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Temi dell'attività parlamentare

Agricoltura, caccia e pesca
Commissione: XIII Agricoltura
Agricoltura e biodiversità
Tutela della qualità dei prodotti agroalimentari

La tutela della qualità delle produzioni agroalimentari è, in sede europea, un complemento alla politica di sviluppo rurale e alle politiche di sostegno dei mercati e dei redditi nell'ambito della politica agricola comune e rappresenta in particolare per l'Italia uno dei principali obiettivi della politica agroalimentare, considerato che il nostro è il Paese vanta in Europa il maggior numero di prodotti a marchio registrato, oggetto di numerosi e sofisticati tentativi di contraffazione. La disciplina sull'etichettatura dei prodotti e sulle conseguenti informazioni ai consumatori costituisce anch'essa un aspetto della tutela della qualità del prodotto. Nel corso della XVII legislatura, l'Italia ha implementato la legislazione europea, con norme interne finalizzate alla tutela delle produzioni agroalimentari di qualità, come quelle che prevedono l'indicazione obbligatoria dell'origine della materia prima in etichetta per taluni prodotti agricoli.

 
L'etichettatura dei prodotti alimentari e l'origine dei prodotti: il Reg. UE 1169/2011 e la legge n. 4 del 2011
05/03/2018

In merito all'indicazione in etichetta dell'origine del prodotto, l'impostazione ancora prevalente in sede europea tende ancora a ritenere - in generale - incompatibile con il mercato unico la presunzione che vi sia una particolare qualità legata alla localizzazione nel territorio nazionale di un prodotto alimentare, perché discriminatorio nei confronti degli altri Stati membri.

In sostanza, si ritiene che se due prodotti provenienti da Paesi europei diversi non presentano alcuna differenza sul piano merceologico, chimico, organolettico, non vi è alcuna necessità di indicarne l'origine in quanto questa non sarebbe una informazione necessaria. Fanno eccezione solo i prodotti a denominazione di origine protetta (Dop) e a indicazioni di provenienza protette (Igp), per le quali l'indicazione della provenienza costituisce uno degli elementi qualificanti del disciplinare di produzione e dunque della particolare qualità del prodotto stesso.
Per gli altri prodotti, vige il principio che l'indicazione del luogo d'origine o di provenienza è obbligatoria solo se la relativa omissione può indurre in errore il consumatore circa l'origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare (art. 3 della direttiva 2000/13/UE, recepito dall'art. 3 del D.Lgs. n. 109/1992).

Il principio sopra esposto è stato confermato anche dal Regolamento n. 1169/2011 (UE), il quale si applica a tutti gli alimenti destinati al consumatore finale, inclusi i prodotti destinati al consumo immediato presso ristoranti, mense, scuole, ospedali e imprese di ristorazione (non ricompresi dalla precedente direttiva 2000/13/UE).

Restano esclusi dall'ambito di applicazione del Regolamento gli alimenti non preimballati, gli alimenti imballati nei luoghi di vendita su richiesta del consumatore o preimballati per la vendita diretta.

In particolare, il Regolamento 1169/2011 estende l'obbligo di indicare il luogo d'origine o di provenienza a carni fresche, refrigerate o congelate di animali della specie suina, ovina, caprina e di volatili (a decorrere dal 1° aprile 2015, ai sensi del regolamento attuativo n. 1337/2013) (art. 26, par. 2).

Le norme prevedono l'obbligo di indicare il Paese in cui l'animale è stato allevato per la maggior parte della sua vita, insieme con l'indicazione del paese di macellazione. Le nuove disposizioni si applicano a partire dal 1º aprile 2015 alle carni preimballate, ma gli Stati membri possono decidere di estenderle anche alle carni non preimballate.

Per le carni bovine l'obbligo di indicazione di origine (paese di nascita, ingrasso e macello) è già esistente sulla base della normativa europea sopravvenuta ai fenomeni di encefalopatia spongiforme bovina (la cosiddetta "mucca pazza").

Mentre, per  i seguenti alimenti:
a) tipi di carni diverse dalle bovine e  dalle suine, ovine, caprine e di volatili (dunque, equine, di coniglio, di renna e di cervo, di selvaggina e di allevamento, nonché di volatili diversi da pollo, tacchino, anatra, oca e faraona);
b) latte;
c) latte usato quale ingrediente di prodotti lattiero-caseari;
d) alimenti non trasformati;
e) prodotti a base di un unico ingrediente;
f) ingredienti che rappresentano più del 50% di un alimento.

è previsto che la Commissione presenti al Parlamento europeo e al Consiglio relazioni sull'indicazione obbligatoria del paese d'origine o del luogo di provenienza per i seguenti alimenti:

Appare, poi, opportuno ricordare che per taluni alimenti, quali la carne bovina già citata, è già obbligatoria in via generale l'indicazione dell'origine, in forza di norme europee diverse e specifiche rispetto a quelle del Regolamento 1169/2011 e in base a disposizioni nazionali.

Le norme di etichettatura obbligatoria di origine - oltre alla disciplina in materia di agricoltura biologica - esistono, in particolare, per diversi prodotti, quali:

Il legislatore nazionale, anche attraverso una continua attività di sensibilizzazione svolta in tal senso dalle Commissioni agricoltura di Camera e Senato, ha tradizionalmente attribuito grande rilievo alla possibilità di definire una legislazione che consentisse di indicare l'origine nazionale della produzione agroalimentare, ai fini della tutela della qualità e della relativa autenticità del prodotto stesso. La produzione nazionale alimentare è considerata una delle eccellenze, e, pertanto, il suo legame territoriale è stato ritenuto costantemente elemento di pregio – quindi degno di segnalazione al consumatore - anche per le produzioni non "a denominazione protetta".

La legge n. 4/2011 in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari, adottata nella XVI legislatura, con il fine di assicurare una completa informazione ai consumatori, dispone l'obbligo (artt. 4 e 5), per i prodotti alimentari commercializzati, trasformati, parzialmente trasformati o non trasformati, di riportare nell'etichetta anche l'indicazione del luogo di origine o di provenienza. L'etichetta deve altresì, in conformità alla normativa dell'Unione europea, segnalare l'eventuale utilizzazione di ingredienti in cui vi sia presenza di organismi geneticamente modificati (OGM) dal luogo di produzione iniziale fino al consumo finale.

Secondo la legge,  per i prodotti alimentari trasformati, l'indicazione riguarda il luogo in cui è avvenuta l'ultima trasformazione sostanziale e il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti.

 Sono previste sanzioni per chi non si adegua agli obblighi previsti dalla legge (articolo 4, comma 10, che dispone una sanzione amministrativa pecuniaria fra 1.600 euro e 9.500 euro per i prodotti non etichettati correttamente).

Le modalità applicative della legge n. 4/2011 sono state demandate a decreti interministeriali chiamati a definire, all'interno di ciascuna filiera alimentare, quali prodotti alimentari saranno assoggettati all'etichettatura d'origine (art. 4, comma 3).

 
Il decreto interministeriale sull'indicazione dell'origine del latte in etichetta
05/03/2018

Facendo seguito all'attività di sensibilizzazione verso l'indicazione in etichetta dell'origine del latte - come di altri prodotti di particolare importanza per il nostro settore agroalimentare - è stato presentato alle Camere, e assegnato alle Commissioni parlamentari agricoltura di Camera e Senato, per l'espressione del relativo parere, lo schema di decreto interministeriale concernente l'indicazione dell'origine in etichetta della materia prima per il latte e i prodotti lattiero-caseari, in attuazione del regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori (atto del Governo n. 361). Entrambe le  Commissioni parlamentari hanno espresso parere favorevole su tale provvedimento il 6 dicembre 2016.


E' stato quindi emanato il decreto 9 dicembre 2016 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 19 gennaio 2017), composto da 7 articoli, applicabile a tutti i tipi di latte e ai prodotti lattiero-caseari indicati nell'Allegato 1, preimballati e destinati al consumo umano, ad eccezione dei prodotti a denominazione di origine protetta (DOP), a indicazione geografica protetta (IGP), ai prodotti biologici e al latte fresco, per i quali continuano ad applicarsi le relative specifiche disposizioni.

L'Allegato 1 specifica che per latte si intende sia quello vaccino che quello bufalino, ovi-caprino, d'asina e di altra origine animale.
Le tipologie di latte indicate sono:
  • latte e crema di latte, non concentrati né addizionati con zuccheri o altri edulcoranti;
  • latte e crema di latte, concentrati o con aggiunta di zuccheri o di altri edulcoranti;
  • latticello, latte e crema coagulata, yogurt, kefir ed altri tipi di latte e creme fermentate o acidificate, sia concentrate che addizionate di zucchero o di altri edulcoranti aromatizzate o con l'aggiunta di frutta o di cacao;
  • siero di latte, anche concentrato o addizionato di zucchero o di altri edulcoranti; prodotti costituiti di componenti naturali del latte, anche addizionati di zucchero o di altri edulcoranti, non nominati né compresi altrove;
  • burro ed altre materie grasse provenienti dal latte; creme lattiere spalmabili;
  • formaggi, latticini e cagliate;
  • latte sterilizzato a lunga conservazione;
  • latte UHT a lunga conservazione.

Per indicare l'origine del latte o del latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari in  etichetta si deve far riferimento alle seguenti diciture:

  • "Paese di mungitura" , intendendosi con ciò il nome del Paese dove è stato munto il latte;
  • "Paese di condizionamento" , intendendosi con ciò il nome del Paese nel quale il latte è stato condizionato o trasformato.

Qualora il Paese di mungitura e di trasformazione sia lo stesso è possibile utilizzare la dicitura "origine del latte" ivi indicando il nome del Paese.

Nel caso in cui le operazioni di mungitura e di condizionamento siano realizzate nei territorio di più Paesi membri dell'Unione europea o di più Paesi situati al di fuori dell'Unione europea, si potranno utilizzare le seguenti diciture:

  • per le operazioni di mungitura: latte di Paesi UE
  • per le operazioni di trasformazione o condizionamento: latte condizionato o trasformato in Paesi UE

Nel secondo caso:

  • per le operazioni di mungitura: latte di Paesi non UE
  • per le operazioni di condizionamento o di trasformazione: latte condizionato o trasformato in Paesi non UE.

Il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali può avviare apposite campagne di promozione dei sistemi di etichettatura previsti. Le diciture sull'origine riportate in etichetta devono figurare in modo visibile, essere facilmente leggibili ed essere indelebili.

Per le violazioni degli obblighi previsti dal decreto si applicano le sanzioni previste dall'articolo 4, comma 10, della legge 3 febbraio 2011, n. 4, (sanzione amministrativa pecuniaria da 1.600 euro a 9.500 euro).

Le disposizioni ivi previste non si applicano al latte e ai prodotti lattiero-caseari fabbricati legalmente o commercializzati in un altro Stato membro dell'Unione europea o in un Paese terzo. Le disposizioni relative all'indicazione dell'origine del latte avranno, quindi, efficacia per i soli produttori nazionali.

Viene, inoltre, previsto che:

  • le disposizioni previste nel decreto si applicano in via sperimentale fino al 31 marzo 2019;
  • il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ed il Ministero dello sviluppo economico trasmettono un rapporto sull'applicazione delle disposizioni in esame alla Commissione europea entro il 31 dicembre 2018;
  • il decreto perde efficacia nel caso in cui la Commissione europea adotti atti esecutivi sul latte ed sui prodotti lattiero caseari prima del 31 marzo 2019 ;
  • il latte ed i prodotti lattiero caseari che non soddisfano i requisiti previsti dal decreto ma che sono stati portati a stagionatura, immessi sul mercato o etichettati prima dell'entrata in vigore dello stesso decreto, possono essere commercializzati fino al momento dell'esaurimento delle scorte e comunque entro e non oltre 180 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto.
 
I decreti interministeriali sull'indicazione dell'origine del riso e del grano duro per paste di semola di grano duro in etichetta
05/03/2018

Sulla falsariga di quanto disposto dal decreto relativo all'indicazione dell'origine del latte, sono stati emanati, nel luglio 2017, due ulteriori decreti del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, concernenti, rispettivamente, l'indicazione dell'origine in etichetta del riso (decreto 26 luglio 2017, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 16 agosto 2017), e l'indicazione dell'origine, in etichetta, del grano duro per paste di semola di grano duro (decreto 26 luglio 2017, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 17 agosto 2017).

Per il riso è previsto che sull'etichetta debbano essere indicate le seguenti diciture:

a) "Paese di coltivazione del riso" inteso come nome del Paese nel quale è stato coltivato il riso;

b) "Paese di lavorazione" inteso come Paese nel quale è stata effettuata la lavorazione e/o trasformazione del risone;

c) "paese di confezionamento" inteso come il Paese nel quale è stato confezionato il riso.

1. Sull'etichetta della pasta devono essere indicati:

a) «Paese di coltivazione del grano» inteso come il nome del Paese nel quale è stato coltivato il grano duro;

b) «Paese di molitura»inteso come il nome del Paese nel quale è stata ottenuta la semola di grano duro.

Qualora ciascuna di tali operazioni avviene nei territori di più Paesi dell'Unione euroepa o situati al di fuori della stessa Unione, possono essere utilizzate le diciture "UE", "non UE" "Ue e non UE".

Sono poi riprodotte disposizioni di tenore analogo a quanto previsto per il latte in ordine alle sanzioni, alla clausola di mutuo riconoscimento, all'efficacia delle disposizioni, valide fino  sino al 31 dicembre 2020, salvo che intervenga medio tempore una regolamentazione in materia da parte della Commissione europea. I decreti entrano, comunque,  in vigore trascorsi 180 giorni dalla loro pubblicazione (articolo 7).

 
Il decreto interministeriale sull'indicazione dell'origine del pomodoro
05/03/2018

Da ultimo, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 26 febbraio 2018, il decreto 16 novembre 2017 del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, sull'indicazione dell'origine in etichetta del pomodoro.

Il provvedimento si applica  esclusivamente ai seguenti prodotti preimballati destinati al consumatore finale:

  • derivati del pomodoro, descritti dall'art. 24 del cosiddetto collegato agricolo (legge n. 154 del 2016);
  • sughi e salse preparate a base di pomodoro (ossia salsa "ketchup" ed altre salse al pomodoro), ottenuti mescolando uno o più dei derivati di cui sopra con altri prodotti di origine vegetale o animale, il cui peso netto totale è costituito per almeno il 50 per cento dai suddetti derivati.

L'utilizzo in etichetta delle seguenti diciture:

  1. "Paese di coltivazione del pomodoro": nome del Paese in cui è stato coltivato il pomodoro;
  2. "Paese di trasformazione del pomodoro": nome del Paese in cui è stato trasformato il pomodoro.

Nel caso in cui il Paese coincida per entrambe le suddette operazioni, l'indicazione di origine potrà prevedere la sola dicitura: Origine del pomodoro: nome del Paese.

Qualora ciascuna delle operazioni di coltivazione e trasformazione avvenga nei territori di più Paesi membri dell'Unione europea o che siano situati al di fuori dell'Unione europea, per indicare il luogo in cui la singola operazione è stata effettuata, possono essere utilizzate le seguenti diciture: "UE", "non UE", "UE e non UE".

Le violazioni degli obblighi comporta l'applicazione delle sanzioni previste dall'art. 18, comma 2, del decreto legislativo n. 109 del 1992 (attualmente sostituito del decreto legislativo n. 231 del 2017 che viene descritto nel successivo paragrafo, cui si rimanda).

E' prevista la  clausola di mutuo riconoscimento, in base alla quale le disposizioni  non si applicano ai prodotti di pomodoro legalmente fabbricati o commercializzati in un altro Stato membro dell'Unione europea o in un Paese terzo.

Le norme si applicano, in via sperimentale, fino al 31 dicembre 2020.  Il  Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e il Ministero dello sviluppo economico sono chiamati a trasmettere alla Commissione europea, entro il 30 settembre 2020, un rapporto sulla loro applicazione. Nel caso in cui la Commissione europea adotti atti esecutivi relativi ai prodotti di pomodoro prima della scadenza del 31 dicembre 2020, il decreto in esame perde efficacia dal giorno della data di entrata in vigore degli stessi. Si prevede, inoltre, che i prodotti che non soddisfano i requisiti di questo decreto interministeriale, immessi sul mercato o etichettati prima dell'entrata in vigore dello stesso, possano essere commercializzati entro il termine di conservazione previsto in etichetta. L'entrata in vigore del decreto avviene 180 giorni dopo la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (avvenuta - come anticipato - il 26 febbraio 2018).

 
I decreti legislativi n. 145 e 231 del 2017 sulle informazioni sugli alimenti ai consumatori
05/03/2018

Il decreto legislativo 15 settembre 2017, n. 145 (Indicazione obbligatoria della sede di produzione)

Con l'articolo 5, comma 1, della legge di delegazione europea 2015 (legge n. 170 del 2016) il Governo è stato delegato ad emanare decreti legislativi  per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni stabilite dalla normativa europea in materia di etichettatura e informazione sugli alimenti ai consumatori, prevedendo come principi e criteri specifici: la previsione obbligatoria della sede dello stabilimento di produzione o, se diverso, di confezionamento, in riferimento alle sole produzioni nazionali di alimenti;  la revisione della disciplina delle sanzioni, accentrandone la competenza nel Dipartimento dell'Ispettorato centrale della tutela delle qualità e della repressione delle frodi dei prodotti agroalimentari del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali.

In attuazione della suddetta delega, il Governo ha  presentato alle Camere, ad aprile 2017, uno schema di decreto legislativo (atto del Governo n. 411) recante la disciplina dell'indicazione obbligatoria nell'etichetta della sede e dell'indirizzo dello stabilimento di produzione o, se diverso, di confezionamento, sul quale le Commissioni parlamentari competenti hanno espresso il proprio parere. E' stato quindi emanato il decreto legislativo 15 settembre 2017, n. 145 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 7 ottobre 2017).

Il suddetto decreto introduce l'obbligo di indicare in etichetta la sede dello stabilimento o di confezionamento, obbligo che è stato vigente nell'ordinamento italiano fino al 31 dicembre 2014, data nella quale è entrato in vigore il regolamento (UE) n.1169/2011/CE, che ha abrogato, tra le altre, la direttiva 2000/13/UE. Essa aveva concesso agli Stati membri  la facoltà di mantenere tale obbligo per garantire la tracciabilità degli alimenti preimballati. L'indicazione aveva riguardo ai soli prodotti preimballati, confezionati e commercializzati in Italia, con le sole esclusioni dei prodotti a base di carne e di quelli lattiero caseari.
L'entrata in vigore del regolamento n.1169/2011/CE ha determinato, quindi, l'inefficacia delle disposizioni richiamate. In seguito a numerosi atti di sindacato ispettivo volti alla reintroduzione di tale obbligo, è stata inserita nella legge di delegazione europea per il 2015 una delega (art. 5) alla quale è stata data attuazione con il provvedimento in esame.
L'introduzione di tale obbligo è stato possibile in quanto, come richiamato nella relazione illustrativa, l'articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea prevede, al paragrafo 4, che uno Stato membro può richiedere di mantenere proprie norme nazionali nonostante sulla materia sia intervenuta una regolamentazione armonizzata: ciò è possibile qualora tale richiesta sia giustificata sulla base di alcune esigenze, tra le quali, quelle legate alla tutela della salute e dell'ambiente. In ragione di tali motivi, la direttiva 2015/1535 prevede che la norma tecnica che lo Stato intende introdurre nel proprio ambito nazionale deve essere comunicata alla Commissione europea. La prescritta comunicazione è stata effettuata ed i motivi addotti hanno fatto riferimento alla stretta connessione tra l'indicazione della sede di stabilimento di un prodotto alimentare e la tutela della salute pubblica, considerato che la conoscenza di tale elemento permette la rintracciabilità del prodotto e una più facile esplicazione dei controlli ufficiali effettuati per verificare la conformità del processo di produzione alla normativa europea e nazionale.

 La località e l'indirizzo dello stabilimento identificano la sede dello stabilimento di produzione, o se diverso, di confezionamento.

Nel caso in cui l'indicazione della località consenta la facile identificazione dello stabilimento, non è necessario indicarne la sede.

L'indirizzo e la località non devono essere indicati nei casi in cui:

  1. la sede dello stabilimento o di confezionamento coincide con la sede già indicata in etichetta  che prevede tra le indicazioni obbligatorie il nome o la ragione sociale e l'indirizzo dell'operatore del settore alimentare;
  2. il prodotto preimballato già riporta il marchio di identificazione o la bollatura sanitaria;
  3. il marchio contiene la sede dello stabilimento.

Nel caso in cui l'operatore responsabile dell'informazione abbia più stabilimenti, possono essere indicati tutti gli stabilimenti purché quello effettivo sia evidenziato tramite punzonatura o altro segno.

Le modalità di presentazione dell'obbligo in esame sono quelle indicate nell'articolo 13 del reg. 1169/2011 relativo alle informazioni obbligatorie da far figurare in etichettatura.

 

Sono, quindi, introdotte specifiche sanzioni in caso di:

  1. omessa indicazione della sede di stabilimento o di confezionamento sul preimballaggio o sull'etichetta ad esso apposta o sui documenti commerciali. La sanzione, salvo che il fatto costituisca reato, è di natura amministrativa e consiste nel pagamento di una somma da 2.000 a 15.000 euro;
  2. omessa punzonatura o apposizione di altro segno dello stabilimento effettivo qualora l'impresa disponga di più stabilimenti. La sanzione, salvo che il fatto costituisca reato, è di natura amministrativa e consiste nel pagamento di una somma da 2.000 a 15.000 euro;
  3. indicazione della sede di stabilimento o di confezione in modo difforme dalle modalità di presentazione previste dall'art. 13 del reg. n.1169/2011. La sanzione, salvo che il fatto costituisca reato, è di natura amministrativa e consiste nel pagamento di somma da 1.000 a 8.000 euro.

 

L'Autorità competente all'irrogazione delle sanzioni è individuata nell'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (comma 1). Il 50% delle entrate derivanti dal pagamento delle sanzioni amministrative è corrisposto, per una quota pari al 35%, ad apposito capitolo del Ministero delle politiche agricole e, per una quota pari al 15%, ad apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero della salute. Esse saranno destinate al miglioramento dell'efficienza dei controlli svolti da entrambi i Ministeri.

 

L'obbligo di indicare in etichetta la sede di stabilimento o di confezionamento non si applica ai prodotti preimballati che provengono da un altro Stato membro dell'Unione europea o dalla Turchia né ai prodotti provenienti da uno Stato membro dell'Associazione europea di libero scambio (EFTA), c.d. clausola di mutuo riconoscimento.

Viene previsto che le nuove disposizioni abbiano effetto decorsi 180 giorni dalla data di pubblicazione del provvedimento e che gli alimenti  immessi sul mercato nei 180 giorni successivi alla pubblicazione del provvedimento, etichettati senza l'indicazione della sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento possano essere commercializzati fino ad esaurimento delle scorte.

La  risoluzione 8-00132 Oliverio ed altri, approvata dalla XIII Commisione della Camera il 5 agosto scorso, aveva impegnato il Governo:

  • ad adottare le opportune iniziative, nel rispetto della normativa europea al fine di reintrodurre il vincolo per le aziende produttrici di scrivere sulle etichette lo stabilimento di produzione e di confezionamento dei prodotti alimentari allo scopo di tutelare la salute e la sicurezza alimentare dei consumatori;
  • ad adottare nel rispetto della vigente normativa europea i decreti attuativi, ad oggi non ancora adottati, della legge n. 4 del 2011 col fine di definire, all'interno di ciascuna filiera alimentare, quali prodotti alimentari saranno assoggettati all'etichettatura d'origine, rendendo obbligatoria l'indicazione del Paese di origine delle materie prime in tutti i prodotti alimentari anche alla luce dei risultati della consultazione pubblica
  • ad intervenire nelle opportune sedi europee affinché le denominazioni DOP e IGP, in particolare dei prodotti di eccellenza italiani, continuino ad essere una priorità della Commissione europea anche nell'ambito del TTIP tra Usa e Unione europea.

Il decreto legislativo 15 dicembre 2017, n. 231 (Disciplina sanzionatoria per la violazione degli obblighi di informazione)

A settembre 2017, il Governo ha presentato alle Camere un altro schema di decreto legislativo, sempre in attuazione dell'art. 5 della legge n. 170 del 2016, recante la "disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, e adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del medesimo regolamento (UE) n. 1169/2011 e della direttiva 2011/91/UE" (Atto del Governo n. 456), sul quale le Commissioni parlamentari competenti hanno espresso il loro parere. E' stato quindi emanato il decreto legislativo 15 dicembre 2017, n. 231 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell'8 febbraio 2018).

Tale decreto legislativo, composto di 31 articoli, provvede:

  1. a definire la disciplina sanzionatoria per le condotte descritte dal regolamento (UE) n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori.
  2. ad aggiornare le disposizioni del decreto legislativo n. 109/1992 (recante l'attuazione della direttiva 89/395/UEE e della direttiva 89/396/UEE concernenti l'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari) - che viene abrogato dall'art. 30 del provvedimento in esame - riproponendole nel presente schema di decreto legislativo ed adeguando le relative sanzioni.

Le violazioni delle disposizioni del Regolamento n. 1169/2011/UE sono configurate illeciti amministrativi e sanzioni di natura amministrativa pecuniaria, essendo il presidio penale – che viene mantenuto con la previsione della clausola "salvo che il fatto costituisca reato" - assicurato,  dagli articoli 515 (Frode nell'esercizio del commercio) e 517 (Vendita di prodotti industriali con segni mendaci) del codice penale.

 

L'entità delle sanzioni è fissata in una somma compresa tra 500 e 40.000 euro, conformemente alla norma di delega (art. 32, L. 234/2012) che ha previsto limiti edittali minimi e massimi di 150 e 150.000 euro. Nell'ambito di tale forbice edittale e in ragione della gravità della violazione, sono stati individuati cinque scaglioni sanzionatori di importo diverso:

  • da 500 a 4.000 euro;
  • da 1.000 a 8.000 euro;
  • da 2.000 a 16.000 euro;
  • da 3.000 a 24.000 euro;
  • da 5.000 a 40.000 euro.

Sono, poi, aggiornate le indicazioni che debbono figurare nel lotto o partita di derrata alimentare (art. 17), in caso di vendita di prodotti ai distributori automatici (art. 18), in caso di vendita di prodotti non preimballati (art. 19) e, infine, in caso di prodotti non destinati al consumatore finale (art. 20). Gli articoli 21-24 introducono illeciti amministrativi per la violazione delle disposizioni nazionali di cui agli articoli precedenti.
 
La tutela dei prodotti a denominazione di origine protetta
05/03/2018

La disciplina relativa alle denominazioni di qualità dei prodotti agricoli ed alimentari è contenuta in primo luogo nel Regolamento n. 1151/2012 (UE) , entrato in vigore il 3 gennaio 2013, che ha abrogato i previgenti Regolamenti in materia di regime dei prodotti DOP e IGP e a Specialità Tradizionali, Reg. n. 509/2006 (CE) e Reg. n. 510/2006 (CE) .
Il regolamento n. 1151/2012 (UE) rientra nell'ambito del cd. "Pacchetto Qualità", predisposto dalla Commissione europea, alla fine del 2010, allo scopo di definire una politica di qualità dei prodotti agricoli più coerente e finalizzata ad aiutare gli agricoltori nella comunicazione del valore aggiunto dei propri prodotti.
La disciplina sulla tutela della qualità dei prodotti prevista dal Regolamento n. 1151/2012 non si applica, per esplicita previsione dello stesso provvedimento (articolo 2):

  • ai vini e ai prodotti vitivinicoli, per i quali trovano specifica applicazione le norme del Regolamento (UE) n. 1308/2013 (OCM unica) - in particolare agli articoli 39-54 - concernenti la tutela della qualità dei predetti prodotti, fatta eccezione per gli aceti di vino;
  • alle bevande spiritose, per le quali trova applicazione la disciplina sulla protezione delle indicazioni geografiche contenuta nel Regolamento n. 110/2008 (CE), relativo alla definizione, alla designazione, alla presentazione, all'etichettatura e alla protezione delle indicazioni geografiche delle bevande spiritose.
Per i prodotti dell'agricoltura biologica e per la relativa etichettatura vige anche lo specifico Regolamento n. 834/2007 (CE) del Consiglio, del 28 giugno 2007.
    Il regolamento n. 1151/2012 fa inoltre salve le disposizioni specifiche dell'Unione sull'immissione in commercio di taluni prodotti e le norme generali sull'etichettatura dei prodotti, le quali sono state da ultimo fissate nel Regolamento n. 1169/2011 (UE), il quale ha operato a partire dal 13 dicembre 2014.
    I regimi di qualità disciplinati nel Regolamento n. 1151/2012 (UE), nel Regolamento n. 1308/2013 (UE) e nel Regolamento n. 110/2008 (CE) costituiscono dunque la base per la tutela di prodotti aventi caratteristiche o proprietà che gli conferiscono un valore aggiunto, in ragione dei metodi di produzione e trasformazione usati o del luogo di produzione o commercializzazione.
    Si segnala che, con la legge di bilancio 2018 (articolo 1, comma 499 della legge n. 205 del 2017), sono stati istituiti i distretti del cibo (inclusi i biodistretti), ai quali sono chiamate a partecipare le imprese agricole, agroalimentari e sociali al fine di promuovere, attraverso le attività agricole, lo sviluppo territoriale, la coesione e l'inclusione sociale, l'integrazione di attività caratterizzate da prossimità territoriale, la sicurezza alimentare, nonché di ridurre l'impatto ambientale delle produzioni e lo spreco alimentare, salvaguardando il territorio e il paesaggio rurale. Per tale finalità, è stata autorizzata la spesa di 5 milioni di euro per il 2018 e 10 milioni di euro dall'anno 2019.
    La medesima legge di bilancio 2018 (art. 1, comma 908) ha prorogato al 30 giugno 2018 il termine per la presentazione o per l'esame - da parte dei competenti uffici ministeriali - dei documenti di spesa relativi ai finanziamenti disposti, e non definiti formalmente alla data del 30 giugno 2017, a favore delle associazioni di piccole e medie imprese attive nel settore della produzione di prodotti agricoli di qualità e assegnati ad organismi associativi di produttori. I predetti finanziamenti sono stati disposti sulla base della gestione commissariale ex Agensud, attualmente cessata, e le cui funzioni sono state trasferite al MIPAAF, in base all'art. 6, comma 1 del decreto-legge n. 51 del 2015 (legge n. 91 del 2015).
     
    Il sistema nazionale dei controlli ufficiali a tutela dei prodotti agroalimentari e contrasto alla contraffazione
    05/03/2018

    Presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali opera il Dipartimento dell'Ispettorato centrale della tutela della qualità e delle repressioni frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF), deputato a svolgere i controlli per la tutela della qualità merceologica, la genuinità dei prodotti e la loro identità, con diversi Uffici territoriali, sedi distaccate, e laboratori di analisi.

    Nel corso dei controlli vengono controllate:

    • la conformità dei processi produttivi;
    • la regolare tenuta della documentazione ufficiale;
    • la correttezza e veridicità delle informazioni riportate nell'etichetta.

    La programmazione dell'attività di controllo si basa su una valutazione dell'analisi di rischio basata su: l'importanza socio-economica del settore; il numero di operatori ed il volume delle produzioni; le caratteristiche strutturali ed organizzative della filiera; le criticità riscontrate e gli illeciti storicamente accertati; la situazione congiunturale del settore e gli andamenti del mercato.

    In base alla nuova normativa prevista dal regolamento (UE) n. 1151/2012  è, ad oggi, possibile attivare una protezione ex officio da parte di ciascuno Stato membro contro ogni forma di illecito utilizzo delle denominazioni di origine ed indicazioni geografiche. L'ICQRF rappresenta l'Autorità nazionale delegata a far valere tale protezione, potendo adottare le misure preventive previste dall'art. 13, par. 3, del predetto regolamento (UE) n. 1151/2012.

    Alle dipendenze funzionali del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali si trovava - fino al 2016 - il Corpo forestale dello Stato, allora forza di polizia ad ordinamento civile, specializzata nella tutela del patrimonio naturale e paesaggistico e nella prevenzione e repressione dei reati in materia ambientale ed agroalimentare. A seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 177 (si vedano in particolare gli artt. 7 e 20), il Corpo forestale dello Stato è stato assorbito, dal 2017, nell'Arma dei carabinieri, la quale esercita le funzioni già svolte dal citato Corpo, ad eccezione delle competenze in materia di lotta attiva contro gli incendi boschivi e spegnimento con mezzi aerei degli stessi, attribuite al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché delle funzioni attribuite alla Polizia di Stato e al Corpo della guardia di finanza ai sensi dell'articolo 10 del predetto decreto legislativo e delle attività cui provvede il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell'articolo 11 del medesimo decreto. L'Arma dei carabinieri è stata quindi organizzata - a tal fine - in un Comando unità per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare (C.U.T.F.A.A.), ai sensi dell'art. 8, del citato decreto legislativo n. 177 del 2016, che - tra l'altro - dipende funzionalmente dal Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali per le materie afferenti alla sicurezza e tutela agroalimentare e forestale.

    Presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali  opera anche il Reparto Pesca Marittima del Corpo delle Capitanerie di Porto (RPM), con compiti di vigilanza sulle attività di pesca marittima, dell'acquacoltura, di salvaguardia delle specie ittiche protette e di controllo sulle merci e derrate provenienti da altri Paesi ed in arrivo presso i porti italiani.

    Presso il Ministero della salute, svolgono compiti di vigilanza e controlli il Dipartimento per la sanità pubblica, la nutrizione e la sicurezza degli alimenti, l'Istituto superiore di sanità, nonché il Comando Carabinieri per la tutela della salute (NAS), mentre a livello territoriale operano i posti di Ispezione frontaliera, gli Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera (U.S.M.A.F.) nonché gli Uffici veterinari per gli adempimenti comunitari (U.V.A.C).

    Presso il Ministero dell'economia e delle finanze operano la Guardia di Finanza e l'Agenzia delle Dogane.

    Le regioni partecipano all'attività di controllo attraverso le Aziende sanitarie locali (ASL) e gli Istituti zooprofilattivi sperimentali (IZS). Nella regione Piemonte sono istituiti i servizi antisofistificazione sul vino, facenti capo alle province.

    Il decreto-legge n. 91 del 2014 (legge n. 116 del 2014), all'art. 1, commi 1 e 2, ha previsto che si assicuri l'esercizio unitario dell'attività ispettiva nei confronti delle imprese agricole e l'uniformità di comportamento degli organi di vigilanza. Al fine, quindi, di evitare duplicazioni e sovrapposizioni nei procedimenti di controllo, è stato istituito presso il MIPAAF, con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministro dell'interno (decreto ministeriale 22 luglio 2015), il registro unico dei controlli ispettivi sulle imprese agricole.

    Il medesimo art. 1 del decreto-legge n. 91 del 2014 prevede che per le violazioni alle norme in materia agroalimentare, per le quali è prevista l'applicazione della sola sanzione amministrativa pecuniaria, l'organo di controllo incaricato, nel caso in cui accerta per la prima volta l'esistenza di violazioni sanabili, diffida l'interessato ad adempiere alle prescrizioni violate entro il termine di venti giorni dalla data di ricezione dell'atto di diffida e ad elidere le conseguenze dannose o pericolose dell'illecito amministrativo. In caso di mancata ottemperanza alle prescrizioni contenute nella diffida, entro il termine indicato, l'organo di controllo procede ad effettuare la contestazione (comma 3). Si dispone, infine, che per le violazioni alle norme in materia agroalimentare per le quali è prevista l'applicazione della sola sanzione amministrativa pecuniaria, la somma, determinata ai sensi dell'articolo 16, primo comma, della legge n. 689 del 1981, è ridotta del trenta per cento se il pagamento è effettuato entro cinque giorni dalla contestazione o dalla notificazione (comma 4).

    Si ricorda poi che i prodotti italiani sono oggetto di numerosissimi casi di contraffazione, consistenti, prevalentemente nella commercializzazione di prodotti non italiani con l'utilizzo di nomi, parole, immagini che richiamano l'Italia inducendo quindi in maniera ingannevole a credere che si tratti di prodotti italiani.
    In materia di lotta alla contraffazione nella XVI legislatura è stata approvata una norma (art. 15 della legge n. 99 del 23 luglio 2009) che ha introdotto nel codice penale l'art. 517-quater, che punisce con la reclusione fino a due anni e la multa fino a 20.000 euro chi contraffà o altera indicazioni geografiche o denominazioni di origine di prodotti agroalimentari ovvero introduce nel territorio dello Stato, detiene per la vendita o pone in vendita tali prodotti al fine di trarne profitto.

     

    Misure di contrasto alla contraffazione di prodotti DOP, quali nello specifico la mozzarella di bufala campana, sono contenute nel citato D.L. n. 91/2014 (all'articolo 4, commi 1-7).

    In particolare, le  disposizioni prevedono che la produzione della "Mozzarella di Bufala Campana" DOP debba avvenire in uno spazio in cui è lavorato esclusivamente latte proveniente da allevamenti inseriti nel sistema di controllo della DOP Mozzarella di bufala campana. Si dispone, inoltre, in ordine alla tracciabilità del latte di bufala e dei prodotti trasformati derivanti dall'utilizzo di latte bufalino, introducendo sanzioni amministrative per chi viola i predetti obblighi, salva l'applicazione delle norme penali vigenti.

    A tale proposito, si ricorda, infine, che, il 25 settembre 2013, la Camera dei deputati ha nuovamente istituito, nell'intento di proseguire il lavoro istruttorio svolto nel corso della XVI Legislatura, una Commissione monocamerale d'inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo (Doc. XXII, nn. 5-6-7-11-A), la quale si è insediata il 14 maggio 2014 . L'ultima seduta della Commissione si è tenuta il 17 gennaio 2018, nella quale si è deliberato sulla pubblicità degli atti e dei documenti formati o acquisiti dalla Commissione stessa, dopo aver approvato, nella seduta del 19 dicembre 2017, la relazione conclusiva sull'attività della Commissione.