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Temi dell'attività parlamentare

Lavoro, assistenza e previdenza
Commissione: XI Lavoro
Occupazione, lavoro e professioni
Indagine conoscitiva sull'emergenza occupazionale
In avvio della legislatura la XI Commissione (Lavoro) della Camera ha svolto, concludendola il 16 ottobre 2013, un'indagine conoscitiva sulle misure per fronteggiare l'emergenza occupazionale, con particolare riferimento alla disoccupazione giovanile.
 
Contenuto dell'indagine conoscitiva sull'emergenza occupazionale
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18/11/2013

L'indagine conoscitiva sulle misure per fronteggiare l'emergenza occupazionale, con particolare riguardo alla disoccupazione giovanile, è stata deliberata dalla XI Commissione (Lavoro) della Camera l'11 giugno 2013. Le audizioni hanno visto la partecipazione, unitamente alle parti sociali e ai rappresentanti di varie realtà economiche, di esponenti del mondo accademico ed esperti delle materie lavoristiche. Concluso il ciclo di audizioni, nella seduta del 16 ottobre 2013 la Commissione ha approvato il documento conclusivo dell'indagine.

Il documento conclusivo mette in primo luogo in evidenza che sebbene la crisi occupazionale si lega soprattutto a una carenza di domanda di lavoro, non può essere trascurato, tuttavia, il fenomeno inverso, quello della carenza di offerta di lavoro, che riguarda soprattutto taluni profili professionali. Per far fronte ai fenomeni di skill mismatch e skill gap (oltre che di overeducation, per cui molti giovani in possesso di titoli di studio qualificati sono costretti a svolgere mansioni non in linea con le competenze acquisite), occorre favorire la transizione scuola-lavoro, potenziare l'istruzione tecnica e professionale (IFTS) e rimuovere le cause che portano spesso il sistema di formazione professionale a essere autoreferenziale.

Il contratto di apprendistato, nonostante gli interventi nella scorsa legislatura, resta marginale e ancora non rappresenta lo strumento privilegiato di accesso al lavoro per i giovani. Un freno al ricorso a tale forma contrattuale deriva dall'instabilità normativa, cui si legano in particolare le difficoltà che derivano dalla competenza legislativa concorrente riconosciuta alle regioni e, conseguentemente, dalla coesistenza, sul territorio nazionale, di una pluralità di sistemi normativi differenziati. Le ragioni dello scarso utilizzo dell'apprendistato vanno tuttavia ricercate soprattutto nel fatto che tale forma contrattuale non si inserisce organicamente all'interno del sistema scolastico e formativo del Paese, diversamente da quanto accade nei sistemi duali (Germania e Austria), dove i due percorsi (scolastico e lavorativo) hanno pari dignità.

Occorre, quindi, porre in essere azioni volte a valorizzare il ruolo di scuole e università per il collocamento degli apprendisti nel tessuto produttivo locale, nonché a promuovere un più esteso ricorso a forme di alternanza scuola-lavoro.  Inoltre, andrebbe valutata l'opportunità, magari in via transitoria e sperimentale, di estendere i benefici contributivi attualmente previsti anche alle aziende di maggiori dimensioni (pur nella consapevolezza delle difficoltà che ciò comporterebbe sul piano finanziario) e di prolungare il periodo di prova.

Inoltre, nel definire la disciplina di altre fattispecie contrattuali e nel prevedere incentivi all'assunzione e stabilizzazione di giovani, occorrerebbe prestare particolare attenzione per evitare sovrapposizioni e incoerenze con la disciplina dell'apprendistato (e scongiurare una sua "cannibalizzazione").

La qualità dei servizi offerti dai Centri per l'impiego è nel complesso ampiamente insoddisfacente, nonostante alcune positive eccezioni, collocate in particolari aree del Paese. Le difficoltà dei Centri per l'impiego si legano alla grave carenza di personale, a un quadro di competenze normative e amministrative disarticolato (strutturato su tre livelli – Stato, regioni e Province – e, soprattutto, segnato dalla mancanza di un soggetto a livello nazionale con funzioni di coordinamento dell'intero sistema), alla scarsa interoperabilità degli uffici, alla mancanza di un efficace raccordo con gli altri operatori pubblici (scuola, università) e privati (agenzie per il lavoro e sistema della bilateralità).

Le modalità attraverso le quali è possibile intervenire per promuovere l'occupazione mediante l'utilizzo di risorse pubbliche sono state oggetto di un ampio dibattito.

In particolare, per quanto concerne gli incentivi finalizzati a nuove assunzioni o alla stabilizzazione di lavoratori flessibili, è stato osservato come il legislatore sia spesso vittima di una presunzione di efficacia, che porta a ricondurre a un incentivo tutti gli effetti che si osservano successivamente alla sua introduzione. Si tratta di una prospettiva fuorviante, che induce a una sistematica sovrastima degli effetti degli interventi, conducendo spesso a sprechi di risorse pubbliche. Non tutto quello che si osserva a seguito di un intervento normativo (in termini di assunzioni e stabilizzazioni), infatti, è ad esso legato da un nesso di causalità. Un'ormai consolidata letteratura, fondata sulla cosiddetta analisi «controfattuale» (tesa cioè ad indagare cosa sarebbe comunque accaduto in assenza dell'intervento), mostra che gli effetti netti degli incentivi per l'occupazione sono spesso assai inferiori a quanto comunemente si ritiene.

Ampio risalto, tra i temi toccati nel corso dell'indagine, ha avuto l'attuazione della legge n.92 del 2012: dai primi dati del monitoraggio (forniti dall'ISFOL) emerge una significativa riduzione dei contratti a tempo indeterminato (più sensibili all'andamento economico), a fronte di un incremento dei contratti a termine (soprattutto di breve durata e, quindi, senza causale), per effetto del travaso da altre forme contrattuali flessibili e parasubordinate (per le quali il legislatore ha introdotto correttivi volti a contenerne l'uso incongruo).

Nel complesso, quindi, appare che la riforma, pur modificando la composizione delle forme contrattuali, non abbia aiutato a rafforzare, nel suo complesso, il mercato del lavoro in un periodo di crisi.

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