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Resoconto dell'Assemblea

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XIX LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 510 di lunedì 14 luglio 2025

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIO MULE'

La seduta comincia alle 11.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato Segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

FRANCESCO BATTISTONI, Segretario, legge il processo verbale della seduta dell'11 luglio 2025.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati in missione a decorrere dalla seduta odierna sono complessivamente 78, come risulta dall'elenco consultabile presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta in corso (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Stefanazzi. Ne ha facoltà.

CLAUDIO MICHELE STEFANAZZI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Buongiorno, intervengo per chiedere un'informativa urgente, per chiedere che la Presidente Meloni venga in Aula a riferire su questa vicenda, che sta assumendo ormai contorni paradossali, rappresentata dalle minacce che il Presidente Trump ha rinnovato, solo poche ore fa, di applicare dei dazi all'Europa. C'è un silenzio colpevole da parte del Governo e della Presidente Meloni, che prova ancora, fuori tempo massimo - mi permetto di dire -, a giocare un ruolo di intermediario privilegiato fra il continente europeo e il Presidente Trump; questo ruolo credo che il Presidente Trump non glielo abbia mai riconosciuto - immagino - e non glielo riconosca in questa fase. Mentre il Governo si barcamena nel comprendere come rapportarsi a queste posizioni - direi estemporanee - del Presidente Trump, noi abbiamo valutazioni convergenti sull'effetto devastante che può avere l'applicazione di un regime di dazi, in particolare in alcuni settori. Per cui è fondamentale che la Presidente Meloni venga immediatamente in Aula, venga a riferire lo stato dell'arte della trattativa, venga a riferirci in che modo intende associarsi rispetto alla posizione che - ci auguriamo - l'Unione europea intenda assumere di contrasto della posizione americana e, soprattutto, ci venga a chiarire in che modo intenda operare qualora i dazi - ci auguriamo di no - diventino realtà e, quindi, si abbattano come una mannaia sul destino, al momento infausto, del PIL di questo Paese.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, sullo stesso argomento, l'onorevole Alifano. Ne ha facoltà.

ENRICA ALIFANO (M5S). Presidente, anche noi ci associamo perché venga la Presidente Meloni a riferire in Aula sui temi che sono stati esplicitati in modo compiuto dal collega che mi ha preceduto, ma anche per altre motivazioni. Siamo a oltre due anni di crollo della produzione industriale; per quanto riguarda il settore dell'automotive gli ultimi dati, pubblicati anche sui maggiori quotidiani, dicono che è un settore oramai più che in crisi, boccheggiante.

Nello stesso tempo, non vi è una decisione da parte del Governo per implementare alcune imposizioni che sono in linea con l'andamento dei mercati e con una società che oramai è diversa rispetto a quella del secolo scorso: parlo dell'imposta sui servizi digitali, che è ferma al 3 per cento, e parlo anche della global minimum tax. Ebbene, la Presidente Meloni è stata più che prona dinanzi al Presidente Trump in relazione a questa imposizione, che danneggia però, ahimè, in modo lapalissiano le nostre imprese, le imprese nazionali.

È giusto allora che la Presidente Meloni venga qui a riferire su quale sarà la sua postura in materia di dazi, che, qualora malauguratamente si attestassero nella misura che è stata paventata dal Presidente Trump, finirebbero con lo sferrare un colpo decisivo alla nostra economia. È giusto dunque che venga con decisione qui a riferire e, nello stesso tempo, anche con prontezza. L'aspettiamo con urgenza.

PRESIDENTE. Prendiamo atto delle vostre richieste.

Discussione del disegno di legge: Modifiche alla legge 9 agosto 2023, n. 111, recante delega al Governo per la riforma fiscale (A.C. 2384-A​) (ore 11,06).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 2384-A​: Modifiche alla legge 9 agosto 2023, n. 111, recante delega al Governo per la riforma fiscale.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 2384-A​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

La VI Commissione (Finanze) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Mariangela Matera.

MARIANGELA MATERA, Relatrice. Presidente, onorevoli colleghi, l'Assemblea avvia oggi l'esame del disegno di legge n. 2384-A​, avente ad oggetto: Modifiche alla legge 9 agosto 2023, n. 111, recante delega al Governo per la riforma fiscale. Il disegno di legge, che consta di un solo articolo, reca una serie di disposizioni volte a modificare in più punti la citata legge delega n. 111 del 2023.

Più dettagliatamente, l'articolo 1, comma 1, lettera a), modificato in sede referente, ai nn. 1 e 2, novella l'articolo 1, commi 1 e 6, della legge n. 111, recante la delega al Governo per la revisione del sistema tributario e i relativi termini di attuazione, prorogando il termine di scadenza della delega per l'attuazione della riforma fiscale da 24 a 36 mesi, decorrenti dalla data di entrata in vigore della citata legge n. 111, quindi al 29 agosto 2026, e il termine di scadenza per la predisposizione di decreti legislativi integrativi e correttivi al 29 agosto 2028, facendo salvo, in entrambi i casi, il meccanismo di proroga automatica dei termini di delega in conseguenza della scadenza dei termini previsti per i pareri parlamentari sui relativi schemi di decreto legislativo.

Il comma 1, lettera b), modifica il principio di delega di cui al n. 5 dell'articolo 1, comma 1, lettera a), al fine di estendere la disciplina del trattamento dei debiti tributari, con riferimento al pagamento parziale o dilazionato dei tributi, anche a quelli regionali, oltre che locali, e alle diverse ipotesi disciplinate dal codice della crisi d'impresa, prevedendo l'introduzione di un'analoga disciplina per l'istituto dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.

Il comma 1, lettera b-bis), inserito in sede referente, modifica il principio di delega di cui al n. 1 dell'articolo 15, comma 2, lettera a), della citata legge n. 111, sostituendo il principio della diminuzione dei limiti di giocata e vincita con il criterio di revisione dei predetti limiti, al fine di consentire al Governo di rendere più elastico il sistema dei limiti di giocata e vincita, nonché il principio di cui alla lettera m) del medesimo articolo 15, al fine di consentire al Governo di dettare una disciplina organica e più efficace delle sanzioni penali e amministrative per le violazioni concernenti tutto il mondo giochi e non solo, come invece previsto dal testo vigente, quello a distanza.

Il comma 1, lettera c), concerne infine l'ordinamento, lo stato giuridico e il ruolo dei magistrati tributari, prevedendo l'uniformazione degli stessi, in quanto compatibili, a quelli della magistratura ordinaria.

Il comma 1, lettera c-bis), inserito in sede referente, proroga di ulteriori 12 mesi, portandolo al 31 dicembre 2026, il termine di cui all'articolo 21 per il riordino organico delle disposizioni che regolano il sistema tributario mediante la redazione di testi unici al fine di coordinarlo con la proroga di cui alla lettera a).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo, se lo ritiene. Si riserva di farlo.

È iscritta a parlare la deputata Enrica Alfano. Ne ha facoltà.

ENRICA ALIFANO (M5S). Grazie, Presidente. Grazie, rappresentante del Governo. Grazie, colleghi qui presenti. Con questo provvedimento si interviene su più punti della legge n. 111 del 2023 che reca, come ha detto la collega che mi ha preceduto, la delega al Governo per la riforma fiscale; la riforma che avrebbe dovuto segnare il passo, secondo le promesse - ahimè però mendaci - fatte dalla maggioranza e dal Governo, verso un fisco più equo, addirittura amico del contribuente, il che mi sembra quasi un ossimoro, almeno per come si sta realizzando questa riforma.

Con questo provvedimento si proroga il termine per l'emanazione dei decreti attuativi per la riforma dell'ordinamento tributario e si rammenta che, al momento, sono stati già emanati 16 decreti legislativi in attuazione della delega per la revisione del sistema tributario. Ma finora qual è l'effetto che è stato prodotto? Lo vediamo sotto gli occhi di tutti. Si prometteva un fisco che avrebbe dovuto servire di stimolo alla crescita della natalità e abbiamo, l'anno scorso (questi sono dati Istat), il tasso di natalità più basso di sempre: 1,18 nati a coppia. Un fisco che avrebbe dovuto ridurre il carico fiscale del ceto medio, mentre l'Istat certifica, sempre per l'anno scorso, per il 2024, un aumento della pressione fiscale di 1,2 punti percentuali. È proprio il ceto medio che finisce con lo scontare quindi la tassazione più elevata e lo abbiamo detto anche nel corso di altre sedute, in quest'Aula. Infatti, le aliquote legali, nonostante siano tre, di fatto le aliquote marginali sono più di 3, con un picco che tocca il 56,18 per cento per lo scaglione di reddito compreso tra i 32.000 e i 40.000 euro annui.

Questi sono dati che non sono forniti dal MoVimento 5 Stelle, ma dall'Ufficio parlamentare di bilancio. Paradossalmente, dopo i 50.000 euro, l'aliquota che effettivamente si applica coincide con quella legale, che è quella del 43 per cento. Dunque l'imposta si rivela essere addirittura regressiva, salendo verso gli scaglioni di reddito più elevati: un vero e proprio pasticcio, al quale non ancora si è riusciti a rimediare; oppure potrebbe anche essere il frutto di una malcelata volontà di creare un sistema fiscale che protegge i redditi più elevati a scapito dei redditi medi, quelli della classe media, e i redditi dei ceti meno abbienti.

Veniamo a questi ultimi.

Lo abbiamo sottolineato più volte nelle ultime settimane, in quest'Aula: il 9,7 per cento della popolazione residente vive in uno stato di povertà assoluta; sono dati forniti anche dalla Caritas. In Italia, quindi, ci sono circa 5 milioni e 694.000 poveri assoluti: questa è la fotografia ahimè del nostro Paese. L'Italia è il settimo Paese in Europa per incidenza di persone a rischio di povertà e di esclusione sociale: è qualcosa di cui dobbiamo tutti quanti tenere conto. Nessuna attenzione dunque al ceto medio, nessuna attenzione alle classi più deboli, quelle a rischio di esclusione sociale, nessuna attenzione alle giovani generazioni, quelle che, per l'appunto, dovrebbero contribuire all'aumento del tasso di natalità.

Ora che cosa ci dobbiamo aspettare dalla futura adozione dei decreti attuativi dei quali si chiede di prorogare il termine di entrata in vigore? Ahimè, purtroppo, penso, nulla di buono, almeno stando a quanto ha dichiarato ultimamente il Ministro Giorgetti - l'ho ascoltato, anche perché sono nella Commissione per l'attuazione del federalismo fiscale. Lui ha presentato una memoria, è venuto presso la Commissione e, per l'appunto, ha illustrato questa memoria. Queste sono le sue parole, le sue dichiarazioni: “Per una maggiore autonomia e sostenibilità finanziaria, è quindi oggi fondamentale aumentare e migliorare la capacità di riscossione degli enti locali”. Ancora, ha sempre sottolineato nel corpo di questa memoria, è necessario prevedere “un nuovo ente di riscossione dedicato esclusivamente alla gestione e al recupero dei tributi locali, con personale specializzato in questa materia”.

Perché queste dichiarazioni? Perché queste dichiarazioni fanno da eco e da risposta a quanto dichiarato, in un parere espresso dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome, un parere espresso al Documento di finanza pubblica del 2025 in cui si dice, sempre testualmente: “La manovra di bilancio 2025-2027 (legge n. 207/2024) ha previsto un contributo alla finanza pubblica per le Regioni e le Province autonome per gli anni 2025-2029 aggiuntivo a quello a legislazione vigente (...). Questo contributo (...) determina una riduzione di spesa sulle funzioni proprie regionali o dei LEP/LEA, oppure un aumento della pressione fiscale”.

Dunque qual è lo scenario che dobbiamo attenderci, che si apre dinanzi a noi nel prossimo futuro? Più tasse o, in alternativa, meno servizi e, sicuramente, una riscossione capillarizzata. Quest'ultimo inciso non sarebbe nemmeno male; il problema è che ahimè si prevede che la popolazione, i cittadini italiani potranno usufruire, proprio per la mancanza di risorse, di minori servizi.

Veniamo ora alla lettera b) del comma 1, di questo provvedimento. Qui si prevede di tendere una mano, oserei dire, pelosa, se non ispida, agli imprenditori la cui attività si trova in condizioni di crisi o di insolvenza o anche semplicemente di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario. Mi riferisco al codice della crisi d'impresa che, chi mi sta ascoltando, ben conosce. In particolare, si prevede per loro la possibilità di raggiungere un accordo con gli enti impositivi per il pagamento ridotto o dilazionato di tributi, anche di quelli regionali, oltre che di quelli locali come attualmente è invece previsto dalla legge delega. In questo modo, si consente agli imprenditori di transigere il debito accumulato con gli enti territoriali e, a questi ultimi, di recuperare gettito di cui, come dicevo prima, hanno bisogno. Inoltre, si prevede di estendere questa disciplina anche all'istituto dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.

Tutto bene sembrerebbe, però c'è un piccolo, ma significativo inciso: la relazione tecnica a questo provvedimento sottolinea che tale disposizione rappresenta un principio generale di delega che non contiene effetti di natura finanziaria nell'immediato, con la conseguenza che ogni valutazione sull'impatto finanziario di questa disposizione è rinviata - leggo, ancora una volta testualmente - “al momento della predisposizione del decreto delegato di attuazione del principio in esame”.

In fondo, come a dire: non so ora, in questo momento, se si potrà fare una cosa del genere, perché è da vedere se si potrà fare; anche perché non so quanto costa alla finanza dello Stato una cosa del genere. Il punto è che, se veramente vogliamo aiutare le imprese italiane, il modo c'è. Una per tutte, un esempio: basterebbe incrementare l'aliquota dell'imposta sui servizi digitali - ne stiamo parlando per l'appunto in Commissione - in modo da assicurare una più equa contribuzione da parte dei grandi gruppi multinazionali dell'economia digitale. È questa l'economia non del futuro, del presente. Bisognerebbe avere un atto di coraggio che, purtroppo, questo Governo e questa maggioranza non hanno.

Veniamo poi alla previsione della lettera c), con cui si modifica l'articolo 19 della legge delega, introducendo norme che riguardano lo status giuridico ed economico dei magistrati tributari, con riferimento in particolare alle fattispecie disciplinari, al regime delle incompatibilità, della dispensa dal servizio e del trasferimento d'ufficio. Si prevede, già con questo provvedimento, un allineamento della magistratura tributaria a quella ordinaria, ovviamente solo però con i profili che risultano compatibili, in ragione delle funzioni svolte e anche dell'organizzazione dei rispettivi uffici. Restano salve, tuttavia, le prerogative dell'avvio del procedimento disciplinare conferite al Presidente del Consiglio dei ministri, oltre che al presidente della corte di giustizia tributaria di secondo grado. Anche questa disposizione, a mio parere, la dice lunga sull'indipendenza e sulla terzietà della giurisdizione tributaria.

A riprova dell'aggancio esistente di tale magistratura all'Esecutivo, è il fatto che la sanzione disciplinare, anche se viene deliberata dal consiglio di Presidenza, è applicata con un decreto del Ministro delle finanze. Dunque, di quale autonomia dal potere esecutivo vogliamo parlare? Ahimè, mi duole dover dire che anche in questa occasione, ancora una volta, questa maggioranza non si sconfessa: più tasse, più promesse disattese, più svuotamento dei presidi del sistema democratico e anche più controllo sulla vita dei cittadini. Questa, forse, è ancora la cosa più grave: il prendere ancora tempo per non prendere le decisioni che effettivamente e realmente servono al nostro Paese. Questo credo che sia l'appunto più grave: l'inerzia (Applausi dei deputati Scotto e Stefanazzi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Guerino Testa. Ne ha facoltà.

GUERINO TESTA (FDI). Grazie, Presidente. Buongiorno al Sottosegretario Albano e agli onorevoli colleghi. Come ha già detto in premessa la relatrice, la dottoressa, l'onorevole Matera, siamo qui oggi a discutere in prima lettura di un disegno di legge che è composto da un solo articolo, che reca diverse disposizioni che sono volte a modificare in più punti la legge delega n. 111 del 9 agosto 2023, per la riforma fiscale.

Ricordo che l'introduzione di tale normativa, approvata circa due anni fa, ha rappresentato e rappresenta tutt'oggi una delle più importanti riforme strutturali approvate dal Governo Meloni; una riforma attesa da tantissimi anni, circa 50, che gli operatori del settore, delle imprese, i contribuenti e i professionisti aspettavano con grandissima ansia. Ricordo, inoltre, che la riforma fiscale, che è stata approvata il 4 agosto 2023 dal Parlamento, è volta al rilancio strutturale dell'Italia sia dal punto di vista economico, che sociale, come del resto sta avvenendo ed è confermato anche dai principali indicatori economici e statistici.

Voglio dare qualche piccolo segnale positivo che viene dai mercati: +1,03 per cento del PIL nei primi tre mesi; nel 2025 una crescita acquisita del +0,5, con il massimo storico per l'occupazione e dati confortanti che arrivano per l'inflazione. Inoltre, mi piace mettere in rilievo uno storico sorpasso dell'Italia sulla Francia sui titoli del debito pubblico, come dimostrano i rendimenti a cinque anni dei titoli di Stato francesi sui nostri Btp; altro segnale molto significativo che dimostra come il nostro Paese sia in una condizione sicuramente migliore rispetto al passato. L'orientamento dei mercati finanziari dimostra l'inversione di rotta in corso. Se per anni l'enorme debito pubblico ha fatto dell'Italia il malato d'Europa, a rischio di conoscere lo stesso destino della Grecia, ora è la Francia ad attirare l'attenzione preoccupata degli osservatori. Il numero degli occupati è salito in Italia, con un tasso di disoccupazione paragonabile a quella del 2008 e un'inflazione all'1,4 per cento, inferiore rispetto alla media dell'Unione europea del 2,3 per cento.

Queste considerazioni rappresentano soltanto una parte di un più ampio quadro generale della situazione positiva e confermano come il nostro Paese ha basi solide, grazie alla politica economica e fiscale che il Governo Meloni e il Vice Ministro Leo stanno portando avanti, diffondendo ottimismo e fiducia, nonostante i tempi bui e difficili che stiamo attraversando in ambito internazionale e i gufi che dimostrano di essere solo una piccola minoranza che continuano a remare contro l'Italia.

In questo ambito, signor Presidente e cari colleghi, il provvedimento che discutiamo oggi, modificato in sede referente, come dicevo in precedenza, è composto da un solo articolo ed è diretto a prorogare il termine entro cui il Governo può esercitare il proprio potere di delega per la riforma del sistema fiscale, nonché a modificare uno dei principali principi di delega, prevedendo la possibilità di applicare, anche ai tributi delle regioni e degli enti locali, alcuni istituti previsti dal codice della crisi d'impresa.

Si introduce, inoltre, un nuovo principio di delega, relativo allo stato giuridico e al ruolo dei magistrati tributari. Nel dettaglio, l'articolo 1, comma 1, lettera a), modificato in sede referente ai numeri 1) e 2), novella l'articolo 1, recante la delega al Governo per la revisione del sistema tributario e i relativi termini di attuazione, prevedendo la proroga del termine di scadenza della delega per l'attuazione della riforma fiscale da 24 a 36 mesi, decorrenti dalla data di entrata in vigore della legge n. 111 del 2023, quindi al 29 agosto 2026, e il termine di scadenza per la predisposizione di decreti legislativi integrativi e correttivi al 29 agosto 2028, facendo salvo, in entrambi i casi, il meccanismo di proroga automatica dei termini di delega in conseguenza della scadenza dei termini previsti per i pareri parlamentari sui relativi schemi di decreto legislativo. Il comma 1, lettera b), estende la disciplina del trattamento dei debiti tributari, con riferimento al pagamento parziale o dilazionato dei tributi, anche a quelli regionali. Il comma 1, lettera b-bis), invece, sostituisce il principio della diminuzione dei limiti di giocata e vincita con il criterio di revisione al fine di consentire al Governo di dettare una disciplina organica più efficace delle sanzioni penali e amministrative per le violazioni concernente tutto il mondo dei giochi e non solo, come invece previsto dal testo vigente, quello a distanza. Il comma 1, lettera c), infine, prevede l'uniformazione degli stessi, ossia lo stato giuridico e il ruolo dei magistrati tributari, in quanto compatibili a quelli della magistratura ordinaria. Il comma 1, lettera c-bis), inserito in sede referente, proroga di ulteriori 12 mesi, portandolo al 31 dicembre 2026, il riordino organico delle disposizioni che regolano il sistema tributario, mediante la redazione di testi unici, al fine di coordinarlo con la proroga di cui alla lettera a).

Mi avvio alla conclusione, signor Presidente, mettendo in evidenza come tale proroga sia un segnale, un fattore indubbiamente importante, in quanto si dà la completa attuazione alla riforma fiscale in linea con gli obiettivi stabiliti all'inizio della legislatura. La delega fiscale viene prorogata - come ho evidenziato in precedenza nel corso del mio intervento - fino al 31 dicembre 2026, allineando la scadenza a quella dei testi unici. Una decisione che permetterà di consolidare i risultati ottenuti e di completare gli interventi ancora in elaborazione. Contestualmente estendiamo in due punti l'ambito di applicazione della delega. Il primo prevede l'estensione della transazione fiscale ai tributi delle regioni e degli enti territoriali; così facendo si offre uno strumento completo, uniforme, in grado di rispondere adeguatamente alle esigenze dei contribuenti, ma anche di quelle degli altri enti territoriali. L'obiettivo resta quello di costruire un sistema tributario moderno, equo ed efficiente, capace di sostenere la crescita economica, garantire la certezza del diritto e rafforzare il rapporto di fiducia tra Stato e contribuente, un rapporto di fiducia che è stato minato per troppi anni.

Il secondo obiettivo, riguarda l'ordinamento, lo stato giuridico e il ruolo dei magistrati tributari. Questo passaggio completa il quadro di riferimento del contenzioso tributario, al fine di garantire un sistema più efficiente e in linea con i principi del giusto processo. Con questo provvedimento, che questo ramo del Parlamento si accinge a votare, il Governo dimostra determinatezza nel portare avanti l'attuazione della riforma fiscale. La proroga della scadenza della delega, da 24 a 36 mesi, consentirà - grazie al sapiente lavoro del gruppo coordinato dall'autore e regista dell'intera operazione, il Vice Ministro Maurizio Leo - di portare a termine un'attività già avviata su alcune parti della riforma. È importante farlo senza affanni, senza affrettare i tempi, evitando così il rischio di cadere in qualche inciampo.

La riforma fiscale prosegue il suo cammino in maniera puntuale, spedita e va nella direzione giusta, nell'ottica della semplificazione e della razionalizzazione. Chiudo dicendo che, al di là degli slogan e delle frasi fatte, da parte spesso della sinistra e delle opposizioni, ci sono misure concrete che verranno attuate tramite questa delega, che i cittadini e le imprese aspettano da decenni e che ci porteranno ad avere uno Stato più veloce e più equo nella raccolta della tassazione. Caro Presidente, il centrodestra e Fratelli d'Italia sono sempre più convinti e compatti sul fatto che questa sia la legislatura delle riforme attese da troppi anni (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Stefanazzi. Ne ha facoltà.

CLAUDIO MICHELE STEFANAZZI (PD-IDP). Grazie, Presidente. Signora Sottosegretaria, colleghi, inizio facendo una citazione di un collega, caro anche al collega Testa, e do il benvenuto nel regno della “quasità” di Giorgia Meloni, la quale, sin dall'insediamento del suo Governo, ha promesso a più riprese un drastico alleggerimento del carico fiscale sul ceto medio. Annunci in conferenza stampa, video virali ne abbiamo visti tanti, interviste, però, dietro la propaganda, resta quella sensazione del quasi fatto, del quasi possibile, che credo lasci al centrodestra e alla maggioranza l'amaro in bocca.

C'è una narrativa assolutamente autoreferenziale che, però, e questo non lo diciamo noi, si infrange in maniera clamorosa, drammatica direi, contro i numeri della realtà.

La legge di bilancio del 2025, spinta dal sedicente taglio dell'Irpef, ha in verità, com'è noto e come ci siamo detti più volte, prodotto un cortocircuito che ha finito per penalizzare proprio i redditi bassi. Lo diciamo da mesi e anche l'UPB, qualche settimana fa, lo ha confermato in maniera chiara: sostituire il taglio del cuneo contributivo con un sistema di bonus fiscali non ha soltanto comportato una perdita netta per 800.000 lavoratori, come avevamo più volte denunciato, ma la beffa più grande riguarda i cittadini con redditi bassi, penalizzati da questa riforma. Vedranno azzerati o quasi i benefici delle riduzioni delle aliquote a causa del fiscal drag, che rende, purtroppo e inevitabilmente, la busta paga degli italiani esposta all'inflazione. Inflazione che, in termini cumulati fra il 2022 e il 2024, ha raggiunto il 15 per cento e questi sono dati, numeri, e anche se dovesse mantenersi costante intorno al 2 per cento nei prossimi anni, si tradurrà in un aumento del gettito di 370 milioni di euro rispetto al vecchio sistema. Questo, evidentemente, è un enorme vantaggio per il Governo, che incasserà di più. Il tema è capire a carico e a svantaggio di chi ci sia questo maggiore incasso.

La risposta è molto, molto semplice: dei lavoratori dipendenti con redditi bassi. Qualche esempio già fatto più volte: un operaio si troverà a pagare una maggiore imposta del 5,5 per cento, pari circa a 79 euro, una cifra che è più alta del 50 per cento rispetto a quanto avrebbe pagato per il drenaggio fiscale prima della riforma, cioè 67 euro. Agli impiegati non andrà meglio, anzi probabilmente peggio, perché la categoria verserà nel complesso quasi 1,2 miliardi in più, 141 euro a testa, contro i 989 milioni di aggravio totale, cioè 116 euro pro capite che erano stimati prima della riforma. Numeri, sempre solo numeri.

Sempre al regno della “quasità” appartiene il concordato preventivo biennale, spacciato come la panacea di tutti i mali del contenzioso tributario. I dati, anche questi appena diffusi, parlano di stime ampiamente al di sotto delle previsioni del MEF. Le partite IVA, come era prevedibile peraltro - insomma, chiunque abbia un minimo di conoscenza del settore se lo aspettava - si sono tenute alla larga, perché i coefficienti di redditività erano irrealistici, le scadenze troppo strette e l'area dell'accertamento altroché azzerate. Doveva essere l'architrave, come è stato ricordato dalla collega del MoVimento 5 Stelle, del fisco collaborativo e, invece, è diventato il simbolo plastico della distanza fra Palazzo Chigi e chi produce ricchezza in questo Paese. Fin qui, quindi, promesse disattese, errori marchiani, misure rivoluzionarie trasformate in buchi d'acqua.

A fronte di questo bilancio poco lusinghiero, il Governo che fa? Presenta un disegno di legge di un solo articolo per spostare di altri 18 mesi, fino al 31 dicembre 2026, il termine per l'esercizio della delega e, addirittura al 2028 quello per i decreti correttivi. Se non è una confessione plastica di un fallimento questo, non so veramente cosa può essere. Una delega, direi, a tempo indeterminato, priva di coperture, di visione, che non fa che alimentare l'incertezza normativa e comprimere il ruolo del Parlamento che, ormai - ma questo non è il primo provvedimento che lo certifica - si è trasformato in un mero timbrificio di decreti che vengono partoriti, di volta in volta, a Palazzo Chigi. Il quadro di attuazione, aggiornato a oggi, parla molto chiaro: sono stati pubblicati 20 decreti legislativi, mancano i capitoli più sensibili. Ve li cito: il secondo modulo Irpef e la revisione di IRAP e Ires; la riforma organica dell'IVA; il riassetto delle addizionali regionali e comunali; il capitolo del federalismo fiscale; poi, il completamento del codice tributario e la trasformazione in testo unico.

Il Governo, quindi, chiede più tempo non per fare un lavoro di cesello, di miglioramento generale, ma per iniziare ad occuparsi oggi, adesso, a tre anni da quando è al Governo, di fronti che ha completamente ignorato. Non basta. Con un emendamento dell'ottima relatrice Matera, il provvedimento interviene su tre materie: introduce la possibilità di un pagamento parziale o dilazionato dei tributi, senza definire né criteri di accesso, né copertura finanziaria; modifica, ancora una volta, per l'ennesima volta, lo stato giuridico dei magistrati tributari, riformato solo 12 mesi fa, gettando ulteriore confusione sugli organici e sulle carriere; poi, soprattutto per quanto riguarda il Partito Democratico, riscrive i principi guida sui giochi pubblici. Su quest'ultimo punto la delega originaria imponeva di diminuire i limiti di giocata e di vincita per tutelare i soggetti vulnerabili. Oggi la maggioranza sostituisce quel verbo con una nebulosa revisione, spalancando - temiamo - la porta a un possibile aumento delle puntate massime e al contestuale ampliamento dei punti vendita.

È un colpo di spugna, direi, all'articolo 32 della Costituzione e alle raccomandazioni che, solo poche ore fa, l'Istituto superiore di sanità ha ulteriormente ribadito rispetto al gioco patologico. In Commissione il Partito Democratico ha presentato emendamenti per ripristinare il limite restrittivo, per ridurre i punti fisici e per destinare in modo vincolante il gettito aggiuntivo alle ASL che combattono una battaglia impari contro le patologie da gioco. Questi emendamenti sono stati, ça va sans dire, tutti bloccati e sono segno di un Governo che continua a vedere il gioco d'azzardo come un interessante bancomat e non come un fenomeno sociale da attenzionare e regolamentare.

Resta, poi, la questione dei tributi locali, di cui abbiamo già detto. La delega istituisce un Fondo di perequazione per evitare che le regioni più povere alzino le aliquote, ma il decreto attuativo, com'è noto, non è mai arrivato, con il rischio di fare esplodere l'imposizione territoriale in una fase successiva. Quindi, noi siamo attualmente con una bomba innescata, pronta ad esplodere. Lo stesso vale per l'IVA e le accise ambientali, dove l'Esecutivo brandisce una retorica della transizione verde, ma non ha scritto una riga sulle modalità con cui salvaguardare i redditi medio-bassi dall'aumento del prelievo sui consumi. Questa, mi sembra davvero chiaro e non c'è neanche bisogno di sottolinearlo, non è una proroga tecnica, è proprio una cambiale firmata in bianco al Governo.

Più la si tira in avanti, più si sommano gli effetti perversi di una riforma incompiuta: accavallamento di aliquote, continue modifiche ai software gestionali delle imprese, incertezza sui contratti a lungo termine, e soprattutto si rinvia la redistribuzione del carico fiscale a vantaggio di salari e pensioni, che oggi reggono, com'è noto, quasi interamente sulle loro spalle il sistema delle entrate dello Stato.

Il Partito Democratico ha presentato in Commissione emendamenti per sopprimere la proroga e concentrare gli sforzi su fronti che riteniamo oggettivamente decisivi: in primis, varare un aumento entro l'autunno del secondo modulo Irpef, entro settembre, finanziato dal recupero delle spese inefficaci e da un contributo di solidarietà sui grandi patrimoni; unificare addizionali regionali e comunali in un'unica aliquota progressiva, con meccanismi di perequazione; approvare il decreto sui tributi ambientali e accise verdi, accompagnandolo, però, con un credito d'imposta per i soggetti in povertà energetica; infine, completare la sezione del codice tributario relativa alla giurisdizione, per dare finalmente certezze agli operatori.

Abbiamo anche avanzato proposte più di dettaglio in tema di semplificazione fiscale, come il calendario certo degli adempimenti, la razionalizzazione delle ritenute alla fonte, la lotta all'evasione con il potenziamento dell'analisi di rischio dell'Agenzia delle entrate, l'interoperabilità delle banche dati e l'obbligo di fatturazione elettronica esteso a tutte le prestazioni professionali. Però, la maggioranza, come sempre, d'altra parte, non ha voluto saperne; prorogare, d'altra parte, è più facile che decidere, soprattutto quando mancano volontà, visione e, ahimè, risorse.

Quindi, temo che non possiate continuare a chiedere fiducia mentre accumulate ritardi e rattoppi. Non potete continuare a chiedere agli italiani di pazientare, non potete continuare a illuderli, dicendo che ci siamo quasi. Il Paese ha bisogno di un fisco stabile, progressivo e trasparente, ha bisogno di una delega che viva di scelte e non di proroghe, ha bisogno di una maggioranza capace di impegnarsi sui numeri e non di rifugiarsi sugli slogan. Soprattutto, ha bisogno che le riforme fiscali migliorino la vita di chi lavora e produce, e non alimentino un cantiere infinito di norme transitorie.

Per questa ragione il gruppo del Partito Democratico voterà convintamente contro. Lo facciamo in coerenza con i principi di progressività e solidarietà scolpiti nella Costituzione, che sono, invece, completamente pretermessi e ignorati dalla vostra riforma, e con l'auspicio, questo sì, veramente accorato, che il Parlamento torni finalmente ad essere protagonista e non spettatore delle scelte fiscali che si assumono altrove (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e della deputata Alifano).

PRESIDENTE. Saluto i rappresentanti dell'Istituto di istruzione superiore “John Fitzgerald Kennedy”, di Monselice, in provincia di Padova, che assistono ai nostri lavori dalle tribune (Applausi). Grazie per essere qui con noi, ci fate compagnia anche nel pieno dell'estate, e quindi questo fa onore alla vostra crescita.

Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 2384-A​)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice: rinuncia.

Ha facoltà di replicare la rappresentante del Governo: rinuncia.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Scotto, Barzotti, Mari ed altri n. 1-00444 concernente iniziative in materia di povertà lavorativa (ore 11,45).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Scotto, Barzotti, Mari ed altri n. 1-00444 concernente iniziative in materia di povertà lavorativa (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori (Vedi calendario).

Avverto che, in data odierna, è stata presentata la mozione Boschi ed altri n. 1-00475 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente (Vedi l'allegato A). Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritto a parlare il deputato Arturo Scotto, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00444. Ne ha facoltà.

ARTURO SCOTTO (PD-IDP). Signor Presidente, signori del Governo, il 30 aprile di quest'anno il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha lanciato un allarme molto forte sui bassi livelli salariali e, soprattutto, sui rischi che essi determinano dal punto di vista della fuga di larghi strati di popolazione giovanile dal nostro Paese. Come lei sa, signor Presidente, questa denuncia cadde abbastanza nel vuoto. La Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in un video - mi passi il termine - un po' singolare nel giorno della festa delle lavoratrici e dei lavoratori, oltre a snocciolare risultati molto discutibili, che poi proverò a smontare, dal punto di vista della tenuta occupazionale e dal punto di vista delle leggi messe in campo, negò esplicitamente che in Italia ci fosse un problema salariale e di povertà lavorativa.

Ovviamente lo negò senza citare i dati, senza nemmeno essersi presa la briga di andare a verificare cosa dicevano, praticamente in maniera unanime, Eurostat, OCSE e Istat: che l'Italia è un Paese dove i redditi sono troppo bassi, soprattutto i redditi da lavoro, e dove chi per vivere deve lavorare molto spesso rischia di scivolare nella povertà. Non è sempre stato così, lavoro e povertà non sono mai stati sinonimi. Eppure, per una larga fascia di lavoratori italiani, l'Eurostat sostiene che il 9 per cento dei lavoratori impiegati a tempo pieno del nostro Paese sono già scivolati sotto la soglia di povertà.

Se poi andiamo a guardare i dati che riguardano chi ha un contratto precario, chi ha un contratto intermittente, chi vive di voucher, che ha il part time e chi ha il part time involontario, ci rendiamo conto che questi numeri sono molto più significativi.

Secondo la Fondazione Di Vittorio, sono oltre 6 milioni le lavoratrici e i lavoratori che vivono sotto la soglia dei mille euro e sono 4 milioni i lavoratori che vivono e lavorano sotto la media dei 9 euro lordi l'ora. Piuttosto che lanciare anatemi nei confronti dell'opposizione, che, dal punto di vista di questa destra, spesso appare disfattista o antipatriottica, occorrerebbe lanciare insieme quell'allarme e provare insieme a costruire le strategie di uscita.

Noi chiediamo, da questo punto di vista, un'attenzione, una riflessione comune di un testo, di una mozione che è stata sottoscritta e costruita insieme dal Partito Democratico, dal MoVimento 5 Stelle e da Alleanza Verdi e Sinistra. Che cosa diciamo? Esiste un'emergenza salariale, esiste un'emergenza dei redditi più poveri, e questa emergenza va affrontata attraverso alcune iniziative, che devono essere molto, molto più incisive.

E, dunque, signor Presidente, occorre innanzitutto partire da un dato: se 22 Paesi su 27 hanno il salario minimo legale, non è perché sono impazziti, non è perché sono contrari alla contrattazione collettiva. Vorrei ricordare sommessamente al Presidente e al Governo che la contrattazione collettiva in questo Paese è altissima, ma lo è anche in Germania e in Francia. E in Germania e in Francia non si sono fatti troppi scrupoli a introdurre una soglia, per legge, sotto la quale nessuno dovesse lavorare.

Quella soglia, noi l'abbiamo individuata a 9 euro lordi l'ora. Pensiamo sia una soglia giusta, certificata da tutti gli istituti. È una soglia di sopravvivenza, sotto la quale dire che il lavoro non è sfruttamento significa negare la realtà, non conoscere l'Italia. Significa, allo stesso tempo, introdurre una legge sulla rappresentanza che riduca al massimo i contratti, che lavori per riunificare il mondo del lavoro, che dia potere ai lavoratori per decidere sul loro destino e sui contratti che vengono firmati, ma che soprattutto spazzi via la vergogna dei contratti pirata, che buttano giù il salario, i livelli di lavoro retribuito e la qualità del lavoro. Non ve lo dobbiamo dire noi che al CNEL sono depositati 1.037 contratti di lavoro e che spesso all'interno di un solo luogo di lavoro sono applicati diversi contratti, diverse condizioni salariali e diverse condizioni di lavoro.

Occorre dunque una riforma. Vede, il salario minimo non è una misura redistributiva, o almeno non lo è soltanto. È un dispositivo selettivo di politica industriale: significa che il nostro modello di impresa ha l'ambizione di concorrere sulla scala del valore globale, sulla base di salari alti e di tutele alte. Voi, invece, in questi ultimi due anni, avete immaginato un modello di sviluppo e un modello economico che competeva sulla fascia bassa della catena del valore globale, cioè che immaginava che, comprimendo il costo del lavoro e abbassando il livello delle tutele, questo Paese crescesse. E invece i risultati sono sotto gli occhi di tutti: 28 mesi consecutivi di calo della produzione industriale. Siete stati un Governo che ha scommesso su processi di deindustrializzazione del nostro Paese. Ma quando un Paese, signor Presidente, si deindustrializza, è un Paese che ha il lavoro povero. Tant'è che i dati sono abbastanza evidenti: se osserviamo la crescita del divario tra indigenti e benestanti, vediamo che anche, nel 2024, questo divario è cresciuto; nel 2023, il primo decile più povero deteneva il 2,7 per cento del reddito complessivo nazionale e, nel 2024, ne deteneva il 2,5; mentre, invece, nel 2023, il decile più ricco di questo Paese deteneva il 24,8 per cento del reddito nazionale, e nel 2024 ne deteneva il 25 per cento. Significa che avete regalato ulteriori soldi a quelli che non ne avevano bisogno, mentre avete penalizzato le fasce più povere, quelle che non ce la fanno a mettere insieme il pranzo con la cena. E non avete neanche messo in campo una politica per rinnovare i contratti e garantire maggiori entrate al lavoro dipendente.

Vi stupite che la gente se ne vada da questo Paese, che se ne vada la meglio gioventù, che se ne vadano i laureati. Ma se è lo Stato, se è il Governo che sceglie di rinnovare, spaccando il sindacato, il contratto del pubblico impiego, riconoscendo un terzo dell'inflazione perduta, se è quello stesso Governo che non muove un dito per garantire che il contratto dei metalmeccanici venga finalmente firmato dopo 40 ore di sciopero, significa che questa emergenza per voi non esiste.

E, allora, signor Presidente, la nostra mozione dice una cosa molto semplice: occorre andare in una direzione diversa, occorre fermare la caduta dei salari, occorre rafforzare il potere d'acquisto dei lavoratori, occorre fare presto anche di fronte all'emergenza che si è aperta: il ricatto della guerra commerciale di Donald Trump nei confronti dell'Europa non lo risolvi con la diplomazia dei selfie, non lo risolvi dicendo “ho un rapporto migliore con un Presidente instabile, inadeguato e che minaccia l'Europa”…

PRESIDENTE. Concluda, per favore.

ARTURO SCOTTO (PD-IDP). Lo risolvi se hai politiche economiche e industriali, lo risolvi se metti in campo uno scudo per il lavoro, a partire dal lavoro povero.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Barzotti. Ne ha facoltà.

VALENTINA BARZOTTI (M5S). Grazie, Presidente. Questo è un Paese povero, ve lo diciamo sempre, ogni volta che ne abbiamo l'occasione. È un Paese povero, perché, con il Governo Meloni, abbiamo il record assoluto di poveri, ossia 5,6 milioni di persone. Abbiamo il 9,6 per cento della popolazione in povertà e, notizia di oggi, abbiamo il 26,7 per cento dei minori che sono a rischio povertà.

Quando parliamo di povertà del nostro Paese, inesorabilmente dobbiamo necessariamente parlare di povertà lavorativa, ed è il motivo per cui oggi abbiamo deciso di porre in discussione questa mozione, primo firmatario il collega Scotto, firmata dal MoVimento 5 Stelle e da Alleanza Verdi e Sinistra. Perché abbiamo deciso di portare avanti questa battaglia sulla povertà lavorativa tutti insieme? Perché, Presidente, se il lavoro è povero, significa che il fondamento della nostra Repubblica è fragile, è povero. Se il lavoro è povero, lo Stato di diritto è povero. E il lavoro povero, colleghi, non nobilita, uccide.

Poi ci sono tutte le vostre narrazioni strumentali, le vostre narrazioni propagandistiche, la vostra insopportabile propaganda, che fa male: quella dell'occupazione che cresce, quella dell'occupazione che è veramente in aumento tendenziale, ma senza andare a vedere la qualità dell'occupazione che state offrendo, senza parlare dei giovani in fuga, senza parlare delle donne, di cui una su due in Italia non lavora; quella di un salario minimo, che servirebbe, ma che invece secondo voi, fa male, è l'apocalisse, il problema di tutti i problemi, il salario minimo che abbasserebbe addirittura i salari, il salario minimo che addirittura andrebbe contro la contrattazione, il salario minimo che suona da Paese non democratico, come dice il vostro Vice Ministro degli Esteri.

Quello che voi non accettate, colleghi, è che ci sono veramente Paesi in cui il salario minimo - e sono 22 Paesi su 27 in Europa - sta funzionando e non porta alcuno di questi risultati negativi che voi state portando in giro. La Germania addirittura lo sta aumentando a 15 euro all'ora. Invece voi non pronunciate una parola sul salario minimo, sul lavoro povero, sul fatto che ci sono 26 mesi consecutivi di calo della produzione industriale, sul fatto che l'aumento dell'occupazione in realtà è un'economia da bar, e viene favorita un'occupazione a bassa produttività. Non parlate del fatto che il lavoro è povero di salario, è povero di salute e sicurezza sul lavoro, è povero di futuro. Perché è povero di salario, colleghi? Perché non parlate di questi 4 milioni di lavoratori e lavoratrici che non arrivano neanche a 1.000 euro al mese? Perché non li guardate, perché fate finta di non vederli?

Non è giusto quello che sta succedendo. Voi parlate del lavoro che funziona, di un lavoro che è da record storici, una società perfetta in cui i nostri lavoratori sono perfettamente in grado di far fronte ai propri bisogni quotidiani. Non è così, colleghi, state mentendo quotidianamente e, soprattutto, vi state girando dall'altra parte.

Questi lavoratori non sono una platea di lavoratori invisibili, sono persone che si occupano di pulizie, che lavorano nei bar, che si occupano di servizi fiduciari e vigilanza privata. Perché non considerate queste persone? Venite qui a raccontarci di quanto siete bravissimi nella gestione del nostro Paese. E noi possiamo anche dire: probabilmente, l'economia sta andando meglio. Ma allora perché non considerate queste persone? Queste persone chi sono per voi? Non esistono? Sono invisibili? Che cosa sono? Sono i dati che ci dicono questo, colleghi. Non siamo noi che vi parliamo di salario minimo perché ci va di parlare di salario minimo. I dati dicono una certa cosa e voi, puntualmente, fate finta di non vedere. Questo, colleghi, non è giusto. Non è giusto per l'istituzione che siamo qui a rappresentare. Non è giusto far finta di non vedere 4 milioni di persone. Non è giusto far credere alle persone - a queste persone! - che loro non sono un problema che può interessarvi. Questo non è accettabile (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle e del deputato Scotto)!

Perché voi ci dite: no, ma va tutto benissimo. Ma allora perché non parlate di queste persone? Perché non proponete niente? Noi vi abbiamo proposto l'introduzione di un salario minimo per legge in tutti i modi possibili: abbiamo fatto una proposta di legge condivisa con le altre opposizioni, firmata dal Presidente Conte, Schlein e Fratoianni, e poi da tutte le opposizioni unite, e voi avete deciso di stravolgerla e di fare una delega che chissà quando vedrà la luce. Avete fatto finta di non vedere la proposta di iniziativa popolare firmata da 120.000 cittadini e cittadine, che chiedono l'introduzione di questa misura. Fate finta di non vedere la giurisprudenza, che si è formata sul lavoro povero. Sono stati disapplicati i contratti, sono state disapplicate remunerazioni bassissime: 4-5 euro l'ora. Su queste persone, voi muti, silenzio, si fa finta di non vedere. Noi no, colleghi. Noi siamo qui, rappresentiamo queste persone. Ci vedete, ci state guardando? Noi rappresentiamo queste persone, siamo al loro fianco e pretendiamo che anche voi guardiate questo problema e vi muoviate per introdurre il salario minimo per legge, che è una misura che serve, al posto di continuare con la vostra inutile e becera propaganda.

E non è finita, colleghi, perché non parliamo di lavoro povero solo per i salari, per la mortificazione di una persona che va a lavorare e deve fare i doppi turni e le notti per arrivare a un salario decente a fine mese, con tutte le conseguenze che questo può comportare. C'è anche tutto un tema di salute e sicurezza sul lavoro. Voi parlate dell'occupazione tendenziale che aumenta, ma non parlate del fatto che gli infortuni sul lavoro sono lì, inchiodati; 1.000 euro, stipendio bassissimo, e poi abbiamo infortuni sul lavoro e persone che hanno malattie professionali, che aumentano a più 20 per cento. Di questo non si dice niente. Gli infortuni in itinere aumentano: silenzio stampa. Ci proponete la patente a crediti per il settore edile, un po' di burocrazia in più, che tanto non fa mai male in questo Paese, e soluzioni concrete zero. Sono i dati che lo dicono, colleghi, andate a vederli. Perché dovete fare solo propaganda? Parlate dei dati. Io di questo voglio sentirvi parlare.

E poi, povertà lavorativa cos'altro vuol dire? Vuol dire giovani senza futuro. Vuol dire persone che sono andate via dal nostro Paese. I dati, anche in questo caso, sono impietosi: abbiamo 550.000 persone che in 13 anni sono andate via e ne sono rientrate 153.000; abbiamo tra i 15.000 e i 20.000 laureati STEM che se ne sono andati, e poi ci lamentiamo di un Paese che invecchia, di un Paese che non ha forza lavoro, di un Paese che è al collasso.

Purtroppo, colleghi, il fatto che i giovani se ne vadano, il fatto che questo non sia un Paese per giovani, contribuisce alla non tenuta sociale del nostro Paese, all'aumento della povertà e alla mancanza di forza lavoro. Sono i dati che ci dicono che i giovani, quando se ne vanno all'estero, trovano un lavoro a tempo indeterminato nel primo anno e con salari più alti del 50 per cento. Perché all'estero possono e noi no, colleghi? Perché non dite niente su questo?

Presidente, io vorrei dire questo: ho sempre lavorato, fin da quando avevo 16 anni. Ho fatto lavori a bassa produttività, ho lavorato in settori della ristorazione, nella cosiddetta economia da bar. Ho lavorato veramente in tanti settori e in tante situazioni, mentre studiavo per prendere il titolo di avvocato, e devo dire che quello che sto vedendo adesso è peggio di quello che era vent'anni fa. Vedo veramente un'economia da bar, caratterizzata dallo sfruttamento, dal lavoro nero, da giovani che non hanno alcuna prospettiva di futuro. Ebbene, Presidente, queste persone sono in modalità sopravvivenza.

E non è possibile in un Paese decente, soltanto perché “ancora grazie che hai un lavoro”. Questo non è accettabile in un Paese decente, in un Paese civile, in un grande Paese come l'Italia. E non vediamo assolutamente alcun tipo di misura concreta, quindi auspico l'approvazione di questa mozione unitaria e l'adozione di qualche provvedimento concreto che possa andare effettivamente a invertire questa tendenza drammatica, perché quello che stiamo vedendo non è normale (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle e del deputato Scotto).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Coppo. Ne ha facoltà.

MARCELLO COPPO (FDI). Grazie, Presidente. Ho sentito gli interventi precedenti e, magari, trenta secondi di replica si possono anche fare, nel senso che c'è stata un'accusa di regalare soldi a chi non ne aveva bisogno e io, l'unica risposta che posso dire, è: pensate un po' da che pulpito viene la predica. Perché, bene o male, di soldi, dall'altra parte, a chi non ne aveva bisogno, ne hanno veramente dati e decisamente tanti. Dall'altra parte, c'è stata l'accusa di non fare niente sul lavoro povero e di non parlarne. Peccato che i dati - visto che si parlava di dati - dicono esattamente il contrario.

Ragioniamo, per esempio, dell'occupazione. Sull'occupazione i dati parlano chiaro: a maggio del 2025, il numero di occupati è pari a 24.300.000 lavoratori ed è in crescita rispetto al mese precedente; aumentano oltretutto i dipendenti permanenti, cioè quelli a tempo indeterminato, che diventano 16.420.000, e gli autonomi, 5.223.000, mentre diminuiscono i contratti a tempo determinato, che scendono a 2.659.000. Quindi l'occupazione cresce, rispetto al 2024, con 408.000 occupati in più, di cui 388.000 a tempo indeterminato, gli autonomi sono 175.000 in più, e c'è un calo, ovviamente, di 155.000 del tempo determinato. Su base mensile crescono i tassi di occupazione e disoccupazione: abbiamo un tasso di occupazione del 62,9 per cento e di disoccupazione del 6,5 per cento. Perché crescono entrambi? Perché uno dice: se ci sono più occupati, come fanno aumentare anche i disoccupati? Semplicemente perché quelli inattivi, quelli che non studiano e non lavorano, sono diminuiti. Ciò vuol dire che ci sono più persone che vogliono entrare nel mondo del lavoro, e quindi questo dato è positivo. Oltretutto, questo dato non è frutto del caso, non ce lo siamo trovato così, né abbiamo tirato i dati, ma è frutto della scelta coraggiosa del Governo Meloni di uscire dalla logica dell'assistenzialismo, incentrata sul reddito di cittadinanza, e quindi di provare a investire su lavoro, formazione e impresa. Questi numeri smentiscono, quindi, chi continua a raccontare un'Italia in crisi: l'occupazione cresce e cresce in modo stabile. Oltretutto, in una situazione internazionale che tutti conosciamo. E non scordiamoci di donne e giovani, che sono anche la grande forza del cambiamento, perché la crescita occupazionale riguarda anche le categorie più fragili.

L'occupazione femminile ha raggiunto il 55,7 per cento - perché prima ce n'era di meno, quando governava qualcun altro -, il valore più alto mai registrato in Italia. Dietro questo numero ci sono donne che hanno scelto di rimettersi in gioco e che hanno trovato, finalmente, spazi e opportunità. E così anche i giovani dai 25 ai 34 anni registrano una crescita dell'occupazione del 3,2 per cento su base annua. Dopo anni di rassegnazione, oggi i giovani tornano protagonisti. Tutto questo grazie a misure concrete: incentivi all'assunzione, bonus under 30 e donne, sgravi contributivi, politiche di formazione personalizzate. L'Italia sta tornando un Paese in cui lavorare è non solo possibile, ma conveniente.

In più, un tassello importante è il nuovo welfare, dalla partecipazione all'autonomia: cioè, abbiamo abolito il reddito di cittadinanza non per punire i più fragili, ma per superare un modello che creava dipendenza, invece di emancipazione. Al suo posto abbiamo introdotto l'assegno di inclusione, destinato a chi ha davvero bisogno, accompagnato da percorsi di attivazione, formazione e reinserimento lavorativo. Parallelamente, stiamo investendo nelle politiche attive del lavoro: digitalizzazione dei centri per l'impiego, piattaforme intelligenti di matching domanda-offerta, incentivi mirati per le imprese che formano e assumono. Il nuovo welfare non è più una rete che trattiene, che soffoca, ma una rete che accompagna, e questo è un cambio culturale che contribuisce a una società più giusta e più moderna.

Ma non ci fermiamo qua, proprio su quello che è il lavoro povero, perché noi abbiamo fatto il più grande taglio del cuneo fiscale: più netto in busta vuol dire più dignità. Una delle riforme più concrete di questo Governo è il taglio del cuneo fiscale, fino a 7 punti percentuali per redditi medio-bassi. Questa misura ha aumentato il netto in busta paga per milioni di lavoratori, restituendo dignità a chi lavora.

In parallelo, abbiamo riformato le aliquote Irpef, alleggerendo il carico fiscale sulle fasce più deboli. Non è propaganda, questa è realtà. Oggi chi lavora porta a casa più soldi: abbiamo scelto di togliere le tasse, non certo i diritti, come ha fatto qualcun altro. Questa è la via giusta per combattere il lavoro povero: dare di più a chi dà tutto ogni giorno.

E non scordiamoci - perché, poi, quando si parla di lavoro povero, ci si scorda di qualcosa di importante - le partite IVA. Rispettare chi produce ogni giorno; c'è un'Italia che lavora in silenzio, senza ferie, senza tredicesima, senza paracaduti: sono le partite IVA. Professionisti, freelance, artigiani, piccoli imprenditori, giovani coraggiosi: per troppo tempo sono stati ignorati, ma non dal Governo Meloni. Abbiamo introdotto la flat tax incrementale fino a 85.000 euro, ridotto gli acconti fiscali, semplificato gli adempimenti digitali e inserito nuove tutele nella delega fiscale: maternità, malattia, previdenza. Le partite IVA sono una spina dorsale dell'Italia produttiva, non devono più essere invisibili e oppresse e noi abbiamo iniziato a metterle al centro dell'agenda politica e faremo anche di più.

Arriviamo quindi ai salari minimi, che devono crescere, certamente, con responsabilità. Siamo contrari all'idea di un salario minimo legale, fissato per legge, che rischia di diventare un tetto e non certo un pavimento per le retribuzioni. Uno strumento per far crescere i salari è la contrattazione collettiva fondata sulla rappresentanza e sul dialogo tra le parti. In questi mesi abbiamo sostenuto oltre 50 rinnovi contrattuali nei settori pubblici e privati, che erano fissi, fermi già da tantissimo tempo. In molti casi si è registrato un aumento dei minimi tabellari.

Più salario, sì, ma attraverso il confronto serio e responsabile. Non serve imporre una soglia dall'alto, serve rafforzare gli strumenti che già oggi garantiscono equilibrio, tutele e crescita salariale. Un'imposizione dall'alto non farebbe altro che spingerli verso il basso. E poi la domanda è: chi li firma quei contratti a 5 euro lordi all'ora? Forse quelli che chiedevano i referendum? Probabilmente, non so, sarà, una risposta, l'avremo prima o poi, Presidente.

Produttività, energia, tecnologia, un Paese che guarda avanti. Se vogliamo parlare seriamente di lavoro povero e salari troppo bassi, dobbiamo affrontare un nodo strutturale, che è la produttività. Quando la produttività è stagnante e il costo dell'energia è alto, difficilmente si possono garantire salari dignitosi. Per questo Fratelli d'Italia ha il coraggio di fare scelte che altri hanno evitato per anni. Il “no” al nucleare è stato uno degli errori strategici più gravi del nostro Paese, un errore che ha pesato sulle bollette di famiglie e imprese e sui costi che gravano sul lavoro, costi che tolgono soldi, ovviamente, ai salari. Il Governo Meloni ha riaperto la via italiana al nucleare, con tecnologie moderne, sicure e sostenibili e questo servirà in una nuova prospettiva a lungo termine.

Ma non basta, stiamo accompagnando imprese e pubbliche amministrazioni in una transizione digitale, con investimenti in tecnologie e intelligenza artificiale. L'innovazione consente di abbattere i costi, aumentare l'efficienza e far crescere così i salari in modo sano e strutturale. Diminuendo i costi da altre parti, si può investire anche nel salario.

Quindi concludo, Presidente. Il lavoro povero si combatte con occupazione stabile - lo stiamo facendo -, salari dignitosi - ci stiamo lavorando e abbiamo fatto il cuneo fiscale -, meno burocrazia e più fiducia e questo può avvenire grazie a un costo competitivo dell'energia, alla tecnologia e, quindi, a una migliore produttività.

Il Governo Meloni ha scelto la via della concretezza: più occupazione, più stabilità, più futuro. Abbiamo messo fine all'assistenzialismo, aumentato il netto in busta e cercheremo di fare di più. Abbiamo cominciato a difendere le partite IVA, sostenere la contrattazione salariale, investire in tecnologia e rilanciare il nucleare. Non promettiamo miracoli, produciamo solo dei risultati e continueremo a farlo perché l'Italia merita un lavoro che sia davvero libertà e dignità (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mari. Ne ha facoltà.

FRANCESCO MARI (AVS). Grazie Presidente. Intervengo anche per rispondere, per suo tramite, al collega Coppo. Collega, stiamo parlando di povertà lavorativa: abbiamo conosciuto un lungo ciclo, in questo Paese, di crescita senza occupazione, adesso conosciamo un'occupazione fragile e povertà di chi va a lavorare. Se vi volete vantare di questo, fatelo pure, ma io credo che corriate un serio rischio. Quello che abbiamo detto in questa mozione è stato confermato il 9 luglio dal rapporto OCSE, che ci ha detto che in questo Paese c'è il calo, il crollo più significativo dei salari reali tra tutti i Paesi OCSE.

Bassanini, direttore dell'OCSE, ci dice una serie di cose, alcune ovviamente sono una fotografia della situazione: salari - come abbiamo detto - fermi al 2021, cresciuti del 7,5, in modo - diciamo così - anomalo rispetto a tutti gli altri Paesi dell'OCSE, in particolare al resto d'Europa. Ci ha detto una cosa importante: nel 1995, i giovani guadagnavano l'1 per cento in più degli anziani; oggi, nel 2025, gli anziani guadagnano il 13,8 per cento in più dei giovani. Un'altra cosa di cui non c'è niente di cui vantarsi e che dovrebbe portare un Governo serio a lanciare un grido d'allarme e a programmare un intervento ragionato, sistematico sulla questione dei salari, ma non c'è niente di tutto questo.

Poi il rapporto OCSE ci dice un altro paio di cose. Fa una valutazione politica: le imprese hanno difficoltà ad aumentare i salari in assenza di un aumento della produttività. Questa è una valutazione tutta politica: se gli altri Paesi europei avessero fatto la stessa cosa, ora sarebbero messi come noi o non sarebbero nella situazione in cui stanno. Evidentemente, in tutti gli altri Paesi si è ritenuto che un aumento dei salari e, addirittura, una riduzione del tempo di lavoro fossero fattori positivi per la crescita dell'occupazione e per la crescita dei salari.

Qui - e vengo all'ultima affermazione che fa Bassanini - abbiamo fatto tutt'altro, e l'OCSE e Bassanini ci dicono una cosa precisa: quello che sta accadendo è il risultato di una tendenza, di politiche relative al mercato del lavoro, che durano da 25 anni. Questo è il punto, perché tutte le cose che ci dite non sono nuove, sono esattamente la ricetta che ci ha portato fin qui.

Noi siamo in questa condizione drammatica, mentre voi vi vantate della nuova occupazione. Davvero è bizzarra questa cosa: qua siamo di fronte a persone che vanno a lavorare e non possono vivere. La narrazione del Governo non solo impatta con la condizione reale delle persone, delle famiglie, delle lavoratrici e dei lavoratori, ma rischia - anche per voi - di andare a cozzare con il Paese reale. Noi siamo di fronte a questa situazione ed è il prodotto di tutto quello che si è fatto in questi 25 anni. Qui c'è la correttezza della fotografia dell'OCSE.

È possibile cambiare dopo 25 anni? C'è un problema, è vero: non è facile cambiare politiche dopo 25 anni; questo è un ciclo lungo, che ha sedimentato e ha stratificato politiche, legislazione, relazioni industriali. Siamo in una condizione particolarmente drammatica, ma per questo le opposizioni fanno una mozione sul lavoro povero, provando a individuare delle risposte e delle soluzioni e la maggioranza non può rispondere in questo modo.

C'è una questione che sta al centro della vita delle persone, delle italiane e degli italiani, e voi rispondete: “tutto va bene, madama la marchesa”. Ma è possibile una cosa di questo tipo? È un fatto di una gravità assoluta. Volete mettere in campo altre ricette? Confrontiamoci su altre ricette, ma voi non avete la ricetta, voi avete il prodotto esattamente del lavoro povero. La crescita di occupazione che stiamo avendo è il risultato, non è una causa, è l'effetto del lavoro povero. Stiamo distribuendo il lavoro tra più persone. E oggi, nel 2025, di fronte alle sfide che abbiamo, questa può essere una politica del lavoro per un Paese serio? Oltretutto - e chiudo su questo - chi è che ha governato queste politiche per 25 anni? Qui c'è un altro punto, perché poi vedremo, nella seconda puntata, quando discuteremo in quest'Aula, di chi è la responsabilità precisa e diretta di queste politiche. Dal punto di vista delle politiche pubbliche e anche dell'azione legislativa, scusatemi, ma voi siete quelli di prima; voi siete esattamente quelli degli ultimi 25 anni, non è che siete qualcun altro; siete le forze politiche che hanno governato di più questo Paese. Nell'ordine, chi ha governato di più questo Paese negli ultimi 25 anni: Forza Italia e la Lega, Fratelli d'Italia e il Partito Democratico ormai hanno pareggiato e poi vengono il MoVimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra. Vi forniremo i numeri. Gli ultimi 25 anni di Governo sono 9.233 giorni.

Chiudo, Presidente. Ci vuole coraggio, ci vuole coraggio, ma tutto quello che abbiamo dietro, se vogliamo venire incontro alle persone di cui stiamo parlando, dobbiamo buttarlo nel cestino (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Verdi e Sinistra, Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista e MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Il Governo non intende intervenire e si riserva di farlo successivamente. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Conte, Schlein, Bonelli ed altri n. 1-00465 concernente iniziative in ordine alla denuncia formale del Memorandum d'intesa in materia di cooperazione nel settore militare e della difesa con il Governo dello Stato di Israele (ore 12,23).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Conte, Schlein, Bonelli ed altri n. 1-00465 concernente iniziative in ordine alla denuncia formale del Memorandum d'intesa in materia di cooperazione nel settore militare e della difesa con il Governo dello Stato di Israele (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori (Vedi calendario).

Avverto che è stata presentata la mozione Boschi ed altri n. 1-00474 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente (Vedi l'allegato A). Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritto a parlare il deputato Arnaldo Lomuti, che illustrerà anche la mozione n. 1-00465, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ARNALDO LOMUTI (M5S). Grazie, Presidente. A Gaza Israele sta commettendo un genocidio. Non è una opinione personale, sono dei fatti documentati e avallati anche da esperti internazionali, tra i quali anche israeliani. La Corte di giustizia internazionale è intervenuta rilevando il rischio già 16 mesi fa, chiedendo delle azioni concrete per fermarlo. La stessa Corte ci ha ricordato che chiedere il diritto all'autodifesa su un popolo occupato non è possibile; la stessa Corte ci ha ricordato quanto sta accadendo, non soltanto a Gaza, ma anche nei territori occupati: quell'occupazione è un'occupazione illegale, una forma di aggressione, una forma di segregazione razziale, una forma di apartheid - è questo quello che sta accadendo anche in Cisgiordania -, e che per questo va fermata e va smantellata, a partire dall'esercito israeliano e a finire ai coloni.

Il crimine di genocidio è un'azione continuata, perpetrata e intenzionale, che mira a distruggere totalmente o parzialmente un altro popolo solo per il motivo di essere tale. È uccidere, non importa poi con quale mezzo, se con le camere a gas, se con i droni, se con i proiettili, se con il machete. L'importante, affinché si compia il genocidio, il reato di genocidio, il crimine di genocidio, è l'intenzione. E uccidere, affamare, torturare, spezzare psicologicamente e fisicamente e imporre delle condizioni di vita intollerabili verso un altro popolo e farlo intenzionalmente, è genocidio. Torturare persone, giornalisti, torturare operatori umanitari, arrivare a forme di stupro, picchiarli con bastoni. Questo è qualcosa di inammissibile per un Paese civile come il nostro, Presidente.

Noi abbiamo condannato i fatti del 7 ottobre, abbiamo omaggiato le vittime e continueremo a farlo, ma diffidiamo da chi usa la scusa di Hamas e degli ostaggi, ai quali auspichiamo il ritorno, per giustificare i massacri, perché per noi i civili non sono degli obiettivi da massacrare in maniera legale e giustificata. Su questo genocidio ci sono troppe coscienze sporche, troppe mani sporche, a partire da condizionamenti politici dell'Occidente, passando per i media, fino ad arrivare a interi Stati che rappresentano l'Occidente, in questo caso in maniera indegna.

In questo genocidio, a ben vedere, ci sono le nostre impronte digitali, perché noi siamo obbligati a fermarlo o, quantomeno, a cercare di fermarlo, perché altrimenti non avremo più alcuna soluzione, alcuna motivazione, perché le future generazioni possano dire un domani: voi dove eravate? Intervenire è l'unico modo per noi per restare umani, Presidente. Queste, bene o male, sono le parole che vengono dette anche da una relatrice dell'ONU che è stata massacrata dai media, che viene puntualmente e quotidianamente minacciata, anche con minacce di morte, e che subisce delle pressioni anche da quegli Stati che sono vicini a Israele e agli Stati Uniti d'America.

Quella relatrice è una nostra connazionale, il cui peccato è quello di dire semplicemente la verità con coraggio e con la schiena dritta (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), che corrisponde al nome di Francesca Albanese e verso la quale noi esprimiamo la nostra massima e piena solidarietà, in attesa che lo faccia anche il Governo, visto che abbiamo chiesto al Ministro Tajani di venire qui in Aula a riferire non se prendere posizione, ma come e quando e, soprattutto, che posizione vuole prendere. Noi vogliamo che Tajani venga qui anche a riferire, visto che in queste ore è in corso il Consiglio nel quale si decide anche che cosa deve fare l'Europa sull'Accordo di associazione dell'Unione europea con Israele. Vogliamo capire qual è la nostra posizione su questi argomenti e anche su tutti gli altri accordi tra Italia e Israele; vogliamo capirlo oggi - se magari il Governo ci risponde oggi per bocca di Tajani saremmo anche felici -, ma non venga qui con delle mezze verità, come ha fatto la scorsa settimana, quando abbiamo chiesto se ci sono degli accordi sulla cybersicurezza, cioè sulla sicurezza nazionale, con il Governo criminale di Netanyahu e ci è stato riferito: sì, nel 2023 era stato fatto un accordo, poi era stato sospeso e quindi “tutto va bene, madama la marchesa”.

E no, perché poi se noi scopriamo, anzi, sappiamo (che non c'è niente da scoprire) che a giugno 2024 il disegno di legge sulla cybersicurezza include anche Israele, allora le due cose non stanno insieme. Qui qualcuno mente, Presidente (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Allora, per favore, diteci la verità e diteci cosa volete fare oggi su un altro accordo, che è stato siglato a Parigi nel 2023, che è stato ratificato dal nostro Paese nel 2025 e che riguarda il cosiddetto memorandum avente ad oggetto il miglioramento del settore della difesa, del settore militare tra Italia e Israele. Questo è l'oggetto della nostra mozione e vorremmo capire oggi che cosa hanno intenzione di fare questo Governo e questa maggioranza.

Con questa mozione oggi vi chiediamo di interromperlo, perché contrario ai principi della nostra Costituzione e perché contrario anche alle nostre leggi ordinarie; ma, soprattutto, è contrario al diritto internazionale, laddove la Corte penale internazionale - ricordiamolo Presidente - ha emesso un mandato di cattura per Netanyahu e Gallant, rei di crimini di guerra verso l'umanità. Credo non si possa più tergiversare e non ci si possa più girare dall'altra parte.

Per quanto difficile sia la situazione geopolitica globale, c'è un limite che non va mai superato che è quello dei diritti umani; è quello della nostra stessa umanità, Presidente, del quale l'Italia si è sempre fatta portavoce, un po' meno negli ultimi periodi. Pertanto, chiediamo la cessazione degli effetti di questo memorandum; chiediamo la cessazione di qualsiasi altro accordo, che sia scaturito da questo memorandum, e chiediamo qualsiasi altro accordo, laddove veda Israele, anche Paese terzo, ma Paese finale di vendita di armi.

Lo chiediamo perché, a nostro avviso, siamo convinti che con Netanyahu, Gallant, Smotrich, Katz, Ben Gvir, Levin non si possano tenere accordi e nemmeno interlocuzioni, fino a quando i principi del diritto internazionale - per i quali abbiamo creato anche l'ONU, le Nazioni Unite per salvaguardare proprio i diritti umani e tutelare ogni cittadino del globo da questo scempio, come quello che sta accadendo in Palestina - siano rispettati.

Per questi motivi, chiediamo, Presidente, che questa mozione venga esaminata, discussa in profondità, secondo le proprie coscienze, perché dentro quei principi ci sono anche quelli nei quali noi, come cittadini italiani, ci riconosciamo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Arturo Scotto. Ne ha facoltà.

ARTURO SCOTTO (PD-IDP). Grazie, Presidente, signori del Governo. Mi lasci dire, prima di svolgere questo breve intervento, che trovo abbastanza singolare che il Ministro degli Esteri di questa Repubblica, a una settimana dalla notizia che gli Stati Uniti d'America, il Segretario di Stato Rubio, avrebbe comminato delle sanzioni nei confronti di una cittadina italiana, Francesca Albanese, non abbia trovato ancora il tempo di pronunciarsi. Lo ha fatto l'Unione europea, lo hanno fatto tanti parlamentari di diverse nazionalità. Il Paese del quale è cittadina Francesca Albanese non si è espresso.

L'unica colpa di Francesca Albanese sarebbe quella di essere la Special Rapporteur delle Nazioni Unite che ha descritto in questi anni, tra l'altro non la prima, i soprusi compiuti da Israele nei confronti della popolazione civile, quello che viene definito, ormai unanimemente, un regime di apartheid. Vede, è abbastanza strano, singolare appunto, che un Paese come il nostro - che ha giustamente contribuito ad emettere 18 pacchetti di sanzioni nei confronti della leadership russa e dei suoi interessi economici, dopo l'aggressione vile e criminale nei confronti di uno Stato sovrano come l'Ucraina - non abbia ancora emesso nessuna sanzione nei confronti della leadership dello Stato di Israele, dopo 600 giorni di guerra a Gaza, e contemporaneamente ne subisca nei confronti di una propria cittadina e non trovi neanche un minuto per poter condannare questa scelta.

Allora il punto è questo: dobbiamo interrogarci su cosa significhi, per noi, quella che ogni tanto viene ripetuta, sui media, nei nostri discorsi, la locuzione: Israele è la più grande democrazia del Medio Oriente. Sembra un postulato, qualcosa di immobile che non può essere smentito. Eppure, signor Presidente, le dico che, nella giornata di oggi, la Knesset deciderà sul destino di un deputato, Ayman Odeh, leader di Hadash, il partito della sinistra arabo ebraica - l'unico partito in Israele dove arabi ed ebrei convivono pacificamente -, se questo leader, se questo deputato della Knesset potrà rimanere in Parlamento o decadrà. Per quale motivo? Per le sue opinioni pacifiste.

Odeh, a gennaio di quest'anno, ha twittato le seguenti parole, le chiedo di ascoltarle, signor Presidente. Sarei felice che, magari, il Governo italiano decidesse anche di esprimere un giudizio rispetto a queste parole: “Sono felice del rilascio degli ostaggi (israeliani) e dei prigionieri (palestinesi). Entrambi i popoli devono essere liberati dal giogo dell'occupazione (militare). Siamo tutti nati liberi, su questa terra, arabi ed ebrei”. Le sembrano parole che istigano al terrorismo? Le sembrano ragionevolmente parole assimilabili lontanamente ai crimini di Hamas?

Signor Presidente, ho l'impressione che, dopo il 7 ottobre, un pezzo di quella democrazia abbia fatto molti passi indietro: 2.500 intellettuali, scrittori, docenti universitari (tra cui David Grossman) hanno firmato una petizione per Odeh, per chiedere alla Knesset e anche ai partiti dell'opposizione al Governo Netanyahu di non procedere con l'espulsione dal Parlamento.

Il bivio che delineano è tra democrazia e fascismo, tra un Paese multireligioso e multietnico e uno scivolamento di carattere suprematista. La domanda è: dopo quasi 60.000 morti a Gaza, dopo la distruzione dell'80 per cento delle infrastrutture, dopo la riduzione (fino alla sospensione per due mesi) degli aiuti alla popolazione civile, dopo la crescita a dismisura delle colonie illegali in Cisgiordania al netto delle risoluzioni delle Nazioni Unite, è pensabile, signori del Governo, continuare a tenere gli stessi identici rapporti commerciali, diplomatici e militari con il Governo di Israele? Pensiamo davvero che sia tutto come prima? L'Emilia-Romagna, la Toscana e la Puglia hanno deciso, unilateralmente, di interrompere, qualche mese fa, le relazioni con lo Stato d'Israele. Noi qui chiediamo di interrompere il memorandum.

Vede, lo facciamo anche in virtù di una storia antica, del dettato della nostra Costituzione. Ieri sono andato ad assistere a una cerimonia bellissima, a Monte Giovi, a pochi chilometri da Firenze, da cui partì la brigata Lanciotto per liberare la città di Firenze, l'11 agosto 1944. Lì, in quei monti, è scolpito l'articolo 11 della Costituzione. Quei partigiani presero le armi per liberare il nostro Paese, ma le presero perché altre generazioni non le prendessero più e, invece, siamo in una stagione in cui la guerra è stata sdoganata nel racconto pubblico, alla stregua di una nuova levatrice della storia, il veicolo attraverso cui riscrivere le regole di un nuovo ordine mondiale, dove la legge del far west diventa la regola e la diplomazia viene degradata a un vecchio arnese, a una cianfrusaglia che ha animato qualche velleitario statista del Novecento, soppiantato rapidamente dal pugno duro del potere, dei soldi, dell'ossessione, della forza. La pace viene descritta come l'anticamera del suicidio di una civiltà che deve difendere se stessa da minacce esistenziali i cui contorni sono sempre più indefiniti. E poi quale civiltà dovremmo difendere, signor Presidente?

Quella della democrazia, della difesa dei diritti umani, della redistribuzione della ricchezza? O quella dell'uomo solo al comando, o della donna, in alcuni casi? Quella che minaccia l'autonomia della magistratura e della separazione dei poteri dello Stato? Da questo punto di vista, Meloni, Trump e Netanyahu sono parenti strettissimi. Della distruzione del pianeta? Di un modello di sviluppo che si sta mangiando, centimetro per centimetro, la vita degli esseri umani e del vivente non umano, dei beni comuni, della sanità, della qualità del lavoro?

Vede, questo è il tema. E noi, interrompendo quel memorandum, stiamo dicendo che per noi i diritti umani vengono prima, che per noi la difesa delle basi su cui si fonda una democrazia liberale è un bene non negoziabile. Poi, ci vuole la politica. Certo, bisogna interrompere questa spirale terribile delle morti, dei lutti, degli ostaggi nelle mani di Hamas, ma occorre poi una soluzione, occorre dare una prospettiva al popolo palestinese.

È l'unica garanzia di pace e di sicurezza per Israele, ma anche all'interno delle nostre società, perché, vede, la questione israelo-palestinese non è una questione esclusivamente di politica estera, è anche maledettamente una grande questione di politica interna, che riguarda i livelli di cittadinanza nel nostro continente, che riguarda la promessa della democrazia, che, in fondo, che cos'è? Occuparsi degli oppressi, occuparsi di quelli che vedono i propri diritti tramortiti dalla legge del più forte, mettere in campo il dialogo, la diplomazia, mettere e restituire dignità alla parola politica (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Emanuele Loperfido. Ne ha facoltà.

EMANUELE LOPERFIDO (FDI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, vado innanzitutto a leggere i firmatari di questa mozione: il presidente Conte, la segretaria Schlein, dopodiché i colleghi Bonelli e Fratoianni. E immagino, un po' col sorriso, la frustrazione nel dover correre dietro a chi si è visto scavalcato a sinistra, per cui ci si è accodati a questa mozione, presentata dall'ex Presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

E, quindi, è giusto che interveniamo per opporci con decisione a una mozione, in un momento drammatico per il Medio Oriente, che rischia di isolare Israele, con questa mozione, indebolire l'Italia e, nei fatti, rafforzare le posizioni dell'estremismo.

Il memorandum d'intesa tra il Governo italiano e Israele, collega, è stato siglato nel 2003, non nel 2023, ed è stato ratificato nel 2005. Dopodiché, siccome nelle premesse le parti sottolineano che la convinzione è che con questa cooperazione ci sarebbe stato un consolidamento delle rispettive capacità di difesa, proprio su queste basi, è stato tacitamente rinnovato da tutti i Governi politici che si sono succeduti dal 2005 ad oggi: tutti.

Quindi, con questa mozione, chi oggi denuncia unilateralmente un accordo bilaterale, in modo tale da poter bloccare questo memorandum, dà adito e dà seguito a quella pericolosa forma di manicheismo militante, per cui o si sta da una parte, o si sta dall'altra parte; o si sta con i pro-Pal oppure si è contro la democrazia. Bene, noi crediamo che la diplomazia di un Paese serio non debba correre dietro a questi atteggiamenti manichei.

Innanzitutto, vale la pena ribadire quanto già detto al collega Bonelli da parte del Ministro Ciriani, durante un'interrogazione: il rinnovo non avverrà entro giugno 2025, ma è programmato per aprile 2026, legato alla ratifica perfezionata nel 2006. Ma è evidente che questa mozione è figlia di una proposta ideologica e strumentale, che si inserisce in una visione manichea e faziosa e che si sta facendo sempre più largo a sinistra. Una visione che, per fortuna, non è la nostra visione, la visione di chi governa l'Italia. Rimango preoccupato, perché - è chiaro che uno si prepara l'intervento, ma poi ascolta anche gli interventi dei colleghi - né nella mozione, né nei vostri interventi, nessuno ha parlato mai del 7 ottobre! Nessuno ha parlato mai della barbarie terroristica perpetrata da parte (Il deputato Scotto: “Non è vero, non è vero!”)… perpetrata da parte dei terroristi di Hamas…

PRESIDENTE. Per favore, onorevole Scotto. No, no, no, onorevole Scotto, non è un dibattito!

EMANUELE LOPERFIDO (FDI). Quindi, caro Presidente…

PRESIDENTE. Abbia pazienza, abbia pazienza. Onorevole Scotto, non è un dibattito. Abbia pazienza un attimo: non interrompa il collega. Non interrompa il collega. Avrebbe potuto dire che anche lei ha detto delle cose false (Il deputato Scotto: “No, io non l'ho fatto!”) e non lo ha fatto. Svolge il suo intervento come crede, dopodiché, se non offende nessuno, va avanti. È un dibattito politico. Onorevole Scotto, la prego. Grazie, prego onorevole Loperfido.

EMANUELE LOPERFIDO (FDI). Grazie, Presidente. La barbarie del 7 ottobre, figlia di quella concezione che, nel Medio Oriente, vede prevalere quel disegno dell'Iran che vuole la distruzione dello Stato di Israele. Non una parola su Hamas, organizzazione terroristica che ha trasformato Gaza in un sultanato della peggior dittatura, dove ogni libertà è violata, dove il ricatto è quotidiano, ovvero: o sei con Hamas o non ti spetta neanche un pezzo di pane. Una dittatura militare, terroristica, che, in decenni di aiuti internazionali, ha deciso di dirottarli in costruzione di tunnel sotterranei per i terroristi, acquisto di armi grazie al sostegno dell'Asse del male. Ha affamato il popolo palestinese, costringendolo a passare attraverso Hamas anche solo per bere o per curarsi. Ha affamato il popolo palestinese e ha anche fatto di esso un uso cinico, come scudo umano, posizionando armi accanto a scuole ed ospedali.

Una terra in cui - e lo ribadisco con forza -, a differenza di Israele, nessun diritto civile è garantito, né tanto meno riconosciuto, a quelle stesse migliaia di persone per cui, nel nome delle sigle LGBTQ, scendete baldanzosamente a Budapest, ma non andate né a Teheran, né a Gaza, perché non è possibile farlo, a dimostrazione del fatto che in Israele c'è libertà e a Gaza non c'è democrazia. A Budapest preferite andare in piazza, ma non lo fate, perché preferite stare a fianco degli oppressori dei diritti. Eppure, nella mozione, nulla di questo è detto, nulla sull'attacco del 7 ottobre, sull'antiterrorismo, sulla responsabilità dei terroristi, organizzati, armati, finanziati e addestrati da Hamas.

Allora, sorge una domanda: davvero l'Italia, Paese di cultura, del dialogo e della diplomazia deve piegarsi a questa visione del mondo per cui bisogna rompere ogni relazione con Israele, proprio quando, mai come in questo momento, sono il dialogo e la diplomazia che devono cercare di trovare una soluzione, insinuarsi nello spiraglio per individuare una posizione per la pace? Una posizione che sfiora l'assurdo e che, in alcuni casi, si è tradotta in campagne inquietanti che, se non sostenute, sono sicuramente non osteggiate: il boicottaggio di istituzioni, università che collaborano con Israele, liste di proscrizione anche dei nostri colleghi, oltre che di giornalisti, accusati di essere amici di Israele, sostegno a quel boicottaggio della Coca-Cola americana per fare spazio a una “Gaza Cola”, i cui proventi andrebbero ad alimentare una non ben chiara economia; attacchi personali, anche politici, come è avvenuto, per esempio, nella mia città, a chi, come il presidente di Confindustria Alto Adriatico, l'onorevole Agrusti, espone la bandiera di Israele.

E, allora, di fronte a questi atteggiamenti, chiaramente non stiamo con questa deriva manichea e militante. Fratelli d'Italia è dalla parte della diplomazia e del dialogo, perché è nel dialogo che possiamo trovare le soluzioni. Innanzitutto, una cosa: sulle questioni militari la posizione del Presidente del Consiglio è chiarissima. Il 15 ottobre, qua in Aula, ha dichiarato: dopo l'avvio delle operazioni a Gaza il Governo ha sospeso immediatamente ogni nuova forma di licenza di esportazione di armi verso Israele ai sensi della n. 185: tutti i contratti dopo il 7 ottobre non hanno trovato applicazione.

Questa è la verità. E ha aggiunto che la posizione italiana è molto più stringente e restrittiva rispetto a quella di altri partner europei, come Francia, Germania e Regno Unito, che applicano una valutazione caso per caso. L'Italia, invece, ha bloccato tutto per le nuove licenze. Per le vecchie licenze, i dati parlano chiaro: già nel 2019, durante il Governo Conte, furono autorizzate esportazioni per 28 milioni di euro, 10 in più rispetto all'anno precedente, con il Governo di Israele. Ognuno si assuma le proprie responsabilità. Noi, invece, con rettitudine rivendichiamo l'azione del Governo Meloni: una linea chiara, trasparente, rigorosa, che non rinuncia ai principi né all'equilibrio.

È proprio grazie ai buoni rapporti con Israele che l'Italia ha potuto ottenere risultati concreti sul piano umanitario. Come ribadito più volte dal Ministro Tajani, siamo stati il primo Paese al mondo a fare entrare un convoglio ONU a Gaza; abbiamo promosso e finanziato il progetto Food for Gaza, attivo dall'11 marzo 2024, con oltre 35 milioni di euro, in collaborazione con FAO, PAM e Croce Rossa; abbiamo evacuato più di 1.200 palestinesi, tra cui bambini oncologici e feriti gravi, con missioni coordinate con le Nazioni Unite. Senza i rapporti tra Italia e Israele tutto questo non sarebbe stato possibile.

È proprio questo - la credibilità del nostro Paese, la nostra diplomazia, i nostri diplomatici, la loro professionalità, la capacità dell'Italia di tenere aperti questi canali - che ci permette di dire con forza, anche a Israele, di cessare il fuoco. Solo un Paese amico può farlo, non di certo chi, con provocazione, chiede la revoca del Memorandum of understanding o, addirittura, propone che Francesca Albanese sia nominata al premio Nobel. Gli amici di Israele, invece, come sta facendo l'Italia, possono dire che è giunto il momento di cessare il fuoco e di fare attenzione alle sofferenze della popolazione civile palestinese.

Rischiamo una crescita di odio e disperazione per generazioni, e non è questo il nostro obiettivo. Il nostro obiettivo è contrastare Hamas, contrastare il fondamentalismo islamico, collaborare con l'Associazione nazionale palestinese per fare in modo di arrivare a quella soluzione “due popoli, due Stati” voluta dal Governo italiano. Ma lo possiamo fare soltanto se c'è serietà, coerenza e credibilità internazionale. Non è il momento di sospendere accordi, ma è il momento di rafforzare la nostra capacità di dialogo e pressione. Solo così possiamo chiedere con fermezza a Israele di evitare operazioni sproporzionate, solo così possiamo non consegnare Gaza a chi la opprime dall'interno, Hamas. Ed è per questo che, con determinazione, respingiamo questa mozione (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Auriemma. Ne ha facoltà.

CARMELA AURIEMMA (M5S). Grazie Presidente. Mi permetto, per suo tramite, di rispondere al collega Loperfido che l'approccio ideologico lo stanno avendo solo loro, talmente ideologico che sono anche sordi davanti agli interventi dei colleghi: sia il collega Arturo Scotto, sia il collega Arnaldo Lomuti hanno condannato i fatti di Hamas del 7 ottobre, come abbiamo fatto tutti quanti (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista). La verità è che dalla maggioranza non abbiamo mai sentito, invece, una parola a favore del popolo palestinese con i termini giusti: genocidio. Perché di questo stiamo parlando, e non lo stiamo dicendo noi, lo stanno dicendo organismi internazionali riconosciuti.

Detto questo, la nostra mozione è, innanzitutto, un atto parlamentare, un'iniziativa parlamentare, ma soprattutto è un atto politico, perché noi vogliamo che l'Italia prenda una posizione, un giudizio chiaro su quello che sta succedendo a Gaza. Presidente, un giudizio che non siano le vacue parole, sempre tentennanti di questo Governo, sempre della Meloni, che cerca di mantenersi tra mille equilibri, perché, se è vero, come è vero, che quello che sta succedendo a Gaza è illegittimo, allora noi dovremmo comportarci di conseguenza. Perché se è vero, come è vero, che a Gaza stanno uccidendo gli operatori umanitari, li stanno ammazzando, questa è una violazione del diritto internazionale. Non lo diciamo noi, lo dicono le convenzioni. Se è vero, come è vero, che lo strumento della fame e della carestia viene utilizzato come strumento di guerra, questa è una violazione del diritto umanitario.

Allora, se è vero tutto ciò, quello che si sta realizzando nella Striscia di Gaza, e non solo, sono crimini di guerra contro l'umanità e vanno non solo condannati, non solo fermati, ma, soprattutto, non sostenuti, fosse solo per un sillogismo aristotelico. La verità, invece, che cosa sta facendo l'Italia? E cosa farà con il rinnovo del memorandum? L'Italia, il Governo Meloni non solo si rifiuta di sospendere il memorandum militare, ma continua ad attuarlo a pieno regime, nonostante i crimini di guerra. La nostra Aeronautica militare continua a collaborare strettamente con l'Aeronautica israeliana, con incontri di Capi di stato maggiore ed esercitazioni congiunte. L'Italia continua a fornire supporto tecnico ai caccia su cui si addestrano i piloti israeliani. Il Governo chiude un occhio sulle forniture illegali di mezzi per cannoni e carri armati israeliani, sdoganati a Milano, a Bologna e bloccati solo a Ravenna grazie alla denuncia di un coraggioso spedizioniere.

Presidente, se è vero che l'Italia è diventato il maggior fornitore del materiale definito, diciamo, a doppio uso civile, per cui si possono costruire le bombe, si possono costruire gli inneschi che stanno distruggendo Gaza, noi stiamo distruggendo Gaza, stiamo aiutando il Governo israeliano a distruggere Gaza con la fornitura dei nostri materiali; altro che Food for Gaza.

Presidente, quindi se stiamo parlando di Gaza, dell'attacco all'Iran e della crisi del Medio Oriente che sta innescando Israele con un'azione militare, una guerra, un attacco illegale, che viola il diritto internazionale e, in quanto tale illegale, l'Italia non può continuare a collaborare militarmente ed economicamente con Israele (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Anche perché, Presidente, le idee di Benjamin Netanyahu e del suo Governo sono chiare, sono ormai chiare: 60.000 morti palestinesi - e questi sono i dati ufficiali, ma, in realtà, le notizie che ci arrivano dalle agenzie umanitarie e dalle organizzazioni parlano, addirittura, di 100.000 morti; oltre 15.000 bambini trucidati; l'89 per cento degli edifici pubblici distrutto; un numero allucinante di giornalisti uccisi.

Poi, c'è quello che sta succedendo in Cisgiordania. Presidente, in queste ore, in Cisgiordania, Israele ha messo in atto la più grande opera di demolizione dal 1967. Si stanno distruggendo le case dei palestinesi: 690 case distrutte soltanto nella zona di Jenin e sono previste oltre 300 distruzioni di altre abitazioni. Quindi, si stanno costringendo i palestinesi nel loro territorio - quel territorio che già dovrebbe essere sotto l'amministrazione e la gestione palestinese - ad entrare nei campi profughi.

Quindi, Presidente, qual è il piano del Governo israeliano? È molto chiaro: è quello di risolvere la questione palestinese eliminando il popolo palestinese. Il Governo israeliano non sta parlando più di “due Stati e due popoli”, perché un popolo lo sta sterminando. Benjamin Netanyahu ha trovato la soluzione: un solo Stato, Israele; un solo popolo, quello ebraico. Allora la domanda è: questo è anche il piano che sostiene l'Italia? La domanda è: quando in quest'Aula si parla di “due Stati e due popoli” e, poi, sappiamo che un popolo si sta sostanzialmente sterminando, siamo ancora convinti che quelle parole non siano un'ipocrisia, non siano una complicità travestita da un'ipocrisia, da un ipocrito silenzio? Questo è il punto. Il rinnovo del memorandum è una lettera scarlatta che non ci toglierà mai più nessuno, perché è uno spartiacque negli atti. La politica si fa negli atti e, nel momento in cui si va a sostenere questo memorandum, ancora, le vostre parole si plastificano, la vostra volontà prende forma. Quindi, dobbiamo dirlo in maniera chiara, perché il Governo israeliano è chiaro nella sua lucidità cinica, è chiaro dove vuole arrivare, perché è evidente, Presidente, che la soluzione dei “due popoli e due Stati” è una soluzione impraticabile se si continua così.

Anzi, forse, già ora è impraticabile, perché se voi vi fate un colloquio con le agenzie, con le organizzazioni umanitarie - noi ci siamo stati lì -, e parlate con chi è riuscito a salvarsi da quella tortura, capite bene che l'idea di due popoli e due Stati si allontana sempre di più per volere di Israele. I nodi vengono tutti al pettine, Presidente, e adesso stanno arrivando.

Il secondo obiettivo di questa mozione è quello di non coprire, più di quanto non sia stato fatto fino ad ora, il nostro Paese di vergogna e di ignavia. Guardi, Presidente, ieri ho trascorso un pomeriggio con i miei nipoti e, mentre stavo con loro, arrivavano le notizie che sei bambini palestinesi, in fila per ricevere del latte in polvere, venivano trucidati. In 48 ore Israele ha ucciso 120 palestinesi.

La maggioranza degli italiani si sente intollerabile, sente inaccettabile, sente bollire la propria pelle su queste scene e su queste notizie, le proprie viscere davanti a questo massacro che sta avvenendo e di cui la storia e la nostra coscienza già ci chiedono un resoconto. Un'infamia che non possiamo accettare, Presidente. Un'infamia che il popolo italiano non vuole e alla quale non ci arrenderemo mai (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle e di deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zaratti. Ne ha facoltà.

FILIBERTO ZARATTI (AVS). Grazie, signor Presidente. Solo ieri, appunto, sei bambini in fila per avere dell'acqua sono stati trucidati insieme a quattro adulti. Un testimone racconta che erano presenti in quella fila una ventina di bambini e circa 14 adulti. L'esercito di Israele ha detto che si è trattato di un errore tecnico, un errore tecnico che ha ucciso sei bambini e quattro adulti. Non è la prima volta, per questo le giustificazioni sono così veloci e sbrigative. Il 10 luglio sono morti 15 palestinesi, nove bambini e quattro donne: erano di fronte a un centro sanitario nella città di Deir el-Balah per avere qualche medicina per i propri bambini. L'ulteriore tattica dell'esercito israeliano, che è quella di puntare costantemente e scientificamente nei centri di distribuzione di cibo per uccidere in una volta sola più palestinesi, è assolutamente efficace, tant'è vero che, solo a maggio, circa 400 persone sono morte facendo la fila per il cibo. Questa è la realtà.

Guardate, si è parlato del 7 ottobre, ma io credo che, da questo punto di vista, non ci sia nessuno che possa accusare nessun altro in quest'Aula di non aver condannato quell'evento criminale, terrorista. È stato un evento vergognoso. Ma quell'evento, vergognoso, terrorista e criminale, non può essere la giustificazione per uccidere quasi - secondo alcune stime - 100.000 persone innocenti nella Striscia di Gaza. Uno degli eserciti più forti del mondo dal 7 ottobre 2023 combatte una guerra contro un popolo inerme, sganciando una quantità di bombe che ha distrutto oltre l'80 per cento delle costruzioni che sono presenti in quella terra, uccidendo soprattutto donne e bambini e questo è assolutamente inaccettabile. È assolutamente vergognoso! Credo che sia giusto, comunque, ricordare il 7 ottobre, ma io vorrei dire ai colleghi che discutono con noi: ci si può nascondere dietro il fatto che ci si rifiuta di fare una scelta manichea? Ma qual è la scelta manichea? Tra chi sta bombardando e uccidendo dei civili innocenti e le vittime? Io credo che sarebbe naturale - ed è naturale - difendere le persone inermi, deboli, che hanno fame, che stanno morendo di fame. Guardate che lì non si muore soltanto per le bombe, ma si muore anche più lentamente di fame o per le ferite non curate in quelle zone.

Ma come non si fa a non avere pietà di tutto ciò, di fronte a uno degli eserciti più forti del mondo che continua a sparare dall'alto con missili e con aerei da guerra? Questa non è rifiutarsi di fare una scelta manichea; questo è fare una scelta di sostegno, di fatto, a chi sta uccidendo e distruggendo un popolo. Questa è la verità. Ma vi è proprio così difficile? Vi è proprio così difficile condannare questo crimine contro l'umanità? Vi è proprio così impossibile alzarvi in quest'Aula e dire che siamo per condannare il criminale di guerra Netanyahu, che si sta accanendo da due anni contro le donne, i bambini e un popolo intero? Vi pesa così tanto? Non vi vergognate neanche un po' di non farlo? Le scelte manichee? Ma quali scelte manichee! Lì la scelta è chiara: difendere la vita delle persone, la dignità delle persone contro chi spara, spendendo miliardi di euro l'anno per bombardare una città intera. Questa è la verità e questo è sotto gli occhi di tutti. Possiamo fare quello che ci pare: possiamo adottare la splendida tattica, che spesso viene autorizzata dai politici, di fare finta di niente, di fare la politica dello struzzo, di mettere la testa sotto terra pensando che quello intorno a noi, la realtà, non ci sia, ma la verità è evidente ed è sotto gli occhi di tutti.

In tutto questo, in questa tragedia umana, addirittura la rappresentante dell'ONU, che rappresenta, appunto, la comunità internazionale, viene incriminata da uno Stato come quello americano e così il giorno prima si riceve il criminale Netanyahu alla Casa Bianca e il giorno dopo si fanno le sanzioni contro Francesca Albanese. Guardate, voi non potete continuare così, a fare i burattini di Trump e a difendere tutte le scelte che quel Governo fa e poi condannare, invece, la Corte penale internazionale, fatta da magistrati. E noi che cosa chiediamo? Chiediamo finalmente un atto concreto, e vado a concludere, Presidente. Chiediamo un atto concreto, vero, al di là delle chiacchiere e al di là delle parole che la Presidente è abituata a darci in quest'Aula.

Due popoli e due Stati. Siamo d'accordo: due popoli e due Stati. Ma, intanto, adesso fermiamo il massacro, perché se non fermiamo il massacro ci saranno forse due Stati, ma non ci saranno più due popoli, perché uno è stato massacrato. È per questo che chiediamo, come primo atto, di interrompere la collaborazione dal punto di vista militare. Il fatto che i nostri tecnici, le nostre scoperte in campo militare, ahimè, siano sostanzialmente a sostegno di chi spara contro i bambini non è accettabile. Quindi, interrompere e denunciare il memorandum è prima di tutto una scelta giusta nei confronti dell'umanità. È una scelta giusta, sotto il profilo della civiltà…

PRESIDENTE. Concluda.

FILIBERTO ZARATTI (AVS). …ed è una scelta giusta che dà ragione all'articolo 11 della nostra Costituzione. Forse voi lo dimenticate (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Verdi e Sinistra).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Riccardo Ricciardi. Ne ha facoltà.

RICCARDO RICCIARDI (M5S). Grazie, Presidente. Io credo che si possa uscire un attimo dal discorso politico e geopolitico e parlare come esseri umani. Io non credo che, come esseri umani, il pensiero di immaginare sei bambini in fila per l'acqua - già immaginarli in fila per l'acqua oggi - non possa smuovere qualcosa dentro ognuno di noi. In più, li vediamo trucidati, li immaginiamo trucidati, per stessa ammissione dell'esercito israeliano. Quindi, non è un discorso che sono i numeri di Hamas o è la propaganda di Hamas; no, l'esercito israeliano ha fatto questo.

Allora, io non avrei mai pensato di trovarmi nella mia vita a condividere lo stesso spazio con persone che non hanno un fremito rispetto a questa cosa. La disumanizzazione l'ho sempre letta nei libri di storia, l'ho sempre vista nei film, e non avrei mai pensato che, nella mia quotidianità, potessi uscire in un corridoio o andare in una stanza ed essere accanto a una persona che, di fronte a sei bambini trucidati in fila per l'acqua, continuasse con una retorica alla quale non so se credete davvero o se ve la autoimpongono.

Perché che non si smuova nulla è davvero quanto di più disumanizzante possibile. E allora io non entro ora… Cosa facciamo? La contabilità? Siamo a quanto? C'è chi dice 60.000, 70.000, non lo so, a me basterebbero solo sei bambini in fila per l'acqua trucidati per dire che non voglio avere nulla a che fare con chi è responsabile di un'azione di questo tipo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Siamo ancora a ragionare sul fatto se è genocidio o non è genocidio: va bene, per voi non sarà genocidio, ma 60.000 morti, se sono morti per genocidio o non per genocidio, sempre 60.000 morti sono. E, vedete, anche quando parlate dell'antisemitismo, ci vuole un minimo di pudore, non dico di coerenza, ma di pudore.

Nel pantheon dei nostri politici, da questa parte, non c'è nessuno che abbia firmato le leggi razziali nel 1938; chi ha firmato le leggi razziali nel 1938 è nel pantheon della vostra parte politica (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) e quindi ci vuole un minimo di pudore anche nel tirare fuori determinate argomentazioni. Nelle sedi giovanili di Fratelli d'Italia c'è chi inneggia contro l'ebreo; non è da questa parte, quindi un minimo di pudore in questo senso ci vorrebbe (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Vi si ritorce contro questa cosa, perché pensare che qui… e parlate sempre del 7 ottobre. Il 7 ottobre: Tajani ha detto che la storia è iniziata il 7 ottobre. Va bene, il 6 ottobre a Gaza si stava benissimo e quella zona di pianeta era pacifica e tranquilla.

Lasciando perdere quindi il punto di vista etico e umano - ripeto, secondo me state imparando una lezioncina - io vi dico: sugli interessi politici veniamo alla realpolitik, no? Qual è l'interesse dell'Italia in tutto questo scenario che si sta svolgendo? Qual è l'interesse di far sì che Israele stia sostanzialmente distruggendo - distruggendo - qualsiasi convenzione etica, morale e politica che esisteva fino a due anni fa? Qual è l'obiettivo dell'Italia nel lasciare ad Israele e agli Stati Uniti il ruolo di sceriffi del mondo? Io vorrei chiedervi questo. Nell'assecondare Trump e Netanyahu rispetto alla loro politica, lo stiamo vedendo anche sui dazi, qual è l'interesse dell'Italia? Cosa facciamo? Andiamo a negoziare con Trump singolarmente, Paese per Paese, qual è la soluzione migliore, disgregando quel minimo di idea di Unione europea? Perché poi l'obiettivo di Trump è quello: far sì che si vada a contrattare individualmente sui dazi e distruggere ogni forza contrattuale che ha l'Unione europea. E dare sempre ragione, assecondare sempre Trump e Netanyahu in ogni cosa; e su Israele stiamo facendo la stessa cosa. Ma io dico, noi - perché questa cosa è venuta fuori poi quando abbiamo parlato di Paragon e di quello che è accaduto - nel 2024 abbiamo appaltato la nostra cybersecurity a Israele. ENI sta sfruttando le risorse dei palestinesi in violazione di tutte le convenzioni internazionali e le sta dando ad Israele, le sta sfruttando Israele; ma è il mare dei palestinesi.

Elbit, che è l'azienda, il colosso che fornisce tutti i sistemi di distruzione a Israele, a cui stiamo dando dei soldi grazie al vostro Ministro Crosetto, che evidentemente li conosce bene, avendo avuto relazioni economiche e commerciali negli anni con Elbit, sta attuando delle convenzioni dove noi diamo fior fiore di quattrini: si parla di 157 milioni di euro in sette anni a Elbit per fare a Luni un campo di addestramento per piloti italiani con strategia militare di Elbit. Stiamo dando noi i soldi a questa azienda per continuare a foraggiare macchine di morte.

Ma, allora, di fronte a tutto questo… e cercate i Governi precedenti; i Governi precedenti. Signori, i Governi precedenti hanno lavorato anche con Putin. Nel 2018 eravamo a fare un mondiale di calcio con Putin, poi è successo un qualcosa che ha cambiato la situazione. E i Governi precedenti su Israele… C'è un genocidio in corso, Signore santo, le cose si rivedono anche alla luce di quello che accade, non è che si può dire “i Governi precedenti”. Ma cosa c'entra questa cosa (Il deputato Amich: “Hai citato il Governo delle leggi razziali!”)?

PRESIDENTE. No, no, no, no, no, per favore.

RICCARDO RICCIARDI (M5S). Allora, lei si rivolga alla Presidenza.

PRESIDENTE. Onorevole, per favore. Prego, concluda (Commenti del deputato Amich). Onorevole, per favore, quello che è valso prima per l'onorevole Scotto adesso vale per voi. Lasciate concludere l'onorevole Ricciardi. Prego.

RICCARDO RICCIARDI (M5S). Io temo che stiamo vivendo una situazione storica per la quale ci siamo molto stupiti, nel secolo scorso, di come facessero i contemporanei a non vedere quello che stava accadendo. Ma avevano molte più scusanti di noi, perché non c'era la tecnologia che abbiamo oggi, non c'erano le informazioni che abbiamo oggi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Noi oggi queste cose le vediamo e le sappiamo, quindi siamo molto più colpevoli e molto più complici di chi era contemporaneo, 100 anni fa, …

PRESIDENTE. Concluda.

RICCARDO RICCIARDI (M5S). …di un Olocausto; siamo molto, molto più complici, perché nessuno sta facendo nulla per fermare quello che sta accadendo. E due popoli e due Stati non esisteranno più, perché Netanyahu sta facendo terra bruciata intorno a lui (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Avverto che è stata appena presentata la mozione Boschi ed altri n. 1-00474 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente (Vedi l'allegato A). Il relativo testo è in distribuzione.

Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Il Governo si riserva di intervenire successivamente.

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: Paolo Emilio Russo ed altri: Istituzione della Giornata nazionale in memoria dei giornalisti uccisi a causa dello svolgimento della loro professione (A.C. 1447-A​) (ore 13,17).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 1447-A​: Istituzione della Giornata nazionale in memoria dei giornalisti uccisi a causa dello svolgimento della loro professione.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 1447-A​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

La VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire, se lo ritiene, in sostituzione della relatrice, deputata Nicole Matteoni, la deputata Valentina Grippo, Vicepresidente della VII Commissione.

VALENTINA GRIPPO, Vicepresidente della VII Commissione. Grazie, Presidente. L'Assemblea avvia oggi l'esame della proposta di legge recante Istituzione della Giornata nazionale in memoria dei giornalisti uccisi a causa dello svolgimento della loro professione. La proposta è stata esaminata in sede referente dalla VII Commissione (Cultura) che, dopo aver apportato alcune modificazioni al testo iniziale, anche col recepimento delle condizioni contenute nel parere espresso dalla V Commissione (Bilancio), ne ha concluso l'esame il 19 marzo 2025, con il conferimento del mandato al relatore a riferire favorevolmente all'Assemblea.

Venendo al contenuto della proposta, come risultante dall'esame in sede referente, essa è composta di un solo articolo, ripartito in otto commi. Ai sensi del comma 1, la Repubblica riconosce il 3 maggio di ciascun anno quale Giornata nazionale in memoria dei giornalisti uccisi a causa dello svolgimento della loro professione; in base al comma 2, la Giornata nazionale non determina gli effetti civili di cui alla legge 27 maggio 1949, n. 260, recante disposizioni in materia di ricorrenze festive; il comma 3 prevede che, al fine di celebrare la Giornata nazionale, lo Stato, le regioni, le province, le città metropolitane e i comuni possano promuovere, nell'ambito della loro autonomia e delle rispettive competenze, anche in cooperazione con le associazioni e gli organismi operanti nel settore, iniziative specifiche, cerimonie, convegni, incontri pubblici e altre attività finalizzate a valorizzare la libertà di stampa e il ruolo svolto dall'informazione.

Il Ministero della Cultura, d'intesa con la Presidenza del Consiglio dei ministri, in collaborazione con le organizzazioni di categoria più rappresentative a livello nazionale, può organizzare altresì specifiche campagne di comunicazione e sensibilizzazione del pubblico, in particolare attraverso i canali del servizio pubblico radiotelevisivo; il comma 4 stabilisce che l'elenco dei giornalisti uccisi a causa dello svolgimento della loro professione sia pubblicato nei siti Internet istituzionali della Presidenza del Consiglio e che ad esso sia data ampia diffusione nell'ambito delle attività ordinarie di comunicazione della stessa.

Il comma 5 prevede poi che, nella Giornata nazionale, le università, le scuole di giornalismo e gli istituti scolastici di ogni ordine e grado possano promuovere iniziative didattiche volte a commemorare figure di giornalisti uccisi a seguito della loro attività e approfondire la conoscenza dell'attività professionale di giornalista, nonché a diffondere la conoscenza dell'articolo 21 della Costituzione italiana.

Il comma 6 dispone, poi, che, per la Giornata nazionale, possano essere promosse campagne istituzionali per contrastare il linguaggio d'odio e le minacce rivolte contro le donne giornaliste in particolare, compresa ogni azione volta a far vergognare una persona del suo aspetto fisico; nelle stesse campagne si sottolinea che la violenza online e gli attacchi sono rivolti a indebolire il giornalismo d'inchiesta, la libertà di espressione, la critica e la fiducia che l'opinione pubblica ripone nella stampa.

Il comma 7 prevede che, nell'ambito delle celebrazioni relative alla Giornata nazionale, la società concessionaria del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, secondo le disposizioni previste dal contratto di servizio, possa dedicare adeguati spazi nell'ambito della programmazione televisiva pubblica, nazionale e regionale, alla divulgazione delle esperienze professionali dei giornalisti uccisi nell'esercizio della loro professione.

Infine, il comma 8 stabilisce che le amministrazioni competenti provvedano all'attuazione della presente legge nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza oneri a carico della finanza pubblica.

PRESIDENTE. La rappresentante del Governo ha fatto cenno alla Presidenza che non intende intervenire in questa fase. È iscritta a parlare la deputata Giovanna Iacono. Ne ha facoltà.

GIOVANNA IACONO (PD-IDP). Grazie, signor Presidente. Oggi discutiamo un provvedimento molto semplice nella forma e nella sua struttura, ma che è assai significativo. Si tratta, infatti, dell'istituzione della Giornata nazionale in memoria dei giornalisti uccisi a causa dello svolgimento della loro professione. Com'è noto, il 3 maggio è già la Giornata mondiale della libertà di stampa, istituita dall'Unesco nel 1991 e adottata dalle Nazioni Unite nel 1993. La proposta, oggetto della nostra discussione, si compone di un solo articolo e intende riconoscere formalmente, a livello nazionale, nello stesso giorno, la Giornata nazionale della memoria, riempiendo così un vuoto istituzionale e consolidando il valore della libertà di stampa come pilastro della nostra democrazia.

Si tratta di un atto doveroso, un segno di rispetto, ma che dev'essere anche un impegno concreto verso la vera libertà di stampa, che non è un diritto di una categoria, ma è un bene collettivo. Con questa proposta verrà certamente fatto un passo avanti nel nostro Paese: si darà un riconoscimento alla memoria di chi ha pagato con la vita il coraggio di raccontare la verità, per tutti quei giornalisti uccisi per aver fatto il loro lavoro. È una proposta che nasce da una necessità profonda: riconoscere e onorare il sacrificio di quegli uomini e quelle donne, che - armati soltanto dai loro attrezzi del mestiere: il loro taccuino, la loro penna, la loro macchina fotografica e la loro telecamera - hanno perso la vita per garantire, a tutte e a tutti noi, un diritto fondamentale, quello di essere informati e di avere un'informazione libera e indipendente.

È un atto doveroso perché la libertà di stampa è la libertà, di tutte e tutti noi, di sapere, di capire e di scegliere, perché rappresenta uno di quei pilastri che tengono in piedi la nostra democrazia. Libertà di stampa e cultura libera sono due dimensioni che camminano insieme e che, quando vengono minacciate, mettono a rischio la qualità stessa della nostra convivenza civile. Parlare di libertà di stampa come facciamo oggi non è solo un rito e non dev'essere un esercizio di retorica. Deve camminare insieme all'impegno politico, civile, intellettuale e morale. Significa ricordare che non c'è libertà vera senza il diritto di informare e di essere informati. Significa ribadire che il lavoro dei giornalisti è un servizio essenziale per la collettività.

Ma la libertà di stampa non vive nel vuoto, ha bisogno di un ambiente favorevole, di una società che sappia leggere, confrontarsi, porsi domande. Ed è qui che entra in gioco anche la garanzia di avere, così come l'informazione, una cultura libera, che non può essere sottoposta al controllo politico. Cultura libera come possibilità di produrre, di diffondere e di accedere alle idee, ai saperi, alle arti e anche all'informazione, che è la condizione per avere cittadini consapevoli, capaci di interpretare la realtà e non di subirla. Un'informazione libera ha bisogno, quindi, anche di lettori preparati, di cittadini curiosi, di scuole che insegnino a distinguere i fatti dalle menzogne; ha bisogno anche di biblioteche aperte, di teatri vivi, di cinema che raccontino storie, di festival, editori indipendenti e autori liberi di scrivere senza censure, né autocensure.

Noi non possiamo lasciare soli i giornalisti e non possiamo lasciare soli nemmeno gli insegnanti, gli artisti, i bibliotecari, gli editori. Chi difende la libertà di parola, di ricerca e di critica, difende tutte e tutti noi. Ed è per questo che serve coerenza, non bastano solo le parole. Servono leggi che difendano chi scrive, chi racconta, chi indaga. Servono risorse vere per la scuola, per le biblioteche, per la ricerca. E servono anche misure contro le querele temerarie, contro l'odio online, contro la concentrazione pericolosa delle testate nelle mani di pochi. E serve, sopra ogni cosa, l'impegno di tutte e tutti noi, di chi fa politica, di chi amministra, di chi insegna, di chi informa. Perché un Paese dove la stampa è libera e la cultura è viva, è un Paese che non ha paura del suo futuro. Perché senza giornalisti liberi e senza cultura libera, la democrazia rimane una parola vuota, e noi questo non possiamo permettercelo.

Questa Giornata colma un vuoto istituzionale, rende omaggio a chi non ha piegato la testa davanti alle minacce, alle mafie, alla corruzione, alle guerre, a chi ha scelto di raccontare ciò che molti volevano tenere nascosto. Ci sono molti giornalisti italiani che hanno perso la vita a causa del loro lavoro, sia in Italia, che all'estero. Alcuni sono stati uccisi dalla mafia o dal terrorismo, altri mentre erano in missione in zone di guerra o di conflitto. L'elenco di quei giornalisti italiani, uccisi per la loro professione, è lungo e molto doloroso, e ricorda il coraggio e il sacrificio di chi ha dedicato la propria vita alla ricerca, alla verità e all'informazione, di chi credeva nel potere delle parole.

Io vorrei ricordare alcuni di loro che, per questa libertà, hanno pagato il prezzo più alto. E inizio da due giovani giornalisti, assassinati entrambi dalla violenza mafiosa a distanza di pochi anni: Peppino Impastato, giornalista siciliano, conduttore radiofonico e attivista, ucciso dalla mafia, in Sicilia, nella notte di quel 5 maggio 1978 in cui la violenza mafiosa e quella terroristica sconvolsero l'Italia; Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra a soli 26 anni perché raccontava la verità, ucciso perché aveva scoperto legami tra personaggi politici e camorristici di Torre Annunziata, era solo un giovane che svolgeva bene il proprio lavoro.

Uccisi entrambi per ridurli al silenzio, per cancellare le loro inchieste, per far dimenticare le loro denunce, per interrompere quel flusso di informazioni che riuscivano a fare arrivare all'opinione pubblica. Ma quelle voci e quelle testimonianze continuano ancora a parlare a intere generazioni.

E ancora ricordo: Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, assassinati in Somalia mentre indagavano su traffici di armi e rifiuti; Maria Grazia Cutuli, cronista di guerra caduta in Afghanistan durante un reportage di guerra; Antonio Russo, ucciso mentre documentava i crimini in Cecenia; Raffaele Ciriello, morto in Cisgiordania durante un attentato; così come Enzo Baldoni, rapito e ucciso in Iraq; Fabio Polenghi, ucciso a Bangkok durante le proteste del 2010; Graziella De Palo e Italo Toni, scomparsi nel 1980 e mai più ritrovati. Sono tanti, troppi, troppe donne e troppi uomini che non hanno avuto protezione sufficiente, ma che non hanno rinunciato a fare il proprio dovere.

Questo passaggio normativo, quindi, è un atto doveroso perché in Italia, come nel resto del mondo, troppo spesso ancora i giornalisti pagano con la loro vita il loro impegno per raccontare i fatti, per denunciare illegalità, per portare alla conoscenza di tutte e di tutti verità anche scomode. Quando a questo si aggiunge un clima di minacce e di intimidazioni, di querele bavaglio verso di loro, la società si impoverisce due volte: perde la libera informazione e perde la verità. I dati sono molto chiari: secondo l'osservatorio Ossigeno per l'Informazione, solo nel 2024 in Italia ci sono stati 516 episodi di minacce e intimidazioni contro i giornalisti, avvertimenti, aggressioni verbali, campagne di odio, querele bavaglio. A livello europeo, la piattaforma del Consiglio d'Europa ha documentato oltre 2.000 violazioni gravi dal 2015 ad oggi e solo quest'anno se ne contano già 219.

Noi non possiamo fingere che non ci riguardi e non possiamo permettere che il giornalismo libero diventi un lavoro di frontiera, da pagare con la paura o con la vita. Questi numeri ci ricordano, signor Presidente, che la libertà di informare non è ancora pienamente garantita e va difesa ogni giorno. Questa giornata non deve essere solo una giornata di commemorazione, ma deve essere anche momento di formazione e di sensibilizzazione. Per questo la proposta, grazie anche al lavoro emendativo rispetto alla prima stesura in Commissione, al comma 5 prevede che il 3 maggio sia anche un'occasione di riflessione negli istituti scolastici, nelle università e nelle piazze, attraverso incontri e convegni per spiegare ai giovani cosa significhi informare in modo libero (giornate che valorizzino la libertà di stampa e il ruolo svolto dall'informazione); al comma 6 prevede che possano essere promosse campagne contro il linguaggio d'odio e le minacce soprattutto contro le giornaliste.

Un cittadino informato è un cittadino più difficile da manipolare e più resistente alle menzogne. In un tempo in cui le fake news corrono veloci, velocissime, e in cui le verità scomode si provano a mettere a tacere, dobbiamo ricordare che senza informazione non c'è democrazia. Come diceva Giancarlo Siani, la verità non è mai inutile. Allora, ripetiamolo ai ragazzi - abbiamo il dovere di ripeterlo a loro - e facciamolo entrare davvero nelle scuole.

Un'ultima riflessione, signor Presidente. Questa giornata sarà certamente un simbolo, ma perché non resti solo una ricorrenza vuota, a una giornata della memoria servono azioni concrete. Il Partito Democratico ha sostenuto e sostiene questa proposta di legge e oggi confermiamo il nostro voto favorevole, ma chiediamo al Governo di assicurare risorse reali per le campagne di comunicazione e di contrasto all'odio verso i giornalisti e, in particolare, verso le donne, che troppo spesso subiscono minacce e violenze doppie. Non possiamo permettere che sia solo retorica. Dobbiamo, quindi, garantire strumenti, protezione, cultura e libertà e dobbiamo farlo insieme, perché senza i giornalisti liberi non c'è cittadinanza libera e non ci può essere democrazia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico-Italia Democratica e Progressista).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paolo Emilio Russo. Ne ha facoltà.

PAOLO EMILIO RUSSO (FI-PPE). Grazie, signor Presidente. Onorevole Sottosegretario di Stato, onorevoli colleghi, mi rivolgo a quest'Aula per spiegare le ragioni che mi hanno spinto, già nei primi giorni di questa legislatura, a scrivere, presentare e condividere una proposta di legge volta a istituire la Giornata nazionale in memoria dei giornalisti uccisi a causa dello svolgimento della loro professione, da celebrarsi il 3 maggio di ogni anno.

Come giornalista di professione - insieme a molti colleghi che siedono in quest'Aula, a partire proprio dal Presidente, che siede sullo scranno più alto, e dal Sottosegretario, che siede nei banchi del Governo: sono tutti colleghi giornalisti - ma innanzitutto come lettore, ho conosciuto il peso e la responsabilità di chi ogni giorno si impegna a raccontare la verità, spesso in contesti difficili, talvolta pericolosi. Penso a colleghi che hanno pagato con la vita il loro coraggio, la loro dedizione a un mestiere che non è solo un lavoro, ma è una missione al servizio della democrazia.

Voglio ricordare qualche nome: Cosimo Cristina, il primo giornalista italiano ucciso dalla mafia in Italia, come Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato, Peppino Impastato, Mario Francese, Giuseppe Fava, Mauro Rostagno e Beppe Alfano; poi Giancarlo Siani, assassinato dalla camorra, e Walter Tobagi, abbattuto dai colpi delle Brigate rosse; o i numerosi caduti all'estero, come Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, ma anche Marco Luchetta, Alessandro Saša Ota e Dario D'Angelo, colpiti 21 anni fa mentre stavano realizzando un reportage sui bambini vittime del conflitto nei Balcani, o Antonio Russo, che indagava sulle violazioni dei diritti umani in Cecenia; i fotoreporter Enzo Baldoni e Andrea Rocchelli e, ovviamente, l'inviata del Corriere della Sera Maria Grazia Cutuli.

I giornalisti uccisi a causa del loro lavoro non sono solo vittime di una violenza brutale, ma martiri di un ideale che è il fondamento stesso della democrazia, cioè la libertà di stampa. Essi rappresentano - per citare il filosofo Jürgen Habermas - i custodi del discorso pubblico, senza i quali il pluralismo e il controllo democratico del potere verrebbero meno. Questa proposta di legge nasce proprio da qui, dal desiderio di rendere omaggio a chi ha sacrificato tutto per difendere il diritto dei cittadini a essere informati e dall'urgenza di riaffermare, come Stato, che la libertà di stampa è un pilastro irrinunciabile della nostra società.

Il testo della legge, composto da un unico articolo, prevede l'istituzione di una Giornata nazionale il 3 maggio, che è una data simbolica scelta in coincidenza con la Giornata mondiale della libertà di stampa proclamata dalle Nazioni Unite. Allinea, dunque, il nostro Paese a quanto già accade in altre grandi democrazie del mondo. Riconosce - come giustamente la Repubblica già fa con diverse e importanti altre categorie di lavoratori, che sono a rischio in qualche modo - il ruolo pubblico di chi cerca, scrive e racconta notizie.

Il 3 maggio di ciascun anno le regioni, lo Stato, gli enti locali potranno promuovere iniziative di sensibilizzazione, con il coinvolgimento di scuole, università, associazioni di settore, per commemorare i giornalisti caduti e per valorizzare il ruolo della stampa libera. Tra gli obiettivi della giornata che istituiamo c'è anche quello di contrastare il linguaggio d'odio e le minacce rivolte contro le donne giornaliste. Essa si propone come un'occasione di riflessione collettiva per divulgare storie esemplari di chi ha sacrificato la vita per il proprio dovere professionale e nessuno sarà dimenticato, perché il testo prevede che la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo possa dedicare spazi adeguati della programmazione per raccontare queste esperienze e che il sito Internet istituzionale della Presidenza del Consiglio dei ministri, specificamente il Dipartimento per l'informazione e l'editoria, pubblichi proprio i nomi dei caduti, insieme al sito dell'ordine dei giornalisti.

La proposta che voteremo in queste prossime ore, in questi giorni, è nata e si è sviluppata con uno spirito di assoluta condivisione, quello che viene normalmente riservato alle questioni importanti che riguardano le regole e le basi, appunto, del sistema democratico e della convivenza. Permettetemi, allora, di esprimere la mia più sincera gratitudine a tutti i colleghi di tutti i gruppi parlamentari, di maggioranza come di opposizione, che hanno voluto sottoscrivere questa proposta. Voglio citarli per nome: gli onorevoli Marta Schifone, Federico Fornaro, Igor Iezzi, Alfonso Colucci, Mara Carfagna, Filiberto Zaratti, Pino Bicchielli, Roberto Giachetti, Andrea Mascaretti, Elena Maccanti, Simonetta Matone, Alessandro Amorese e Valentina Grippo, che oggi ha svolto l'ottimo lavoro di relatrice del provvedimento.

Il sostegno di tutti questi colleghi di tutti i gruppi dimostra come questa iniziativa trascenda le appartenenze politiche, unendo questa Camera intorno a valori universali che sono, appunto, quelli della libertà di stampa e del diritto all'informazione.

Ringrazio per il supporto discreto, ma appassionato, il Sottosegretario all'editoria, il senatore Alberto Barachini, che ha accompagnato questa legge nell'ultimo miglio. Lui, ma il Governo di Giorgia Meloni nella sua interezza, più in generale, sono fortemente impegnati a sostenere un settore, quello dell'editoria appunto, che è attraversato da profondi mutamenti e che si trova ad affrontare delle sfide nuove, che soltanto qualche anno fa erano semplicemente inimmaginabili, come quella, per esempio, lanciata dall'intelligenza artificiale e, più in generale, dalla transizione digitale, che interessa l'informazione nazionale, come l'informazione locale, garantismo, pluralismo e professionalità.

Questa proposta di legge non è solo un atto di memoria, ma è un impegno concreto per il futuro. In un'epoca in cui la disinformazione e le minacce ai giornalisti sono in aumento, in cui le nuove tecnologie e la bassa redditività del settore dell'editoria possono rappresentare una nuova minaccia e indebolire ulteriormente il ruolo di chi cerca notizie e le racconta, istituire una Giornata nazionale significa inviare un messaggio chiaro, che l'Italia non dimentica i suoi eroi della verità e si impegna a proteggere chi, ogni giorno, rischia per garantire il diritto all'informazione. Walter Tobagi, un grande giornalista ucciso nel 1980 dalle Brigate rosse, scrisse: la libertà di stampa è il termometro della democrazia. Ecco, con questa legge, come maggioranza, insieme all'opposizione, vogliamo che questo termometro segni sempre una temperatura alta, a difesa della nostra democrazia.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Auriemma. Ne ha facoltà.

CARMELA AURIEMMA (M5S). Grazie, Presidente. Siamo oggi qui a discutere su un provvedimento che chiede di istituire la Giornata nazionale in memoria dei giornalisti uccisi a causa dello svolgimento della loro professione. Diciamolo subito: è un tema su cui è difficile non essere d'accordo. Anche un solo giornalista ucciso per il suo lavoro dovrebbe essere un lutto per chiunque crede nella libertà di stampa e di informazione, una libertà che non è una gentile concessione di qualcuno, ma è la pietra angolare su cui poggia la vita democratica, su cui poggia ogni democrazia.

I numeri dei giornalisti uccisi del resto parlano da soli: secondo Reporter Senza Frontiere, solo nel 2024 sono 54 i giornalisti uccisi nel mondo. Per la Federazione internazionale dei giornalisti, se allarghiamo lo sguardo a tutti gli operatori dell'informazione, parliamo di 104 vittime in un solo anno. Numeri drammatici, numeri che raccontano una realtà pericolosa e, soprattutto, una realtà in peggioramento.

Quindi, sì, istituire una giornata per ricordare tutto questo e per celebrare chi ha pagato con la vita il diritto di raccontare la verità è importante. Ma c'è un però, anzi, ce ne sono molti e tocca qui snocciolarli tutti, perché una giornata ha senso solo se è coerente con ciò che si fa tutti gli altri giorni, tutti gli altri 364 giorni dell'anno, e possiamo dire con convinzione che nel Governo Meloni la coerenza manca clamorosamente.

Ricordiamo solo noi Salvini che minacciava Roberto Saviano addirittura di togliergli la scorta? Quella non era una intimidazione in piena regola? Per noi sì. Non era un'intimidazione che scherniva e indeboliva chi, in quel momento, era sotto scorta e sicuramente non per un proprio sfizio personale, ma perché rischiava di essere ucciso e rischia di essere ucciso? Oggi quello stesso Salvini siede al Governo e oggi la maggioranza Meloni ci propone di istituire una Giornata per i giornalisti uccisi. C'è una contraddizione proprio in termini ed è evidente. Perché, vedete, un giornalista muore quando lo si delegittima, quando lo si isola, quando il potere lo espone all'odio mediatico e sociale.

Tutto questo accade proprio qui da noi, proprio con questo pericoloso Governo. Voglio anche ricordare gli attacchi costanti a Report, che sono una dimostrazione plastica di come questo Governo attacchi chi fa il proprio dovere.

Presidente, oggi i colleghi di maggioranza sono qui a stracciarsi le vesti per istituire una nuova giornata, ma da 2 anni non riescono a dire niente contro chi ha letteralmente cancellato il diritto di cronaca in un'intera regione del mondo, quella di Gaza, che a voi - lo abbiamo capito - non interessa. Perché, mentre parliamo in quest'Aula, a Gaza ci sono giornalisti che vengono colpiti con addosso un casco con scritto Press. A Gaza c'è il numero più alto di giornalisti uccisi in un conflitto armato: parliamo di oltre 200 operatori, circa 230 operatori. Anche questi li vogliamo chiamare effetti collaterali?

Molti sono stati colpiti mentre facevano il loro mestiere, mentre documentavano, mentre raccontavano, perché nulla di ciò che accade a Gaza è frutto del caso. Adesso lo sappiamo chiaramente. Perché silenziare Gaza? Perché? Perché l'obiettivo è quello di silenziare un genocidio in corso, è quello di silenziare un genocidio che lo sta realizzando un amico di questo Governo. Lo abbiamo capito chiaramente anche dagli interventi: questo Governo è amico di Netanyahu.

Noi ci siamo stati al valico di Rafah e abbiamo parlato con i giornalisti palestinesi. Lì abbiamo compreso che il vero disegno del Governo israeliano non è soltanto quello di annientare un intero popolo, ma anche di impedire che queste notizie vengano fuori. I giornalisti palestinesi morti a Gaza non erano nel posto sbagliato al momento sbagliato: erano nel posto giusto, ma stavano raccontando qualcosa di sbagliato, qualcosa che per Netanyahu, e forse anche per qualche esponente di questo Governo, era sbagliato che raccontassero. Ma, nonostante tutto, sappiamo e vediamo cosa accade a Gaza proprio grazie a tutti quei giornalisti che rischiano la vita ogni giorno per provare a denunciare il genocidio del popolo palestinese. Ma sappiamo anche quello che fa questo Governo, grazie sempre a quella stampa libera che in Italia resiste e che ha deciso di non abbassare la testa, nonostante le continue pressioni e minacce e nonostante la vergognosa legge bavaglio voluta da questo Governo Meloni.

E come non posso ricordare i lavoratori precari Rai che sono in sciopero e che rischiano veramente, col loro spostamento e con una finta riorganizzazione dell'azienda, di essere dispersi su tutto il territorio italiano. Quindi, vengono meno le trasmissioni di inchiesta più importanti, quelle che poi paradossalmente fanno anche più ascolti, e quindi sembra proprio illogico e contraddittorio che l'azienda, che dovrebbe tutelare chi fa ascolto e, quindi, lavora bene, in realtà sta smantellando veri e propri programmi, tra cui anche Report.

Quindi, ci dispiace, ma non crediamo alla sincerità di questo Governo e ci viene il dubbio forte che questa giornata non sia altro che un'operazione di facciata, un'operazione di marketing, una lavata di coscienza. Non basta istituire una giornata per difendere i giornalisti. Serve una cultura politica che li rispetti, serve un Governo che li protegga, quando la loro vita è in pericolo e non li minacci, com'è avvenuto con Salvini. Questo Governo continua a usare il potere per colpire i giornalisti che danno fastidio. Lo fa col sarcasmo, lo fa con le minacce velate, lo fa con le pressioni politiche, lo fa con lo spirito con cui oramai, da 2 anni, istituisce nuove giornate della memoria ogni mese, svuotando anche quelle, come appunto quella di oggi, che contano davvero.

Questo è un altro problema: le giornate importanti hanno un senso solo se sono rare e vere. Se ogni giorno è la giornata di qualcosa, nessuna giornata conta più. Diventa tutto un cerimoniale, retorica, scenografia. È forse un modo per far finta di occuparsi di un problema, senza fare assolutamente nulla. Allora, Presidente, ai colleghi di maggioranza dico: se volete istituire questa nuova giornata, fatelo! Facciamolo insieme! Ma almeno smettetela di fingere che ve ne importi realmente qualcosa della sorte dei giornalisti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Perissa. Ne ha facoltà.

MARCO PERISSA (FDI). Buongiorno, Presidente, Governo. Presidente, deve essere successo qualcosa stamattina, non me ne sono accorto. Mi aiuti! Mi sono svegliato in un altro Paese. Questa maggioranza, questa mattina, è stata accusata di vetero-razzismo sulla questione palestinese - per la mozione che abbiamo discusso in discussione generale prima - e, poco fa, se le mie orecchie non hanno sentito male, questo Governo è stato tacciato di colpire la libertà di stampa.

Eppure, proprio l'intervento che ha preceduto il mio, come i tanti che questa mattina hanno caratterizzato gli argomenti che si sono poi succeduti nel corso delle discussioni generali, dimostrano che, in questo Paese, è garantita non solo la libertà di espressione, ma anche la libertà di stampa. Allora, oggi andiamo a celebrare una discussione generale su una proposta di legge che prevede l'istituzione della Giornata nazionale della memoria per i giornalisti che hanno perso la vita mentre svolgevano il loro lavoro. Tra l'altro, guardando i Governi precedenti, mi viene da dire anche con un certo ritardo, perché la Giornata mondiale è stata istituita nel 1993.

Quindi, con qualche annetto di ritardo, oggi andiamo ad istituire, con il piacere dell'intero Parlamento e di tutte le forze politiche, questa giornata che, sì, è un simbolo, come ogni giornata nazionale di ricordo e di memoria, ma è anche un simbolo di grande consapevolezza da parte del Governo, del Parlamento, della maggioranza e dei partiti che la compongono.

Alcuni dati sono abbastanza inquietanti, alcuni colleghi li hanno citati negli interventi che hanno preceduto il mio, quindi io cercherò di stringere. L'osservatorio Ossigeno per l'informazione - su richiesta, tra l'altro, dell'allora Commissione antimafia - ha rappresentato, come dicevo, numeri abbastanza inquietanti: sono 28 i giornalisti che risultano uccisi dal dopoguerra ad oggi, 15 vivono sotto scorta e ammontano ad oltre 2.500 le minacce di morte ricevute dai giornalisti. Sono numeri di fronte ai quali lo Stato già opera con servizi di tutela e monitoraggio - le cosiddette scorte -, laddove se ne ravvisi la necessità e dove c'è una presenza delle istituzioni di supporto nei confronti del lavoro dei giornalisti messi sotto minaccia che già esiste e che già insiste.

Pur tuttavia, all'interno di questa proposta di legge, si cerca di lanciare anche uno sguardo un pochino più avanti, cercando di prevedere anche la possibilità - ovviamente sempre nell'ambito della libertà da parte delle scuole, delle università e delle istituzioni - di costruire momenti di memoria e di ricordo della vita di questi eroi e di queste eroine che hanno perso la vita cercando di raccontare, forse, quelle verità veramente scomode. La consapevolezza di questa maggioranza e anche del partito che rappresento in questo momento, Fratelli d'Italia, è quella per la quale alla base della conoscenza c'è l'informazione e che nell'ignoranza, etimologicamente parlando, quindi nella mancanza di conoscenza, invece trova linfa e risiede tutto quello che non è bene.

Nel continuo conflitto, per esempio, tra la criminalità organizzata e lo Stato, la disinformazione, la non informazione, il desiderio di silenziare chi raccontava certe vicende e certe storie ha avuto, nel corso della nostra storia, un ruolo importante, consegnando - è il caso di dirlo - alla nostra memoria giovani uomini e giovani donne che cercavano di portare luce e verità.

Questa Giornata, chiaramente, è un simbolo all'interno di un contesto, che è quello dello Stato italiano, dove c'è già, a prescindere, credo, dai Governi, grande attenzione da parte degli apparati della Forza pubblica e della sicurezza interna nei confronti di dinamiche di questo genere.

Era anche giusto, però, con l'approvazione, con la discussione e, poi, la futura approvazione di questa proposta di legge, dare un segnale da parte della politica - come dicevo prima - di consapevolezza. È nostro preciso dovere affermare il principio per cui nella libertà di informazione e di espressione risiede un valore fondamentale della nostra democrazia, del nostro Paese, del nostro Stato e della nostra Nazione. È nostro preciso intento, nell'affermare questo principio, farci trovare disponibili da oggi, ieri e domani, nell'essere coerenti e in continuità con l'affermazione di questo principio, soprattutto perché nella memoria di uomini valorosi, attraverso il loro lavoro - molti li hanno nominati, da Peppino Impastato, mi viene in mente Almerigo Grilz, un inviato di guerra che perde la vita in Mozambico -, noi abbiamo potuto conoscere situazioni, fatti e realtà che fino a qualche minuto prima ci erano ignoti e, grazie a quella conoscenza, abbiamo potuto determinare le nostre decisioni future. Con profonda gratitudine nei confronti di questi eroi della libertà e dell'informazione, ma anche con enorme gratitudine nei confronti di questi portatori sani di conoscenza, noi oggi andiamo a chiudere questa discussione generale che ci porterà alla prossima approvazione di questa legge.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1447-A​)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare, in sostituzione della relatrice, la deputata Valentina Grippo, vice presidente della VII Commissione (Cultura), che rinuncia.

Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo. Prego, Sottosegretario Barachini.

ALBERTO BARACHINI, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Presidente, onorevoli colleghi, in una fase drammatica, di conflitti in Europa, alle porte dell'Europa, ma anche in Medio Oriente, una fase in cui ciascuno di noi, cittadino, politico, uomo delle istituzioni, è scosso, profondamente scosso, da eventi dolorosi e angoscianti e ha bisogno di capire, è quanto mai cruciale il ruolo dei giornalisti: il ruolo di chi va e vede e racconta, di chi, a rischio della propria vita, è testimone di quello che accade per raccontarlo a tutti noi, per aiutarci a formare la nostra coscienza sui fatti.

Nell'era delle manipolazioni possibili, a basso costo, come i deepfake, ciò che possiamo definire un fatto, qualcosa che è realmente accaduto, è tutt'altro che scontato. Abbiamo bisogno della presenza dei giornalisti, del loro lavoro. Abbiamo bisogno di chi ha la formazione, la competenza, l'etica deontologica. Abbiamo bisogno di chi consuma le proprie suole delle scarpe, come diceva Papa Francesco. Nel tempo, come ricorda la proposta di legge dell'onorevole Paolo Emilio Russo, tanti giornalisti hanno perso la vita proprio a causa del loro lavoro e onorare la loro memoria di servitori della democrazia è un dovere e un monito.

Dobbiamo essere riconoscenti a tutti coloro che hanno custodito e custodiscono la nostra democrazia e a chi lo fa attraverso la libertà di espressione e di stampa, che è il pilastro costituzionale su cui si fonda la professione giornalistica ed è una scelta che il Governo rinnova ancora una volta oggi, in quest'Aula, sostenendo questa proposta di legge, a cui aderiamo in ogni sua parte. La volontà di salvaguardare la libertà di stampa e il pluralismo informativo è ciò che dà impulso alla mia azione di Governo, alla nostra azione di Governo, ogni giorno, nella scrittura dei numerosi provvedimenti di sostegno all'editoria, all'informazione libera, alla professione giornalistica e a tutta la filiera editoriale.

Perché libertà e pluralismo possano proseguire è necessario che continuino ad avere risorse per confrontarsi con attori internazionali, con una forza tecnologica ed economica esponenzialmente superiore, nell'era dell'intelligenza artificiale generativa e dell'offensiva della distribuzione algoritmica. Attori che, però, non sono tenuti a rispettare argini deontologici né responsabilità editoriali né fondamentali salvaguardie contrattuali.

Ecco perché ogni giorno, sempre e sempre di più, siamo dalla parte di questa professione difficile e necessaria. Siamo e saremo dalla parte di una libertà che ha bisogno di risorse per essere testimone dei fatti. Ringrazio Paolo Emilio Russo per questa proposta di legge e la Commissione cultura e il suo presidente che, in modo bipartisan, hanno lavorato perché questa Giornata possa essere istituita al più presto (Applausi del deputato Paolo Emilio Russo).

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 15 luglio 2025 - Ore 11:

1. Svolgimento di interrogazioni .

(ore 14)

2. Esame del Documento approvato dalla XIV Commissione nell'ambito della verifica di sussidiarietà di cui all'articolo 6 del protocollo n. 2 allegato al trattato di Lisbona. (Doc. XVIII-bis, n. 60)

Relatrice: RACHELE SILVESTRI.

3. Seguito della discussione della proposta di legge:

BAGNAI ed altri: Modifiche all'articolo 132 del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, concernenti l'acquisizione di dati relativi al traffico telefonico e telematico per esigenze di tutela della vita e dell'integrità fisica del soggetto interessato, nonché istituzione della Giornata nazionale dedicata alle persone scomparse. (C. 1074-A​)

Relatrice: MATONE.

4. Seguito della discussione del disegno di legge:

S. 1233 - Ratifica ed esecuzione della Convenzione che istituisce l'Organizzazione internazionale per gli ausili alla navigazione marittima, con Allegato, fatta a Parigi il 27 gennaio 2021 (Approvato dal Senato). (C. 2189​)

Relatore: FORMENTINI.

5. Discussione della Relazione della Giunta per le autorizzazioni sulla richiesta di deliberazione in materia di insindacabilità, ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, nell'ambito di un procedimento penale nei confronti della deputata Meloni. (Doc. IV-ter, n. 7-A)

Relatore: PITTALIS.

6. Discussione della Relazione della Giunta per le autorizzazioni sulla richiesta di deliberazione in materia di insindacabilità, ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, nell'ambito di un procedimento penale nei confronti del deputato Donzelli. (Doc. IV-ter, n. 14-A)

Relatrice: FORATTINI.

7. Discussione della Relazione della Giunta per le autorizzazioni sulla richiesta di deliberazione in materia di insindacabilità, ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, nell'ambito di un procedimento penale nei confronti del deputato Delmastro Delle Vedove. (Doc. IV-ter, n. 16-A)

Relatore: ENRICO COSTA.

8. Seguito della discussione del disegno di legge:

Modifiche alla legge 9 agosto 2023, n. 111, recante delega al Governo per la riforma fiscale. (C. 2384-A​)

Relatrice: MATERA.

9. Seguito della discussione delle mozioni Scotto, Barzotti, Mari ed altri n. 1-00444 e Boschi ed altri n. 1-00475 concernenti iniziative in materia di povertà lavorativa .

10. Seguito della discussione delle mozioni Conte, Schlein, Bonelli ed altri n. 1-00465 e Boschi ed altri n. 1-00474 concernenti iniziative in ordine alla denuncia formale del Memorandum d'intesa in materia di cooperazione nel settore militare e della difesa con il Governo dello Stato di Israele .

11. Seguito della discussione della proposta di legge:

PAOLO EMILIO RUSSO ed altri: Istituzione della Giornata nazionale in memoria dei giornalisti uccisi a causa dello svolgimento della loro professione. (C. 1447-A​)

Relatrice: MATTEONI.

La seduta termina alle 14.