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Temi dell'attività parlamentare

Diritto e giustizia
Commissione: II Giustizia
Giustizia
Ragionevole durata del processo

Nel corso della XVII legislatura il Parlamento ha riformato le procedure previste dalla c.d. Legge Pinto (legge n. 89 del 2001) per ottenere l'indennizzo in caso di eccessiva durata del processo. Negli ultimi anni, infatti, all'alto numero di ricorsi presentati alla Corte europea dei diritti dell'uomo, relativi all'irragionevole durata dei processi in Italia, si sono aggiunti ulteriori ricorsi concernenti i ritardi nei pagamenti degli indennizzi riconosciuti.

 
Il contenzioso sulla durata dei processi in Italia davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo
09/03/2018

Come è noto, in caso di eccessiva durata di un processo - sia esso civile, penale o amministrativo - l'interessato ha diritto di rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, con sede a Strasburgo, per ottenere una condanna dello Stato, con conseguente determinazione di un risarcimento, per la violazione dell'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo. Tale disposizione, infatti, afferma che «ogni persona ha diritto che la sua causa sia esaminata imparzialmente, pubblicamente e in un tempo ragionevole [...]».

Per ovviare all'elevato numero di ricorsi presentati per la irragionevole durata dei processi nel nostro Paese, il legislatore ha approvato la legge n. 89 del 2001, c.d. Legge Pinto, che definisce i tempi di ragionevole durata dei processi e delinea un procedimento interno per ottenere dallo Stato un indennizzo.

Nel corso degli anni, anche il pagamento di questi indennizzi ha scontato gravi ritardi, che hanno comportato un ulteriore ampio contenzioso presso la CEDU, per eccessiva durata dello stesso procedimento delineato dalla Legge Pinto.

Nell'ultima parte della XVI legislatura, nel giugno del 2012, l'Italia figurava tra i sette paesi del Consiglio d'Europa con il più alto numero di cause ripetitive pendenti dinanzi alla Corte europea dei diritti: oltre 8.000 ricorsi per eccessiva durata dei processi e per l'attuazione delle decisioni assunte in base alla Legge Pinto; molte cause (circa 4.000), infatti, concernevano i ritardi nei pagamenti dell'indennizzo riconosciuto in base alla legge Pinto, ritardo stimato dalla CEDU tra i 9 ed i 49 mesi dall'emanazione della decisione (in oltre il 65% dei casi, il ritardo medio è di 19 mesi).

Per questa ragione, il Consiglio d'Europa ha espresso preoccupazione, oltre che per la lunghezza dei processi in Italia, anche per «l'evidente cattivo funzionamento delle vie di ricorso previste nella normativa interna in materia di durata eccessiva dei procedimenti, e fa appello alle autorità italiane affinché siano liquidati d'urgenza i danni riconosciuti dai tribunali italiani. Sollecita, inoltre, le autorità a rivedere l'istituto del rimedio risarcitorio e ad integrarlo con un rimedio maggiormente preventivo, ad effetto acceleratore, onde evitare la presentazione di ulteriori istanze di ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo» (cfr. Rapporto del Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d'Europa a seguito della visita in Italia dal 3 al 6 luglio 2012).

Nel dicembre 2012 il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa ha poi sottolineato l'urgenza di arrestare «il flusso di ulteriori ricorsi alla Corte europea e l'urgenza di trovare una soluzione sostenibile» per questo problema strutturale. L'eccessivo numero di ricorsi riguardanti la lunghezza del processo in Italia, infatti, ad avviso del Consiglio d'Europa, minaccerebbe il futuro del sistema di protezione dei diritti umani in Europa.

 
Le riforme introdotte in XVI legislatura
09/03/2018

Per risolvere i problemi evidenziati dal Consiglio d'Europa, il legislatore ha intrapreso, già al termine della XVI legislatura, una serie di iniziative volte, da una parte, a razionalizzare il processo (soprattutto civile), per ridurne la durata e, dall'altro, a rivedere le procedure della Legge Pinto, con l'obiettivo di velocizzare i pagamenti degli indennizzi.

In particolare, nella XVI legislatura, il decreto-legge n. 83 del 2012 (art. 55) ha modificato la disciplina dei procedimenti relativi alle domande di indennizzo per violazione del termine di durata ragionevole del processo civile e penale, specificando, inoltre, per ciascun grado di giudizio, quale sia il termine entro il quale la durata del processo non può mai essere dichiarata irragionevole.

I giudizi sul diritto all'equa riparazione che devono decidere sul fondatezza del ricorso e sulla liquidazione degli importi si svolgono davanti alla Corte d'appello in composizione collegiale, con instaurazione del contraddittorio nei confronti dell'amministrazione responsabile e con svolgimento attraverso una pluralità di udienze. Poiché tali procedimenti, proprio per la loro eccessiva durata, sono stati essi stessi fonte di domande di risarcimento, il decreto-legge ha delineato un nuovo, più snello, modello procedimentale (basato su quello del decreto ingiuntivo previsto dal codice di rito civile) che permette di arrivare a una rapida decisione sia sulla domanda (dagli attuali quattro mesi si passa a trenta giorni) che sull'eventuale impugnazione.
Per limitare gli esborsi dello Stato per violazione del termine di ragionevole durata, il provvedimento ha previsto poi:
  • specifiche cause di non indennizzabilità;
  • la misura delle somme risarcibili sulla base di soglie predeterminate minime e massime. Il nuovo articolo 2-bis della Legge Pinto individua la misura dell'indennizzo in una somma tra 500 e 1.500 euro per ogni anno (o frazione di anno superiore a sei mesi) che ecceda il termine di durata ragionevole del processo.
Con la novella, inoltre, sono fissati nella stessa legge Pinto i termini di ragionevole durata nei diversi gradi di giudizio sulla base di parametri acquisiti dalla giurisprudenza (sei anni complessivi: tre per il primo grado, due per l'appello ed uno per il giudizio di cassazione).
La Corte costituzionale (sentenza 36/2016) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 2-bis, della legge Pinto, nella parte in cui impone di considerare ragionevole la durata del procedimento di primo grado quando la stessa non eccede i tre anni. La Corte han ritenuto che siano stati così violati gli artt. 111, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., posto che questo solo termine comporta che la durata complessiva del giudizio possa essere superiore al limite biennale adottato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (e dalla giurisprudenza nazionale sulla base di quest'ultima) per un procedimento regolato da tale legge, che si svolga invece in due gradi.
 
La riforma della Legge Pinto nella legge di stabilità per il 2016
09/03/2018

Nella XVII legislatura, il decreto-legge n. 35 del 2013 (art. 6) ha affermato l'impignorabilità dei fondi destinati al pagamento degli indennizzi per irragionevole durata del processo, al fine di garantire un'ordinata programmazione dei pagamenti in favore dei creditori di somme liquidate dallo Stato.

L'articolo 1, comma 777, della legge n. 208 del 2015 (Legge di stabilità 2016) è intervenuto per modificare le procedure per ottenere l'indennizzo da irragionevole durata del processo contenute nella legge n. 89 del 2001, abbassando l'entità dell'indennizzo e introducendo l'obbligo, per la parte lesa dall'eccessiva durata, di sollecitare i tribunali con rimedi preventivi della violazione del termine, che rappresentano una condizione di procedibilità della successiva domanda di riparazione del danno. Vengono inoltre introdotte alcune presunzioni di insussistenza del danno, che obbligano la parte che ha subito un processo irragionevolmente lungo a dimostrare il pregiudizio subito, e vengono disciplinate nuove modalità di pagamento.

La finalità dichiarata dell'intervento legislativo è quella di «razionalizzare i costi conseguenti alla violazione del termine di ragionevole durata dei processi». 

In sintesi, la riforma della legge Pinto realizzata con la legge di stabilità 2016:

  • prevede che la parte di un qualsiasi processo, che ritenga che venga leso il proprio a ottenere un giudizio entro un tempo ragionevole, ha diritto a esperire rimedi preventivi (art. 1-bis, comma 1), almeno 6 mesi prima dello spirare del termine di ragionevole durata. Se, nonostante tali rimedi, il termine di ragionevole durata del processo viene violato, la suddetta parte ha diritto all'equa riparazione (art. 1-bis, comma 2). Se invece tali rimedi non vengono esperiti, è inammissibile la domanda di equa riparazione. In particolare, nel processo civile, il rimedio preventivo consiste nell'introduzione del giudizio nelle forme del procedimento sommario di cognizione ovvero nella richiesta di passaggio dal rito ordinario al rito sommario; nel processo penale e nel processo contabile consiste nella presentazione di un'istanza di accelerazione; nel processo amministrativo nella presentazione dell'istanza di prelievo; nei giudizi di cassazione, la parte deve presentare un'istanza di accelerazione almeno 2 mesi prima dello spirare del termine di ragionevole durata;
  • nega l'indennizzo non solo alla parte soccombente che nel processo civile sia stata condannata al risarcimento dei danni da lite temeraria, ma a chiunque abbia agito o resistito in giudizio pur essendo consapevole della infondatezza - originaria o sopravvenuta – delle proprie domande o difese, anche se ciò non ha determinato la condanna per lite temeraria;
  • individua una serie di ipotesi in presenza delle quali si presume insussistente il pregiudizio da irragionevole durata. Si tratta, nel processo penale, della prescrizione del reato e della contumacia della parte; nel processo civile, dell'estinzione del processo per rinuncia o inattività delle parti e dell'irrisorietà della pretesa o del valore della causa; nel processo amministrativo, dell'estinzione del processo per rinuncia o inattività delle parti, della perenzione del ricorso, della mancata presentazione della domanda di riunione nel giudizio amministrativo presupposto, dell'introduzione di domande nuove con ricorso separato, nonostante fosse possibile introdurre motivi aggiunti, dell'irrisorietà della pretesa o del valore della causa, valutata anche in relazione alle condizioni personali della parte. Si presume insussistente il danno anche quando la parte ha conseguito, per effetto della irragionevole durata del processo, vantaggi patrimoniali uguali o maggiori rispetto alla misura dell'indennizzo che sarebbe dovuto;
  • riduce l'entità dell'indennizzo. Se prima la legge prevedeva un indennizzo da 500 a 1.500 euro per ciascun anno che eccede il termine di ragionevole durata, la legge di stabilità riduce la somma portandola da 400 a 800 euro. La riforma, peraltro, stabilisce che questi nuovi parametri debbano essere applicati "di regola", e che la somma possa essere incrementata fino al 20% per gli anni di ritardo successivi al terzo e fino al 40% per gli anni successivi al settimo. Inoltre, la misura dell'indennizzo può essere diminuita fino al 20% se le parti del processo sono più di 10 e fino al 40% se le parti del processo sono più di 50; può essere diminuita fino a un terzo se la parte che avanza domanda di equa riparazione si è vista rigettare integralmente le proprie richieste;
  • individua il giudice competente a conoscere del procedimento per l'equo indennizzo nella corte d'appello del distretto in cui ha sede il giudice innanzi al quale si è svolto il primo grado del processo presupposto.

Per quanto  riguarda il pagamento degli indennizzi, la legge n. 208 del 2015 stabilisce che, una volta che la somma da corrispondere a titolo di equa riparazione è stata liquidata dalla Corte d'appello:

  • il creditore deve presentare all'amministrazione debitrice una dichiarazione sostituiva nella quale attesta il proprio credito e sceglie le modalità di riscossione;
  • ricevuta la dichiarazione, l'amministrazione deve effettuare il pagamento entro 6 mesi. Solo allo spirare di tale termine il creditore può proporre ricorso per l'ottemperanza del provvedimento o procedere all'esecuzione forzata;
  • i pagamenti sono effettuati nei limiti delle risorse disponibili sui relativi capitoli di bilancio, "fatto salvo il ricorso ad anticipazioni di tesoreria mediante pagamento in conto sospeso", con regolarizzazione a carico del fondo di riserva per le spese obbligatorie. In sostanza, l'amministrazione debitrice della somma, se non ha più disponibilità sul relativo capitolo di bilancio, chiede alla Banca d'Italia di procedere al pagamento registrandolo in conto sospeso, in attesa della regolarizzazione contabile che avverrà non appena saranno rese disponibili le necessarie risorse sul pertinente capitolo.

 Inoltre, l'articolo 1, comma 781, della legge di stabilità 2016 modifica il Codice del processo amministrativo (D.Lgs. n. 104 del 2010), intervenendo sul giudizio di ottemperanza per prevedere che il giudice, con l'accoglimento del ricorso, fissi la somma di denaro dovuta dal resistente per ogni violazione o inosservanza successiva e per ogni ritardo nell'esecuzione del giudicato. Se l'ottemperanza ha ad oggetto il pagamento di somme, la penalità di mora decorre dall'ordine di pagamento contenuto nella sentenza di ottemperanza; tale penalità non è manifestamente iniqua se stabilita in misura pari agli interessi legali.

 
Il piano straordinario di pagamento dei debiti pregressi
09/03/2018

Nella relazione del Ministro della Giustizia al Parlamento su l'Amministrazione della Giustizia nell'anno 2015, si evidenzia come nel 2015 sia stato varato un piano straordinario teso a realizzare il progressivo rientro dal debito ex legge Pinto. Debito che, alla data del 30 giugno 2015, ammontava a oltre 451 milioni di euro.

In tale quadro, il Ministero ha sottoscritto un accordo di collaborazione con la Banca d'Italia, il quale prevede che il pagamento dei decreti di condanna sopravvenienti avvenga in sede centrale, da parte della Direzione generale degli affari giuridici e legali del Ministero, così da permettere alle corti d'appello di concentrarsi nello smaltimento del debito pregresso ed evitare che anche per le condanne di nuova emissione si creino ritardi nei pagamenti.

 
Le risorse per gli indennizzi
09/03/2018

Nel settembre 2013, il Ministero della Giustizia ha diramato una nota esplicativa nella quale vengono palesate tutte le difficoltà di pagamento degli indennizzi da parte dello Stato.

La nota affermava che al pagamento degli indennizzi e delle spese conseguenti al contenzioso della c.d. Legge Pinto, nei quali il Ministero della giustizia è convenuto in giudizio e condannato, provvede il medesimo Ministero con il capitolo 1264 (Somma occorrente per far fronte alle spese derivanti dai ricorsi proposti dagli aventi diritto ai fini dell'equa riparazione dei danni subiti in caso di violazione del termine ragionevole del processo), gestito dal Dipartimento degli Affari della Giustizia.

Tale capitolo è stato fino al 2012 incrementato mediante prelievo dal capitolo 2829 dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze ("Fondo da ripartire per far fronte alle spese derivanti dai ricorsi di equa riparazione"- spese obbligatorie).

Stante la disposizione contenuta nella stessa legge 89/2001, secondo cui «L'erogazione degli indennizzi agli aventi diritto avviene nei limiti delle risorse disponibili», il relativo stanziamento a favore della Giustizia è stato effettuato dal Ministero dell'economia e delle finanze una volta all'anno e con notevole ritardo (solitamente tra aprile e luglio) e in entità mai sufficiente né alla liquidazione dei decreti emessi nell'anno in corso né all'azzeramento del debito arretrato (nel 2011 e nel 2012 lo stanziamento è stato pari a circa il 10% del debito accumulato).

Con l'anno 2013, per la prima volta, la legge di bilancio ha stabilito a favore della Giustizia una assegnazione di fondi sul capitolo 1264, assegnazione definita dal Ministero «ancora del tutto insufficiente (50 milioni di euro) rispetto all'entità del debito (oltre 340 milioni di euro)».

Nel corso della XVII legislatura, queste sono state le risorse stanziate per far fronte ai debiti per l'irragionevole durata del processo:

cap. 1264, Somma occorrente per far fronte alle spese derivanti dai ricorsi proposti dagli aventi diritto ai fini dell'equa riparazione
dei danni subiti in caso di violazione del termine ragionevole del processo
2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019 2020
Stanziamento 50,0 101,0 180,0 177,7 172,4 212,4 212,4 140,0
Pagamenti effettuati 69,5 100,4 142,3 119,6
I dati 2013-2016 sono tratti dal Rendiconto; il dato 2017 dalla legge di assestamento; i dati 2018-2020 dalla legge di bilancio 2018

Nella relazione della Corte dei Conti sul Rendiconto 2016 si evidenzia che dal 2015, in considerazione sia della notevole dimensione finanziaria della spesa ordinaria ex legge Pinto, sia per l'ingente esposizione debitoria (circa 400 milioni al 2015), è stato adottato un Piano straordinario di rientro dal debito, sulla base del quale le Corti di appello si adoperano per l'eliminazione dei debiti pregressi, effettuando il pagamento dei provvedimenti di condanna già emessi nei confronti dell'Amministrazione della giustizia, mentre la Direzione generale degli affari giuridici e legali procede al pagamento tempestivo dei provvedimenti di condanna sopravvenienti, anche al fine di evitare le condanne da ritardo sull'esecuzione delle sentenze di equa riparazione, avvalendosi a tal fine della Banca d'Italia, sulla base di un accordo sottoscritto in data 18 maggio 2015.

Dopo una prima fase di sperimentazione, che ha riguardato principalmente la Corte di appello di Roma, a partire dal mese di dicembre 2015, il Piano è stato esteso alle Corti di appello maggiormente gravate dal debito arretrato [Caltanissetta, Catanzaro, Genova, Lecce, Perugia, Potenza, Roma e Salerno]. La Banca d'Italia ha iniziato a prestare assistenza anche per lo smaltimento dell'arretrato.

Per quanto concerne il debito arretrato, ci sono ancora dieci Corti di appello, che devono effettuare pagamenti per importi complessivi superiori ai 10 milioni e che hanno notevoli difficoltà a smaltirli, secondo l'Amministrazione a causa della carenza di personale. Le iniziative attuate dal Ministero per la riduzione del debito arretrato hanno consentito lo smaltimento del debito pregresso e per l'attività ordinaria la diminuzione di quasi il 40% dei ricorsi per ottemperanza. Tuttavia sono stati rilevati nuovi debiti fuori bilancio, e la consistenza del debito sopravveniente, relativo a decreti di condanna emessi dalle Corti di appello, risulta costante negli ultimi anni (circa 83 milioni nel 2016).

Il debito annuale, che nel 2016 si attesta a 336,4 milioni, risulta comunque in diminuzione a partire dal 2015.
 
Statistiche
09/03/2018

Il dato complessivo del contenzioso pendente dinanzi alla CEDU nei confronti dell'Italia per irragionevole durata del processo era, al 30 settembre 2015, di n. 8.050 ricorsi (Fonte: Ministero della Giustizia, Relazione sull'Amministrazione della Giustizia nel 2015).

Nel gennaio 2018, nella scheda Paese sull'Italia, redatta dall'ufficio stampa della Corte europea dei diritti e disponibile sul suo sito, risultano pendenti 2.000 ricorsi relativi alla violazione del termine di ragionevole durata del processo e alla eccessiva lunghezza delle procedure previste dalla Legge Pinto.