- Le proposte di legge sull'asilo nella XVII legislatura
- Il decreto legislativo n. 142 del 2015 (cd. decreto accoglienza)
- Il Piano nazionale di riparto
- Le risorse per l'accoglienza nella XVII legislatura
Cittadinanza e immigrazione
Nel corso della XVII legislatura ha trovato attuazione la nuova fase del Sistema europeo di asilo attraverso il recepimento nell'ordinamento interno delle direttive adottate in sede UE relativamente alle procedure e alle modalità di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale. Parallelamente, alla luce del crescente flusso di migranti sul territorio italiano, a seguito dell'accordo raggiunto in sede di Conferenza unificata il 10 luglio 2014 è stato delineato un Piano nazionale di accoglienza, finalizzato a definire un nuovo sistema di gestione dell'accoglienza sul territorio ispirato al principio di leale collaborazione tra enti territoriali e alla centralità dello SPRAR, la rete degli enti locali che realizza progetti di "accoglienza integrata" sul territorio. Tali misure sono state accompagnate da stanziamenti finanziari, con l'incremento, in primo luogo, delle risorse destinate al Fondo nazionale per le politiche ed i servizi dell'asilo. E' stato altresì definito, nel settembre 2017, il primo Piano nazionale di integrazione rivolto ai beneficiari di protezione internazionale, volto ad agevolare il pieno inserimento nella società dei rifugiati.
Il diritto di asilo è tra i diritti fondamentali dell'uomo ed è riconosciuto dall'articolo 10, terzo comma, della Costituzione allo straniero al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, secondo le condizioni stabilite dalla legge.
Anche se i due termini sono spesso usati come sinonimi, l'istituto del diritto di asilo non coincide con quello del riconoscimento dello status di rifugiato. Per quest'ultimo non è sufficiente, per ottenere accoglienza in altro Paese, che nel Paese di origine siano generalmente represse le libertà fondamentali, ma occorre che il singolo richiedente abbia subito specifici atti di persecuzione. Il riconoscimento dello status di rifugiato è entrato nel nostro ordinamento con l'adesione alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 (ratificata con la legge 722/1954) ed è regolato essenzialmente da fonti di rango UE. Il rifugiato è dunque un cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese. Può trattarsi anche di un apolide che si trova fuori dal territorio nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni e non può o non vuole farvi ritorno.
Successivamente, la normativa UE ha introdotto l'istituto della protezione internazionale che comprende due distinte categorie giuridiche: i rifugiati, disciplinati come si è detto dalla Convenzione di Ginevra, e le persone ammissibili alla protezione sussidiaria, di cui possono beneficiare i cittadini stranieri privi dei requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato, ossia che non sono in grado di dimostrare di essere oggetto di specifici atti di persecuzione, ma che, tuttavia, se ritornassero nel Paese di origine, correrebbero il rischio effettivo di subire un grave danno e che non possono o (proprio a cagione di tale rischio) non vogliono avvalersi della protezione del Paese di origine. Una ulteriore fattispecie è la protezione temporanea che può essere concessa in caso di afflusso massiccio ed ingente.
In relazione alla particolare condizione, dunque, può essere riconosciuto al cittadino straniero che ne faccia richiesta lo status di rifugiato o può essere accordata la misura di tutela di protezione sussidiaria. La differente tutela attiene ad una serie di parametri oggettivi e soggettivi, che si riferiscono alla storia personale dei richiedenti, alle ragioni delle richieste e al paese di provenienza.
Lo status di rifugiato e le forme di protezione sussidiaria sono riconosciute all'esito dell'istruttoria svolta dalla Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale: come previsto a livello normativo dell'UE dal c.d. Regolamento Dublino II lo straniero può richiedere la protezione internazionale nello Stato di primo ingresso che, pertanto, diviene competente ad esaminare la domanda. Al fine di rendere maggiormente celere tale procedura sono stati adottati, nel corso della XVII legislatura, diversi interventi normativi riguardanti il personale e la composizione delle Commissioni territoriali e delle relative sezioni nonché l'articolazione delle diverse fasi di esame.
Parallelamente, nella XVII legislatura ha trovato attuazione la nuova fase del sistema europeo di asilo attraverso il recepimento nell'ordinamento interno delle direttive UE: sono stati adottati diversi decreti legislativi su cui le Commissioni parlamentari hanno espresso articolati pareri.
Dalla fine degli anni '90 dello scorso secolo, l'Unione europea è infatti impegnata nella creazione di un Sistema europeo di asilo finalizzato a garantire un approccio comune degli Stati membri in materia di asilo per garantire elevati standard di protezione per i rifugiati.
La c.d. direttiva qualifiche (2011/95) recante l'individuazione dei requisiti necessari per l'attribuzione dello status di protezione internazionale e il contenuto in cui si sostanzia tale status (protezione dall'espulsione, diritto al permesso di soggiorno) è stata recepita con il D.Lgs. n. 18/2014, di modifica del D.Lgs. n. 251/2007 (attuativo della prima direttiva qualifiche, la n. 2004/83).
Successivamente, il D.Lgs. n. 142/2015, con le successive modificazioni ed integrazioni, ha provveduto ad attuare sia la nuova direttiva procedure (2013/32), sia la nuova direttiva accoglienza (2013/33), recanti, rispettivamente le procedure di esame delle domande di protezione internazionale, e le modalità di accoglienza, immediata e di più lungo periodo, dei richiedenti.
Il recepimento della direttiva 2011/51/UE, che interviene su un aspetto specifico, ossia l'estensione del diritto all'ottenimento del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, ai titolari di protezione internazionale, attraverso la modifica della direttiva 2003/109/CE, è stato effettuato con l'emanazione del D.Lgs. n. 12/2014.
L'esame parlamentare si è altresì concentrato, nella XVII legislatura, su alcune proposte di legge volte ad introdurre una disciplina del diritto di asilo, in attuazione dell'articolo 10, terzo comma, della Costituzione e nel rispetto delle convenzioni internazionali anche mediante la definizione di un testo unico di raccolta e modifica delle diverse disposizioni vigenti.
Il 26 settembre 2017, il Ministro dell'interno ha inoltre presentato, nell'ambito del Tavolo di coordinamento nazionale, il primo Piano nazionale di integrazione rivolto ai beneficiari di protezione internazionale, volto ad agevolare il pieno inserimento nella società dei rifugiati.
In sede parlamentare il Comitato Schenghen-Europol ha svolto, nel corso della XVII legislatura, diverse indagini conoscitive in materia di immigrazione ed asilo tra cui l'indagine sui "Flussi migratori in Europa attraverso l'Italia, nella prospettiva della riforma del sistema europeo comune di asilo e della revisione dei modelli di accoglienza". A conclusione dei lavori, il 16 dicembre 2015, il Comitato ha approvato un documento conclusivo.
Il sistema di accoglienza dei migranti nel territorio italiano è stato ridisciplinato, nel corso della XVII legislatura, dal decreto legislativo n. 142/2015, adottato in attuazione delle direttive europee 2013/32/UE e 2013/33/UE.
La nuova cornice normativa riflette il modello di accoglienza «diffusa» e basata su regole definite al di fuori di una logica emergenziale, già emerso nell'Intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata il 10 luglio 2014 da Stato, regioni ed enti locali, nella quale è stato concordato il "Piano operativo nazionale per fronteggiare il flusso straordinario di cittadini extracomunitari".
Il sistema di accoglienza così delineato si fonda, in primo luogo, sul principio della leale collaborazione, secondo forme apposite di coordinamento nazionale e regionale, basate sul Tavolo di coordinamento nazionale insediato presso il Ministero dell'interno con compiti di indirizzo, pianificazione e programmazione in materia di accoglienza, compresi quelli di individuare i criteri di ripartizione regionale dei posti da destinare alle finalità di accoglienza.
In tale quadro le funzioni di soccorso e prima assistenza dei migranti soprattutto nei luoghi di sbarco e nelle zone limitrofe, nonché le funzioni di identificazione continuano ad essere svolte, in parte, nei centri di prima accoglienza (CPA) o Centri di primo soccorso e accoglienza (CPSA) allestiti all'epoca dell'emergenza sbarchi in Puglia nel 1995 ai sensi del D.L. 30 ottobre 1995, n. 451, conv. da L. n. 563/1995 (cd. legge Puglia).
L'accoglienza vera e propria dei richiedenti di asilo si articola a sua volta in due fasi: la fase di prima accoglienza per il completamento delle operazioni di identificazione del richiedente e per la presentazione della domanda è assicurata dai nuovi centri governativi, previsti dal decreto legislativo n. 142/2015 in sostituzione dei preesistenti Centri di accoglienza per i richiedenti asilo (CARA) e Centri di accoglienza (CDA), sulla base della programmazione dei tavoli di coordinamento nazionale e interregionali (art. 9). L'invio del richiedente in queste strutture è disposto dal prefetto, sentito il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. La funzione di prima accoglienza è riconosciuta anche alle strutture denominate CAS (centri di accoglienza straordinaria). In base al decreto n. 142, infatti, nel caso di esaurimento dei posti nelle strutture di prima accoglienza, a causa di massicci afflussi di rifugiati, questi possono essere ospitati in strutture diverse dai centri governativi di accoglienza. La natura di queste strutture è temporanea e l'individuazione viene effettuata dalle Prefetture, sentito l'ente locale nel cui territorio è situata la struttura.
Solamente i richiedenti asilo che possono costituire un pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica sono trattenuti in apposite sezioni dei Centri di permanenza per i rimpatri (ex CIE) allestiti per gli immigrati clandestini.
La fase di seconda accoglienza e di integrazione è assicurata, a livello territoriale, nei centri del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), dove sono accolti coloro che hanno già fatto richiesta del riconoscimento della protezione internazionale (e anche coloro ai quali detto status è stato riconosciuto) e che non dispongono di mezzi sufficienti di sostentamento. Pertanto, per poter accedere all'accoglienza nelle strutture dello SPRAR è necessario che il richiedente asilo ne faccia richiesta e che risulti "privo dei mezzi sufficienti a garantire una qualità di vita adeguata per il sostentamento proprio e dei propri familiari". È la prefettura a valutare l'esistenza di tale requisito ed il parametro utilizzato è l'importo annuo dell'assegno sociale.
Qualora i posti dello SPRAR siano temporaneamente indisponibili, la permanenza nel centro di prima accoglienza si protrae per il tempo necessario al trasferimento nella struttura di seconda accoglienza.
Viene previsto che i progetti di accoglienza vengano finanziati dal Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo, istituito dalla L. n. 189/2002, coprendo i costi complessivi dei vari servizi forniti dai territori anche in deroga al limite dell'80 per cento. Per l'attuazione di ulteriori posti , tali fondi sono integrati con risorse del Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione (FAMI).
Nell'ambito delle misure di accoglienza, il decreto n. 142/2015 riserva una particolare attenzione ai soggetti "portatori di esigenze particolari" (cd. categorie vulnerabili, il cui novero è ampliato rispetto al passato), per i quali sono introdotti specifici accorgimenti nella procedura di accoglienza e di assistenza. Così, nell'ambito dello SPRAR sono attivati servizi speciali di accoglienza per i richiedenti asilo portatori di esigenze particolari. Tra tutte le categorie di vulnerabilità, disposizioni particolari sono riservate all'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati (MSNA).
Sul fronte dell'attuazione, la Commissione di inchiesta sul sistema di accoglienza istituita alla Camera nella XVII legislatura ha evidenziato una non allineata corrispondenza tra il modello teorico stabilito dal D.Lgs. n. 142 del 2015 e la realtà del sistema. L'indagine svolta ha fatto emergere, a due anni dall'approvazione del decreto, l'eccessivo ricorso ai centri di accoglienza straordinaria (CAS) ed una ristretta adesione ai progetti SPRAR da parte degli enti locali, nonostante gli interventi normativi ed amministrativi volti ad incentivare i comuni in tal senso. Ciò che ha indotto la Commissione, anche in considerazione di ulteriori fattori di criticità, a suggerire adeguati correttivi per garantire la realizzazione del modello di accoglienza tracciato dal D.Lgs. n. 142/2015 (Doc. XXII-bis, n. 21).
A partire dalla fine del 2015, il sistema di accoglienza nazionale si è ulteriormente arricchito della previsione dei c.d. hotspots, istituiti in seguito agli impegni assunti dallo Stato italiano nell'ambito dell'Agenda europea sulla migrazione, presentata il 13 maggio 2015 dalla Commissione europea, che ha sancito un approccio globale per migliorare la gestione della migrazione in tutti i suoi aspetti, prefigurando, in primo luogo, l'istituzione di un nuovo metodo basato sui punti di crisi (hotspots).
Tale approccio consiste nell'apertura di hotspots collocati nei luoghi dello sbarco dove effettuare la registrazione e l'identificazione tramite rilievi dattilografici delle persone sbarcate.
Il Governo italiano, il 28 settembre 2015 ha presentato una roadmap, recante l'impegno a mettere in atto il nuovo approccio «hotspot», individuando sei porti come sede dei punti di crisi.
Per dare una copertura giuridica di tale misure nell'ordinamento interno, l'art. 17 del decreto-legge n. 13/2017 ha introdotto nel TU immigrazione una nuova disposizione in base alla quale lo straniero rintracciato in occasione dell'attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare è condotto in appositi "punti di crisi" per le esigenze di soccorso e di prima accoglienza (art. 10-ter, D.Lgs. n. 286/1998). Si prevede, inoltre, che i punti di crisi possono essere allestiti nell'ambito delle strutture istituite ai sensi del decreto-legge n. 451 del 1995, ossia i CDA (centri di accoglienza), istituiti per rispondere alle emergenze degli sbarchi dei profughi provenienti dall'ex Jugoslavia. Oppure possono essere allestiti all'interno delle strutture di prima accoglienza, come disciplinate dal d.lgs. n. 142 del 2015, che adempiono anche alle esigenze di espletamento delle operazioni necessarie alla definizione della posizione giuridica dello straniero.
Nonostante la configurazione giuridica, l'applicazione dell'approccio «hotspot» in Italia presenta numerose criticità, a partire dalla insufficiente capacità di accoglienza degli attuali centri rispetto al numero di persone che varcano illegalmente le frontiere nazionali. In merito la Commissione di inchiesta sul sistema di accoglienza istituita alla Camera nella XVII legislatura ha approvato una Relazione sul sistema di identificazione e di prima accoglienza nell'ambito dei centri «hotspot» (Doc. XXII-bis, n. 8).