a tutti. Presidente - e mi avvio alla conclusione -, questo Consiglio sarà importante. Sarà importante se l'Europa capirà che non c'è competitività senza identità, che non c'è sovranità senza sicurezza, che non c'è sviluppo senza lavoro, e soprattutto se ascolterà la voce di un popolo, quello italiano, che non vuole sentirsi piccolo in Europa, perché sa di poter essere grande nel mondo. Buon lavoro (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cuperlo. Ne ha facoltà.

GIANNI CUPERLO (PD-IDP). Grazie. Presidente Meloni, nel dicembre di 46 anni fa lei aveva solamente due anni. In quest'Aula prese la parola l'onorevole Benigno Zaccagnini. Si discuteva anche allora di un riarmo dell'Europa, con l'installazione in Italia dei missili Pershing II e Cruise, e quel leader democristiano si disse a favore della decisione. Subito dopo, rivendicando una continuità della politica estera dell'Italia, aggiunse: dev'essere comunque chiaro che il traguardo resta il disarmo bilanciato, la cooperazione, la convergenza sui diritti. Parole di un cattolico che aveva imbracciato le armi per restituire l'Italia alla libertà e l'Europa alla pace. Io lo rammento a lei e a noi tutti per dire che, anche nel pieno della guerra fredda, questo Parlamento, senza negare le differenze di giudizio sulla storia allora in atto, sentiva il dovere di tutelare l'autonomia di un grande Paese come l'Italia e l'Europa risorta dopo il nazismo.

Ci siamo angosciati per ciò che accade in angoli diversi del mondo e siamo allarmati perché vediamo che quel patrimonio è sempre più indebolito, sempre meno presente, prima ancora che nelle iniziative - quasi assenti -, nel modo di pensare, Presidente, persino di esprimersi, dei massimi vertici del Governo. Accade qui, nel nostro Paese. Accade a Bruxelles. Le leggo le parole pronunciate alcuni giorni fa dal suo, nostro, Ministro degli Affari esteri: ho parlato con i Ministri di Israele e dell'Iran e ho detto loro basta con l'escalation. All'Iran ho detto: non reagite più. Ho detto a Israele: basta, fermiamoci qua. Ora, in tutta onestà, signora Presidente, non scorge anche lei, in queste frasi, la distanza tra l'arte nobile della diplomazia e l'uso formale della parola? Il punto è che la diplomazia, senza le parole giuste, è come un discorso depurato del soggetto.

Nelle stesse ore, non un alleato dell'Occidente, ma il Presidente cinese affidava ai social un messaggio dove spiegava perché ogni impero che nella storia si era proclamato indispensabile - da quello spagnolo a quello britannico, passando per la Francia napoleonica - alla fine era stato superato. Era il suo modo strumentale di ammonire l'America sui rischi che corre quell'impero nel perdere il rispetto del mondo. Un esercizio di filosofia della storia, a cui l'Europa non può rispondere declamando princìpi che non trovano più nel diritto internazionale il punto di caduta, perché il nodo è qui, nel comprendere che l'uso della forza non può mai sostituire il primato del diritto.

Presidente, non si tratta di negare le tragedie di questi mesi: 600.000 morti in Ucraina, decine di migliaia le vittime a Gaza, carneficina spaventosa dopo l'orrendo pogrom di Hamas il 7 ottobre. E ora il fronte iraniano, voluto dal vero dominus della scena: quel Primo Ministro di Israele si chiama Netanyahu, nome che lei non è riuscita a pronunciare oggi, per il quale la Corte penale internazionale ha emesso un mandato d'arresto. Noi pensiamo che l'azione incostituzionale dell'Amministrazione americana sia un errore destinato a rendere il mondo meno sicuro.

Del resto, lei sa benissimo che un accordo sul nucleare iraniano c'era, nel 2015. A sabotarlo, tre anni dopo, è stato lo stesso uomo che adesso ha deciso di bombardare l'Iran. E lo ha fatto nonostante, a marzo, il Capo dell'intelligence americana avesse dichiarato al Congresso degli Stati Uniti che, secondo le conclusioni dei Servizi americani, l'Iran non stava costruendo la bomba atomica. Alcuni giorni fa, interrogato su quell'affermazione, Donald Trump ha risposto: non me ne frega niente. Quando il linguaggio anticipa lo statista.

In tutto questo, nella giornata di ieri, la Presidente della Commissione europea si è distinta per una dichiarazione tartufesca: l'Iran non deve assolutamente entrare in possesso della bomba! E due righe dopo: il rispetto del diritto internazionale è fondamentale. Ma è precisamente quel diritto, signora Presidente, che è stato calpestato. La risposta alla realtà è che, mai come oggi, l'Europa è afona, assente, con una Commissione che incarna la dichiarazione di immobilismo, di impotenza.

E allora, dai banchi dell'opposizione, oggi, ci rivolgiamo a lei: si batta, Presidente Meloni, perché l'Europa convochi gli iraniani e le altre parti a un tavolo e si attivi con i nostri principali Alleati per la firma di un nuovo accordo con garanzie precise. Sarebbe quello il solo modo per mettere davanti a Trump e al suo alleato criminale Netanyahu una prova che la guerra non è l'ultima e l'unica scelta. Noi conosciamo il regime di Teheran, lo abbiamo sempre contestato sostenendo l'opposizione delle donne iraniane. Ma anche per bloccare il progetto nucleare iraniano, la strada non è bombardare. La strada è trattare.

Il punto è che, per fare tutto questo, serve una strategia. Viceversa, se si sceglie di essere vassalli, si può solamente obbedire. Lei pensa, vuole portare questa voce al tavolo del prossimo Consiglio? Se lo farà, troverà quel sostegno che nei momenti più drammatici le culture radicate nella storia di questo Paese hanno saputo esprimere. Presidente Meloni, è proprio nei tornanti stretti, quando agli occhi di tutti gli ostacoli paiono insormontabili, che uno statista si colloca oltre gli steccati delle compatibilità.

Lei non ce ne vorrà se le diciamo che, pur apprezzando alcuni passaggi del suo discorso, in particolare sull'impegno umanitario del Governo, a mancare è stata una visione strategica della crisi - mai così profonda negli ultimi decenni - che il mondo sta vivendo in queste ore drammatiche. Il punto è che, quando la storia deraglia e abiura alla sua capacità di silenziare le armi, Presidente Meloni, solo la politica, non i generali o i tecnici, non i filosofi o gli economisti, solo la politica è in grado di ricucire e di rammendare i brandelli di una tela strappata.

E allora non basta limitarsi a dire che siamo e saremo alleati e buoni amici degli Stati Uniti, chiunque stia al vertice. Certo, Presidente Meloni, siamo e saremo alleati di Washington, e non solo per il contributo di vite che quella Nazione ha offerto alla sconfitta di Hitler e Mussolini. Però, lei lo sa, i veri alleati e i veri amici sono quelli, che quando l'alleato compie azioni o copre decisioni destinate a rendere il mondo un posto peggiore e meno sicuro, si alzano in piedi e, a schiena diritta, dicono: stai sbagliando e su quella strada noi non ti seguiremo. Non si chiama disobbedienza, si chiama dignità del sentirsi alla testa di un Paese che difende i suoi interessi alzando lo sguardo sul mondo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

Lei ci ha detto che nessun aereo americano è partito dall'Italia. Bene, ma noi le chiediamo di proclamare qui, in quest'Aula, possibilmente nella sua replica, l'impegno solenne del Governo ad escludere qualunque nostro coinvolgimento in questo conflitto (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra). L'Italia non è e non deve diventare territorio a disposizione di un Presidente degli Stati Uniti, che si finge pompiere mentre appicca il fuoco.

La verità è che non esiste una soluzione militare, l'unica via è la diplomazia, perché l'unica speranza e l'unico traguardo rimane la pace.

Così come non è una strada di saggezza il riarmo singolo dei 27 Paesi fuori da una strategia. E bene fa il Primo Ministro spagnolo a rivendicare un'autonomia del suo Paese nel respingere un incremento della spesa al 5 per cento del PIL (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e di deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

E, infine, Presidente Meloni, anche alla luce di questa nuova pagina, noi glielo diciamo, ancora una volta, da questi banchi: non indugi più, non indugi più e condanni. Condanni senza ambiguità, Presidente Meloni, la mattanza di Gaza, unendosi ai Paesi che hanno già riconosciuto lo Stato palestinese. Esprima una parola esplicita di condanna (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista, MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra). La lingua italiana consente di usare questa parola. Condanni l'azione criminale del Governo israeliano e quella vendetta che non compensa, certo, l'orrendo pogrom del 7 ottobre e sospenda, come da richiesta delle opposizioni, la cooperazione militare col Governo israeliano.

Presidente Meloni, il diritto a vivere, il diritto a non essere uccisi, quando ci si alza poco più di un metro da terra, al piede si calza la scarpa numero 27 o 28 e si cerca disperatamente di accaparrarsi un pugno di riso, quel diritto a vivere non può essere mai, mai, mai, mai, posto in discussione. Io sono certo, noi siamo certi che questo lei lo sa. Ma se è così, porti queste ragioni a quel tavolo, dove, oggi, lei rappresenta l'Italia e gli italiani tutti.

Non lasci a Palazzo Chigi la nostra storia, la tradizione di una grande politica estera fondata sulla cooperazione, sul dialogo e sulla pace. Se può, Presidente Meloni - glielo diciamo con rispetto da questi banchi dell'opposizione - di quella storia e di quella tradizione cerchi oggi di essere all'altezza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e di deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giglio Vigna. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO GIGLIO VIGNA (LEGA). Grazie, Presidente. Grazie, Presidente Meloni.

Sull'Ucraina vediamo, purtroppo, una Unione europea ancora distante e poco concentrata sull'obiettivo della pace. Mentre gli Stati Uniti hanno messo in campo tutta la loro diplomazia, l'Europa parla di ReArm e, a nostro avviso, la non capacità di Bruxelles di connettersi con questa fase geopolitica in corso sta portando non pochi problemi a quel processo di pace, oltre a una marginalità terrificante da parte dell'Unione europea.

Allora, l'Unione, l'Europa si allinei agli Stati Uniti, non spacchi il fronte occidentale di chi vuole la pace in quella regione e spinga per una pace duratura e giusta.

Sul Medio Oriente continuiamo a ripetere che lo Stato di Israele ha il diritto di difendersi e leggiamo l'attacco di Israele all'Iran come la logica conseguenza della continuazione della strategia israeliana, per ritrovare uno spazio di sicurezza, all'interno di quell'area geografica, spazio di sicurezza perso il 7 di ottobre. Il fatto che gli USA abbiano, poi, affiancato Israele vuol dire che Israele ha ragione e che, lì, vi è la necessità di fermare a tutti i costi il regime di Teheran, regime terribile, lo ricordiamo, sul nucleare militare.

Sul fronte interno, molto bene che il Governo si stia già impegnando per attenuare o azzerare i possibili effetti sul nostro Paese, soprattutto dal punto di vista energetico, di tutte queste crisi internazionali. Dalla Lega siamo molto attenti all'aspetto esterno, ma non possiamo non ricordare al Governo che gli italiani non devono pagare queste crisi internazionali. Abbiamo e hanno già, gli italiani, in questi lunghi anni, pagato troppo. Quindi, molto bene che il Governo si stia, ancora una volta, impegnando per attenuare gli effetti, soprattutto dal punto di vista energetico, della crisi in Iran.

Nella risoluzione abbiamo voluto scrivere e lo sottoscriviamo nuovamente come gruppo Lega: “due Stati, due popoli”. Ma ci teniamo a precisare un punto, e che sia molto chiaro: due Stati e due popoli guidati da due democrazie e, quindi, Gaza nel futuro non dovrà più essere guidata da Hamas o da altri gruppi terroristici (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier). La pace in quella regione deve passare inevitabilmente dallo smantellamento di Hamas e da un cambio di regime in senso democratico nei territori della Palestina.

Parlando di sicurezza, non possiamo non parlare dai banchi della Lega del fronte Sud, evidentemente del fronte Sud. Allora, con i Paesi del Mediterraneo, dobbiamo ribadire, in ogni sede dell'Unione europea, che la sicurezza passa anche dalla lotta all'immigrazione clandestina. Stiamo facendo molto, ma ci vogliono risorse europee e un impegno comune. Non dimentichiamo che è da quelle rotte, che è da quei flussi che entrano nel nostro continente - e, quindi, anche nel nostro Paese - cellule legate a organizzazioni terroristiche. Per noi, sicurezza non è solo la sicurezza del fronte Est, non riguarda solo il tema Ucraina-Russia, ma sicurezza riguarda anche il fronte Sud, la lotta ai trafficanti di clandestini, con le mani sporche di sangue, per quelli che muoiono nel Mediterraneo e per quelli che, poi, muoiono purtroppo nel nostro continente, a causa di una immigrazione ancora da controllare e ancora da fermare.

E, allora, un nuovo approccio sui temi ambientali, lo diceva prima lei, Presidente Meloni: no alle eco-follie, basta turbo ambientalismo di Bruxelles, politiche ambientali socialmente sostenibili e neutralità tecnologica, neutralità tecnologica, neutralità tecnologica (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier). Stop all'ideologia dell'elettrico a tutti i costi, anche e soprattutto nel settore dell'automotive.

Questa è la posizione della Lega, questa è la posizione del nostro Governo, dell'Italia. Ce lo chiede il Paese reale (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Bonetti. Ne ha facoltà.

ELENA BONETTI (AZ-PER-RE). Grazie, Presidente. Presidente, lei ha giustamente iniziato il suo intervento in quest'Aula richiamando la gravità storica all'interno della quale si colloca il prossimo Consiglio europeo: il dramma del conflitto ucraino-russo a seguito dell'invasione della Russia in Ucraina, la questione mediorientale, l'escalation che lì sta avvenendo, il coinvolgimento degli Stati Uniti nel bombardamento in Iran. Giustamente, lei ha richiamato gli attentati dell'ISIS verso le comunità cristiane della Siria. Sono tutti punti che hanno un potenziale devastante, dal punto di vista della ripercussione dell'ordine internazionale, anche della sicurezza europea e dell'economia europea. Lei ha giustamente richiamato, primo tra tutti, il tema dell'energia.

Di fronte a questa gravità, lei riconosce la necessità di rafforzare e costruire un dialogo tra il Parlamento e il Governo e anche con le opposizioni.

Mi lasci ricordare un altro momento drammatico che è avvenuto in quest'Aula, a seguito dell'invasione da parte della Russia dell'Ucraina, nel quale - le dobbiamo riconoscere - lei, dall'opposizione, ha fortemente sostenuto la necessità di questa unità, di questo dialogo. Allora, nell'inversione dei ruoli, oggi, siamo noi ad alzare, con chiarezza, la nostra voce in quest'Aula, per spronare il Governo che adesso lei sta guidando ad andare in Europa e farsi promotore, davvero, di quella costruzione di un'Europa forte, coesa, una e unita, quel pilastro che lei ha richiamato come il nuovo pilastro anche di leadership all'interno dell'Alleanza atlantica.

E questo è ancora più necessario e urgente dopo quello che sta avvenendo da parte del nostro alleato atlantico, gli Stati Uniti, il Presidente Trump, che lei non ha nominato. Capisco anche la difficoltà a farlo, ma in qualche modo ha preso le distanze dalla sua azione di scioglimento e di superamento dell'ordine multilaterale su cui di fatto noi, invece, abbiamo costruito finora la nostra alleanza. È una rottura del multilateralismo che il Presidente Trump aveva iniziato già nel corso della sua prima elezione, con il superamento del piano di Obama del Joint Comprehensive Plan of Action che era, in realtà, l'elemento, il progetto di risoluzione e anche in qualche modo di convincimento nei confronti dell'Iran di dismettere qualsiasi programma nucleare militare. È una rottura di multilateralismo che abbiamo visto anche plasticamente nel discredito del ruolo che il G7 poteva avere in quel momento.

In fondo sul bombardamento ai siti nucleari da parte degli Stati Uniti certo vi è un punto chiaro e condivisibile da tutti noi, ossia che l'Iran non può avere la bomba atomica, ma altrettanto sappiamo che può avere un'escalation distruttiva nell'ordine, in quella regione, che potrebbe coinvolgere un altro alleato dell'Alleanza atlantica come la Turchia. Per non parlare poi di tutta la guerra commerciale dei dazi che gli Stati Uniti hanno introdotto.

Allora, è evidente che, di fronte a questo nuovo ruolo da parte del principale alleato di quell'Alleanza atlantica, noi da alleati, come Europa, dobbiamo giocare il ruolo di forte rafforzamento di una costruzione di un'azione multilaterale e coesa dal punto di vista europeo. Io su questo seguo il suo ragionamento. Lei ha ragione: serve una difesa comune europea che abbia anche una destinazione di competitività anche dal punto di vista industriale, perché è vero che non siamo liberi se dobbiamo difenderci dipendendo dagli altri. Ma, portando a compimento il suo ragionamento e condividendo il punto che lei ha richiamato, cioè il fatto che l'Italia è disponibile ad aumentare le spese per la difesa nell'ambito della NATO portandole al 3,5 per cento, più un ragionamento sull'1,5 per cento nel contesto europeo, giustamente lei dice che però questo si faccia creando una condizione paritaria rispetto alle finanze pubbliche a livello europeo. Bè, questo, Presidente, lei non lo ha detto. Lo dico io: significa dire di sì ad un debito pubblico europeo, ad un investimento europeo per investimenti comuni europei. Io penso che avrà più sostegno da parte nostra, dall'opposizione piuttosto che da parte del suo principale alleato - non principale, non me ne voglia Forza Italia, ma l'altro alleato di Governo -, la Lega, che su questo non ci vuole sentire.

Ha parlato giustamente, perché è all'ordine del giorno, della necessità di allargare l'Unione europea con l'integrazione. Ha parlato dei Balcani e della Moldavia e noi lo richiamiamo con forza. Serve perseguire l'integrazione dell'Ucraina all'interno dell'Unione europea, insieme alla prosecuzione nella fermezza di un sostegno, senza se e senza ma, alla difesa dell'Ucraina e un sostegno anche alla costruzione di una pace che sia per l'Ucraina e per l'Europa - mi permetto di dire - una pace giusta e duratura. Questo significa riconoscere che oggi Putin non ha dimostrato alcuna intenzione a costruirla questa pace e per chi - non lei - è convinto che si possa parlare di pace, ma che di pace giusta non si possa parlare perché in fondo non esiste, io invece dico con forza che è il nostro compito, della politica perseguire e costruire la pace giusta non solo per il popolo ucraino, ma per tutta l'Europa.

Ecco, su questo anche noi torniamo al passaggio che lei ha fatto sulla questione di Gaza. Bisogna continuare con fermezza a sostenere che Israele si deve fermare, che quella lesione del diritto internazionale non è più accettabile. Il Governo italiano si faccia voce nel contesto europeo per la promozione anche di dazi nei confronti del Governo israeliano, sostenendo quello che la commissaria Kallas ha detto di fronte a tutto il Parlamento: io li metterei questi dazi, ma serve l'unanimità. Ecco, io vorrei - noi vorremmo - che l'Italia votasse in questa direzione e non si lasci invece tirare da chi pensa che Putin possa diventare in qualche modo mediatore nel Medio Oriente a tutela di un diritto internazionale, quando è stato il primo a disconoscere e in qualche modo a violentare il diritto internazionale con l'invasione dell'Ucraina.

Ha ragione, Presidente: questo è un tempo difficile, quello che stiamo vivendo, ma, richiamando Moro, è questo il tempo che ci è dato di vivere e il tempo in cui si gioca la sua responsabilità, la responsabilità del suo Governo e la nostra responsabilità. Ed è un tempo di scelte coraggiose necessarie perché per fare dell'Italia quella Patria del dialogo, costruttrice di ponti e per fare dell'Italia una Nazione protagonista, solida e salda, come lei ha detto, c'è un'unica strada possibile: quest'unica strada possibile si chiama Europa (Applausi dei deputati del gruppo Azione-Popolari Europeisti Riformatori-Renew Europe).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Carfagna. Ne ha facoltà.

MARIA ROSARIA CARFAGNA (NM(N-C-U-I)M-CP). Grazie, Presidente. Dico subito che il gruppo Noi Moderati condivide e apprezza la linea espressa dalla Presidente del Consiglio e la ringrazia per la serietà e la responsabilità con cui nelle ultime 48 ore ha affrontato fatti enormi, senza mai venir meno a quelli che, secondo noi, sono i capisaldi di una politica estera seria e credibile: l'unità del fronte occidentale, quindi la solidarietà europea e il dialogo con gli Stati Uniti d'America in un frangente storico non certo facile per arrivare ad una linea condivisa di fronte ad una oggettiva emergenza; lo sforzo diplomatico per arrivare ad una soluzione negoziale e politica della crisi per evitare un allargamento del conflitto e per arrivare ad una de-escalation; e poi un onesto confronto con le opposizioni, cosa che dovrebbe essere normale in democrazia. Certo, mi rendo conto che risulta difficile con chi - non tutti ovviamente - scende in piazza per urlare slogan del secolo scorso e con chi la raffigura con le mani sporche di sangue, ma mi auguro che in questo contesto delicato e drammatico anche quelle parti dell'opposizione più estremiste possano dimostrare spirito costruttivo e senso di responsabilità.

Questo dibattito doveva precedere un Consiglio europeo, come lei ha ricordato, già particolarmente complesso ma i fatti di sabato notte lo caricano di ulteriori significati, di ulteriori elementi di riflessione urgenti ai quali non vogliamo sottrarci. E per il poco tempo che ho a disposizione mi soffermerò su due questioni in particolare. La prima: gli attacchi americani ai siti nucleari iraniani di sabato scorso hanno dimostrato ancora una volta, laddove ce ne fosse bisogno, la difficoltà dell'Europa a giocare un ruolo determinante in quelle partite che impattano sulla sicurezza, sulla protezione, sulla difesa, sul futuro, sul benessere dell'Unione e dei singoli Stati membri. Lo stiamo vedendo in Medio Oriente. Lo abbiamo già visto in Ucraina dove, soprattutto negli ultimi tempi, l'Europa fa fatica a far sentire la sua voce. Certo, non possiamo immaginare che a far sentire la propria voce possano essere i singoli Stati membri e la politica delle Patrie nazionali. Ecco perché, come Noi Moderati, non ci stancheremo mai di ripetere che o l'Europa fa un salto di qualità in termini di politica internazionale comune e politica di difesa comune, oppure le decisioni che ci riguardano da vicino rischiano di passare sopra le nostre teste e questo non è un buon affare per nessuno. O l'Europa è in grado di costruire una deterrenza militare efficace ed effettiva oppure saremo in balia del dittatore o dell'autocrate di turno.

Questa è la sfida che noi abbiamo davanti (Applausi dei deputati del gruppo Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare). Non il riarmo, non la corsa al riarmo, ma costruire il pilastro europeo della NATO.

Bene l'annuncio di aver raggiunto il 2 per cento del PIL. È un punto a favore della reputazione del nostro Paese che ha segnato il suo Governo dopo anni di impegni non mantenuti. Ma la sfida è ancora più alta: quella di fare dell'Europa una potenza militare, non solo una potenza economica e commerciale. Perché se l'Europa non diventa una potenza militare, anche gli appelli alla pace, alla diplomazia, al confronto, al dialogo rischiano di cadere nel vuoto. Se l'Europa non diventa una potenza militare - in un mondo, come ha ricordato lei, dove le minacce, i rischi, i pericoli si moltiplicano - noi rischiamo di lasciare i nostri cittadini senza protezione e senza difesa. E questo non è quello che noi vogliamo.

Piacerebbe anche a noi condividere l'ideale gandhiano di un mondo senza armi e senza eserciti, perché le armi e gli eserciti non dovrebbero servire. Ci piacerebbe. Ma come moderati pragmatici sentiamo il dovere di raccontare la verità agli italiani e agli europei.

E la verità è che senza sostegno militare l'Ucraina oggi sarebbe una provincia russa (Applausi dei deputati del gruppo Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare) e questo non sarebbe stato un buon affare per l'Europa.

La verità è che senza esercito e senza armi Israele sarebbe stato cancellato (Applausi dei deputati del gruppo Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare e del deputato Marattin) dalle cartine geografiche il giorno dopo la sua costituzione, e questo non sarebbe stato un buon affare per il mondo libero. La verità è che senza deterrenza militare l'Unione europea sarebbe un vaso di coccio tra vasi di ferro. E questo noi lo diciamo stando in maggioranza e stando all'opposizione; non cambiamo idea come chi, quando era al Governo, votava per l'aumento delle spese militari e oggi, per raccattare qualche voto in più, ci racconta la favola che forse si potrebbe reagire con i fiori nei cannoni o con le bandiere arcobaleno rispetto alla minaccia terroristica iraniana oppure rispetto alla minaccia russa (Applausi dei deputati dei gruppi Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare e Fratelli d'Italia).

Una parola sul Medio Oriente, anche se ovviamente ci sarebbe bisogno di più di una. Noi Moderati sostiene senza esitazione lo sforzo diplomatico chiaro del Governo per la de-escalation e per una soluzione negoziale della crisi. Allo stesso tempo, però, non facciamo finta di non sapere come stanno le cose, di non vedere come stanno le cose. L'Iran è uno Stato teocratico in mano a fondamentalisti islamici sanguinari (Applausi dei deputati del gruppo Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare e del deputato Marattin), che dal 1979 predica la distruzione dello Stato di Israele e la pratica finanziando milizie terroristiche che hanno seminato in tutti questi anni morte, distruzione e violenza nelle strade, nelle piazze e nelle case di Israele, fino all'orrore del 7 ottobre 2023, che non è un episodio qualsiasi del conflitto israelo-palestinese, ma è il primo vero pogrom del XXI secolo, che ha scatenato un odio antisemita senza precedenti.

L'Iran odia Israele per quello che Israele rappresenta, perché Israele è l'unica democrazia del Medio Oriente, perché in Israele i cittadini sono liberi, le donne sono libere, si vota liberamente, si manifesta liberamente, si può essere omosessuali senza essere buttati dalle torri (Applausi dei deputati del gruppo Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare e del deputato Marattin) e si può essere non credenti senza essere lapidati; questa è la verità. E l'Iran era a un passo dalla bomba atomica. Non importa se mancavano tre anni, tre giorni o tre settimane: era a un passo dalla bomba atomica e l'avrebbe usata, certamente non per scopi pacifici.

E allora - e concludo, Presidente - noi siamo a favore della pace. Siamo a favore della pace ma riteniamo che la pace non si costruisca sventolando la bandiera bianca, ma utilizzando l'unica arma che le dittature e le teocrazie comprendono, e cioè la deterrenza militare. Noi la incoraggiamo, Presidente, a perseguire la pace con ogni mezzo e in ogni modo, ma non saremo mai favorevoli a una resa militare e neanche culturale a chi vuole distruggere il nostro modello di civiltà e i nostri valori. Siamo per la pace nella democrazia e per la pace nella libertà, perché, come diceva qualcuno, la pace non può essere edificata sul cimitero della libertà (Applausi dei deputati dei gruppi Noi Moderati (Noi con l'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro)-MAIE-Centro Popolare, Fratelli d'Italia, Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE e del deputato Marattin).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Faraone. Ne ha facoltà.

DAVIDE FARAONE (IV-C-RE). Sì, grazie, Presidente. Naturalmente la Presidente del Consiglio abbandona i banchi del Governo (Commenti di deputati del gruppo Fratelli d'Italia) e va bene così, va bene lo stesso.

È chiaro che l'atto, diciamo, è coerente con l'intervento che ha fatto, perché normalmente, Presidente, di fronte a momenti come quelli che stiamo attraversando, momenti di guerra in tutto il mondo, si cerca di fare degli interventi - e questo ci saremmo aspettati oggi dalla Presidente Meloni - che uniscano il Parlamento, che facciano appello all'unità, che siano, diciamo, improntati su una partecipazione collettiva a queste difficoltà che il mondo sta vivendo. Invece abbiamo sentito un intervento che si è preoccupato soltanto di esaltare l'azione di un Governo che è stato definito da essa stessa, dalla Presidente del Consiglio, come un Governo protagonista in tutti i tavoli. Io credo che l'unico tavolo in cui può dirsi protagonista questo Governo è quello di burraco, perché in tutti gli altri siamo assolutamente comprimari assenti o inesistenti e sono i fatti che lo dimostrano, Presidente. Tra l'altro, naturalmente il primo intervento della Meloni è normalmente l'intervento di dottor Jekyll, quindi l'intervento di chi, diciamo, parla con toni suadenti. Non voglio neanche immaginare l'intervento di quando si trasformerà in Mr. Hyde, cioè quando farà le repliche - ormai siamo abituati -, al momento dell'insulto nei confronti delle opposizioni.

Lo dico perché, Presidente, non diciamo soltanto noi che questo Governo è irrilevante. Io vorrei leggere una dichiarazione che non è una dichiarazione dell'account di Italia Viva o di qualche esponente dell'opposizione: L'Italia conta poco o nulla. Non siamo in guerra, non siamo mediatori, non siamo partner di particolare peso e rilievo. Nessuno si aspetta le nostre decisioni. Questo è Marcello Veneziani, un esponente autorevole di destra che - lui - dichiara che il Governo guidato dalla massima esponente della destra italiana è un Governo che ci ha ridotto all'irrilevanza.

E non provi, Presidente Meloni - lo dico anche agli esponenti del Governo qui presenti - a confondersi con i nostri militari, con i nostri medici, con i nostri volontari, che pensiamo tutti noi essere persone, donne e uomini, che stanno svolgendo benissimo il loro lavoro. E siamo orgogliosi del lavoro che stanno svolgendo. Tuttavia, così come siamo orgogliosi del loro lavoro, non possiamo essere minimamente orgogliosi del lavoro di questo Governo, che ci sta rappresentando nel mondo e nei tavoli in cui la Premier si definisce protagonista come assolutamente inutili e irrilevanti.

Voi siete lo stesso Governo, Presidente Meloni, in cui uno degli esponenti - il Vice Premier Salvini - ha definito Trump colui che poteva benissimo vedersi assegnato il Premio Nobel per la pace. Così come siete il Governo che ha indicato come Trump potesse essere il riferimento alternativo ai guerrafondai. Paradossalmente, ci avete spiegato che i guerrafondai erano gli europei, mentre Trump era quello che poteva mettere in campo la pace. La stessa persona che ha evocato deportazioni di milioni di persone, ha minacciato di invadere Panama, ha minacciato di invadere la Groenlandia. Quello sì, Nobel per la pace, mentre gli europei anche in questa fase storica avranno un ruolo importante perché, non essendo coinvolti direttamente nel conflitto con l'Iran, potranno svolgere il ruolo che Trump aveva detto che avrebbe messo in campo. Ricorderete il Trump che aveva raccontato che quando sarebbe diventato Presidente degli Stati Uniti si sarebbero interrotti tutti i conflitti, in 48 ore addirittura quello ucraino.

Ora, di fronte a tutto questo, sentire le parole della Premier che neanche minimamente prende le distanze da un Presidente che, invece, i conflitti li sta amplificando, mi ha fatto impressione. Così come, la Premier, ha definito questo Governo “ponte”. Ma “ponte” de che? Rubio ha sentito Tajani, su dichiarazioni di Tajani. Tajani aveva dichiarato che erano ripresi i negoziati, ma nel frattempo si preparavano a bombardare Teheran e informava però il collega della Premier Meloni, il Premier della Gran Bretagna, Starmer. Quindi: ma che ponte siete, se neanche vi informano che si sta per bombardare un Paese?

Io credo che questa autoesaltazione del Premier Meloni sia una roba di cui ne abbiamo anche un po' piene le scatole, perché è autoesaltazione che è fuori dalla realtà, è fuori da quello che effettivamente sta accadendo. Così come credo che noi dobbiamo, Presidente, riprendere quel ruolo che invece lei ha abbandonato. Perché mentre noi ci interroghiamo su che cosa potrà accadere nei Paesi in cui si va a colpire per cambiare anche il regime, i nostri alleati storici stanno mutando il loro atteggiamento.

Israele e Stati Uniti non sono gli stessi con cui abbiamo costruito le relazioni negli anni passati. E di questo noi dovremmo interrogarci: di come costruire una relazione con questi Paesi, che naturalmente tenga in piedi il Patto atlantico, ma, al tempo stesso, capendo che noi, come europei, siamo altra cosa. E abbiamo immaginato processi - e dovremmo immaginarne di nuovi - che facciano emergere questa altra cosa.

Quando pensiamo alla difesa unica europea, cara collega Carfagna - che è andata via -, la Premier non parla di difesa unica europea, parla di sussidiarietà. Sono cose completamente diverse. E noi, da questo punto di vista, dovremmo immaginare di costruire percorsi che, invece, facciano emergere questa diversità.

Così come, Presidente Meloni, svegli Fratin, il quale dice che vedrà dopo quali effetti avrà questo conflitto sui costi dell'energia e sugli italiani. E poi verificheremo che azioni mettere in campo - perché arrivate sempre in ritardo anche con le azioni di supporto agli italiani, che non ce la fanno più ad arrivare a fine mese per quanto è alto il costo della bolletta - e quanto la situazione può ancora oggi peggiorare.

Chiudo Presidente, con un'ultima battuta…

PRESIDENTE. Si, concluda, per favore.

DAVIDE FARAONE (IV-C-RE). …perché quella su Almasri è stata veramente clamorosa, Presidente Meloni. Infatti, sulla mafia dei trafficanti di uomini sono sconvolto che l'Italia abbia liberato il boss dei boss, il capo dei capi. E lei si esalta per un'affermazione. E soprattutto, avete deciso di dargli un volo di Stato, mentre il Sottosegretario Mantovano si è esaltato per averlo tolto al magistrato Lo Voi, che, la mafia, la contrasta. Per cui, rimetta in ordine le questioni, perché, cara Premier, lei non sta contrastando i trafficanti di uomini, ma ha liberato il loro capo (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva-il Centro-Renew Europe).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Rossello. Ne ha facoltà.

CRISTINA ROSSELLO (FI-PPE). Grazie, Presidente. Signor Presidente del Consiglio, colleghe e colleghi, si è già parlato della rilevanza di questo Consiglio e della drammatica evoluzione della situazione, per cui ci richiamiamo a tutto quanto già detto.

Quello che vorremmo esprimere è un apprezzamento per l'approccio del Governo italiano, che si è costantemente basato su princìpi di equilibrio, dialogo e umanità. E lo ha fatto anche rispetto a Gaza, ribadendo, da un lato, il diritto di Israele alla propria autodifesa, ma, al tempo stesso, sottolineando - come ella stessa ha detto in seduta, oggi - l'urgenza di proteggere i civili, favorire il cessate il fuoco e rilasciare gli ostaggi israeliani ancora in mano ai terroristi di Hamas, per consentire anche un accesso più rapido, efficace e razionale agli aiuti umanitari. In particolare, siamo molto orgogliosi di Food for Gaza.

Lo stesso approccio pragmatico, ella, Presidente, ha mantenuto anche nelle scorse settimane, quando si profilava questo crescente aumento di tensione - palpabile, in realtà - fra Iran e Israele, rispetto a cui il Governo ha sempre manifestato con chiarezza la propria posizione: “no” all'arma nucleare in Iran, “sì” al negoziato, spingendo tutte le parti al confronto diplomatico. A maggior ragione, dopo il bombardamento statunitense, dopo quelli che sono stati definiti dagli USA gli obiettivi del programma nucleare bellico iraniano, la situazione è ancora in rapida evoluzione. Per questo riteniamo di dover essere tutti molto vicini alla sua azione di spinta per lo spazio alla diplomazia. Infatti, come ha detto anche il Santo Padre nel recente incontro con i governanti, la tragedia della guerra, prima che diventi una voragine irreparabile, dev'essere fermata, altrimenti le conseguenze catastrofiche, in una regione già martoriata, ne comprometteranno per sempre il futuro.

L'Italia, l'Unione europea, gli Stati arabi moderati, devono proseguire in questi sforzi. E lo spaccato che lei ha evidenziato nel suo intervento dà uno spiraglio. Una nuova emergente leadership, con la quale il Governo italiano comincia ad approfondire alcune tematiche, ci dà una luce anche nelle aspettative e nella pesantezza della situazione, e ci fa anche capire che ci sono momenti complicati, momenti che dovremo affrontare tutti insieme, ma sicuramente con una prospettiva: poter assicurare alla leadership nuova, emergente e dialogante, un futuro con noi. Proprio per questo, siamo vicini alle Forze dell'intelligence e alle nostre Forze dell'ordine, che sono intensamente al lavoro e in stato di massima allerta per il monitoraggio dei rischi che derivano da questa situazione.

E cogliamo - credo, tutti - l'occasione per un apprezzamento e un ringraziamento alle Forze e agli apparati di sicurezza italiani (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE), che, oltre al mirabile impegno per l'ordinario e per il Giubileo, devono ora affrontare questo pesante impegno della prevenzione di eventuali minacce alla sicurezza, proprio a seguito di queste ultime determinazioni dei Pasdaran.

Il compito di un leader è proprio quello di dare delle speranze, e quando lei parla del valore che può avere, in questo momento, un impegno coeso da parte di tutti, ci fa sperare anche per l'economia, che non dev'essere trattata come un argomento a parte, ma connesso, perché sappiamo - la storia ce lo insegna - che in tempi di pace l'economia cresce e in tempi di guerra decresce. È così. Sembra una banalità, ma anche l'effetto dello Stretto di Hormuz, che prevede comunque un quarto di passaggio delle situazioni di trasporto del petrolio e del gas naturale liquefatto, ci porterebbe a delle conseguenze veramente impegnative.

Proprio per questo, è nostro dovere mettere da parte tutti i protagonismi e metterci al fianco di un Governo che stiamo sostenendo con fermo convincimento, proprio per il ruolo e le responsabilità che lei, in primo piano, Presidente, deve accollarsi. Però, lo fa con determinazione e pragmatismo, e anche con la ragione e il buonsenso per tutte le discussioni che affronta in Consiglio europeo. Noi vediamo anche uno sforzo per riaffermare il suo e il nostro impegno a favore della pace, della sicurezza, della cooperazione internazionale e della competitività. Vorremmo aggiungere anche un impegno caritatevole, perché noi vogliamo anche riconoscerci in quelle 12 stelle misericordiose che sono state impresse sulla nostra bandiera europea. Non disperdiamole: dobbiamo avere il coraggio di proclamare questi valori!

L'attualità contingente non ha oscurato la sua attenzione ad altri importanti temi. Ci sarà il collega Mule' che poi interverrà e proseguirà nelle lacune che, per brevità, devo tralasciare.

Anche con riferimento al fronte ucraino, questa prospettiva di ricostruzione per un futuro, questa possibilità di riorganizzazione che ci sarà con Kiev, ci vede concentrati per una pace autentica, giusta e duratura. La familiarità con il popolo ucraino, dai valori molto vicini ai nostri, ci dà una fiduciosa prospettiva, anche in un momento così triste come questo. Si parla di sicurezza europea e di necessario sviluppo dell'industria della difesa. Bene, noi vorremmo sottolineare l'importanza della ricerca intelligente e poliedrica. Stamattina, in discussione, se ne è parlato anche in Aula. Sarebbe molto importante cercare di convergere questi investimenti.

Da ultimo, la scadenza sui dazi, Presidente. Il 9 luglio la sospensiva dei dazi imposti dal Presidente Trump arriverà. Anche questo è un fardello che, purtroppo, deve portare, però noi siamo sicuri, al suo fianco, che lei andrà in Consiglio e dirà a Maroš Šefčovič, il commissario che se ne deve occupare, di andare oltre sé stesso nella discussione con Washington.

Presidente, ci è piaciuto molto il suo intervento sulla tempestività. L'Europa ha agito, ma è lenta. E mi è piaciuto molto questo discorso sulla velocità d'azione, che contraddistingue il suo intervento in tante occasioni. Auguri, Presidente (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente-PPE).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Riccardi Ricciardi. Ne ha facoltà.

RICCARDO RICCIARDI (M5S). Grazie, Presidente. Gli Stati Uniti hanno bombardato l'Iran. Siamo qui, oggi, a discutere prevalentemente di questo e lei, Presidente Meloni, in tutto il suo discorso, non ha avuto il coraggio di citare, mai una volta, Donald Trump (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Questo già dice tutto del modo in cui vuole affrontare la questione.

Lei, in compenso, oggi ci ha detto che l'Iran deve cogliere l'occasione! Siamo arrivati alle bombe che creano opportunità: dopo le bombe umanitarie, le bombe creano un'occasione per l'Iran!

Lei oggi è riuscita a dire che dobbiamo ampliare lo sguardo sul Medio Oriente dicendo che, fondamentalmente, ci sono anche cose positive. Ebbene, questo non è allargare lo sguardo, Presidente; questo è distogliere lo sguardo. Distogliere lo sguardo da Gaza, dai suoi 60.000 morti, non è allargare lo sguardo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). E lei ha avuto l'ardire di dire che noi dobbiamo essere fieri di quello che sta facendo l'Italia su Gaza e lo ha detto mentre aveva a fianco il Vice Premier che ha stretto la mano del genocida Netanyahu mentre stava facendo un genocidio (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Lo ha detto mentre ancora stiamo vendendo armi ad Israele, attenti che non colpiscano i civili però; lo ha detto mentre con ENI stiamo sfruttando il mare dei palestinesi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) che Israele ruba alla Palestina. Ha avuto il coraggio di dire tutto questo.

Lei oggi ha parlato di ricostruzione dell'Ucraina, però oggi, chissà come mai, la lezioncina sull'aggredito e l'aggressore e sul rispetto del diritto internazionale oggi non l'ha fatta. Ma lei pensa davvero che omettendo oggi quello che è stato il ritornello per tre anni con cui avete alimentato la guerra in Ucraina gli italiani non capiscano il vostro meschino doppiopesismo? In Iran non ci sono un aggredito e un aggressore? Il diritto internazionale dov'è? Dov'è (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)? Poi chiaramente è riuscita a ributtarla sull'immigrazione - no? - e chiaramente non parliamo di Trump, ma parliamo dell'immigrazione - perché no? - un cavallo di battaglia sempre valido, vantando risultati ovviamente inesistenti. Però, Presidente Meloni, con la destabilizzazione in atto in Medio Oriente non basterà l'intera Albania a collocare tutti quelli che verranno da morte e distruzione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Poi lei si autoproclama leader di un Paese che conta, se lo dice da sola: ah l'Italia finalmente pone i propri interessi davanti, l'Italia ha la schiena dritta. Ma ce lo dice un risultato? Uno? Perché prima ha seguito Biden, poi con una capriola folgorante ha seguito Trump, lei che doveva essere “la nuova Angela Merkel”, perché ce li ricordiamo i titoli dei serbi che scrivono sui giornali, suoi compiacenti, “ah è arrivata la nuova Angela Merkel, la statista”.

Trump ci prende a pesci in faccia sui dazi, ma va bene così, poi se le nostre aziende che hanno investito sull'export andranno in crisi, amen. Netanyahu e Trump fanno la guerra all'Iran, i prezzi dell'energia salgono e saliranno sempre di più e pazienza se le nostre imprese e le nostre famiglie vedranno le bollette ancora più care (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) e non cercate il green per favore, perché questa è speculazione finanziaria, è scommessa sulla guerra ed è banditismo sulla pelle delle persone (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Lei ha parlato di competitività, sa chi è competitivo Presidente Meloni? Le grandi aziende di assicurazione, le loro polizze per le aziende che transitano nello Stretto di Hormuz stanno schizzando alle stelle e questi rincari su chi li faranno pagare? Sui consumatori a cui arriveranno quelle merci, là si fanno i profitti. Però la sua tattica è chiara, lei, lei innanzitutto si mostra preoccupata, perché la prima cosa che dice è “una situazione davvero preoccupante, monitoriamo la situazione” - e ci mancherebbe altro - poi manda Tajani al telefono a dire “Tajani, mi raccomando, di' all'Iran di calmarsi, di' a Israele di calmarsi, ora basta” e poi se ne esce dicendo “ah ora l'Italia è protagonista”.

Questa è la sua tattica, lei Presidente ha cercato solamente di accreditare se stessa, non il popolo italiano, perché lei si doveva smarcare dalla sua storia politica e ha dovuto ripulirsi l'immagine, la sua immagine, piegando la tradizione diplomatica di un Paese che ha nel suo DNA quello di essere messaggero di pace (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), ma lei ha dovuto accreditarsi col Presidente americano di turno, con chi muove i fili della finanza, ha svenduto ai grandi fondi americani e di speculazione privata le nostre aziende strategiche e lei e i suoi colleghi in Europa state portando il nostro continente in guerra perché pensate che, alzando la voce e difendendo davvero l'interesse nazionale, voi l'appoggio di quei grandi gruppi lo perdereste. Per questo allora state zitti e chinate la testa e avete alimentato un fiume di violenza, una narrazione di guerra continua dall'Ucraina, sulla logica militare, a Gaza, stringendo la mano di chi ammazza i bambini per fame, e lo state facendo sull'Iran.

Il problema è che ora questo fiume di violenza non lo controllate più, perché non avendo mai pensato di porre un argine a Netanyahu lui ha fatto quello che ha voluto, nessuno gli ha detto nulla, tanto meno in Italia e ora quel fiume non si controlla più. È la vostra rendita politica che avete fatto baciando le scarpe dei potenti, dei grandi gruppi finanziari - i lobbisti delle armi no, i lobbisti delle armi li fate Ministri, quindi non c'è bisogno che gli baciate le scarpe (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) - per cosa? Per smarcarsi, per smarcarsi da quella storia politica e domani all'Aia impegnerete il 5 per cento del PIL in armi.

Ah, Presidente Meloni, lei lo ha capito ora come si calcola l'investimento di un Paese in un settore? Non si fa in termini assoluti come fa lei sulla sanità, si fa in rapporto al PIL (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), okay? Si fa in rapporto al PIL, stiamo parlando di 5 per cento, 3 per cento, perché questo è il parametro. Però lei, quando le fa comodo, usa i termini assoluti, invece no, si fa così, però per quelle armi i soldi li troverete subito, no? E non ci venite più a raccontare il bonus, il reddito di cittadinanza, i soldi ci sono; li investite in armi, per medici e infermieri i soldi non li trovate, per abbattere le liste d'attesa i soldi non li trovate (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) e date la colpa a tutto il resto.

Voi domani impegnerete il nostro futuro e il futuro dei nostri figli, togliendo a loro quelle risorse per ingrassare chi fa profitti con la morte, questo farete e state portando un Paese, un continente in guerra ed è sempre più vicino quel momento. Forse voi non ve ne rendete conto, ma tanto a voi non importa; a lei, a Merz, alla von der Leyen, a Macron, a Trump, a Starmer, a Netanyahu interessa probabilmente come a Netanyahu, solo che state solo attenti a non programmare il matrimonio dei vostri figli nei giorni in cui scoppierà la guerra, perché tanto a morire ci andrà il popolo, i potenti non ci sono mai andati e non ci andrete nemmeno voi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Vi interessa solo questo, però non lo farete a nome di tutti, lo farete a nome vostro, a nome del suo Governo, a nome dell'irresponsabilità e della sua inesistenza politica, ma non a nome del popolo italiano (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Marattin. Ne ha facoltà.

LUIGI MARATTIN (MISTO). Presidente Meloni, cosa sarebbero le sue considerazioni alla Camera senza le tre domande in due minuti del Partito Liberaldemocratico? La prima, lei, come me, è diversamente giovane, quindi si ricorda Happy Days quando Fonzie faceva fatica a dire “ho sbaglia…ho sbaglia…”. La politica italiana io ho l'impressione, a destra come a sinistra, fa fatica a dire come Fonzie che con le dittature, quando fallisce la diplomazia, ci vuole la forza, dimenticando che è così che è nata la Repubblica italiana, fra l'altro. È un fatto che la dittatura spietata dell'Iran con i colloqui diplomatici non stava interrompendo il suo sforzo di raggiungere un'arma nucleare, quindi io le chiedo, seguendo l'intervento della collega Carfagna - non a caso entrammo in questo Parlamento con la stessa forza politica, poi lei ha fatto altre scelte -, le chiedo se sottoscrive la frase che, whatever it takes, l'Iran non deve dotarsi di un'arma nucleare, perché un mondo senza Iran nucleare è più sicuro di un mondo con l'Iran nucleare a qualsiasi costo. Il Governo italiano sottoscrive questa frase o no?

Secondo, le spese militari, io ovviamente sono in completo disaccordo con il MoVimento 5 Stelle - cosa che credo provochi sollievo a entrambi -, le spese militari così come le spese sanitarie non si calcolano in rapporto al PIL. Se lei, Presidente Meloni, oggi guadagna 100 euro e spende 6 euro per curarsi e 6 euro per difendersi, se domani ne guadagna 200 non significa che deve spenderne 12 per curarsi e 12 per difendersi per il solo fatto di essere diventato più ricco. Fra l'altro, lei va al Consiglio europeo, suggerisca di smetterla con sta storia dell'aggancio al PIL; fate il calcolo di quanto costa fare una difesa comune e dividetelo fra i Paesi e aggiustatelo per l'inflazione, perché guardare queste variabili in rapporto al PIL nel corso del tempo non significa niente. Però, io le chiedo, Presidente, se lei intende arrivare a quell'obiettivo - che per ora c'è - attivando la clausola di salvaguardia del Patto di stabilità oppure facendo uso del programma SAFE, che è stato varato il 27 maggio, cioè i prestiti, perché io queste due cose non le ho capite, Presidente.

Quindi, domande chiare: farete uso in sessione di bilancio della clausola dell'esenzione dal Patto? Farete uso del SAFE? Ho finito il tempo. Ho la terza cosa, così come nelle altre due precedenti, Presidente. L'Italia sarà il voto centrale per ratificare il trattato di libero scambio con il Mercosur. Stavolta, per favore, non mi risponda: sì, però deve essere giusto, perché il commercio libero è sempre giusto. L'abbiamo visto con il CETA…

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

LUIGI MARATTIN (MISTO). … Presidente, con il CETA per il Nord America, che sembrava il diavolo, la nostra industria agroalimentare ha esploso le esportazioni. Quindi glielo chiedo: rispetto all'ultima volta, per favore, ha cambiato idea sul Mercosur? Mi può dire “sì” al Mercosur, senza se e senza ma?

Infine, dieci secondi di clemenza. Presidente, anche questo ho giurato di dirglielo sempre, ogni volta che la incontro. Lei domani va in Senato e ripete questa stessa roba qui. Non ha alcun senso continuare ad avere due camere identiche.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

LUIGI MARATTIN (MISTO). Il Partito liberaldemocratico ha presentato e depositato questa proposta di legge per farne una unica, poi dopo facciamo il premierato.

PRESIDENTE. Grazie.

LUIGI MARATTIN (MISTO). La prego, la prenda in considerazione. Così non ce la facciamo più, né qua né al Senato.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bonelli. Ne ha facoltà.

ANGELO BONELLI (AVS). Grazie, signor Presidente. Buonasera, signora Presidente. Lei, oggi, nel suo intervento ha chiesto un dialogo, almeno si è proposta di dialogare con l'opposizione. Però, vede, signora Presidente, non è chiaro sulla base di che cosa e sulla base di quali condizioni può avvenire questo dialogo, se non, forse, da parte sua, con l'intenzione di un ascolto passivo da parte dell'opposizione stessa. Vede, io non sono per nulla d'accordo con quello che lei oggi ha esposto - sicuramente non la sorprendo - perché quello che è accaduto in questi giorni, in queste settimane, in questi anni, è una palese violazione del diritto internazionale. Ma prima di entrare nel merito, siccome prevengo una sua inevitabile osservazione che farà nella replica, il gruppo che rappresento - poi parlerà il collega Nicola Fratoianni - il 7 ottobre ha condannato quell'orribile attacco terroristico; lo abbiamo condannato e continuiamo a condannarlo, continuiamo a chiedere gli ostaggi. Noi siamo stati a Tel Aviv a incontrare le famiglie degli ostaggi alcune settimane fa, insieme al collega Fratoianni. Condanniamo anche il regime degli ayatollah. Io non so quanti parlamentari che parlano dell'Iran oggi sanno dov'è l'ambasciata dell'Iran. Noi ci siamo andati, anno dopo anno, davanti a quell'ambasciata per chiedere il rispetto dei diritti delle donne e non solo. Però, la violazione del diritto internazionale che si è realizzata in queste ore, attraverso una subalternità della politica estera del suo Governo, del Ministro degli Affari esteri, devo dire che sono francamente basito. Al posto suo sarei rimasto anch'io un po' contrariato nel vedere i Ministri degli Esteri inglese, tedesco, francese, la Commissaria Kallas, incontrare il Ministro degli Esteri iraniano a Ginevra per tentare di trovare una soluzione diplomatica. L'Italia non c'era. Poi abbiamo capito perché l'Italia non c'era, signora Presidente: non c'era perché Trump non amava quell'incontro e Netanyahu era molto, molto, contrariato. Però, se lei pensa che sto sbagliando, ci dica la ragione per la quale l'Italia non c'era e aspetto una sua osservazione in merito.

Però, vede, lei lo conosce l'articolo 56 del Protocollo aggiuntivo della Convenzione di Ginevra: fa divieto espresso di bombardare i siti nucleari, anche militari, quando questi possono determinare un problema di contaminazione per la popolazione; è quello che dice oggi Grossi, il responsabile dell'Agenzia internazionale dell'energia atomica. Ma tutto ciò non importa, perché oggi c'è la supremazia militare. Oggi si sta riscrivendo un nuovo ordine geopolitico con la supremazia militare, con la forza delle armi e non con la forza del diritto internazionale (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

Ma lei dove l'ha schierato il nostro Governo? Vede, ho sentito dire: ma l'Iran sta realizzando la bomba atomica. Signora Presidente, chiedo un attimo la sua attenzione. L'Iran sta preparando la bomba atomica? Bene, guardi questa cosa qua (Il deputato Bonelli mostra una fotografia): questo è Benjamin Netanyahu che presentava la bomba quasi al 90 per cento, più di quello che ha detto alcuni giorni fa. Era il 2012, all'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Benjamin Netanyahu ha voluto e sta realizzando una guerra permanente per mantenersi al potere, dopo il disastro che ha compiuto a Gaza (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

Mi lasci dire, signora Presidente, che di fronte alla delegittimazione degli organismi internazionali, di cui anche voi avete contribuito con la vostra azione (la delegittimazione dell'ONU, la delegittimazione della Corte penale, la delegittimazione dell'UNRWA), oggi avete consentito che Trump e Netanyahu dettino legge in questa direzione.

Dov'è quella vecchia politica estera che portò, ad esempio, Aldo Moro nel 1973 a dire “no” ai rifornimenti degli aerei israeliani perché c'era la guerra del Kippur; non voglio citare Bettino Craxi nella famosa vicenda di Sigonella. Però, signora Presidente, la prego, io non capisco perché - glielo dico veramente con molta convinzione e passione e penso che lei sa che lo dico con passione - perché non riesce a pronunciare la parola “condanna” di fronte all'infamia di Gaza (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra)? Signora Presidente, si può morire per un pugno di riso? Si può morire per un pugno di farina? Alcuni giorni fa 200 persone, tra donne e bambine, sono state uccise dalle mitragliatrici dell'esercito israeliano. Signora Presidente, perché non riesce a condannare (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra e di deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)? Perché non riesce? Perché non ce la fa (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra e di deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)? È un'infamia dirlo? Io penso che Netanyahu - tutti lo sanno - è un criminale, perché uccidere bambini che chiedono cibo e radere al suolo ospedali qualifica come questo, qualifica come un criminale. Sentire oggi il Ministro degli Affari Esteri Tajani - guardi, non ce la faccio, lo trovo inaccettabile! - dire che le sanzioni a Israele è una proposta velleitaria, trovo incredibile avere un Ministro degli Affari Esteri che pronunci questa parola (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra e di deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Lei ha detto poco fa che al Consiglio europeo verranno approvate, al diciottesimo pacchetto, delle sanzioni. Bene. Noi siamo d'accordo perché con chi viola i diritti umani sono necessarie le sanzioni. Ma allora, secondo lei, a Gaza sono stati violati i diritti umani? È stato violato il diritto internazionale? Perché due pesi e due misure? Tutti coloro che oggi plaudono qua alle bombe in Iran si sono dimenticati che cosa è diventato l'Afghanistan? Avete dimenticato la Libia (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra e di deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista)? Avete dimenticato l'Iraq? Avete dimenticato la Siria? Volevate, volevano portare democrazia con le bombe. Avete consentito all'ISIS, al terrorismo, all'odio di crescere e di questo dovreste avere consapevolezza. Di fronte a questo abbiamo una situazione in cui ci venite a proporre il 5 per cento, il 5 per cento delle spese per armamenti, che significa armi su armi e guerre su guerre. Prevengo, signora Presidente, non siamo quelli che vogliono difendere il nostro Paese con i fiorellini o le bandiere della pace, chiaro? Il suo Ministro della Difesa, che ha accanto alla sua destra, sa benissimo che l'Italia è impegnata in pacchetti di armamenti per 72 miliardi di euro, per prendere e acquistare F-35, caccia Typhoon, supercaccia, torpedinieri. Non sono molto bravo in armi, signor Ministro, quindi a volte mi impappino, insomma ho fatto altro nella vita, però, purtroppo abbiamo a che fare con questa cosa.

Guardi, signora Presidente, le faccio tre domande, sperando che lei mi possa rispondere. Signora Presidente, la prima domanda: perché un doppio standard a Gaza? Perché non vuole sanzionare Israele, revocando l'accordo militare o rivedendo l'accordo UE-Israele (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra)? Seconda domanda: per lei sono stati commessi crimini contro l'umanità a Gaza? Può dire “sì” o “no”? Mi può rispondere su questo? E poi, lei ha detto “sì” al 5 per cento. Ci può dire dove prenderà i soldi degli italiani? Perché, vede, se li ricorda Totò e Peppino nel famoso film Totò truffa?

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

ANGELO BONELLI (AVS). Stampavano i soldi falsi e avevano dato delle “sòle” in giro incredibili. Non diamo le “sòle” agli italiani, perché a un certo punto si troveranno senza sanità, servizi sociali, scuola e trasporti, in nome di chi? Della follia di Trump, a cui è necessario che l'industria bellica sia foraggiata, sicuramente non nel nostro nome, signora Presidente (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Maullu. Ne ha facoltà.

STEFANO GIOVANNI MAULLU (FDI). Grazie, Presidente. Grazie, Presidente del Consiglio, grazie per tutto ciò che ha illustrato, grazie per la tenacia, grazie per la determinazione con la quale porta avanti gli interessi nazionali, ma grazie anche per aver avviato in maniera autorevole un cambiamento, una postura diversa dell'Unione europea, dove l'Italia ha creato le migliori condizioni per poter indirizzare una dimensione strategica dell'Unione. Credo che tutto questo sia evidente a tutti e solamente chi decide di non vederlo fa scelte e parla in maniera diversa. Credo che tutto questo non basti semplicemente per riassumerlo nel Piano Mattei, che è stato proposto con convinzione, integrato nel Global Gateway dell'Unione europea.

Credo che tutto questo abbia cambiato la postura e non più aiuti a pioggia, ma investimenti mirati in infrastrutture, energie, formazione agricoltura e una vera alleanza per l'Africa, perché poi anche di quello oggi abbiamo parlato e parleremo; un'Africa non dei problemi, ma delle opportunità. Questo grande risultato non è solo un successo diplomatico, ma è la palese dimostrazione di una visione strategica dell'Italia. Ed è con questo spirito che il nostro Paese, attraverso il Governo, si è mosso in Ucraina, sostenendo una pace giusta, una pace che rimetta tutti all'interno dei princìpi che vengono riaffermati dal Consiglio europeo del 6 marzo, a partire dal rimpatrio dei bambini deportati illegalmente in Russia, in Bielorussia, insieme all'assistenza umanitaria fondamentale per reduci e i civili.

Io credo che il cessate il fuoco potrà essere credibile solo se rispettato da chi è aggredito. Io credo che questo vada spiegato, ripetuto, amplificato: c'è stato un aggredito e un aggressore. Che siano costruite garanzie di sicurezza per Kiev, per evitare accordi affrettati che potrebbero esporre questo Paese ancora a nuovi attacchi. Così come, in parallelo, io credo sia utile rammentare che è stata prorogata fino al 2027 la protezione temporanea per oltre 4 milioni di rifugiati ucraini. Anche qui non solo aiuti, ma una precisa scelta di campo, che verrà concretizzata il prossimo 10-11 luglio con la Conferenza sulla ripresa dell'Ucraina, che si terrà a Roma: una riaffermazione del ruolo centrale del Governo Meloni in Europa.

È proprio da questo rinnovato protagonismo che nasce un approccio più dinamico verso il Mediterraneo. Io credo che proprio in questo quadrante vada rivolta la nostra attenzione, perché quando parliamo di Mediterraneo non possiamo che osservare con grande preoccupazione ciò che accade in Libia, un Paese dove le tre principali aree sono ormai divise, completamente autonome e non interconnesse: la Cirenaica, il Fezzan, la Tripolitania. In particolare, quest'ultima subisce lo scontro politico-militare tra le varie fazioni e la condizione di instabilità sta avendo i primi effetti sull'aumento dei flussi irregolari nella rotta del Mediterraneo centrale, con conseguenze per la nostra sicurezza, anche alla luce di presenze militari di Paesi terzi sul territorio libico.

E poi occorre dire con grande chiarezza che ciò che accade in Israele, in particolare a Gaza, è inaccettabile, perché quello che viviamo a Gaza è doloroso, terribile e - ripeto - totalmente inaccettabile. Lei lo ha detto più volte, lo ha riaffermato con forza, ma vedo che c'è bisogno di riproporlo. Tutto questo ha un'origine precisa: è vero, molti hanno condannato l'attacco brutale del 7 ottobre da parte di Hamas e penso che sarebbe stato difficile fare diversamente, ma occorre dire che la presenza di queste milizie terroristiche, che usano i civili palestinesi come scudi umani, come vere e proprie infrastrutture militari, è la ragione per cui continua la guerra in quella porzione di territorio. Hamas non vuole disarmarsi, rifiuta qualsiasi opzione in questo senso, continua a trattenere gli ostaggi israeliani e la stessa sorte tocca a centinaia di migliaia di civili palestinesi indifesi, mentre i leader di questo movimento stanno nei Paesi del Golfo a lucrare i miliardi che hanno messo da parte, ovviamente lontani dalla miseria e dalla guerra (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

Poi l'Italia sostiene con chiarezza, ed è evidentemente, il diritto di Israele a difendersi. E allo stesso tempo - è stato detto innumerevoli volte - promuove da sempre una soluzione politica duratura: due popoli, due Stati, sicurezza per Israele, dignità e sovranità per i palestinesi. In questa direzione sono sempre state improntate tutte le iniziative del Governo Meloni, che sostiene peraltro il piano arabo per la ricostruzione di Gaza: 53 miliardi di dollari in 5 anni. Un progetto accolto favorevolmente dall'Unione europea, che esclude categoricamente qualsiasi ruolo per Hamas e rafforza il ruolo dell'Autorità nazionale palestinese. Ha anche imposto, ovviamente attraverso l'Unione europea, sanzioni mirate contro gli esponenti di Hamas, della Jihad islamica e contro i coloni estremisti. È un impegno politico, economico e valoriale a sostegno della pace e della giustizia.

Ma certamente non possiamo - e di questo si è parlato molto - ignorare le cause di fondo di tutto ciò. L'Iran ha alimentato per anni una strategia di destabilizzazione attraverso milizie e finanziamenti ai gruppi terroristici: da Gaza, allo Yemen, al Libano, alla Siria. E ancora oggi continua a rappresentare uno dei principali sponsor del terrorismo internazionale. La famosa mezzaluna sciita si è infranta con la realtà terribile, che ha visto questo grande Paese essere messo di fronte a ciò. A livello militare, l'Iran - l'abbiamo detto - ha fornito non semplicemente un supporto strategico, ma ha dato ai ribelli Houthi, così come agli altri regimi e agli altri gruppi terroristici, armamenti, know-how, capacità di combattimento simmetrico, sistemi di intelligence per colpire obiettivi civili e militari e questa rete ben ramificata e sofisticata di proxy è stata finanziata nella regione impiegando metodi sempre opachi e non convenzionali: dal riciclaggio di denaro proveniente da traffici illeciti, in particolare quello di stupefacenti, ai rapporti con la criminalità organizzata di tutto il Mediterraneo, sino alle criptovalute. Ecco, le rotte di questi traffici non vanno semplicemente via terra - l'Iraq, la Siria - ma anche via mare, attraverso il Canale di Suez, hanno avuto un impatto certamente destabilizzante nel Mediterraneo orientale. La caduta di Assad, paradossalmente, ha creato difficoltà a tutti questi proxy, ma Teheran ha trovato nuove modalità di aggiramento.

A ciò si aggiunge il legame strategico tra Iran e Russia, che rappresenta un altro fronte critico: un'alleanza non solo militare, con la fornitura di droni prevalentemente utilizzati nel contesto ucraino, ma anche energetica, commerciale, ideologica. Entrambi i regimi - e questo è noto a chiunque, in quest'Aula - mirano a ridurre l'influenza occidentale, a destabilizzare l'ordine internazionale, ad affermare un nuovo equilibrio di potere basato su logiche autoritarie e imperialiste, lontane anni luce dalla democrazia che tutti noi amiamo.

Attraverso queste relazioni, l'Iran ottiene vantaggi economici diretti, che contribuiscono a finanziare le proprie reti militari. Senza la vendita di greggio, soprattutto verso la Cina, ad esempio, Teheran non sarebbe in grado di sostenere il peso economico delle proprie operazioni regionali. È per questo che gli attacchi mirati alle infrastrutture strategiche possono rappresentare un colpo potenzialmente paralizzante all'economia iraniana, alla sua capacità di proiezione egemonica.

L'Europa, in particolare il nostro Paese, ha piena consapevolezza di tutto ciò e dei rischi diretti, e continua a sostenere con forza ogni azione diplomatica. Ma la minaccia si è fatta ancora più concreta qualche giorno fa, quando Teheran ha superato ben oltre la soglia consentita di arricchimento dell'uranio, che tutti voi sapete essere compresa tra il 3 e il 5 per cento, e si è avvicinata pericolosamente alla possibilità concreta di un uso militare. È questo il contesto che ha portato Israele ad attaccare direttamente obiettivi iraniani e l'intervento statunitense è servito a bloccare non solo una possibile supremazia militare, ma anche lo sviluppo di quella tecnologia nucleare, devastante in quel contesto mediorientale. È stato un messaggio chiaro anche al mondo arabo sunnita, che ha condiviso con gli Accordi di Abramo la coesistenza pacifica e il riconoscimento di Israele, verso un percorso di pacificazione regionale pieno e totale.

L'azione militare, che ha ulteriormente isolato Teheran, paradossalmente può aprire uno spiraglio per una pace stabile e duratura, proprio come accadde a suo tempo con lo storico accordo tra Rabin e Sadat, che pose fine a decenni di conflitto tra Israele ed Egitto. Oggi tutti sanno - e chiunque lo può verificare - che il desiderio più grande di tantissimi iraniani che si ritrovano è quello di liberarsi da ciò che è emerso dopo il 16 gennaio del 1979, per distinguere la rivoluzione iraniana da quella khomeinista, quella del popolo da quella delle teocrazie, che passò da un punto di svolta determinante: la crisi degli ostaggi americani, che coinvolse 52 diplomatici statunitensi, trattenuti dal novembre del 1981 per un periodo molto lungo, e che consentì certamente la ripresa e il golpe khomeinista dell'epoca. Il giorno dopo l'assalto all'ambasciata, il 5 novembre, si dimise il Capo del Governo provvisorio, Bazargan, stimato esponente islamico democratico: aveva capito che le riforme democratiche erano, di fatto, impossibili. Giunse alle stesse conclusioni il Presidente Banisadr, costretto poi all'esilio. Loro sarebbero potuti diventare i simboli di un mondo religioso disposto a convivere con le libertà; una via difficile, ma ancora oggi possibile, nonostante le tante resistenze interne alla nomenklatura religiosa e militare.

Queste, ovviamente, non sono pagine di storia, sono chiavi per capire il presente, per distinguere tra chi lotta per un futuro di libertà e chi, invece, cerca solo di conservare il potere con la forza e la paura; per non dimenticare mai lo slogan “donna, vita, libertà”, che ha attraversato le strade dell'Iran, risuonando ovunque. E, quindi, richiamare ancora una volta ciò che uomini e donne hanno subito: una risposta brutale e terribile, del regime. La pena di morte, infatti, in Iran è diventata lo strumento politico per instillare il terrore, ma è anche parte di una strategia di potere fondata sulla paura, sull'odio, sulla destabilizzazione.

Ecco perché, in questo scenario, hanno destato sconcerto le affermazioni di Cecilia Sala, giornalista che ha vissuto il carcere iraniano, che ha mostrato in video giovani iraniani vestiti all'occidentale come prova che a Teheran non ci sia il Medioevo.

PRESIDENTE. Concluda.

STEFANO GIOVANNI MAULLU (FDI). Quelle immagini non raccontano la libertà, raccontano invece il coraggio di chi sfida la repressione. Per non parlare del carcere di Evin, delle torture, delle impiccagioni.

Stupisce che questa narrazione venga da chi è stata liberata proprio grazie all'intervento fermo e determinato del Governo Meloni.

Anche in Italia assistiamo a reazioni sconcertanti: cortei, slogan, ambiguità, una protesta che si definisce pacifista, ma che spesso è solo di facciata. Ha un filo rosso che la attraversa: è l'odio verso Israele, mascherato da retorica umanitaria, con l'antisemitismo strisciante che riemerge nei cori, nelle bandiere e negli slogan. Chi cavalca il malcontento, anche sfruttando questo paradosso anagrafico della nostra società - una società che ha un'età media sempre più alta, favorevole a un esercito europeo, ma diffidente verso gli investimenti necessari, come se si potesse costruire pace senza risorse - non ha certamente la possibilità di poter offrire la libertà, perché chi sta dalla parte della libertà, sta dalla parte della sicurezza, dalla parte dell'Europa, dalla parte dell'Italia, con il Governo Meloni che sta dalla parte giusta della storia (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Provenzano. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE PROVENZANO (PD-IDP). Grazie, Presidente. Signora Presidente del Consiglio, è al popolo sovrano e all'interesse della Nazione che lei ha sempre detto di voler richiamare la sua politica. Allora partiamo da qui: il popolo italiano ripudia la guerra. Ne è stato vaccinato ottant'anni fa, reduce da due conflitti mondiali in cui l'aveva trascinato e massacrato il nazionalismo e il fascismo. Aveva concorso, col suo sacrificio, con le idee che ispirarono la resistenza, la liberazione, la ricostruzione, a quell'ordine mondiale in cui la risoluzione delle controversie internazionali fosse affidata al diritto, alle istituzioni multilaterali e non alla guerra.

Era un ordine imperfetto, segnato dalla guerra fredda, ma tuttavia assicurò per lungo tempo, nel nostro continente, una relativa pace. Quella pace fu seme e frutto dall'acquisizione - forse la più alta di quel processo storico - che è stata l'integrazione europea. Questi ultimi anni, mesi, giorni stanno spazzando via quel mondo. Stanno dando il colpo di grazia all'ordine internazionale basato sulle regole che già era profondamente in crisi, trascinandoci in un caos globale in cui nessun popolo, nessuna nazione - questo è il punto - può sentirsi al sicuro.

Antonio Gramsci - e confido che stavolta non le farà fare la fine di Ventotene, so che anche a destra è abbastanza letto - diceva che quando il vecchio non può più e il nuovo non può ancora, vi è un interregno in cui si verificano fenomeni morbosi. Il morbo, ieri come oggi, si chiama nazionalismo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista) e bisogna guardarlo negli occhi, nelle diverse forme che assume oggi, per ritrovare, oggi come ieri, l'antidoto. Ci voleva tutta l'improntitudine del Vice Premier Salvini per pensare che, con Trump, il mondo avrebbe ritrovato ordine e pace, al punto di candidarlo al Nobel. America first non poteva essere un invito alla pace, perché era l'espressione di una volontà di potenza in grado di scatenare i suoi effetti nefasti in tutto il mondo. “Israele First” urla, infatti, Netanyahu, mentre distrugge Gaza e bombarda il Medio Oriente. “Russia first” avrà detto Putin, invadendo l'Ucraina. Trump aveva promesso di fermare, in pochi giorni, ogni guerra: oggi possiamo dire che ha infiammato ancora di più il mondo, bombardando l'Iran fuori dal diritto internazionale, dalla stessa Costituzione americana.

La sua azione, come l'attacco unilaterale di Netanyahu, non risponde ad alcuna eccezione di difesa preventiva, perché anche il rapporto dell'Agenzia atomica non poteva in alcun modo essere interpretato come un mandato a bombardare. La verità è che Trump era convinto di usare Netanyahu per fare il lavoro sporco. Richiamo questa espressione orribile del Cancelliere tedesco Merz, per dire che sono parole che non possono rappresentare la nostra Europa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). Pensava di usarlo e, invece, è stato usato da Netanyahu, che si rivela il vero capo della destra occidentale, che lo ha trascinato nella sua guerra infinita, condotta per mantenere il potere e far dimenticare Gaza, sorretta da un'idea messianica, dallo scontro di civiltà.

Lei qui ci ha parlato dei nuovi assetti del Medio Oriente, delle opportunità che si aprono; ma avete fatto i conti con Netanyahu? Con l'obiettivo di stabilire un nuovo ordine fondato sull'uso della forza, sul disprezzo del diritto, in cui non c'è alcun spazio per la politica e per la diplomazia? Solo che questa, oggi, rischia di diventare la nuova regola del mondo. È quello che dobbiamo decidere - penso insieme - da rappresentanti della Nazione, se possiamo accettarlo o no. Anche lei deve scegliere, Presidente. Deve scegliere tra la sua affinità ideologica, Trump e Netanyahu, e l'interesse dell'Italia. È la ragione per cui le chiediamo di non consentire l'utilizzo delle basi americane sul nostro territorio per offrire alcuna forma di sostegno, diretto o indiretto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista), a una guerra che non è la nostra e che va fermata. Non lo avete fatto? Siete pronti a farlo per il futuro? Questo è quello che noi vogliamo sapere, perché la subalternità all'amministrazione Trump, oggi, non è compatibile con i nostri interessi e la nostra sicurezza.

La chiusura dello Stretto di Hormuz inciderebbe anche sulle nostre imprese e avrebbe un unico beneficiario, quel Vladimir Putin al quale noi finanzieremmo, in questo modo - schizzando prezzi del petrolio e gas - la sua guerra imperialista. L'idea di fare da ponte tra le due sponde dell'Atlantico è fallita: bisogna prenderne atto. Il ponte dovremmo provare a costruirlo con l'Europa, nel Mediterraneo.

Allora la bomba? Allora l'Iran? Noi siamo i primi ad essere contro il putrido regime teocratico, fanatico e destabilizzatore. A sostegno dell'opposizione iraniana, in piazza, c'eravamo noi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista), solo noi! Un regime lo colpisci dando voce a chi lotta per la donna, la vita, la libertà, non con le bombe che colpiscono i civili e ricadono anche su di loro. La storia ci dice che esportare la democrazia con le armi, provocare regime change dall'esterno, produce caos su caos, drammatici fallimenti. Lei qui oggi ci ha parlato a lungo della Libia: si chieda perché lo ha fatto in questi termini.

A proposito, ci ha raccontato le grandi strategie sull'immigrazione. “Follow the money” ha detto a un certo punto. Bastava, guardi, seguire Almasri o, meglio, bastava (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista) non scarcerarlo e riconsegnarlo in Libia con tutti gli onori!

Noi siamo i primi a non volere che il regime di Teheran abbia la bomba e non ci sono prove - lo ha spiegato l'Agenzia atomica - di uno sforzo sistematico - così ha detto - per arrivarci. Quel risultato che noi condividiamo, si raggiunge con la diplomazia, non con le bombe. La via negoziale non è un rifugio per anime belle, è ciò che aveva già funzionato: un accordo con l'Iran sul nucleare si era fatto nel 2015 e i protagonisti erano stati Obama e l'Unione europea, con la nostra Federica Mogherini allora. È stato Trump a ritirarsi durante il suo primo mandato e, se non ricordiamo questo, gli appelli alla de-escalation risuonano come ipocriti, reticenti e, in definitiva, inutili, anche perché il rischio, qui, è assai più ampio: non solo l'effetto di spingere l'Iran fuori dal Trattato di non proliferazione, ma di dare addirittura spazio all'idea che solo l'arma atomica garantisce la deterrenza. È il mondo della proliferazione nucleare quello che vogliamo consegnare ai nostri figli? O è il mondo del riarmo?

Lei si appresta a impegnare l'Italia, per i prossimi anni, ad aumentare le spese militari al 5 per cento del PIL: complessivamente, sarebbero 60 miliardi in più. Un obiettivo che il suo Ministro della Difesa, lì accanto, poche settimane fa, aveva dichiarato impensabile per il nostro bilancio pubblico e che è irrealistico e sbagliato, perché ci allontana dall'obiettivo che, invece, dovremmo perseguire, anche in questo Consiglio, della costruzione - non semplice, certo, ma necessaria - di una vera difesa europea. Perché non ha fatto come la Spagna? Sánchez ha rifiutato quell'imposizione e ha comunque raggiunto un accordo con la NATO: segno che è possibile sottrarsi al bisogno di Trump di finanziare l'industria bellica, perché questo è il vero obiettivo per colmare il suo deficit commerciale.

Presidente, qui ci ha invitato al dialogo e io voglio essere chiaro: noi non ci sottrarremo. Quando è in gioco il destino dell'Italia, non ci sottraiamo, ma dobbiamo farlo nella chiarezza. Con chiarezza voglio dirle che serve una svolta radicale nella sua strategia e una svolta radicale dell'Europa, perché è l'Europa degli egoismi nazionali che la rende immobile. L'ordine del giorno del Consiglio europeo di cui ci ha parlato lei qui, oggi, è pressoché lo stesso da un anno. Anche questo forse dice qualcosa. E la Commissione von der Leyen è sempre più inadeguata, perché è sempre più succube di questa destra.