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Welfare locale
informazioni aggiornate a giovedì, 1 ottobre 2015

 

La legge 328/2000, emanata con lo scopo di avviare una complessiva riorganizzazione della sicurezza sociale, ha affidato la programmazione e l'organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali a diversi livelli di governo: Stato, regioni e enti locali, chiamati a collaborare secondo i principi di sussidiarietà e di cooperazione nel rispetto dell'autonomia organizzativa e regolamentare degli enti territoriali e locali. Dopo la riforma costituzionale del 2001 (L. 3/2001), l'assistenza sociale è diventata una competenza residuale disciplinata dalle Regioni e amministrata dal Comune, mentre allo Stato è rimasta la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali (art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.), da emanare con modalità partecipative (leggi qui come le politiche sociali sono disegnate nel disegno di legge di Riforma costituzionale).

L'art. 14, co. 27-28, del decreto-legge 78/2010 ha successivamente disciplinato l'esercizio obbligatorio delle funzioni fondamentali dei comuni in forma associata. Fra queste è compresa la progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali e l'erogazione delle relative prestazioni ai cittadini, secondo quanto stabilito dall'articolo 118 della Costituzione.

 

Come previsto dall'art. 6 della legge 328/2000, ai comuni compete la gestione degli interventi e dei servizi sociali, la cui programmazione è in capo alle Regioni. Nello specifico, il Comune ha il compito istituzionale di programmare, attraverso il Piano di zona (art. 19 della legge 328/2000), il sistema integrato di interventi e servizi sociali e poi di garantirne l'erogazione, integrando la programmazione sociale e la programmazione sociosanitaria. In tale perimetro altri soggetti sono chiamati ad intervenire: le Regioni, che dettano gli indirizzi della programmazione ed erogano servizi sociosanitari attraverso le ASL; le Province, che possono partecipare al finanziamento dei Piani di Zona; lo Stato, che, di anno in anno, determina i fondi nazionali destinati alle politiche sociali. Dal punto di vista dell'offerta di servizi sociali e socio-sanitari, entrano in gioco anche i produttori privati profit e no profit, ai quali spesso Comuni e ASL esternalizzano tali servizi. Per questo, una ulteriore importante funzione dei Comuni risiede nel procedimento di autorizzazione, accreditamento e vigilanza dei servizi sociali e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale a gestione pubblica o del privato profit o no profit.

L'accesso agli interventi assistenziali, pur avendo, come per le prestazioni sanitarie, un carattere di universalità (art. 2 della L. 328/2000), è, generalmente, condizionato dalla compresenza di due elementi necessari: il bisogno e la scarsità economica per farvi fronte. Infatti, a differenza di quanto avvenuto in ambito sanitario, non sono stati ancora fissati i livelli essenziali delle prestazioni erogabili in ambito sociale (nel tempo definiti LEP o LIVEAS), ovvero gli interventi e i servizi sociali in grado di garantire un livello di prestazioni assistenziali, e quindi di cittadinanza sociale, uniforme in tutto il Paese. La legge 328/2000 indica infatti gli interventi che costituiscono i Livelli Essenziali, ma manca tuttora una loro più stringente definizione ed il relativo adeguato finanziamento, come avvenuto in ambito sanitario con la fissazione dei LEA e della dotazione finanziaria annuale del Fondo sanitario nazionale attraverso la legge di stabilità.

Pertanto, il diritto alle prestazioni sociali, in particolare nella forma agevolata, e/o ai servizi di pubblica utilità, è subordinato alla verifica degli enti erogatori (quindi nella maggior parte dei casi ai Comuni), secondo parametri anagrafici e/o economici (reddito della singola persona o indicatore della situazione economica (ISE) e indicatore della situazione economica equivalente-ISEE), che permettono di valutare in maniera sintetica le condizioni economiche del nucleo familiare. Per garantire una maggiore equità sociale nella determinazione delle tariffe dei servizi, molti Comuni hanno deliberato modifiche all'ISEE introducendo un coefficiente maggiorato a vantaggio delle famiglie numerose, con figli minori, disabili, anziani (il "quoziente familiare"). Sono state inoltre introdotte in molti casi riduzioni per i servizi socio-educativi e scolastici.

 

L'Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) è l'indicatore, in vigore dal 1998, che serve per valutare e confrontare la situazione economica dei nuclei familiari e per regolare l'accesso alle prestazioni (in moneta e in servizi) sociali e sociosanitarie erogate dai diversi livelli di governo. In generale, l'ISEE viene utilizzato ai fini dell'applicazione di tariffe differenziate in relazione alla condizione economica oppure per la fissazione di soglie oltre le quali non è ammesso l'accesso alla prestazione. Gli enti erogatori possono prevedere, accanto all'ISEE, criteri ulteriori di selezione volti ad identificare specifiche platee di beneficiari, per caratterizzare, in autonomia, le loro politiche sociali. 
L'ISEE è stato recentemente riformato (come previsto dal decreto legge  201/2011, c.d. Decreto Salva Italia),  per rendere più corretta la misurazione della condizione economica delle famiglie, ridurre le sperequazioni nell'accesso alle prestazioni e rafforzare il sistema dei controlli. Il D.P.C.M. 159/2013  ha quindi profondamente riformato la disciplina previgente. Con la riforma, gli enti erogatori sono tenuti a utilizzare l'ISEE come indicatore della situazione economica, anche se possono prevedere, accanto all'Indicatore, criteri ulteriori di selezione volti ad identificare specifiche platee di beneficiari. Ai fini dell'applicazione del nuovo ISEE, i Comuni hanno dovuto adeguare i regolamenti con l'individuazione delle nuove soglie. Il nuovo ISEE ha introdotto disposizioni innovative:
  • nella nozione di reddito vengono inclusi – a fianco del reddito complessivo ai fini IRPEF – tutti i redditi tassati con regimi sostitutivi o a titolo di imposta (quali cedolare secca sugli affitti, premi di produttività) e tutti i redditi esenti, compresi tutti i trasferimenti monetari ottenuti dalla Pubblica Amministrazione, quali: assegni al nucleo familiare, pensioni di invalidità, assegno sociale, indennità di accompagnamento; i redditi figurativi degli immobili non locati e delle attività mobiliari. Viceversa sono sottratte, dalla somma dei redditi, spese e franchigie riferite al nucleo familiare;
  • per quanto riguarda la componente patrimoniale, riferita ai costi dell'abitare: il valore della prima casa viene abbattuto a due terzi e viene considerato solo il valore dell'immobile eccedente il valore del mutuo ancora in essere;
  • la scala di equivalenza viene modificata con un ammontare crescente al numero di figli;
  • con riferimento alla disabilità: vengono introdotte tre distinte classi di disabilità - media, grave e non autosufficienza - e franchigie che corrispondono a diversi trattamenti economici;
  • per quanto riguarda le prestazioni agevolate di natura sociosanitaria: si prevede la possibilità per il disabile adulto convivente con la famiglia di origine, di costituire nucleo anagrafico a sé stante;
  • viene introdotto l'ISEE corrente, riferito ad un periodo di tempo più ravvicinato, in caso di variazioni significative in corso d'anno dell'indicatore della situazione reddituale dovute a modifiche della situazione lavorativa (licenziamenti/cassa integrazione);
  • per le prestazioni agevolate rivolte a beneficiari minorenni: viene stabilito il principio secondo il quale il genitore non convivente nel nucleo familiare, non coniugato con l'altro genitore, che abbia riconosciuto il figlio, fa parte del nucleo familiare del figlio, a meno che non sia coniugato con persona diversa dall'altro genitore o via sia legale separazione;
  • per le prestazioni erogate nell'ambito del diritto allo studio universitario: vengono di regola considerati come facenti parte dello stesso nucleo familiare i genitori dello studente richiedente non conviventi, salvo eccezioni, puntualmente enunciate;
  • il sistema dei controlli sulla veridicità dei dati utili per il calcolo ISEE viene rafforzato affidando un ruolo centrale all'INPS che, al fine di rilevare la veridicità di quanto autocertificato dai cittadini, può avvalersi di controlli incrociati con le banche dati dell'Agenzia delle Entrate e degli archivi amministrativi delle altre amministrazioni pubbliche. In relazione ai dati autodichiarati, l'Agenzia delle entrate, sulla base di controlli automatici, individua e rende disponibili all'INPS, l'esistenza di omissioni o difformità.

La Riforma ha anche modificato incisivamente la regolamentazione del sistema dei controlli e del sistema informativo. Relativamente a questo secondo aspetto, il decreto 8 marzo 2013 Definizione delle modalità di rafforzamento del sistema dei controlli ha istituito la Banca Dati delle prestazioni agevolate che dà attuazione pratica all'obbligo degli enti erogatori di trasmettere all'INPS i dati dei soggetti che ne hanno beneficiato.

 In ultimo, ricordiamo che il decreto legge 78/2010, all'art. 13, ha istituito, presso l'INPS, il Casellario dell'assistenza: uno strumento di raccolta delle informazioni sui beneficiari e sulle prestazioni sociali loro erogate, pensato per migliorare il monitoraggio, la programmazione e la gestione delle politiche sociali. In tal senso, le informazioni raccolte nel Casellario contribuiranno ad assicurare una compiuta conoscenza dei bisogni sociali e del sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali e costituiranno parte della base conoscitiva del sistema informativo dei servizi sociali, ai sensi dell'art. 21 della legge 328/2000. La disposizione istitutiva ha configurato il Casellario dell'assistenza come un'anagrafe generale delle prestazioni sociali, contenente i dati forniti da Regioni, Province autonome, Comuni e dagli altri enti erogatori.
Gli enti locali e ogni altro ente erogatore di prestazioni dovrà mettere a disposizione del Casellario tutte le informazioni di propria competenza, consentendo, fra l'altro, di segnalare agli organi competenti gli importi indebitamente percepiti per l'applicazione delle relative sanzioni. Il Casellario è articolato in tre sezioni: Banca dati delle prestazioni sociali agevolate, condizionate all'ISEE; Banca dati delle prestazioni sociali, condizionate all'ISEE; Banca dati delle valutazioni multidimensionali, se l'erogazione della prestazione sociale prevede anche la presa in carico di prestazioni sociali da parte del servizio sociale professionale.  Le informazioni sono organizzate in tre sezioni corrispondenti a distinte aree di utenza: Infanzia, adolescenza e famiglia definite attraverso il modulo SINBA; Disabilità e non autosufficienza definite attraverso il modulo SINA; Povertà, esclusione sociale e altre forme di disagio definite attraverso il modulo SIP. Il decreto 16 dicembre 2014 ha fissato le modalità attuative del Casellario.

La spesa per l'assistenza sociale erogata dai comuni, singolarmente o in forma associata, rappresenta una componente importante del sistema di welfare (sul punto l'approfondimento Spesa sociale dei Comuni e sue componenti). Al momento, le risorse dedicate al sociale provengono dalla fiscalità generale e sono erogate nei limiti dei finanziamenti ordinari destinati dalle regioni e dagli enti locali alla spesa sociale tenuto conto anche delle risorse, riferibili ai Fondi nazionali dedicati, trasferite dallo Stato.

La spesa complessiva per l'assistenza sostenuta dai comuni nel 2012 risulta di poco inferiore ai 7 miliardi di euro e, per il secondo anno consecutivo, diminuisce rispetto all'anno precedente (-0,6 per cento). Il 18,1 per cento dell'intera spesa sociale dei comuni è destinato agli asili nido che rappresentano uno dei principali servizi forniti. I principali destinatari dei servizi offerti sono le famiglie e i minori (40,0 per cento), le persone disabili (24,3 per cento) e gli anziani (19,1 per cento). La spesa per i servizi sociali offerti dai comuni è costituita principalmente da interventi e servizi forniti direttamente agli utenti, per un importo pari a 2.716 milioni di euro (38,9 per cento del totale), mentre alle strutture sono destinati 2.496 milioni di euro (35,7 per cento). I restanti 1.771 milioni sono impiegati in trasferimenti in denaro ad altri soggetti pubblici e privati e rappresentano il 25,4 per cento della spesa complessiva. Nel 2012, la spesa pro capite è stata pari a 117,3 euro. La Valle d'Aosta presenta il valore più alto (2.771 euro), mentre la Calabria è la regione dove la spesa per abitante è più contenuta (24,6 euro). Più in generale, tutte le regioni del Mezzogiorno, ad eccezione della Sardegna, si trovano al di sotto della media nazionale, insieme a Umbria e Marche per il Centro e il solo Veneto per il Nord (Fonte Istat, Annuario statistico 2015).

 

In questo contesto, le Regioni stabiliscono principi e indirizzi, e coordinano interventi sul territorio da parte degli enti locali, a cui ripartiscono le risorse del Fondo sociale regionale, costituito da stanziamenti provenienti dai fondi statali dedicati alle politiche sociali, integrati da stanziamenti di bilancio regionale. Le regioni possono, altresì, intervenire direttamente, con i voucher, i bonus famiglia, gli assegni di cura, i buoni socio-sanitari. I Comuni svolgono le funzioni amministrative attuative dei servizi sociali e ricevono risorse dalle Regioni e dallo Stato (trasferimenti diretti e vincolati, come quelli della L. 285/1997, Fondo per l'infanzia e l'adolescenza), integrate da propri stanziamenti di bilancio.

A tali finanziamenti si aggiungono quelli del programma nazionale "Servizi di cura all'infanzia e agli anziani non autosufficienti" collocato nell'ambito del Piano d'azione Coesione (Pac). L'attuazione del programma, attivo fino al giugno 2017, è stata affidata al Ministero dell'Interno, individuato quale Autorità di Gestione responsabile. Le risorse stanziate sono destinate alle 4 regioni ricomprese nell'obiettivo europeo "Convergenza": CalabriaCampaniaPuglia, Sicilia.

Al finanziamento dei servizi sociali (art. 4 della legge 328/2000) contribuisce anche la partecipazione dell'utenza privata, con il pagamento delle rette previste per gli asili nido o per le residenze assistite degli anziani.

Complessivamente, le risorse indicate realizzano gli obiettivi dei piani di zona, adottati secondo gli indirizzi dei piani regionali, come previsto dalla L. 328/2000.

 

L'analisi territoriale delle risorse impiegate per il welfare locale mette in luce fortissimi squilibri, che si traducono nella diversa disponibilità di servizi e strutture. Tale analisi, vale anche per la copertura territoriale degli asili nido, un servizio a domanda individuale offerto dai Comuni.

La legge 1044/1971 ha riconosciuto come "servizio sociale di interesse pubblico" l'assistenza prestata negli asili nido ai bambini fino ai tre anni di età. In seguito, la legge 285/1997 ha incluso tra gli interventi finanziabili "l'innovazione e la sperimentazione di servizi socio-educativi per la prima infanzia", non sostitutivi degli asili nido, ovvero: servizi con caratteristiche educative, ludiche, culturali e di aggregazione sociale per bambini da zero a tre anni, in cui sia assicurata la presenza di genitori, familiari o adulti che quotidianamente si occupano della loro cura, organizzati secondo criteri di flessibilità e servizi con caratteristiche educative e ludiche per l'assistenza a bambini da diciotto mesi a tre anni per un tempo giornaliero non superiore alle cinque ore, privi di servizi di mensa e di riposo pomeridiano. 

Successivamente, il Piano straordinario, stipulato con l'intesa in Conferenza unificata del 26 settembre 2007, ha individuato quali iniziali livelli essenziali di assistenza la copertura media nazionale della domanda al 13% e, in ciascuna regione, in percentuale non inferiore al 6%, sottolineando la necessità di assicurare il livello di copertura territoriale in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, anche in vista del raggiungimento dell'obiettivo di copertura territoriale fissato al 33% dal Consiglio europeo di Lisbona del 2000. L'intesa in Conferenza unificata del 26 settembre 2007, ha anche avviato un'attività di monitoraggio quantitativo, qualitativo e amministrativo contabile al quale partecipano, fra l'altro, le regioni, il Centro Nazionale di Documentazione e Analisi per l'Infanzia e l'Adolescenza, presso l'Istituto degli Innocenti a Firenze e l'ISTAT (per il monitoraggio del Piano straordinario dei servizi socio-educativi si rinvia anche alla pubblicazione dell'Istat, Offerta comunale di asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia).

Quadro normativo

La legge 328/2000 disciplina nel dettaglio gli ambiti di intervento riferibili ai diversi livelli di governo.

Come detto, le linee di intervento dell'attività dello Stato, attraverso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si riferiscono all'indirizzo, programmazione, sviluppo, coordinamento, monitoraggio e valutazione delle politiche sociali, dal momento che i servizi alla persona sono devoluti alle Regioni e agli enti locali (art. 9 della legge 328/2000). Allo Stato spetta altresì la definizione dei diversi Fondi dedicati, quali il Fondo nazionale per le politiche sociali, il Fondo per le politiche della famiglia, il Fondo per le non autosufficienze, il Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, il Fondo per le politiche giovanili, nonché l'erogazione di pensioni e  assegni sociali ed indennità assistenziali per gli invalidi civili, sordi e ciechi civili.

Ai sensi dell'art. 8 della legge 328/2000, le Regioni disciplinano con proprie leggi, i principi, gli indirizzi, l'organizzazione e l'erogazione, tramite i comuni, della rete di interventi e servizi sociali e, oltre a ripartire i finanziamenti statali agli enti locali, programmano gli obiettivi di settore nel Piano sociale (art. 18 della legge 328/2000) . Alcune Regioni presentano un Piano  socio-sanitario dove sono previsti programmi sanitari, sociali e socio-sanitari.

Ai sensi dell'art. 22, comma 2, della legge 328/2000 gli interventi di seguito indicati costituiscono i livelli essenziali delle prestazioni sociali

  • misure di sostegno alla povertà;
  • misure economiche per favorire la vita autonoma e la permanenza a domicilio;
  • interventi di sostegno ai minori e ai nuclei familiari anche attraverso l'affido e l'accoglienza in strutture comunitarie;
  • misure per sostenere le responsabilità familiari;
  • misure di sostegno alle donne in difficoltà;
  • interventi per l'integrazione sociale delle persone disabili, ivi compreso la dotazione di centri socio-riabilitativi, di comunità alloggio e di accoglienza;
  • interventi per le persone anziane e disabili per favorire la permanenza a domicilio, nonché la socializzazione e l'accoglienza presso strutture residenziali e semiresidenziali;
  • prestazioni socio-educative per soggetti dipendenti;
  • informazione e consulenza alle famiglie per favorire la fruizione dei servizi e l'auto aiuto.

L'identificazione dei livelli essenziali deve tener conto anche di quanto indicato nell'allegato 1C del D.P.C.M. 29 novembre 2001, che elenca le prestazioni socio-sanitarie, ovvero otto specifiche prestazioni nelle quali la componente sanitaria e quella sociale non risultano operativamente distinguibili e per le quali si è convenuta una percentuale di costo attribuibile al SSN e l'altra riferibile all'utente o al Comune. Più in dettaglio, le prestazioni socio-sanitarie si distinguono, come indicato dal D.P.C.M. 14 febbraio 2001, in prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, erogate contestualmente ad interventi sociali, finalizzate al contenimento di esiti degenerativi, a carico dell'Azienda sanitaria locale; prestazioni sociali  a rilevanza sanitaria, finalizzate a sostenere la persona disabile o emarginata la cui condizione potrebbe avere esiti negativi sulla salute, a carico del Comune o del cittadino; prestazioni socio-sanitarie integrate per le aree materno infantile, disabili, anziani e non autosufficienti, dipendenze, patologie psichiatriche e da HIV, pazienti terminali, a carico delle ASL, garantite nell'allegato 1 C del D.P.C.M. 29 novembre 2001sui livelli essenziali di assistenza sanitaria (LEA).

Gli artt. 14  e 15 della legge 328/2000 sono dedicati alla disabilità (qui un approfondimento); l'ambito all'interno del quale si rendono più necessari gli interventi di natura socio-sanitaria. L'art. 14 contiene importanti disposizioni per la realizzazione di Progetti individuali per le persone disabili, messi a punto dai Comuni, per il tramite dei servizi sociali di riferimento, e realizzati d'intesa con le Aziende Sanitarie locali. Con i progetti individuali, il legislatore ha voluto indicare un modello di servizi incentrato su un progetto di "presa in carico globale" della persona disabile, con l'obiettivo di promuovere l'autorealizzazione della persona disabile ed il superamento di ogni condizione di esclusione sociale, avvalendosi anche della metodologia del cosiddetto "lavoro di rete", che punta ad una visione in chiave unitaria dei bisogni della persona con disabilità. L'iniziativa dell'ente locale non è autonoma ma va sollecitata su richiesta. Il Progetto individuale viene attivato nell'ambito delle risorse disponibili dell'ente, a tal fine destinate e predisposto sulla base di una valutazione diagnostico-funzionale del soggetto che lo richiede. Esso comprende una serie di servizi rivolti alla persona disabile: in genere, prestazioni che hanno ad oggetto la cura e la riabilitazione nonché misure economiche dirette e indirette, finalizzate, nel loro complesso, al superamento di condizioni di povertà e, ove necessario, al recupero e alla integrazione sociale. Eventuali sostegni possono essere previsti anche per il nucleo familiare della persona disabile (in tal senso TAR Calabria 440/2013).

 

 L'articolo 22 della legge 328/2000 inoltre richiede che le regioni, secondo i modelli organizzativi adottati, provvedano per ogni ambito territoriale all'erogazione delle seguenti prestazioni:

a) servizio sociale professionale e segretariato sociale per informazione e consulenza al singolo e ai nuclei familiari;

b) servizio di pronto intervento sociale per le situazioni di emergenza personali e familiari;

c) assistenza domiciliare;

d) strutture residenziali e semiresidenziali per soggetti con fragilità sociali;

e) centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario.

In definitiva, per l'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, lo Stato ha indicato i seguenti principi:

  • le aree d'intervento (art. 22 della L. 328/2000)
  • le categorie di utenti
  • l'ambito territoriale
  • i limiti delle risorse rese disponibili dallo Stato, dalle Regioni e dagli enti locali

In assenza di una disciplina specifica sui livelli essenziali delle prestazioni in ambito sociale, le Regioni e i Comuni hanno disegnato servizi assistenziali non omogenei. Per questo, nel 2009 un gruppo di lavoro congiunto tra Regioni e Province autonome (Cisis) ha proposto il Nomenclatore dei servizi e degli interventi sociali quale strumento di mappatura degli interventi e dei servizi sociali regionali, rendendo possibile il confronto su voci omogenee tra i diversi sistemi di welfare regionali. Il Nomenclatore ha costituito anche la base di riferimento per il Glossario utilizzato dall'Istat nella rilevazione sugli "Interventi e servizi sociali dei comuni singoli e associati". Seguendo la mappatura dei servizi ed interventi sociali disegnati dalle leggi regionali, il Nomenclatore ha individuato tre macroaree di servizi , che fanno riferimento alle forme di erogazione delle prestazioni socio-assistenziali e ad integrazione socio-sanitaria dei Comuni singoli e associati: interventi e servizi, trasferimenti in denaro e strutture. Per ciascuna delle tre macro-aree è stata prevista una sub-articolazione in aree di servizi, in alcuni casi anche dettagliate in sottoaree per meglio raggruppare sezioni omogenee di voci di servizi. Più in dettaglio:

Servizi territoriali

  • segretariato sociale, informazione e consulenza per l'accesso alla rete dei servizi;
  • interventi di prevenzione e sensibilizzazione;
  • pronto intervento sociale;
  • attività di supporto alla persona, alla famiglia e rete sociale;
  • integrazione sociale;
  • interventi e servizi educativo-assistenziali e per il supporto all'inserimento lavorativo;
  • interventi volti a favorire la domiciliarità sia di natura sociosanitaria (Assistenza Domiciliare Integrata, ADI) che sociale (Servizio di Assistenza Domiciliare, SAD);
  • servizi di supporto (quali mensa e trasporto sociali).

Servizi residenziali e semiresidenziali

  •  centri e strutture semiresidenziali (ludoteche, centri di aggregazione sociale, centri per famiglie);
  • strutture semiresidenziali ( asili nido, servizi integrativi per la prima infanzia, centri diurni estivi, centri diurni);
  • strutture comunitarie (quali centri estivi o invernali con pernottamento, area attrezzata per nomadi);
  • strutture residenziali (classificate secondo target di utenza e secondo tre livelli: carattere della residenzialità, funzioni di protezione sociale, assistenza sanitaria).

Trasferimenti in denaro:

  • trasferimenti per il pagamento di rette (per asili nido e rete dei servizi per la prima infanzia, per l'accesso a centri diurni, per accesso a servizi semi residenziali e residenziali); 
  • trasferimenti per attivazioni di servizi (fra gli altri contributi per servizi alla persona, per l'inserimento lavorativo);
  • integrazioni al reddito (voucher per spesa/alloggio/prestiti).

 

All'interno dei servizi semiresidenziali, gli asili nido meritano sicuramente un approfondimento. In base alla normativa vigente (art. 70 della legge 448/2001) tra le competenze degli enti locali rientrano quelle relative agli asili nido, quali strutture volte a garantire la formazione e la socializzazione dei bambini di età compresa tra i tre mesi e i tre anni di età ed il sostegno delle loro famiglie. Le regioni dettano, ognuna per proprio conto, i criteri generali, anche dal punto di vista strutturale, per la gestione e l'organizzazione degli asili nido.

Dal punto di vista dell'assetto organizzativo, l'offerta degli asili nido è gestita quasi interamente dai Comuni singoli (97,7%); la gestione in forma associata fra Comuni limitrofi riguarda quindi il 2,3% della spesa impegnata complessivamente. All'offerta tradizionale di asili nido si affiancano i servizi integrativi o innovativi per la prima infanzia, che comprendono i "nidi famiglia", ovvero servizi organizzati in contesto familiare, con il contributo dei Comuni e degli enti sovracomunali. Questi servizi rappresentano una realtà significativa in special modo nelle regioni del Nord-Est e nelle Province autonome.

In base all'art. 6 del DL. 55/1983 (L. 131/1983), gli asili nido rientrano tra le categorie dei servizi pubblici locali a domanda individuale, successivamente individuati dal DM 31 dicembre 1983. Per essi è prevista una contribuzione degli utenti a carattere non generalizzato non inferiore al 50 per cento del costo, definita mediante tariffe che possono essere differenziate dai singoli Comuni con adeguate motivazioni di carattere sociale. Le spese per gli asili nido vengono pertanto escluse dai Comuni, per una quota di almeno il 50 per cento, dai costi complessivi che vanno a determinare la percentuale di copertura a domanda individuale, ai sensi dell'art. 5 della L. 498/1992.

Il Piano straordinario per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi per la prima infanzia (vedi supra), varato con la legge finanziaria 2007 (art. 1, co. 1259, della L. 296/2006), ha previsto un finanziamento statale, nel triennio 2007-2009, pari ad € 446 mln per l'incremento dei posti disponibili nei servizi per i bambini da 0 a 3 anni, a cui si sono aggiunti circa € 281 mln di cofinanziamento regionale. Tale Piano è stato rilanciato con l'art. 1, co. 131, della legge di stabilità 2015 (L. 190/2014), che vi ha destinato 100 milioni di euro per il 2015.

Si ricorda che, in base all'art. 243, co. 2, lett. a) del TUEL (D.Lgs 267/2000), i comuni che si trovano in condizioni strutturalmente deficitarie hanno l'obbligo di copertura dei costi complessivi della gestione dei servizi a domanda individuale nella misura di almeno il 36 per cento, con i relativi proventi tariffari e contributi a carattere vincolato, tenendo comunque conto che i costi di gestione degli asili nido sono calcolati al 50 per cento del loro ammontare. Tuttavia, in base all'art. 3, co. 1, del DL. n. 786/1981 (L. 51/1982), anche i comuni in condizioni di equilibrio finanziario, sono obbligatoriamente tenuti  a richiedere il contributo degli utenti dei servizi pubblici a domanda individuale. La determinazione della misura deve essere valutata dall'ente locale in relazione all'esigenza di assicurare l'equilibrio economico-finanziario del bilancio, contemperando tale principio con la funzione sociale assolta dagli asili nido. Per gli asili, il Comune deve computare anche le entrate a specifica destinazione che sono attribuite dalla Regione per l'importo assegnato per le spese di gestione. In proposito, la sentenza del Consiglio di Stato (Sent. n. 4362 del 31 luglio 2012) ha sancito il divieto di intervento sulle tariffe degli asili nido da parte dei comuni, nel corso dell'anno scolastico di frequenza, anche in caso di diminuzione delle entrate, in quanto lesiva del principio del legittimo affidamento.

I comuni possono anche attivare, in base all'art. 1, co. 630 , della legge finanziaria per il 2007 (L. 296/2006), previo accordo in Conferenza Stato-Regioni, specifici servizi educativi per i bambini dai 24 ai 36 mesi, che fanno riferimento a progetti sperimentali di ampliamento qualificato dell'offerta formativa nell'ambito della scuola dell'infanzia (cd. sezioni primavera). L'art. 2, co. 3, del DPR n. 89/2009, che ha rivisto l'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione, ha disposto la prosecuzione degli interventi relativi alle sezioni primavera allo scopo di coordinare l'istituto degli anticipi scolastici, favorendo in tal modo un'effettiva continuità del percorso formativo da 0 a 6 anni. Tali sezioni possono essere attivate non solo nelle scuole dell'infanzia statali e non statali, tra cui quelle comunali, ma anche negli asili nido gestiti direttamente dai comuni o da soggetti in convenzione con i comuni ovvero da questi appositamente organizzati.

 Nel tempo, si è sempre più ravvisata la necessità di esternalizzare a soggetti terzi funzioni originariamente erogate dal soggetto pubblico. In questi casi, la legge 328/2000, all'art. 5 ha espressamente previsto che gli enti pubblici debbano privilegiare il ricorso a forme di aggiudicazione o negoziali che garantiscano la massima espressione della progettualità dei soggetti operanti nel Terzo Settore, avvalendosi di analisi e di verifiche che tengano conto della qualità e delle caratteristiche delle prestazioni offerte e della qualificazione del personale. In tal senso, gli Enti Locali, le Regioni e lo Stato, per favorire il principio di sussidiarietà, devono promuovere azioni per il sostegno e la qualificazione dei soggetti operanti nel Terzo Settore, ad esempio portando avanti politiche formative e interventi per l'accesso agevolato al credito e ai fondi dell'Unione Europea. Inoltre, il D.P.C.M. 30 marzo 2001 specifica: l'esplicito diniego di forme di aggiudicazione al massimo ribasso nell'affidamento dei servizi; la preferenza verso forme di aggiudicazione ristrette e negoziate. In tale ambito, infatti, le procedure ristrette permettono di valutare e valorizzare diversi elementi di qualità che il Comune intende ottenere dal servizio appaltato. Il D.P.C.M. rimanda poi alle Regioni l'adozione di specifici indirizzi per regolamentare i rapporti tra comuni e soggetti del Terzo Settore nell'affidamento dei Servizi, e definisce alcuni elementi che gli Enti Locali devono valutare per la selezione degli organismi no profit (per quanto riguarda le procedure di gara per l'affidamento dei servizi sociali: Auser, VI Rapporto su enti locali e terzo settore, ANAC, Linee guida per gli affidamenti a cooperative sociali ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge n. 381/1991).

A seguito della crisi economica, i comuni si sono dovuti confrontare con un forte aumento della povertà. Fra le misure di sostegno, ricordiamo il Bonus elettrico, uno sconto sulla bolletta, introdotto dal decreto interministeriale 28 dicembre 2007, e reso operativo dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico con la collaborazione dei comuni, per assicurare un risparmio sulla spesa per l'energia alle famiglie numerose in condizione di disagio economico o per i casi in cui una grave malattia costringa all'utilizzo di apparecchiature mediche alimentate con l'energia elettrica (elettromedicali) indispensabili per il mantenimento in vita.

Sempre a livello nazionale, il decreto legge 112/2008 ha istituito la Carta acquisti ordinaria: un beneficio economico, pari a 40 euro mensili, caricato bimestralmente su una carta di pagamento elettronico. La Carta acquisti ordinaria è riconosciuta agli anziani di età superiore o uguale ai 65 e ai bambini di età inferiore ai tre anni, se in possesso di particolari requisiti economici che li collocano nella fascia di bisogno assoluto. Inizialmente, potevano usufruire della Carta acquisti ordinaria soltanto i cittadini italiani; la legge di stabilità 2014 (legge 147/2013) ha esteso la platea dei beneficiari anche ai cittadini di altri Stati dell'Ue e ai cittadini stranieri titolari del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, purché in possesso dei requisiti sopra ricordati. La Carta è utilizzabile per il sostegno della spesa alimentare e sanitaria e per il pagamento delle spese energetiche. I negozi convenzionati, che supportano il programma, accordano ai titolari della Carta uno sconto del 5%. Gli enti locali possono aderire al programma Carta acquisti estendendone l'uso o aumentando il beneficio a favore dei propri residenti (decreto n. 89030 del 16 settembre 2008).

Alla Carta acquisti ordinaria, il legislatore ha poi affiancato la Carta acquisti sperimentale (anche denominata Carta per l'inclusione o Sostegno per l'inclusione attiva-SIA). Introdotta recentemente, la Carta per l'inclusione viene concessa a nuclei familiari con minori in situazione di disagio e con ISEE, relativo all'anno reddito 2012, inferiore o uguale a 3.000 euro. 

L'art. 60 del decreto legge 5/2012 ha configurato una fase sperimentale della Carta acquisti, prevedendone una sperimentazione, di durata non superiore ai dodici mesi, nei comuni con più di 250.000 abitanti. E' così nata la Carta per l'inclusione, anche definita Sostegno per l'inclusione attiva (SIA). La sperimentazione si colloca nel processo di definizione di una misura di contrasto alla povertà assoluta quale livello essenziale da riconoscere sull'intero territorio nazionale. Le modalità attuative, sono state indicate dal decreto 10 gennaio 2013 che fra l'altro stabilisce i nuovi criteri di identificazione dei beneficiari, che sono individuati per il tramite dei Comuni, e l'ammontare della disponibilità sulle singole carte, calcolato secondo la grandezza del nucleo familiare. La Carta per l'inclusione - il cui importo varia da un minimo di 231 a un massimo di 404 euro mensili - è rivolta esclusivamente ai nuclei familiari con minori e con un forte disagio lavorativo. Il nucleo familiare beneficiario dell'intervento stipula un patto di inclusione con i servizi sociali degli enti locali di riferimento, il cui rispetto è condizione per la fruizione del beneficio. I servizi sociali si impegnano a favorire, con servizi di accompagnamento, il processo di inclusione lavorativa e di attivazione sociale di tutti i membri del nucleo. L'art. 3 del decreto legge 76/2013 ha esteso la sperimentazione della Carta per l'inclusione, già prevista per le città di Napoli, Bari, Palermo e Catania, ai restanti territori delle regioni del Mezzogiorno.

 

La legge 328/2000, emanata con lo scopo di avviare una complessiva riorganizzazione della sicurezza sociale, ha affidato la programmazione e l'organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali a diversi livelli di governo: Stato, regioni e enti locali, chiamati a collaborare secondo i principi di sussidiarietà e di cooperazione nel rispetto dell'autonomia organizzativa e regolamentare degli enti territoriali e locali. Dopo la riforma costituzionale del 2001 (L. 3/2001), l'assistenza sociale è diventata una competenza residuale disciplinata dalle Regioni e amministrata dal Comune, mentre allo Stato è rimasta la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali (art. 117, secondo comma, lettera m), Cost.), da emanare con modalità partecipative (leggi qui come le politiche sociali sono disegnate nel disegno di legge di Riforma costituzionale).

L'art. 14, co. 27-28, del decreto-legge 78/2010 ha successivamente disciplinato l'esercizio obbligatorio delle funzioni fondamentali dei comuni in forma associata. Fra queste è compresa la progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali e l'erogazione delle relative prestazioni ai cittadini, secondo quanto stabilito dall'articolo 118 della Costituzione.

 

Come previsto dall'art. 6 della legge 328/2000, ai comuni compete la gestione degli interventi e dei servizi sociali, la cui programmazione è in capo alle Regioni. Nello specifico, il Comune ha il compito istituzionale di programmare, attraverso il Piano di zona (art. 19 della legge 328/2000), il sistema integrato di interventi e servizi sociali e poi di garantirne l'erogazione, integrando la programmazione sociale e la programmazione sociosanitaria. In tale perimetro altri soggetti sono chiamati ad intervenire: le Regioni, che dettano gli indirizzi della programmazione ed erogano servizi sociosanitari attraverso le ASL; le Province, che possono partecipare al finanziamento dei Piani di Zona; lo Stato, che, di anno in anno, determina i fondi nazionali destinati alle politiche sociali. Dal punto di vista dell'offerta di servizi sociali e socio-sanitari, entrano in gioco anche i produttori privati profit e no profit, ai quali spesso Comuni e ASL esternalizzano tali servizi. Per questo, una ulteriore importante funzione dei Comuni risiede nel procedimento di autorizzazione, accreditamento e vigilanza dei servizi sociali e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale a gestione pubblica o del privato profit o no profit.

L'accesso agli interventi assistenziali, pur avendo, come per le prestazioni sanitarie, un carattere di universalità (art. 2 della L. 328/2000), è, generalmente, condizionato dalla compresenza di due elementi necessari: il bisogno e la scarsità economica per farvi fronte. Infatti, a differenza di quanto avvenuto in ambito sanitario, non sono stati ancora fissati i livelli essenziali delle prestazioni erogabili in ambito sociale (nel tempo definiti LEP o LIVEAS), ovvero gli interventi e i servizi sociali in grado di garantire un livello di prestazioni assistenziali, e quindi di cittadinanza sociale, uniforme in tutto il Paese. La legge 328/2000 indica infatti gli interventi che costituiscono i Livelli Essenziali, ma manca tuttora una loro più stringente definizione ed il relativo adeguato finanziamento, come avvenuto in ambito sanitario con la fissazione dei LEA e della dotazione finanziaria annuale del Fondo sanitario nazionale attraverso la legge di stabilità.

Pertanto, il diritto alle prestazioni sociali, in particolare nella forma agevolata, e/o ai servizi di pubblica utilità, è subordinato alla verifica degli enti erogatori (quindi nella maggior parte dei casi ai Comuni), secondo parametri anagrafici e/o economici (reddito della singola persona o indicatore della situazione economica (ISE) e indicatore della situazione economica equivalente-ISEE), che permettono di valutare in maniera sintetica le condizioni economiche del nucleo familiare. Per garantire una maggiore equità sociale nella determinazione delle tariffe dei servizi, molti Comuni hanno deliberato modifiche all'ISEE introducendo un coefficiente maggiorato a vantaggio delle famiglie numerose, con figli minori, disabili, anziani (il "quoziente familiare"). Sono state inoltre introdotte in molti casi riduzioni per i servizi socio-educativi e scolastici.

 

L'Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) è l'indicatore, in vigore dal 1998, che serve per valutare e confrontare la situazione economica dei nuclei familiari e per regolare l'accesso alle prestazioni (in moneta e in servizi) sociali e sociosanitarie erogate dai diversi livelli di governo. In generale, l'ISEE viene utilizzato ai fini dell'applicazione di tariffe differenziate in relazione alla condizione economica oppure per la fissazione di soglie oltre le quali non è ammesso l'accesso alla prestazione. Gli enti erogatori possono prevedere, accanto all'ISEE, criteri ulteriori di selezione volti ad identificare specifiche platee di beneficiari, per caratterizzare, in autonomia, le loro politiche sociali. 
L'ISEE è stato recentemente riformato (come previsto dal decreto legge  201/2011, c.d. Decreto Salva Italia),  per rendere più corretta la misurazione della condizione economica delle famiglie, ridurre le sperequazioni nell'accesso alle prestazioni e rafforzare il sistema dei controlli. Il D.P.C.M. 159/2013  ha quindi profondamente riformato la disciplina previgente. Con la riforma, gli enti erogatori sono tenuti a utilizzare l'ISEE come indicatore della situazione economica, anche se possono prevedere, accanto all'Indicatore, criteri ulteriori di selezione volti ad identificare specifiche platee di beneficiari. Ai fini dell'applicazione del nuovo ISEE, i Comuni hanno dovuto adeguare i regolamenti con l'individuazione delle nuove soglie. Il nuovo ISEE ha introdotto disposizioni innovative:
  • nella nozione di reddito vengono inclusi – a fianco del reddito complessivo ai fini IRPEF – tutti i redditi tassati con regimi sostitutivi o a titolo di imposta (quali cedolare secca sugli affitti, premi di produttività) e tutti i redditi esenti, compresi tutti i trasferimenti monetari ottenuti dalla Pubblica Amministrazione, quali: assegni al nucleo familiare, pensioni di invalidità, assegno sociale, indennità di accompagnamento; i redditi figurativi degli immobili non locati e delle attività mobiliari. Viceversa sono sottratte, dalla somma dei redditi, spese e franchigie riferite al nucleo familiare;
  • per quanto riguarda la componente patrimoniale, riferita ai costi dell'abitare: il valore della prima casa viene abbattuto a due terzi e viene considerato solo il valore dell'immobile eccedente il valore del mutuo ancora in essere;
  • la scala di equivalenza viene modificata con un ammontare crescente al numero di figli;
  • con riferimento alla disabilità: vengono introdotte tre distinte classi di disabilità - media, grave e non autosufficienza - e franchigie che corrispondono a diversi trattamenti economici;
  • per quanto riguarda le prestazioni agevolate di natura sociosanitaria: si prevede la possibilità per il disabile adulto convivente con la famiglia di origine, di costituire nucleo anagrafico a sé stante;
  • viene introdotto l'ISEE corrente, riferito ad un periodo di tempo più ravvicinato, in caso di variazioni significative in corso d'anno dell'indicatore della situazione reddituale dovute a modifiche della situazione lavorativa (licenziamenti/cassa integrazione);
  • per le prestazioni agevolate rivolte a beneficiari minorenni: viene stabilito il principio secondo il quale il genitore non convivente nel nucleo familiare, non coniugato con l'altro genitore, che abbia riconosciuto il figlio, fa parte del nucleo familiare del figlio, a meno che non sia coniugato con persona diversa dall'altro genitore o via sia legale separazione;
  • per le prestazioni erogate nell'ambito del diritto allo studio universitario: vengono di regola considerati come facenti parte dello stesso nucleo familiare i genitori dello studente richiedente non conviventi, salvo eccezioni, puntualmente enunciate;
  • il sistema dei controlli sulla veridicità dei dati utili per il calcolo ISEE viene rafforzato affidando un ruolo centrale all'INPS che, al fine di rilevare la veridicità di quanto autocertificato dai cittadini, può avvalersi di controlli incrociati con le banche dati dell'Agenzia delle Entrate e degli archivi amministrativi delle altre amministrazioni pubbliche. In relazione ai dati autodichiarati, l'Agenzia delle entrate, sulla base di controlli automatici, individua e rende disponibili all'INPS, l'esistenza di omissioni o difformità.

La Riforma ha anche modificato incisivamente la regolamentazione del sistema dei controlli e del sistema informativo. Relativamente a questo secondo aspetto, il decreto 8 marzo 2013 Definizione delle modalità di rafforzamento del sistema dei controlli ha istituito la Banca Dati delle prestazioni agevolate che dà attuazione pratica all'obbligo degli enti erogatori di trasmettere all'INPS i dati dei soggetti che ne hanno beneficiato.

 In ultimo, ricordiamo che il decreto legge 78/2010, all'art. 13, ha istituito, presso l'INPS, il Casellario dell'assistenza: uno strumento di raccolta delle informazioni sui beneficiari e sulle prestazioni sociali loro erogate, pensato per migliorare il monitoraggio, la programmazione e la gestione delle politiche sociali. In tal senso, le informazioni raccolte nel Casellario contribuiranno ad assicurare una compiuta conoscenza dei bisogni sociali e del sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali e costituiranno parte della base conoscitiva del sistema informativo dei servizi sociali, ai sensi dell'art. 21 della legge 328/2000. La disposizione istitutiva ha configurato il Casellario dell'assistenza come un'anagrafe generale delle prestazioni sociali, contenente i dati forniti da Regioni, Province autonome, Comuni e dagli altri enti erogatori.
Gli enti locali e ogni altro ente erogatore di prestazioni dovrà mettere a disposizione del Casellario tutte le informazioni di propria competenza, consentendo, fra l'altro, di segnalare agli organi competenti gli importi indebitamente percepiti per l'applicazione delle relative sanzioni. Il Casellario è articolato in tre sezioni: Banca dati delle prestazioni sociali agevolate, condizionate all'ISEE; Banca dati delle prestazioni sociali, condizionate all'ISEE; Banca dati delle valutazioni multidimensionali, se l'erogazione della prestazione sociale prevede anche la presa in carico di prestazioni sociali da parte del servizio sociale professionale.  Le informazioni sono organizzate in tre sezioni corrispondenti a distinte aree di utenza: Infanzia, adolescenza e famiglia definite attraverso il modulo SINBA; Disabilità e non autosufficienza definite attraverso il modulo SINA; Povertà, esclusione sociale e altre forme di disagio definite attraverso il modulo SIP. Il decreto 16 dicembre 2014 ha fissato le modalità attuative del Casellario.

La spesa per l'assistenza sociale erogata dai comuni, singolarmente o in forma associata, rappresenta una componente importante del sistema di welfare (sul punto l'approfondimento Spesa sociale dei Comuni e sue componenti). Al momento, le risorse dedicate al sociale provengono dalla fiscalità generale e sono erogate nei limiti dei finanziamenti ordinari destinati dalle regioni e dagli enti locali alla spesa sociale tenuto conto anche delle risorse, riferibili ai Fondi nazionali dedicati, trasferite dallo Stato.

La spesa complessiva per l'assistenza sostenuta dai comuni nel 2012 risulta di poco inferiore ai 7 miliardi di euro e, per il secondo anno consecutivo, diminuisce rispetto all'anno precedente (-0,6 per cento). Il 18,1 per cento dell'intera spesa sociale dei comuni è destinato agli asili nido che rappresentano uno dei principali servizi forniti. I principali destinatari dei servizi offerti sono le famiglie e i minori (40,0 per cento), le persone disabili (24,3 per cento) e gli anziani (19,1 per cento). La spesa per i servizi sociali offerti dai comuni è costituita principalmente da interventi e servizi forniti direttamente agli utenti, per un importo pari a 2.716 milioni di euro (38,9 per cento del totale), mentre alle strutture sono destinati 2.496 milioni di euro (35,7 per cento). I restanti 1.771 milioni sono impiegati in trasferimenti in denaro ad altri soggetti pubblici e privati e rappresentano il 25,4 per cento della spesa complessiva. Nel 2012, la spesa pro capite è stata pari a 117,3 euro. La Valle d'Aosta presenta il valore più alto (2.771 euro), mentre la Calabria è la regione dove la spesa per abitante è più contenuta (24,6 euro). Più in generale, tutte le regioni del Mezzogiorno, ad eccezione della Sardegna, si trovano al di sotto della media nazionale, insieme a Umbria e Marche per il Centro e il solo Veneto per il Nord (Fonte Istat, Annuario statistico 2015).

 

In questo contesto, le Regioni stabiliscono principi e indirizzi, e coordinano interventi sul territorio da parte degli enti locali, a cui ripartiscono le risorse del Fondo sociale regionale, costituito da stanziamenti provenienti dai fondi statali dedicati alle politiche sociali, integrati da stanziamenti di bilancio regionale. Le regioni possono, altresì, intervenire direttamente, con i voucher, i bonus famiglia, gli assegni di cura, i buoni socio-sanitari. I Comuni svolgono le funzioni amministrative attuative dei servizi sociali e ricevono risorse dalle Regioni e dallo Stato (trasferimenti diretti e vincolati, come quelli della L. 285/1997, Fondo per l'infanzia e l'adolescenza), integrate da propri stanziamenti di bilancio.

A tali finanziamenti si aggiungono quelli del programma nazionale "Servizi di cura all'infanzia e agli anziani non autosufficienti" collocato nell'ambito del Piano d'azione Coesione (Pac). L'attuazione del programma, attivo fino al giugno 2017, è stata affidata al Ministero dell'Interno, individuato quale Autorità di Gestione responsabile. Le risorse stanziate sono destinate alle 4 regioni ricomprese nell'obiettivo europeo "Convergenza": CalabriaCampaniaPuglia, Sicilia.

Al finanziamento dei servizi sociali (art. 4 della legge 328/2000) contribuisce anche la partecipazione dell'utenza privata, con il pagamento delle rette previste per gli asili nido o per le residenze assistite degli anziani.

Complessivamente, le risorse indicate realizzano gli obiettivi dei piani di zona, adottati secondo gli indirizzi dei piani regionali, come previsto dalla L. 328/2000.

 

L'analisi territoriale delle risorse impiegate per il welfare locale mette in luce fortissimi squilibri, che si traducono nella diversa disponibilità di servizi e strutture. Tale analisi, vale anche per la copertura territoriale degli asili nido, un servizio a domanda individuale offerto dai Comuni.

La legge 1044/1971 ha riconosciuto come "servizio sociale di interesse pubblico" l'assistenza prestata negli asili nido ai bambini fino ai tre anni di età. In seguito, la legge 285/1997 ha incluso tra gli interventi finanziabili "l'innovazione e la sperimentazione di servizi socio-educativi per la prima infanzia", non sostitutivi degli asili nido, ovvero: servizi con caratteristiche educative, ludiche, culturali e di aggregazione sociale per bambini da zero a tre anni, in cui sia assicurata la presenza di genitori, familiari o adulti che quotidianamente si occupano della loro cura, organizzati secondo criteri di flessibilità e servizi con caratteristiche educative e ludiche per l'assistenza a bambini da diciotto mesi a tre anni per un tempo giornaliero non superiore alle cinque ore, privi di servizi di mensa e di riposo pomeridiano. 

Successivamente, il Piano straordinario, stipulato con l'intesa in Conferenza unificata del 26 settembre 2007, ha individuato quali iniziali livelli essenziali di assistenza la copertura media nazionale della domanda al 13% e, in ciascuna regione, in percentuale non inferiore al 6%, sottolineando la necessità di assicurare il livello di copertura territoriale in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale, anche in vista del raggiungimento dell'obiettivo di copertura territoriale fissato al 33% dal Consiglio europeo di Lisbona del 2000. L'intesa in Conferenza unificata del 26 settembre 2007, ha anche avviato un'attività di monitoraggio quantitativo, qualitativo e amministrativo contabile al quale partecipano, fra l'altro, le regioni, il Centro Nazionale di Documentazione e Analisi per l'Infanzia e l'Adolescenza, presso l'Istituto degli Innocenti a Firenze e l'ISTAT (per il monitoraggio del Piano straordinario dei servizi socio-educativi si rinvia anche alla pubblicazione dell'Istat, Offerta comunale di asili nido e altri servizi socio-educativi per la prima infanzia).

Quadro normativo

La legge 328/2000 disciplina nel dettaglio gli ambiti di intervento riferibili ai diversi livelli di governo.

Come detto, le linee di intervento dell'attività dello Stato, attraverso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si riferiscono all'indirizzo, programmazione, sviluppo, coordinamento, monitoraggio e valutazione delle politiche sociali, dal momento che i servizi alla persona sono devoluti alle Regioni e agli enti locali (art. 9 della legge 328/2000). Allo Stato spetta altresì la definizione dei diversi Fondi dedicati, quali il Fondo nazionale per le politiche sociali, il Fondo per le politiche della famiglia, il Fondo per le non autosufficienze, il Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, il Fondo per le politiche giovanili, nonché l'erogazione di pensioni e  assegni sociali ed indennità assistenziali per gli invalidi civili, sordi e ciechi civili.

Ai sensi dell'art. 8 della legge 328/2000, le Regioni disciplinano con proprie leggi, i principi, gli indirizzi, l'organizzazione e l'erogazione, tramite i comuni, della rete di interventi e servizi sociali e, oltre a ripartire i finanziamenti statali agli enti locali, programmano gli obiettivi di settore nel Piano sociale (art. 18 della legge 328/2000) . Alcune Regioni presentano un Piano  socio-sanitario dove sono previsti programmi sanitari, sociali e socio-sanitari.

Ai sensi dell'art. 22, comma 2, della legge 328/2000 gli interventi di seguito indicati costituiscono i livelli essenziali delle prestazioni sociali

  • misure di sostegno alla povertà;
  • misure economiche per favorire la vita autonoma e la permanenza a domicilio;
  • interventi di sostegno ai minori e ai nuclei familiari anche attraverso l'affido e l'accoglienza in strutture comunitarie;
  • misure per sostenere le responsabilità familiari;
  • misure di sostegno alle donne in difficoltà;
  • interventi per l'integrazione sociale delle persone disabili, ivi compreso la dotazione di centri socio-riabilitativi, di comunità alloggio e di accoglienza;
  • interventi per le persone anziane e disabili per favorire la permanenza a domicilio, nonché la socializzazione e l'accoglienza presso strutture residenziali e semiresidenziali;
  • prestazioni socio-educative per soggetti dipendenti;
  • informazione e consulenza alle famiglie per favorire la fruizione dei servizi e l'auto aiuto.

L'identificazione dei livelli essenziali deve tener conto anche di quanto indicato nell'allegato 1C del D.P.C.M. 29 novembre 2001, che elenca le prestazioni socio-sanitarie, ovvero otto specifiche prestazioni nelle quali la componente sanitaria e quella sociale non risultano operativamente distinguibili e per le quali si è convenuta una percentuale di costo attribuibile al SSN e l'altra riferibile all'utente o al Comune. Più in dettaglio, le prestazioni socio-sanitarie si distinguono, come indicato dal D.P.C.M. 14 febbraio 2001, in prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, erogate contestualmente ad interventi sociali, finalizzate al contenimento di esiti degenerativi, a carico dell'Azienda sanitaria locale; prestazioni sociali  a rilevanza sanitaria, finalizzate a sostenere la persona disabile o emarginata la cui condizione potrebbe avere esiti negativi sulla salute, a carico del Comune o del cittadino; prestazioni socio-sanitarie integrate per le aree materno infantile, disabili, anziani e non autosufficienti, dipendenze, patologie psichiatriche e da HIV, pazienti terminali, a carico delle ASL, garantite nell'allegato 1 C del D.P.C.M. 29 novembre 2001sui livelli essenziali di assistenza sanitaria (LEA).

Gli artt. 14  e 15 della legge 328/2000 sono dedicati alla disabilità (qui un approfondimento); l'ambito all'interno del quale si rendono più necessari gli interventi di natura socio-sanitaria. L'art. 14 contiene importanti disposizioni per la realizzazione di Progetti individuali per le persone disabili, messi a punto dai Comuni, per il tramite dei servizi sociali di riferimento, e realizzati d'intesa con le Aziende Sanitarie locali. Con i progetti individuali, il legislatore ha voluto indicare un modello di servizi incentrato su un progetto di "presa in carico globale" della persona disabile, con l'obiettivo di promuovere l'autorealizzazione della persona disabile ed il superamento di ogni condizione di esclusione sociale, avvalendosi anche della metodologia del cosiddetto "lavoro di rete", che punta ad una visione in chiave unitaria dei bisogni della persona con disabilità. L'iniziativa dell'ente locale non è autonoma ma va sollecitata su richiesta. Il Progetto individuale viene attivato nell'ambito delle risorse disponibili dell'ente, a tal fine destinate e predisposto sulla base di una valutazione diagnostico-funzionale del soggetto che lo richiede. Esso comprende una serie di servizi rivolti alla persona disabile: in genere, prestazioni che hanno ad oggetto la cura e la riabilitazione nonché misure economiche dirette e indirette, finalizzate, nel loro complesso, al superamento di condizioni di povertà e, ove necessario, al recupero e alla integrazione sociale. Eventuali sostegni possono essere previsti anche per il nucleo familiare della persona disabile (in tal senso TAR Calabria 440/2013).

 

 L'articolo 22 della legge 328/2000 inoltre richiede che le regioni, secondo i modelli organizzativi adottati, provvedano per ogni ambito territoriale all'erogazione delle seguenti prestazioni:

a) servizio sociale professionale e segretariato sociale per informazione e consulenza al singolo e ai nuclei familiari;

b) servizio di pronto intervento sociale per le situazioni di emergenza personali e familiari;

c) assistenza domiciliare;

d) strutture residenziali e semiresidenziali per soggetti con fragilità sociali;

e) centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario.

In definitiva, per l'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, lo Stato ha indicato i seguenti principi:

  • le aree d'intervento (art. 22 della L. 328/2000)
  • le categorie di utenti
  • l'ambito territoriale
  • i limiti delle risorse rese disponibili dallo Stato, dalle Regioni e dagli enti locali

In assenza di una disciplina specifica sui livelli essenziali delle prestazioni in ambito sociale, le Regioni e i Comuni hanno disegnato servizi assistenziali non omogenei. Per questo, nel 2009 un gruppo di lavoro congiunto tra Regioni e Province autonome (Cisis) ha proposto il Nomenclatore dei servizi e degli interventi sociali quale strumento di mappatura degli interventi e dei servizi sociali regionali, rendendo possibile il confronto su voci omogenee tra i diversi sistemi di welfare regionali. Il Nomenclatore ha costituito anche la base di riferimento per il Glossario utilizzato dall'Istat nella rilevazione sugli "Interventi e servizi sociali dei comuni singoli e associati". Seguendo la mappatura dei servizi ed interventi sociali disegnati dalle leggi regionali, il Nomenclatore ha individuato tre macroaree di servizi , che fanno riferimento alle forme di erogazione delle prestazioni socio-assistenziali e ad integrazione socio-sanitaria dei Comuni singoli e associati: interventi e servizi, trasferimenti in denaro e strutture. Per ciascuna delle tre macro-aree è stata prevista una sub-articolazione in aree di servizi, in alcuni casi anche dettagliate in sottoaree per meglio raggruppare sezioni omogenee di voci di servizi. Più in dettaglio:

Servizi territoriali

  • segretariato sociale, informazione e consulenza per l'accesso alla rete dei servizi;
  • interventi di prevenzione e sensibilizzazione;
  • pronto intervento sociale;
  • attività di supporto alla persona, alla famiglia e rete sociale;
  • integrazione sociale;
  • interventi e servizi educativo-assistenziali e per il supporto all'inserimento lavorativo;
  • interventi volti a favorire la domiciliarità sia di natura sociosanitaria (Assistenza Domiciliare Integrata, ADI) che sociale (Servizio di Assistenza Domiciliare, SAD);
  • servizi di supporto (quali mensa e trasporto sociali).

Servizi residenziali e semiresidenziali

  •  centri e strutture semiresidenziali (ludoteche, centri di aggregazione sociale, centri per famiglie);
  • strutture semiresidenziali ( asili nido, servizi integrativi per la prima infanzia, centri diurni estivi, centri diurni);
  • strutture comunitarie (quali centri estivi o invernali con pernottamento, area attrezzata per nomadi);
  • strutture residenziali (classificate secondo target di utenza e secondo tre livelli: carattere della residenzialità, funzioni di protezione sociale, assistenza sanitaria).

Trasferimenti in denaro:

  • trasferimenti per il pagamento di rette (per asili nido e rete dei servizi per la prima infanzia, per l'accesso a centri diurni, per accesso a servizi semi residenziali e residenziali); 
  • trasferimenti per attivazioni di servizi (fra gli altri contributi per servizi alla persona, per l'inserimento lavorativo);
  • integrazioni al reddito (voucher per spesa/alloggio/prestiti).

 

All'interno dei servizi semiresidenziali, gli asili nido meritano sicuramente un approfondimento. In base alla normativa vigente (art. 70 della legge 448/2001) tra le competenze degli enti locali rientrano quelle relative agli asili nido, quali strutture volte a garantire la formazione e la socializzazione dei bambini di età compresa tra i tre mesi e i tre anni di età ed il sostegno delle loro famiglie. Le regioni dettano, ognuna per proprio conto, i criteri generali, anche dal punto di vista strutturale, per la gestione e l'organizzazione degli asili nido.

Dal punto di vista dell'assetto organizzativo, l'offerta degli asili nido è gestita quasi interamente dai Comuni singoli (97,7%); la gestione in forma associata fra Comuni limitrofi riguarda quindi il 2,3% della spesa impegnata complessivamente. All'offerta tradizionale di asili nido si affiancano i servizi integrativi o innovativi per la prima infanzia, che comprendono i "nidi famiglia", ovvero servizi organizzati in contesto familiare, con il contributo dei Comuni e degli enti sovracomunali. Questi servizi rappresentano una realtà significativa in special modo nelle regioni del Nord-Est e nelle Province autonome.

In base all'art. 6 del DL. 55/1983 (L. 131/1983), gli asili nido rientrano tra le categorie dei servizi pubblici locali a domanda individuale, successivamente individuati dal DM 31 dicembre 1983. Per essi è prevista una contribuzione degli utenti a carattere non generalizzato non inferiore al 50 per cento del costo, definita mediante tariffe che possono essere differenziate dai singoli Comuni con adeguate motivazioni di carattere sociale. Le spese per gli asili nido vengono pertanto escluse dai Comuni, per una quota di almeno il 50 per cento, dai costi complessivi che vanno a determinare la percentuale di copertura a domanda individuale, ai sensi dell'art. 5 della L. 498/1992.

Il Piano straordinario per lo sviluppo del sistema territoriale dei servizi socio-educativi per la prima infanzia (vedi supra), varato con la legge finanziaria 2007 (art. 1, co. 1259, della L. 296/2006), ha previsto un finanziamento statale, nel triennio 2007-2009, pari ad € 446 mln per l'incremento dei posti disponibili nei servizi per i bambini da 0 a 3 anni, a cui si sono aggiunti circa € 281 mln di cofinanziamento regionale. Tale Piano è stato rilanciato con l'art. 1, co. 131, della legge di stabilità 2015 (L. 190/2014), che vi ha destinato 100 milioni di euro per il 2015.

Si ricorda che, in base all'art. 243, co. 2, lett. a) del TUEL (D.Lgs 267/2000), i comuni che si trovano in condizioni strutturalmente deficitarie hanno l'obbligo di copertura dei costi complessivi della gestione dei servizi a domanda individuale nella misura di almeno il 36 per cento, con i relativi proventi tariffari e contributi a carattere vincolato, tenendo comunque conto che i costi di gestione degli asili nido sono calcolati al 50 per cento del loro ammontare. Tuttavia, in base all'art. 3, co. 1, del DL. n. 786/1981 (L. 51/1982), anche i comuni in condizioni di equilibrio finanziario, sono obbligatoriamente tenuti  a richiedere il contributo degli utenti dei servizi pubblici a domanda individuale. La determinazione della misura deve essere valutata dall'ente locale in relazione all'esigenza di assicurare l'equilibrio economico-finanziario del bilancio, contemperando tale principio con la funzione sociale assolta dagli asili nido. Per gli asili, il Comune deve computare anche le entrate a specifica destinazione che sono attribuite dalla Regione per l'importo assegnato per le spese di gestione. In proposito, la sentenza del Consiglio di Stato (Sent. n. 4362 del 31 luglio 2012) ha sancito il divieto di intervento sulle tariffe degli asili nido da parte dei comuni, nel corso dell'anno scolastico di frequenza, anche in caso di diminuzione delle entrate, in quanto lesiva del principio del legittimo affidamento.

I comuni possono anche attivare, in base all'art. 1, co. 630 , della legge finanziaria per il 2007 (L. 296/2006), previo accordo in Conferenza Stato-Regioni, specifici servizi educativi per i bambini dai 24 ai 36 mesi, che fanno riferimento a progetti sperimentali di ampliamento qualificato dell'offerta formativa nell'ambito della scuola dell'infanzia (cd. sezioni primavera). L'art. 2, co. 3, del DPR n. 89/2009, che ha rivisto l'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di istruzione, ha disposto la prosecuzione degli interventi relativi alle sezioni primavera allo scopo di coordinare l'istituto degli anticipi scolastici, favorendo in tal modo un'effettiva continuità del percorso formativo da 0 a 6 anni. Tali sezioni possono essere attivate non solo nelle scuole dell'infanzia statali e non statali, tra cui quelle comunali, ma anche negli asili nido gestiti direttamente dai comuni o da soggetti in convenzione con i comuni ovvero da questi appositamente organizzati.

 Nel tempo, si è sempre più ravvisata la necessità di esternalizzare a soggetti terzi funzioni originariamente erogate dal soggetto pubblico. In questi casi, la legge 328/2000, all'art. 5 ha espressamente previsto che gli enti pubblici debbano privilegiare il ricorso a forme di aggiudicazione o negoziali che garantiscano la massima espressione della progettualità dei soggetti operanti nel Terzo Settore, avvalendosi di analisi e di verifiche che tengano conto della qualità e delle caratteristiche delle prestazioni offerte e della qualificazione del personale. In tal senso, gli Enti Locali, le Regioni e lo Stato, per favorire il principio di sussidiarietà, devono promuovere azioni per il sostegno e la qualificazione dei soggetti operanti nel Terzo Settore, ad esempio portando avanti politiche formative e interventi per l'accesso agevolato al credito e ai fondi dell'Unione Europea. Inoltre, il D.P.C.M. 30 marzo 2001 specifica: l'esplicito diniego di forme di aggiudicazione al massimo ribasso nell'affidamento dei servizi; la preferenza verso forme di aggiudicazione ristrette e negoziate. In tale ambito, infatti, le procedure ristrette permettono di valutare e valorizzare diversi elementi di qualità che il Comune intende ottenere dal servizio appaltato. Il D.P.C.M. rimanda poi alle Regioni l'adozione di specifici indirizzi per regolamentare i rapporti tra comuni e soggetti del Terzo Settore nell'affidamento dei Servizi, e definisce alcuni elementi che gli Enti Locali devono valutare per la selezione degli organismi no profit (per quanto riguarda le procedure di gara per l'affidamento dei servizi sociali: Auser, VI Rapporto su enti locali e terzo settore, ANAC, Linee guida per gli affidamenti a cooperative sociali ai sensi dell'art. 5, comma 1, della legge n. 381/1991).

A seguito della crisi economica, i comuni si sono dovuti confrontare con un forte aumento della povertà. Fra le misure di sostegno, ricordiamo il Bonus elettrico, uno sconto sulla bolletta, introdotto dal decreto interministeriale 28 dicembre 2007, e reso operativo dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico con la collaborazione dei comuni, per assicurare un risparmio sulla spesa per l'energia alle famiglie numerose in condizione di disagio economico o per i casi in cui una grave malattia costringa all'utilizzo di apparecchiature mediche alimentate con l'energia elettrica (elettromedicali) indispensabili per il mantenimento in vita.

Sempre a livello nazionale, il decreto legge 112/2008 ha istituito la Carta acquisti ordinaria: un beneficio economico, pari a 40 euro mensili, caricato bimestralmente su una carta di pagamento elettronico. La Carta acquisti ordinaria è riconosciuta agli anziani di età superiore o uguale ai 65 e ai bambini di età inferiore ai tre anni, se in possesso di particolari requisiti economici che li collocano nella fascia di bisogno assoluto. Inizialmente, potevano usufruire della Carta acquisti ordinaria soltanto i cittadini italiani; la legge di stabilità 2014 (legge 147/2013) ha esteso la platea dei beneficiari anche ai cittadini di altri Stati dell'Ue e ai cittadini stranieri titolari del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, purché in possesso dei requisiti sopra ricordati. La Carta è utilizzabile per il sostegno della spesa alimentare e sanitaria e per il pagamento delle spese energetiche. I negozi convenzionati, che supportano il programma, accordano ai titolari della Carta uno sconto del 5%. Gli enti locali possono aderire al programma Carta acquisti estendendone l'uso o aumentando il beneficio a favore dei propri residenti (decreto n. 89030 del 16 settembre 2008).

Alla Carta acquisti ordinaria, il legislatore ha poi affiancato la Carta acquisti sperimentale (anche denominata Carta per l'inclusione o Sostegno per l'inclusione attiva-SIA). Introdotta recentemente, la Carta per l'inclusione viene concessa a nuclei familiari con minori in situazione di disagio e con ISEE, relativo all'anno reddito 2012, inferiore o uguale a 3.000 euro. 

L'art. 60 del decreto legge 5/2012 ha configurato una fase sperimentale della Carta acquisti, prevedendone una sperimentazione, di durata non superiore ai dodici mesi, nei comuni con più di 250.000 abitanti. E' così nata la Carta per l'inclusione, anche definita Sostegno per l'inclusione attiva (SIA). La sperimentazione si colloca nel processo di definizione di una misura di contrasto alla povertà assoluta quale livello essenziale da riconoscere sull'intero territorio nazionale. Le modalità attuative, sono state indicate dal decreto 10 gennaio 2013 che fra l'altro stabilisce i nuovi criteri di identificazione dei beneficiari, che sono individuati per il tramite dei Comuni, e l'ammontare della disponibilità sulle singole carte, calcolato secondo la grandezza del nucleo familiare. La Carta per l'inclusione - il cui importo varia da un minimo di 231 a un massimo di 404 euro mensili - è rivolta esclusivamente ai nuclei familiari con minori e con un forte disagio lavorativo. Il nucleo familiare beneficiario dell'intervento stipula un patto di inclusione con i servizi sociali degli enti locali di riferimento, il cui rispetto è condizione per la fruizione del beneficio. I servizi sociali si impegnano a favorire, con servizi di accompagnamento, il processo di inclusione lavorativa e di attivazione sociale di tutti i membri del nucleo. L'art. 3 del decreto legge 76/2013 ha esteso la sperimentazione della Carta per l'inclusione, già prevista per le città di Napoli, Bari, Palermo e Catania, ai restanti territori delle regioni del Mezzogiorno.